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Bullettino DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO 111 ROMA NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI ___ 2009 DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

Montanari 2009

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BullettinoDELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO

PER IL MEDIO EVO

111

ROMANELLA SEDE DELL’ISTITUTO

PALAZZO BORROMINI___

2009

DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO

PER IL MEDIO EVO

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Mangiare il nemico. Pratiche e discorsi di antropofagianelle città italiane del tardo medioevo

«Più del dolor poté il digiuno»1, recita il verso dantesco, uno dei piùcelebri della letteratura mondiale.

Il fiero pasto ha sempre suscitato dubbi e perplessità: fu davvero Ugo-lino un padre antropofago? O più semplicemente morì dilaniato dalla fa-me, come sostennero alcuni commentatori contemporanei, che, restii a cre-dere il conte capace di una simile colpa, decifrarono le parole di Dante nelloro significato più benigno ritenendo, come Cristoforo Landino il secolosuccessivo, “absona” l’interpretazione che sottintende l’antropofagia2.

Al tempo di Ugolino, tuttavia, il ricorso al “fiero pasto” non fu unmero topos letterario, né un fenomeno collegato esclusivamente a bisognialimentari: le cronache, dal XIV al XVI secolo, riportano infatti, tra lepratiche di scempio del cadavere caratteristiche delle rivolte urbane, alcu-ni episodi di cannibalismo che sono da mettere in relazione non tantocon le numerose attestazioni di antropofagia nutrizionale del periodo,ma piuttosto con l’uso di pratiche aggressive e di violazione dell’integri-tà corporea, frequenti in ambito cittadino bassomedievale e penisulare3.

1 D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXXIII, 75.2 «Marino Novarese, al quale Iddio accresca la prudentia e diminuisca l’arrogantia,

interpreta che el digiuno potè più che ‘l dolore, che el desiderio di cibarsi vinse la pietà et amorepaterno et sforzollo a pascersi della carne de’ figliuoli; la qual sententia quanto sia absonalascerò al giudicio del lectore»: Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, cur. P. Pro-caccioli, Roma 2001. Sulla veridicità della leggenda del conte Ugolino non si sono interro-gati soltanto i contemporanei di Dante: l’episodio è stato oggetto di numerosi studi ediscussioni dal XIV secolo ai giorni nostri, interessando attualmente anche biologi, comeFrancesco Mallegni, che ritiene di aver identificato lo scheletro del conte. Secondo lo stu-dioso, in base alle analisi delle ossa delle costole, il presunto scheletro porterebbe ad esclu-dere l’interpretazione cannibalica dei versi danteschi per la mancanza di tracce di zinco nelleossa delle costole, evidenti invece nel caso di consumazione di carne umana (F. Mallegni –M.L. Ceccarelli Lemut, Il conte Ugolino della Gherardesca tra antropologia e storia, Pisa 2003).

3 Non è questa la sede per tentare un riassunto dei tantissimi studi sul cannibali-smo, ci limitiamo quindi a segnalare l’ultima opera di sintesi uscita sull’argomento: D.

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In questo contesto, infatti, l’uso simbolico dell’azione violenta èpregno di significati grevi: non si limita a emergenze drammatiche o asituazioni di tale eccezionalità da sfuggire al controllo, ma costituisceinvece una caratteristica propria degli stessi contesti istituzionalizzati edella giustizia ufficiale, all’interno dei quali viene adottato come stru-mento atto alla restaurazione dell’ordine, capace cioè di ricomporre lefratture nel tessuto sociale causate dalla trasgressione delle norme fis-sate dall’ordinamento pubblico4.

Al fianco della prassi ufficiale sussistevano ovviamente pratiche diviolenza non riconosciute, non corrispondenti ad un rituale codificato eapparentemente estranee ad ogni forma di disciplina. Appro-fondendol’analisi, tuttavia, si è portati a chiedersi se anche dietro a condotte socia-li più spontanee – e dunque per quel che ci concerne all’antropofagia –non si celassero forme di controllo meno manifeste nonché alcune dina-miche ricorrenti e consuetudinarie, pur non cristallizzate attraverso unaspecifica codificazione.

Ma vediamo prima di tutto cosa tramandano le fonti.

Dhiel – M.P. Donneley, Eat thy neighbor: a history of cannibalism, Glouchestershire 2008. Ilcannibalismo nel Medioevo al contrario è una tematica ancora poco studiata. Esiste unasola monografia sull’argomento: M.L. Price, Consuming passions: the uses of cannibalism inLate Medieval and Early modern Europe, New York 2003 (si ringrazia Andrea Zorzi per lasegnalazione), mentre a livello letterario la tematica è stata di recente analizzata daHeather Blurton (H. Blurton, Cannibalism in the hight medieval english literature, New York2007; si ringrazia Luigi Russo per la segnalazione). Diversi articoli approfondisconoinvece aspetti determinati dell’antropofagia; tra i vari si ricorda P. Bonassie, Consommationd’aliments immondes et cannibalisme de survie dans l’Occident du Moyen Âge, «Annales ESC», 44(1989), pp. 1035-1056; A. Pagden, Cannibalismo e contagio: sull’importanza dell’antropofagianell’Europa preindustriale, «Quaderni Storici», 50, anno XVII/2 (1982), pp. 533-550; E.W.Muir, The cannibals of Renaissance Italy, «Syracuse Scholar», 5 (1984), pp. 5-14.

4 Sull’esercizio della violenza in contesti ufficiali cfr. A. Pertile, Storia del diritto italia-no dalla caduta dell’impero romano alla codificazione, II ed. riveduta, Bologna 1965-1966: V, pp.249-277; C. Gauvard, Violence et ordre public au Moyen Âge, Paris 2005; A. Zorzi, Le esecu-zioni delle condanne a morte a Firenze nel tardo Medioevo tra repressione penale e cerimoniale pubbli-co, in Simbolo e realtà della vita urbana nel tardo Medioevo. Atti del V Convegno storico italo-canadese (Viterbo 11-15 maggio 1988), Viterbo 1989, pp. 153-253; Zorzi, Rituali di vio-lenza, cerimoniali penali, rappresentazioni della giustizia nelle città italiane centro-settentrionali (secoliXIII-XV), in Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, Relazioni tenute al conve-gno internazionale organizzato dal Comitato di studi storici di Trieste, dall’École fran-çaise de Rome e dal Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Trieste (Trieste,2-5 marzo 1993), cur. P. Cammarosano, Roma 1994 (Collection de l’École française deRome, 201), pp. 398-425; B. Lenman – G. Parker, The State, the Community and the CriminalLaw in Early Modern Europe, in Crime et Law, the Social History of Crime in Western Europesince 1500, cur. V.A.C. Gatrell - B. Lenman - G. Parker, London 1980, pp. 11-48.

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Testimonianze

Il primo caso di antropofagia attribuito al XIV secolo risale al 1305ed è collegato al sospetto assassinio dell’ultimo marchese di Monfer-rato discendente dalla casa degli Aleramici, Giovanni I, unico eredemaschio di Guglielmo VII del Monferrato. A trattarne è il De gestis ci-vium Astensium di Guglielmo Ventura che, seppur coevo all’episodionarrato, non fu testimone diretto del fatto5.

Il testo narra come Giovanni I degli Aleramici, ottenuta la sotto-missione di Asti nel 1303, cadesse gravemente ammalato nel gennaio1305. Pochi giorni più tardi moriva senza eredi, dopo aver commessoper testamento la gestione delle sue terre al comune di Pavia. Di quel-la morte improvvisa venne incolpato il suo medico personale, maestroEmanuele di Vercelli, con un’accusa, a detta di Guglielmo, infondata.

Non appena assolte le incombenze funebri, i ministri del defuntomarchese assassinarono senza processo il vercellese, colpendolo a mortecon numerose pugnalate, e molti ne mangiarono le carni6.

