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Modelli linguistici descrittivi e metodi glottodidattici (D00011) Nicoletta Chiapedi Università per Stranieri di Perugia Pisa, 2009 ISBN: 978-88-6725-014-1 Ultima revisione 28 Ottobre 2013

Metodi Glottodidattici

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Modelli linguistici descrittivi e metodi glottodidattici

(D00011)

Nicoletta Chiapedi

Università per Stranieri di Perugia

Pisa, 2009 ISBN: 978-88-6725-014-1

Ultima revisione 28 Ottobre 2013

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Presentazione del modulo

Questo modulo intende fornire ai corsisti le competenze di base relative all'universo della glottodidattica. Nel corso del modulo verrà inizialmente presentata la terminologia relativa ad alcuni degli aspetti fondamentali di questa disciplina (UD1); segue una sintesi della storia della glottodidattica, che mette in luce gli aspetti più salienti, a livello di teoria e di pratica didattica, dei metodi didattici susseguitisi dalle origini della glottodidattica fino ai giorni nostri (UD2, UD3, UD4 e UD5) .

Il modulo si conclude poi con un'unità (UD6) dedicata ai più recenti sviluppi della disciplina; tale unità sottolinea quali sono al momento attuale gli aspetti fondamentali che un docente di lingua deve tenere in considerazione nell'insegnamento di una lingua straniera, anche alla luce delle indicazioni fornite a livello europeo (6.1 e 6.2), e fa un breve cenno alle possibili prospettive di studio future relative alla ricerca sull'insegnamento e apprendimento di una lingua straniera.

Cos’è l’apprendimento? Come avviene? E per quello che ci interessa, come si ha apprendimento linguistico?

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Guida al modulo

Scopo del modulo

Scopo generale del modulo è quello di fornire al corsista le nozioni di base relative alla glottodidattica; in particolare esso intende portare lo studente a:

- familiarizzare con la terminologia di base utilizzata nei manuali di glottodidattica e utile per capire i temi trattati nel corso del modulo;

- possedere una serie di conoscenze relative ai diversi metodi glottodidattici, che sono presentati nel corso del modulo seguendo un criterio di carattere cronologico. Nello specifico, si vuole che il corsista sia in grado di definire quali sono le caratteristiche principali di ogni metodo presentato, sia a livello teorico che di pratica glottodidattica.

Contenuti del modulo

Il modulo è composto da:

1. il testo delle unità didattiche; 2. due glossari (utili per definire alcuni dei termini utilizzati nel corso del modulo):

- glossario di glottodidattica - glossario di linguistica

3. due schede di approfondimento:

- Motivazioni allo studio dell’italiano - Il percorso europeo verso il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue

Attività richieste

Lettura e studio dei materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi.

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Indice delle unità didattiche

UD 1 - La glottodidattica - nozioni introduttive

La prima unità didattica ha come obiettivo quello di fornire alcune nozioni di base utili per orientarsi nell'universo della glottodidattica.

1.1 - La definizione di glottodidattica

1.2 - La definizione di "metodo", "approccio" e "tecnica" glottodidattica

1.3 - La classificazione dei metodi in glottodidattica

1.4 - Metodi induttivi e deduttivi

1.5 - Osservazioni conclusive

UD 2 - I principali metodi glottodidattici: il primo periodo

In questa unità didattica sono presentati i due metodi che caratterizzano il primo periodo di sviluppo della glottodidattica: quello grammaticale-traduttivo e quello diretto.

2.1 - Il metodo grammaticale-traduttivo

2.2 - Il reading method

2.3 - I metodi diretti

UD 3 - I principali metodi glottodidattici: il secondo periodo

La terza unità si propone di presentare in due metodi principali nati negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, in seguito anche allo sviluppo di due importanti teorie linguistiche: lo strutturalismo e la grammatica generativa.

3.1 - Le principali teorie linguistiche alla base dei metodi glottodidattici

3.2 - Il metodo audio-orale

3.3 - Il metodo cognitivo

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UD 4 - I principali metodi glottodidattici: il terzo periodo

Nel corso della quarta unità sono presentati i metodi glottodidattici nati a partire degli anni Sessanta ponendo particolare enfasi sul concetto di competenza comunicativa e di approccio comunicativo all'insegnamento.

4.1 - La nascita del concetto di competenza comunicativa

4.2 - Gli approcci comunicativi: quadro generale

4.3 - Il metodo situazionale

4.4 - L'approccio nozionale-funzionale

UD 5 - I principali metodi glottodidattici: il quarto periodo

La quinta unità si propone di presentare i metodi nati in seguito al riconoscimento dell'importanza dei fattori psicologici e delle componenti emotive all'interno del percorso di apprendimento di una seconda lingua.

5.1 - I metodi umanistico-affettivi: quadro generale

5.2 - La suggestopedia

5.3 - Il silent way

5.4 - Il Community Language Learning (CLL)

5.5 - Il Total Physical Response (TPR)

5.6 - Il Natural Approach

UD 6 - I principali metodi glottodidattici: gli sviluppi più recenti

L'ultima unità si pone come obiettivo quello di presentare i più recenti sviluppi della glottodidattica, fornendo un quadro dei metodi utilizzati negli anni Ottanta e Novanta e dando indicazioni riguardo ai possibili sviluppi futuri di tale disciplina.

6.1 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: la centralità del discente

6.2 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER)

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6.3 - Sviluppi recenti nel campo dell’insegnamento linguistico

6.4 - La didattica acquisizionale

UD 1 - La glottodidattica - nozioni introduttive

La prima unità didattica ha come obiettivo quello di fornire alcune nozioni di base utili per orientarsi nell'universo della glottodidattica.

1.1 - La definizione di glottodidattica

1.2 - La definizione di "metodo", "approccio" e "tecnica" glottodidattica

1.3 - La classificazione dei metodi in glottodidattica

1.4 - Metodi induttivi e deduttivi

1.5 - Osservazioni conclusive

1.1 - La definizione di glottodidattica

Nonostante la conoscenza delle lingue straniere sia stata un'esigenza sentita in ogni epoca, solo di recente la glottodidattica, cioè la scienza che si occupa dell'educazione linguistica, si è imposta come disciplina indipendente all'interno del panorama scientifico. La glottodidattica si pone oggi come una disciplina di studio indispensabile per chiunque voglia insegnare una lingua, sia essa lingua seconda, L2, o lingua straniera, LS (vedi il glossario): accanto alla pratica didattica messa in atto in classe è infatti necessario che l'insegnante conosca i principali presupposti teorici alla base dei più importanti metodi glottodidattici che si sono susseguiti nel corso degli anni, in modo che i materiali didattici e le metodologie di insegnamento proposte siano scelti da parte del docente in base a criteri fondati.

A causa della complessità dei problemi che deve risolvere, la glottodidattica si configura come una scienza necessariamente interdisciplinare che, nel corso degli ultimi decenni, ha subito l'influenza di numerose discipline: tra esse possiamo citare la linguistica applicata e, in anni più recenti, la psicolinguistica, la neurolinguistica, gli studi sull'interlingua e gli studi relativi alle scienze della formazione. Queste scienze teoriche, seppur esterne all'universo della glottodidattica, forniscono a questa disciplina delle valide "teorie" di riferimento, utili per teorizzare e realizzare i percorsi dell'acquisizione e dell'educazione linguistica (Balboni 2002: 26):

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Fig.1: Le componenti epistemologiche della glottodidattica (l'immagine è tratta da Balboni 2002: 23).

Come osserva inoltre Balboni (Balboni 2002: 25), la glottodidattica ha delle caratteristiche che altri tipi di didattica (ad esempio quella della matematica, della storia dell'arte) non possiedono; essa è infatti caratterizzata dal fatto che:

- il mezzo e il fine coincidono: si insegna la lingua usando la lingua;

- nelle lingue seconde l'input non è fornito solo o primariamente a scuola ma in ogni momento della vita extrascolastica, per cui l'insegnante deve pensare le sue metodologie didattiche in modo da trarre vantaggio dall'esposizione linguistica che avviene all'esterno della realtà della scuola.

1.2 - La definizione di "metodo", "approccio" e "tecnica" glottodidattica

Come ogni altra scienza, anche la glottodidattica si basa su dei fondamenti teorici che, pur essendo esterni all'universo proprio di questa disciplina (Fig. 1), forniscono indicazioni al docente su come operare in classe:

Fig.1: L'universo epistemologico della glottodidattica (l'immagine è tratta da Balboni 2002: 26).

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Le teorie di riferimento vengono poi tradotte nella pratica didattica attraverso la determinazione di un "approccio" (vedi il glossario), termine che fa riferimento alle finalità dell'educazione linguistica e alla filosofia che sta alla base dell'insegnamento-apprendimento linguistico; esso individua le mete e gli obiettivi di tale insegnamento, seleziona i dati e gli impianti epistemologici dalle scienze di riferimento e li organizza poi secondo i parametri propri della glottodidattica. Un approccio può essere valutato in base alla fondatezza scientifica delle teorie esterne alla glottodidattica a cui esso fa riferimento, alla sua coerenza interna e alla sua capacità di generare metodi in grado di realizzare l'approccio stesso.

L'approccio viene poi tradotto nella pratica attraverso un "metodo" (vedi il glossario), che si presenta quindi come la proposta applicativa, un insieme di principi metodologici e glottodidattici che permettono di trasformare l'approccio in una serie di materiali didattici, di modalità d'uso e soprattutto di selezione delle tecniche glottodidattiche adeguate (Balboni 2002: 27). Un metodo viene valutato adeguato o inadeguato rispetto all'approccio che esso vuole realizzare e coerente/incoerente al suo interno.

