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Carla Ceraldi Liana Dodaro Maria Lippiello Meccanica dei sistemi rigidi

Meccanica dei sistemi rigidi - Aracne editrice · terminano la vita statica di un edificio rende puramente illusoria, almeno allo 1 E. TORROJA, La concezione strutturale, Città Studi

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Carla CeraldiLiana Dodaro

Maria Lippiello

Meccanicadei sistemi

rigidi

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2412–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2009

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INDICE

PREMESSA 11

1. DALLA REALTA’ AL MODELLO 1.1. Introduzione 25 1.2. Modello sperimentale 29 1.3. Modello teorico 30 1.3.1. Modello geometrico 31 1.3.2. La trave 31 1.3.3. I vincoli 33 1.4. Individuazione delle azioni agenti sulla struttura 34 1.5. Comportamento meccanico del materiale 35

2. LA CINEMATICA DEI CORPI RIGIDI 2.1. Introduzione 45 2.2. Punto mobile 47 2.2.1. Spostamento del punto 48 2.2.2. Spostamento infinitesimo del punto 49 2.3. Insieme discreto di punti 50 2.3.1. Gradi di libertà di un sistema 52 2.3.2. Spostamento relativo 522.4. Sistemi continui 52 2.5. Sistemi vincolati 54 2.6. Corpo rigido 56 2.6.1. Moto del corpo rigido 61 2.6.2. Moto infinitesimo di un corpo rigido 63 2.7. Centro assoluto di rotazione 66 2.7.1. Unicità dell’asse di rotazione 68 2.8. Moto rigido piano infinitesimo 68 2.9. Diagrammi di spostamento 70 2.10. Sistemi meccanici 71 2.10.1. Metodo grafico – catene cinematiche 76 2.11. I vincoli esterni 80

Indice 8

2.12. I vincoli interni 91 2.13. Distorsioni esterne 93 2.14. Distorsioni interne 97 2.14.1. Distorsioni termiche 102 2.15. Problemi di esistenza ed unicità della soluzione 105 Note al capitolo 2 107

3. LA STATICA DEI CORPI RIGIDI 3.1. Introduzione 115 3.2. Cenni storici sull’equilibrio dei corpi 116 3.3. Le leggi della meccanica 119 3.4. Equilibrio di un punto 121 3.5. Equilibrio di un sistema continuo 125 3.6. Equilibrio del continuo rigido 129 3.7. La statica delle travi 131 3.8. I sistemi meccanici 134 3.9. I sistemi piani 137 3.10. I vincoli esterni 139 3.11. I vincoli interni 146 3.12. I carichi 147 3.13. Relazioni carico – taglio – momento 154

4. L’APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DEI LAVORI VIR-TUALI NEI CORPI RIGIDI 4.1. Introduzione 157 4.2. Il concetto di lavoro 157 4.3. Spostamenti virtuali 159 4.4. Lavoro virtuale 160 4.5. Principio dei lavori virtuali 161 4.6. Incremento del lavoro virtuale 163 4.7. Teorema degli spostamenti virtuali 166 4.8. Teorema delle forze virtuali 168 4.9. Applicazioni del Teorema degli spostamenti virtuali 170

Indice 9

4.9.1. A. Problemi di esistenza dell’equilibrio 170 4.9.2. B. Problema di ricerca di reazioni vincolari 172 4.10. Applicazioni del Teorema delle forze virtuali 175 4.10.1. A. Problemi di esistenza del cinematismo 175 4.10.2. B. Problemi di ricerca degli spostamenti 177

5. LA STABILITA’ DELL’EQUILIBRIO NEI CORPI RIGIDI 5.1. Introduzione 181 5.2. Verifica della stabilità dell’equilibrio di sistemi labili con il

principio dei lavori virtuali 186 5.3. Verifica della stabilità dell’equilibrio di sistemi labili con la

funzione potenziale 192 Note al capitolo 5 198

APPENDICI A1 I vettori liberi 201 A2 I vettori cursori 223

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1. Dalla realtà al modello

1.1 Introduzione

Ciascun materiale ha un suo carattere specifico ed ogni forma implica un suo particolare assetto statico[…]. La nascita di un complesso strutturale, risulta-to di un processo creativo, fusione di arte e di tecnica, d’ingegno e di ricerca, d’immaginazione e di sensibilità, va oltre il regno della logica pura per varca-re le arcane frontiere dell’ispirazione. Gli schemi di calcolo sono preceduti e dominati dall’idea che modella il materiale in forma resistente e lo adegua al-la sua funzione.

