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IL SOGNO, IL MAGICO, IL FANTASTICO I nonni accompagnano i nipo nel mondo delle abe SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus

libro concorso fiabe 2009

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il libro distribuito con il Corriere della Sera in Veneto contenente le fiabe premiate nel concorso letterario 2009 promosso da OIC

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IL SOGNO, IL MAGICO, IL FANTASTICO

I nonni accompagnano i nipoti nel mondo delle fi abe

SOCIETÀDANTE ALIGHIERI

FondazioneOpera Immacolata Concezione Onlus

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Prima edizione: sett embre 2009

ISBN 978 88 6129 424 0

© Copyright 2009 by CLEUP sc“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”Via G. Belzoni, 118/3 – Padova (Tel. 049/8753496)www.cleup.it

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adatt amento,totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresele copie fotostati che e i microfi lm) sono riservati .

Grafi ca di coperti na di Massimo Maltauro.

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Indice

Presentazioni

Dalla poesia alla fi aba: l’apporto culturale dei longeviper la coesione sociale intergenerazionale 7

Angelo Ferro, Presidente Fondazione OIC Onlus

Fiabe come desideri, come sogni,come trasmissione di cultura 10

Antonia Arslan, Presidente della Giuria

La fi aba come radice vera della cultura popolare 12

Luisa Scimemi di San Bonifacio,Presidente Società Dante Alighieri, Sezione di Padova

Qualcosa, forse, sta cambiando 14

Ugo Savoia, Dirett ore «Corriere del Veneto»

La fi aba e il libro, traghett atori intergenerazionali di sapere 17

Fabio Franceschi, Presidente Grafi ca Veneta SpA

Il senso di una partnership rinnovata 19

Ambrogio Fassina, Presidente CLEUP

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Opere selezionate

Agnese, nonna cantastorie 23

Ci sono nuvole e nuvole 27

Una grassa rana rosa... Strada facendo 31

Storia di cani e gatti 34

Dialogo 36

La fola del fi ume Agno-Guà (e delle Anguane) 39

Piero pipeta 42

Questa è la storia di Giovanin senza paura 46

L’età dei metai pressiosi 53

Del Signor Coriandolo e della Pulce 56

L’idromèle dello gnomo lituano 60

Il re distratt o 68

La leggenda della Principessa Cornaro 71

Storie di una volta 73

Uso improprio di una “bareta” 75

Anna e il segreto del Tempo 77

I partecipanti 90

Premio Paul Harris Fellow 92Distrett o Rotary 2060

I promotori 94

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Presentazioni

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Dalla poesia alla fi aba:l’apporto culturale dei longeviper la coesione sociale intergenerazionale

Ci sono moti vazioni oggetti ve, razionali, scienti fi che, che giusti fi cano la scelta dell’OIC di promuovere anche quest’an-no un concorso lett erario. Moti vazioni delle quali sovente parliamo nell’ampia produzione di documenti , comunicati , convegni, libri, internet, giornali che come Fondazione pro-muoviamo insieme a partner che sostengono e credono nel-la nostra fi losofi a della “risorsa longevità”.

Moti vazioni serie, fondate, ma che rischiano talvolta di non riuscire a parlare al cuore delle persone; moti vazioni costrett e ad adott are un linguaggio da addetti ai lavori, da specialisti e studiosi, seppure fortemente orientati alla di-vulgazione.

È stata dunque l’indimenti cabile esperienza del calore umano sperimentato nell’edizione dello scorso anno che ha innervato la ricerca per il 2009 di un ambito ancora più aper-to e vitale, convinti che la produzione intellett uale sia una chiave fondamentale per lo sviluppo di una nuova cultura della longevità.

Aver visto tante persone di diversa esperienza e forma-zione esprimere in versi un così ricco caleidoscopio di senti -menti e umanità ci ha spinto quindi ad esplorare il più com-plesso territorio della prosa, concentrandoci in quella che ci piace defi nire l’arte della fi aba.

Fiaba signifi ca fantasti co, emozioni, capacità di far vivere esperienze e capire situazioni inedite. Sempre supportati da un narratore, aff ett uoso e att ento a non spingere troppo né

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sul tasto della paura (certamente la nonna mangiata dal lupo non è immagine rassicurante) né su quello della divagazione fantasti ca (che porta a straniamento e fuga della realtà).

Un narratore di mondi e magie che è sempre pronto a fornire l’aff ett uoso supporto della rassicurazione e della positi va prospetti va esperienziale, proprio come da sempre fanno le mamme, i genitori ma sopratt utt o i nonni e le non-ne, sovente oggi le uniche persone con tempo a disposizione per raccontare favole ai bambini, sia che si tratti dei propri veri nipoti sia di quelli putati ti vi (come quoti dianamente ci capita di vedere nel Centro Infanzia del “Civitas Vitae” con l’atti vità dei Nonni del Cuore).

Per non essere egoisti non abbiamo riservato la parte-cipazione solo alla numerosa e multi etnica famiglia dell’OIC ma anche ad altri longevi che si sono riconosciuti negli ideali e nella visione dell’iniziati va.

Abbiamo ricevuto fi abe da persone di diversissima estrazione e provenienza, da chi è capace di adott are sofi sti -cati strumenti di videoimpaginazione a chi ha manoscritt o di gett o il proprio racconto sul primo pezzo di carta che poteva agguantare, fosse anche una vecchia agenda. In tutti gli ela-borati è emerso il forte desiderio di protagonismo delle per-sone anziane, desiderose non di rincorrere effi meri ideali di vita passata ma coscienti di un nuovo e diverso ruolo sociale, di facilitatori di diverse forme e modalità di convivenza civile, desiderosi di cogliere le opportunità che l’inedito allunga-mento della vita propone loro.

Come Fondazione OIC ne ricaviamo un arricchimen-to umano e relazionale senza pari, una ricarica dalla quale usciamo raff orzati nella consapevolezza che la costruzione di reti intergenerazionali e di congrui contesti generatori di re-lazioni, rappresentano la chiave strategica per un futuro mi-gliore per riappropriarci di un desti no comunitario solidale.

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Raccogliamo oggi in questo semplice librett o gli ela-borati selezionati dalla Giuria, con il rammarico che i limiti ti pografi ci ci abbiano imposto una selezione dei lavori rice-vuti (che rimarranno comunque disponibili per la lett ura sul nostro sito internet) ma con la soddisfazione di aver portato avanti le fronti ere della longevità nella costruzione del bene comune.

Angelo FerroPresidente Fondazione

OIC Onlus

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Fiabe come desideri, come sogni,come trasmissione di cultura

Un pacco di fi abe, tutt e da gustare. Mi ci sono immersa con la lenta gioia di chi ritrova un’abitudine dimenti cata, il pia-cere dei lunghi pomeriggi infanti li, delle sere in montagna con nonna Virginia, che sapeva solo due storie ma le raccontava sempre con autenti ca gioia, come noi nipoti le ascoltavamo con entusiasmo.

Certo, dalle fi abe i lett ori, piccoli o grandi che siano, non si aspett ano delle novità. Anzi, i personaggi in gioco sono pochi, e riconoscibili, frammenti di un mondo di sogno e di nostalgia che ognuno di noi ti ene ben serrato nel suo cuore segreto: re e regine e misteriosi vagabondi, principi valorosi e belle fanciulle, spesso in numero di tre, pastori e pastorelle, giullari sapienti , vecchiett e argute e matrigne malefi che, orchi e mostri vari, animali buoni o catti vi, ma dotati di tutt e le virtù e i difetti degli esseri umani. E tutti si mett ono in viaggio per il vasto mondo.

Ogni scritt ore di fi abe riprende e combina variamente queste immagini, questi simboli eterni, secondo il suo gusto e la sua epoca, senza mai negarli del tutt o, da Apuleio ai fratelli Grimm, da La Fontaine a Oscar Wilde. E le storie che ognuno di loro inventa non negano le precedenti , ma le conti nuano, aggiungendo nuove tessere a un mosaico già ricco, perché in ogni storia raccontata ne sono depositate molte di più anti che, e ogni voce nuova arricchisce un tronco che non si stanca di butt ar gemme.

Magari adott ando nuove forme di espressione e facendo uso di una certa verve ironica, la dimensione fi abesca è dav-

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vero perenne, e colma un bisogno profondo che è presente in ognuno di noi. E così oggi, dai volonterosi e appassionati narratori che si sono cimentati in questo concorso – spesso con una candida freschezza e una semplicità essenziale assai catti vanti – noi riceviamo un insegnamento che è ancora pre-zioso, e che questo librett o elegantemente dimostra.

Passano gli anni, cambiano le epoche e i costumi: ma dietro l’apparente turbinosa velocità dei cambiamenti , delle mode e delle modernizzazioni che tanto ci impressionano, resistono impavide le strutt ure profonde della mente e del cuore, la precezione isti nti va del bene e del male, le categorie del giudizio. E ognuno di questi graziosi racconti , ciascuno a suo modo, ci trasmett e saggezza e ci dà consolazione.

Antonia Arslan

Presidente della Giuria

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La fi aba come radice veradella cultura popolare

Il sogno, il magico, il fantasti co, tre termini coinvolgenti e suggesti vi che rinviano alla nozione, ormai d’uso comu-ne, di immaginario colletti vo: ricco e prezioso patrimonio di esperienze, simboli e concetti condivisi da una pluralità di individui che vi atti ngono, sia pur inconsciamente, per inte-ragire e aderire con effi cacia creati va alla realtà in eterno divenire che li circonda.

Sono le caratt eristi che fondamentali, seducenti e al-lusive, di quanto noi oggi defi niamo ‘cultura’ in senso lato. Sogni, sorti legi e fantasie sono, infatti , sostanza lieve e per-sistente di miti e leggende di tutt o il mondo; elementi co-sti tuti vi dell’arte e della lett eratura, di lontane memorie, di modelli di vita, di valori da tramandare e trasformare in usi e costumi esemplari; riferimenti oggetti vi, e tutt avia in perpe-tua metamorfosi, che danno signifi cato e bellezza alla nostra limitata esperienza personale.

La consuetudine popolare, nel corso dei secoli, ha rac-colto tutt o ciò in un apparato di semplice consultazione, nel-la ‘mitologia domesti ca’ di favole e fi abe che si tramandano di generazione in generazione, che trasformano situazioni e nozioni complesse in un linguaggio accessibile a tutti , anche agli infanti , inesperti di logos per antonomasia, traducendo-le in metafore colorate di emozioni, di virtù e competenze da acquisire, di vizi, paure e disvalori da scongiurare, e ricono-scibili fi n dalla più giovane età.

Questo prodigioso grimaldello di lett ura e di interpreta-zione del mondo è in mano, per natura, alle generazioni più

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ricche di esperienza vissuta: la tenera saggezza dei nonni, dei più longevi, si rivela provvidenzialmente in grado di ag-giustarne il ti ro, sia nel senso del linguaggio usato, che dei contenuti , in prospetti va della formazione e dello sviluppo armonioso delle generazioni future.

Riscrivere o reinventare le favole alla luce delle proprie personali esperienze di vita si rivela dunque la nuova, al-lett ante sfi da lanciata quest’anno dalla Fondazione Opera Immacolata Concezione e raccolta – come la precedente centrata sulla Poesia – con entusiasmo dai tanti ospiti e amici coinvolti in quest’iniziati va ideata e voluta con lun-gimirante sensibilità dallo stesso Presidente dell’OIC, prof. Angelo Ferro.

Nella trama delicata e arcana delle fi abe, selezionate dalla Commissione presieduta da Antonia Arslan e pubbli-cate in questo volume, i lett ori di oggi riscoprono le tracce delle generazioni che li hanno preceduti e che, disegnando per i più giovani un paradigma eti co di riferimento ‘a canone aperto’, li inducono a misurarsi, a loro volta, quasi per gio-co, con le provocazioni spontanee e irrinunciabili dei sogni e della fantasia.

Luisa Scimemi di San Bonifacio

Presidente Società Dante Alighieri,Sezione di Padova

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Qualcosa, forse, sta cambiando

Forse qualcosa sta cambiando, in meglio, nel rapporto di questa società ‘giovane’ per defi nizione – nei consumi, nella pubblicità, nel marketi ng, nel commercio – con l’uni-verso di chi ha avuto il dono di veder scorrere molti giorni, molti mesi, molti anni, davanti ai propri occhi.

Non sappiamo di chi sia il merito di questo cambiamen-to e non sappiamo se e quanto durerà, ma è di sicuro un passo importante.

Qualcuno parla di evoluzione culturale e qualcuno ad-diritt ura di eff ett o-Borghetti . Eugenio Francesco Borghetti , ingegnere lombardo di origini venete, è l’orgoglioso sett an-tenne che voleva fare volontariato ma si è senti to rispon-dere che era troppo anziano. Ha chiesto di guidare almeno le ambulanze, ma anche in quel caso ha ricevuto un secco no come risposta. Anziché starsene buono, ha raccontato ai giornali la sua assurda vicenda scatenando un dibatti to che è stato uti lissimo per sollevare il problema sul ruolo, sull’im-portanza e sull’uti lità dei longevi, e al tempo stesso sgom-brare il campo da un’ignoranza diff usa e da tante ipocrisie. Quasi contemporaneamente, quando si dice il caso, parti va una campagna pubblicitaria televisiva che potremmo defi -nire rivoluzionaria: un uomo molto in là con gli anni va in ospedale a trovare la nipoti na appena nata e comincia con lei un dialogo mentale bellissimo e commovente.

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Per la prima volta o quasi nella storia della comunicazio-ne è stato usato un testi monial ‘vero’, con la sua esperienza e la sua aria vissuta, per pubblicizzare un prodott o. Non un fi nto giovane, non una nonna petulante che spiega quale candeggina usare per non rovinare i tessuti .

Questo spot riaffi ora scorrendo le fi abe scritt e dagli ospiti dell’Oic quando ci si imbatt e in quella del signor Gian-carlo Gasparon. Il ti tolo è proprio Dialogo, comincia con la domanda di un bambino («Che cosa hai pensato nonno quando sono nato? ») e rappresenta una bella fotografi a del rapporto tra due generazioni anagrafi camente lontane, ma unite dal piacere di narrare e da quello di ascoltare racconti distanti nel tempo, quella dimensione quasi onirica in cui un bambino si stupisce sempre di scoprire che suo nonno, quel-lo che oggi vede con i capelli bianchi e qualche ruga, è stato giovane e curioso come lui.

È la poesia della vita, sono mondi che si parlano e che riescono a comunicare senza pregiudizi perché percepiscono di essere uti li l’uno all’altro, senza contrapposizioni e senza esclusioni. È l’ideale passaggio del testi mone culturale tra ge-nerazioni che ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo fi no a pochi decenni fa, quando si è misteriosamente interrott o.

Noi quel testi mone vogliamo che riprenda la sua funzio-ne originaria, che riprenda la sua corsa, anche se la strada è ancora lunga. E per farlo può essere uti le rileggere le paro-le del professor Marcello Cesa Bianchi, 83 anni, docente di Psicologia dell’invecchiamento, un vero guru della longevi-tà che scrive libri e gira l’Italia per conferenze e dibatti ti sul tema, parole che sono il suo ‘manifesto’ e che dovrebbero essere oggett o di studio anche nelle scuole.

Eccole: «Purtroppo c’è la tendenza a credere che con-ti la questi one cronologica più di quella fi sica o psicologica. Non è così. Non esiste un modello standard legato a un’età. È

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assurdo anche solo pensarlo perché la variabilità individuale è notevolissima, come capisce chiunque. La realtà è che ci sono tante psicologie quanti sono gli anziani, sett antenni o ultracentenari che siano».

Il problema, però, è spiegarlo a quelli che hanno dett o no all’ingegner Borghetti ...

Ugo SavoiaDirett ore «Corriere del Veneto»

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La fi aba e il libro, traghett atori intergenerazionali di sapere

Con grande piacere abbiamo aderito al concorso lett e-rario sulle fi abe raccontate dai nonni promossa quest’anno dalla Fondazione OIC onlus. Si tratt a, infatti , di un progett o parti colarmente coerente con la fi losofi a aziendale di Grafi -ca Veneta per due specifi ci moti vi.

Innanzitutt o da sempre nel nostro sett ore è necessario coniugare la necessaria evoluzione tecnologica (che oggi ad esempio ci consente di produrre grandi ti rature nel ridot-ti ssimo tempo di 24 ore) con il recupero dell’esperienza e fi nanco della saggezza di chi si è occupato da anni di stam-pa. Per questo moti vo nel nostro stabilimento affi anchiamo infatti maestranze giovani a persone esperte perché è solo dalla sintesi e incontro di esperienze intergenerazionali che può avvenire il trasferimento non solo di competenza pro-fessionale ma anche di un sistema di valori ed esperienze che solo una vita vissuta compiutamente, con le sue gioie e dolori, consente di maturare e trasferire nel tempo come prezioso patrimonio sociale.

