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Lo status sociolinguistico della dittongazione spontanea Realtà campane e calabresi a confronto Giovanni Abete

Lo status sociolinguisticoOK...Belvedere non presenta vocalismo tonico sardo, ma presenta vocalismo siciliano; e subito a nord della linea Cetraro-Bisignano-Melissa, per cui questo

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Lo status sociolinguistico della dittongazione spontanea

Realtà campane e calabresi a confronto

Giovanni Abete

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G. DF. S. A. per www.vesuvioweb.com

Giovanni Abete: Dittongazione spontanea 2

1. Introduzione1 Con il seguente contributo intendo analizzare gli aspetti sociolinguistici della

dittongazione spontanea in due centri del Tirreno meridionale: Pozzuoli (NA) in Campania e Belvedere Marittimo (CS) nella Calabria settentrionale. Lo scopo è di far emergere le peculiarità delle due comunità e delle risposte che queste danno alle dinamiche tra dialetto locale, varietà dialettali limitrofe e italiano regionale.

Le due comunità presentano situazioni sociolinguistiche molto diverse, dovute alle differenze demografiche, alla diversa composizione sociale, alla diversa struttura economica, alla presenza nel caso di Pozzuoli di un vicino centro di prestigio quale Napoli. Lo spazio del dialetto locale e il suo statuto all’interno del più ampio repertorio a disposizione della comunità sono fortemente influenzati da tali fattori.

D’altra parte, sul piano propriamente linguistico, i dialetti di entrambe le cittadine sono interessati da processi di dittongazione spontanea strutturalmente simili. Il fenomeno in questione consiste nell’alternanza sincronica degli esiti di una variabile vocalica tra varianti semplici e varianti dittongali. Si vedano le seguenti coppie di enunciati, la prima in dialetto puteolano, la seconda in dialetto belvederese:

a1. [i r»retts´ s´ t´»rav´n a b»brA0 ttS´ Ñ]

“le reti si tiravano a braccio”

a2. [a »ser´ vann a m»mett´r i r»r√Itts´ Ñ]

“la sera vanno a mettere le reti”

b1. [»ti¯¯´ u »vin´ b»bun´ Ñ]

“ho il vino buono”

b2. [»amu fatt u »vain´ Ñ] “abbiamo fatto il vino”

(N.d.R. Modesto tentativo di rappresentazione fonetica di quanto sopra. Le vocali con la dieresi sono di suono evanescente. Ce ne scusiamo con l’autore.

a1 a2 i rrézzë së tïràvänö a bbraccïö â sérä vannö a mmèttërë i rräezze b1 b2 tignë u vinë bbunë amu fatt u väino).

Come si evince già da questi pochi esempi, in entrambi i dialetti gli esiti dittongali delle variabili vocaliche sono limitati a una posizione immediatamente precedente determinati confini prosodici. Le parole dialettali per reti e vino si realizzano senza dittongazione [»rretts´] (rezze) e [»vin´] (vine) in posizione interna (come negli esempi a1. e b1.); con dittongazione [r»r√Itts´] (räizze) e [»vain´] (väine) in posizione pre-pausale (come negli esempi a2. e b2.).

1 1 Giovanni Abete: Versione per il web tratta da: «Lo status sociolinguistico della dittongazione

spontanea. Realtà campane e calabresi a confronto», in L’Italia dei dialetti. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Sappada/Plodn, 27.VI-1.VII.2007), a cura di Gianna Marcato, Padova, Unipress, 2008, pp. 307-314. – ISBN 978 8880982425.

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Le differenti situazioni sociolinguistiche da un lato e la somiglianza strutturale dei fenomeni di dittongazione dall’altro fanno di Pozzuoli e Belvedere un laboratorio ideale per lo studio degli atteggiamenti nei confronti di tratti dialettali marcati localmente. La percezione dei processi dittongali nelle due comunità è in effetti piuttosto diversa e i valori ad essi attribuiti sono quasi antitetici.