Per concepire o progettare delle strutture, o, in linea più generale delle co-struzioni, è necessario anzitutto riflettere per valutare le cause profonde, la ragione d'essere, della loro maggiore o minore attitudine resistente. Noi vo-gliamo qui mettere a fuoco la questione, prescindendo da tutti gli aspetti se-condari e, in special modo, da tutto quanto si riferisce ai procedimenti di cal-colo o ai valori numerici; considereremo quindi il problema solo da punti di vista generali e qualitativi. E’ infatti assurdo scendere al quantitativo, se non si ha la sicurezza di avere collocato l’insieme nei giusti limiti. Succede trop-po spesso che si cominci a calcolare la trave numero uno senza avere prima stabilito se la costruzione deve o meno comportare delle travi 1.

Le due frasi, tratte rispettivamente dalla dedica e dal primo capitolo dell’ormai famoso testo di Torroja, esprimono con chiarezza l’intento dell’autore: denunciare il pericolo che corre il processo progettuale quando il metodo di calcolo prevale sul momento creativo, al fine di evitare che lo strumento numerico diventi talmente condizionante da annientare l’inventiva del progettista. E’ interessante che simile istan-za sia formulata da un ingegnere e sia rivolta soprattutto a colleghi in-gegneri, affinché il cumulo di nozioni non li renda immemori della lo-ro responsabilità di artefici.

E’, inoltre, significativo che analoghe osservazioni siano presenti nel saggio di Nervi “Scienza o arte del Costruire?”, in cui si legge:

Il costruire è arte anche in quei suoi aspetti più tecnici che si riferiscono alla stabilità strutturale, in quanto che la enorme complessità dei fattori che de-terminano la vita statica di un edificio rende puramente illusoria, almeno allo

1 E. TORROJA, La concezione strutturale, Città Studi Edizioni, Milano 1995, p.3.

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stato attuale, l’esattezza di indagine di qualunque procedimento matematico e formalistico, la cui limitata acutezza può solamente essere aumentata e com-pletata mediante un lavorio di intuizione e comprensione dei fenomeni statici, di natura personale e non traducibile in leggi di carattere assoluto e numerico. Si può anzi affermare che l’applicazione della ricerca teorica a base matema-tica allo studio dell’equilibrio interno dei sistemi resistenti, iniziata nel secolo scorso e via via ampliata fino a raggiungere l’attuale notevole sviluppo se ha portato un formidabile aiuto alla soluzione dei problemi statici, ha inevita-bilmente contribuito ad inaridire le fonti dell’intuizione e della sensibilità sta-tica, favorendo quel distacco tra mentalità matematico–tecnica e mentalità in-tuitivo–artistica che, consacrato nella divisione scolastica tra ingegneri e ar-chitetti, va considerato come una delle cause non ultime dalla crisi in cui da diversi decenni si dibatte l’architettura.2

Nella Avvertenza Nervi, però, si rivolge agli architetti invitandoli ad arricchire il loro patrimonio tecnico–scientifico e ad approfondire la scienza dei materiali, precisando che

Da questa maggior conoscenza e comprensione della resistenza ed equilibrio dei materiali e delle forze, si svilupperà naturalmente quella “sensibilità stati-ca e costruttiva” che è la insostituibile base del corretto costruire, mentre la fredda, impersonale, eminentemente formalistica scienza delle costruzioni, vivificata dalla intuizione e dalla fantasia, diventerà la fervida ispiratrice di una veramente sentita ed espressiva “arte del costruire.3

Analogamente, il passo di Gropius, riportato nella premessa, de-nuncia come la ruggine antica dell’architetto con le discipline mate-matiche lo abbia spesso estromesso dalla progettazione della struttura, generando una artificiosa “divisione di compiti” tra l’architetto, idea-tore di forme controllate staticamente solo per via intuitiva, e l’ingegnere, calcolatore di elementi strutturali preconfezionati e, tal-volta, non ottimali. Tale “divisione di compiti”, apparentemente e-spressiva delle differenti anime degli specialisti, si traduce, di fatto, in una pericolosa scorciatoia che frammenta l’unità dell’atto progettuale all’interno del quale la piena consapevolezza del comportamento strut-turale costituisce un aspetto primario.

2 P. NERVI, Scienza o arte del Costruire?. Caratteristiche e possibilità del cemento armato,

Città Studi Edizioni, Milano 1997, pp. 9–10. 3 Ivi, p. 5.

Dalla realtà al modello

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Da qui la necessità di ricucire la frattura tra ingegneria ed architet-tura generatasi nel XIX sec. ricreando un linguaggio comune che con-senta ai differenti specialisti che collaborano alla stesura del progetto di interagire consapevolmente: solo così forma e struttura ritorneranno ad essere, come nel passato, frutto di un atto creativo unitario.