Il secondo moti vo di convinta adesione riguarda la no-stra specifi ca competenza nella produzione di libri e in parti -colare di fi abe, tra le quali mi piace ricordare la stupefacente esperienza di produzione della saga di Harry Pott er, con mi-lioni e milioni di pezzi stampati in diverse lingue e distribuiti in tutt o il mondo. Fa indubbiamente piacere (ed ovviamen-te non solo dal punto di vista aziendale...) constatare come nell’epoca dell’elett ronica e della digitalizzazione, del ‘tutt o veloce’ rimanga la necessità di possedere un supporto car-taceo contenente storie, fantasie, esperienze fantasti che,

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un elemento fi sico da trasferire tra le persone e nel tempo, costi tuendo in fondo un piccolo punto di riferimento e in-contro culturale non solo per i giovani (i primi appassionati lett ori della saga del maghett o scozzese) ma anche per i loro genitori e nonni, diventati essi stessi lett ori magari perché stupiti e atti rati dalla capacità di coinvolgimento ed att razio-ne di questi racconti .

In fondo molti dei più recenti successi lett erari sono proprio sbocciati grazie al passaparola tra le persone, sca-valcando asetti che scelte editoriali a favore di proposte nate nella comunità dei lett ori. E chissà che anche tra i validi par-tecipanti del concorso di quest’anno non possa sbocciare un nuovo fantasti co autore di storie fantasti che!

Fabio FranceschiPresidente Grafi ca Veneta Spa

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Il senso di una partnership rinnovata

La fi aba, tra i racconti popolari, è il genere più conosciu-to ma, proprio per questo, presenta una certa diffi coltà di defi nizione e di diff erenziazione rispett o ad altre forme di racconto. Così Luciano Morbiato scrive nel suo recente libro pubblicato da CLEUP dal ti tolo Contastorie. Ma qui, ciò che veramente conta sott olineare è la ‘magia’, la ‘suggesti one’ e il ‘meraviglioso’ che gli autori delle fi abe proposte ci fanno ‘senti re’.

Ancora una volta Angelo Ferro ha voluto onorare la CLEUP, e me come suo presidente, con l’invito a prendere parte e a promuovere l’evento “Il sogno, il magico il fantasti -co. I nonni accompagnano i nipoti nel mondo delle fi abe”.

Come già nella passata edizione, anche oggi occorrono alcune rifl essioni sopratt utt o sul fl uire del tempo che fi nché scorre indica la nostra condizione di viventi .

I racconti del ‘nonno’ partono tutti e sempre da una posizione di esperienza acquisita negli anni e quindi da una ‘età’ avanzata, un’età ‘cronologica’ avanzata. Ma l’età crono-logica spesso non coincide con l’età ‘biologica’ e ancor meno spesso con l’età ‘psicologica’.

Quale persona, infatti , in un’età cronologica avanzata prende carta e penna, oppure un computer, e si mett e a tra-durre la sua fantasia e i suoi pensieri in poesie e racconti , se non è psicologicamente giovane ed entusiasta? Ed ecco che qui si comprende il ruolo che la vita in comunità svolge nel creare interessi, defi nire nuovi obietti vi, intessere relazioni e conti nuare a provare nuovo piacere in nuove atti vità.

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Essere giovani nella testa aiuta a vivere meglio e come le tendenze della moderna medicina tentano di dimostrare, serenità e otti mismo sembrano essere i farmaci migliori an-che se apparentemente meno costosi.

Questa iniziati va e le fi abe che leggeremo in questo li-brett o, assieme a quelle che tutti i partecipanti hanno invia-to, ne sono la prova. Non resta quindi che augurare a tutti una buona lett ura insieme ai nostri cari, in att esa che Angelo ci dia noti zie della prossima iniziati va.

Ambrogio FassinaPresidente CLEUP

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Il sogno, il magico, il fantasti co

Opere selezionate

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Agnese, nonna cantastorie

di Valeria Balasso

“Dai nonna, racconta”. Agnese guarda la nipoti na. È una fotocopia di suo pa-

dre. Il visett o rotondo, gli arruff ati capelli chiari, gli occhi blu. Ma il sorriso che rivolge prati camente a tutt e le persone che incontra è sicuramente un dono esclusivo del Creatore. Un regalo che, assieme all’incontenibile allegria, la rende spe-ciale.

“Ma forse tutti i bambini sono speciali e preziosi per i loro nonni”, rifl ett e Agnese prima di chiedere:

“Che cosa ti devo raccontare Marti na?”“La storia di Azzurra.”“Ancora?”Un abbraccio e una raffi ca di baci piovono sul viso di

Agnese:“Sì, ti prego nonna, è meravigliosa.”La ‘s’ scivola nel buco lasciato dai due denti ni caduti e

rende divertente la parlata della piccola.“Sposta questa sedia all’ombra del noce. Fa caldo oggi

al sole.”Marti na non se lo fa ripetere due volte. È un compito

che svolge volenti eri. Visto che fra poco dovrà spingere la carrozzina di Pietro, si allena con quello della nonna.

La bambina si muove con att enzione, ma grande è la tentazione di correre veloce sul prato. È sicura che per en-trambe sarebbe un grande diverti mento. Ma scaccia subito il pensiero e manti ene un passo regolare perché ‘sente’ sulla schiena lo sguardo della mamma.

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“I tuoi occhi sono come il radar dell’anti furto” aveva sbott ato Marti na un giorno mentre cercava di arrampicarsi sull’albero. Esperienza molto ambita e, naturalmente, vieta-ti ssima.

“Nina – è il nomignolo con il quale il papà la chiama nei momenti parti colari – non rispondere con quel tono e cerca di essere più ubbidiente, altrimenti ...”

La frase era rimasta in sospeso. Altrimenti cosa? Stavano cercando di non ridere per la batt uta della piccola, ma come tutti gli adulti volevano mantenere un tono di sussiego.

“Altrimenti – bisbigliano fra loro – l’autorità dove fi ni-sce?”

“A farsi benedire” aveva risposto sghignazzando nonno Augusto. Un gigante con un pancione che a dormirci sopra era come stare in una nuvola.

L’intervento non era stato apprezzato e un’occhiataccia se l’era presa pure lui.

“Tutt o a posto nonna? Dai, racconta”.Distesa sull’erba guarda Agnese che sorride per quella

tenera complicità che c’è fra di loro.“Lo prometti che non racconterai quello che ti sto per

riferire?” chiede sott ovoce la nonna-cantastorie.Con un sussurro la bambina risponde: “Sì, come sem-

pre, non ho dett o nulla alla mamma e al papà. Solo a Gae, il mio angelo. Lui si era distratt o e non aveva ascoltato il tuo racconto. Era molto infelice. Mi ha confi dato, con tanta tri-stezza, che lui non ce l’ha mai avuta una nonna”.

Gli occhi di Agnese luccicano come quelli di Marti na. “Azzurra era il nome della più giovane e bella delle an-

guane che vivevano sulle rive dell’Asti co.I capelli biondi, profumati di gelsomino, gli occhi traspa-

renti come le acque del fi ume, i denti bianchissimi come le nevi delle montagne. E una voce, una voce così dolce che placava ogni dolore, alleggeriva ogni ansia e calmava la rab-bia più inquietante.

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Viveva con le sue amiche in territori poco accessibili, ma il mio bisnonno Checco, che conosceva ogni senti ero della Valle dell’Asti co, aveva visto dove si nascondevano... Era una sera di agosto, una grande luna piena illuminava una piccola radura sfi orata dall’acqua. Un gruppo di donne molto belle stendevano lenzuola candide e con leggerezza ballavano tra i salici. Lievi come libellule sembravano appena uscite da un libro di fi abe. Checco restò ammutolito. Era giovane e un po’ incosciente. Lo sapeva che non doveva avvicinarsi, ma dimen-ti cò gli avverti menti dei vecchi e come un follett o raggiunse il luogo proibito. Le anguane fuggirono. In un istante si trovò da solo. Questa almeno fu la sua prima sensazione. Stava per andarsene quando un’ombra uscì dal bosco di betulle. Chec-co la guardò con i suoi occhi blu. Buoni, ingenui. Forse per questo l’anguana non ebbe paura di lui. Sorrise e intonò una meravigliosa melodia. Poi una quiete assoluta pervase tutt o lo spazio. Per qualche istante il tempo cessò di esistere”.

Sembrava che la stessa magia aleggiasse att orno ad Agnese e a Marti na. Il fi nale, noto ad entrambe, riecheggiò nelle loro menti .

La giovane anguana si rivolse a Checco con dolcezza: “Mi chiamo Azzurra. Nel tuo sguardo leggo una grande bontà. Mi fi do di te. Non dovrai indicare a nessuno la strada per rag-giungere questo spazio. Per noi sarebbe la fi ne. Dovremmo andarcene molto lontano. Per sempre. E tu non potresti mai più ascoltare i nostri canti . Danzò per qualche istante prima di avvicinarsi all’acqua. Lui la guardava incantato. Preso da una strana malìa non si rese conto che Azzurra stava già at-traversando il fi ume, sfi orando appena i ciott oli bianchi che formavano uno sconosciuto senti ero fra le acque dell’Asti co. Raggiunta l’altra riva iniziò a recitare una canti lena:

Una coroncina di fi ori ho intrecciato per il mio amoreuna canzone intonerò e sarà solo in tuo onorema tu non tradire mai il segreto del mio abitarealtrimenti da un incantesimo non ti potrai liberare.

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Il ragazzo senti va le parole ma non vedeva più la splen-dida fanciulla. Abbassò lo sguardo e una lacrima cadde sull’erba accanto a una piccola ghirlanda di non-ti -scordar-di-me che raccolse e conservò per sempre. Non tornò mai in quel prato e non indicò a nessuno il passaggio segreto che portava alla radura delle anguane, ma qualche volta il vento gli portava la voce di Azzurra, il suo primo indimenti cabile amore”.

Ancora una volta Marti na è aff ascinata dall’incredibile vicenda.

Non si accorge nemmeno dell’arrivo di nonno Augusto che ammira con aff ett o la moglie e la nipoti na.

Il viso di Agnese è sereno. Sono passati i giorni del do-lore causato dalla brutt a fratt ura alla gamba. Fra qualche setti mana tornerà a camminare. Si sorridono e si stringono le mani. Non sono necessarie tante parole dopo quasi qua-rant’anni di matrimonio.

Marti na, con le braccia sott o la testa fi ssa la prima, lu-minosa stella della sera. Poi guarda i due amati ssimi nonni e, rivolgendo loro il suo speciale sorriso, li rende felici.

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Ci sono nuvole e nuvole

di Suzanna Cole Luxardo

Era passata poco più di un’ora dal pranzo, e Mati , scivo-lando come un gatt o e con un eccellente coordinamento da ginnasta – incredibile, dicevano i suoi, per soli 4 anni – per-lustrava la casa.

Di sopra la mamma procedeva col solito ti chetè-tachetè al computer. Chissà che diverti mento provava, tante ore cur-va su una tasti era che non faceva mai musica, solo ti chetè-tachetè. Il papà era al lavoro, non rientrava mai a pranzo.

La sorellina Zara dormiva beata nel letti no: stava – come al solito – con le ginocchia verso la pancia, il sederino in alto, il tronco allungato e le braccia in avanti . La mamma diceva sorridendo “Ma che razza di bambine abbiamo fatt o, una sembra una stella marina, l’altra una piccola musulmana”. – In eff etti , Mati dormiva sempre con i quatt ro arti distesi al massimo, tutt a spalancata sulla pancia o sulla schiena. Per lei era davvero un mistero come Zara potesse respirare così rannicchiata.

Mati cercò la nonna, che si trovava in giardino su una sdraio con in testa un vecchio cappello di paglia, persino bu-cato qua e là, ma che a lei stava bene. La nonna leggeva, come sempre. Santa patata, quanto leggeva questa nonna! Ma Mati l’amava molti ssimo, anche se usava strane espres-sioni. Certe cose, diceva la nonna che era straniera, di lingua madre inglese, non si possono concepire in italiano: ed una di queste era quality ti me.

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Quality ti me voleva dire che la nonna smett eva di leggere o scaricare la lavastoviglie, o qualsiasi altra atti vità, e stava interamente con lei sola, con Mati . In quality ti me si poteva andare lungo l’argine, l’una sul triciclo e l’altra camminando allegramente, annusare fi ori e cespugli, stare sdraiate sull’erba e inventare animali e fantasmi sulle nuvole. Se il tempo era catti vo, si poteva stare sott o braccio alla nonna e ‘leggere’. Mati adorava seguire la nonna su un libro chiamato Mother Goose (Mamma Oca): più che storielle erano brevi fi lastrocche in rima, che quasi sembravano canzoncine.

Hickory dickory dockThe mouse ran up the clock The clock struck oneThe mouse fell down Hickory dickory dock

La coperti na faceva vedere un enorme orologio a pendo-lo (la nonna a fati ca aveva spiegato a Mati le ore e le lancet-te) e un topolino stecchito a terra. Questa fi lastrocca faceva ridere Mati , perché ogni tanto in garage la mamma scopriva un topolino di campagna e si mett eva a gridare a squarcia-gola: Amooore, vieni qui! Ammazzalo, è orrendo. Amooore, aiutami!, mentre Mati che aveva incontrato topolini in giar-dino o nei campi li trovava semplicemente adorabili.

Ma la cosa più bella del quality ti me era che Mati pote-va chiedere tutt o, ma proprio tutt o, alla nonna straniera e lei non diceva mai: Ma che domande! o Sei ancora troppo piccola per chiedere certe cose! Questa nonna cercava sem-pre una risposta adeguata alla sua grande curiosità e alla sua poca età. Così Mati un giorno si avvicinò alla nonna, che un po’ leggeva e un po’ pisolava, e chiese se questo era il mo-mento buono per un po’ di quality ti me. Ma certo, sorrise la nonna.

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Cos’è l’adossione? – Adozione, tesoro. Perché me lo chiedi? – Perché ogni tanto lo sento dire in cucina, mentre la mamma prepara la pasta e papà la bacia sul collo, oppure nella loro camera da lett o quando pensano che io e Zara si sia addormentate. E allora, è una cosa brutt a o bella? E per-ché ne parlano sempre sott ovoce?

La nonna allora le spiegò che in molti parti del mondo ci sono tanti bambini senza genitori, a causa delle guerre o delle malatti e. – (Mati ricordava quanto spesso si vedevano in tv bambini africani con le pance gonfi e e le mosche sugli occhi, e come papà cambiasse bruscamente canale, dicendo “Non sono cose per te, tesoro”) – Ma per fortuna ci sono anche tante coppie di sposi che hanno una bella casa e tanto, tanto amore tra loro, che sembra uscire come una nuvola dalle fi nestre e da sott o la porta. E vogliono veramente un bambino da amare e da crescere...

La faccenda dell’amore in forma di nuvole piaceva mol-to a Mati , così rimase un po’ concentrata, poi sospirò come se avesse compiuto un’operazione di aritmeti ca, e doman-dò: Ma allora, nonna, ci sarebbero qui le case per quei poveri bambini senza papà e senza mamma? Perché non li mett ono in quelle con tutt o l’amore che esce dalle fi nestre e da sott o le porte?

Sì, tesoro, si fa anche se non ce ne sono mai abbastanza. Ma si trova sempre brava gente che aiuta le coppie che de-siderano essere genitori ad accogliere i bambini che hanno tanto bisogno di una vera famiglia. E proprio questo si chia-ma ‘adozione’.

Mati , soddisfatt a per la risposta, si butt ò sul pett o della nonna, ti rò su le gambe e cominciò a sognare... se la mamma e il papà parlavano così sott ovoce signifi cava che ci voleva tempo, non era il caso di dirlo né a lei né tanto meno alla piccola Zara. Ma come avrebbero fatt o? Lei e Zara avevano già assieme la camera blu, forse lo studio verde di papà an-

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drebbe al nuovo bambino? O lui per i primi tempi sarebbe stato – come era capitato a loro stesse quando erano picco-le, piccole – nell’atti co grande con mamma e papà? – Quanti pensieri!

Intanto la nonna le strofi nava la schiena ritmicamente, proprio lungo la colonna dove le piaceva di più. Nonna? – Sì, tesoro – Posso dire a papà che adesso so che cos’è l’adozio-ne? – Perché no? Anche lui è stato accolto in una casa da dove le nuvole di amore uscivano da tutt e le parti .

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Una grassa rana rosa... Strada facendo

di Donatella De Mori, Luciana Fiscon, Annalisa Masato, Giovanni Migliavacca e Gabriella Penello

Un giorno una rana rosa, piutt osto grossa, passeggiava pigramente sul senti ero che portava allo stagno per incon-trare qualche rana con cui scambiare due chiacchere.

Un tasso le aveva dett o che poco distante c’era un bel gruppett o di rane con cui fare amicizia.

Si senti va sola e perciò questa le pareva una bella noti -zia. Aveva indossato per l’occasione la sua bella corona d’oro che le aveva lasciato in eredità il nonno materno, rosa anche lui.

Strada facendo e saltellando di qua e di là incontrava alcuni grilli o le farfalle che volavano di fi ore in fi ore, cosa che le dava grande allegria.

Finalmente arriva allo stagno e trova alcune rane che con il loro gracidare rompevano quel silenzio. Le salutò cor-dialmente e si accorse che il loro colore era diverso dal suo (verde scuro).