Questi aspetti verranno messi in luce nel seguente lavoro attraverso strategie diversificate: da un lato verranno presi in esame alcuni stereotipi relativi alla dittongazione nelle due aree in questione; quindi si prenderanno in rassegna i giudizi espliciti dei parlanti puteolani e belvederesi, emersi perlopiù spontaneamente durante le interviste. Infine si affronterà la questione della comparsa, o viceversa della censura dei dittonghi nello scritto, perché come vedremo le due comunità presentano sotto questo aspetto scelte completamente antitetiche. La trattazione verrà divisa in due paragrafi, uno per Pozzuoli e uno per Belvedere; ciascun paragrafo verrà introdotto da una brevissima descrizione dei contesti della dittongazione e da una sintesi delle caratteristiche sociolinguistiche della comunità.

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2. Aspetti sociolinguistici della dittongazione a Pozzuoli 2.1. Il sistema di base del vocalismo tonico di Pozzuoli è quello romanzo comune,

modificato poi per azione della metafonia. La dittongazione spontanea coinvolge sia le vocali alte e medioalte (/i e u o/) primarie, sia le /i/ e /u/ che derivano da metafonia delle vocali medio-alte .

La città di Pozzuoli si estende per 43 km² nell’area subito a ovest di Napoli e conta attualmente più di ottantamila abitanti. Questo territorio ha subito una netta trasformazione tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, quando l’inserimento delle prime grandi fabbriche, la Armstrong (1886) e l’Ilva di Bagnoli (1908), ha avviato un veloce e robusto processo di industrializzazione. In pochi anni quello che era un paese marinaro e agricolo è divenuto un centro prevalentemente industriale. A queste trasformazioni si è adattata la popolazione locale e molti pescatori e braccianti agricoli si sono convertiti in operai. Attratta dalle nuove possibilità di lavoro, un’ingente quantità di persone si è trasferita qui da Napoli e dalle aree limitrofe. La città si è andata così ampliando, mutando la sua struttura urbanistica con la costruzione delle prime palazzine operaie, case popolari, etc.

Alle trasformazioni dovute all’industrializzazione, vanno aggiunte le conseguenze di un fenomeno del tutto peculiare dell’area flegrea: il bradisismo. La serie più recente di eventi sismici, iniziata nel 1970, e conclusasi nel 1983, ha determinato lo sgombero forzato del centro storico, che è stato rilevato dal comune. Parte degli sfollati hanno trovato sistemazione in periferia, nel rione Toiano, mentre per un’altra grossa fetta di persone (circa 20000) è stato realizzato un quartiere popolare in località Monterusciello.

Questi eventi hanno assestato un colpo fatale all’assetto tradizionale della città, con importanti conseguenze anche sul piano sociolinguistico. Con l’industrializzazione e l’ammodernamento il dialetto locale ha cominciato a confrontarsi (in maniera più intensa) da un lato con altre varietà dialettali e in particolare con il modello napoletano, dall’altro con l’italiano.

I tratti più caratteristici del dialetto puteolano, come la dittongazione spontanea, sono divenuti marcatori delle fasce più basse della società, in particolar modo dei pescatori, incorrendo in forti processi di stigmatizzazione. Il bradisismo ha ulteriormente rafforzato queste dinamiche: le zone evacuate costituivano le principali sacche di resistenza del dialetto più marcato in senso locale, nonché delle tradizioni e della cultura popolare.

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2.2. Si può affermare senza difficoltà che il dialetto puteolano sia oggi tra i dialetti

più stigmatizzati in Campania. La sua fama negativa ha trasceso persino i confini regionali, quando negli anni ‘97-‘98 l’attore Francesco Paolantoni ha portato in una trasmissione televisiva di successo una parodia di questo dialetto, impersonando la figura di un pizzaiolo puteolano, dittongante già nel nome “Ciairo Bauccia”, e inscenando giochi di parole e doppi sensi, tutti basati sulla tendenza senza freni alla dittongazione.

