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1 OCCHI DI GIADA Il largo e sontuoso corridoio del palazzo di Lord Zurtrumid si illuminò improvvisamente di una soffusa ed innaturale luce rosso acceso, che dava alle venature viola e ocra scuro del pavimento di marmo grigio un aspetto quasi vivo e pulsante si blasfema energia. Le imponenti porte di bronzo verde intarsiate con effigi e bassorilievi di creature dall’aspetto leonino, ma avvolte dalle fiamme e da lame gocciolanti veleno, si aprivano sempre più spesso da quando erano cominciate le ostilità con i vicini Ducati per il possesso del portale di monte Zagòra: sia per far entrare ambasciatori inviati da piccoli nobili del Gorgoth timorosi di essere spazzati via da una guerra aperta, sia per portare in processione anime supplicanti e disperate, destinate a diventare Larve, la carne da macello degli eserciti demoniaci. Oltre alla luminosità scarlatta e alla polvere, entrarono nell’inquietante passaggio due figure dal passo fermo e sicuro ma dalle dimensioni ridicolamente minuscole al confronto dell’enormità del corridoio, costruito chiaramente a misura del padrone di casa. La coppia di Slarèn-Ekàd si diresse speditamente verso la pesante tenda color ghiaccio a mala pena visibile al termine del corridoio, la quale scendeva pesantemente dal soffitto fino al pavimento, emanando vapori di aria gelida; i loro movimenti erano rapidi, ma precisi e ben calcolati, poiché erano del tutto consapevoli che le figure di pietra raffiguranti demoni con le ali da pipistrello e sensuali Sèrtema in pose oscene, poggiate su piedistalli di alabastro, erano molto più che semplici statue. Come tutti coloro che ricevevano udienza, infatti anche i due Slarèn-Ekàd stavano subendo un’attenta analisi e opera di scrutamento da parte di entità celate nel lungo camminatoio. Gli scrutatori riferirono direttamente alla mente del Possente Zurtrumid che due diavoli già noti erano entrati nel maniero: uno superava in altezza di abbondanti dieci centimetri l’altro, che raggiungeva a mala pena il metro e mezzo. Per gli Slarèn -Ekàd l’altezza e il peso maggiori non erano considerati affatto un pregio, limitando le loro capacità di sotterfugio e quindi il fondamento della loro arte: l’Assassinio. Nonostante ciò era il più piccolo ad avere un passo esitante e falsamente sicuro, che faceva trapelare nervosismo e insicurezza. Anche il compagno sembrò notare il suo stato d’animo, e si accarezzò compiaciuto la barba corta e ben curata che gli incorniciava la bocca inclinata in un mezzo sorrisetto. Osservando questo gesto il più piccolo e nervoso dei due non poté non pensare all’odio che provava in quel momento. Poco prima di giungere al pesante drappo che bloccava loro la strada i due sfoderarono le armi per presentarsi al Duca Abissale come era consuetudine per chi apparteneva al rango di uccisore. Questa sorta di gesto rituale sembrò incrementare ancora di più la rabbia repressa dello Slarèn-Ekàd più basso; entrambi sguainarono infatti una scimitarra ed un pugnale incantati, le armi simbolo della loro razza; ma il più alto dei due impugnava una scimitarra dai riflessi dorati coperta da fitti intarsi runici, e un temibile pugnale a lama ricurva con le stesse caratteristiche, un’arma, che anche senza capacità magiche, era rara persino nei reami demoniaci. L’aura magica di queste due armi era innegabilmente potente, antica e malvagia. Nonostante le apparenze raffinate e delicate, prima di cedere la tenda avrebbe potuto fermare un esercito di Arcangeli, se non invitato dal signore del maniero. Ovviamente la coppia di assassini era attesa, per cui lo Slarèn-Ekàd più alto iniziò a scostare i lembi di tessuto incantato. Si fermò solo un attimo prima di entrare nella sala dei ricevimenti, e con un ironico sorriso si rivolse all’altro con tono pacato: «Lusur, cos’hai? Ti vedo Nervoso» «Muori mille volte maledetto Kelvra» fu la risposta sussurrata con rabbia.

Occhi Di Giada

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Ci sono demoni e demoni. Kelvra è uno di quelli a cui piace essere quello che è e fare quello che fa: è un assassino. Sarà suo malgrado costretto ad affrontare l'ignoto quando la sua ambizione lo porterà a scontrarsi contro coloro che gestiscono il potere nel Gorgoth.

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OCCHI DI GIADA Il largo e sontuoso corridoio del palazzo di Lord Zurtrumid si illuminò improvvisamente

di una soffusa ed innaturale luce rosso acceso, che dava alle venature viola e ocra scuro del pavimento di marmo grigio un aspetto quasi vivo e pulsante si blasfema energia. Le imponenti porte di bronzo verde intarsiate con effigi e bassorilievi di creature dall’aspetto leonino, ma avvolte dalle fiamme e da lame gocciolanti veleno, si aprivano sempre più spesso da quando erano cominciate le ostilità con i vicini Ducati per il possesso del portale di monte Zagòra: sia per far entrare ambasciatori inviati da piccoli nobili del Gorgoth timorosi di essere spazzati via da una guerra aperta, sia per portare in processione anime supplicanti e disperate, destinate a diventare Larve, la carne da macello degli eserciti demoniaci.

Oltre alla luminosità scarlatta e alla polvere, entrarono nell’inquietante passaggio due figure dal passo fermo e sicuro ma dalle dimensioni ridicolamente minuscole al confronto dell’enormità del corridoio, costruito chiaramente a misura del padrone di casa.