Cosa importava il colore diverso, l’importante era stare in loro compagnia, chiacchierare, fare alcuni salti nello sta-gno per poi crogiolarsi al sole.

Ognuna raccontava la sua storia e così dentro di sé si senti va meno sola e avrebbe voluto che quel giorno si fer-masse.

All’improvviso scese la sera e decisero di incamminarsi verso casa, con la promessa di ritrovarsi il giorno seguente, così da riprendere il racconto dei loro desideri e delle loro speranze, lasciato in sospeso il giorno precedente.

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La rana rosa si ritrovò di nuovo sola ma meno triste del solito, aveva trovato degli amici, quindi soddisfatt a, si rannic-chiò in un angolino pieno di fi ori profumati .

In att esa di prendere sonno, in quella bellissima nott e di plenilunio, la rana ripensava a quanto era successo nella scorsa giornata e, per la prima volta prese coscienza della diff erenza con i nuovi amici, lei era rosa!

Il giorno seguente le rane si ritrovarono e, oltre a gio-care, ripresero i loro racconti , così la rana rosa venne a sa-pere che i nuovi amici erano orfani e vivevano con la nonna – i genitori erano morti travolti da un automezzo mentre at-traversavano, sulla strisce, una strada per andare a trovare dei parenti in uno stagno vicino – a sua volta la rana rosa raccontò che era sola in quanto non aveva conosciuto i ge-nitori scomparsi quando era ancore girino e che il nonno, che l’aveva allevata era morto recentemente regalandole la corona d’oro che portava in testa.

A mezzogiorno la rana rosa fu invitata a pranzo così avreb-be conosciuto la loro nonna a cui volevano molto bene.

Appena entrata in casa, la nonna, che era una genti le anziana rana verde, esclamo! “MA ALLORA QUELLA LEG-GENDA ERA VERA” lasciando a bocca aperta per lo stupore le giovani rane.

Le giovani rane per la curiosità dimenti carono perfi no di avere fame e pregarono la nonna di raccontare di quale leggenda si tratt asse.

La nonna si fece un po’ pregare ma poi le fece sedere att orno alla sua poltrona e incominciò a raccontare: “Ero an-cora piccola quando mia nonna mi raccontò la storia delle rana rosa e delle rane azzurre. Tanti secoli prima nel nord del paese c’erano due magnifi ci stagni non molto lontani uno dall’altro dove vivevano in pace e serenità due disti nte colo-nie di rane, nello stagno sud vivevano le rane rosa e in quello più a nord le rane azzurre. In quel tempo ci fu una grande siccità (pensate non piovve per tre anni consecuti vi), i due stagni si prosciugarono e i due gruppi di rane dovett ero emi-

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grare verso sud, non si conoscevano ma quasi contempora-neamente si ritrovarono sulle rive di un magnifi co grande stagno, stupiti perché nessuno dei due gruppi pensava che potessero esistere rane di colore diverso dal proprio. Erano due gruppi di rane molto genti li la loro diff erenza era solo nel colore della pelle. Fecero subito amicizia e di comune accordo si sistemarono nello stagno. Erano rane bellissime al punto che molte rane azzurre sposavano rane rosa e vice-versa; c’era tanta felicità in quel bellissimo stagno che ben presto si popolò di una miriade di girini ma la sorpresa più grande fu quando questi diventarono rane VERDI.”

La storia era fi nita e dopo qualche minuto di att onito silenzio le rane verdi si girarono verso la rana rosa abbrac-ciandola felici di aver trovato la certezza delle loro radici in quella nobile rana con quella bella corona d’oro in testa e la rana rosa aveva trovato una famigliola che senti va come se fosse la sua.

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Storia di cani e gatti

di Anita Feltrin Garbuio

Un tempo, quando voi bambini non eravate ancora nati , la mia famiglia era composta da un papà, una mamma e tre ragazzi, due bambine e un maschiett o.

In casa nostra c’erano sempre stati dei cani, ma gatti mai. Un giorno un’amica mi regalò un micino, piccolo e delicato, ma con una voce così possente che faceva quasi tremare i vetri; miaoooo... miaooo... faceva sempre: lo chiamammo Pavarotti .

In famiglia c’erano già due cani: due magnifi ci pastori dal pelo rossiccio che si chiamavano Toi e Tea.

La mia casa era grande, aveva un giardino, un terrazzo lungo tutt a la casa e una scala scoperta che portava in cor-ti le...

Una matti na, in terrazza, la mia bambina più grande scoprì un gatt o sconosciuto che mangiava dalle ciotole delle nostre besti e, gli andò vicino e, visto che era mite, lo acca-rezzò.

Mamma... mamma, disse, vieni a vedere che bel gat-to...

Andai fuori e scoprii che quel bel gatt o era una gatti na, lei mangiò e quindi se ne andò ma ogni giorno tornò a man-giare e a farsi coccolare dai miei bambini.

Un bel giorno la vidi spuntare dalla scala con un gatti no in bocca e lo posò sul tappeto della porta d’entrata, poi tor-nò giù e andò a prenderne un altro, quindi un terzo e poi si accomodò insieme alla sua famigliola tutti insieme sul tap-peto.

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Così fecero tutti amicizia con Toi e Tea e con il nostro Pavarotti .

Un giorno c’erano solo i tre gatti ni e non vedevo ritorna-re la mamma gatt a, ero preoccupata.

I gatti ni erano piccoli ed avevano ancora bisogno del lat-te della mamma...

Cerca e cerca... e la gatt a non tornava.Poi ad un certo punto una mia vicina mi disse: “Guardi

che c’è un gatt o morto in mezzo alla strada, forse è quello che cercava lei.”

Purtroppo era vero, e così i tre gatti ni erano rimasti or-fani.

Allora i miei bambini presero dei biberon delle bambole e diedero il latt e ai gatti ni. I cani Toi e Tea giocarono con loro e Pavarotti sembrava il loro fratello maggiore.

Toi, che era un cane molto intelligente, andava a pren-dere i gatti piccoli e li portava in giardino e insegnava loro a camminare e li faceva rotolare sul prato.

Se qualcuno veniva a farci visita, Toi e Tea facevano a gara per accompagnarli a vedere i gatti ni.

Così pian piano crebbero e anche senza la loro mamma, diventarono dei bravi gatti simpati ci e giocosi: si arrampica-vano sugli alberi, andavano a caccia di topi e uno dei tre, che chiamavamo Catt y, andava a dormire sott o il lett o di mio fi glio e si nascondeva così bene, che era impossibile scoprirlo.

Questa storia è vera, è un ricordo per i miei nipoti ni.

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Dialogo

di Giancarlo Gasparon

Cosa hai pensato Nonno quando sono nato?Drento de mi go’ dito: Che bela creatura, più bela e anca

de più de tuto el Gran Creato.

Nonno cos’è il Creato?El xé come ‘na bela fi aba! El xé la storia de la vita; vien

fantolin vien fora che ‘ndemo dove la luçe no ne disturbarà i oci; ’ndemo in mezo a la laguna, dove paron xé el nero, el nero de la note. Ti ga forse paura...

Paura? mi sento più sicuro se mi dai la tua mano.Semo rivai. Vardemose d’intorno; drento de sto nero...

xé sparìo el mondo. Tanti tanti ani fa el gnente quà ghe gera e dopo... un Gran Boto...

Nonno si dice Big Bang.Lo so, lo so... ma... a mi no me piaze parlar in lingua

come che fa to màre... me disturbaria massa el barbusso...dove gèro restà? ah sì! varda, varda in alto, là... là su nel

çielo, quelo... quelo xe el Creato da quel Gran Boto nato! Co’ tute quele so’ stele che ghe fa belo el mantelo e

varda... varda...... varda più in làvarda più lontan del çieloe perdite, perdemose insieme e sarà come esser in

mèzo a un mar e...

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... e io sarò Capitano Uncino...Cossa? Uncino... gànzo... chi sarìa sto’ capitano... mai

sentì o. Tornemo, tornemo nel mar de stele; tornemo nel Creato nato dal ‘niente; e vardemo tute ‘ste maravegie.

Capitan mio... ti vedi? quelo xé el Gran Caro...

Nonno si chiama anche Orsa Maggiore... e là vissina ghe xé la Stela Polar; più lontan, lassemo-

se sbrissar longo el ti mon del Caro, la coa dell’orsa, fi n da Arturo, varda che belessa... quela xé Sirio e quelo xé Orione co’ tre stele che ghé fa cintura... respira putèo mio, respire-mo insieme... e ...

respirando a fondosenti r che drento entrapar caressarne el cuorla Man de Chi nel mondoga’ messo tuto questoe con un sufi ar de ventovita el ‘na donà e amor

e ‘desso varda quela... che stela... che stela! par mi xé la più bela...

...io non la vedo. Sono tante, ...e belle ...e grandi ...e picci-ne...

Spèta un momento che me cucia... cussì me meto più vissin de ti e me fasso picinin; ti lo vedi el me brasso? vaghe drio e pian’ riva fi n al deo...

Il tuo?si el deo... che te mostra...fra le stele del fi rmamentogiosse del çelo d’argentoquela xé la stela reginaregina de le stele

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Nonno adesso la vedo! è proprio bella! ha un nome, come si chiama?

Tesoro mio tute gà un nomee lo gà anca quéla......un nome tanto belo...quélo de to Nonaquando da putèlala se strenzeva al Nonoe lu co’ amorla ciamàva“CEA”.

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La fola del fi ume Agno-Guà(e delle Anguane)

di Armando Girotti

Un giorno di primavera un vecchio ed una bambina passeggiavano nel bosco dietro casa. Di lontano si vedeva la bella Montagna Spaccata mentre presso di loro un ruscello gorgheggiava la sua armonia.

La bimba, incuriosita da quel mormorio, si rivolse al vecchio con queste parole:

“Nonno, senti anche tu uscire dalle acque del torrente un suono armonioso?”

“Sì, bimba cara, e, posto che non ne conosci il moti vo, ti racconto perché avviene ciò.”

“Una volta, tanto tempo fa, in questo bosco, dove noi ora ci troviamo, viveva un giovane che, per sfamarsi, andava a caccia su quella montagna e pescava in questo rigagnolo.

Un bel giorno, avventurandosi per un senti ero, udì un canto melodioso provenire di lontano. Incuriosito, seguì quel suono musicale e, inoltratosi nella selva, chi vide? Una seducente ninfa dei boschi che, immersa nel ruscello, cantava mentre si petti nava i lunghi capelli rossi. Rimase come bloccato e per un atti mo quasi pietrifi cato, stregato com’era da quel canto soave e da quella immagine che gli si parava dinanzi.

«Chi sei tu – chiese il giovane – che con quella bella voce così piena di vita incanti i passanti ?»

Non sapeva il meschino che in quel bosco aleggiava un incantesimo: chiunque avesse anche solo adocchiato in volto la ninfa, costui sarebbe caduto a terra addormentato. E fu così che, mentre Guà, questo era il nome della naiade, si volgeva per rispondergli, il ragazzo cadde assopito.

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Lei gli si avvicinò per rianimarlo, ma nulla poté; cercò allora di portarlo tra le frasche del bosco, prendendosi cura di lui, fi n nella sua dimora, dentro il cavo di un albero, ma il giovane, nonostante le cure amorose, non si svegliava. Era un bel ragazzo dai capelli biondo oro con dei riccioli che incorniciavano un volto disteso; forse sognava visioni serene e miraggi incantati . La ninfa gli preparò bacche e mirti lli per il risveglio, frutti di bosco ed erbe aromati che; rimase a lungo a guardarlo e, sapendo che il canto lo avrebbe risvegliato, cantava, cantava, cantava, ma lui non dava segni di vita.

Passarono i giorni e la ninfa era ormai prostrata nel vederlo sempre assopito. Si ricordò però di quanto le aveva suggerito un tempo sua madre, la Maga del Bosco:

“Quando vuoi avere un buon consiglio, vieni da me.”Fu per questo che Guà entrò nel fi tt o del bosco, là dove

la luce mai entrava, proseguì fi no alla Montagna Spaccata, fi n dentro la casa di sua madre e le chiese:

“Quale magia può ridestare il bel giovane che mi guardò nel volto?”

La Maga lo sapeva, il canto da solo non bastava e così le rispose:

“Torna da lui e, mentre intoni una canzone melodiosa, accosta le tue labbra a quelle del giovane e lui riemergerà dal sonno.”

Piena di aspett ati va Guà tornò di corsa dal suo Agno, questo era il nome del bel giovane, intonò un canto melodioso, si chinò, accostò le sue labbra... e... e il prodigio accadde: il giovane si risvegliò.

Quale fu lo stupore del giovane nell’incrociare gli occhi azzurri della ninfa, così vicini ai suoi! Quale la meraviglia nel senti re il contatt o delle labbra, la dolce carezza dei lunghi capelli! Non poté non innamorarsi. E così fu, ma non sapeva il bell’Agno che un altro sorti legio gravava sulla vita di Guà: sarebbe svanita tra le nuvole quando sua madre, la Maga del Bosco, fosse morta. I vecchi saggi del luogo glielo rivelarono, cercando di distoglierlo da quella decisione, ma il giovane era troppo innamorato per ascoltarli; la stessa Maga intervenne a ricordargli il malefi cio per dissuaderlo, ma nessuna ragione valse di fronte all’amore.

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Anzi, il giovane costruì una capanna vicino al tronco che li aveva visti uniti e lì dimorarono vivendo giorni felici tra giochi e passatempi.

Ma una brutt a nott e d’inverno la Maga s’ammalò e Guà si doleva perché sapeva che, mentre sua madre era sul lett o di morte, l’incantesimo incombeva su di lei e ben presto sarebbe svanita tra le nuvole. Furono giorni tristi quelli dell’att esa del sorti legio che tosto avvenne: Guà scomparve in cielo tra le nuvole.

Quale fu il dolore del giovane! Non aveva pace, correva disperato per ogni luogo fi nché, aff ranto, si accasciò a terra svenuto vicino ad un masso della Montagna Spaccata.

Dall’alto del cielo Guà, presa da compassione per il dolore dell’amato, si fece pioggia per accarezzare il suo volto, una pioggia prima sotti le e persistente, poi sempre più intensa tanto che formò un ruscello sempre più impetuoso e cho oggi si chiama, per merito di quell’amore, ‘Agno’.

“Ecco, bimba mia – proseguì il vecchio – questo è il fi ume che è dinanzi a noi. Esso è impregnato del canto di quella ninfa che ha dato poi il nome a tutt e le ninfe del bosco, le anGuàne. E per non scordare questo amore i vecchi del luogo hanno deciso di unire i due amanti e chiamano questo fi ume Agno, a monte, e Guà, a valle”.

P.S.1: L’Agno nasce nei pressi del monte Carega in quelle che vengono chiamate le Piccole Dolomiti ; vicino a Tezze di Arzignano modifi ca il suo nome in Guà, quindi si biforca in due rami, il Fratt a a nord e il Frassine a sud, per ricongiungersi poi nel canale Gorzone.

P.S.2: Sulle Anguane c’è tutt a una mitologia che le rappresenta in vari modi.

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Piero pipeta

di Franca Gobbo

Ghe gera na volta un tae che se ciamava Piero Pipeta.Un giorno el ghe ga dito a so popà: “Popà, dame ea me parte de eredità che vago in giro pal

mondo in serca de fortuna.”“Cossa vuto che te daga: a go soeo tre soldi e un saco”E Piero Pipeta ga dito: – Va ben, grassie. –El ga ciapà su i tre soldi e el sacco e el ze ndà via.Paea strada el ga incontrà un veceto che ghe gà doman-

dà ea carità.”“Cossa vuto che te daga, a go solo tre soldi e un saco: un

soldo pal pan, un soldo pal vin, e un soldo pal tabaco.Ben, ciapa on soldo e starò sensa el pan.”

Camina, camina, el trova n’altro veceto che ghe doman-da ea carità.

“Cossa vuto che te daga, a go soeo do soldi e un saco. Ben, ciapa on soldo anca ti , vorà dire che starò sensa el ta-baco.”

Camina,camina el trova n’altro veceto che ghe doman-da ea carità.

“Cossa vuto che te daga, a go soeo on soldo e el saco, te darò el soldo, vorà dire che starò sensa el vin.

Camina, camina e ghe vien fame.El va dentro dal fornaro e el ghe dise: – Dame on toco

de pan –.– Sensa schei no se magna – Sì che magno –.– No che no magnè. – Sì che magno. – No che no ma-

gnè. –– Ben, pan, salta tuto dentro al saco –.

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El pan ze saltà tuto dentro el saco.– A par carità, par carità, – dise el fornaro, – dame indrio

el pan che te ne dago quanto che te voi. – E el ghe ne gà dà quanto ch’el gà vossudo.