Dal punto di vista linguistico la parodia di Paolantoni si basava, oltre che su una operazione di semplificazione dei timbri e fusione di alcuni esiti, sulla sovraestensione dei processi dittongali. La dittongazione veniva di fatto estesa anche alle vocali medio-basse, che nel parlato reale non vengono toccate da questo fenomeno. Esemplificativo al riguardo è proprio il cognome del personaggio, ossia “Bauccia”, che nel dialetto parlato presenta una /ç/ aperta ([»bçttSa]) e non potrebbe quindi esibire dittongazione. In qualche caso, inoltre, la dittongazione veniva estesa anche alla /a/, come in [»aittimç] “attimo”.

Meno famose a livello nazionale, ma probabilmente ancora più note a livello locale sono le parodie del cantante comico Tony Tammaro, personaggio quasi celebre in Campania . Nel suo repertorio sono presenti alcune canzoni in puteolano, come Puzzulan rap, il rap dei pescatori puteolani, o come Dint’ a terra ‘e zio Tobia, parodia di Nella vecchia fattoria, dove gli animali cantano in puteolano, e per fare un esempio il gallo fa “chicchiricai”. Capolavoro di questa serie è I’ port ‘u tre raut’, nella quale i dittonghi del puteolano richiamano le sonorità dell’inglese americano e del blues. In queste canzoni la resa dei timbri è molto più realistica di quella di Paolantoni, forse anche perché si tratta di testi rivolti a un pubblico locale, tuttavia sono presenti le stesse sovraestensioni dei dittonghi. Ad esempio, viene fatta dittongare la parola “rota” (< lat. rŏta(m)), che a Pozzuoli non può essere coinvolta da dittongazione. Inoltre, i dittonghi vengono estesi dalla posizione prepausale anche a posizioni interne: ad esempio vi sono espressioni del tipo [i »p´iSS´ »v´iv´] “i pesci vivi” o [a rum»m√In´k amma»t´in´] “la domenica mattina”, dove entrambi gli elementi del sintagma dittongano, mentre solo il secondo elemento di questi sintagmi potrebbe dittongare in puteolano.

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2.3. I segni dello stigma non scompaiono se si passa ad analizzare i giudizi espliciti che gli stessi puteolani hanno del loro dialetto. Le osservazioni che presento sono emerse da lunghe ore di parlato spontaneo, raccolte con la tecnica dell’intervista libera. Non è stato formulato un apposito questionario di tipo percezionale, ma i giudizi metalinguistici sono emersi perlopiù spontaneamente durante le conversazioni. Molti di questi giudizi sono pienamente negativi: la nostra parlata è fastidiosa,; non si riesce a capire bene; i Napoletani parlano meglio di noi; noi parliamo più “a occhio” . Un altro caso emblematico è quello di un pescatore cinquantenne che si è rifiutato di partecipare all’intervista, sostenendo sostenendo che gli avrebbero dovuto prima cambiare la bocca: [m »anna ka¯»¯a primm a »v√ukk´] (m’hanno ’a cagnà primma a a väocca) ha detto. Un secondo tipo di giudizi, apparentemente meno negativi, difende il puteolano chiamando in causa altri dialetti, come il procidano e il torrese, che sono ritenuti ancora più volgari e sguaiati. Tuttavia, questa strategia di difesa nei confronti dello stigma esterno, implica comunque l’accettazione di un giudizio negativo di fondo sulla propria parlata. Come si vedrà, è completamente diverso il tipo di risposta che danno i belvederesi ai tentativi di stigmatizzazione da parte dei comuni limitrofi.

2.4. Nonostante la stigmatizzazione e gli stessi giudizi dei puteolani, forse si

resterà comunque sorpresi nel sapere che il dialetto di Pozzuoli è praticamente rinnegato da ogni forma d’arte e di scrittura. Il puteolano non compare nelle poesie, non compare in canti popolari, non compare in testi teatrali. O meglio, nel momento in cui il dialetto a Pozzuoli viene messo per iscritto, assume una veste linguistica completamente napoletana e in particolare perde i dittonghi. Un esempio sono i canti popolari puteolani trascritti nel 1898 da Raimondo Annecchino , una delle personalità di maggior rilievo della storia culturale e politica di Pozzuoli. Si tratta in realtà di testi pienamente napoletani, senza tracce né della fonetica né della morfologia del puteolano.