Le attività o gli esercizi che realizzano in classe le indicazioni del metodo e le finalità dell'approccio sono definiti con il termine di "tecniche glottodidattiche" (vedi il glossario); attraverso di esse, quindi, "le indicazioni del metodo si traducono in atti didattici" (Balboni 1992: 7). Sono tecniche glottodidattiche le spiegazioni, gli esercizi e ogni attività in grado di sostenere l'apprendimento di una lingua; tra esse possiamo citare il cloze, l'abbinamento lingua immagine, l'incastro tra paragrafi (tecniche per lo sviluppo delle abilità di comprensione orale e scritta); le domande aperte o la scelta multipla (tecniche per la verifica delle abilità di comprensione); la drammatizzazione, il dialogo a catena e il roleplay (tecniche per lo sviluppo delle abilità di interazione). Anche le tecniche possono essere considerate coerenti con il metodo e con l'approccio che vogliono realizzare ed efficaci nel raggiungere lo scopo didattico che si propongono.

È comunque necessario sottolineare come non sempre nella storia della glottodidattica i termini "metodo" e "approccio" siano stati usati in maniera coerente; si fa infatti spesso riferimento a teorie dell'educazione linguistica e quindi ad approcci con il termine "metodo", ciò avviene per esempio nel caso dell'approccio grammaticale-traduttivo, spesso definito nei manuali come il "metodo grammaticale-traduttivo". Nel corso di questo modulo verrà adottata la terminologia che si ritrova più frequentemente nei manuali di glottodidattica, per cui si parlerà di "metodo grammatical-traduttivo" (vedi 2.1).

1.3 - La classificazione dei metodi in glottodidattica

Nel corso degli anni i metodi sono stati classificati in base a diversi modelli tipologici, che ne hanno messo via via in luce gli elementi comuni e le sostanziali differenze. Le posizioni su quanti e quali siano i metodi in glottodidattica sono alquanto divergenti, questo perché il discorso metodologico-glottodidattico è estremamente complesso; per tale motivo è quindi necessario individuare alcuni parametri fondamentali che permettano di definire una tipologia dei metodi. Porcelli (Porcelli 1994) ne ha individuati alcuni fondamentali:

- la teoria linguistica a cui si richiama il metodo (si hanno così gli approcci formali, strutturali, generativo-trasformazionali ecc.). Nella storia della glottodidattica, vi sono teorie linguistiche di grande importanza il cui contributo al rinnovamento della didattica delle lingue moderne è stato tuttavia di scarsa rilevanza (si pensi, per tutte, alla linguistica generativo-trasformazionale di Chomsky), mentre altri concetti hanno avuto una grandissima risonanza e hanno portato a diffuse e

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profonde trasformazioni nell'insegnamento delle lingue straniere; anche qui citeremo soltanto, come caso emblematico, l'idea di competenza comunicativa come proposta da Dell Hymes vent'anni fa (Porcelli 1994);

- la teoria psicologica soggiacente (approcci cognitivisti, neocomportamentisti ecc.);

- la strumentazione impiegata (approcci audiovisivi, multimediali ecc.);

- l'organizzazione dell'intervento didattico (approcci intensivi, di immersione totale ecc.).

Qui di seguito proponiamo tre diverse classificazioni dei metodi. La prima, che riprende la tipologia proposta da Danesi (Danesi 1988), mette in luce principalmente le basi linguistiche e psicologiche dei metodi elencati, ed è fortemente incentrata sulla realtà glottodidattica nordamericana:

Tabella 1 – Il modello Danesi (la tabella è adattata da Vignozzi 2001: 5)

CATEGORIA TIPOLOGICA

DEDUTTIVI INDUTTIVI FUNZIONALI AFFETTIVO-

UMANISTICI METODI PRINCIPALI

Grammaticale traduttivo

Cognitivo Diretto

Intensivo Contrastivo

Audio-orale

Audiovisivo

Nozionale-Funzionale

Comunicativo

TPR

Community Counselling

Naturale

Silent way

Suggestopedia

Strategic Interaction

BASI LINGUISTICHE

Nessuna/ Formale-tradizionale

Genarativo Trasformazionale

Strutturalismo Sociolinguistica

Pragmalinguistica

BASI PSICOLOGICHE

Indefinite Psicologia Cognitiva

Neocomportamentismo

Cognitivismo Gestalt

Psicologia Umanistica

OBIETTIVI PRIMARI

Competenza linguistica Competenza comunicativa

RUOLO DELL'INSEGNANTE

Centrale e propositivo Interattivo vario

Questa classificazione ha rappresentato il punto di riferimento per molti glottodidatti italiani fino alla pubblicazione, in volumi più recenti, di classificazioni diverse, tra cui quella di Serra Borneto qui di seguito proposta (tabella 2), in cui i metodi vengono valutati in base agli aspetti teorici linguistico-pedagogici, agli obiettivi didattici, ai tipi di attività e ai materiali impiegati:

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Tabella 2 – Il Modello Serra Borneto (la tabella è ripresa da Vignozzi 2001: 6)

UMANISTICO-AFFETTIVI

COMUNICATIVI INDIVIDUALI

Community Language Learning

(C. Curran)

Approccio comunicativo

(D. Hymes)

Natural Approach

(S. Krashen)

Total Phisical response

(J. Asher)

Proect Work

(N. Prabhu)

Apprendimento multilingue

(C. Benveniste) Suggestopedia

(Lozov)

Interazione Strategica

(R. Di Pietro)

Autoapprendimento

(L. Dickinson) Silent Way

(C. Gattegno)

Competenza Interculturale

(S. Bachmann)

Nuove tecnologie

(R. Maragliano) Approccio Lessicale

(Willis e Lewis)

L'ultima classificazione proposta, quella più recente, è quella di Maria Catricalà, che sistematizza gli approcci più attuali suddividendoli tra metodi che fanno da un lato riferimento alla glottodidattica "Old Age" e dall'altro si rifanno a quella "New Age", basata sul coinvolgimento globale e sul rilassamento (UD5):

Tabella 3 - Il Modello Catricalà (anche questa tabella è ripresa da Vignozzi 2001: 6)

OLD AGE NEW AGE Community Language learning

(C. Curran) Total Phisical Response

(J. Asher)

Suggestopedia

(Lozanov) S.A.L.T

(Shuster e Gritton)

S.A.L.T

(Shuster e Gritton) Silent Way

(C. Gattegno)

Approccio Comunicativo

(D. Hymes)

Project Work

(N.Prabhu)

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Interazione strategica

(R. Di Pietro)

Competenza Interculturale

(S. Bachmann)

Approccio lessicale

(Willis e Lewis)

Natural Approach

(S. Krashen)

Natural Approach

(S. Krashen) Apprendimento multilingue

(C. Benveniste)

Apprendimento multilingue

(C. Benveniste) Autoapprendimento

(L. Dickinson)

Autoapprendimento

(L. Dickinson) Nuove tecnologie

(R. Maragliano)

Nuove tecnologie

(R. Maragliano)

1.4 - Metodi induttivi e deduttivi

Come si è già visto in 1.3, una delle distinzioni che permette di classificare i metodi glottodidattici è quella tra metodo deduttivo e metodo induttivo (vedi la tabella 1 in 1.3). Tale distinzione riguarda il ruolo che la grammatica deve avere all'interno del percorso di insegnamento e apprendimento di una lingua straniera: nel corso della storia della glottodidattica, infatti, si è discusso da un lato sulla necessità di riflettere apertamente sulle strutture grammaticali, dall'altro si è insistito sulla maggiore efficacia di un approccio all'insegnamento più implicito, in cui la grammatica non deve essere necessariamente spiegata in modo esplicito dall'insegnante.

Nel corso degli anni queste due posizioni hanno trovato spazio all'interno del panorama didattico e hanno dato origine alla distinzione tra approcci e metodi deduttivi e induttivi: i primi, definiti anche approcci sintetici, sono basati sul presupposto che la lingua si impari attraverso regole grammaticali che permettono al discente di giungere, in modo deduttivo, al controllo conscio della lingua (Porcelli 1994: 49); in questi approcci l'esecuzione linguistica viene ricondotta alla competenza grammaticale (vedi il glossario).

Esempio 1 – La presentazione del passato prossimo - un esercizio di tipo deduttivo

- L'insegnante presenta alla lavagna le forme del passato prossimo, presentandone le forme del participio passato regolari e irregolari.

- Viene chiesto agli studenti di svolgere alcuni esercizi utili per rafforzare l'uso di tale aspetto grammaticale. Tra gli esercizi proposti vi è di solito il completamento di frasi in cui lo studente deve fornire il verbo alla forma corretta o deve tradurre delle frasi dalla propria L1.

Gli approcci induttivi sono invece caratterizzati dall'assenza di esplicite spiegazioni grammaticali, che vengono individuate dal discente a partire dall'analisi della lingua colta nella sua globalità;

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attraverso l'analisi di un testo, infatti, il discente individua le strutture linguistiche e giunge così a produrre la lingua necessaria per nuovi contesti situazionali.

Esempio 2 - La presentazione del passato prossimo - un esercizio di tipo induttivo

- L'insegnante propone ai discenti un testo (orale o scritto).

- Dopo un lavoro di analisi del testo utile ai fini della comprensione, il docente chiede agli studenti di cercare nel testo, a partire da un esempio da lui proposto, le forme del passato prossimo.

- Una volta individuate le forme, l'insegnante chiede ai discenti di formulare ipotesi riguardanti il funzionamento di tale struttura, guidandoli nella ricerca della regola attraverso domande mirate.

- Al termine di questo lavoro, l'insegnante sistematizza la regola alla lavagna.