Camina, camina, ghe vien voia de fumare.El va dentro dal tabacaro e el ghe domanda on fi à de

tabaco.– Sensa schei no se tabaca. – Sì che tabaco. – No che no

tabachè –.– Sì che tabaco. – No che no tabachè. –– Va ben, tabaco, salta tuto dentro al saco –.El tabaco ze saltà tuto dentro al saco.– Ah, par carità, lassamelo qua, che te ne dago quanto

che te voi. –El ghe na dà quanto chel ga vossudo.Camina, camina, el va dentro na ostaria e el ghe doman-

da se i gà na camera par dormire.El paron ghe dise pianeto aea serva: – Demoghe ea ca-

mera dei diavoli. –Piero Pipeta va in leto e de eà de on toco el sente on

diavolo che siga:– Piero Pipeta, vien via co mi, – Dove? – Via co mi–.– Vien da basso –, dize Piero Pipeta, – che invese de uno

saremo in do. –El diavolo vien da basso, el fi nisse dentro al saco e Piero

Pipeta lo copa de bote.El va in lett o ancora e dopo el sente n’altro diavolo che

siga:– Piero Pipeta, vien via co mi. – Dove? – Via co mi. –– Vien da basso, che invese de do saremo in tre. –El diavolo va dabasso e el fi nisse dentro el saco e Piero

Pipeta lo copa de bote.El va in leto e el se gera pena indormensà chel sente

n’altro diavolo:– Piero Pipeta, vien via co mi. – Dove? – Via co mi –.– Vien dabasso, che invese de tre saremo in quatt ro.–

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El diavolo va dabasso e el casca dentro al saco e Piero Pipeta cominsia a bastonare.

– Ah, par carità, par carità, lassame la vita che te dago quanti schei che te voi. –

Aeora Piero Pipeta ghe gà salvà ea vita.El ghe gà dito al diavolo chel se taiasse el deo e scrivesse

col sangue chel ghe lassava tuti i schei.Pì tardi el paron de l’ostaria el manda ea serva a vardare

pal buso dea seratura sel dormiva e invese la vede che Piero Pipeta el zè drio contare tanti schei.

– Paron, paron, el ze drio contare tanti schei. –– Ndemo dai carabinieri e ghe dizemo che el ne i ga ro-

bai a nualtri. –Riva i carabinieri e i bate a la porta dea camera.– Chi zè? – La forza. – Qua no entra ea forsa. –– Si che entremo. – E i zè entrai.I voeva portarlo in prason. Ma i gà visto ea carta scrita

col sangue del diavolo, e aeora i ga messo in prason paron, parona e serva.

Cussì Piero Pipeta ze restà paron lu de l’ostaria.Ma dopo on toco el se gà stufà, e ciapà su el so saco, lè

ndà ancora in giro pal mondo.El riva in paradiso.San Piero domanda: – Chi zè? – Piero Pipeta. –– Qua no entra Piero Pipeta –.– In Paradiso no i me voe, ndarò in purgatorio. –– Chi zè? – Piero Pipeta –.– Qua no entra Piero Pipeta –.– Gnanca qua no i me voe, ndarò all’inferno –.– Chi zè? – Piero Pipeta. –– Via, via de qua, che te me ghe quasi copa de bote, –

urla el diavoloEl torna in Paradiso e el ghe dize a San Piero: – Almanco verzì ea porta, che veda come che zè fato el

paradiso. –I verze ea porta e lu svelto el buta dentro el saco.

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I sara subito ea porta.El se mete a sigare: – ah, el me saco, el me saco. Deme-

lo, demelo... –I verze ea porta e el va dentro a torse el saco e el dize:

– Qua ghe so e qua ghe stago. –

El zè ancora là.

I ga’ fato nosse, nossett e, candeett e,I me ga dà na peà e i me gà butt à qua.Gero su na foia de osmarin e no i me ga gnanca dito:Toh, putea, on goto de vin.

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Questa è la storia di Giovanin senza paura

di Pulcra Maria Gorghett o e Milena Gorghett o

In un paesino di montagna viveva un ragazzino assieme alla sua mamma. Si chiamava Giovanin.

Erano molto poveri, ma egli sognava spesso di diventare ricco e forte, sognava di sposare perfi no la fi glia di un re, un sogno questo che la sua mamma considerava pazzerello e buff o.

Giovanin passava le giornate andando al pascolo con le sue tre pecore, e qui, fantasti cava che da grande sarebbe diventato ricco e avrebbe fatt o grandi cose.

Intanto il tempo passava, e lui e la mamma diventavano sempre più poveri.

Un giorno mentre era al pascolo incontrò un signore che aveva tre cani e i due si mett ono a chiacchierare.

L’uomo racconta che i suoi cani sanno fare tante cose, mentre lui suona il fl auto loro saltano e ballano.... sanno an-che parlare, fanno tutt o ciò che viene dett o loro. – Io – disse l’uomo, – con loro, andando per i paesi, mi sono arricchito, ma ora sono stanco, vorrei un po’ di pace e fare una vita tranquilla.

Ad un certo punto lo strano signore chiese a Giovanni di scambiare gli animali.

Mi dispiace tanto, ma se vado a casa senza pecore di sicuro la mamma si arrabbierà.

Questo signore insistett e, si mise a suonare il fl auto e i cani cominciarono a ballare e far piroett e per tanto tempo senza stancarsi, dopodichè mise per terra il suo cappello e,

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sentendo questa musica, arrivò talmente tanta gente che il cappello si riempì di moneti ne.

Giovanin, senza tanto pensarci, gli disse: – Ti cedo le mie pecore, se tu mi dai i tuoi cani e il cappello pieno di soldi.

– Aff are fatt o – rispose l’uomo.– Ora dimmi come si chiamano i cani – chiese il ragazzo,

ed il signore glieli consegnò presentandoli: questo è Zanna, questo Sbrana e l’ulti mo Ascolta.

Giovanin tornò a casa dalla sua mamma con i cani suo-nando il piff ero mentre i cani saltavano e ballavano, faceva-no salti alti come non mai... e la mamma incantata da questo spett acolo gli chiese spiegazioni: – Dove sono le pecore?

– Le ho scambiate con i cani! – Giovanin senza parlare le consegnò il cappello pieno di soldi e disse arrossendo: – Mamma non arrabbiarti , io me ne andrò in giro per il mondo in cerca di fortuna, però appena posso tornerò!

E così partì con il piff ero e i suoi cani per paesi lontani.Ad ogni paese che si fermava riscuoteva un gran succes-

so e così, paese dopo paese, si arricchì sempre più.Un giorno decise di ritornare dalla sua mamma, le con-

segnò tutti i soldi che aveva guadagnato e le disse: – Potresti farti una casa qui in paese – e lei che amava tanto le mon-tagne rispose – Se devo proprio farmi una casa la farò qua e la farò bella grande con un meraviglioso giardino pieno di piante, fi ori, frutt a e ti aspett erò. Vorrei passare la vecchiaia assieme a te e la tua sposa se un giorno l’avrai.

Giovanin rispose: – Sì mamma, vedrai che un giorno re-alizzerò il mio sogno.

E così ripartì con i suoi cani e il suo fl auto a conoscere altri paesi.

Cammina e cammina arrivò in un luogo molto lontano e si accorse che la gente era tutt a in agitazione. Lui chiese cosa fosse successo – Non lo sai? Gli orchi Rodamonte, Rosti rolo e Resti lbrando che sono i fi gli della Signora della Montagna Rossa, hanno rapito le tre fi glie del re.

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Giovanin esclamò: – Mamma che disgrazia! –Intanto si senti vano da lontano i banditori del re con il

tamburo che ripetevano: – ta-ta-ta, chi troverà almeno una fi glia del re la sposerà, ta-ta-ta... ta-ta-ta, chi troverà almeno una fi glia del re la sposerà, ta-ta-ta...

Giovanin, corse subito dal re per avere informazioni. Il re gli disse di avere tre fi glie bellissime e tanto care, la più grande si chiamava Pomponia, la seconda Pamela e la terza Porzia.

Il giovane promise di trovarne almeno una e di sposarla. Dopo aver consegnato a Giovanin un carro con due cavalli coperte e cibo, egli partì per le montagne insidiose dove vi-vevano gli orchi.

Corse e corse fi nché potè con i cavalli e poi a piedi cam-minò e camminò fi nchè vide da molto lontano un lumicino – Quella sarà senz’altro una casa, disse Giovanin.

Piano piano si avvicinò e disse al suo cane: – Ascolta. Ascolta bene come è la situazione, ed il cane obbediente ri-spose: – Quella è la casa dell’orco ma egli è andato a caccia, in casa c’è solo una donna che piange.

Quindi entrarono e videro in un angolo la povera ragazza.– Chi sei? Sei la principessa? E come ti chiami?– Sì, rispose ella, sono la principessa Pomponia.Improvvisamente entrò di prepotenza l’orco che disse:

– Cosa fai in casa mia?– Sono un povero viandante, cerco ospitalità e mi chia-

mo Giovanin.– Lo sai chi sono io? Sono l’orco Rodamonte fi glio della

Signora della Montagna Rossa e nella mia dimora non accet-to sconosciuti . Ora mi faccio una bella scorpacciata di te e dei tuoi cani.

L’orco si avvicinò ma Giovanin rivolto ai suoi cani gridò: – Zanna! Azzannalo, Sbrana, sbranalo, Ascolta aiutali, e fate-lo a pezzetti ni come un salame.

I cani obbedirono, brin brun bran l’orco non esisteva più e la principessa Pomponia fu salva.

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Tutt o felice per questa straordinaria impresa Giovanin disse: Dai andiamo che ti riporto da tuo padre il re, ma la principessa lo supplicò di salvare anche le sue sorelle.

Egli acconsentì , ma prima di uscire, aiutato dai cani, prese un grande sacco, ci infi lò l’oro e altri beni preziosi che possedeva l’Orco Rodamonte.

Arrivati al carro, caricò i beni, la principessa che coprì con delle coperte e le raccomandò di aspett arlo.

Egli si incamminò con i suoi tre cani, fi nchè da lontano sentì un rumore pesante di passi. Disse al primo cane.

– Ascolta! Ascolta cos’è questo rumore. Il cane rispose che erano rumori di passi che si stavano

allontanando ed il castello era libero.Quando entrarono videro la seconda principessa, anco-

ra più bella dell’altra e, dopo aver chiesto il suo nome, ella rispose: – Sono la principessa Pamela, portami subito a casa da mio padre perchè se torna l’orco Rosti rolo ci mangerà tut-ti quanti !

Ad un certo punto si senti rono i forti passi del gigante-sco orco e – cain cain, sento odor di cristi anin. Allora il ra-gazzo dopo essersi accorto che le fi nestre erano tutt e aperte ordinò ai suoi cani: – Uscite e quando vi chiamerò saltate dalle fi nestre. Ed i cani obbedirono.

L’orco entrò in casa con l’acquolina in bocca dicendo: – Lo so che sei qui, chi sei, cosa vuoi? Sei venuto a prendermi la principessa?

Giovanin, ti midamente, per calmare l’orco rispose: – Vorrei solo un po’ d’acqua, ma... la principessa è tua?

– Come osi rispondermi in questo modo? Io sono l’orco Rosti rolo fi glio della Signora della Montagna Rossa, mia ma-dre è strega e anche maga e se sapesse che sei qui ti farà un incantesimo.

– Ma lei non lo sa –, rispose Giovanin.L’orco, stanco delle insolenze esclamò: – Non voglio più

senti rti , adesso ci penso io, con un sol boccone ti mangerò!

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Giovanin ormai non aveva più paura di niente e chiamò i suoi cani dicendo:

– Zanna, azzannalo!– Sbrana, sbranalo!– Ascolta! Aiutali, fatelo a pezzetti ni come un salame.Brin Brun Bran, anche l’orco Rosti rolo fece una brutt a

fi ne.Giovanin prese il solito sacco e portò via tutti i beni pre-

ziosi dell’orco e insieme alla principessa tornarono al carro.Le due sorelle si abbracciarono forte ma i loro occhi era-

no tristi e Giovanin che aveva già capito tutt o, decise di ripar-ti re subito alla ricerca dell’ulti ma sorella.

Ma egli non sapeva che c’erano altri tre personaggi che cercavano le principesse e non avevano buone intenzioni!

Cammina, cammina, vide da lontano un castello ancora più grande e bello delle prime due dimore, sembrava ad-diritt ura una fortezza con poche fi nestre, sempre fi dandosi del suo cane Ascolta gli ordinò di cogliere qualche informa-zione uti le.

Il cane facendosi serio gli disse: – L’orco è in casa, lo sen-to brontolare con la principessa, è di catti vo umore e ti con-viene aspett are quando non c’è.

– Bene! rispose Giovanin, aspett eremo.Dopo un giorno e una nott e l’orco Resti lbrando non si

mosse perchè aveva saputo della morte dei fratelli. Essendo molto sospett oso e furbo teneva chiuse porte e fi nestre ed att endeva la visita del giovane ragazzo per mangiarselo.

Ma Giovanin non avendo paura di niente, dopo essersi consigliato con i suoi cani, bussò alla porta nei panni di un umile pellegrino e aspett ò che l’orco aprisse.

– L’orco con un vocione da far tremare tutt o il castello rispose: – “Chi è?”

– Sono un povero pellegrino che chiede un po’ di cibo, non mangio da diversi giorni, sono sfi nito.

Va bene, entra! – disse l’orco, e pensò tanto ti mangerò!

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Quando Giovanin entrò fi nse di svenire proprio accanto alla fi nestra, cadendo fracassò la vetrata e, d’accordo con i suoi cani, e gridò forte: – Zanna!, azzannalo, Sbrana! sbrana-lo, Ascolta!, aiutali, fatelo a pezzetti ni come un salame.

I cani entrarono dalla fi nestra rott a, l’orco non fece a tempo a voltarsi che era già la fi ne.

Brin brun bran anche Resti lbrando non esisteva più.Giovanin cercò la principessa. – Dove sei? Disse.– Sono qui, – rispose ella e piano piano apparve a Gio-

vanin come un raggio di sole;era tanto bella che egli subito se ne innamorò. Come ti chiami? – Porzia, sono la terza fi lgia del re.

Udendo il suono della sua voce si innamorò ancora di più e si baciarono. – Vuoi sposarmi? Le chiese Giovanin lei fece un cenno aff ermati vo con la testa e i due felici tenendo-si per mano andarono incontro alle sorelle.

Prima però riempirono il sacco con i beni dell’orco.Mentre camminavano Giovanin pensava alla sua mam-

ma e alla sposa che aveva a fi anco.Giunti al posto dove aveva lasciato le due sorelle vide,

con grande meraviglia che erano in compagnia di due gio-vanotti , ma un terzo, senza farsi vedere si precipitò di sor-presa addosso a Giovanin dandogli una bastonata in testa, e fuggirono lasciandolo a terra mezzo morto in mezzo alle montagne scure ed insidiose.

Se ne andarono con tutt o il carico: le principesse e il botti no sott ratt o agli orchi.

Per fortuna tralasciarono i cani i quali, leccarono le feri-te al padrone, lo curarono procurandogli acqua e cibo.

Giovanin anche se amareggiato decise di cercare le prin-cipesse perchè non poteva dimenti care la sua Porzia.

Giunto alla porte del paese vide sentì le campane suo-nare a festa, la gente cantava e ballava per le strade.

– Cosa succede! – chiese Giovanin.Come, non lo sai? Dissero, – Oggi le fi glie del re sposano

i loro tre coraggiosi salvatori.

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A Giovanin venne un tuff o al cuore, si avvicinò ai cani per chiedere consiglio, ed essi suggerirono di mescolarsi ai giocolieri di corte.

Così fece, cominciò a suonare, i cani cominciarono a bal-lare e saltare e pian piano si avvicinarono al banchett o del re.

Le principesse di scatt o si alzarono in piedi: avevano su-bito riconosciuto il loro vero salvatore e di frante al re e a tutt a la corte rivelarono la verità. Nel fratt empo i tre furfanti cercarono di fuggire ma vennero presi dalle guardie del re.

Pomponia e Pamela chiesero la grazia per i loro due fi -danzati penti ti perchè essi non parteciparono alla furia e alla catti veria del loro amico.

Allora il re ordinò alle guardie di chiudere in prigione il terzo giovane e... di butt are via la chiave.

Dopodichè inchinatosi davanti a Giovanin concesse la mano di Porzia e tutti in fi la procedett ero verso l’altare per il doveroso “sì”.

Il ragazzo che fu soprannominato Giovanin Senza Paura con la sua principessa e i suoi fedeli cani dopo la cerimonia partì per il paese natale in mezzo alle montagne che amava tanto e giunto a casa gridò – mamma sono arrivato e per sempre, ho qui con me la fi glia del re.

La mamma felicissima fece una grande torta con i frutti del suo giardino e vissero felici e contenti per tutt a la vita.

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L’età dei metai pressiosi

di Gianna Longo

Desso vojo contarve ‘na storia:ghe xe un puteo, co so nono, che i xe sentai so na pan-

china, sol corti vo davanti casa, là che i se gode el primo soe ti epido de marso.

E, el puteo, ghe domanda a so nono:

“nono, ma ti ... che età gheto?”“eh!” ghe fa so nono “caro mio, se te savessi... mi go a

età che a xe quea de i metai pressiosi!”“oh!” fa el puteo sgranando i oci “e cossa voe dire?”E ora el nono “desso te spiego caro nevodeto mio, ve-

dito, mi go... i cavei de argento, i denti de oro, se el denti sta no me ga imbrojà, e e gambe de piombo, che fao na fadiga strascinarle vanti !”