Ogni costruzione è una realtà complessa che soddisfa molteplici i-stanze. Se si osserva il patrimonio esistente si nota che le fabbriche differiscono per forma, aspetto o materiale a seconda della funzione che dovranno svolgere e, a parità di funzioni, per l’epoca della realiz-zazione, le tradizioni costruttive locali, la formazione culturale del progettista ecc. A volte, osservando un manufatto, è facile leggere lo scopo per cui è stato costruito e comprendere il ruolo dei suoi compo-nenti, altre volte assai meno.

Alla luce di quanto premesso, i primi passi necessari per una corret-

ta progettazione della struttura sono: ⎯ individuazione della più opportuna tipologia strutturale; ⎯ decomposizione della struttura in elementi portati e portanti; ⎯ individuazione delle azioni su di essi agenti; ⎯ analisi delle proprietà del materiale con cui ogni singolo ele-

mento strutturale è realizzato.

Si consideri, ad esempio, il progetto di Santiago Calatrava per la stazione ferroviaria Stadelhofen di Zurigo, caratterizzata da tre livelli.

La copertura del livello inferiore, che sostiene il piano dei binari, è realizzata con potenti nervature in cls armato. Pilastri–mensole in ac-

Figura 1.1 Stazione Stadelhofen di Zurigo, 1990. http://google.it.

Capitolo 1 28

ciaio sono i supporti del terzo livello per la cui tettoia sono utilizzate leggere membrature in acciaio (v. Fig. 1.1).

In questo progetto l’impiego di materiali differenti sottolinea il ruo-lo associato ai singoli elementi strutturali costituenti l’opera.

Seguendo la “lezione galileana” lo scopo ultimo è “sapere prima di

fare”; a tal fine è necessario procedere per modelli, siano essi speri-mentali o teorici. E’ questo l’approccio della progettazione strutturale: analizzare il comportamento atteso di una struttura in presenza di cau-se note al fine di controllarne le prestazioni in termini di equilibrio, re-sistenza, deformabilità.

La struttura reale, prototipo, è rappresentata attraverso un modello, che ne simula il comportamento tramite la valutazione di quei parame-tri che una conoscenza preliminare del fenomeno fisico da studiare permette di ritenere efficaci allo scopo prefisso. Per condurre un’analisi su modello è dunque necessario preliminarmente individua-re le variabili fondamentali per la descrizione del fenomeno fisico che si intende studiare, e progettare il modello in modo tale che siano ri-spettate le regole della similitudine. In particolare il concetto di simili-tudine si esplicita nell’asserto che due fenomeni sono simili se le ca-ratteristiche dell’uno, prototipo, possono essere desunte dalle caratte-ristiche corrispondenti dell’altro, modello, attraverso una conversione, per mezzo di semplici fattori di scala.

L’individuazione delle variabili fondamentali è sempre preceduta dall’adozione di un modello teorico a cui ascrivere il problema struttu-rale in esame. Scelto il modello teorico si cerca di ridurre il fenomeno ad un problema analitico ben determinato, descritto da equazioni nelle variabili fondamentali del problema. In tal caso si fa ricorso alla simi-litudine matematica e si perviene a modelli matematici consistenti in equazioni basate su leggi e principi generalmente corrispondenti ad assunti semplificativi.

Quando tali equazioni sono risolvibili forniscono il comportamento del prototipo così come rappresentato dal modello matematico. Quan-do non è nota la descrizione analitica del problema, o qualora si voglia valutare l’attendibilità di una data modellazione matematica del pro-totipo, è necessario ricorrere al modello sperimentale.

Dalla realtà al modello

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Naturalmente la similitudine non è perfetta e nella sua costruzione si introducono notevoli approssimazioni, che per il modello matemati-co interessano sia la fase di formulazione che eventualmente quella di soluzione dell’associato problema analitico. Nel caso del modello spe-rimentale le approssimazioni rientrano nella costruzione del modello, nelle modalità di prova ed ancora nell’interpretazione dei risultati.

1.2 Modello sperimentale

I primi dati sulla resistenza delle strutture furono ottenuti dalla spe-rimentazione su scala reale quando ancora non esisteva una teoria; in-fatti, come già ricordato, il primo approccio alla predeterminazione degli effetti conoscendo le cause che agiscono su una struttura, che è sostanzialmente l’impostazione della moderna Scienza delle Costru-zione, si deve a Galilei, che studiò sperimentalmente il comportamen-to a rottura di travi in legno inflesse per pervenire ad una formulazione teorica.