Come si vedrà nelle successive unità, fanno parte dei metodi induttivi metodi molto diversi tra loro, tra cui quello diretto (vedi 2.3), quello audio-orale (vedi 3.2) e quello situazionale (vedi 4.3), che non sempre fanno seguire al lavoro autonomo da parte dello studente un momento di sistematizzazione della regola da parte dell'insegnante, che viene però considerato nella glottodidattica moderna un momento importante della lezione. La necessità di fornire spiegazioni grammaticali e a come presentarle è uno dei temi più dibattuti all'interno della comunità scientifica, sia in campo glottodidattico che nell'ambito della linguistica acquisizionale (si veda a questo proposito 6.3).

1.5 - Osservazioni conclusive

Come si è visto in 1.3, nel corso del Novecento i metodi sono stati classificati secondo schemi diversi, in base alle teorie scientifiche e psicologiche ad essi soggiacenti, alla loro categoria tipologica, alla strumentazione da essi impiegata e in base al periodo in cui si sono sviluppati e diffusi.

Nel corso del seguente modulo, i metodi verranno suddivisi adottando l'ultimo dei criteri sopra proposti, essi verranno cioè presentati seguendo un criterio di tipo cronologico. La distinzione dei vari metodi su base cronologica riprende quella operata da numerosi manuali di glottodidattica (vedi, tra gli altri, De Marco 2000, Diadori 2001, Balboni 2002), in cui solitamente i metodi sono suddivisi in tre fasi (viene qui mantenuta la suddivisione cronologica presente anche in altri manuali, tra cui De Marco 2000):

- la prima, che va dalla fine del XIX secolo ai primi decenni del Novecento, corrisponde all'iniziale diffusione di manuali per l'insegnamento delle lingue; in questo periodo le variabili del processo di apprendimento-insegnamento non vengono problematizzate in maniera specifica e la linguistica descrittiva costituisce la base teorica fondamentale a cui questi primi metodi fanno riferimento (UD2);

- la seconda fase, che va dagli anni Quaranta a tutti gli anni Sessanta del Novecento, è caratterizzata da una grande espansione dell'insegnamento delle lingue straniere, dalla nascita della linguistica come disciplina autonoma e della ricerca scientifica specificatamente orientata a indagare i principali processi soggiacenti l'acquisizione linguistica (UD3);

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- l'ultimo periodo, quello che parte dalla fine degli anni Sessanta e arriva fino ai giorni nostri, è caratterizzato da un radicale mutamento di prospettiva nella didattica delle lingue; nascono in questo periodo numerosi metodi, tra cui quello comunicativo (UD4) e i metodi umanistico-affettivi (UD 5) che introducono le tendenze glottodidattiche attuali, che verranno poi riviste e rielaborate nel corso degli ultimi due decenni del Novecento (UD6).

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UD 2 - I principali metodi glottodidattici: il primo periodo

In questa unità didattica sono presentati i due metodi che caratterizzano il primo periodo di sviluppo della glottodidattica: quello grammaticale-traduttivo e quello diretto.

2.1 - Il metodo grammaticale-traduttivo

2.2 - Il reading method

2.3 - I metodi diretti

2.1 - Il metodo grammaticale-traduttivo

Il modello di analisi linguistica dominante fino alla fine dell'Ottocento era quello della linguistica storica e comparativa, così definita perché l'analisi linguistica, condotta principalmente a livello fonetico e morfologico, si concentrava per lo più sullo studio della storia delle lingue indoeuropee; le lingue venivano messe a confronto in modo da coglierne differenze e tratti in comune e in maniera tale da elaborare, in senso storico, un albero genealogico di famiglie di lingue parenti, derivanti da un'antenata non più esistente che ne possedeva le caratteristiche condivise dalla totalità di esse (Robins 1997: 203).

Per quanto riguarda la glottodidattica, la prima metà del Novecento è caratterizzata dall'importanza del metodo grammaticale-traduttivo, che è stato, a partire dalla fine del Settecento e fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, uno dei metodi più diffusi e codificati per l'insegnamento delle lingue straniere (nonostante questo metodo sia stato ampiamente criticato nel corso del Novecento, esso viene ancora oggi utilizzato in numerosi contesti di apprendimento). Quello grammaticale-traduttivo può essere considerato un approccio all'insegnamento delle lingue; tuttavia, nel corso di questo modulo, verrà utilizzato il termine "metodo", così come avviene nei principali manuali di glottodidattica (vedi, tra gli altri, De Marco 2000, Diadori 2001).

Questo metodo ricalca i metodi utilizzati per l'insegnamento delle lingue classiche e aveva come obiettivo primario quello di permettere al discente di accostarsi alle opere letterarie nella loro versione originale, senza bisogno di traduzione (Vignozzi 2001: 7). Questo tipo di approccio all'insegnamento delle lingue è definito di tipo formalistico in quanto esso si poneva come obiettivo principale lo sviluppo della competenza linguistica (vedi il glossario), intesa come la conoscenza dei vari livelli formali di una lingua (fonologia, morfologia, sintassi, lessico). La scelta dei contenuti era quindi unicamente fatta basandosi su criteri linguistici con l'intento di coprire, attraverso una progressione lineare dei contenuti stessi, l'intero quadro generale della struttura linguistica (Ciliberti 1997: 86). L'insegnamento della grammatica, considerata come un sistema normativo e un modello di correttezza formale costruito a partire dalla lingua letteraria, rivestiva all'interno di questo metodo un ruolo fondamentale. La lingua straniera veniva infatti insegnata dal docente, considerato come il detentore di tutte le informazioni e come il principale responsabile dell'apprendimento dei discenti, attraverso la presentazione esplicita e deduttiva delle regole grammaticali, al ricorso massiccio a termini metalinguistici e all'uso costante della L1 degli studenti.

Nel corso della lezione, l'insegnante si serviva di un testo, le cui unità didattiche presentavano in primo luogo una serie di regole ed eccezioni corredate da alcuni esempi, seguite poi da una lista di

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vocaboli e dalla loro traduzione. Il testo doveva aiutare gli studenti a svolgere al meglio il loro compito che, in questo caso, era quello di apprendere in modo mnemonico le regole descritte dall'insegnante, confrontarle con quelle della lingua materna e applicarle poi in maniera meccanica in una serie di esercizi, che consistevano spesso nella traduzione, da e verso la lingua straniera, di frasi isolate prive di contesto. L'esposizione alla L2 era quindi piuttosto limitata e come conseguenza si aveva di solito l'incapacità di usare la lingua per la comunicazione (Balboni 2002).

2.2 - Il reading method

Il reading method ("metodo della lettura"), che può essere considerato come una variante del metodo grammaticale-traduttivo (Vignozzi 2001: 8), è nato negli Stati Uniti nel ventennio tra le due guerre mondiali, in un momento storico in cui la lingua smise di essere viva e divenne solo uno strumento per leggere opere scientifiche, professionali e letterarie (Balboni 2002: 235).

Questo metodo si caratterizza per essere focalizzato unicamente sullo sviluppo delle abilità di lettura: la comprensione della lingua scritta è infatti la sola abilità linguistica curata al suo interno.

Nel reading method, viene insegnata infatti solo la grammatica necessaria per comprendere testi di lettura, il lessico utilizzato è inizialmente molto limitato e viene poi gradualmente ampliato; per verificare la comprensione di un testo scritto si utilizza principalmente la traduzione. Il docente, che guida lo studente a leggere, interpretare e tradurre i testi, non deve necessariamente avere una buona competenza della L2 a livello orale, poiché l'insegnamento è generalmente attuato nella madrelingua dei discenti.

2.3 - I metodi diretti

Accanto al metodo grammaticale-traduttivo (vedi 2.1), già dalla fine dell'Ottocento nacquero e si svilupparono altri metodi per l'insegnamento delle lingue: l'esigenza di dover comunicare tra persone provenienti da paesi diversi aveva infatti messo in luce alcuni dei principali limiti del metodo grammaticale-traduttivo tra cui, soprattutto, l'inadeguatezza ad insegnare la lingua d'uso. Si poté assistere così ad una sorta di rivoluzione, che portò alla nascita dei cosiddetti metodi diretti che, quando furono proposti dal linguista Viëtor nel 1882, rappresentavano i primi metodi aventi basi scientifiche (Danesi 1988: 100).

I metodi diretti, etichetta generica sotto la quale sono racchiusi metodi diversi tra cui è possibile citare il "metodo naturale", il "metodo psicologico" e il "metodo fonetico", sono fondati sull'assunto teorico che l'apprendimento di una LS sia tanto più efficace quanto più esso avvenga in maniera naturale, ovvero in maniera analoga all'apprendimento della lingua materna. Essi sono inoltre caratterizzati dall'importanza data alla lingua parlata rispetto a quella scritta, per la particolare enfasi posta sugli elementi fonetico-articolatori-uditivi (Piva 2000: 182).

In tutti i metodi diretti, di cui uno dei più importanti è il "metodo Berlitz", la lingua straniera veniva appresa per "contatto" con l'ambiente nel quale la si parlava o attraverso la pratica in classe, tramite la conversazione con l'insegnante, che doveva essere assolutamente madrelingua. Nei metodi diretti vengono quindi abbandonate alcune delle pratiche che caratterizzavano il metodo grammaticale-traduttivo, tra cui la traduzione e l'insegnamento grammaticale: al docente veniva infatti richiesto di utilizzare soltanto materiali autentici, senza mai far ricorso alla lingua materna degli apprendenti e

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alle spiegazioni esplicite delle regole grammaticali, che dovevano essere ricavate induttivamente dallo studente. L'apprendimento grammaticale avveniva quindi inizialmente tramite l'imitazione dell'input linguistico presentato nel corso della lezione e, successivamente, era rafforzato da una riflessione induttiva che conduceva ad osservare e formulare ipotesi sulle regolarità della lingua. Le ipotesi glottodidattiche introdotte con il metodo diretto furono inizialmente portate avanti da esperti nell'insegnamento delle lingue, come Guoin, Marcel o Pendergast e, successivamente, ebbero anche il necessario supporto scientifico grazie all'apporto di linguisti come Jespersen, Palmer e Sweet che, riconosciuto da molti come il padre della linguistica applicata (Titone 1980: 89), è stato tra i primi a trasformare la didattica delle lingue in una disciplina scientifica. È infatti nell'elaborazione dei metodi diretti che si è verificato il primo contatto organico tra i problemi dell'insegnamento linguistico e i paradigmi della ricerca linguistica, che caratterizzerà lo sviluppo della glottodidattica nelle fasi successive (vedi 6.3).