El puteo stupito el ghe domanda uncora:“e nono dime... cossa xe che se fa so sta età pressio-

sa?”E el nono: “eh, se poe fare tute che e robe che no se ga

avuo tempo de far prima, ma mi personalmente, me dedico alla investi gassione! Infatti so sempre là che indago, e serco, e vanti in serca... e dove gavarò messo i ociai, e dove gavarò fi ccà e ciavi, e dove gavarò posà el capeo... che a mi, me pare impossibile, ma basta che me serva na roba e te poi star sicuro che no a cato altro! E ora vardo... de qua... deà...insomma fao l’investi gatore!”

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“ma che beo lavoro interessante che te fe ti nono!” esclama el puteo.

“ah, ma no fao mia soeo queo! Te ghe da saere, caro nevodeto mio, che mi, me interesso anca de storia! So un studioso de storia!”

“davero nono, ti te studi a storia, come mi scuoea?!” ghe fa el puteo sempre pì impressionà.

“eh, caro mio, mi so dirte tuto queo che xe capità da quando che so nato, fi n desso! Te sé quando che te me vedi che so là so na carena co i oci sarai che pare che dorma?! E invesse no! ...mi so là che medito!... che me ripasso i nomi e i visi de e persone che go conossu, e de chi che i jera fi oi, e che laoro che fea so pare, e dove che i abitaa, e co chi che i vi-vea... eh... go tanto mi da ricordare, da ripassare... e te vojo dire anca n’altra roba, caro nevodeto mio... me so speciaixà che a va tanto de moda desso e a xe a meteorologia! Mi so sempre che tempo che fa un quò e che farà el dì dopo par-chè varda, se me fa mae e gambe, a xe piova sicura... se me fa mae el coeo vol dire che riva aria fredda de tramontana... se go mae a testa, vol dire che el tempo se buta a sirocco... e se me vien mal de schina, el tempo xe in movimento e el ga voja de cambiare!”

El puteo el xe tuto estasià, amirà, e el ghe fa a so nono: “oh nono! Quante robe che te fè e te sé ti ! Che bea che

xe a to età, voria tanto averla anca mi!”“eh!... sta tranquio beo, sta tranquio, che a riva si, anca

par ti ! No sta aver pressa desso, che un dì taccà de che altro a fa presto rivare!... parchè i ani, co i se inviai, no li ferma pì nessuno, e i core sempre pì svelti , e i se posa uno sora che altro e ti no te te incorsi gnanca de che mucio che te ghe fato!

Però sett o cossa che go da dirte, caro nevodeto mio, che te ghe rason ti !... a xe proprio na bea età questa... a età de chi che ga oci che ga visto tante robe, e che ga a boca che ga

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saiudà e parlà co tanta xente, e e man che ga laorà e caressà tanto ...e che ga el cuore che xe pien de tuto el ben che se ga dato e che se ga ricevuo! Sì ...a se proprio na bea età (a vostra!)”.

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Del Signor Coriandolo e della Pulce

di Maria Pia Lo Vullo

C’era una volta...UN REEEE... direte voi bambini...Nooooo, io rispondo, non è un RE. C’era una volta una pulce; sì, avete capito proprio bene,

UNA PULCE! Era sua consuetudine saltare sullo sti vale di un genti luo-

mo di campagna, più precisamente del non molto anziano Signor Coriandolo; piano, piano risaliva il gambale e una vol-ta sull’orlo si lasciava precipitare all’interno sino alla caviglia; poi trovava il modo di penetrare dentro la calza per poter succhiare un po’ di sangue; per la pulce era proprio pasto so-stanzioso. Mentre senti va scorrere la goccia del sangue den-tro di sé, pensava: anch’io un giorno sarò una ‘genti lpulce’.

Il signor Coriandolo, quando veniva punto, provava sempre un gran fasti dio e si gratt ava in conti nuazione la ca-viglia e tutt a la gamba; bisogna dire, ad onor del vero, che se non la senti va arrivare la cercava. Si recava nella stalla dove custodiva un vecchio tarlato cassett one; lo apriva, frugava fra carte ingiallite, spostava tele di ragno, qualche vecchio indumento di lana; lui sapeva che la pulce andava a riposare in quel ‘magico’ posto. Un giorno, stanco ed un po’ arrabbia-to, catt urò la pulce proprio mentre stava riposando fra dei vecchi e bucati calzini di lana; la rinchiuse in una scatolina. Aveva però un cuore molto buono; pensando che non voleva far del male a quella fasti diosa ‘simpati ca amica’, ogni tanto la faceva uscire; la prendeva delicatamente fra il suo grosso

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pollice ed il dito indice e la posava lui stesso sulla sua cavi-glia, così consenti va alla pulce di nutrirsi.

Il signor Coriandolo era veramente ‘nobile di cuore’.Dovete sapere che ogni due mesi il genti luomo parti va

per andare a controllare i suoi possedimenti . Era un lungo e fati coso viaggio di circa quindici giorni.

I preparati vi lo impegnavano molto. Faceva strigliare e sellare il suo non proprio veloce destriero, un cavallo dalla folta criniera e dalla lunga coda bianca. Indossava gli abiti più comodi, non tralasciando i vecchi ma ancora uti li guanti che servivano a proteggere le sue mani quando stringevano le redini; infi ne sistemava vicino alla sella un nodoso bastone.

Dovendo att raversare dei boschi poteva succedere d’in-contrare qualche brigante! ed allora quel bastone lo usava per difendersi. Nella tasca destra del suo giaccone indovina-te cosa riponeva? Sì! avete indovinato... proprio la scatolina con dentro la pulce; c’era ormai un legame fra i due e non se la senti va di lasciarla.

Erano diventati ‘fratelli di sangue’. A chi con riverenza gli chiedeva cosa contenesse la sca-

tola lui rispondeva: “caramelle al miele” ed aggiungeva che servivano non solo per il raff reddore ma anche per la voce, perché lui doveva parlare molto con i suoi mezzadri.

Una bugia così la si può raccontare vero? Se non altro per il bene di quel povero animalett o! Voi sapete bene che si deve dire solo la verità! La mamma ve lo dice sempre e sono sicurissimamente sicura che voi bugie non ne dite. Bravi! Ri-cordatevi che questa è solo una favola.

Passarono mesi. Ogni giorno la stessa cerimonia fi n-ché...

LA PULCE MORÌ... direte voi...No, cari bambini. Il signor Coriandolo si accorse con

grande stupore che la pulce cresceva. Cresceva e crescendo si riempiva di tanti punti ni colorati e di una strana ‘lanugine’ al punto di non poter sapere più che animale fosse. Non pas-

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sava setti mana senza che il signor Coriandolo lo cambiasse di scatola. Iniziò con quella del tabacco che lui usava respira-re con il naso ogni matti na per poi starnuti re violentemente; poi lo mise in una scatola rotonda ormai vuota, prima conte-neva la cipria che usava dopo il bagno; ed ancora una scatola di scarpe, una cappelliera... Ma quello strano animale conti -nuava a trasformarsi fi nché, meraviglia delle meraviglie, un bel giorno spuntarono delle colorati ssime penne.

Ora io so cosa vi state chiedendo... e rispondo subito. Quando quello ‘strano animale’ usciva dalla scatola, il gen-ti luomo lo mett eva dolcemente sul pavimento; lo guarda-va mentre cercava in modo buff o di muoversi (non sapeva fare più quei salti che tutt e le pulci sanno fare); lo studiava mentre tentava di prendere con uno strano becco le briciole dello stesso biscott o che lui stava mangiando e che lasciava volutamente cadere sul tappeto.

Ancora pochi giorni... e ‘la pulce’ terminò la sua meta-morfosi. Divenne un UCCELLO COLORATISSIMO. Non c’erano più scatole per poterlo contenere; allora, perché non met-terlo nella gabbia che era al centro del giardino? pensò il signor Coriandolo. Era una buona idea, avrebbe fi nalmente uti lizzato quella bianca grande voliera vuota. Da allora, chi si trovava a passare da quelle parti si fermava davanti al suo cancello per osservare quel magnifi co pennuto multi colore; rimaneva a bocca aperta, meravigliandosi per la sua bellezza e maestosità. Notava però con un certo stupore che dal bec-co non usciva alcun suono: era un uccello senza voce.

Il signor Coriandolo non perdeva occasione per raccon-tare ai passanti l’incredibile storia. Ma non dava spiegazione sul muti smo del suo animale.

Si senti va orgoglioso; ma ancor più molto felice. La sua bontà e il suo amore per un piccolo fasti dioso animale erano stati contraccambiati con quel dono così preziosamente co-lorato. Lo guardava e i suoi ormai stanchi occhi si riempivano di lacrime di gioia. Anche l’uccello lo guardava; vedeva in lui

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quel caro amico che gli aveva sempre dedicato qualche se-condo della giornata per nutrirlo. Lo guardava e... cantava; cantava infatti solo per lui.

Lo ripagava di quella piccola goccia di sangue... “Cip Cip Cip”.

Entrambi avevano creduto nella favola della bontà. En-trambi avevano capito che l’amicizia fra uomini ed animali è preziosa ed è indissolubile.

Se credete che tutt o questo sia vero, come io ci credo, fatelo anche voi cari bambini: “Cip Cip Cip”, per tre volte alla sera e dopo andate a ‘nanna’ accompagnati dalla vostra mamma; vi assicuro che i vostri sogni saranno meravigliosi...

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L’idromèle dello gnomo lituano

di F. Ave Maturano Verzegnassi

Oggi vi voglio raccontare una piccola storia di gnomi. Non di gnomi vecchi e barbuti , ma di gnomi bam bini: due fratelli, Margherita e Càrpino, ed una loro amica di nome Dalia.

A proposito, lo sapete che questi ometti hanno mol-to spesso nomi di piante? Le femminucce si chia mano con nomi di fi ori e i maschietti con nomi di alberi.

Ma non divaghiamo: dunque, vi dicevo che abitano tutti in un bosco lontano in casett e scavate sott o gli alberi e co-noscono tutti gli animali e tutt e le piante. Avete capito bene: piante e animali.

In quell’angolo sperduto e fantasti co sono tutti amici e possono parlare e giocare tra loro.

È bello abitare laggiù dove accadono tante cose stra-ordinarie e certamente non ci si annoia mai. Beh! Forse ho esagerato nel dire mai, ma state a senti re.

Un giorno, era quasi estate, il sole splendeva e non c’era un alito di vento, i moscerini ronzavano instan cabili, le farfal-le andavano di fi ore in fi ore, gli scarabei stercorari costruiva-no le loro palline, le coccinelle andavano a caccia di afi di... insomma tutt o il bosco era al lavoro; solo i nostri tre amici, annoiati fi no al tormento, erano seduti sul prato e chiacchie-ravano del più e del meno.

La signora Ortensia, nonna dei due fratellini, guardando il gruppett o scosse la testa e poi li chiamò.

Càrpino pensò: – Vuoi vedere che c’è qualcosa di buono da mangiare?

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Margherita pensò: – Chissà cosa ci mostrerà la nonna!Dalia pensò: – Vorrei tanto fare qualcosa di nuovo!La nonna pensò: – Vediamo se riesco a scuotere quei tre dall’att acco di

pigrite che li ha colpiti !Quando entrarono nella grande cucina trovarono sul ta-

volo dei biscotti al miele e una caraff a di succo di mirti lli. Il maschiett o prese vita e strillò:

– Evviva, si mangia!Margherita, che non aveva guardato solo i biscotti ma

anche i recipienti sul ripiano, chiese:– Nonna, cosa prepari?E Dalia:– Cosa fa di bello?Càrpino non prese parte al fuoco di fi la delle domande,

non poteva dire nulla: aveva la bocca piena ed era troppo occupato a masti care.

– Fate merenda, poi vi dirò – disse la nonna. Si sedett e e mentre i tre amici sgranocchiavano biscotti

richiamò alla mente la sua bella festa con tutti gli amici del bosco per ricordare gli avvenimenti dell’anno appena passa-to e i numerosi brin disi alla salute di tutti i partecipanti .

Non so se siete a conoscenza del fatt o che gli gnomi non festeggiano il compleanno, ma l’anno che è ap pena trascor-so... e forse non saprete neppure che non fanno una sola festa, ma tante che durano setti mane: ma guai a parlare di compleanno!

– Ricordo Alcalino che mi regalò una bellissima arnica, che carino! – esclamò Ortensia piena di te nerezza pen sando al un suo terribile nipoti no.

– Io mi ricordo che lo zio Solfuro da un certo punto in poi è diventato più giallo che mai! – disse Marghe rita pen-sando al papà di suo cugino.

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– ...e ricordate la zia Allumina che perdeva polvere come se nevicasse? – rise Càrpino pensando alla zia che si trucca-va molti ssimo il viso e anche i capelli con una cipria bianca come il gesso.

– Io ricordo il signor Lanio Collurio e il miti co Svasso che, abbracciati , cantavano delle canzoni inven tate sul momento con mille squet, squet e tanti iuic, iuic... – rise Dalia ricor-dando quei due amici stonati e, secondo lei, visibilmente ubriachi.

– Per me fu l’idromèle a farli diventare così allegri! – sentenziò Càrpino.

– Solo allegri? Molto, ma moooolto allegri! – concluse Dalia e rise anche lei.

– Vuoi dire che si sono ubriacati ? – chiese Margherita spalancando gli occhi.

– Ma no! Erano solo molto festosi! – esclamò la nonna in difesa dei suoi amici e parenti .

– Il dott or Dip dormiva come al solito abbandonato su una poltrona! – conti nuò Càrpino che con gli occhi della mente rivedeva l’illustre etologo con una pianta in mano e gli occhi chiusi.

– Non puoi dire come al solito – lo rimbeccò la sorella – di più del solito! L’ho senti to addiritt ura russare!

– È crollato al primo bicchiere, non ha fatt o in tempo neppure a dare la pianta di pinguicola alla nonna – conti nuò il fratello.

– Beh!?... Allora?... Basta con queste chiacchiere! – dis-se Ortensia con aria severa e poi conti nuò:

– Non potete negare: è stata una bella festa, si è parlato tanto dell’anno che era trascorso, abbiamo man giato tante cose buone e...

– ...e avete bevuto tanto idromèle... – conti nuò malizio-so Càrpino.

– A proposito di idromèle, ho proprio intenzione di pre-pararne ancora un po’ in vista di un’altra riu nione – tagliò corto la nonna e poi:

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– Quello che avevo è fi nito e credo che arriverà ancora qualcuno per fare festa, per parlare dell’anno pas sato e stare qualche ora in allegria.

– Lo dicevo io che avevate bevuto tanto! – insistett e il ragazzino.

– L’avete bevuto tutt o! Altroché! – esclamò Margherita.– L’unico che aveva un’aria sveglia e vivace era il profes-

sor Protodrilus – riprese Dalia pensando all’allegra combric-cola.

– Più che vivace, direi vorace! – sospirò il goloso Càrpi-no, ricordando tutti i biscotti che l’illustre perso naggio aveva divorato sott o i suoi occhi disperati , senza che potesse impe-dire il disastro.

– Insomma siete proprio dei pett egoli – sbuff ò la signora Ortensia. – Quando si fa una festa biso gna stare insieme al-legramente... basta con queste ciance, visto che avete fatt o merenda, ora aiuta temi a prepa rare l’idromèle.

– Ma noi non siamo capaci! – esclamarono i tre in coro.– Sì che lo siete... e poi è così semplice! – disse la nonna

alzando le spalle.– Cosa dobbiamo fare? – chiese sua nipote.La vecchia signora non le rispose, era troppo occupata

a borbott are tra sé:– In dispensa c’è tanto succo di mirti lli, quindi non ne

farò molto... solo un po’ per brindare... vediamo cosa ci ser-ve... prendiamo il lievito di birra – e poi disse ad alta voce – Margherita per favore metti in quel pen tolone 100 grammi d’acqua e ...

– Nonna, non potrò mai sollevare il pentolone con 100 grammi d’acqua!

Sapete, gli gnomi sono piccoli, piiiiccoli e per loro una pentola con 100 grammi d’acqua è molto pe sante.

– Non ti preoccupare, lo faremo tutti insieme – rispose la nonna e poi rivolta a Dalia:

– Sii genti le, pesa 16 grammi di miele.– Dov’è? – chiese la bimba.

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– Nella credenza.– Ed io non faccio niente? – strillò Càrpino facendo sob-

balzare tutti .– Certo che fai qualcosa anche tu! Prendi la gratt ugia e

gratt a la buccia di quel piccolissimo li mone, solo la parte gial-la mi raccomando! Poi, quando hai fi nito, io lo spremerò.

Intanto le due bambine misero insieme la pentola sul fornello, Ortensia accese il fuoco, aggiunse il miele all’acqua e poi mise in un piatti no una punti na di lievito di birra.