La coppia di Slarèn-Ekàd si diresse speditamente verso la pesante tenda color ghiaccio a mala pena visibile al termine del corridoio, la quale scendeva pesantemente dal soffitto fino al pavimento, emanando vapori di aria gelida; i loro movimenti erano rapidi, ma precisi e ben calcolati, poiché erano del tutto consapevoli che le figure di pietra raffiguranti demoni con le ali da pipistrello e sensuali Sèrtema in pose oscene, poggiate su piedistalli di alabastro, erano molto più che semplici statue. Come tutti coloro che ricevevano udienza, infatti anche i due Slarèn-Ekàd stavano subendo un’attenta analisi e opera di scrutamento da parte di entità celate nel lungo camminatoio.

Gli scrutatori riferirono direttamente alla mente del Possente Zurtrumid che due diavoli già noti erano entrati nel maniero: uno superava in altezza di abbondanti dieci centimetri l’altro, che raggiungeva a mala pena il metro e mezzo. Per gli Slarèn-Ekàd l’altezza e il peso maggiori non erano considerati affatto un pregio, limitando le loro capacità di sotterfugio e quindi il fondamento della loro arte: l’Assassinio.

Nonostante ciò era il più piccolo ad avere un passo esitante e falsamente sicuro, che faceva trapelare nervosismo e insicurezza. Anche il compagno sembrò notare il suo stato d’animo, e si accarezzò compiaciuto la barba corta e ben curata che gli incorniciava la bocca inclinata in un mezzo sorrisetto.

Osservando questo gesto il più piccolo e nervoso dei due non poté non pensare all’odio che provava in quel momento.

Poco prima di giungere al pesante drappo che bloccava loro la strada i due sfoderarono le armi per presentarsi al Duca Abissale come era consuetudine per chi apparteneva al rango di uccisore. Questa sorta di gesto rituale sembrò incrementare ancora di più la rabbia repressa dello Slarèn-Ekàd più basso; entrambi sguainarono infatti una scimitarra ed un pugnale incantati, le armi simbolo della loro razza; ma il più alto dei due impugnava una scimitarra dai riflessi dorati coperta da fitti intarsi runici, e un temibile pugnale a lama ricurva con le stesse caratteristiche, un’arma, che anche senza capacità magiche, era rara persino nei reami demoniaci. L’aura magica di queste due armi era innegabilmente potente, antica e malvagia.

Nonostante le apparenze raffinate e delicate, prima di cedere la tenda avrebbe potuto fermare un esercito di Arcangeli, se non invitato dal signore del maniero. Ovviamente la coppia di assassini era attesa, per cui lo Slarèn-Ekàd più alto iniziò a scostare i lembi di tessuto incantato. Si fermò solo un attimo prima di entrare nella sala dei ricevimenti, e con un ironico sorriso si rivolse all’altro con tono pacato:

«Lusur, cos’hai? Ti vedo Nervoso» «Muori mille volte maledetto Kelvra» fu la risposta sussurrata con rabbia.

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*** L’ampio salone ottagonale era rischiarato dalle fiamme tremolanti di innumerevoli ceri

color pece. Ad ogni lato era visibile un drappeggio simile a quello che si stava aprendo in quel momento, chiaro segno che il palazzo aveva altri accessi ed altre stanze maestose.

Dal suo enorme scranno di pietra Lord Zurtrumid ordinò mentalmente ai Wàgthru di guardia all’entrata di scostarsi per far entrare i due Slarèn-Ekàd, ma di impugnare minacciosamente le loro lunghe fruste uncinate. Sia Kelvra che Lusur riservarono occhiate sarcastiche ai demoni alati e scagliosi che pomposamente gli facevano segno di entrare agitando le sferze animate, ma chinarono il capo e si inginocchiarono aprendo le braccia di fronte al Gran Diavolo Òber-Slòg assiso sul trono:

«Salute a te o Potente Lord Zurtrumid, Custode delle Cento Chiavi dell’Agonia!» Senza spostare le mani con le dita artigliate incrociate, da davanti la sua faccia di

feroce gargolla il Lord Abissale posò i suoi occhi di brace su entrambi: «In piedi Assassini!» Il messaggio mentale arrivò chiaro e perentorio: e non ammetteva repliche. «Vedete» Il tono si fece più calmo e forse per questo ancor più intimidatorio «Il portale su monte Zagòra ufficialmente non appartiene a nessuno, ma interessa a

tutti i Duchi. Chiunque acquisirebbe volentieri un accesso facilitato verso Mediar. Per cui è impensabile di occuparlo militarmente senza trovarsi contro, contemporaneamente, tutti gli eserciti dei ducati vicini. A meno di non eliminare precedentemente ogni tipo di ostacolo e di contendente.»

Al termine della frase comparve al fianco di Lord Zurtrumid una figura alta più di tre metri, ammantata con una lunga tunica viola, il cui volto da insetto era celato da un ampio cappuccio. Ma nessuno sembrò fare troppo caso all’improvvisa comparsa del Sìphial-Nòr, come se la cosa fosse consueta.

«Se avessi voluto compiere una strage nel perseguire i miei scopi – continuò il Signore del maniero – Avrei affidato quest’incarico ad uno stupido Annìllevo, invece ho pensato bene di rivolgermi a degli uccisori più qualificati, più precisi e meno rumorosi per eliminare dei bersagli ben distinti»

La lunga pausa che seguì, interrotta solo dal rumore cicaleggiante delle mandibole a tenaglia della figura in veste viola, servì a caricare l’aria di tensione, ma entrambi gli uccisori erano consapevoli di dove volesse andare a parare il Duca Abissale. Probabilmente per questo motivo gli occhi verdi di Kelvra lasciavano trasparire un malevolo sorriso di attesa, mentre le Mani di Lusur stringevano nervosamente le impugnature delle armi.