Perché fosse possibile studiare il comportamento di strutture in campo elastico era però necessario che fossero messi a punto gli stru-menti per la lettura delle deformazione, e ciò non avvenne che alla fi-ne del secolo diciannovesimo. Si trattava comunque di sperimentazio-ni su modelli strutturali a scala reale, cioè copie di parti della costru-zione o dell’insieme complesso, o comunque a scala ridotta ma suffi-cientemente grande da consentire l’impiego di tali misuratori. Soltanto l’invenzione di misuratori di deformazione di piccole dimensioni, consentì la sperimentazione su modelli in scala ridotta.

Prima che fosse sviluppato il calcolo automatico, che oramai con-sente con un appropriato modello numerico l’analisi di strutture anche molto complesse, l’impiego di modelli in scala ebbe un grande svilup-po4. Tuttavia, ancora oggi, solo il modello in scala può, se ben proget-tato e con una corretta interpretazione dei risultati, descrivere l’influenza di alcune caratteristiche della struttura difficilmente ripro-ducibili nella modellazione numerica, quali il grado di connessione tra

4 G. COLONNETTI, Scienza delle Costruzioni. La Tecnica delle Costruzioni, realizzazione

di P. Nervi, E. Torroja e G. Oberti Vol.III, Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino 1957.

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le parti, la presenza di discontinuità materiali, di aperture, di inclusio-ni, ecc..

Il vero grosso limite della sperimentazione su modello, reale so-prattutto, ma anche in scala ridotta, è l’elevato costo di una campagna sperimentale che sia sufficientemente ampia da garantire una buona attendibilità nell’interpretazione dei risultati.

Nel modello si introducono materiali, condizioni di vincolo, moda-lità esecutive e modalità di carico che tendono a riprodurre più reali-sticamente possibile le condizioni di esercizio reali del prototipo, an-che se parallelamente comportano un allontanamento dai risultati ana-litici ed una certa dispersione dei risultati stessi.

L’adozione per il modello dello stesso materiale del prototipo non è sempre la scelta più conveniente in quanto l’individuazione del mate-riale più idoneo è legata alle sue caratteristiche reologiche, da rappor-tare alle caratteristiche del materiale del prototipo, alla scala geometri-ca ed al fenomeno fisico che si intende modellare. Per i modelli elasti-ci è abbastanza semplice scegliere un materiale sufficientemente de-formabile, mentre per i modelli a rottura è necessario controllare l’intera legge di comportamento del materiale e non soltanto quella in fase elastica. Modelli che utilizzano lo stesso materiale dei prototipi sono generalmente di dimensioni abbastanza grandi per poter ripro-durre più fedelmente le caratteristiche del prototipo, ad esempio i giunti bullonati o saldati nel caso dell’acciaio, la granulometria dei materiali miscelati, come le malte od i calcestruzzi, il rapporto dimen-sionale tra elemento lapideo e giunto di malta nelle murature.

1.3 Modello teorico

In funzione dell’ambito teorico in cui il problema reale ricade, que-sto viene decomposto negli elementi fondamentali e ciascuno di essi viene opportunamente modellato. Un modello teorico, per quanto semplice, presuppone la caratterizzazione geometrica degli elementi strutturali, la descrizione del comportamento meccanico del materiale e l’individuazione delle azioni agenti sulla struttura.

Dalla realtà al modello

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1.3.1 Modello geometrico

I passaggi elementari necessari alla costruzione del modello geo-metrico sono così sintetizzabili: ⎯ individuare le parti portanti; ⎯ decomporre il sistema in elementi semplici; ⎯ schematizzare gli elementi; ⎯ schematizzare i collegamenti.

In questa sezione si descrive la schematizzazione della tipologia di elemento strutturale più ricorrente5 – la trave – e la schematizzazione dei collegamenti.

1.3.2 La trave

Si definisce trave un solido generato dalla traslazione di una figura piana – sezione retta –6 di baricentro G, (v. Fig. 1.2) in cui d L , do-ve L è la lunghezza della trave e d il diametro della circonferenza in cui può essere iscritta la sezione retta.

5 Ugualmente ricorrenti nella Scienza delle Costruzioni sono le schematizzazioni di pareti,

orizzontamenti, volte e cupole mediante superfici piane – lastre, piastre – e curve – membra-ne, gusci – la cui descrizione si omette perché non utilizzata nei capitoli successivi.