Dopo un po’, sott o lo sguardo impaziente di Càrpino, l’acqua cominciò a bollire e il monello strillò come era solito fare quando era preso dall’entusiasmo:

– Nonna bolle! Bolle! Presto! Bolle!– Non ti agitare spegni il fuoco e...– ...eeee? – chiesero i tre.– Aspett eremo che si raff reddi a 20°C.– Come faremo a sapere che sono 20°C? – chiese Mar-

gherita che era una precisina.– Con il termometro, naturalmente! – strillò Càrpino.La nonna e le bimbe si guardarono rassegnate: quel ra-

gazzino fracassone era irrecuperabile! Mentre aspett avano chiacchierarono e scherzarono ri-

cordando ancora la festa e l’eff ett o dell’idro mèle su gli invi-tati .

La signora Ortensia misurava di tanto in tanto la tempe-ratura e, quando l’acqua raggiunse 20°C, i tre, uno alla volta, misero qualcosa nella pentola: il lievito, la buccia gratt ugia-ta e il succo del li mone. La nonna infi ne mise il coperchio e disse:

– Ecco fatt o! Ora bisogna aspett are dodici ore, cioè fi no a domani, poi verseremo l’idromèle nelle botti glie e chiu-deremo molto bene con i tappi.

– Nonna, chi ti ha insegnato a fare tante cose? – chiese Margherita.

– Il tempo! La vecchiaia! L’esperienza! – rispose sospi-rando la vecchia signora e poi:

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– Veramente questa ricett a la diede a mio padre un vec-chio gnomo lituano che passò di qui più di cento anni fa.

– Oh! Così tanto! – esclamò Dalia che, essendo una gnomett a bambina, non era abituata agli intervalli di tempo degli adulti , per i quali cento anni erano solo una parentesi della vita.

A proposito lo sapete che gli gnomi vivono circa quat-trocento anni?

La nonna raccontò:– Questo amico di mio padre era un importante mer-

cante e un giorno capitò da queste parti per aff ari, bevve il nostro idromèle e non gli piacque, sicché ci insegnò come lo facevano al suo paese. Da allora l’abbiamo preparato sem-pre in quel modo e tutti quelli che lo hanno assaggiato sono rimasti soddisfatti . Proprio così, questa ricett a non è mai stata data a nessuno perché la consideriamo un segreto di famiglia.

– Nonna, se è un segreto di famiglia, come mai l’abbia-mo preparato insieme a Dalia? – chiese Càr pino.

– Perché lei è una di noi – risposero in coro Margherita ed Ortensia.

Quelle parole fecero capire a Dalia quanto era grande l’aff ett o dei suoi amici. Sorrise e pensò:

– Sono fortunata a vivere qui! Il proverbio dice proprio il vero: chi trova un amico trova un tesoro!

I tre bambini erano impazienti di travasare la bevanda appena fatt a, ma erano anche rassegnati ad aspett are l’indo-mani, quindi chiacchierarono della festa che la nonna aveva intenzione di preparare e sperarono che arrivasse presto quel giorno: a loro interessava incontrare il cugino Alcalino, il terri-bile gnomett o dai capelli blu che sapeva fare gli esperimenti .

Tanto per non rimanere seduti , decisero di conti nuare la chiacchierata passeggiando... e così, passo passo, non si ac-corsero di aver imboccato il senti ero che portava alla vecchia quercia sott o cui c’era la casa di Dalia, perciò a quel punto non restava che salutarsi.

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– Ci dispiace, avremmo voluto rimanere ancora con te – disse Càrpino

– Ma è tardi, anche noi dobbiamo tornare: la nonna ci aspett a! – aggiunse giudiziosamente Margherita.

– Poco male, ci vediamo domani e imbotti gliamo! – esclamò Dalia.

– Evviva! – strillò Càrpino e, tanto per cambiare, corse lungo il senti ero incurante dei richiami della so rella.

Dalia non vedeva l’ora che arrivasse l’indomani per tor-nare dai suoi amici ad imbotti gliare l’idromèle, e poi... chis-sà, stando insieme, cosa avrebbero potuto inventare per di-verti rsi! Riusci vano a fare sempre nuovi giochi!

Il sole era quasi tramontato e i suoi amici grilli, che fa-cevano parte di un’importante orchestra, già cantavano. La bimba ne fu felice, perché quei trilli, che ogni sera si diff on-devano tutt ’intorno nel prato, parevano dirle: – Sei arrivata! Ora sei a casa.

Passando davanti all’ingresso della piccola tana dove fa-cevano le prove, non poté fare a meno di mormo rare al suoi amici:

– Com’è bello senti rvi cantare! Arrivederci, vi voglio bene.

Aprì la porta ed i rumori ed il profumino che arrivavano dalla cucina dove mamma Violett a pre pa rava la cena, le mi-sero appeti to.

Salutò, incominciò ad aiutarla e le raccontò che dalla si-gnora Ortensia avevano fatt o l’idromèle con la ricett a dello gnomo lituano e che l’indomani lo avrebbero imbotti gliato.

Dopo cena lessero la favola della buonanott e e poi a nanna.

La bimba nel suo letti no si rese conto di essere molto stanca e di non riuscire a tenere gli occhi aperti , ma non po-teva fare a meno di ripensare alle ore trascorse con i suoi amici: era stata proprio una bella giornata!

Volete preparare anche voi l’idromèle?

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Fatevi aiutare dalla mamma o forse è meglio dalla non-na che, sono sicura, fa sempre tutt o quello che le chiedete. Se siete abbastanza grandi e sapete fare le molti plicazioni molti plicate per dieci le dosi della nonna Ortensia, pesate 5 grammi di lievito di birra e seguite le istruzioni.

Dopo aver messo l’idromèle nella botti glia appoggiatela su un ripiano al buio ed al fresco e lasciatela riposare per un po’ tempo.

E poi? Poi cin, cin con l’idromèle!

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Il re distratt o

di Fedora Peruzzo Chemello

C’era una volta un re distratt o. Di giorno si vesti va da sera e la sera da matti na. Tutt e quisquilie per voi e per me, ma non per un re che ha un certo decoro da mantenere e delle regole da rispett are. A volte appoggiava la corona dove gli capitava – perché le corone sono fatt e di oro massiccio, e a portarle in testa tutt o il giorno ci si stufa parecchio – e poi non sapeva più dove l’aveva messa. Tutt a la corte allora doveva mobilitarsi alla ricerca della corona, che veniva pun-tualmente ritrovata nei posti più strani: nella doccia, dentro il frigorifero...

A volte le distrazioni del re erano innocue – come i calzi-ni spaiati – ma certe altre si sfi orava l’incidente diplomati co. Come quella volta che il re si dimenti cò di avere un impegno uffi ciale e se ne andò tranquillamente a pescare. O come quell’altra volta che pestò lo strascico della regina Ruspona e la mandò a gambe all’aria – e la vista dei mutandoni della regina non fu propriamente uno spett acolo regale...

Questi incidenti preoccupavano non poco la corte, che un bel giorno decise che era arrivato il momento di risolvere il problema del re. A questo scopo venne diff uso un bando per riunire i più grandi maghi del pianeta: chi fosse riuscito a risolvere il difett o del re avrebbe ricevuto in cambio una favolosa ricompensa.

Dopo una setti mana esatt a dall’emissione del bando la corte era già invasa da uno stuolo di maghi. I consiglieri del re, tramite att ente selezioni, ne scelsero alla fi ne solo tre. Il giorno dopo il re incontrò di persona il primo mago, che gli

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disse: – Vostra Grazia, ho un rimedio anti chissimo della mia regione, che tramandiamo nel mio paese da generazioni. Lei non deve fare altro che fare un nodo al Suo regale fazzolett o ogni volta che dovrà ricordarsi di un impegno: quando vedrà il nodo, si ricorderà dell’impegno.

Il re, non molto convinto, accett ò: – E sia il fazzolett o. Dopo cinque minuti , però, il fazzolett o l’aveva già perso, e così il re si mise a fare nodi dappertutt o: alle tende, alle tova-glie, persino alla barba dei poveri consiglieri... Dopo qualche ora la corte era tutt o un groviglio! Ai consiglieri del re non restò altro che decretare fallito l’esperimento e chiamare il secondo mago. Il secondo mago si presentò dal re e disse: – Sua Maestà, il Suo è sicuramente un problema di alimenta-zione. Le propongo di seguire per un certo periodo la dieta del baccalà, un alimento ricco di fosforo che l’aiuterà sicura-mente ad essere meno distratt o. Questa volta il re, che era un goloso di baccalà, era già più contento e rispose al mago: – E sia il baccalà!

La dieta era molto rigorosa: alla matti na pane, burro e baccalà, a mezzogiorno baccalà e alla sera pure. Dopo i primi entusiasmi, la monotonia di questa dieta cominciò a stancare il re, che non solo conti nuava a dimenti care le cose come prima, ma in più aveva un alito talmente fetente che i consiglieri non riuscivano a stare due minuti con lui senza correre ad aprire una fi nestra. Così la corte decretò fallito anche questo tentati vo e interpellò l’ulti mo mago.

Il terzo mago si presentò davanti al re con un imbuto in mano: – Vostra Regale Altezza, ho un metodo infallibile, sperimentato con successo in molti casi simili al vostro. Con questo imbuto riempirò le Sue regali orecchie di sale. Vedrà che con un po’ più di sale in testa sarà sicuramente meno distratt o.

Il re, un po’ perplesso ma ancora speranzoso, si sott o-pose alla cura. Purtroppo per il re, però, questa cura non era adatt a alla sua salute, perché il re soff riva da tempo di pressione alta – e si sa che il sale e la pressione non vanno

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d’accordo. E così la cura fu interrott a senza avere nemmeno il tempo di capire se fosse effi cace o meno. Il re, affl itt o e sconsolato, se ne andò fuori dal castello per fare una passeg-giata solitaria e rimuginare sui suoi guai. Cammina cammina si inoltrò nel Regno vicino al suo, con cui era in guerra da quando era nato.

Il re era talmente immerso nei suoi pensieri che si scor-dò di essere in guerra con quel paese, e quando incontrò il re suo nemico gli augurò distratt amente il buongiorno. Figu-rarsi la sorpresa di questo re che non solo si trovava di fronte il suo avversario più temibile, ma lo salutava pure come se niente fosse! Colpito da questo fatt o straordinario, il re ne-mico lo interpretò come un tentati vo di riconciliazione e lo accolse benevolmente. Allora i due regni si riappacifi carono con grandi feste: forse la distrazione del re aveva contagia-to il suo popolo o forse era passato talmente tanto tempo dall’inizio della guerra che nessuno si ricordava più il moti vo di tanto odio.

Fu così che anche il popolo del re distratt o si scoprì un po’ distratt o. E ne fu contento.

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La leggenda della Principessa Cornaro

di Emanuela Prior

Tanto tempo fa nel periodo di Pasqua c’era l’abitudine di portare di casa in casa la Santa Comunione agli infermi in processione. Il sacrestano stava davanti e suonava una cam-panella per avverti re le famiglie che passava il Signore Gesù, in modo che tutti uscissero a pregare. Il sacerdote, che por-tava le Osti e, lo coprivano con un ombrello tutt o ricamato in segno di riverenza.

Mia mamma mi raccontava spesso che un giorno la Con-tessa Cornaro, Principessa dell’Isola di Cipro, partì da Vene-zia per andare ad Asolo dove aveva un bellissimo palazzo in compagnia della sua cagnolina predilett a.

Passando per Torreselle (vicino a Piombino Dese) in-contrò la gente che andava in processione; il conducente della carrozza si fermò e levandosi il cappello in segno di rispett o disse: “Signora, ci fermiamo che passa il padrone del mondo!”

Ma la Signora rispose: “No! Anche se lui è il padrone del mondo io sono la padrona di questa terra!”

Non fece nemmeno in tempo a fi nire queste parole che all’improvviso si sfasciò tutt a la carrozza e si aprì una vo-ragine nella terra che la risucchiò! Solo la cagnett a si salvò scappando lontano, lontano conti nuando ad abbaiare tutt a spaventata!

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Da quel giorno, quando d’estate viene un temporale, si sente in quella strada una cagnolina abbaiare. Nessuno l’ha mai vista ma tutti sanno che si tratt a della cagnett a della principessa ed è per questo che quella strada viene chiama-ta da tutti “a stradea mata”.

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Storie di una volta

di Francesca Rigoni

Cappuccett o Rosso, Biancaneve, Cenerentola e altre fi abe le ho conosciute dopo che a scuola avevo imparato a leggere e con la mancett a della domenica ogni tanto mi compravo un libricino che narrava una di queste storie fan-tasti che.

Mi ricordo che rimasi molto impressionata dalla Bella Addormentata perché la nonna teneva in soffi tt a proprio un vecchio oggett o con tanto di fusi come quello della fi aba e quante volte lo avevo toccato!

Le storie che ci raccontavano allora i nonni avevano di solito come protagonisti personaggi mostruosi e catti vi.

C’erano così i ‘Sanguinei’ spiritelli maligni e dispett osi che si diverti vano a fare scherzi catti vi specie se ti trovavi fuori casa quando faceva buio e dallo spavento ti si rizzavano i capelli e tutt o il sangue ti andava alla testa.

E le ‘Strie’? Vecchie, magre, naso adunco, occhi di brace, capelli arruff ati , ghigno sdentato come residenza le grandi voragini che ancor oggi trovi camminando nei boschi e dove fi nivano i malcapitati che capitavano sott o le loro sgrinfi e?

Poi c’era l’‘Orco’ (ancor oggi ad Asiago c’è una via chia-mata Val d’Orco) non ho mai capito com’era fatt o ma so solo che mangiava i bambini catti vi.

Quante volte senti vo dire: “Su, presto putei in leto che xè qua i sanguinei”, “Mamma mia che sporco che te si, desso te fasso portar via dall’Orco”, “Daghe sempre la man alla zia che no te porta via la stria”.

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E poi c’era il capo di tutti il ‘Diavolo’ forcone in mano, coda lunga, lingua di fuoco, la sua casa era lontano, in mez-zo alle montagne che brividi passare ancor oggi accanto al “Buso del diavolo” dove tante volte si rischiava di fi nire se gli adulti scoprivano una marachella o una piccola bugia.

Mai qualcosa di allegro, di simpati co, un principino che ti dava il bacio della buona nott e, per fortuna che da piccoli il sonno arrivava lo stesso.

Il dubbio, ora che sono grande, è che dalle pance vuote o riempite a polenta e patate, patate e polenta potevano na-scere solo personaggi negati vi.

Quando si andava a camminare nel bosco mio papà, che per fortuna aveva da mangiare non solo la polenta ma anche un pezzo di formaggio, una fett a di salame e alla domenica della carne, ci narrava la storia degli elfi , folletti simpati ci e allegri che, in un tempo remoto, abitavano in pace le monta-gne dell’Altopiano dei sett e Comuni.

Poi arrivarono gli uomini e fi nché furono pochi gli elfi vissero con loro in armonia poi, l’avidità e l’invidia del gene-re umano li costrinsero a scappare sempre più nel folto del bosco fi no a che la loro regina decise con una grande magia di renderli tutti invisibili. Ed ecco che papà diceva: “Parlate piano nel bosco, non disturbate gli elfi e se una brezza legge-ra passerà sulla vostra guancia è la loro carezza di ringrazia-mento. Abbiate rispett o delle piante, dei fi ori, non fate i ma-leducati in casa di questi magici folletti e loro vi premieranno con tanti bei sogni e magari vi faranno trovare al matti no un piccolo regalo sott o il cuscino.

È così che ho imparato ad amare la natura, il bosco e ancora oggi quando cammino per le mulatti ere e per i tanti senti eri molti nati durante la grande guerra, mi piace fan-tasti care e immaginare di avere degli elfi a tenermi compa-gnia e qualche volta mi ritrovo a sorridere da sola perché c’è qualcosa che mi rende serena e contenta.

Addio Strie, Sanguinei, Orchi, Diavoli..., solo un po’ di nostalgia per un’infanzia ormai lontana.

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Uso improprio di una “bareta”

di Francesca Rigoni

“Su nonno raccontami di quella volta che hai perso la bareta”.

“Ma dai putei, la xè vecia”.“Sì nonno, ma ci diverte, siamo stufi di giocare con il Nin-

tendo...!”“E va ben...”

Un giorno che ‘ndavo par ‘na stradeta me son distratt o e go perso la me bareta!

Dopo qualche giorno me xè sta dito che la gaveva catà ‘na veceta. Alora son ‘ndà da la veceta a farme dar la mi ba-reta, ma la veceta me ga dito:

“Se te vol la bareta te devi portarme sinque ciope de pan”.

Me la cavo con poco go pensà e son ‘ndà dal fornaro par farme dare el pan ma el fornaro me ga dito: “Se te vol el pan te devi portarme la farina”.

Son ‘ndà allora dal munaro par farme dar la farina ma anca qua el munaro me ga dito: “Se te vol la farina te devi portarme el frumento”.

Camina, camina son rivà al campo par farme dare el fru-mento, ma el campo me ga dito: “Se te vol el frumento te devi portarme bon concime”.

Son ‘ndà alora dale vache par tore el luame ma, te pa-reva, anca quele voleva qualcosa:”Se te vol el luame te devi portare un poco de fen”.

Santa pasiensa son ‘ndà dal prà par farme dare el fen, ma el prà me ga dito: “Se te vol el fen, serve la falsa”.