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UD 3 - I principali metodi glottodidattici: il secondo periodo

La terza unità si propone di presentare in due metodi principali nati negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, in seguito anche allo sviluppo di due importanti teorie linguistiche: lo strutturalismo e la grammatica generativa.

3.1 - Le principali teorie linguistiche alla base dei metodi glottodidattici

3.2 - Il metodo audio-orale

3.3 - Il metodo cognitivo

3.1 - Le principali teorie linguistiche alla base dei metodi glottodidattici

A partire dagli anni Quaranta, la linguistica si insediò più saldamente come disciplina autonoma, dotata di un suo proprio valore scientifico. In quel periodo si poté dapprima assistere allo sviluppo dello strutturalismo che, attraverso l'opera di Edward Sapir e Leonard Bloomfield, si diffuse, oltre che in Europa, anche negli Stati Uniti, seppur con tendenze spesso divergenti rispetto allo strutturalismo europeo. Lo strutturalismo americano deve molto alle teorie psicologiche di stampo comportamentista, che vedono in Skinner uno dei principali teorici (vedi il modulo Modelli teorici sull'apprendimento di una L2, 2.2). Tali teorie partono dal presupposto che il linguaggio può essere appreso come qualsiasi altro comportamento, attraverso un processo di stimolo-risposta-rinforzo; l'apprendimento linguistico si configura quindi come un processo di acquisizione di abitudini: il comportamento verbale si integra con quello non verbale in un circuito di stimoli e risposte, di comportamenti che rafforzano le risposte valide e smentiscono le risposte non valide. Nel caso dei comportamenti linguistici, gli stimoli e le risposte sono costituiti da enunciati, la cui accettabilità dipende dalla conformità agli schemi (patterns) fonetici, morfologici, sintattici e lessicali della lingua oggetto di apprendimento.

Le teorie sviluppate nell'ambito del comportamentismo diedero inoltre origine nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta agli studi di linguistica contrastiva e a quelli dell'Error Analysis, secondo cui la lingua materna costituisce la principale fonte di errore in una L2: gli errori rappresentano infatti l'espressione dell'interferenza delle abitudini linguistiche della L1, diverse da quelle della L2 (vedi il modulo La gestione della classe; dalla interazione docente/allievo, alla analisi e gestione dell'errore, UD4, UD5 e UD6). L'analisi degli errori permette di prevedere gli errori e quindi di evitarli, le diverse lingue vanno perciò analizzate in modo contrastivo per permettere di mettere in luce le simmetrie che causano nel parlante i cosiddetti transfer positivi, e gli elementi di diversità, che danno origine al transfer negativo e quindi ai problemi nell'apprendimento linguistico.

Gli sviluppi successivi della linguistica, dovuti principalmente al lavoro di Noam Chomsky, portarono ad mutamento generale che coinvolse lo studio dell'apprendimento di una seconda lingua, sia a livello di analisi linguistica che a livello della psicologia dell'apprendimento. Per quanto riguarda il primo aspetto, Chomsky partì da una critica alla linguistica strutturalista e all'approccio fortemente empirista di Bloomfield che, secondo Chomsky, era inadeguato per spiegare tutto ciò che un parlante nativo è in grado di produrre e di interpretare attraverso la conoscenza del sistema grammaticale della propria lingua. Si sviluppa con Chomsky un modello innatista dell'acquisizione linguistica secondo cui ogni parlante possiede una facoltà innata di acquisire una lingua, attivata

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una prima volta quando egli apprende la sua lingua materna e riattivabile in seguito per le altre lingue (vedi il modulo Modelli teorici…, UD3).

3.2 - Il metodo audio-orale

Lo sviluppo delle teorie strutturaliste e neocomportamentiste (vedi 3.1) portò alla nascita del metodo glottodidattico definito come "metodo audio-orale".

Questo metodo, alla cui base vi era, oltre che una teoria strutturalista della lingua, anche l'influenza delle teorie relative alla psicologia comportamentista di Skinner, è stato ideato e messo in pratica nell'ambito di un programma specializzato dell'esercito americano per l'insegnamento delle lingue (Army Specialized Training Program, ASTP). L'insegnamento, che aveva luogo principalmente all'interno del laboratorio linguistico, veniva guidato dall'insegnante che, in questo caso, non godeva di particolare autonomia didattica: il suo compito era infatti quello di guidare l'apprendente lungo un cammino costituito da tappe precise e di verificare il buon esito dell'apprendimento. L'apprendimento avveniva a partire dall'enunciato, considerato come l'unità strutturale di base nella quale si integravano le strutture fonologiche, morfologiche, lessicali e sintattiche. Essi venivano memorizzati attraverso esercizi di ripetizione imitativa (mimicry) e attraverso lo svolgimento di esercizi meccanici strutturali di trasformazione, manipolazione o espansione (pattern drills) tramite i quali venivano interiorizzati i patterns della lingua da apprendere. Grande importanza veniva quindi data allo sviluppo delle abilità orali, mentre quelle scritte, considerate fondamentali nel caso dei metodi precedenti (vedi 2.1 e 2.2), erano lasciate in secondo piano. Il ricorso al metalinguaggio e alla spiegazione esplicita delle regole non era invece mai previsto: la grammatica veniva infatti appresa in modo implicito, tramite un processo di analogia e induzione; essa cessava quindi di essere il focus primario dell'insegnamento linguistico. In questo metodo, l'imitazione, la ripetizione e la memorizzazione avevano un ruolo fondamentale: il processo di apprendimento della L2 era considerato analogo a quello di una L1 dal punto di vista dei meccanismi fondamentali; tuttavia, chi apprendeva una seconda lingua doveva sovrapporre alle abitudini linguistiche già acquisite (i patterns della L1) nuove abitudini (i patterns della L2) e questa sovrapposizione poteva produrre interferenza a tutti i livelli della struttura linguistica. La previsione dell'errore e la sua eliminazione attraverso opportuni esercizi, calibrati attraverso la conoscenza delle possibili interferenze tra L1 e L2, era quindi centrale nel metodo audio-orale, il cui supporto teorico più significativo è in questo senso l'analisi contrastiva (vedi 3.1); gli studi di linguistica contrastiva influirono infatti in modo decisivo sulla preparazione dei materiali didattici, che dovevano essere diversificati a seconda della lingua madre dello studente. Si riporta qui di seguito (esempio 3) un esempio di esercizio strutturale (gli esempi sono tratti da Grassi R., Introduzione alla glottodidattica, vedi sitografia), tratto da un manuale di italiano per stranieri (Baldelli e altri, 1977):

Esempio 3 - Un esempio di esercizio strutturale

Lo studente, a partire dall'input fornito dall'insegnante (es. porta/aperta), deve formulare una frase

STUDENTE: La porta è aperta

1. Porta (aperta)

2. Penna (gialla)

3. Finestra (chiusa)

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4. Lampada (accesa)

5. Stanza (piccola)

6. Scatola (vuota)

7. Sedia (comoda)

Gli esercizi che caratterizzano il metodo strutturale sono stati ripresi nel corso degli anni anche nell'ambito di altri approcci all'insegnamento delle lingue, tra cui quello comunicativo (UD4). In questo caso gli esercizi di ripetizione venivano svolti a partire da brevi sequenze dialogiche di stile comunicativo, come nell'esempio sotto riportato:

Esempio 4 - Un esempio di esercizio strutturale all'interno di un corso di tipo comunicativo (esempio ripreso da Balboni 1991: 94)

Si tratta di un "Sondaggio" , in cui gli studenti devono chiedere ai compagni:

Quante volte aiuti a fare I letti?

La spesa?

Le pulizie?