Sei anni dopo, a Brescia, avvenne un pasto antropofagico dalle mo-dalità e dai fini assai diversi. Correva l’anno 1311 ed Enrico VII di Lus-semburgo, valicate le Alpi alla testa del suo esercito, cingeva d’assediola Brescia ribelle. Narra la Cronaca Varignana del Corpus Chronicorum Bo-noniensium, che i bresciani «virilmente e fortemente se defendevano» e,quando si impadronivano dei soldati nemici, «tuti li arustivano e li man-giavano»7. Gli imperiali non furono da meno: catturato Tebaldo Bru-

5 Guilelmi Venturae De gestis civium Astensium, Torino 1848 (Monumenta HistoriaePatriae, Scriptores, 3/2), coll. 747-748. Purtroppo il De gestis civium Astensium ci è giun-to solo in redazioni tarde, non anteriori al XVI secolo e con numerose interpolazioni;l’analisi che segue si rifà all’edizione dei Monumenta Historiae Patriae, tratta dalle duecopie della cronaca conservate all’Archivio di Torino.

6 Ibid. È piuttosto difficile ricostruire l’identità della vittima dell’antropofagia, dalcui semplice nominativo si possono presumere – data anche la professione – le originiebraiche, non supportate però da alcun documento. L’eventuale verifica dell’apparte-nenza giudaica di Emanuele fornirebbe un’ipotesi suggestiva, ma plausibile, all’accadu-to. Plausibile, poiché prefigurerebbe con ampio margine di probabilità la comoda scel-ta di far ricadere le responsabilità della morte su membro estraneo alla comunità cristia-na, suggestiva per il ribaltamento implicitamente sottinteso: proprio a partire da questosecolo, le comunità giudaiche saranno accusate di omicidio e cannibalismo, seppur nellemodalità differenti dell’uso del sangue e dell’infanticidio rituale, mentre qui l’ebreosarebbe rappresentato come vittima, ingiustamente colpevolizzata, dell’atto cannibalico.

7 Corpus Chronicorum Bononiensium, ed. A. Sorbelli, in R.I.S.², 18/1, vol. II (CronacaB – Varignana), Bologna 1938, pp. 320 (si ringrazia Bruno Fortunato per la segnala-zione dell’episodio).

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sato, anima della resistenza, lo avvolsero in una pelle di bue e lo trasci-narono intorno alle mura, per poi decapitarlo, squartarlo ed esporne iresti ai quattro angoli della città. Gli assediati, per lavare l’oltraggio alnobile Brusato, catturarono un nipote dell’imperatore, che fu «arrostitoe mangiato dalli Bressani»8.

Spostiamoci ora verso il sud isolano, la cui storia è narrata dallacronaca di Michele da Piazza. Siamo a Geraci, nel 1337 e la città ècombattuta tra le famiglie dei Ventimiglia e dei Chiaromonte. In segui-to ad un nuovo contenzioso con la famiglia dei Palizzi, alleata dei Chia-romonte e sostenuta dal nuovo sovrano Pietro II, Francesco Venti-miglia venne bollato come traditore e ucciso. Fu allora che abitanti diGeraci ne fecero scempio, tagliandogli le dita, strappandogli gli occhi,staccandogli a colpi di pietra i denti, tagliando i peli della barba con lacarne, finchè non fu «scissus de membro in membrum» e, aggiunge ilcronista, «alii de epate eius comedebat»9.

Nel 1343 a Firenze scoppiò la rivolta contro Gualtieri di Brienne,duca d’Atene e signore di Firenze. A descrivere l’episodio di antropo-fagia sono la cronaca di Giovanni Villani, contemporaneo ai fatti nar-rati, e quella di Marchionne di Coppo Stefani, vissuto una generazionepiù tardi e ispirato in parte all’opera del predecessore. Notizie utili siricavano anche dalle Storie Pistoresi e dalle Memorie inedite di Francescodi Giovanni Durante10.

Il 26 luglio 1343, dunque, gli insorti asserragliarono il Brienne nelsuo palazzo, costringendo alla fuga i suoi seguaci. Come prezzo perrompere l’assedio, i rivoltosi chiesero la consegna del conservatoreGuglielmo d’Assisi e del di lui figlio che, rimessi nelle mani dell’«arrab-biato popolo», furono uccisi seduta stante e smembrati «in minuti pez-zi». Alcuni insorti brandirono le picche con brandelli delle loro spoglie,mentre altri, più arditi, ne divoravano le carni con «furia animosa»11.

ANGELICA MONTANARI

8 Ibid., p. 321.9 Michele da Piazza, Cronica, ed. A. Giuffrida, Palermo 1976, p. 59 (si ringrazia

Piero Corrao per la segnalazione dell’episodio).10 Giovanni Villani, Nuova Cronica, ed. G. Porta, Parma 1990, pp. 291-342;

Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ed. N. Rodolico, in R.I.S.², 30/1, Cittàdi Castello 1913, pp. 192-209; Storie Pistoresi [MCCC-MCCCXLVIII], ed. S. AdrastoBarbi, in R.I.S.², 11/5, Città di Castello 1903, pp. 175-192; Francesco di Giovanni diDurante, Memorie, BNF II. IV. 377. Sull’episodio di antropofagia si veda Muir, The can-nibals cit., pp. 5-14

11 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 339. Così suona l’identico episodio nelleparole di Marchionne di Coppo Stefani: «vennono Altoviti, Medici, Rucellai ed altri

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Se il tentativo di spodestare il duca d’Atene andò a segno, nonaltrettanto riuscita fu nel 1385 l’insurrezione contro Niccolò II d’Este:il 3 settembre 1385 i ferraresi insorsero esasperati dalla gravosa tassa-zione e si rivolsero contro Tommaso da Tortona, responsabile direttodella politica tributaria.

A citare l’episodio di antropofagia sono il Chronicon Estense e ilChronicon Regiense12; in ambedue si racconta come, di fronte all’incontrol-labile animosità della rivolta, il marchese si risolse a pagare la sua salvez-za con la vita del vicario. Tommaso, percosso con fruste e bastoni, col-pito con lame, ferito con uncini, lapidato, tagliato con le scuri, venne tra-scinato “turpemente” dalla piazza fino al rogo nel quale i rivoltosi ave-vano bruciato i registri di dazi e gabelle. Qui gli estrassero il fegato e ilcuore per divorarli; altri resti furono appesi su picche e bastoni e fatti sfi-lare per la città; qualcuno dei macabri trofei venne esposto in bella vistaal porto, come monito per tutti. Alla fine, quel poco che restava delcorpo fu dato alle fiamme assieme ai libri e ai documenti13.

Trascorre quasi un secolo prima che si abbia notizia di un ulterioreepisodio di antropofagia, per il quale occorre spostarsi nella Milano del1476. Si tratta dell’assassinio di Gian Galeazzo Maria Sforza, pugnalatomentre si recava alla messa di Santo Stefano da Giovanni Andrea Lam-

assai, cui avea i loro condannati a morte, e fu gittato fuori dalla porta il figliuolo delconservadore, il quale avea 18 anni ed appresso lo conservadore. Il popolo bestialmen-te straziando e tagliando questi, chi con un pezzo, e chi con un altro n’andava via, echi ne mangiava e chi ne mordea, che, secondochè si legge, in inferno non si fa peg-gio di un’anima. Ed assai vituperevole cosa era a vedere» (Marchionne di CoppoStefani, Cronaca fiorentina cit., p. 209).

12 Chronicon Estense, ed. L. A. Muratori, R.I.S., XV, Mediolani 1729, col. 510 b\c;Sagacius et Petrus de Gazata, Chronicon Regiense, ed. L. A. Muratori, R.I.S., XVIII,Mediolani 1731, col. 91. Il Chronicon Estense e il Chronicon Regiense sono le uniche duefonti a specificare l’episodio di antropofagia, ma notizie utili ed interessanti sull’episo-dio si ricavano anche da ulteriori testimonianze: Corpus Chronicorum Bononiensium cit.,vol. III, Bologna 1939, p. 374; Conforto da Costoza, Frammenti di storia vicentina, ed. C.Steiner, in R.I.S.², 13\1, Città di Castello 1915, pp. 32-33; Galeazzo e BartolomeoGatari, Cronaca Carrarese, edd. A. Medin - G. Tolomei, in R.I.S.², 17/1, vol. I, Bologna1931, p. 237.

13 Anche nella rivolta di Firenze del 1343 furono distrutti dei documenti. AFirenze si tratta di documenti giudiziari, mentre a Ferrara dei registri dei dazi saccheg-giati dalla cancelleria: differenza che riflette la diversa caratterizzazione delle due rivol-te, una motivata dalla politica repressiva giudiziaria del regime del Brienne, l’altra inne-scata dalla rigida politica fiscale dell’estense. Sulla distruzione dei documenti si veda A.De Vincentiis, Memorie bruciate. Conflitti, documenti, oblio nelle città italiane del tardo Medioevo,«Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo», 106/1 (2004), pp. 167-198.