6 Questa definizione tiene conto delle caratteristiche geometriche del solido e non della funzione che l’elemento trave svolge all’interno dell’organismo strutturale. Il termine quindi in questa accezione ingloba sia le travi propriamente dette, a cui è affidato il compito di as-sorbire e trasmettere i carichi agli elementi sottostanti, sia i pilastri, il cui compito è quello di trasferire in fondazione i carichi su di essi agenti.

G. L

d

Figura 1.2 Solido trave.

Capitolo 1 32

In base alla forma ed alle dimensioni della sezione retta le travi si definiscono a sezione costante o variabile, a seconda che queste carat-teristiche della sezione trasversale rimangano immutate lungo L, (v. Fig. 1.3a), oppure varino con continuità, (v. Fig. 1.3b).

Una ulteriore classificazione delle travi può essere fatta tenendo conto della forma della linea d’asse: rettilinea (v. Fig. 1.3a), curva (v. Fig. 1.3c) o sghemba (v. Fig. 1.3d).

Da un punto di vista operativo la trave si modella con la linea de-

a) b)

c) d)

Figura 1.3 Diverse tipologie di trave http://google.it.

G

G

G

G

L

Figura 1.4 Linea d’asse.

Dalla realtà al modello

33

scritta dal baricentro della figura piana durante la traslazione – linea d’asse (v. Fig. 1.4) – su cui si applicano le condizioni di carico e di vincolo che in realtà agiscono all’interno del solido o sulle superfici laterali7.

1.3.3 I vincoli

Una struttura è concepita e realizzata come un assemblaggio di e-lementi strutturali indipendenti ed opportunamente collegati; l’assemblaggio è realizzato mediante dei dispositivi – i vincoli –, atti a collegare un elemento strutturale con un altro elemento o con il suolo. Essi sono, quindi, meccanismi che limitano in tutto o in parte le possi-bilità di spostamento tra le parti. In generale tali limitazioni non sono indipendenti dalle entità dei carichi: lo diventano solo nel caso in cui la rigidità degli elementi vincolanti è tanto maggiore di quella degli elementi vincolati da consentire di assumere i primi indeformabili.

Per modellare il vincolo è necessario individuare quali spostamenti impedisce, in relazione all’ambito teorico in cui si opera ed alla tecno-logia con cui è stato realizzato. Per esempio, la presenza di attrito tra le parti a contatto – vincolo scabro – comporta una variazione degli spostamenti impediti in funzione delle condizioni di carico; viceversa l’assenza di attrito – vincolo liscio – permette di definire gli sposta-menti impediti indipendentemente dalle condizioni di carico.

La schematizzazione teorica dei vincoli è sufficientemente rispon-dente al comportamento reale di un collegamento solo per alcuni ma-teriali, come l’acciaio; in molti casi il comportamento reale di un col-legamento è modellato in modo più o meno perfetto in relazione alla tecnologia utilizzata.

La caratteristica comune a tutti i vincoli è che la loro presenza si modella matematicamente con una condizione sul possibile moto degli elementi collegati. Nell’ipotesi di sistemi di travi il loro collegamento è espresso da una relazione tra gli spostamenti dei punti delle linee d’asse a contatto. L’esplicitazione delle relazioni matematiche dei vin-coli più ricorrenti è sviluppata nel Cap. 2 a cui si rimanda per una trat-tazione più dettagliata.

7 Questa approssimazione comporta un errore trascurabile essendo per ipotesi d L .

Capitolo 1 34

1.4 Individuazione delle azioni agenti sulla struttura

La determinazione delle azioni agenti su una struttura, la cui natura ed entità variano in funzione della configurazione della struttura, dei materiali impiegati e della sua collocazione, costituisce un problema di notevole complessità ed importanza. Si può dire, infatti, che è pro-prio la presenza di tali azioni, ed in particolare dei pesi, che ha stimo-lato l’uomo nel corso del tempo a perfezionare le proprie costruzioni, realizzando forme di straordinaria bellezza, ma soprattutto cercando di dare alle costruzioni un corpo robusto capace di resistere alle azioni e di durare così nel tempo.

La comprensione del ruolo delle azioni sulla resistenza e sulla dura-ta di una costruzione è subordinata alla seguente caratterizzazione del-le azioni: ⎯ i pesi, le spinte dei liquidi e dei materiali sciolti, l’effetto degli a-

genti atmosferici e dei terremoti, i cedimenti del suolo, le varia-zioni di volume prodotte dalle variazioni di temperatura o conse-guenti alla natura intrinseca dei materiali (ad esempio, il ritiro dei materiali cementizi) sono le azioni a cui la struttura deve resistere;

⎯ le azioni prodotte da fenomeni di natura fisica (abrasioni, urti) o chimica (aggressioni di sostanze), sono azioni che possono ridurre la durata della struttura, producendone un degrado.