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Volevo lasar perdere ma infi ne son ‘ndà dal falsaro che el me ga dato la falsa, go portà la falsa al prà, el prà me ga dato el fen, lo go portà alle vache, le vache me ga dato el luame, go portà el luame al campo, el campo me ga dato el frumento, go portà el frumento al munaro che me ga dato la farina, go portà la farina al fornaio e... fi nalmente go ciapà le sinque ciope de pan.

Tutt o contento con in man le ciope de pan ancora calde son ‘ndà da la veceta che, anche se un po’ sporca, me ga ridato la bareta.

Cari putei, sete ani la go sudà, sete ani la go lavà ma ancora la spusava de caca seca e dopo tutt a sta fadiga non la go gnanca più portà.

“Ma allora nonno la bareta l’hai butt ata via?”.“Eh no la go tacà su un ciò in granaro e ogni volta che la

guardo penso: Go fato ben a rivoler la mi roba a ogni costo o fasevo meio lasar perdere?

No me son ancora dato una risposta, ma de sicuro la veceta el me pan se lo ga magnà de gusto”.

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Anna e il segreto del Tempo

di Giuseppina Sforza

I

Il faro e la casa vicino al mare

In un paese lontano, ad un passo dal mare, vivevano Anna, la sua mamma e nonno Guido. Ogni sera, alla fi nestra della sua camerett a, Anna aveva un appuntamento con la luce del faro, rimanendo sempre catt urata dall’istante in cui la luminosità spariva, lasciando il posto all’oscurità più com-pleta e, con ansia e ti more insieme, aspett ava il momento che precedeva la scomparsa, ora della luce, ora del buio.

Il faro era suo amico, come lo era il nonno, che viveva con lei e la mamma da sempre, per quanto ricordasse. Del suo papà invece, aveva pochi ricordi: le sue mani e la sua voce. Ricordi vaghi, lontani ma allo stesso tempo precisi, in-confondibili e, sopratt utt o, indimenti cabili.

Anche la mamma a volte fi ssava fuori dalla fi nestra e ad Anna sembrava assorta e triste, mentre guardava lontano. In quei momenti la bambina la osservava così, senza parlare, per non disturbarla nei suoi pensieri. Ma in qualche occa-sione non aveva saputo frenare il desiderio di capire perché la mamma guardasse così intensamente oltre la loro casa, oltre lo stesso mare. “Sei triste, mamma?” le chiedeva allora toccandole la mano, come per riportarla lì, vicino a lei.

“Non sono triste, tesoro, penso al Tempo che passa.”“Cos’è il Tempo, mamma? È tuo amico? E perché dici

che passa?”“Il Tempo è un signore potente e solitario, ed ha pochi

amici. Non tutti gli vogliono bene perché a volte quando pas-sa si porta via qualcosa, o qualcuno.”

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Quella sera Anna andò all’appuntamento con il suo ami-co faro un po’ pensierosa. Nella sua testa ancora risenti va le parole della mamma riguardo al passare di quel misterio-so signor Tempo e rivedeva la sua espressione malinconica davanti alla fi nestra. Mentre osservava come ogni sera l’al-ternarsi del buio e dell’oscurità, assaporando dentro di sé i passaggi che sempre riuscivano a emozionarla sebbene fos-sero scanditi e prevedibili, Anna desiderò che quel segreto riguardo al passare del Tempo le venisse svelato. Chissà, for-se un giorno, quando lei era ancora piccola, il Tempo passan-do aveva portato via con sé il suo papà e, se questo era un segreto, pensò che allora, quando avesse scoperto qualcosa di più sul Tempo, il suo passare, ciò che portava via con sé e perché era – come diceva la mamma – un Signore misterioso e solitario, avrebbe fi nalmente capito tante cose.

Pensò a nonno Guido, al suo passo che vedeva farsi sem-pre più lento, ai racconti che qualche volta le aveva fatt o di luoghi, persone, fatti strani e lontani. Di persone che lei non aveva mai conosciuto se non att raverso vecchie fotografi e che il nonno teneva in un album di pelle logorata dalle tante volte in cui era stato sfogliato; persone che vesti vano abiti strani, dai volti allegri o seri, che portavano strani cappelli o buffi baffi . “Queste persone non ci sono più” – le aveva dett o il nonno – “ma ora sono in cielo e vivono sempre nel mio cuore”.

Davanti al faro, quella sera, Anna pensò che avrebbe parlato con il nonno di quel segreto del Signor Tempo. Sicu-ramente lui sapeva, e l’avrebbe aiutata a capire.

II

Sulla spiaggia con il nonno

Il matti no dopo chiese a nonno Guido se voleva fare con lei una passeggiata lungo il mare, per raccogliere conchiglie. Era una fresca e soleggiata giornata, il vento spazzava via le nuvole, una dopo l’altra e il cielo era limpido, come piaceva a lei. Il nonno camminava piano e ogni tanto Anna correva

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avanti , att ratt a da ciò che il mare aveva depositato lungo la riva. Poi tornava da lui che la prendeva per mano e le raccon-tava, per ogni oggett o trovato, la sua storia.

“Da dove vengono le conchiglie, nonno?”“Da lontano, da molto lontano – rispondeva – oggi il

mare le ha portate qui perché noi le troviamo e vediamo quanto sono belle.”

“Sono i regali del mare per noi?”“Sì, il mare fa sempre dei regali, però sta a noi saperli

trovare perché forse domani non ci saranno più.“Il mare è nostro amico, allora, vero nonno?”“A volte lo è, ma non sempre. È così grande e potente

che può anche trascinare via con sé quello che trova sulla riva quando diventa agitato e soffi a forte il vento.”

“Può portare via le cose e le persone come fa il Tempo, nonno?”

Nonno Guido la guardò negli occhi seri che lo stavano fi ssando in att esa della sua risposta. Le fece cenno di sedersi vicino a lui. “Guarda, – le disse accennando al mare e all’oriz-zonte – “cosa vedi?”

“Vedo il mare e il cielo che si toccano in un punto lon-tano lontano.

“E il Tempo lo vedi?”“No, è forse dentro al mare? So che il mare è tanto pro-

fondo. Forse lì in fondo, lontano lontano c’è la casa del Si-gnor Tempo, quello che quando passa si porta via sempre qualcosa, o qualcuno. Lo dice la mamma.”

Il nonno sorrise e le accarezzò i capelli.“Tu hai mai parlato al signor Tempo, nonno?”“Certo che l’ho incontrato tesoro. Ognuno di noi lo in-

contra nella vita. Anche tu, ne sono certo.”“Pensi che potrei parlargli? Ho tante cose da chiedergli,

ma come faccio a trovare la sua casa se si trova in fondo al mare?”

“Non ti preoccupare, bambina, il Tempo ora lo sa che lo stai cercando e lo vuoi amico. Lo sarà, se tu lo desideri e saprai ascoltare, e aspett are.”

“Ma come farò a riconoscerlo?”

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“Quando lo incontrerai, lo saprai da sola. Il Tempo è uno strano signore, sai. A volte corre veloce e ride come un ra-gazzino birichino che fa i dispetti e non si lascia prendere, altre volte è come una giornata grigia di pioggia che ci lascia tristi e malinconici, desiderosi del sole.”

Allora aveva ragione la mamma a dire che il tempo è un signore misterioso!

Nonno Guido si alzò lentamente e guardò quella dolce bambina dagli occhi seri e dal sorriso caldo come il sole di un matti no d’estate. Anna gli prese la mano e risentì nella sua strett a quella del suo papà. Avevano le stesse mani, lui e il nonno. Calde, grandi e morbide. Quando il nonno le acca-rezzava il viso, le guance, la testa, poteva chiudere gli occhi come faceva con le conchiglie e senti va il mare che le par-lava. Senti va la voce del suo papà quando la chiamava per nome e risenti va il suo profumo, così fresco, come il vento che accarezza i capelli quando è primavera.

Tornando verso casa, Anna seguì il nonno nei suoi passi lenti standogli accanto, con la mano strett a nella sua.

III

La casa del Signor Tempo

Quella sera, ed ogni sera dopo quella chiacchierata col nonno, Anna cominciò a guardare il faro con occhi diversi, perché le piaceva pensare che, forse, ciò che l’aveva sem-pre att ratt a in quell’alternarsi misterioso di luce e buio, era proprio uno dei misteri del Tempo. E pensò che, forse, non solo il Signor Tempo abitava proprio lì, nella casa del faro, ma anche che così le parlava da sempre, chiamandola ad osservare i momenti in cui la luce appare e poi scompare, lasciando posto al buio, e quegli spazi di tempo, lunghissimi nell’att esa, che seguono fra l’un e l’altro. Una nott e in cui il vento soffi ava forte e il mare si agitava minaccioso, Anna trovò rifugio tra le braccia della mamma. “Non avere paura, tesoro, noi siamo al sicuro qui, siamo a casa. Tra un po’ tutt o

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sarà passato, il vento se ne andrà e il mare tornerà calmo come prima.”

“Ma il Tempo, quando porta via con sé le cose, dove le mett e? Ha una casa il signor Tempo?”

La mamma sorrise. La sua bambina a volte la sorpren-deva per come sapeva diventare di colpo seria e piena di domande così importanti , e diffi cili. Nei suoi silenzi e nelle sue domande Anna assomigliava al suo papà e, come lui, quando sorrideva si illuminava di un sorriso caldo, come il sole di un matti no d’estate.

“Mamma, il papà ora ha una casa come noi, per riparar-si dal vento e dal mare quando sono così arrabbiati ?”

“È il nostro cuore la sua casa, tesoro.”“Anche il nonno dice che le persone che non ci sono più

abitano nel suo cuore. Ma allora è il Tempo che le porta lì, dopo che è passato?”

“Questo io non lo so tesoro, però di sicuro il nonno ha un cuore grande, genti le e generoso. È una benedizione averlo accanto a noi”.

Cullata dalle parole della mamma e rassicurata nelle sue paure, Anna si addormentò e sognò la casa del Tempo. Grande, bellissima, con tante porte e lunghi corridoi e tanta tanta luce che entrava dalle fi nestre e dal soffi tt o e inonda-va le stanze rivelando colori scinti llanti . Alcune porte erano chiuse, ma nel sogno Anna senti va che non le sarebbe stato per sempre inaccessibile il segreto che in quel momento ce-lavano. In una delle stanze aperte inondate di luce le parve di vedere una fi gura di uomo che sorrideva e la chiamava per nome. Era la voce del suo papà, lo sapeva, la riconosceva disti ntamente.

IV

I ricordi del nonno, segno di amicizia con il Tempo

Al suo risveglio Anna, ripensando al sogno della nott e, si ricordò delle parole di nonno Guido: “Non ti preoccupare,

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ora il Tempo lo sa che lo cerchi per essergli amica. Ti parle-rà, o forse ti sta già parlando.” Gli raccontò del sogno, del-le stanze, delle porte, dei colori, della luce e della voce del papà. “Quando vediamo nei sogni le persone che non sono più con noi è un po’ come se tornassero, vero nonno? Anche a te succede di rivedere la nonna e le persone delle fotogra-fi e che sono nel tuo album?”

“Sì tesoro, e poi io che sono vecchio ho anche molti ri-cordi. I bei ricordi dei momenti vissuti con tua nonna, quelli tristi delle persone care che ho visto morire durante la guer-ra, quelli dei momenti passati con gli amici, con i miei fratelli, con le persone con cui ho lavorato per molti anni.”

“E nemmeno il Signor Tempo te li può portare via, i tuoi ricordi?”

“Sicuramente molti me li ha portati via sai, tesoro, ma non tutti , e poi mi lascia sempre i più belli, i più importanti , quelli che, quando ci penso, mi fanno capire quanto sia stato fortunato nella mia vita ad aver vissuto e amato così tanto: la nonna, i miei fi gli, il mio lavoro, i miei amici, i nipoti , e poi il sole, il mare, la luce del giorno e il buio della nott e, i giorni di festa quando si ballava in paese.”

Anna lo ascoltava rapita: le piaceva senti r parlare il non-no e si senti va importante quando lui le raccontava della sua vita. Gli occhi di nonno Guido in quel momento brillavano di una luce che gli ringiovaniva il viso e Anna pensò per un atti mo che forse lui e il Tempo erano davvero amici. Questo pensiero la confortò, facendole senti re più vicino quel miste-rioso Signore di cui sapeva così poco: dove abitava? e poteva diventare suo amico, così come lo era del nonno? Avrebbe potuto un giorno parlargli e chiedere del suo papà? Ed era vero che quando passava portava via con sé sempre qual-cosa o qualcuno? E perché lo faceva, se era proprio così? E qualche volta, al suo passaggio, poteva anche portare dei regali come faceva il mare con le conchiglie? Si disse che questo Signore misterioso e solitario forse sarebbe diventa-to più buono e generoso se lei gli avesse voluto bene, e non ne avesse avuto paura. Forse, il Signor Tempo era solo triste perché aveva pochi amici.

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V

Il regalo del mare... e del Tempo

Un giorno di fi ne estate, la mamma si alzò presto al mat-ti no per cominciare i preparati vi della festa di compleanno di nonno Guido. “Vado a prendere dei fi ori per la festa del nonno?” – chiese Anna già elett rizzata all’idea della bella giornata che la att endeva –.

“Sì tesoro, prendi i più bei fi ori che trovi. Voglio che il nonno abbia una festa di compleanno indimenti cabile. Vor-rei che senti sse quanto gli vogliamo bene e quanto lui sia prezioso per noi.”

Anna uscì col proposito non solo di raccogliere dei fi ori per abbellire la festa ma anche di cercare un regalo per il suo amato nonno.

Decise di andare sulla spiaggia e si sedett e per ascoltare il mare.

Si mise ad ascoltare il rumore delle onde, certa che, qualche consiglio, lui, il mare, le avrebbe dato.

E chissà, se la casa del tempo era lì, nel mare, forse pro-prio lui, il Signore misterioso che era così amico del nonno, le avrebbe saputo suggerire qualcosa di speciale da regalargli per il suo compleanno.

Immersa in questi pensieri e cullata dal rumore delle onde, Anna si addormentò e sognò la casa del Tempo. C’era-no le stanze illuminate dalla luce e tanti visi sorridenti , c’era-no le porte chiuse e il suo papà che la chiamava per nome. E sognò che il Signore di quella grande casa le diceva di guar-dare e di ascoltare, perché un regalo c’era anche per lei, se avesse saputo aspett are.

Quando si svegliò, Anna riaprendo gli occhi guardò ver-so il mare e vide qualcosa che atti rava la sua att enzione. Si alzò e si incamminò in direzione di un oggett o che luccicava abbandonato sulla riva.

Era una conchiglia, bella come non ne aveva mai viste prima, ed era certa che al suo arrivo lì, quel matti no, quando si era messa ad ascoltare il mare, quella meraviglia scinti l-lante non c’era.

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Era di madreperla dorata, grande e perfett a, unica e straordinaria nella sua bellezza. Stava appoggiata sulla sab-bia, e sembrava depositata dal mare proprio per lei, dopo aver compiuto un lungo viaggio.

Anna la raccolse e lasciò che all’orecchio il mare le can-tasse la sua canzone. La sua voce dava vita a quella conchi-glia che rivelava così, in quel momento, solo a lei, il suo stra-ordinario valore.

Ripensò allora alle parole che la mamma le aveva dett o quel matti no: “Vorrei che il nonno senti sse quanto prezioso è per tutti noi”, e si sentì felice al pensiero che il Signor Tem-po, att raverso il mare, avesse portato quel regalo speciale che lei desiderava fare a nonno Guido.

Si incamminò verso casa reggendo delicatamente tra le mani la conchiglia luccicante dalla voce melodiosa. Il mare, il sole e il Tempo l’avevano resa così come ora appariva a lei: brillante come l’oro, perfett amente curata e levigata in tutt o il suo labirinto di angoli e cavità. Quanto aveva lavorato il Tempo per fare tutt o ciò? e se era proprio così, che quel re-galo per il nonno lo aveva lasciato il mare mentre lei dormiva esaudendo il suo desiderio, allora forse il misterioso Signor Tempo a volte faceva dei doni segreti alle persone!

VI

Festa di compleanno del nonno

Giunta a casa Anna sistemò i fi ori in un vaso e la con-chiglia in una scatola che legò con una ciocca dorata. La casa profumava dei dolci e delle cose buone preparate dalla mamma e intanto cominciavano ad arrivare amici del non-no, vicini di casa, amiche e amici di Anna, tutti pronti e desi-derosi di festeggiare il compleanno di nonno Guido.

“È meraviglioso questo regalo!” – disse non appena aprì il pacchett o che Anna gli porse tutt a emozionata –. Il non-no era commosso e sfi orò delicatamente con la mano quella conchiglia che sembrava d’oro. “Senti la musica, nonno?” –disse Anna appoggiando la conchiglia al suo orecchio –.

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“Un tempo ballavo con tua nonna che si muoveva così bene! Senti va la musica ovunque, come te bambina... quel-la del mare, degli uccelli al matti no presto, della pioggia sul tett o, del vento durante il temporale...” Anna si strinse forte al nonno e la mamma li guardò: erano così belli, la sua bam-bina e quel dolce, forte vecchio dal volto segnato, la schiena curva e gli occhi ancora att enti , e buoni.