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pugnani e dai suoi complici. All’attentatore non spettò una sorte mi-gliore: inciampato mentre cercava di correre a dispetto della zoppia,Lampugnani cadde a terra, dove fu raggiunto e ucciso dallo staffiere delduca. Il suo cadavere venne fatto immediatamente oggetto di esecrazio-ne, trascinato fino alla sua casa e ivi appeso alla finestra per un piede, eancora trascinato per la città fino al giorno seguente. A descrivere l’attodi antropofagia sulla salma è la cronaca in versi di Gabriele Fontana:«aliqui cives, res est horrenda relatu, \ dentibus hei mordent cor iecuratque manus»14.

Anche a Forlì, nel 1488, fu fatto scempio dei corpi di diversi con-giurati, nel quadro della vendetta di Caterina Sforza dopo l’assassiniodel marito Girolamo Riario, signore di Imola e Forlì. A descrivere det-tagliatamente l’accaduto è Leone Cobelli, contemporaneo agli eventi,testimone diretto dei fatti e schierato con i signori di Forlì.

Ripreso il controllo della città dopo la congiura, Caterina Sforzaapplicò feroci misure di giustizia contro i persecutori dello sposo de-funto. Il padre dei fratelli Orso, capi della congiura, fu catturato e ucci-so al posto dei figli fuggitivi: legato il corpo ad un’asse in modo che nerimanesse fuori la testa, fu appeso alla coda di un cavallo e trascinatotre volte attorno alla piazza. Il cadavere venne poi squartato e le inte-riora sparse per la piazza: Cobelli, che assisteva al lugubre spettacolo«senpri deretro per vedere la fine», racconta che un soldato infierì ulte-riormente sul cadavere mutilato estraendone il cuore per addentarlo15.

All’aprirsi del nuovo secolo, a Perugia, ebbe luogo una congiuraaltrettanto sanguinaria, occasione di nuovi atti di cannibalismo: la faidafratricida passata alla storia come “le nozze rosse” del 14 luglio 1500.

A fornire una descrizione della strage è Pompeo Pellini, nato aPerugia nel 1523 e favorevole al dominio dei Baglioni. Il cronista rac-conta come, in vista del raduno dell’intero casato per il matrimonio di

ANGELICA MONTANARI

14 Gabrielis Paveri Fontanae De vita et obitu Galeacii Mariae Sfortiae VicecomitisMediolani ducis Quinti, Mediolani, s.a. (sed 1477): sulla congiura si veda F.M. Vaglienti,Anatomia di una congiura. Sulle tracce dell’assassino del duca Galeazzo Maria Sforza tra storia escienza, «Atti dell’Istituto Lombardo. Accademia di scienze e di lettere di Milano»,136/2 (2002), pp. 237-273; B. Bellotti, Storia di una congiura, Milano 1950.

15 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi dalla fondazione della città all’anno 1489, edd. G.Carducci - E. Frati, Bologna 1874 (Monumenti istorici pertinenti alle provincie dellaRomagna, ser. III, 1), p. 338. Sulla signoria dei Riario si veda N. Graziani, Tra Medioevoed età moderna: la signoria dei Riario e di Caterina Sforza, in Il Medioevo, cur. A. Vasina,Bologna 1990, pp. 239-261; D. Pasolini, Caterina Sforza, Roma 1893.

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Astorre Baglioni con Lavinia Colonna, Carlo di Oddo Baglione conce-pisse insieme al cognato Girolamo della Penna l’atroce disegno di ster-minare tutti i membri della sua famiglia, uccidendo «a un tempo Guidoe Ridolfo Baglioni con tutti i loro figliuoli». I cospiratori invasero ilpalazzo dopo i festeggiamenti. All’alcova nuziale venne destinato Fi-lippo di Braccio con vari seguaci, che assalirono Astorre ancora gia-cente sul letto dandogli «la morte, senza che egli potesse in alcunaguisa difendere». Filippo di Braccio estrasse allora il cuore dal petto deldefunto per morderlo ferocemente, abbandonandone poi il corponudo in mezzo alla strada16.

Il secondo episodio di antropofagia di cui riferisce Pellini si svolge nel1500 ad Acquasparta, nei pressi di Todi, ed è narrato in modo ancor piùesaustivo da una cronaca coeva ai fatti, attribuita a Francesco Maturanzio.

Le testimonianze narrano che Vitellozzo Vitelli «soldato della chie-sa», venne mandato dal papa a liberare Todi dal dominio di Altobellodi Chiaravalle e Girolamo da Canale. Espugnata la città di Acquaspar-ta, Altobello fu intercettato mentre tentava la fuga. Lungo il tragittoverso il carcere, una folla inferocità strappò il prigioniero alle guardie:«ognie homo correva per volerlo amazzare»; tanta era l’ansia dei carne-fici che «per la prescia se ferivano l’uno l’altro». I resti del «tiranno»furono divorati con tale animosità che «non ne avanzò niente del suomisero e mendico corpo»17.

Gli eventi tramandati circa un’altra faida, relativa alla storia di Pistoia– leggibili nella Storia dei suoi tempi di Piero Vaglienti, contemporaneo ma

16 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia, ed. L. Faina, Perugia 1970 (Depu-tazione di storia patria per l’Umbria, Fonti per la storia dell’Umbria, 8), III, pp. 121-135: 125. Ispirato dalla trasfigurazione tragico-romantica della figura di uno deicongiurati, il giovane e bel Grifonetto che non riuscì a mettersi in salvo, Oscar Wildescrisse: «In his trimmed jerkin and jewelled cap and acanthuslike curls, GrifonettoBaglioni, who slew Astorre with his bride, and Simonetto with his page, and whosecomeliness was such that, as he lay dying in the Yellow Piazza of Perugia, those whohad hated him could not choose but weep, and Atalanta, who had cursed him, blessedhim.»: O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, cap. IX.

17 Francesco Matarazzo, Cronache e storie della città di Perugia, ed. A. Fabretti,«Archivio storico italiano», 16/2 (1851), pp.149-150; passo corrispondente in PompeoPellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137. La cronaca di Pompeo Pellini non è unafonte diretta; per quanto riguarda quella di Maturanzio, in realtà l’attribuzione al rino-mato umanista è ritenuta dalla storiografia molto improbabile. In ogni caso, ciò chepiù interessa alla nostra analisi è che l’autore si dichiari contemporaneo ai fatti, datoquesto confermato dalle analisi linguistiche (si veda prefazione di Ariodante Fabrettiall’opera di Maturanzio: F. Matarazzo, Cronache cit., p. X).

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non testimone diretto dei fatti narrati – si discostano dagli esempi ripor-tati finora: l’occasione fu infatti una delle numerose carneficine indottedalla rivalità delle fazioni dei Panciatichi e dei Cancellieri. Nel 1501, lalotta tra le opposte consorterie volse al peggio per i Panciatichi che, rifu-giatisi a Serravalle ma traditi da alcuni membri della loro fazione, furo-no fatti a pezzi e subirono il morso al cuore: «vi fu a chi e’ cavonno elcuore e colla loro bocca lo mordevano e facevano pezzi»18.

Discorsi di antropofagia: codificazioni e linguaggi

Corpi mutilati, interiora sparse, membra arrostite, addentate, divo-rate: il nemico si umilia con una serie di abusi postumi volti tutti allospregio e all’oltraggio. È l’onta alle spoglie dell’antagonista, attuata at-traverso la prosecuzione post mortem del rituale infamante che precedel’esecuzione: svestizione, squartamento, impiccagione per i piedi, am-putazione di testa, occhi, mani e genitali, trascinamento ed esposizio-ne della salma. Un dato salta agli occhi: tutte queste diverse forme diviolenza si ritrovano anche nell’ambito della giustizia ufficiale e sonopreviste dagli statuti cittadini, generosi di umiliazioni postume daaffiancare alla pena di morte19. Tutte, tranne l’antropofagia, culminesimbolico del rituale di violenza.