Ogni giorno / spesso / raramente / mai

3.3 - Il metodo cognitivo

Con l'inizio degli anni Sessanta e il diffondersi delle teorie linguistiche di stampo generativista (3.1), si cominciarono a criticare alcuni dei presupposti alla base del metodo audio-orale (3.2); in particolare si osserva, in quel periodo, un rifiuto delle posizioni espresse dal comportamentismo e la tendenza, affermata dalla psicologia "mentalista" e cognitivista, a preferire metodi ipotetico-deduttivi piuttosto che quelli induttivi (1.4). La critica al metodo audio-orale nasceva dalla considerazione che l'utilizzo di questa tipologia di insegnamento portava gli studenti ad ottenere un'ottima fluenza, ma non permetteva loro di raggiungere un buon livello di accuratezza grammaticale. Per questo, nel corso dei primi anni Settanta, il panorama glottodidattico mutò nuovamente e nacquero nuovi metodi, tra cui il cosiddetto metodo cognitivo (più conosciuto con il nome inglese: cognitive-code learning method). Questo è un metodo di carattere deduttivo che trova i suoi presupposti teorici nella linguistica generativo-trasformazionale di stampo chomskiano e nella psicologia cognitiva della GESTALT; esso pone l'accento sulla "competenza linguistica" del discente, promuovendo un approccio all'insegnamento basato sulla necessità di far acquisire quelle regole profonde che permettano allo studente di produrre una serie limitata di frasi grammaticalmente corrette. Centrale è quindi qui l'attenzione consapevole all'apparato di regole formali che caratterizza la competenza linguistica, intesa, in termini chomskiani, come la conoscenza innata dell'astratto sistema di regole formali che caratterizzano una lingua. L'insegnamento della grammatica, che torna ad essere un aspetto fondamentale della didattica delle lingue, avviene in questo caso attraverso la presentazione esplicita e deduttiva delle regole e tramite espliciti riferimenti alle differenze tra la L1 e la L2, come succedeva anche nel caso del metodo grammaticale-traduttivo (2.1). Il metodo cognitivo si differenzia tuttavia sotto alcuni aspetti da

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quello grammaticale-traduttivo: nel corso delle lezioni, infatti, dopo la presentazione della regola vi era uno spazio per lo sviluppo della practice, cioè di attività utili per esercitare l'utilizzo di determinate strutture, come era possibile osservare nel caso del metodo audio-orale. Accanto a esercizi meccanici miranti alla fissazione delle strutture, si proponevano poi esercizi più aperti e creativi che tendevano a ricreare situazioni più significative, come le attività di problem solving. Nonostante l'apprendimento linguistico non fosse più caratterizzato dalla concezione meccanicistica tipica del metodo audio-orale e lo studente fosse ora considerato un soggetto consapevole in grado di scoprire e analizzare le regole della L2, lo studio era ancora una volta più metalinguistico che linguistico, determinando negli studenti evidenti difficoltà nella gestione anche di semplici scambi comunicativi.

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UD 4 - I principali metodi glottodidattici: il terzo periodo

Nel corso della quarta unità sono presentati i metodi glottodidattici nati a partire degli anni Sessanta ponendo particolare enfasi sul concetto di competenza comunicativa e di approccio comunicativo all'insegnamento.

4.1 - La nascita del concetto di competenza comunicativa

4.2 - Gli approcci comunicativi: quadro generale

4.3 - Il metodo situazionale

4.4 - L'approccio nozionale-funzionale

4.1 - La nascita del concetto di competenza comunicativa

A partire dagli inizi degli anni Settanta, le teorie di Chomsky e il concetto di competence e performance vennero criticati da alcuni sociolinguisti e filosofi del linguaggio, tra cui Austin, Searle, Halliday e Hymes. A questi studiosi si deve la nascita e lo sviluppo della linguistica pragmatica, una branca della linguistica che si occupa di studiare il parlare in quanto forma di agire linguistico all'interno di una determinata situazione (Beccaria 1996: 566). Alla pragmatica, ed in particolare al lavoro di Austin e Searle, si deve la definizione del concetto di "atto linguistico", termine che indica l'elemento minimo di analisi pragmatica della lingua, ed è caratterizzato dalla intenzionalità del parlante. Sono atti linguistici, ad esempio, una constatazione, una richiesta, un consiglio, una promessa, un ringraziamento.

Accanto a questo concetto, nacque in quel periodo anche quello di "competenza comunicativa", che fu determinante per lo sviluppo della didattica in senso comunicativo. La definizione di tale concetto si deve all'opera di Hymes, che contrappose la competenza comunicativa (intesa come la conoscenza ed uso della lingua nei suoi quattro parametri fondamentali: grammaticale, psicolinguistico, socioculturale e di fatto) al concetto chomskiano di competenza linguistica. Secondo Hymes, le conoscenze formali di una lingua non sono sufficienti per comunicare, poiché ci sono regole d'uso senza le quali la grammatica sarebbe inutile; la competenza comunicativa è quindi stata da lui definita come la capacità di un individuo di utilizzare la L2 in modo appropriato a seconda delle diverse situazioni comunicative autentiche in cui egli si trova a dover interagire. In questa nuova visione, la conoscenza grammaticale corrisponde alla competenza linguistica chomskiana, ad essa però si aggiungono altri tipi di conoscenza, tra cui quelle di tipo pragmatico, che il parlante deve possedere per poter usare la lingua in contesti di comunicazione reale. L'attenzione si sposta quindi dalla frase all'evento comunicativo, in cui grande importanza hanno la situazione, i partecipanti, gli scopi della comunicazione, il contenuto del messaggio, la scelta del canale attraverso cui si comunica e la scelta del registro. Di fondamentale importanza sono quindi i bisogni linguistici dei discenti, che vanno analizzati tenendo conto sia dei bisogni presenti dello studente in quanto tale, poiché essi permettono al discente di essere motivato, sia dei bisogni pragmatici futuri (che tengono conto ad esempio di dove verrà spesa la competenza acquisita, Balboni 2002: 91).

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4.2 - Gli approcci comunicativi: quadro generale

È a partire dalle basi teoriche appena citate (4.1) che si sviluppano dunque gli approcci comunicativi. L'uso del plurale nell'indicare tali metodi rimanda al fatto che i metodi comunicativi fanno riferimento ad una varietà di metodologie diverse, caratterizzate dal fatto sia di avere come obiettivo principale lo sviluppo della competenza comunicativa sia di non interpretare più lo sviluppo della correttezza grammaticale come l'unico obiettivo della glottodidattica. L'introduzione del concetto di "bisogno comunicativo" (vedi il glossario) porta ad una rivoluzione delle pratiche glottodidattiche fino ad allora utilizzate: i bisogni dei discenti diventano infatti negli approcci comunicativi il centro della lezione; l'insegnante si trasforma da magister a facilitatore, promotore ed organizzatore di attività linguistiche ed il discente diviene il vero responsabile del processo d'apprendimento. All'interno di un corso di stampo comunicativo, l'insegnante doveva quindi essere in grado di proporre input linguistici diversificati in base alle esigenze degli apprendenti, sfruttando anche le possibilità derivanti dal fatto che la relazione didattica (docente/apprendente, apprendente/apprendente) è comunque per sua propria natura una relazione di tipo comunicativo (Piva 2002: 194). Con gli approcci comunicativi si sviluppa il concetto di apprendimento collaborativo, un tipo di apprendimento in grado di aumentare la motivazione all'uso della L2, basato sul lavoro a coppie o in gruppo, durante il quale gli studenti sono impegnati a coagire utilizzando la lingua straniera che, in questo modo, diventa sia mezzo di comunicazione tra gli studenti, che strumento per poter riflettere sulla lingua. La grammatica viene sempre presentata a partire da un reale contesto d'uso, attraverso un processo di scoperta della regola e sistematizzazione della stessa da parte di apprendenti e insegnanti; la riflessione sulla lingua si differenzia quindi dall'insegnamento della grammatica, in quanto quest'ultimo processo ha come soggetto l'insegnante e come oggetto più frequente le regole morfosintattiche, intese come norme da applicare per produrre lingua. Le ipotesi formulate dall'apprendente, come anche i suoi possibili errori, sono considerati manifestazioni di un'interlingua (vedi il glossario) in evoluzione che lo studente perfezionerà attraverso la pratica; esse sono quindi importanti per definire lo stadio provvisorio raggiunto. L'errore, in quanto indicazione delle ipotesi compiute dall'apprendente rispetto ai sistemi della L2, viene perciò di solito tollerato: l'insegnante preferisce correggerlo in modo indiretto, attraverso la riformulazione degli enunciati scorretti, o posporre la correzione ai momenti della lezione in cui l'enfasi è sulla correttezza formale più che sulla scorrevolezza dello scambio verbale.

Degli approcci comunicativi, di cui fanno parte metodi diversi che verranno esemplificati in 4.3 e 4.4, esiste una versione debole e una versione forte: la prima, orientata a esercizi di tipo comunicativo (information gap activities, role plays, problem solving activities) che ricalcano quasi completamente l'interazione sociale autentica ed escludono qualsiasi analisi formale della lingua; la seconda che prevede, accanto ad attività orientate alla comunicazione, un lavoro di riflessione sulla lingua e sui suoi aspetti più strutturali.

4.3 - Il metodo situazionale

Il metodo situazionale nacque negli anni Settanta, in seguito allo sviluppo delle teorie sociolinguistiche di Fishman e della linguistica contrastiva di Lado (3.1). Il metodo situazionale si caratterizza per il fatto di partire dal presupposto che la lingua si realizza in un contesto sociale di comunicazione e che essa non può essere compresa se non facendo riferimento a tale contesto. Il percorso di apprendimento e la selezione dei materiali vengono perciò

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influenzati non solo dai tratti morfologici o sintattici della lingua target o lingua di origine (d'ora in poi LT), ma anche dalle caratteristiche della situazione sociale in cui la lingua si situa.

All'interno di questo metodo, di natura deduttiva, lo studente viene chiamato a farsi parte attiva del suo percorso di apprendimento, diventando sempre più autonomo. La lingua è qui ancora vista come una realtà formale, per cui la grammatica riveste un ruolo fondamentale all'interno del processo di apprendimento; tuttavia la comunicazione diventa sempre più importante, così come la cultura, poiché l'errore culturale viene considerato grave come quello linguistico. Scompare, in questo metodo, l'uso di dettati e della traduzione; le tecniche utilizzate nel metodo situazionale, che fa ampio ricorso all'uso del laboratorio linguistico come nel caso del metodo audio-orale, di film e registrazioni audio, sono quelle di presentazione e sfruttamento di un dialogo legato ad una situazione di vita reale, come ad esempio fare la spesa in un supermercato, ordinare del cibo in un ristorante ecc. Nel corso della presentazione del dialogo e, successivamente, negli esercizi di manipolazione linguistica riferiti al lessico, alle strutture ed ai ruoli dei personaggi, vengono esaltati i tratti prosodici relativi all'interpretazione delle emozioni dei parlanti che spesso interagivano in uno scambio a più voci, corredato da rumori di fondo. Anche la produzione scritta viene sociologicamente motivata e ben contestualizzata, poiché gli esercizi del metodo situazionale tengono conto di chi scrive, a chi e per quale scopo. In tale metodo, la gradazione del corpus linguistico avviene in base alla frequenza delle situazioni a cui l'allievo può venire esposto nella normale interazione sociale e non in base alla difficoltà delle strutture grammaticali. Lo scopo principale di questo metodo è perciò quello di portare gli studenti a comunicare - oralmente e per iscritto - nella L2, tramite la ripetuta simulazione di reali scambi comunicativi nell'ambito della classe.