Anna aveva lo stesso sorriso del suo papà, caldo e ge-neroso come una giornata d’agosto ed il nonno era con loro, anche se a volte, come in quel momento, sembrava portato lontano, dai ricordi, dalla nostalgia, dal Tempo.

Le venne d’isti nto il desiderio di toccare la sua mano e di dirgli senza parlare: non te ne andare, stai con noi, non fuggire via. In quel momento il nonno le porse all’orecchio la conchiglia e le disse: “Senti la musica? Qui ci sono tutti i se-greti del mare, che l’hanno cullata per chissà quanto tempo prima di arrivare a noi...”

“È proprio così, sai nonno” – disse Anna tutt a orgogliosa – “questo è un regalo del mare. Io ho espresso un desiderio, ho chiuso gli occhi e poi l’ho vista!”

Dopo che tutti gli amici se ne furono andati , grati e sorri-denti per la bella giornata di festa, Anna, la mamma e nonno Guido si sedett ero vicini vicini sui gradini dietro la casa, a guardare il mare.

Spuntò la luce del faro e ad Anna sembrò che quel pun-to luminoso, che andava e veniva, le facesse l’occhiolino, complice aff ett uoso del loro segreto.

“Ti manca tanto la nonna, vero? – disse Anna guardan-do il nonno che ora le appariva un po’ stanco e silenzioso –. “Mi manca, certo, ma sai tesoro, il Tempo piano piano gua-risce tante ferite, anche quelle del cuore. E lei ora è nel mio cuore e mi accompagna sempre, ogni giorno quando apro gli occhi al matti no e quando li chiudo la sera. E, un giorno, quando verrà il mio Tempo, mi porterà da lei, e dal tuo papà, e ci abbracceremo felici di esserci ritrovati , e avremo tante cose ancora da raccontarci e ancora tanto tanti ssimo amore da off rirci, ancora di più di quello che ci siamo dati quando eravamo insieme in questa casa.”

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“Il Tempo ha guarito anche il tuo cuore, mamma? Il Tempo l’ha messo al sicuro nel tuo cuore come ha fatt o con la nonna?”

“Sì tesoro, il nonno ha ragione. Quando meno ce l’aspet-ti amo, un giorno, all’improvviso, scopriamo che il nostro cuore si è fatt o più grande, per fare posto al dolore di aver perso quelle persone che abbiamo amato e che non sono più con noi. Il Tempo, e l’Amore, quando stanno insieme, fanno grandi cose senza che noi ce ne rendiamo conto.”

Quando venne il momento di andare a dormire, Anna chiese alla mamma di non chiudere le imposte, perché da lì, dal suo lett o, poteva intravedere la luce del faro.

“Va bene cara” – le disse sfi orandole la fronte con un bacio – “ti fa compagnia vero? Anche a me piace guardarlo sai. È come se la sua luce ci ricordasse, anche di nott e, che non siamo soli, e dov’è la nostra casa e che, se per qualche moti vo temiamo di averla persa, lui ci aiuterà a ritrovarla.”

“Posso entrare? “– chiese il nonno bussando piano alla porta – “volevo darti la buona nott e, fi orellino mio.” Si avvi-cinò al suo lett o, tenendo in una mano la conchiglia dorata e melodiosa. “Tienila vicino a te, questa nott e. La appoggio sul comodino perché sono sicuro che deve ancora svelarti tanti suoi segreti .”

VII

Anna in sogno parla al Signor Tempo

Anna socchiuse gli occhi e si addormentò così, sorriden-do del suo sorriso caldo come una giornata d’estate. Quella nott e sognò la casa del Tempo, circondata dal mare e avvolta da una luce morbida e soff usa. C’erano angoli, cavità e per-corsi sinuosi come quelli della conchiglia dorata e melodiosa che aveva regalato al nonno e una musica dolce e conosciuta si spandeva nell’aria che profumava di mare e di sole. Anna cominciò a cantare, accompagnata dalla musica e poi sentì

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che non era sola, lì, in quella casa circondata dal rumore del-le onde.

“Sono Anna – disse – “sei tu vero il padrone di questa casa? Sei tu il Signor Tempo? Io vorrei essere tua amica.”

E il Tempo rispose.Anna sentì la sua voce che le diceva quanto era stata co-

raggiosa ad att raversare il mare per andarlo a cercare nella sua casa. “Poche persone si mett ono in viaggio per cercarmi, e capire chi sono.”

“Io so chi sei – disse Anna trionfante – “sei amico di non-no Guido. Io gli voglio molto bene, sai...”

“Questo lo so, e so anche che desideravi conoscermi. Sei una bambina bella e forte e diventerai una donna saggia. Che cosa sai di me?”

“So che nonno Guido di te non ha paura perché dice che gli hai lasciato i ricordi più belli e che quelli non può portali via nessuno, nemmeno tu che sei così potente. Ma so anche che tu sei triste se con te non c’è l’Amore, me l’ha dett o la mamma.”

“Che altro dice la tua mamma di me?”“Dice che un giorno sei passato e le hai portato via il mio

papà. Porti via le persone perché ti senti solo qui, in mezzo al mare?”

“E tu, Anna, cosa pensi di me? Pensi che sono catti vo e faccio soff rire le persone?”

“Io penso che tu le persone non le porti via del tutt o, perché non spariscono mai dalla nostra vita. Penso che, dopo averle portate via, le riporti da un’altra parte.”

“E dove sarebbe questa altra parte? ““Nel nostro cuore. Lo dice il nonno e lo dice anche la

mamma. Ed è il nostro cuore la loro vera casa.”“Sei molto saggia Anna, e anch’io voglio essere tuo ami-

co. Spesso le persone non mi vogliono bene e mi tengono prigioniero della loro paura. Ma non mi conoscono e non mi cercano, come hai fatt o tu. E sai perché sei così saggia e coraggiosa? Perché nonno Guido ti ha insegnato a non aver paura di me.”

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“Volevo anche ringraziarti .”“Di cosa, Anna?”“Del regalo che mi hai portato att raverso il mare questa

matti na. La conchiglia più grande e più bella che abbia mai visto. Anche il nonno è stato felice di questo regalo. A me piace il mare: di giorno mi fa trovare le conchiglie sulla riva, e di nott e c’è il faro che mi parla e mi fa senti re al sicuro, a casa.”

“Sai molte cose di me, Anna. E io ora voglio dirti un’ul-ti ma cosa.”

“È un segreto? ““Sì... il segreto è l’Amore. Senza l’Amore io passo triste e

tutt o diventa grigio come una cupa giornata d’inverno. Ma quando l’Amore mi accompagna, ogni cosa splende e si rivela per quella che è. Quando l’Amore mi accompagna, le persone possono cambiare, crescere, capire, vivere, amare, perché i loro cuori cambiano. E arrivano ai segreti , a toccare i segreti nascosti in loro, in chi gli sta vicino, negli altri. Ma perché que-sto accada dobbiamo agire io, il Tempo, e l’Amore. Insieme.”

VIII

Anna è pronta per un nuovo viaggio

Una matti na Anna si svegliò e, come sempre faceva, aprì la fi nestra per guardare il mare, e il cielo.

Era una limpida giornata d’inizio estate e si sentì felice al pensiero che presto, dopo quella estate, avrebbe iniziato una nuova scuola e sicuramente una nuova vita, con tante cose da imparare e compagni nuovi da incontrare, nuovi luo-ghi da conoscere. Scese in cucina e, quando la mamma la vide, la salutò con un sorriso. “Come sei bella, fi glia mia! E come sei cresciuta! In breve tempo, quasi non mi sono ac-corta quanto sei diventata grande. E sono così orgogliosa di te! anche il tuo papà lo sarebbe, anzi, sono certa che ti vede e gioisce come me al vederti crescere così bella e radiosa!”

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Anna si guardò att orno: sulla credenza c’era una foto del nonno con lei bambina e la conchiglia dorata fra le mani. Sorridevano felici e la mamma, dietro le loro spalle, li ab-bracciava e li guardava con occhi pieni d’amore.

Nonno Guido non era più con loro e Anna aveva saputo cosa signifi cava e quanto faceva soff rire perdere una perso-na amata. E in un certo senso aveva fatt o anche esperienza di ciò che aveva dett o la mamma, quando lei era bambina: “Il cuore, con il Tempo e l’Amore, ad un certo punto, senza che ce ne rendiamo conto, si fa più grande per accogliere il dolore di aver perduto chi abbiamo amato.”

Guardò la mamma: era sempre molto bella e, pur aven-do soff erto molto per la mancanza del nonno, ora le appari-va serena e, accanto a lei, un uomo dolce e silenzioso a volte la teneva per mano e la guardava negli occhi.

In quel momento Anna ripensò all’ulti mo segreto che, in una nott e lontana, le era stato svelato in sogno dal Tempo.

E il cuore le si allargò di felicità e grati tudine quando dentro di sé sentì , per un atti mo, che lei, ora, era pronta e forse vicina a fare un altro viaggio, per conoscere l’Amore, il compagno del Tempo, e non averne paura. Per conoscere i luoghi dove abitava, desiderosa di off rirgli un posto, in quel suo cuore che senti va così grande e vivo.

E sorrise, del suo sorriso caldo e luminoso come una giornata d’estate.

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I partecipanti

Balasso Valeria Bianchi Liva Anna Angela Bigott o Olivo Biju Jessi Bortolett o Clementi na Bresolin Maria Catt aruzza Roberto Ciriello Stefania Cole Luxardo Suzanna Costacurta Mario Cotet Nicolett a Cozzarini Dina De Mori Donatella F.Ave Maturano Verzegnassi CFerltrin Garbuio Anita Ferro Sara Fileni Antoniett a Fiscon Luciana G.R.Galeazzo Camilla Gardin Franco Gasparon Giancarlo Gavazzi Laura Gerosa vana Giacchini Sofi a Simoni Girotti Armando Gobbo Franca Gorghett o Milena Gorghett o Pulcra Maria Grandina Ines

Hanter Valenti na Lo Vullo Maria Pia Longo Gianna Lovato Giuseppe Lunardelli Maria Marcon Lorett a Masato Annalisa Mazzon Rita Migliavacca Giovanni Milanese Luisa Nardin Donatella Oeti ker Heidi Ortu Peschiera Eles Paloschi Angelo Parpinel Luciana Parpinello Lodovica Pedrini Maria Cristi na Pedrini Monica Penello Gabriella Peruzzo Chemello Fedora Piutti Igino Polizzari Onorata Prior Emanuela Prosperi Anita Ratti Paola Rigoni Francesca Rossato Berti lla Rossato Franca Sforza Giuseppina Sforza Giusi

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Simonett o Federica Sinigaglia Clara Trozzo Maria Beatrice Vanni Maria Teresa

Viel Renato Zago Noemi Zanetti Giannina Zorzett o Franca

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Premio Paul Harris FellowDistrett o Rotary 2060

Il distrett o 2060 si estende sull’area delle Tre Venezie, un territorio di elevato, recente sviluppo economico grazie ad una “imprenditorialità di popolo” che a parti re dal dopoguerra ha trasformato in quanti tà e in qualità le locali condizioni di vita. L’impegno al lavoro, l’approccio solidale verso il prossimo, la volontà di progredire ancorata ai valori del merito, della professionalità, dell’intraprendenza, del ‘bene comune’, hanno rappresentato i riferimenti portanti delle generazioni uscite dal confl itt o mondiale con l’obietti vo di creare e diff ondere benessere.Quelle generazioni costi tuiscono oggi un’ampia fascia di popolazione che porta il Nordest a essere tra le zone d’Italia a più elevata presenza di over 65.Di fronte ai profondi, incisivi, conti nui cambiamenti intervenuti negli ulti mi decenni che ci fanno vivere in una società frammentata e disarti colata, priva di pulsioni unitarie, con crescenti separatezze tra generazioni e tra culture, con costanti lacerazioni di tradizioni e di comportamenti , senza il retroterra della memoria, la longevità diventa risorsa quando trova contesti che le consentono di produrre quei beni relazionali necessari ad una società per essere tale, oggi invece mancanti e disatt esi.Infatti , solo att raverso relazioni – ispirate da una maturata direzione di senso e dal rispett o verso la vita, moti vate da logiche non di tornaconto egoisti co ma di partecipazione aperta e disinteressata, dett ate da istanze di fi ducia verso gli altri – si possono riscoprire i signifi cati veri di comunità e di citt adinanza, realizzando così coesione sociale.Questa ti pologia di relazioni è oggetti vamente incardinata nelle persone longeve che, completato il ciclo lavorati vo, credono in un ruolo alto della terza età, ben diverso e lontano sia dalle illusioni di vacue rincorse giovanilisti che che dalle tristi cesure del

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ripiegamento in se stessi. Produrre relazioni nella società, grazie al tempo disponibile e all’accumulazione esperienziale, è la capability strategica della longevità. Una funzione positi va di progresso e di futuro, coerente con l’identi tà rotariana del servire, di rott ura con le prassi assistenzialisti che e geriatriche alle quali normalmente si associa la dinamica dell’anzianità.Una funzione cui la Fondazione Opera Immacolata Concezione ha dato corpo ed anima nel Civitas Vitae di Padova e che il Distrett o 2060 del Rotary Internati onal intende premiare per la straordinarietà innovati va e per l’eccellenza realizzati va che onorano il territorio distrett uale.

Paul Harris Fellow è l’onorifi cenza rotariana che la Fondazione del Rotary Internati onal att ribuisce a persone o enti in segno di apprezzamento e riconoscenza per il tangibile e signifi cati vo apporto nel promuovere una migliore comprensione reciproca e amichevoli relazioni tra popoli di tutt o il mondo.Pertanto con il conferimento del premio all’Opera Immacolata Concezione la Rotary Foundati on ha voluto riconoscere l’importanza e la validità sociale dell’atti vità svolta dall’Ente in favore dell’umanità soff erente.

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I promotori

Tra le grandi onlus europee, la Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus da oltre 50 anni fornisce servizi integrati per persone longeve e diversamente abili, grazie a nove residenze nelle province di Padova, Venezia, Treviso e Vicenza e un Centro Polifunzionale (il Civitas Vitae di Padova).Perno di una comunità multi etnica di oltre 5.500 persone (2.200 ospiti , 1.500 dipendenti di 24 nazionalità diverse nonché le relati ve famiglie), promuove un approccio alla terza età basato sul mantenimento delle competenze e abilità seppur residue, valorizzando la capacità del longevo di costruire beni relazionali anche intergenerazionali.www.oiconlus.it

La Società Dante Alighieri, fondata a Roma nel 1889 con il compito di salvaguardare e diff ondere la lingua e la cultura italiana nel mondo, promuove “un’opera altamente ed essenzialmente civile e pacifi ca, a cui ogni italiano, qualunque sia la sua fede religiosa o le opinioni politi che, deve senti re il bisogno e il dovere di prendere parte”. Aderire ad uno dei 500 Comitati della Dante diff usi in tutt o il mondo è per chiunque moti vo di fi erezza e di considerazione: signifi ca esprimere, rappresentare e sostenere princìpi e valori universali, operando secondo ideali di solidarietà, di progresso e umanità da tutti condivisi.www.ladante.it

GRAFICA VENETA Spa di Trebaseleghe in provincia di Padova è uno dei più vasti e att rezzati luoghi europei per il confezionamento di milioni di libri.In quasi dieci anni d’atti vità ha raggiunto una posizione di rilievo nella produzione libraria internazionale collaborando con i più

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importanti editori, augurandosi che in un futuro prossimo ogni persona abbia vicino almeno un libro.Quale operatore di mercato, investi ta di una responsabilità sociale, l’azienda si impegna con la propria atti vità a divulgare la cultura in tutt o il mondo att raverso la stampa di volumi nel convinto rispett o per l’ambiente. Data la parti colarità della materia prima uti lizzata, si prefi gge inoltre di ridurre l’incidenza dei costi sociali, migliorando l’effi cienza dei processi produtti vi, uti lizzando materie prime provenienti da foreste razionalmente gesti te.Tutt o ciò in un ambito che privilegia la qualità, come dimostrano le certi fi cazioni per gli standard qualitati vi e di tutela ambientale come il marchio Forest Stewardship Council, meglio conosciuto con l’acronimo FSC rilasciato da un’ organizzazione internazionale non governati va, indipendente e senza fi ni di lucro.www.grafi caveneta.com

La casa editrice CLEUP (Cooperati va Libraria Editrice Università di Padova) è presente da oltre 40 anni nel panorama editoriale ed è specializzata nella stampa di testi universitari e professionali, contando all’interno del catalogo un numero signifi cati vo di pubblicazioni volte alla conoscenza e valorizzazione del territorio e della cultura. Accanto all’Università di Padova, principale partner isti tuzionale, CLEUP annovera collaborazioni con numerosi altri atenei italiani e con importanti centri di ricerca, fondazioni e associazioni.www.cleup.it

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_______________________________________________________________Stampato nel mese di sett embre 2009

GRAFICA VENETA

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