L’antropofagia è infatti una pratica alla quale fa riscontro, anche al difuori del cerimoniale penale, una mancanza totale di codificazione: nonsi sviluppa nel Medioevo alcun dibattito teorico inerente al cannibalismo– salvo i brevi cenni fatti da sant’Agostino nel De civitate Dei riguardo allaresurrezione dei corpi divorati20 – così come manca un lessico capace didefinirlo, al punto che lo stesso vocabolo antropofagia, pur accreditatoin alcune fonti classiche, cade in disuso a partire dal IV secolo21.

ANGELICA MONTANARI

18 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi. 1492-1514, cur. G. Berti – M. Luzzati – E.Tongiorgi, Pisa 1982, pp. 133-134.

19 Si vedano ad esempio le pratiche previste dagli statuti cittadini di Firenze(Zorzi, Le esecuzioni cit., p. 150).

20 Aurelii Augustini Hipponensis De civitate Dei, lib. XXII, cap. 20, 2 21 Il termine cannibalismo è invece posteriore: sp. canibal, alter. di caribal, a sua volta

da caribe, parola della lingua dei Caraibi che risale al sec. XVI. Il termine – mutuato dalnome attribuito dagli abitanti delle isole Bahamas e di Cuba agli indigeni delle piccoleAntille, i feroci Caribi, ritenuti antropofagi – designa il cibarsi di esseri della stessa spe-cie, quindi non riguarda solo il genere umano, ma anche gli animali (cfr. A. Tartabini,Cannibalismo e antropofagia: uomini e animali, vittime e carnefici, Milano 1987, p. 18). Tuttavia

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Le stesse attestazioni di episodi cannibalici sono spesso ambigue,confuse dall’uso di un linguaggio allusivo e talvolta oscuro. Infatti, alladescrizione minuziosamente particolareggiata relativa a Tommaso daTortona, si contrappongono altri passi in cui l’atto di antropofagia èevocato con espressioni meno chiare, come quelle presenti nelle StoriePistoresi, leggermente diverse a seconda dei codici (“sfamati di loro”,“sazio in tutto”, “sfamati dei loro strazii”22). Nella maggior parte deicasi le descrizioni del “fiero pasto” sono sfumate di vereconda incer-tezza e spesso precedute da prudenti locuzioni quali “prout dicitur”23,“si aggiunge che”, “si soggiunge da chi ha queste cose scritte, che oggia penna si veggono”24, “dissesi”25, etc.

Prima di tutto, formule simili evidenziano l’esiguità dei testimonidiretti degli episodi di cannibalismo, che ci sono stati tramandati nellamaggior parte dei casi grazie a voci e racconti semileggendari, impres-si nella memoria collettiva. In secondo luogo, i cronisti si curano diprendere le distanze dall’accaduto, specificando di non ardire nemme-no a credere o immaginare l’orrore che si vedono costretti a riferire26.

Orrore, perché così gli autori connotano l’atto di cannibalismo, attra-verso brevi sentenze di condanna, disgusto, incredulità: i responsabili agi-scono come “cani”27, “iniquità” e “crudeltà regna in loro”28; sono spintida “furia bestiale e animosa”29, il loro gesto è “cosa horribile a dirsi e spa-

gli studi di diversa tipologia non si accordano perfettamente sulla definizione dei termi-ni. L’antropologo Adriano Favole, ad esempio, trova più corretto indicare con “canni-balismo” il consumo di carne umana a scopo rituale, mentre denota con “antropofa-gia” il consumo di carne umana per necessità (A. Favole, Resti di umanità, vita sociale delcorpo dopo la morte, Bari 2003, p. 53). Nel corso di questa argomentazione, per semplici-tà, ci serviremo di entrambi i vocaboli secondo la definizione corrente: antropofagia perdesignare l’uso di mangiare carne umana, cannibalismo per indicare il cibarsi di esseridella stessa specie, compresi gli appartenenti al genere umano.

22 Storie Pistoresi cit., p. 191, e varianti nominate “codice C” e “codice P” (cfr. StoriePistoresi cit., apparato critico relativo alle rr. 12-13).

23 Guglielmi Venturae De gestis cit., coll. 747-748 (rr. D1-6).24 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit, p. 125.25 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.26 «cum tante altre crudelitade che mia lingua non la porria raccontare» commen-

ta ad esempio Pompeo Pellini (Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., pp. 125 e137). Per l’uso di queste locuzioni nella storiografia volgare del tempo si veda F.Ragone, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel Trecento,Roma 1998 (Nuovi Studi Storici, 43).

27 Sull’uso del termine “cani” si veda ibid., ultimo paragrafo.28 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., p. 134.29 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 339

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ventevole da udirsi”30, “vituperevole cosa”, una “crudeltà orribile” e “no-tabile”31 tanto da aver a mala pena il coraggio di narrarla: è cosa “meravi-gliosa”32, stesso termine usato da Dante nel XXXIV canto dell’Infernoper descrivere le tre teste dell’«imperador del doloroso regno» nell’atto didivorare i traditori.

Una risonanza linguistica casuale forse, ma un più consapevolerichiamo all’opera di Dante Alighieri – già insediata nell’immaginario let-terario fiorentino del tempo – appare nel commento di Marchionne diCoppo di Stefani al supplizio cannibalico di Guglielmo d’Assisi e delfiglio: «secondochè – si legge – in inferno non si fa peggio di un’anima»33

. Altri riferimenti al diabolico ricorrono nell’opera di Cobelli, che descri-ve i congiurati come ispirati dal demonio e in quella di Vaglienti, dove ildiavolo “ha possanza” sugli antropofagi.

L’esecrazione dell’atto di antropofagia è ancor più evidente nellacronaca di Maturanzio, in cui si narra la sorte del cospiratore che avevadivorato le carni di Altobello da Chiaravalle: otto giorni dopo il delit-to, il giustiziere muore, rigettando la carne “cristiana” ingerita, ricre-sciutagli nello stomaco in un “pezzo integro” di mole molto più gran-de di quello inghiottito, «onde fu tenuto gran segno de la carne cristia-na»34. È interessante in questo caso l’idea della rigenerazione all’inter-no del corpo della carne umana, anzi, cristiana (la cristianità dei corpismembrati è sottolineata anche da Cobelli). Alla fine del XVI secolo,per descrivere un episodio di antropofagia avvenuto a Napoli nel 1585,Tommaso Costo usa addirittura il termine “abominevoli reliquie” perindicare i pezzi del cadavere che sfilano per la città sulle picche35.

Che muoia un sol uomo: vittime ed executio in effigie

Indubbiamente, l’infelice ma indiscussa protagonista della scena èproprio la vittima, contraltare dei carnefici.

ANGELICA MONTANARI

30 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.31 Ibid.32 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., p. 134.33 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 209.34 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.35 Tommaso Costo, Giunta di tre libri al compendio dell’Istoria del regno di Napoli… nei

quali si contiene tanto di notabile... è accaduto dal principio dell’anno 1563 insino al fine dell’ottan-tasei (1586), Venezia 1588, pp. 135-136.

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Le dinamiche e le modalità stesse del rituale sono legate al suo pas-sato, poiché secondo un parallelismo tipico anche del cerimoniale pena-le, il supplizio inferto al perseguitato richiama i torti da esso perpetratiin vita: a Costantinopoli nel 1185 il basileus Andronico Comneno fu ucci-so e divorato dalle donne poiché a loro aveva recato torto36; a Firenzemesser Simone da Norcia, uomo del duca d’Atene, «fece tagliare il capoa molte persone, e similmente fu fatto a lui»37; a Forlì, Marco Socciacarri,colpevole di aver defenestrato il cadavere del Riario, a sua volta vennescagliato dalla finestra, in modo da fargli toccar terra «in lo loco mede-simo ove buctoro el conte», mentre a Pagliarino «taglioro lo membronatorale e sì messero en bucca a quella testa […] e poi strassina quellatesta con quello vitoperio»38, in un supplizio che fa da contrappasso aquello del Riario, evirato e trascinato via per i piedi.

Ma chi sono esattamente le vittime dell’antropofagia? L’insieme sembra abbastanza eterogeneo. Due dati fungono da mini-

mo comune multiplo dell’insieme: i suppliziati sono aristocratici e sempreaccusati di crimini politici, fattori questi intrinsecamente legati tra loro.