4.4 - L'approccio nozionale-funzionale

L'approccio nozionale-funzionale venne inizialmente elaborato da Wilkins e sviluppato in seguito da J.A.Van Ek, L.G. Alexander, R. Richterich., J.-L. Chancerel, H.G. Widdowson e altri in una serie di importanti lavori svolti per conto della Comunità Europea nell'ambito del progetto "lingue vive". All'interno dell'approccio nozionale-funzionale, la lingua viene vista non in termini di forme ma di scopi e, fondamentale per l'elaborazione di questo metodo, è il concetto di atto linguistico e di funzione linguistica (4.1). Il concetto di funzione linguistica venne infatti tradotto in termini glottodidattici dagli studiosi sopra citati, che cercarono di determinare quali caratteristiche dovesse avere un sillabo che potesse sviluppare una competenza di tipo funzionale che, così come concepita da Halliday, era centrale ai fini della trasmissione del significato e quindi ai fini comunicativi. In questo metodo, come in quello comunicativo, si sottolineava l'importanza del concetto di "bisogno comunicativo" (vedi il glossario) del discente, concetto che era ormai più importante della capacità di descrizione esauriente della lingua, che era di fondamentale importanza invece nel metodo grammaticale-traduttivo (Vignozzi 2001: 12) (2.1).

Altro obiettivo del metodo nozionale-funzionale era quello di scomporre il processo di apprendimento in una serie di unità distinte e organicamente collegate tra loro, corrispondenti alle reali necessità di sopravvivenza (Survival level) e di interazione minima (Threshold level) di uno studente straniero; si trattava di unità capitalizzabili, corrispondenti a determinate tranches della lingua, il cui possesso veniva poi accertato tramite una serie di test omogenei in tutta Europa (6.2).

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UD 5 - I principali metodi glottodidattici: il quarto periodo

La quinta unità si propone di presentare i metodi nati in seguito al riconoscimento dell'importanza dei fattori psicologici e delle componenti emotive all'interno del percorso di apprendimento di una seconda lingua.

5.1 - I metodi umanistico-affettivi: quadro generale

5.2 - La suggestopedia

5.3 - Il silent way

5.4 - Il Community Language Learning (CLL)

5.5 - Il Total Physical Response (TPR)

5.6 - Il Natural Approach

5.1 - I metodi umanistico-affettivi: quadro generale

Con il termine "metodi umanistico-affettivi" si fa riferimento ad una serie di metodi nati a partire dagli anni Settanta e sviluppatisi nel corso degli anni Ottanta soprattutto negli Stati Uniti, in seguito alle critiche mosse all'eccessivo meccanicismo che contraddistingueva il metodo audio-orale, ampiamente diffuso oltreoceano. I metodi umanistico-affettivi, tra cui i più importanti sono il Community Language Learning (5.4), la suggestopedia (5.2), il silent way (5.3) e il Total Physical Response (5.5), presentano alcune delle caratteristiche dei metodi comunicativi, sebbene essi si distinguano relativamente dagli obiettivi principali dell'insegnamento. Questi metodi hanno il merito di aver evidenziato il ruolo dell'affettività nell'apprendimento; essi infatti sono nati seguendo la logica della psicologia "umanistica" di Abraham Maslow e Carl Rogers, secondo cui attraverso questo tipo di psicologia è possibile promuovere l'attenzione all'uomo intero, alla sua fisicità e spiritualità, come reazione ad una stagione orientata da un lato verso un eccessivo meccanicismo e dall'altro al cognitivismo (Vignozzi 2001: 13). I metodi umanistico-affettivi sono tutti caratterizzati dalla valorizzazione dei meccanismi cognitivi inconsci che sottostanno ai processi di apprendimento e dall'attenzione alle componenti affettivo-emotive dell'apprendimento. La relazione che si instaura tra insegnante e allievo è infatti simile a quella che contraddistingue il rapporto tra psicoterapeuta e paziente: l'insegnante parla poco, incoraggia l'apprendente a parlare e si comporta in maniera tale da tenere il filtro affettivo sempre abbassato; il percorso didattico deve infatti essere in grado di minimizzare le resistenze di carattere psicologico che i discenti oppongono in modo palese o occulto all'apprendimento (Vignozzi 2001: 13). Pur differenziandosi nell'uso delle tecniche didattiche adottate, questi metodi condividono la visione dell'apprendimento linguistico, di cui la grammatica resta un elemento fondamentale, come un processo induttivo di scoperta delle regole, processo che avviene sotto la guida dell'insegnante che funge da consulente e guida per gli studenti (Balboni 2002: 241). Essi sono inoltre caratterizzati dalla particolare attenzione agli aspetti psicologici dell'apprendimento, al ruolo della motivazione dell'apprendente e all'atmosfera della classe, che deve sempre essere rilassata.

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5.2 - La suggestopedia

Con il termine "suggestopedia" si fa riferimento ad un metodo nato in Bulgaria alla fine degli anni Sessanta e sviluppatosi successivamente nell'Unione Sovietica, in Germania e negli Stati Uniti. L'ideatore di tale metodo didattico, considerato come il metodo "clinico" per eccellenza, era uno psicoterapeuta di nome Georgi Lozanov, che riuscì a dare forma ad un metodo di insegnamento in cui veniva messa in risalto la grande efficacia della suggestione nei processi di apprendimento-insegnamento. Nella suggestopedia, lo studente è il protagonista del processo di apprendimento; tuttavia egli non gode di particolare autonomia, in quanto si lascia guidare dall'insegnante e non partecipa alle scelte didattiche. Importante per questo metodo è creare intorno al discente un'atmosfera il più possibile rilassata in modo da escludere dal percorso di apprendimento componenti quali l'ansia, la competitività e la paura. Uno dei fattori importanti che caratterizza l'apprendimento, secondo Lozanov, è infatti il processo di "infantilizzazione": il discente deve tornare bambino, regredire in quello stato tipico dell'infanzia in cui mancano i concetti di critica e autocritica, in modo da imparare senza stress. Un altro fattore suggestivo è la presenza in classe della musica, di solito barocca, che rende gli allievi maggiormente ricettivi all'imitazione e all'assorbimento dei dati provenienti dall'esterno; la musica accompagna in sottofondo tutte le attività proposte dall'insegnante che svolge, anche in questo caso, il ruolo di facilitatore e regista dell'apprendimento. Le lezioni del metodo suggestopedico, in cui grande importanza rivestiva il ruolo della memorizzazione, non sono particolarmente innovative per quanto riguarda le tecniche utilizzate (letture, giochi di ruolo, drammatizzazioni). Nei corsi di stampo suggestopedico, la lezione iniziava di solito con la lettura di un dialogo, fatta dall'insegnante seguendo il ritmo della musica di sottofondo. Gli allievi seguivano il testo scritto leggendo allo stesso tempo la traduzione nella loro L1; la lettura veniva poi riproposta in fasi successive seguita da attività di stampo comunicativo. Successivamente, veniva richiesto allo studente di rileggere il dialogo a casa prima di dormire e di ripetere la lettura il mattino successivo al risveglio. I materiali adottati erano selezionati in base al concetto intuitivo di "facilità" e il metodo utilizzato era fortemente induttivo; le regole grammaticali non venivano mai spiegate in modo esplicito poiché l'accuratezza grammaticale non era considerata l'obiettivo primario dell'apprendimento; esse erano di solito esposte alle pareti, su manifesti che lo studente poteva osservare quando ne sentiva la necessità.

5.3 - Il silent way

Questo metodo, definito anche "metodo silenzioso", è stato ideato dal pedagogista Caleb Gattegno all'inizio degli anni Sessanta ed è tutt'ora poco diffuso e conosciuto. Il nome del metodo è dovuto al fatto che il ruolo dell'insegnante era prevalentemente "silenzioso": Gattegno contestava infatti il fatto che in classe la maggior parte del parlato fosse dell'insegnante, così come criticava il fatto che la memorizzazione e la ripetizione fossero componenti centrali nell'apprendimento in metodi come quello audio-orale. Per questo, il ruolo dell'insegnante è, nel silent way, notevolmente ridimensionato: il suo compito non è quello di spiegare ma di fornire dei modelli; l'insegnante inoltre dà poco feedback, utilizza la tecnica della correzione silenziosa solo in rari casi, basata sull'utilizzo di gesti o di codici espressi con le dita. Proprio per queste caratteristiche il metodo è stato da alcuni criticato, in quanto in classe si veniva a creare un'eccesiva distanza emotiva tra discenti e insegnante, la cui freddezza non permetteva il crearsi di un'atmosfera comunicativa. Nel silent way, i discenti divengono il centro del percorso di apprendimento e godono di molta autonomia: la loro attività cognitiva era stimolata al massimo attraverso una serie di attività di problem solving; essi, per via principalmente induttiva, arrivavano a formulare ipotesi sulla lingua,