In quanto segue, si parlerà delle azioni ricadenti nella prima catego-ria8 e si farà una distinzione tra azioni esprimibili tramite forze ed a-zioni esprimibili tramite spostamenti. La distinzione è legata al fatto che le prime provocano sempre nella struttura uno stato di sforzo, al quale consegue inevitabilmente uno stato di deformazione, mentre le seconde provocano sempre spostamenti ma possono non dar luogo ad alcuno sforzo.

Inoltre le condizioni di carico della struttura possono variare lenta-mente, rendendo trascurabili gli effetti d’inerzia – legge di carico qua-si statica –, oppure variare rapidamente nel tempo: nell’approccio

8 In realtà, è necessario tenere conto anche delle azioni di natura chimico–fisica e

dell’interazione tra le due. Per i restauri strutturali ciò costituisce un principio avente validità generale.

Dalla realtà al modello

35

classico la struttura è proporzionata considerando condizioni di carico quasi statico.

Tutte le azioni che influenzano il comportamento della struttura vengono introdotte nel modello teorico attraverso combinazioni lineari ottenute con il ricorso a coefficienti definiti su base semi–probabilistica. Infatti, la Normativa Europea – gli Eurocodici – che re-gola la progettazione strutturale è concepita su base prestazionale in cui l’efficienza di una struttura è valutata in termini delle prestazioni attese. In particolare, con riferimento alle azioni esterne, le combina-zioni più sfavorevoli sono valutate in rapporto ai rischi conseguenti al danneggiamento totale o parziale della struttura in esame ed alla pro-babilità che le suddette azioni si combinino nella maniera più sfavore-vole.

1.5 Comportamento meccanico del materiale

Con il termine comportamento meccanico si intende la caratteriz-zazione della risposta che ciascun materiale presenta se sollecitato da un’azione esterna. Tale caratterizzazione si effettua con una campagna di prove sperimentali, programmata in base alle proprietà meccaniche più rilevanti ai fini del previsto impiego strutturale, e con la successiva analisi statistica dei risultati.

Per esemplificare l’approccio sperimentale per la caratterizzazione meccanica del materiale si fa riferimento alla prova a trazione per pro-vini di acciaio dolce.

La prova si effettua su un campione di materiale prismatico o cilin-drico, di lunghezza adeguata9, fissato ai suoi estremi nelle ganasce della macchina da prova – macchina universale –, che esercita sull’elemento un carico di trazione crescente staticamente10 a partire dal valore nullo.

9 Nelle zone prossime ai morsetti il comportamento del provino è fortemente condizionato

dal fissaggio. E’ quindi necessario che la lunghezza del campione sia tale da consentire un tratto sufficientemente ampio di comportamento libero.

10 Per carichi crescenti staticamente si intendono quei processi di carico i cui incrementi sono tanto lenti da indurre accelerazioni trascurabili.

Capitolo 1 36

All’aumentare della forza F si riscontra un incremento – ΔL – della lunghezza iniziale L0 ed un restringimento – ΔA – della sezione tra-sversale iniziale A0. I valori di ΔL e ΔA dipendono dalle dimensioni originarie del provino e, di conseguenza, variano al variare delle stes-se; per rendere i risultati dipendenti esclusivamente dalle proprietà meccaniche del materiale (ma indipendenti dalla geometria del cam-pione testato) si introducono le grandezze: ⎯ σ = F/A0 tensione (sforzo agente sull’unità di superficie); ⎯ ε = ΔL/L0 deformazione assiale (variazione di lunghezza di un

elemento unitario). Durante lo svolgimento della prova la macchina restituisce un gra-

fico in cui in ascissa è riportato lo spostamento della traversa e in or-dinata la corrispondente forza registrata, (v. Fig. 1.5). Tale diagram-ma, normalizzato ricorrendo alle grandezze sopra definite, fornisce una rappresentazione del comportamento meccanico del materiale.

Figura 1.5 Diagramma normalizzato restituito dalla macchina universale

Dalla realtà al modello

37

Dall’osservazione di un diagramma tipo, riportato in Fig. 1.6, si no-ta che in un primo tratto, corrispondente al segmento OP, l’andamento è lineare – ε è direttamente proporzionale a σ –.

Oltre il punto P, cui corrisponde il carico di proporzionalità σP, l’andamento del diagramma è curvo e le deformazioni crescono più rapidamente delle tensioni, fino al punto E, cui corrisponde la tensione σE; per valori di tensione σ< σE, scaricando il provino, non si rilevano deformazioni residue apprezzabili: in questa fase il comportamento del materiale si definisce elastico ed il valore σE costituisce la tensio-ne limite elastica.