Le colpe politiche e i misfatti del reo e dei suoi accoliti sono elen-cate con meticolosa insistenza nella maggior parte delle cronache: Vil-lani, ad esempio, ritrae il conservatore Guglielmo d’Assisi come uomotruce, pronto a dilettarsi «di fare crudeli giustizie d’uomini»39. Respon-sabile di aver spalleggiato il duca di Atene, Gualtieri di Brienne, nel-l’usurpazione della indipendenza politica (la “libertà”) dei fiorentini,egli «assentì al detto tradimento»40, avallando l’inganno volto a garan-tirgli il dominio a vita sulla città; poi, fattosi sgherro e carnefice delduca, accettò di amministrarne la tirannica giustizia.

36 A narrare la tragica sorte di Andronico è una fonte del XIII secolo, l’Estoire deEracles Empereur, il cui manoscritto, presenta un’immagine estremamente interessantedelle varie fasi del rituale: Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 68, f. 385. Sull’episodio si vedaanche G.M. Cantarella, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Torino 1997, pp. 31-32.

37 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina cit., p. 208. Secondo Villaniinvece fu «a pezzi tutto tagliato» (Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 338).

38 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 336.39 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 298. Di Guglielmo d’Assisi confermano

lo Stefani e le Storie Pistoresi: «Questi si disse dilettarsi molto in crudeltà e divisare penea quelli che ‘l Duca voleva far morire» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorenti-na cit., rubr. 556, p. 196); «ed era molto crudele e ‘l suo diletto era solo in guastareuomini» (Storie Pistoresi cit., p. 190).

40 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 298.

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In realtà è il duca di Atene ad essere massacrato in effige, median-te il sacrificio del conservatore e del di lui figlio. Il dominio del Brienneè qualificato dall’autore come punizione divina: la sua signoria, come glialtri flagelli che affliggono la città – diluvio, fame, carestie – viene impo-sta da «Iddio per le nostre peccata», acciocché «correggiamo i nostridifetti», sentenzia Villani. La giustizia pubblica sarà di monito ai cittadi-ni affinché imparino a guardarsi dagli usurpatori della libertà di Firenze«e prendano assempro per lo innanzi quelli che sono a venire di nonvolere signore perpetuo né a vita»41: l’atto cannibalico si configura dun-que come castigo esemplare; è la pena da infliggere alla tirannide, scon-tata in questo caso non dal duca, ma dall’esecutore materiale dei suoiordini. A Guglielmo d’Assisi, complice del «traditore e persecutore delpopolo di Firenze», non può che spettare un destino infame poiché«checchi è crudele crudelmente dee morire, disit Domino»42.

Anche Altobello da Chiaravalle è dipinto da Maturanzio come capa-ce di feroci efferatezze: «homo crudelissimo e pieno de iniquizia; in modoche si Nerone fusse stato vivo, seria stato descripto più presto della cru-deltà di costui che de Nerone»43. La sua morte cruenta «fu iusto iudizio deDio, attento quello che lui aveva operato al tempo de sua vita»44 e sarà dimonito ai posteri, come la sorte degli uomini del duca d’Atene secondo ilVillani45. O ancora, nella congiura di Forlì, Andrea Orso sconta il criminedei figli, pagando indirettamente il fio per l’usurpazione del legittimopotere, la pena più grave, quella «de color c’àn facto el mal governo»46.

L’atto di antropofagia insomma è rappresentato come punizionedel malgoverno, o dell’attentato al giusto potere: il crimine peggiore,poiché compiuto non verso un singolo ma verso la comunità.

La pena quindi dev’essere esemplare e pubblica.Poco importa che a pagare sia il vero responsabile: la vittima viene

scelta non tanto per le sue effettive responsabilità, ma innanzituttopoiché rappresentativa della colpa.

ANGELICA MONTANARI

41 Ibid., p. 299.42 Ibid., p. 339.43 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., p. 148. Il paragone tra il tiranno di Todi

e l’imperatore romano potrebbe suonare ardito, ma non eccessivo, se paragonato a quel-lo avanzato in precedenza da Villani – riguardo al tentativo del duca di uccidere a tradi-mento più di trecento cittadini sospettati di una congiura – tra Gualtieri di Brienne e l’ul-timo re ostrogoto Totila, Flagellum Dei. (Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 330).

44 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.45 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.46 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 341.

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Si tratta di un universo simbolico all’interno del quale la messa inscena della punizione del colpevole riveste un’importanza pari – e spes-so persino superiore – alla sua materiale esecuzione47. Tra XV e XVIsecolo ricorre addirittura, seppur saltuariamente, il vero e proprio usodella executio in effigie. All’impotenza di fronte alla fuga dell’accusato, siovviava a volte attraverso la rappresentazione iconografica del supplizioo, in altri casi, mediante un’esecuzione fittizia realizzata su di un model-lo bidimensionale o una scultura: così nel 1462 Pio II bruciò davanti aSan Pietro la statua di Sigismondo Malatesta e nel 1552 il duca Ercole IId’Este fece impiccare alla finestra il ritratto di Giovanni TommasoLavezzolo, reiterando la pratica qualche anno dopo, quando ordinò diappendere per i piedi l’immagine di Antonio Maria di Collegno48.

I carnefici

Chi sono i carnefici? Chi si dimostrava pronto a smembrare, impa-lare e divorare cadaveri in un atto sommario di giustizia collettiva?

Una moltitudine instabile e suscettibile, una folla sfuggita ad ognicontrollo e disciplina sociale, forse gli stessi individui pronti, durantele esecuzioni ufficiali, a strappare i condannati all’ordine pubblico o adadirarsi dinanzi all’imperizia di un improvvisato carnefice, tentandoneil linciaggio. Il popolo, si dice in molte fonti. Quale popolo? Un popo-lo che ama il suo signore.

E in virtù di questo amore il “popolo” agisce spontaneamente: “depropria voluntade” punisce il “parricida”, il proditorem, dicono le fonti,quelle fonti che sono al servizio dell’autorità lesa.

Eppure diverse testimonianze lasciano trasparire tra i rivoltosi no-mi di famiglie assai illustri: Adimari, Medici, Donati, Ruccellai a Fi-

47 Di fatto, a volte non era nemmeno fondamentale che l’accusato fosse vivo, comeaccadde nel caso del processo di Pietro da Abano, eco lontana di un più celebre processopostumo avviato dalla Santa Sede contro il cadavere di Papa Formoso. Come ha ben ana-lizzato René Girard, la crisi esige un «capro espiatorio» o meglio, una «vittima sacrificale»:alla folla «si cedono le vittime che il suo capriccio reclama», secondo il principio «che muoiaun sol uomo». R. Girad, Il capro espiatorio, Milano 2004, p. 183 (ed. or. 1982).

48 Cfr. G. Ricci, Il principe e la morte: corpo, cuore, effige nel Rinascimento, Bologna 1998,pp. 143-144. Lo stesso principio permeava i processi degli animali sfuggiti alla cattu-ra: in mancanza del reo, ci si accontentava di giustiziare arbitrariamente un congenereo, ancor più di frequente, di sottoporre al supplizio un fantoccio che rappresentaval’animale colpevole, cfr. M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Roma-Bari 2007, p. 34 (ed.or. 2004).

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renze; Baglioni a Perugia; Panciatichi e Cancellieri a Pistoia. O ancoraappaiono professioni significative: i ministri del marchese di Monfer-rato, i soldati di Caterina Sforza. Ma, dov’è l’autorità?

L’autorità non compare, non può – non vuole – controllare la follain subordine. O forse controlla, ma semplicemente non esegue: lasciaeseguire.

Non a caso (vedremo perché) i protagonisti nel teatro della violen-za collettiva sono spesso i fanciulli. Infanti assassini? No, non uccido-no di persona, ma sono impegnati a trascinare cadaveri, dissotterrarli,schernirli, bastonarli, svestirli, addentarli, mangiarli e liberarsene get-tandoli nei fiumi.