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3. Aspetti sociolinguistici della dittongazione a Belvedere (CS) 3.1 Belvedere è l’unico punto del Tirreno meridionale, insieme con i dialetti

dell’area flegrea, a presentare la dittongazione spontanea in maniera robusta. Il comune si trova in mezzo a due importanti isoglosse (cfr. Trumper 1997): a sud della linea Diamante-Cassano, che è il limite nord del sistema vocalico dell’area Lausberg, per cui Belvedere non presenta vocalismo tonico sardo, ma presenta vocalismo siciliano; e subito a nord della linea Cetraro-Bisignano-Melissa, per cui questo dialetto presenta riduzione della atone finali a schwa. Si tratta dunque di un’area di transizione di notevole interesse dialettologico.

Il sistema vocalico tonico belvederese, come si diceva, è quello siciliano. Questo sistema di base è stato poi modificato dalla metafonia delle vocali medio-basse, che ha dato come risultato non dittonghi ascendenti come in napoletano, ma vocali semplici /i/ e /u/. La dittongazione spontanea agisce su questo sistema in maniera molto interessante: il fenomeno coinvolge le /i/ e /u/ primarie, ma non coinvolge le /i/ e /u/ che risultano da metafonia. Pertanto, dittongano parole come fail´ “fili” (da ī), pail´ “peli” (da ĭ), tail´ “tela” (da ē), ma non dittongano parole come pid´ “piedi” (da ĕ) che presentano una vocale di origine metafonetica (quindi forme come *paid sono assolutamente non accettabili)2.

2 Questa distribuzione peculiare dei dittonghi a Belvedere è di estremo interesse, sia per la fonologia

sincronica, sia per le implicazioni diacroniche, ma non è possibile approfondire tali aspetti in questa sede.

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Belvedere conta quasi 9000 abitanti (cioè circa 1/9 degli abitanti di Pozzuoli) e si estende in un’area piuttosto vasta di 37 km2. Il suo territorio, infatti, comprende anche un grosso numero di frazioni che dalla collina del centro si estendono nelle campagne circostanti e si inerpicano sul monte La Caccia. Non mi è possibile ripercorrere qui la storia di questo paese, che è stato un importante feudo nel medioevo, ma mi limiterò a ricordare qualche aspetto significativo della storia recente, che è rilevante per quanto si dirà in seguito. Come molti paesi costieri della Calabria, Belvedere ha visto il graduale abbandono del centro storico, e una repentina e spesso disordinata crescita della marina. Il processo è iniziato già nel 1895 con l’apertura del tronco ferroviario Sapri-Reggio Calabria, ma si è intensificato soprattutto nel secondo dopoguerra. Da allora, moltissimi abitanti si sono trasferiti nelle nuove case della marina e il centro storico ha perduto quasi completamente tutti i negozi e le altre attività commerciali (anche se presenta uffici pubblici, poste, scuole etc.). Oggi si stimano vivere stabilmente al centro circa 300 persone, quasi tutti impiegati nel terziario: impiegati pubblici, insegnanti, liberi professionisti, dipendenti delle tre cliniche che il centro ospita, qualche artigiano. La contrapposizione che si osserva oggi tra la marina e il centro antico non potrebbe essere più forte. Una diversa architettura, diversi stili di vita e persino un diverso modo di parlare: le dittongazioni si conservano infatti tra gli abitanti del centro storico e nelle frazioni di campagna e montagna, mentre la marina presenta una parlata diversa, caratterizzata da esiti monottongali.

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3.2. Come si accennava nell’introduzione, aldilà delle somiglianze strutturali del fenomeno dittongazione a Pozzuoli e a Belvedere, il significato sociolinguistico che il fenomeno assume per i parlanti è notevolmente diverso. Esemplare questa osservazione di un parlante belvederese: io credo che a tutti i Belvederesi piace il dialetto belvederese. Se c’è qualcuno che non gli piace, non è di Belvedere.