«ME NE STO PENTENDO!» Lord Zurtrumid appoggiò di scatto le mani sui braccioli dello scranno stringendo e

scheggiando la pietra con gli artigli, mentre protendeva in avanti busto e testa, come a voler vomitare addosso agli Slarèn-Ekàd quelle parole urlate in tono rabbioso, con una voce che sembrava un ruggito proveniente dalla più profonda delle camere di tortura.

«Lusur, ti avevo ordinato di sgozzare Lady Fiminia, la figlia del Duca Raver, non di sterminare metà delle guardie di palazzo lasciando tracce ovunque e facendo sopravvivere fino a domani quella lurida sgualdrina. Con chi pensi che recrimineranno ora, o credi che non sappiano che mi servo di voi?»

L’aspetto di Lusur rimaneva calmo, ma in lui il nervosismo iniziava a tramutarsi in paura, cosa che trasparì dalle sue parole:

«Mio Signore, l’avevo ben avvertita di non farmi lavorare con Kelvra. Per poter uccidere il rampollo Raver ha sviato tutte le guardie di palazzo nella zona dove sapeva che mi trovavo io.»

«Come assassino non vali molto Lusur, ma come esca sembri avere una vocazione»

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Ribatté prontamente Kelvra. «SILENZIO!» L’urlo distorto e cavernoso si abbatté sui due con la violenza di uno schianto sonico

facendoli barcollare storditi per diversi istanti, mentre il Gran Diavolo Òber-Slòg si ricomponeva dopo essersi accorto che la parola era stata prodotta dalle sue fauci anziché dalla mente.

«Lusur, meriteresti di venir squartato e di vedere i tuoi arti sanguinolenti finire nel più profondo degli Undici Livelli del Patimento, ma Velgiu, tuo padre era il migliore dei miei assassini, per cui in un certo senso ti devo qualcosa. Che per stavolta sarà la tua vita, la prossima volta sarà una condanna a morte.»

Lo Slarèn-Ekàd più alto dava l’idea di trovare questa scena al contempo pietosa e molto divertente.

«E tu non osare ridere al mio cospetto Kelvra. Ricordati che se sei ancora vivo è solo perché non ho tempo da perdere a cercare un altro tagliagole.»

«Bontà vostra, Mio Signore» rispose Kelvra senza riuscire a trattenere un sorriso. «Goljar!» Chiamò mentalmente Lord Zurtrumid rivolgendosi alla figura esile ed incappucciata. L’ultima cosa che vide Kelvra prima che tutto attorno a lui divenisse tenebra fu la bocca

di insetto di Goljar pronunciare parole cicaleggianti che suonavano empie anche alle orecchie di chi è abituato a sentire la lingua dei demoni.

Il Grande Zurtrumid impose davanti a se il braccio teso e il palmo aperto in direzione dello Slarèn-Ekàd cieco, provocando un ‘esplosione localizzata sull’addome. La pelle color rosso scottato di Kelvra resistette alla maggior parte del calore, ma l’onda d’urto dello scoppio lo scaraventò contro una colonna di sostegno del salone.

Gli Slarèn-Ekàd, come molti altri demoni e diavoli dalle attitudini furtive, erano in grado di penetrare con la vista anche l’oscurità più profonda o di origine magica, per cui trovarsi cieco all’improvviso ebbe l’effetto di disorientarlo, facendogli subire un attacco che sarebbe altrimenti riuscito ad eludere.

Capì comunque che era più saggio passare ad atteggiamenti più miti, e nel rialzarsi, ancora privo di vista e col torace fumante, chinò il capo in segno di scusa e di umiltà.

«Stabiliti nuovamente i ruoli – continuò il Gran Diavolo rimettendosi comodo a sedere – Vi ordino di rimediare all’errore commesso ponendo termine al fastidio consistente in Lady Fiminia, prima del Consiglio dei Duchi che si terrà fra quattro giorni.»

Rimarcò con il tono della voce questo imperativo come a sottintendere la punizione definitiva che sarebbe intercorsa in caso di fallimento.

La specifica successiva sembrò superflua ai due Slarèn-Ekàd, come a tutti gli altri presenti nella stanza, ma Lord Zurtrumid ci teneva ad essere chiaro il più minacciosamente possibile.

«E nel caso doveste fallire… vi consiglio di essere morti prima che IO vi metta le mani addosso. Adesso sparite!»

***

«Potrai anche essere un assassino migliore di me, o il migliore assassino del Gorgoth» disse Lusur a Kelvra mentre si apprestavano a scendere la lunga scalinata di vetro viola

che dal castello li avrebbe portati alla strada di polvere rossa. «Ma rimani uno stupido tagliagole, ed io farò in modo che tu venga braccato da ogni

demone degli Undici Livelli fino al tuo annientamento definitivo.» «Grazie Lusur – fu l’unica cosa che rispose Kelvra in maniera distratta. Il suo pensiero già stava assaporando la gola eburnea della duchessina demoniaca

recisa dalla lunga lama ricurva del suo pugnale runico.