Li ritroviamo in molteplici occasioni: nella carneficina dei Panciatichi,i bambini prendono parte attiva al rito cannibalico, straziando e addentan-do i cuori delle vittime. Deplora Vaglienti: «Vedi quanta iniquità e quantacrudeltà regna in loro»49 e Carlo Pietro de’ Giovanni da Firenzuola com-menta, a proposito degli strazi inflitti dai ragazzi al cadavere di JacopoPazzi: «fu cosa maravigliosa, che ne’ fanciulli regnasse tanta crudeltà»50.Luca Landucci, nella parte del suo diario riservata all’episodio, fornisceuna descrizione dettagliatissima dei giovanissimi carnefici impegnati a dis-sotterrare e trascinare il cadavere, gettarlo nel fiume per poi recuperarlo,impiccarlo, bastonarlo e ributtarlo in acqua51. Nella sommossa di Firenzedel 1343, ser Arrigo Fei, incaricato dal duca di Atene di riscuotere legabelle e le imposte, «uomo astuto a trovare e ricercare il frodo», finiscegiustiziato nella sommossa popolare, e il suo cadavere «da’ fanciulli trana-to ignudo per tutta la città»52; mentre poco dopo, nel 1347 a Roma, al sup-plizio di Cola di Rienzo «li zitelli li iettavano le prete»53.

ANGELICA MONTANARI

49 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.50 La congiura dei Pazzi – il 26 aprile 1478 a Firenze – che portò alla morte di

Giuliano de’ Medici. Cfr. Breve racconto della Congiura de’ Pazzi di Carlo Pietro de’ Giovanninida Firenzuola, documento sincrono estratto dall’Ediz. Della congiura stessa descritta in latino dalPoliziano fattasi per cura del marchese Adimari. Napoli 1769, in A. Poliziano, Congiura deiPazzi narrata in latino da Agnolo Poliziano e volgarizzata con sue note e illustrazioni da AnicioBonucci, Firenze 1856, doc. I, pp. 108-109.

51 Luca Landucci, Diario Fiorentino dal 1450 al 1516, continuato da un anonimo fino1542, ed. Iodoco del Badia, Firenze 1883, pp. 21-22.

52 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 338. Concorda la versione delle storiepistoresi: «li fanciulli della città lo presero e stracciatigli li panni, strascinato da loro perla città» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 208).

53 Anonimo Romano, Cronica, ed. G. Porta, Milano 1979, p. 265.

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Come spiegare che siano attori implicati in sommosse truculente pro-prio i bambini, gli stessi chiamati a rappresentare l’innocenza in molte ceri-monie e processioni sacre? Diversi studi suggeriscono che fosse propriola purezza dell’infanzia a rendere questa età la più adatta al macabro com-pito: «solo i fanciulli potevano espellere il morto dalla comunità, essendoimmuni dal pericolo di un suo ritorno»54. Riemerge quindi una tematicarilevante dei riti di antropofagia: il “rifiuto”55 del corpo della vittima, paral-lelo al rifiuto da parte della comunità del reo e di ciò che esso rappresen-ta, volta all’espulsione del “nemico pubblico” dal nucleo sociale. Ma si trat-ta di un costume sociale effettivamente diffuso o piuttosto di un modelloletterario atto a sottolineare il ruolo super partes dei carnefici?

Inoltre gli atti dei bambini – assai spregiudicati in quanto non anco-ra intrisi dei limiti socio-culturali del mondo adulto – possono esserepresentati come atti di pura giustizia, non guidati da alcun interessemeschino. Infatti si tratta sempre di “zitelli”, “fanciulli”, mai di “giova-ni”, il cui ruolo nelle cronache è ben differente. I giovani si trovano inconflitto con il potere, al contrario l’aggressività dei bambini può esse-re canalizzata e parzialmente manovrata dalle autorità, e rivestire quin-di quei compiti rituali che non possono essere assolti da altri56.

Cuore morso, cuore mangiato

Non mancano, tra le descrizioni delle rivolte, cronache che si sof-fermano sulle modalità dell’antropofagia, sulle specifiche culinariedegli organi colpiti, e su diversi particolari inusitati. Nota il Villani, aproposito del moto di Firenze nel 1343, come la carne dei suppliziativenisse consumata «cruda e cotta», mentre lo Stefani si limita a pun-tualizzarne l’uso alimentare («chi ne mangiava e chi ne mordea»57).Secondo le Storie Pistoresi, poi, le vittime vengono tagliate tutte a «minu-

54 S. Bertelli, Il corpo del re: sacralità del potere nell’Europa Medievale e moderna, Firenze1990, p. 229. Sul ruolo dei bambini nei rituali di violenza si veda anche G. Ricci, I gio-vani, i morti. Sfide al Rinascimento, Bologna 2007, pp. 17-115; A. Zorzi, Rituali di violenzagiovanile nella società urbana del tardo Medioevo, in Infanzie: funzioni di un gruppo liminale dalmondo classico all’età moderna, cur. O. Niccoli, Firenze 1993, pp. 185-209; O. Niccoli, Ilseme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento, Bari 1995.

55 Sul significato antropologico del rifiuto del cadavere cfr. Favole, Resti di umani-tà cit., pp. 23-58.

56 Ricci, I giovani, i morti cit., pp. 39-70.57 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 209.

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zoli» e «qual persona potea avere delle loro carni si teneva beato», men-tre durante l’assedio di Brescia le carni del nipote dell’imperatore furo-no arrostite.

Particolarmente dettagliata è la descrizione del cronistaMaturanzio, secondo il quale le carni di Altobello vengono istantanea-mente «sbranate» senza alcuna attenzione gastronomica, come «fannoi cani e porci», «in tanto che non ne avanzò niente del suo misero emendico corpo»58; ma di Altobello non si consumano esclusivamentele membra: finita la carne, se ne brucia il sangue59. Del consumo delsangue parla già Falcando riguardo ad una rivolta messinese del 1168,nel corso della quale il canonico di Chartres Oddone Quaerell, conse-gnato alla folla inferocita, viene assassinato da un astante che gli trafig-ge il cranio con un coltello e, «per esprimere il terribile suo odio impla-cabile, lambisce il sangue appiccicato al ferro»60.

Diverse cronache specificano con più precisione le membra predi-lette dagli antropofagi e testimonianze più tarde insistono su prepara-zioni singolari quali cervelli cucinati, cuori “in agresto” e fegati fritti61.

A essere divorati nel corso delle rivolte sono infatti più spesso gliorgani nobili, sede dell’anima, ovvero il cervello e, soprattutto, il cuore,organo simbolico per eccellenza: mentre il cuore di re, principi, santiispirava culto e venerazione, quello delle vittime di violenze rituali cata-lizzava, in un rapporto rovesciato di valori, l’odio rancoroso degli artefi-ci dei supplizi62. Centro propulsore della vita, il cuore è la vittima privi-

ANGELICA MONTANARI

58 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.59 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.60 Ibid., p. 135. Cfr. G. M. Cantarella, Scene di folla in Sicilia nell’età dei due Guglielmi, in

A Ovidio Capitani scritti degli allievi bolognesi, Bologna 1990, pp. 9-37; Cantarella, Principi e corticit., pp. 29-33; Cantarella, La Sicilia e i Normanni. Le fonti del mito, Bologna 1989, p. 49.

61 Cervelli cucinati come in una rivolta scoppiata a Napoli nel 1585: l’eletto delpopolo, Giovan Vincenzo Storace – sepolto vivo, dissotterrato, ucciso, spogliato, tra-scinato e mutilato – fu tagliato a pezzi; qualcuno volle cucinare il cervello e mangiar-lo, qualcuno mangiò il cuore, mentre gli intestini, tagliati in piccoli pezzi, venivano fattisfilare in cima e all’estremità di bastoni, sulle punte delle spade, picche e bastoni. Èinvece il cuore di Concino Concini che sarà nel 1617 a Parigi cotto sui carboni e man-giato in agresto (ovvero secondo una cottura riservata alla bassa macellazione) da ungruppo di ragazzi e di donne. Finirà fritto il fegato di Niccolò Fiani di Torremaggiore,a Napoli nel 1799 (si veda Bertelli, Il corpo cit., pp. 219 e 223).