Si badi che come il puteolano anche il belvederese è stigmatizzato dagli abitanti delle aree vicine, ma quello che è significativo è la maniera molto più positiva con la quale i belvederesi reagiscono allo stigma. Parlando del rapporto con i comuni limitrofi un informatore di Belvedere afferma: a loro ci piace come la dicono loro (riferendosi alla parola), però a noi ci piace come la diciamo noi. Come a Pozzuoli, infatti, si è consapevoli delle diversità delle varie parlate, ma diversamente da Pozzuoli non si accetta nessun giudizio negativo sulla propria parlata. Significativo anche il caso di Silvio, impiegato delle poste, che non può fare a meno di parlare dialetto in ufficio (anche se ha un diploma e padroneggia l’italiano) e che addirittura lo parlava anche quando ha lavorato a Novara, infischiandosene delle prese in giro dei colleghi. Quello che sorprende di più sono però i pregiudizi che gli abitanti del centro hanno su quelli della marina. Così un parlante afferma: quelli della marina è un’altra cosa. Non sono di Belvedere. Dicono ì[»amma »jut´ � »amma v´»nut´]î. Poi in tono quasi scandalizzato aggiunge: ì[»alla ma»rIna]î! Non è che dicono ì[»alla ma»raina]î. Sembra dunque di ritrovarsi in una Pozzuoli “alla rovescia”: in questo caso è addirittura la variante monottongata ad essere stigmatizzata, non importa se essa sia più vicina all’italiano.

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3.3. La piccola comunità di Belvedere è molto legata alle sue tradizioni e al suo dialetto. Un’interessante sezione di un sito internet è dedicata al dialetto belvederese , e diverse compagnie teatrali mettono in scena commedie nel dialetto locale; anche le scuole sono molto attive in questo campo e a fine anno presentano spettacoli spesso incentrati sul dialetto. Negli ultimi anni sono stati stampati anche due volumi di commedie in belvederese, a cura di un’autrice locale, che ho potuto leggere e studiare3. Queste commedie sono in una veste quasi integralmente dialettale. Il dialetto è pieno di arcaismi e molto connotato in senso locale. La grafia è essenzialmente fonetica: ad esempio viene trascritta sistematicamente la centralizzazione delle vocali atone finali e di alcune pretoniche; oppure si fa una distinzione tra le fricative palatali che derivano dal nesso latino /fl/ (es. u jhaujh “il soffio”) e le fricative postalveolari4.

Quello che più interessa in questa sede è la resa dei dittonghi. L’autrice (come molti parlanti belvederesi) è ben consapevole delle parole che non possono dittongare (per il linguista cioè quelle che derivano da ĕ ed ŏ latine) ed è perfettamente coerente in questo senso (quindi una parola come pid´ “piedi” non dittonga mai nel testo). Per quanto riguarda, invece, le parole che dittongano, viene in genere resa nel testo l’alternanza tra forme dittongate e forme non dittongate in rapporto alla posizione; la dittongazione viene quindi regolarmente bloccata quando una parola potenzialmente dittongante si trova nella posizione debole di sintagmi molto coesi (cfr. GSLID: §12): es. “sicch saicch ”, “gun´ a gaun”, “nivir ´ naivir ”. Tuttavia, i dittonghi sono talvolta estesi a contesti dove generalmente non si ritrovano nel parlato spontaneo (cioè in posizione interna di enunciato). Ad esempio (corsivo mio): “[…] e tta mi vu’ tena allu scaur di tautt ?”; “Da mataina alla saira”. Quindi, come nelle parodie del dialetto di Pozzuoli, anche qui i dittonghi tendono ad essere estesi in posizioni prosodiche che generalmente non li ammettono nel parlato, ma il significato sociolinguistico di questa operazione è chiaramente differente: in questo caso la sovraestensione dei dittonghi non ha alcun intento parodistico, ma risponde semmai a un’esigenza di esaltazione dell’identità locale.

3 L’autrice è Olga De Luca, che ringrazio per avermi donato i suoi due bei volumi. 4 Non sembra esserci stato un modello letterario per la scelta delle grafie fonetiche. Molte soluzioni

cambiano infatti dalle commedie del 2001 a quelle del 2003. Ad esempio lo schwa nel 2001 veniva reso col simbolo ¢, mentre nel 2003 si usa il simbolo IPA.