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*** Lusur guardò allontanarsi il grosso Slarèn-Ekàd, che quasi non lasciava tracce sulla

sabbia rossiccia della strada, rimuginando sull’odio che provava nei suoi confronti, ma innegabilmente ammirando la sua abilità. Passandosi le dita fra i corti e dritti capelli neri caratteristici della sua razza, pensò che in fondo lui e Kelvra avevano solo qualche decennio di differenza, avevano ricevuto gli stessi insegnamenti dagli stessi maestri, erano forti e agili allo stesso modo; eppure… eppure Kelvra aveva un qualcosa in più, una sorta di inventiva e di spirito di iniziativa che lo rendeva un assassino fuori dal comune anche fra gli Slarèn-Ekàd: un dato di fatto che Lusur non riusciva ancora ad accettare. Ma la cosa che lo faceva impazzire di rabbia e che non poteva concepire era che Velgiu, suo padre e loro maestro, al momento della sua morte, avesse chiamato Kelvra al suo capezzale e gli avesse donato le sue armi personali. Era inconcepibile! Ai suoi occhi si erano dimostrati di pari abilità, ma lui era il suo unico figlio. Invece aveva ereditato solo il titolo di Maestro, un titolo inutile se era qualcun altro a possedere i simboli del potere.

Forse distratto da questi pensieri, Lusur rimase sorpreso nel sentirsi chiamare mentalmente da qualcuno alle sue spalle. Come una pantera furiosa si girò di scatto sfoderando al contempo le armi, deciso a colpire a fondo almeno una dozzina di punti vitali prima di chiedere chi fosse stato a disturbarlo in quel momento di introspezione. Dovette fermarsi di colpo, allontanando qualsiasi proposito di violenza nel constatare chi fosse il suo interlocutore:

«Goljar, avrei dovuto immaginarlo sei l’unico in grado di comparire alle spalle di uno Slarèn-Ekàd e sopravvivere a sufficienza da dire un nome.»

«Troppo buono Maestro degli Assassini» rispose con tono gracchiante. L’inflessione di beffa con cui erano state pronunciate quelle parole non piacque affatto a

Lusur, ma con il Visir di lord Zurtrumid non poteva permettersi nessuna delle risposte e tanto meno delle azioni che aveva in mente.

«Che cosa vuoi Goljar?» Il tono era pacato ma sbrigativo. «Dobbiamo parlare Lusur. Abbiamo un problema comune che entrambi desideriamo

risolvere al più presto.» Nella mente di Lusur iniziarono a farsi largo idee che convogliavano tutte verso la

stessa direzione, e un largo sorriso si aprì sul suo volto quando realizzò cosa volesse concludere il Sìphial-Nòr con queste parole:

«Si tratta di un arrogante guastafeste.»

*** Le unghie appuntite e nere picchiettavano nervosamente in maniera ripetitiva sul tavolo

di ferro della Casa degli Uccisori, lo Slarèn-Ekàd si stava chiaramente spazientendo. «Mi hai sentito Kelvra?» Chiese una voce che seppur telepatica sembrava sempre gracidante alle orecchie

dell’interrogato. «Come potrei non sentirti? Io non sono sordo e la tua voce è ovunque. Ma riferisci

quello che ti manda a dire il tuo padrone in fretta.» Non gli era mai piaciuto Goljar: troppo misterioso, sempre dietro le quinte; parlando con

altri l’aveva definito “Oscuro Manipolatore”. Però riconosceva alla sua mente doti strategiche eccezionali. Erano rari i casi in cui non discutessero insieme i dettagli di un incarico affidatogli da Lord Zurtrumid. Ma adesso era nervoso, abbastanza nervoso da poter rischiare con una risposta così sfrontata. Aveva la strana sensazione che qualcosa non andasse, forse era la presenza di Lusur a metterlo a disagio.

«Bene – riprese il Sìphial-Nòr freddo e con falso distacco – Dicevo che per sviare ogni sospetto dalla sua persona, il nostro Signore, ha inviato la sua nobile progenie, la bella

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Zergiayl, in missione diplomatica al palazzo del Duca Raver. Le guardie saranno di più e più vigili, ma concentrate contro un attacco dall’esterno, per cui il vostro compito sarà facilitato.»

«Suppongo che come ogni buon palazzo ducale del Gorgoth, anche li le nostre capacità di teletrasporto non avranno effetto» lo interruppe Kelvra.

«Supponi bene, dovrete entrare approfittando della confusione per il ricevimento e dovrete agire prima che la cena abbia inizio. Ovvero nel momento in cui Lady Fiminia sarà nelle sue stanze private, protetta solo dalla sua scorta personale. Lusur, tu che sei più piccolo e quindi meno individuabile dovrai sviare le guardie lontano dal corridoio dove sarà Lady Fiminia. Uccidi pure chi ti pare, ma in nessun caso dovrai farti riconoscere.»

Il fatto che lo Slarèn-Ekàd potesse essere catturato o ucciso dalle guardie di palazzo non rientrava nelle opzioni ragionevolmente possibili.

«Tu invece – disse rivolgendosi a Kelvra – Avrai l’onore di perpetuare l’omicidio della duchessina. Quattro Wàgthru saranno sempre di guardia alla porta della stanza. La porta è robusta e dovrai abbatterla per entrare. Ti farò avere una pozione che aumenterà momentaneamente la tua forza. Dovrai fare tutto nel minor tempo possibile. Una volta entrato sarai soggetto ad almeno tre glifi di “Soffio del Drago”, ma per te non dovrebbe essere un problema evitarli.»

«E bla, bla, bla – intervenne Kelvra – Tu fammi avere la mappa del palazzo; al resto ci penso io»

Lo sguardo folgorante che si instaurò fra il visir e l’assassino fu interrotto dopo lunghi istanti dalla voce di Lusur:

«Avrò modo di richiamare il mio Jagghermann all’interno del palazzo? Non credo che quella stupida bestia mi possa essere untile in quest’occasione, ma non si sa mai.»