62 Il tema del cuore mangiato fu tra l’altro particolarmente in voga a livello lette-rario: nella poesia cortese compaiono macabre cene approntate da mariti gelosi allespose fedifraghe, alle quali viene ammannito il cuore dei presunti amanti; nella Vita

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legiata degli atti di violenza più emblematici; barbaramente strappato dalpetto, trafitto dalle lance e talvolta esposto a mo’ di trofeo, diventa l’epi-centro del vilipendio63: a Marco Socciacarro e al Pagliarino, rei di averinfierito sulla salma del conte Girolamo, il cuore viene estratto e scaglia-to assieme alle interiora nella piazza, in un turbine violento che mira adisperdere persino le ultime vestigia di umanità dei sacrificati64.

I rituali di antropofagia, in effetti, vedono il cuore morso, adden-tato, straziato, più che mangiato; la vera e propria ingestione rimanespesso latente in gesti carichi di significati paradigmatici: allo sfortuna-to padre dei congiurati Ludovico e Checco Orso «uno di quilli soldaticani prese el core, e tagliollo, e bottò la corata in mezo de la piacia; poise messe quello core cossì sanguinoso alla bocca e davagli de morsocomo un cane»65. A Perugia nel 1500, Filippo di Braccio diede «dimorso» al cuore pulsante di Astorre Baglioni; nella strage deiPanciatichi a Pistoia il cuore è morso, azzannato e dilaniato nel corsodi un gesto feroce e fisicamente concreto, sebbene ancora carico ditutti i suoi connotati simbolici: «vi fu a chi e’ cavonno el cuore e collaloro bocca lo mordevano e facevano pezzi»66.

Più raramente, invece, oggetto dell’antropofagia è il fegato: quellodi Francesco Valguarnera e di Tommaso da Tortona sono divoratidagli assalitori, mentre le interiora di entrambi, organi bassi e vili nellasimbologia corporea, vengono lasciate agli animali.

Nova, Dante sogna il proprio cuore dato in cibo da Amore a Beatrice; in Boccaccio,Messer Guglielmo da Rossiglione fa mangiare il cuore dell’amato alla moglie, che poisi uccide. Ma la dinamica di questi casi è controversa: l’amato subisce sì l’uccisione el’antropofagia, ma il contrappasso è la pena ugualmente tremenda inflitta a chi conquel cuore pasteggia; l’umiliazione risiede quindi tanto nell’essere mangiato, quantonell’atto stesso del mangiare. Cfr. M. di Maio, Il cuore mangiato. Storia di un tema letterariodal Medioevo all’Ottocento, Milano 1996; D. Regnier-Bohler, Le coeur mangé: récits erotiquesdes 12e et 13e siècles, Paris 1994; R. Ortiz, Banchetti tragici nelle letterature romanze, Genova1947; M.G. Muzzarelli - F. Tarozzi, Donne e cibo, Milano 2003, pp. 59-67; F. Cavalli, Ilpasto di Madonna Soremonda, osservazioni sul tema del cuore mangiato, «L’Unicorno, Rivistasemestrale di cultura medievale dell’accademia Jaufré Rudel di studi medievali»,Gradisca d’Isonzo, 1 (1999).

63 Sull’importanza del cuore nel Medioevo e nel Rinascimento cfr. P. Camporesi,Il sugo della vita, Milano 1997, pp. 80-98, Ricci, Il principe e la morte cit., pp. 87-118; sullastoria del cuore cfr. R. Lewinsohn, Storia universale del cuore, Milano 1960.

64 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., pp. 336-337.65 Ibid., p. 338.66 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.

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Uomini o porci?

Animali che mangiano uomini, uomini che mangiano animali e uomi-ni che mangiano uomini. In ogni caso la gerarchia alimentare del medioe-vo risulta chiara: chi mangia è sempre superiore a chi è mangiato67.

Una delle volute conseguenze dell’atto di antropofagia è infatti laperdita dell’umanità del reo nel suo essere degradato a cibo commesti-bile. Alcune cronache enfatizzano questo aspetto attraverso la mercifi-cazione della carne: il Chronicon Regiense sottolinea che parte delle carnidi Tommaso da Tortona vennero consumate «ad tabernas»68, mentre,ad un livello più metaforico Maturanzio commenta che, se fosse avan-zata una sola oncia delle carni del tiranno, «seria stata persona che ariacomprata uno ducato d’oro». Allusioni alla commercializzazione dellecarni non sono inusitate, poiché ricordano i passi delle cronache dellecarestie, come le descrizione della carestia del 1033 di Rodolfo ilGlabro, che narra di carne umana in vendita al mercato di Tournus69 .

Nel lessico delle testimonianze l’antropofagia va infatti di pari inpasso con l’“animalizzazione del reo” – che ne enfatizza l’espulsionedalla comunità di appartenenza – ottenuta mediante l’uso costante divocaboli che richiamano la manipolazione delle carcasse animali invista del consumo alimentare. Il Villani e lo Stefani scrivono ad esem-pio Ser Arrigo Fei viene «impeso per li piedi, e sparato70 e sbarrato71

come porco»72, mentre le Storie Pistoresi precisano che fu «apiccato a un‘travaglio di cavalli, e fue sparato»73; si ricorda anche come il corpodilaniato di Cola di Rienzo, appeso per i piedi, venne descritto di talemole da parere «uno esmesurato bufalo ovvero vacca a maciello»74.

ANGELICA MONTANARI

67 Lo stesso principio espresso all’inizio del XVII secolo dal gesuita LeonardoLeyaes. Sull’etica alimentare nel Medioevo cfr. M. Montanari, Alimentazione e cultura nelMedioevo, Bari 1999.

68 Sagacius et Petrus de Gazata, Chronicon Regiense cit., col. 91.69 Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno Mille (storie), edd. G. Cavallo - G. Orlandi,

Fizzonasco (Mi) 1990, p. 213.70 Sparato, cioè separato.71 Sbarrato, cioè sventrato.72 Giovanni Villani, Nuova Cronica cit., p. 338, secondo Marchionne di Coppo

Stefani: «il popolazzo lo ‘mpiccò per i piedi in su una forca, e spararonlo, come fosseporco» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina cit., p. 208).

73 Storie Pistoresi cit., pp. 190-191.74 «Grasso era orribilemente, bianco como latte insanguinato. Tanta era la soa

grassezza, che pareva uno esmesurato bufalo, overo vacca a maciello»: Anonimoromano, Cronica cit., p. 265.

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Una bestia al macello sembra anche Francesco Valgurnera al cro-nista Michele da Piazza, che lo descrive tagliato a pezzi «sicut vitulusin macello», di Nicolò Macto riporta il Cobelli che «lo tagliaro minutocomo carne in beccaria» e nella medesima cronaca gli stessi giustizierisono a loro volta paragonati a bestie: i ferraresi in rivolta sbranaronoTomaso da Tortona «atque canibus»; «uno di quilli soldati cani» mordeil cuore dell’Orso «como un cane»75. Anche a Maturanzio sembranoanimali i torturatori di Altobello: «Et poi ognie homo curreva a piglia-re de sua carne, e mangiavanla cusì cruda, commo cani o porci, intanto che non ne avanzò niente del suo misero e mendico corpo»76.

Quindi se da una parte è innegabile la volontà di degradare il giusti-ziato a una condizione subumana77, dall’altra è notevole che il paragonecon la bestia ricorra non solo per le vittime, ma anche per i carnefici.Mangiare l’uomo è “inumano”78 e bestiale: nell’Inferno dantesco il pastodel conte Ugolino è “fiero”: «cibo ferino et non humano», poichè «natu-raliter enim homo non comedit hominem, nisi forte esset aliquis barba-rus inhumanus, sed ferae sic» esplicita Benvenuto da Imola79.

Quasi sempre, a definire l’oggetto dell’atto antropofagico è l’equi-valenza con i porci (si noti però l’eccezione di Altobello), mentre sonoi cani, affatto adibiti all’uso alimentare, ad essere chiamati a rappresen-tarne il soggetto. I cani sono associati all’antropofagia anche dalla tra-dizione letteraria. In Dante, i denti con cui Ugolino rode il teschio del-l’arcivescovo Ruggeri «furo a l’osso, come d’un can forti»80 e nel restonella Commedia l’immagine del cane è usato di frequente come similitu-dine o termine di confronto volto a sottolineare la ferocia, l’avidità, lafuria e la rissosità81.