Superato il punto E, si riscontra una breve fase in cui le deforma-zioni crescono a carico pressoché costante fino al punto S cui corri-sponde il valore di tensione σS – tensione di snervamento – . Al cre-scere del carico, a piccoli incrementi di tensione corrispondono forti deformazioni (ramo S–R), fino alla rottura del provino, cui corrispon-de il valore di tensione σR. Se, a partire da un valore di tensione σ (ta-

O

PE S

R

ε=ΔL/L0

σ=F/A0

σP

σE

σR

εPl

εE εR

Figura 1.6 Diagramma tensione – deformazione tipo.

Capitolo 1 38

le che σΕ< σ< σR) si inizia a scaricare il provino, il diagramma ha un andamento sensibilmente parallelo a quello del tratto iniziale e, per σ=0, conserva una deformazione residua irreversibile εPl: in questa fa-se il comportamento del materiale si definisce plastico.

Ricaricando, per 0< σ< σ, il grafico presenta un andamento lineare; per σ> σ il diagramma si riporta sul tratto S–R che avrebbe descritto senza lo scarico11.

In sintesi è possibile individuare tre campi caratteristici corrispon-denti a tre diverse leggi di comportamento del materiale: ⎯ Campo elastico lineare – in cui le deformazioni sono molto picco-

le, proporzionali alle tensioni e totalmente reversibili. E’ espresso dalla legge

σ=Εε 1.1 in cui E12, modulo di elasticità lineare o modulo di Young, misura il coefficiente angolare della retta OP, è costante e varia al variare del materiale.

⎯ Campo elastico non lineare – in cui si perde la proporzionalità ma non la reversibilità del processo di deformazione.

⎯ Campo plastico – caratterizzato da assenza di proporzionalità e da deformazioni di maggiore ampiezza, in parte irreversibili13.

Una analoga successione di fasi di comportamento generalmente si riscontra nella risposta meccanica di tutti i materiali da costruzione comunque sollecitati. Ogni fase può essere descritta da una legge di comportamento, costruita su alcuni parametri caratteristici e definita da un intervallo di validità.

11 La capacità del materiale di attingere un valore di tensione maggiore quale limite elasti-

co dopo una fase di scarico e ricarico è dovuta al fenomeno di incrudimento. E’ opportuno sottolineare che, poiché le deformazioni plastiche sono irreversibili, in un dato istante del processo di carico di un corpo elasto–plastico, lo stato di tensione e quello di de-formazione dipendono non solo dalla condizione di carico attuale ma da tutta la precedente storia di sollecitazione.

12 Nell’acciaio E=210000 MPa, nel cls E varia da 20000MPa a 45000MPa, nel legno E varia da 10000 a 12000 MPa.

13 La transizione dallo stato elastico a quello plastico, nella realtà, avviene gradualmente. Quando il punto di transizione S non è evidente si fissa convenzionalmente in relazione ad un prefissato valore di deformazione residua.

Dalla realtà al modello

39

L’analisi qualitativa dei diagrammi e la lettura dei valori dei para-metri caratterizzanti del diagramma quali – σP, σR, E – consentono al-cune prime classificazioni dei materiali; questi si definiscono: materiale duttile (v. Fig. 1.7), se ⎯ vale la legge elastico lineare (Eq. 1.1) per un consistente tratto ini-

ziale; ⎯ esiste il fenomeno dello snervamento; ⎯ è presente un forte allungamento plastico prima della rottura.

ε

σσRσP

εRεP

Trazione

Compressione

Figura 1.7 Diagramma tensione– deformazione per un materiale duttile.

materiale fragile (v. Fig. 1.8), se: ⎯ non vale la legge di legame elastico lineare (Eq. 1.1), tranne che

per una breve fase iniziale; ⎯ è assente il fenomeno dello snervamento; ⎯ l’allungamento prima della rottura è piccolo; ⎯ il materiale, in genere, manifesta un comportamento molto diverso

a trazione e a compressione; materiale isotropo, se i valori caratteristici sono insensibili all’orientamento del provino per una data condizione di carico. Ac-ciaio, calcestruzzo e diversi materiali artificiali si possono considerare isotropi;

Capitolo 1 40

materiale anisotropo, se i valori caratteristici sono sensibili all’orientamento del provino. Il più comune materiale anisotropo è il legno: un campione testato con forze parallele alla direzione delle fibre risulta molto più resistente di quando lo si sollecita con forze ortogonali alle fibre; materiale omogeneo se i valori caratteristici non variano al variare del campione utilizzato e, quindi, si possono considerare indipendenti dalla posizione.