Sentendo parlare del maestoso leone da caccia abissale le orecchie a punta di Kelvra ebbero un fremito di interesse.

Lusur non fu sorpreso di questa reazione, anzi, aveva fatto quella domanda proprio per far adirare Kelvra, sapendo che il Jagghermann era l’unica cosa che aveva da invidiargli. Anche se lui, come il precedente padrone, Velgiu, non era in grado di controllarlo completamente, nemmeno dopo anni o decenni di frustate.

«Non è degno di un Maestro Uccisore parlare male di chi è più bravo di te nel tuo lavoro Lusur.»

Non c’era un vero motivo, se non quello ovvio di umiliare l’altro Slarèn-Ekàd, per cui Kelvra disse quelle parole, ma sentiva un profondo fastidio ogni qual volta la parola “Jagghermann” usciva dalla bocca dell’altro.

«Non tollererò oltre la tua impudenza – urlò Lusur sfoderando la scimitarra e il pugnale – Sono sempre il Maestro di questa casa»

«A questo si può rimediare subito!» fu la pronta minaccia a cui seguì in risposta l’estrazione delle armi runiche.

«Fermi!» Il Sìphial-Nòr si alzò in piedi per enfatizzare il suo ordine. «Lord Zurtrumid vi ha affidato un incarico, ed io non permetterò che le vostre beghe

interferiscano con il suo completamento questa volta. Dopo sarete liberi di scannarvi a vicenda.»

Nel dire ciò i suoi occhi multipli da mantide incrociarono quelli di lusur in un gesto di complicità ma di perentoria intimidazione.

Kelvra inviò un messaggio mentale diretto solo all’altro Slarèn-Ekàd: – Per questa volta Lusur, solo per questa volta…– Lo stesso messaggio che Goljar, pur non sentendo nulla nella sua mente, lesse negli

occhi verdi del diavolo.

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***

«Presto! Presto! Per di la!» – Non c’è che dire! – Pensò Kelvra fra se e se – Lusur sa fare il suo mestiere – Dal suo nascondiglio in una delle numerose piccole edicole biforali lungo il corridoio, era

già la terza pattuglia di Sùldra che vedeva passargli davanti diretta nell’ala opposta del palazzo, attirata da strane uccisioni o richiamata dai superiori per braccare un nemico imprendibile ed apparentemente invisibile. Non che considerasse i demoni dalla coda spinata e dalla barba ispida e animata una possibile minaccia, neanche a dozzine, ma con i loro lunghi falcioni uncinati potevano causare ferite che, anche se lievi, erano molto sanguinose e debilitanti; quasi una versione ridotta delle capacità offensive che gli Slarèn-Ekàd avevano quando impugnavano scimitarra e pugnale. Ad ogni modo non aveva intenzione di lasciare tracce del suo sangue in giro nello svolgere il suo compito, perciò sgusciò via dalle ombre che lo celavano solo quando le guardie di palazzo si furono allontanate.

Si diresse con lunghe falcate silenziose verso il suo obbiettivo: la piantina del palazzo di Lord Raven datagli da Goljar era ben presente e chiara nella sua mente, comprese tutte le numerose indicazioni inerenti i corridoi e le stanze specifiche.

Svoltato il prossimo angolo solo un breve corridoio l’avrebbe separato dalla stanza di Lady Fiminia; ah, e ovviamente anche i Wàgthru della sua scorta personale: quelli sarebbero stati il riscaldamento per la vera azione.

Sporse leggermente il volto al di la dell’angolo del corridoio per osservare meglio la situazione: alla fine del corridoio, a circa una quindicina di metri da lui, quattro grossi Wàgthru con le scaglie marroni lucidate e resi ancora più spaventosi da aguzzi e taglienti ornamenti in oro, erano piazzati davanti ad una porta metallica dall’aspetto assai robusto. I demoni guardiani tenevano le ali artigliate leggermente spiegate, una tecnica per sembrare ancora più grandi agli occhi degli avversari; ma si trattava di uno stratagemma che l’uccisore dallo sguardo di giada già conosceva bene, per cui la suggestione su di lui non ebbe alcun effetto. Non che Kelvra non apprezzasse i piani precisi ed elaborati, ma preferiva le tattiche dirette: decise che sarebbe saltato in mezzo a loro per coglierli di sorpresa, ed iniziando da quello più lontano dalla porta li avrebbe eliminati tutti nel giro di pochi secondi.

E se le cose non fossero andate così? L’idea non era contemplata nel cervello di Kelvra. Ormai era deciso, si preparò a

buttarsi nel mezzo della svolta.

*** «Brutto idiota! Stavi per rovinare tutto con quello scatto d’ira.» Le dure parole di Goljar risuonavano ancora nelle orecchie di Lusur, mentre prendeva la

rincorsa per saltare oltre la finestra di comunicazione con il corridoio parallelo. Il Sìphial-Nòr era troppo arrogante per il suoi gusti, ma in quel caso aveva avuto ragione. Nella Casa degli Uccisori c’era stato il rischio che il loro piano andasse per aria per colpa della sua foga. Ma ora era molto più calmo; ora che sapeva che la fine del cento volte maledetto Kelvra era vicina. Ucciderlo, oltre che impresa ardua, sarebbe stato il modo migliore per mitizzarlo e per suscitare le ire di Lord Zurtrumid, che tanto ammirava i suoi servigi. No, Goljar aveva ideato un piano geniale: Kelvra sarebbe passato alla storia come l’infame traditore che aveva provocato la guerra di Monte Zagòra; non che ai demoni non piacesse la guerra, tutt’altro, ma causarne una senza il benestare di uno dei potenti Duchi era poco consigliabile per la salute, specie nel caso di una questione così delicata come quella del portale verso Mediar. Inoltre Lord Zurtrumid sarebbe impazzito cercandolo per tutto il Gorgoth per suppliziarlo personalmente, e nel frattempo il Visir Sìphial-Nòr avrebbe

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acquisito sempre maggiore autorità a corte fino a destituire il diavolo della fosse e diventare Duca lui stesso. Lusur già si vedeva come signore incontrastato di tutte le case degli uccisori del Gorgoth.