75 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 338.76 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.77 Cfr. Bertelli, Il corpo del re cit., p. 225.78 In contrasto con la tradizione medica che prescriveva abbondanti bevute di

sangue rigeneratore, l’espressione “inumanamente” è utilizzata da Tommaso Costoper connotare l’atto di bere il sangue: Tommaso Costo, Giunta di tre libri cit., p. 135;per l’utilizzo del sangue nella medicina medievale cfr. Camporesi, Il sugo cit.

79 Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherij Comoediamnunc primum integre in lucem editum sumptibus Guilielmi Warren Vernon, cur. G.F. Lacaita,Firenze 1887, p. 523.

80 D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXXIII, 78.81 L’immagine canina delinea l’ingordigia di Cerbero «qual è quel cane ch’abba-

iando agogna» (Inf. VI, 28), la malvagità dei diavoli: «ei ne verranno dietro più crude-li \ che ‘l cane a quella lievre ch’elli acceffa» (Inf. XXIII 18) o la smodata aggressivi-

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Tuttavia non si tratta solo di una questione di linguaggio: le vitti-me dell’antropofagia subiscono effettivamente la sorte degli animali,così come in altri casi le bestie stesse sono trattate alla stregua di esse-ri umani: numerosi sono nel basso medioevo d’oltralpe i processi adanimali rei di omicidio o infanticidio, quasi sempre aggravato dall’an-tropofagia. In tali procedimenti giudiziari gli animali vengono trattatialla stregua di imputati veri e propri, subiscono la tortura, l’esposizio-ne al pubblico ludibrio, l’esecuzione ed eventuali violenze post-mortem,abbigliati di tutto punto o nascosti da maschere con fattezze umane82.

In conclusione, il carattere narrativo delle testimonianze cronachi-stiche rende difficile stabilire con precisione la veridicità e le dinami-che dei singoli episodi di antropofagia. Si è visto invece trapelare daalcune fonti un certo grado di controllo in comportamenti presentaticome spontanei, spia del modo in cui le dinamiche dell’offesa si com-pongono di determinati gesti violenti che, pur non essendo codificatiattraverso un rituale ufficiale e cristallizzato, sono reiterati e radicatinella consuetudine. È possibile allora parlare di rituali di antropofagia,come si parla comunemente di “rituali” di violenza83?

È pur vero che un osservatore del XIV secolo non avrebbe maiparlato di rituale, o meglio di rito: il latino medievale usava il termineritus per le pratiche liturgiche della Chiesa, (dando al vocabolo una con-notazione assai rigida), mentre l’idea di “rituale” è un’invenzione cheappartiene al Cinquecento. D’altra parte quello stesso osservatore nonavrebbe conosciuto nemmeno il termine antropofagia84.

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tà, come nel passo in cui i demoni si scagliano contro Virgilio «con quel furore e conquella tempesta \ ch’escono i cani addosso al poverello» (Inf. XXI, 68).

82 A fare le spese di questi complessi procedimenti di giustizia, spesso è soprattut-to il maiale, ritenuto infatti l’animale più vicino all’uomo, come conferma la predilezio-ne di cui lo gratificano gli anatomisti. Sui processi ad animali cfr. Pastoureau, Medioevosimbolico cit., pp. 21-39; J. Vartier, Les procès d’animaux du Moyen Âge à nos jours, Paris 1970.Sull’impiccagione degli animali durante gli assedi: Zorzi, Le esecuzioni cit., p. 191.

83 E. Muir, Civic ritual in the Renaissance Venice, Princeton 1981; Muir, Ritual in earlymodern Europe, Cambridge 2005; Zorzi, Rituali di violenza cit., pp. 395-425; Bertelli, Ilcorpo cit.

84 Sulla definizione di rituale si veda il saggio di Philippe Buc (The dangers of ritual,Princeton University Press 2001, pp. 152-322; in particolare, sulla definizione “allarga-ta” di rituale ereditata dall’età moderna, si vedano le pp. 214-218); J.C. Schmitt, Rites,in Dictionnaire raisonné de l’Occident Médieval, cur. J. Le Goff – J.C. Schmitt, Paris 1999,pp. 969-1003; Muir, Ritual in early modern Europe cit., pp. 2-6; Rito, voce dell’EnciclopediaEinaudi, XII, Torino 1981, pp. 210-243; sui rituali di violenza: Muir, Civil ritual in the

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Oggi, superata una definizione rigida e limitata alla sfera religiosa,e data la vasta gamma di significati attribuiti alla categoria (nella qualesi includono i cosiddetti “rituali popolari”), può essere utile distingue-re attraverso la denominazione di “antropofagia rituale” queste prati-che di cannibalismo – legate alla sfera simbolica della comunicazionepolitica e sociale e influenti sui legami sociali di coesione della comuni-tas – da quelle dovute al mero fabbisogno nutrizionale.

Ora qualche riflessione di carattere cronologico-geografico. Le pri-me testimonianze relative all’Occidente medievale di antropofagia ritua-le risalgono al XII secolo, mentre la più alta concentrazione di episodi sitrova tra il XIV e l’inizio del XVI secolo. L’aprirsi del Cinquecento tut-tavia non segna la fine delle manifestazioni di cannibalismo durante lesommosse: i casi continuano. A Napoli, nel 1585, la folla esasperata dallamancanza di pane, uccide e squarta l’“Eletto del popolo” Gian VincenzoStorace, mangiandone le membra cotte e crude e «succhiandone inuma-namente il sangue»85; nel 1617 a Parigi è la volta di Concino Concini,l’onnipotente maresciallo d'Ancre ucciso da un cortigiano di Luigi XIII,il cui cuore sarà strappato e cucinato sui carboni ardenti; ancora nel 1799venne fritto e divorato il fegato di Niccolò di Fiani di Torremaggiore,durante la reazione borbonica alla Repubblica Partenopea86.

Se i casi di antropofagia si fanno più sporadici a partire dal XVIsecolo, il fatto è da attribuirsi al nesso che lega questa forma di aggres-sione estrema agli equilibri sociopolitici della civiltà urbana; tali episo-di seguono infatti lo sviluppo cronologico (e geografico) dell’uso dellaviolenza simbolica all’interno di questo contesto.

Ciononostante sarebbe riduttivo considerare tali forme di antropo-fagia come un fenomeno tipico dell’Occidente medievale. Basti ricorda-re le faide mafiose degli anni Ottanta e la fine del camorrista Francis

renaissance Venice cit.; Muir, Mad blood stirring, vendetta and factions in Friuli during theRenaissance, London 1993, Muir, Ritual in early modern Europe cit.

85 «gli cavaron le budella, il cuore, e l’altre interiora, le quali ridotte in piccoliminuzzoli se le divison avidamente infaddiloro; e messele in cima di bastoni, e su lepunte delle spade, e d’altre forti d’armi, c’havevano, le portavano come trofei d’unabene usata, ancorchè orribile crudeltà. E procederon tant’oltre che mostrando perdovunque passano quelle abominevoli reliquie, dicevano à riguardanti di volerselemangiare in diversi modi acconce, anzi alcuni d’essi le addentavano così crude, suc-chiandone inumanamente il sangue» (Tommaso Costo, Giunta di tre libri cit., p. 135).

86 Cfr. Bertelli, Il corpo cit., pp. 219-223.

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Turatello, giustiziato nel carcere di Badu’e Carros in Sardegna. Dopoaverlo ucciso lo spietato Pasquale Barra, soprannominato non per nulla‘Nimale’ (animale), gli estrasse il cuore mordendolo ferocemente87.

Un esempio pittoresco ma non dimostrativo di una continuità,poiché episodio isolato appartenente non soltanto ad un’epoca maanche ad un contesto assai differente, è vero. Tuttavia, forme differen-ti di cannibalismo legate alla vendetta o alla punizione di criminali con-siderati pericolosi per la comunità intera, conoscono una discreta dif-fusione in società ed epoche molto diverse tra loro, come mostrava giàla prima analisi di Volhard, all’inizio del secolo scorso88.

(Univ. Bologna) ANGELICA A. MONTANARI

ANGELICA MONTANARI

87 Cfr. G. Di Fiore, Potere camorrista: quattro secoli di Malanapoli, Napoli 1993; C.Amati, Italia criminale. Quella sporca dozzina. Personaggi, fatti e avvenimenti di un’Italia violen-ta, Roma 2006.

88 Cfr. E. Volhard, Kannibalismus, Stuttgart 1939.

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