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per poi verificarle ed eventualmente correggerle con l'aiuto dei compagni. Il metodo di Gattegno utilizzava principalmente due strumenti nel corso delle lezioni: i regoli di Cuisinaire e un mazzo di carte; questo perché, secondo le teorie della psicologia sperimentale, l'apprendimento è estremamente facilitato quando si produce una associazione tra materiali da apprendere e oggetti fisici, come ad esempio il movimento di bastoncini colorati (Piva: 198). Con i regoli di Cuisinaire, bastoncini di dieci colori differenti di diversa lunghezza (i regoli della stessa lunghezza sono dello stesso colore), vengono introdotti elementi lessicali e relazioni sintattiche, l’insegnante mostra un regolo e introduce un breve enunciato. Segue poi una fase di silenzio, durante la quale lo studente ha tempo per assimilare quanto detto dal docente e formulare ipotesi sul funzionamento della lingua. Nella fase di "sperimentazione" gli apprendenti possono sfruttare i regoli, combinandoli insieme in modo da formare frasi di senso compiuto (ad ogni regolo corrisponde una funzione della lingua, per cui la loro associazione permette di creare degli enunciati). Il mazzo di carte (si tratta di flash cards) era invece utile per insegnare agli studenti i vocaboli della L2 o per introdurre momenti di riflessione e consapevolezza metalinguistica (Piva 2000: 198). Nel corso di una lezione del metodo silenzioso, nella prima fase l'insegnante mostrava un regolo e introduceva un breve enunciato nella LT (spesso di tipo imperativo) relativo agli oggetti e alla manipolazione degli oggetti stessi; seguiva poi un breve momento di silenzio, che permetteva agli studenti di assimilare l'enunciato e poi, in modo collaborativo, di interpretare adeguatamente lo stimolo ricevuto, eseguendo correttamente l'azione richiesta.

5.4 - Il Community Language Learning (CLL)

Questo metodo è stato proposto da uno psicologo americano, Alvin Curran, sulla base di un modello educativo, il Counseling-Learning, in cui venivano sottolineate le componenti affettivo-emotive dell'apprendimento; obiettivo principale di tale metodo era favorire l'apprendimento riducendo il carattere potenzialmente ansiogeno che caratterizza il contesto scolastico, eliminando la figura del docente onnisciente e il timore di compiere errori davanti alla classe. Vengono qui trasportati nella didattica i modelli della seduta psicoterapeutica: la relazione che si instaura tra docente e allievo è simile a quella che contraddistingue il rapporto tra counselor e client: l'insegnante consiglia il gruppo di studenti, fornisce suggerimenti bisbigliati all'orecchio di ognuno di loro, dà spiegazioni solo su richiesta, cerca di individuare il ritmo, le difficoltà e lo stile di apprendimento di ogni singolo apprendente. La responsabilità dell'apprendimento è quindi in mano agli studenti, che insieme formano una piccola comunità mossa dagli stessi obiettivi (Vignozzi 2001: 14); essi in classe si dispongono in cerchio lasciando fuori l'insegnante che funge da traduttore e interprete nella L2: le relazioni interpersonali tra i discenti vengono infatti inizialmente instaurate nella L1 e gli enunciati vengono poi tradotti dall'insegnante. Dopo la traduzione, gli studenti uno ad uno riproducono i vari messaggi proposti nella L2 dal docente, a volte registrandosi e riascoltandosi. Al termine della lezione i discenti cercano di risalire induttivamente alle regolarità della lingua che stanno apprendendo e, se necessario, l'insegnante fornisce spiegazioni riguardo a punti di particolare difficoltà, assumendo in questo caso un ruolo direttivo (Piva 2000: 196).

5.5 - Il Total Physical Response (TPR)

Questo metodo, definito della "reazione fisica totale", è stato ideato dallo psicologo James Asher all'inizio degli anni Sessanta. Il nome del metodo rimanda al coinvolgimento totale, psichico e fisico, del discente durante l'apprendimento; anche in questo caso, come in tutti i metodi umanistico-affettivi, vengono elaborate tecniche in grado di ridurre al minimo le componenti

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dell'apprendimento che possono causare ansia e stress. Le basi scientifiche su cui si fonda tale metodo sono molteplici: da un lato le scienze psicologiche con la "teoria delle tracce" nella quale si esamina l'influenza sulla memoria di stimoli che traggono origine da associazioni psicomotorie; dall'altro le neuroscienze, poiché si sottolinea la necessità di eliminare la rigida distribuzione delle attività linguistiche tra i due emisferi del cervello deputati all'apprendimento. Secondo Asher l'acquisizione è un processo lento e non è possibile per lui uno sviluppo equilibrato delle quattro abilità, per questo viene in primo luogo privilegiato il "saper ascoltare". Asher, cercando di riprodurre i meccanismi di acquisizione della lingua materna, propone di insegnare la lingua attraverso l'esposizione ad una serie di comandi nella LT, spesso buffi e paradossali, che si susseguono e diventano man mano sempre più complessi. Tali comandi comportano l'esecuzione di una serie di gesti, spostamenti e azioni non verbali, spesso di carattere ludico. L'insegnante coordina le attività in maniera solo apparentemente direttiva, l'apprendente non viene forzato a produrre enunciati nella LT finché non si sente pronto a farlo, cosa rivoluzionaria per l'epoca, in cui dominava la visione meccanicistica del metodo audio-orale, che prevedeva una risposta immediata degli studenti allo stimolo loro fornito. Il primo obiettivo che si vuole raggiungere è far sì che l'intero gruppo classe dimostri un'eguale disposizione ad accompagnare le attività motorie con attività verbali nella LT.

5.6 - Il Natural Approach

Questo metodo è legato al nome di Stephen Krashen, uno dei maggiori studiosi nell'ambito della ricerca sull'acquisizione di una seconda lingua. Il Natural Approach è fortemente influenzato dalle teorie sull'apprendimento linguistico formulate da Chomsky (vedi 3.1) e dai risultati emersi nell'ambito dei cosiddetti morpheme studies (si fa qui riferimento ad una serie di studi condotti negli Stati Uniti nel corso degli anni Settanta con l'intento di determinare quale fosse lo sviluppo della morfologia inglese. Questi studi hanno messo in evidenza come le sequenze di apprendimento individuate per la L1 rispecchiassero quelle osservabili nel caso della L2. I morpheme studies sono quindi arrivati a determinare sequenze di apprendimento in gran parte universali, in quanto lo sviluppo della morfologia era indipendente dalla lingua di partenza e dall'età degli apprendenti).

Mettendo a confronto il percorso di apprendimento di una L1 con quello di una L2, Krashen giunge alla conclusione che esiste un ordine naturale di apprendimento che accomuna l'acquisizione di una prima e di una seconda lingua. Ciò lo ha portato a ritenere che l'istruzione formale in una seconda lingua e il conseguente sviluppo della competenza metalinguistica non siano necessari ai fini dell'apprendimento di una L2; l'unico obiettivo dell'insegnamento in contesto di classe deve perciò essere quello di fornire un input comprensibile che potrebbe non essere sempre disponibile al di fuori di un contesto di istruzione formale. Le sue posizioni riguardo all'efficacia dell'istruzione formale lo portarono a ideare, insieme a Tracy Terrel, un metodo glottodidattico definito "metodo naturale" (Natural Approach), caratterizzato dalla scelta di dare uno spazio estremamente marginale allo studio esplicito della grammatica e, contemporaneamente, dall'importanza data allo svolgimento di attività che privilegino il focus on meaning, cioè le attività di scambio comunicativo. Secondo questi studiosi, infatti, la competenza grammaticale può essere sviluppata anche senza un'attenzione selettiva alla forma. Tale metodo si è sempre più avvicinato alle ipotesi formulate da Krashen sull'acquisizione del linguaggio; la sua teoria, ha come idea di base il fatto che l'apprendimento linguistico viene influenzato sia da fattori ambientali, esterni, che da fattori interni all'apprendente, in particolare da tre meccanismi mentali, due subcoscienti (filtro affettivo e organizzatore) e uno cosciente (monitor). Nella loro proposta metodologica, Krashen a Terrel insistono sul fatto che la produzione nella L2 deve essere dilazionata fino al momento in cui emerge spontaneamente la necessità di parlare nella lingua seconda (Piva 2000: 201). Affinché questo

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avvenga, l'atmosfera della classe deve essere rilassata e l'input deve essere comprensibile. Anche all'interno di questo metodo l'insegnante gioca un ruolo fondamentale nel corso della lezione: egli fornisce infatti input all'apprendente attraverso attività stimolanti, controlla la lingua in modo che essa sia adatta al livello linguistico dell'apprendente e deve inoltre evitare di intervenire con delle correzioni, a meno che gli errori non rendano incomprensibile l'enunciato (Piva 2000: 201).

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UD 6 - I principali metodi glottodidattici: gli sviluppi più recenti

L'ultima unità si pone come obiettivo quello di presentare i più recenti sviluppi della glottodidattica, fornendo un quadro dei metodi utilizzati negli anni Ottanta e Novanta e dando indicazioni riguardo ai possibili sviluppi futuri di tale disciplina.

6.1 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: la centralità del discente

6.2 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER)

6.3 - Sviluppi recenti nel campo dell’insegnamento linguistico

6.4 - La didattica acquisizionale

6.1 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: la centralità del discente

Come è stato possibile osservare nei paragrafi precedenti (UD2, UD3, UD4 e UD5), il concetto di metodo ha subito nel corso degli anni notevoli evoluzioni; la storia della glottodidattica ci ha infatti permesso di osservare come siano man mano cambiati nel corso degli anni i fattori che caratterizzano un buon intervento glottodidattico.