Mentre si deliziava con questi pensieri sentì che anche l’ultima pattuglia di Sùldra stava correndo nella direzione verso dove li aveva depistati: il tempo stringeva; doveva sbrigarsi se voleva fare la sua comparsa nella recita drammatica che stava per essere messa in scena.

Un piccolo passo in avanti per mettersi in posizione al centro del corridoio; giusto il tempo sufficiente per far capire ai Wàgthru di guardia alla porta che qualcosa non andava; poi Kelvra spiccò un salto in avanti sfruttando la sua capacità di muoversi nell’aria per giungere proprio in mezzo ai quattro avversari. L’effetto sorpresa fu decisamente superiore a quello che si aspettava: i demoni scagliosi rimasero immobili, quasi come se non si aspettassero una minaccia da quella piccola figura che balzava verso di loro.

A Kelvra sembrò piuttosto strano che delle guardie scelte fossero così disattente e reagissero in maniera così inadeguata, ma se la fortuna aveva deciso di rendergli il lavoro facile, chi era lui per opporglisi?

Approfittò dell’indecisione dei suoi bersagli per tagliare la gola ad uno di essi con un rapido movimento della scimitarra.

Con un misto di rabbia e di offesa sui volti bestiali dei Wàgthru, tre fruste uncinate schioccarono all’unisono; con un salto a ginocchia alte lo Slarèn-Ekàd evitò totalmente due di esse mentre la terza si abbatteva su di lui. Certo che il colpo non fosse sufficientemente forte e preciso per poter scalfire la sua pelle demoniaca parò il colpo con l’arto che reggeva la spada. Bloccata così la frusta, che gli si era attorcigliata attorno all’avambraccio, Kelvra piantò il pugnale nel basso addome di un altro Wàgthru, e con un unico rapidissimo arco mortale lo sventrò, dividendogli in due lo sterno e spaccando fino al mento la testa di quello che gli impediva l’utilizzo della scimitarra.

L’ultima guardia rimasta tentò di alzarsi in volo per acquisire il vantaggio di una posizione sopraelevata, ma un’orribile ferita infertagli prontamente all’ala destra gli fece cambiare idea.

Finito rapidamente l’ultimo dei quattro fastidi Kelvra tirò fuori dalle vesti una fiaschetta metallica contenente la pozione di forza datagli da Goljar e la svuotò con due rapide sorsate.

Sentì d’improvviso i suoi muscoli crescere smisuratamente in forza e massa, si sentiva a disagio stretto com’era nella corta tunichetta grigio pietra senza maniche chiusa da cinghie di cuoio nero. Era uno strano effetto collaterale che non gli era mai capitato nel bere un infuso di potenziamento, ne avrebbe dette quattro all’alchimista di Goljar al suo ritorno.

Prese una brevissima rincorsa e si gettò di forza contro la porta di ferro nero a doppio battente alta quasi il doppio di lui. Per poco non cadde rovinosamente in avanti quando il robusto portone anziché offrire la resistenza ipotizzabile dall’aspetto massiccio e pesante, si spalancò violentemente non appena fu toccato dalla sua poderosa spallata.

Non ebbe il tempo di soffermarsi a pensare sul perché la porta di una stanza così ben protetta fosse aperta, ne gli fu possibile fare congetture, dato che non appena ebbe varcato precipitosamente la soglia accadde l’inimmaginabile: la vista lo abbandonò con la stessa rapidità con cui un Talbugron può schiacciare la testa di un elfo con le sue chele. Nel frattempo l’aria intorno a lui iniziò a crepitare e schioccare, segno che i glifi di protezione si stavano attivando.

Solo l’istinto di sopravvivenza e la sua incredibilmente allenata prontezza di riflessi gli evitarono di essere carbonizzato dai tre coni di fiamme infernali centrati precisamente su di lui. Subì comunque gravi ustioni dall’immane calore abissale, capace in buona parte di

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ignorare la sua naturale resistenza al fuoco. Che cosa stava succedendo? Come era possibile che non si fosse accorto del glifo di cecità? E perché Goljar non lo aveva avvertito della sua presenza? – Dannazione! – pensò Kelvra dolorosamente ferito e fuori di se per l’indignazione –

Nella stanza c’è solo Lady Fiminia, anche se non posso vederla posso sempre sentirla. La ucciderò comunque! –

«Chi è la? Cosa sta succedendo?» A questo punto avrebbe voluto dire una delle frasi ad effetto che si era preparato, tipo

“Sono la tua morte Duchessina”, ma colto da frenesia sanguinaria e frettoloso di portare a termine il suo incarico, Kelvra reagì d’istinto sentendo la tremolante e sensuale voce femminile, balzando in direzione del suono menando fendenti.

Privo di vista riuscì soltanto a graffiarla un paio di volte dandole il tempo di iniziare a gridare.

Nel giro di pochi istanti in quella stanza si sarebbero riversate tutte le guardie e gli altri occupanti del palazzo. Kelvra lo sapeva, per cui con le braccia aperte avanzò verso le urla sperando di intercettare la diavolessa; la quale non appena si sentì toccare invocò:

«Aiutami…» Pensando che stesse per richiamare un alleato sovrannaturale, lo Slarèn-Ekàd, ormai a

conoscenza della posizione del suo bersaglio, mise all’opera il suo pugnale per farla tacere.