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4. Discussione In questo ultimo paragrafo vorrei ricapitolare certe caratteristiche

sociolinguistiche delle due comunità analizzate e precisare alcuni dati. L’analisi si è basata su un corpus di parlato spontaneo di circa 21 ore, con 15 parlanti per Pozzuoli e 10 per Belvedere (più una raccolta di materiale scritto, audio e video). Le persone intervistate a Pozzuoli erano perlopiù pescatori o persone legate al mondo della pesca e avevano un livello di istruzione molto basso, o nullo (si trattava in effetti del gruppo sociale ideale a Pozzuoli per la raccolta dei dittonghi). I parlanti intervistati a Belvedere erano invece perlopiù impiegati, con una licenza media o un diploma di scuola superiore (avevano cioè le caratteristiche tipiche degli abitanti del centro storico).

Già questi pochi dati forniscono spunti importanti per capire il diverso atteggiamento nei confronti del dialetto. A Pozzuoli, come si è visto, il dialetto più marcato in senso locale, caratterizzato dai fenomeni di dittongazione, è inevitabilmente una marca di disagio economico e di basso grado di istruzione. I pescatori intervistati vivono il loro dialetto come un handicap in certe situazioni, perché come essi stessi affermano, si trovano in difficoltà “quando aprono la bocca”. Ben diversa la situazione nel centro di Belvedere, dove persone mediamente benestanti e con una buona padronanza dell’italiano, possono godersi il privilegio di parlare ANCHE il dialetto.

L’altro elemento determinante nel differenziare le due situazioni sociolinguistiche

è sicuramente la presenza di Napoli. Napoli influenza la parlata puteolana innanzitutto in variazione diafasica: in condizioni ritenute più formali i puteolani continuano a parlare dialetto, ma reprimono le caratteristiche più marcate in senso locale, primi fra tutti i dittonghi . L’influenza del napoletano è poi determinante nella questione dell’emersione vs. censura dei dittonghi nello scritto. La poesia e il teatro napoletani, da Di Giacomo a Edoardo (per citare i più noti) hanno consolidato una tradizione che fagocita inevitabilmente alcune peculiarità degli altri dialetti.

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Chi scrive in dialetto si forma su questi modelli e in seguito difficilmente se ne discosta. Dall’altro lato, la situazione calabrese non presenta nulla di lontanamente paragonabile. In un articolo del 2003 Trumper e Maddalon caldeggiavano la formazione di una koiné, per dare slancio alla letteratura dialettale calabrese, ma al momento tale koiné non esiste. La scrittrice di commedie in belvederese non ha un modello da seguire e, come accennato, si ritrova a cambiare scelte grafiche di anno in anno. Quando sceglie poi di riportare le forme dittongate nello scritto non deve certo scontrarsi con un tradizione del peso di quella napoletana.

Giovanni Abete Bibliografia Abete, G. (ics) (2006), “La variabilità delle realizzazioni vocaliche nel dialetto di

Pozzuoli”. Bollettino Linguistico Campano, 9/10. Annecchino, R. (1899), Tre canti popolari puteolani. Napoli, Stab. Tip. Pierro e

Veraldi. De Blasi, N. (2001), “Usi e riusi di italiano napoletano e campano”, in: Fusco

F./Marcato C. ed., L'italiano e le regioni, Atti del Convegno di studi di Udine 15-16 giugno 2001, Numero monografico di "Plurilinguismo.Contatti di lingue e culture", 8, pp. 89-109.

De Luca, O. (2001/2003), Teatro, Vol. 1-2. Rende (CS), Nuova Arintha Editrice. Trumper, J. B. (1997), Calabria and southern Basilicata, in: Parry, M. M./Maiden,

M. ed. The dialects of Italy. London, Routledge: 355-364. Trumper, J. B./Maddalon, M. (2003), Dialetto e teatro. Problemi generali e

specifici, in: Valentini V. ed. (2003), Teatro Calabrese. JACA, Vibo Valentia: 173-196.