In epoca moderna gli insegnanti si sono trovati davanti ad una serie di proposte di insegnamento e all'esigenza di doverne valutare la ricaduta sul piano didattico; in anni recenti l'idea della validità di un unico metodo risulta ormai superata e non più accettabile: l'idea generale è infatti quella che vede l'insegnante lasciarsi alle spalle i metodi tradizionali di insegnamento e allo stesso tempo però attingere ad un insieme eclettico di procedimenti didattici, antichi e moderni. Il lavoro dell'insegnante deve in prima istanza tenere conto dei bisogni linguistici dell'apprendente (vedi 4.1), bisogni che si basano su variabili quali le situazioni comunicative in cui gli apprendenti si trovano a interagire, sulle loro motivazioni allo studio della L2 (vedi la scheda Motivazioni allo studio dell'italiano), sulle aspettative e le abitudini di studio e sui tipi di testo che dovranno produrre o codificare (Diadori 2000: 89; vedi il modulo Modelli teorici sull'apprendimento di una L2, UD6).

L'individuazione dei bisogni dei discenti, che può avvenire attraverso la somministrazione di questionari, test o autovalutazioni, è necessaria per determinare le abilità linguistico-comunicative da sviluppare per operare efficacemente a livello didattico, calibrando in maniera adeguata le tecniche e le strategie didattiche messe in atto nel corso della lezione. Nella glottodidattica moderna lo studente è quindi sempre di più al centro del processo di apprendimento, che può risultare efficace solo se esso è in grado di coinvolgere e motivare il discente, tenendo conto dei suoi stili e delle sue strategie di apprendimento.

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6.2 - La glottodidattica degli anni Ottanta e Novanta: il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER)

La negazione dell'unicità del metodo sembra essere confermata dalle indicazioni che il Consiglio d'Europa dà in merito all'insegnamento linguistico attraverso il QCER (Quadro comune europeo di riferimento per le lingue), uno dei documenti fondamentali in ambito di pianificazione linguistica e testo che rappresenta l'ultimo progetto in grado di unire sistematicamente le ragioni della teoria e della pratica in campo linguistico (vedi la scheda Il percorso europeo verso il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue). Il QCER, oltre a essere un valido strumento per quanto riguarda la valutazione e la certificazione linguistica (nel QCER vengono infatti stabiliti i Livelli Comuni di Riferimento, utili per uniformare a livello europeo le certificazioni di lingua straniera), è di grande utilità in quanto si prefigge come obiettivo quello di fornire un quadro coerente e comune dal punto di vista scientifico relativamente all'insegnamento di una lingua straniera, insegnamento che è centrato sullo studente, sul riconoscimento dei suoi bisogni (4.1 e 6.1) e sull'uso della lingua intesa come capacità di operare in modo appropriato nei diversi contesti comunicativi in cui l'apprendente si trova a dover interagire.

IL QCER è inoltre una fonte indispensabile per elaborare i programmi di apprendimento linguistico; esso, oltre a fornire indicazioni riguardo all'identificazione dei bisogni, costituisce un valido strumento utile per la determinazione degli obiettivi, la selezione e la creazione del materiale didattico, la definizione del sillabo e i criteri di valutazione. Nel QCER si auspica infatti che l'insegnante sappia programmare con precisione la propria azione, definendo accuratamente gli obiettivi, scegliendo in modo critico i contenuti e i metodi, valutando in maniera strategica gli esiti di apprendimento a medio e lungo termine. Per quanto riguarda invece le direttive relative alle metodologie di insegnamento, il QCER auspica che la competenza grammaticale, considerata non solo come conoscenza della grammatica di una lingua ma anche, e forse soprattutto, come abilità di farne uso (Consiglio d'Europa 2001: 138, 185), venga ottenuta principalmente attraverso attività induttive. Per questo, la grammatica deve venire sempre presentata a partire da un reale contesto d'uso, attraverso un processo di scoperta della regola e sistematizzazione della stessa da parte di apprendenti e insegnanti.

6.3 – Sviluppi recenti nel campo dell’insegnamento linguistico Come si è visto anche nel corso delle unità precedenti (vedi UD1), la glottodidattica moderna è una scienza ormai autonoma che si avvale dei risultati ottenuti nel corso di ricerche condotte nell'ambito di altre discipline, tra cui la psicolinguistica, la neurolinguistica e la psicologia. In anni più recenti la glottodidattica ha potuto sfruttare anche i risultati ottenuti nell'ambito di un altro campo di ricerca, il cui obiettivo è quello di definire, in modo sperimentale, quali siano i fattori in grado di influenzare il processo di acquisizione di una lingua straniera. Si tratta della scienza definita come SLA (Second Language Acquisition), per la quale in italiano viene adottata anche la sigla SLAR (Piva 2000: 189), che fa riferimento alla Second Language Acquisition Research, un ambito di studio che si è sviluppato inizialmente negli Stati Uniti con l'obiettivo principale di risolvere alcune delle problematiche emerse a livello di pedagogia linguistica (Ellis R. 1997: 6). Oggetto di indagine della SLA è stato, ad esempio, il ruolo dell’attenzione, della memoria, del language processing all’interno del percorso di acquisizione di una seconda lingua. Dalla combinazione tra la SLA e la ricerca nell’ambito dell’insegnamento linguistico (in inglese FLT research, Foreign Language

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Teaching research) è nata recentemente la didattica acquisizionale (d’ora in poi DA), una disciplina il cui obiettivo è quello di armonizzare l’intervento didattico (cioè cosa si insegna, quando e come) con i processi naturali di apprendimento (Rastelli 2009: 9).

6.4 - La didattica acquisizionale

La DA si differenzia dalla glottodidattica principalmente per quanto riguarda l’oggetto e la metodologia di indagine. Essa infatti, a differenza della glottodidattica, indaga i fattori linguistici del processo di acquisizione tralasciando quelli legati, ad esempio, alle attitudini linguistiche, agli stili di apprendimento e alla motivazione. Nella DA, inoltre, la ricerca è condotta con metodi di tipo sperimentale: alcune ipotesi di partenza vengono testate nel corso di esperimenti che devono essere replicabili e controllabili, con l’obiettivo di analizzare l’influenza di alcuni fattori sul processo di acquisizione.

Tra i principali tratti oggetto di studio nella didattica acquisizionale ricordiamo:

1. Il grado di expliciteness che caratterizza l’insegnamento grammaticale: è necessario far sempre riferimento esplicito alle regole grammaticali o vi sono alcuni aspetti della lingua che vengono appresi implicitamente attraverso l’assorbimento, la replicazione e l’ampliamento di routine linguistiche ricavate dagli apprendenti per via induttiva solo attraverso l’esposizione all’input? (Rastelli 2009: 107-108). Compito della ricerca è dunque ragionare su quali tratti della lingua debbano essere oggetto di riflessione esplicita in classe e con quale sequenza tali argomenti dovrebbero essere presentati (Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2 2008).

2. Gli effetti del trattamento dell’input sull’acquisizione linguistica: quali metodologie preferire per rendere l’input più saliente e permettere quindi che determinate forme siano notate dagli apprendenti e vi sia acquisizione? Studi recenti si sono concentrati sull’innalzamento del tono della voce (auditory recast) o sul trattamento grafico delle forme (visual enhanced input).

3. Il tipo di feedback correttivo: che cosa correggere? Quando e come? Si vuole determinare se, e in quale misura, una gestione corretta del feedback negativo possa avere ricadute positive sul percorso di acquisizione. Tra le tipologie di feedback negativo prese in considerazione ricordiamo le correzioni esplicite, il recast, il prompt (vedi il glossario).

4. La produzione linguistica in classe: qual è il ruolo dell’interazione linguistica in classe? In che misura essa può favorire l’apprendimento linguistico? (Interazione didattica e apprendimento linguistico 2010).

La ricerca condotta nell’ambito della DA non è al momento in grado di dare risposte certe agli insegnanti riguardo alle strategie migliori da adottare in classe; tuttavia i numerosi studi condotti finora dovrebbero stimolare i docenti a riflettere su quali siano le loro competenze fondamentali. È necessario, infatti, che un insegnante (Rastelli 2009):

- prenda dimestichezza con le tecniche di interazione allievo-insegnante;

- sappia analizzare l’interlingua e, di conseguenza, sappia come e quando intervenire per correggere gli errori;

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- abbia una conoscenza dichiarativa della lingua che insegna;

- conosca le differenze tipologiche tra le lingue che insegna e sia consapevole che esistono elementi linguistici più difficili da imparare di altri. Fondamentale è anche la consapevolezza della non universalità di alcune nozioni: il docente deve sapere che non tutte le categorie grammaticali (si pensi ad esempio a quella di verbo, nome, oggetto) sono condivise da tutte le lingue e per questo non sempre è utile fare ricorso alla metalingua quando si insegna (Apprendere l’italiano da lingue lontane: prospettiva linguistica, pragmatica, educativa 2011);

- sia in grado di adattare il suo programma didattico alla sequenza naturale di acquisizione e rispetti il concetto di gradualità: non è possibile insegnare “tutto e subito” ma, al contrario, è fondamentale lavorare secondo un percorso a spirale (Freddi 1994) che via via riprenda e ampli gli argomenti trattati. L’insegnante deve inoltre sapere che ciò che si insegna non sarà immediatamente acquisito: lo dimostra, ad esempio, il fatto che alcuni aspetti della lingua, tra cui l’accordo di genere e numero, siano tra i tratti che tardano di più ad essere dominati dagli apprendenti nonostante vengano affrontati quasi subito all’interno del percorso didattico (Chiapedi 2011; Della Putta e Visigalli 2010).

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- Per un glossario di termini relativi alla glottodidattica: http://www.irre.toscana.it/italiano_l2/materiali/glossarioeda.htm#secondalingua

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