Si sentì un rumore cupo di tessuti organici lacerati dalla lama ultraterrena seguito da un urlo svenevole di agonia che interruppe la richiesta di soccorso. Il corpo quasi privo di vita si accasciò a terra, e Kelvra ansimante per lo sforzo si concesse un attimo di pausa per ripulire la corta arma runica dal sangue, ma si interrupe subito spalancando gli occhi ciechi e rimanendo paralizzato per lo shock sentendo la vittima che aveva appena pugnalato al cuore, che, mentre soffocava nel suo stesso sangue, terminava con voce flebile ed appena percettibile la frase che aveva iniziato precedentemente:

«Aiutami… Lusur…» Sbalordito, senza riuscire a comprendere cosa stesse accadendo, Kelvra capì di aver

commesso un errore madornale, anzi, di essere stato guidato in quell’errore. Fu sufficiente una semplice parola gracidata affinché riacquistasse la vista.

Inconsciamente cercò nell’ampia stanza adorna di quadri, arazzi e tende merlettate, una figura ammantata di viola senza riuscire a scovarla, mentre sentiva che l’effetto della pozione rinforzante stava già esaurendosi.

Vide però il cadavere femminile riverso per terra orribilmente piagato dalle sue armi; era chiaro che non si trattava di Lady Fiminia, la sua famosa e rinomata pelle candida e luminosa come le più pure perle di fiume era invece nera come il giaietto e coperta di limacciose scaglie verde giada nel corpo disteso sul pavimento. Il rumore di rapidi passi in avvicinamento lo fece voltare in direzione della porta attraverso la quale vide uno Slarèn-Ekàd che si dirigeva verso di lui. Si stupì di averlo sentito; come lui, infatti, Lusur andava in giro scalzo (le unghie nere, lunghe e appuntite, rendevano scomode tutte le calzature) indossando solo cinghie di cuoio nero per coprire gli stinchi, inoltre erano soliti muoversi galleggiando in aria per essere più silenziosi. Era evidente che voleva farsi sentire. Sapeva che, quel dannato c’entrava qualcosa e solo la frase mentale di Goljar rivolta a Lusur gli impedì di gettarsi contro di lui inveendo a gran voce:

«Sembra che qualcuno abbia sbagliato il suo bersaglio.» «Già! – confermò malignamente Lusur ormai giunto sulla soglia. «O più probabilmente – continuò il Visir – Ha deciso di vendicarsi della lezione di umiltà

ricevuta due giorni fa nella sala delle convocazioni. Sì! È una testa calda e ha deciso di approfittare di quest’occasione per avere una rivalsa. È una testa calda, il Grande

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Zurtrumid non potrà che essere d’accordo su questo. Anche se temo, mio caro Kelvra, che il Gran Duca non si rivolgerà a te con appellativi così delicati dopo aver saputo che hai ucciso in maniera tanto truculenta la sua unica figlia. Prendilo Lusur, lo porteremo al cospetto del Grande Zurtrumid.»

«Con molto piacere. Non opporti Kelvra, sei gravemente ferito, e se tentassi di ribellarti temo che sarei costretto ad ucciderti – disse il Maestro Uccisore sorridendo – Anche se in fondo devo ammettere che sarebbe il modo più semplice per riappropriarmi delle armi che mi spettano di diritto e che mio padre, in un momento di demenza, ha affidato a te»

L’inquisito tentò un piano disperato: «Sai una cosa Lusur, in realtà tuo padre non mi ha affatto convocato poco prima di

partire per consegnarmi i suoi simboli. Se sono uscito da solo dalla sua stanza impugnando queste armi runiche è perché prima l’ho ucciso e poi gliele ho prese.»

Dire la verità non era affatto congeniale per il diavolo dagli occhi verdi, ma in quell’occasione suscitò la reazione desiderata. Approfittando dell’attimo di sbigottimento di Lusur causato dalla pesante rivelazione, Kelvra scattò contro Goljar per eliminare la mente del complotto ai suoi danni. Purtroppo per lui il Visir era in attesa di una simile mossa, e dal palmo della sua mano aperta scaturì una saetta di pura energia magica, che inevitabilmente lo folgorò alla spalla sinistra facendolo arretrare.

Un filo di fumo si levò dal braccio che ormai pendeva quasi inerte sul fianco di Kelvra. Si stupì egli stesso che l’arto avesse ancora la forza di reggere il pesante pugnale dorato. Decise prontamente per una saggia ritirata strategica, ma mentre si muoveva in direzione dell’ampia finestra sulla sua destra iniziò a sentire un fastidioso formicolio alla spalla colpita dallo strale magico che si trasformò presto in intorpidimento.

Aveva già visto altre volte cose simili: la parte colpita perde sensibilità per poi paralizzarsi del tutto, nel giro di pochi istanti l’intero corpo è completamente rigido e il bersaglio in balia del nemico.

Scandagliando la sua mente di diavolo il più rapidamente possibile sembrò ricordare che a seguito di un forte colpo o di una ferita la paralisi svanisce.

La soluzione aveva un aspetto più letale del problema stesso. Che fare? Attendere un nuovo incantesimo del Sìphial-Nòr? No, sicuramente avrebbe fatto in modo di imbrigliarlo meglio se non di ucciderlo. E poi

aveva tutta l’intenzione di approfittare del tempo concessogli dagli incantesimi protettivi che Goljar stava invocando su se stesso.