Nella pratica si tende a costruire delle leggi di comportamento che, pur rispettando gli aspetti caratteristici del fenomeno, siano descrivibili con strutture matematiche semplici.

Le semplificazioni più usuali consistono nel: ⎯ trascurare il tratto elastico non lineare (in genere poco esteso), facendo

convenzionalmente coincidere la σE con la σP; ⎯ trascurare il tratto E–S, rappresentativo della fase di snervamento del

materiale, assumendo che la fase elastica lineare sia immediatamente seguita dalla fase plastica e, quindi, facendo convenzionalmente coinci-dere la εS con la εP;

⎯ rappresentare il tratto curvo S–R con una spezzata. In tal modo si perviene ai seguenti modelli di comportamento più

ricorrenti.

Figura 1.8 Diagramma tensione–deformazione per un materiale fragile.

ε

g

Compressione

σ

σ−R

σ+R

ε−R

ε+Ρ

Trazione

Dalla realtà al modello

41

Modello elastico lineare Il modello che descrive la fase di comportamento elastico lineare è

rappresentato dal tratto lineare OP della Fig. 1.6 ed è caratterizzato dal valore limite di proporzionalità σp e dal coefficiente angolare E. Materiale elasto–plastico incrudente

Il modello che descrive il comportamento elasto–plastico incrudente è costituito dalle seguenti fasi, (v. Fig. 1.9): ⎯ comportamento elastico lineare (tratto OP) ⎯ snervamento – (P, σP, εP); ⎯ legge del flusso plastico – (tratto PR) – legame costitutivo tra de-

formazione in fase plastica e tensione maggiore della tensione di snervamento.

Tale legge linearizzata è caratterizzata dal coefficiente angolare della retta PR, – Ep, modulo plastico – e dal valore della tensione di rottura σR.

Materiale elastico perfettamente plastico (modello di Prandtl).

Questo modello è adatto per rappresentare quei materiali che hanno un incrudimento trascurabile; si noti che in esso alla tensione σP corri-

ε

σσRσP

εRεP εPl

O

P RC

Figura 1.9 Modello elasto-plastico incrudente.

Capitolo 1 42

spondono infiniti valori di εPl (v. Fig. 1.10). Pertanto σP≡σR ed il com-portamento a rottura del materiale è caratterizzato dal valore di εR – deformazione a rottura – . Materiale rigido perfettamente plastico (modello Levy–Von Mises).

Se inoltre le deformazioni risultano trascurabili, si adotta il modello rigido – perfettamente plastico (v. Fig. 1.11) caratterizzato dai para-metri σR, εR.

ε

σR

εR

O

P R

ε

σ σP R=

εRεP

O

P RC

Figura 1.10 Modello elastico perfettamente plastico

Figura 1.11 Modello rigido perfettamente plastico

Dalla realtà al modello

43

Il modello rigido, che sarà oggetto della trattazione successiva, è un’ulteriore astrazione del modello rigido – perfettamente plastico, conseguente all’ipotesi di un valore infinito del parametro σR.

Quanto detto per la prova mono–assiale può essere esteso a pro-blemi biassiali e triassiali in cui gli stati tensionali σ e gli stati defor-mativi ε sono caratterizzati da più componenti.

In questi casi, la dipendenza tra la componente di tensione σ e di deformazione εPl è espressa mediante la funzione Γ( σ, εPl)14 – funzio-ne di snervamento o di plasticità – che rappresenta l’equivalente del punto P del diagramma di Fig 1.6.

I valori dei parametri caratteristici in cui si identifica il comporta-mento del materiale nelle varie fasi, si ricavano con un’opportuna ana-lisi statistica dei risultati sperimentali. Nella progettazione strutturale, tali valori vengono modulati attra-verso l’adozione di coefficienti che tengono conto della dispersione dei risultati delle prove, strettamente connessa alle proprietà intrinse-che del materiale. Infatti se alcuni materiali, quali ad esempio un ac-ciaio classificato in officina, presentano una ripetibilità dei risultati, altri presentano una grande variabilità di risposta, a parità di condizio-ni di prova, come accade, ad esempio, per il legno e le pietre naturali.

14 La funzione Γ( σ, εPl), in generale, dipende dalle tensioni attuali e dalle deformazioni

plastiche accumulate nei precedenti processi di carico e si assume che la sua dipendenza dalla deformazione plastica sia esprimibile attraverso un solo parametro, per cui può essere espres-sa nella forma Γ( σ)=Κ( σ) εPl.