Un’altra soluzione sarebbe stata incitare Lusur a sferrare il primo colpo, ma non si porge mai la testa al boia, e colto dall’ira, come sicuramente sarebbe stato una volta ripresosi dallo shock iniziale, avrebbe fatto di lui una poltiglia di carne demoniaca.

No, meglio evitare. Con estrema sorpresa di entrambi i suoi avversari corse verso la finestra e mandando

in mille pezzi i pregiati vetri decorati si gettò di sotto. Ringraziò di aver studiato attentamente la conformazione del palazzo prima di iniziare la missione; sapeva che circa una decina di metri più in basso, in corrispondenza del piano inferiore, vi era un cornicione di muratura senza punte di lancia a difesa e abbastanza largo per potervi cadere di schiena, così da ricevere un colpo sufficiente a far interrompere la paralisi, ma al contempo non procurarsi nessuna lesione grave.

Kelvra si accorse del suo errore di valutazione non appena oltrepassato l’arco della finestra, ma ormai era troppo tardi: la paralisi stava seguendo rapidamente il suo corso e lui aveva perso la mobilità e il controllo del suo corpo sufficienti a mettere in atto il piano, pensò anche di attivare la sua capacità di volo, ma ricordò ben presto che potenti anatemi all’interno del perimetro del maniero Raver impedivano anche questo tipo di movimento.

Il dolore per l’impatto, già di per sé atroce e allucinante, fu reso ancora più orribile dal

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rumore di ossa che si piegano su se stesse e su tessuti muscolari che si spezzano. Impiegò diversi secondi solo per riacquistare abbastanza lucidità mentale da ricordare

chi fosse e cosa ci facesse lì. L’anca fortemente distorta si fece sentire quando si rimise faticosamente in piedi,

mentre le tre costole rotte lo fecero quasi svenire dal dolore quando la sua volontà gli impose di raddrizzarsi. Guardando verso l’alto vide la figura di Goljar incorniciata dagli stipiti argentati del finestrone che lo guardava a braccia conserte.

Perché non lo finiva con un altro strale incantato o con qualche altra magia? Il pensiero corse rapidamente per la sua testa, ma era consapevole del fatto che Lusur

si stava precipitando di gran foga giù per le scale col solo scopo di venirlo ad uccidere. Non aveva molto tempo per decidere il da farsi; che si fosse istupidito o che rientrasse

in un suo subdolo piano il Visir Sìphial-Nòr non stava agendo, decise così di dirigersi il più rapidamente possibile verso il camminatoio superiore che costeggiava il palazzo. Si trattava in realtà di un largo bordo di pietra scura raggiungibile attraverso numerose rampe di scale, che come ali triangolari partivano da terra e raggiungevano i quasi settanta metri della sommità del palazzo.

Era l’unico modo che aveva per fuggire, all’estremità nord del camminatoio infatti terminavano i confini esterni entro cui era inibita la capacità di volo. Se voleva salvare la pelle doveva eliminare ogni svantaggio nei confronti del suo inseguitore.

Ogni passo, ogni gradino, ogni respiro ansante aveva il nome di mille torture per il suo corpo martoriato; nonostante ciò era ormai in vista del baratro che indicava il termine del camminatoio. La speranza si trasformò, purtroppo, ben presto in consapevolezza di fallimento quando sentì passi di corsa che calcavano i suoi e la voce di Lusur che furioso d’odio gli intimava di fermarsi con parole tutt’altro che amichevoli.

Solitamente Kelvra non rinunciava mai al premio di un omicidio, ma era fin troppo convinto che se c’era una cosa che Lusur bramava più della sua morte in quel momento erano le sue armi, quelle che aveva strappato dalle mani rigide e fredde del cadavere di Velgiu. Passando vicino ad una delle scalinate prive di corrimano che permettevano di salire al camminatoio gettò le armi il più lontano possibile, assicurandosi che Lusur vedesse chiaramente quel gesto. Come si era aspettato che accadesse Kelvra sentì un lungo e profondo

«Nooo!» E dopo varie imprecazioni una precipitosa corsa lungo la scalinata. Una cosa a cui non

aveva pensato gli fece maledire in mille lingue la sua arroganza, a toglierli la speranza di uscire vivo dal maniero Raver fu la voce di Lusur che comandava.

«Jagghermann, prendi Kelvra e uccidilo!» Nell’aria si diffuse un flebile rumore distorto e poi si udì chiaramente lo stridore di lunghi

artigli neri che graffiavano sulla pietra impazienti di dilaniare la carne della preda. L’uccisore in fuga non ebbe bisogno di attendere il ruggito che precedeva l’inizio della caccia, né di voltarsi per guardare, per capire che una bestia dei piani inferiori del Gorgoth era stata richiamata proprio lì. La sua mente era completamente tesa nel tentativo di trovare una soluzione a quella letale situazione, ma si concesse qualche istante per riflettere sul fatto che era nei guai fino al collo, anzi rischiava di affogare nel mare di errori che aveva commesso… negli ultimi dieci minuti. Non c’era tempo per l’autocommiserazione, sentiva avvicinarsi i passi di corsa, pesanti e silenziosi allo stesso tempo, del Jagghermann alle sue spalle, e davanti a lui mancavano ancora numerosi metri prima della fine del camminatoio. Non ce l’avrebbe fatta a scappare, gli rimaneva solo da voltarsi e affrontare l’incubo leonino. Girandosi estrasse un piccolo coltello che teneva legato sotto l’alto cinturone di cuoio, eppure si sentì disarmato e completamente alla mercé di quell’imponente bestia dall’incomparabile maestosità. Il Jagghermann era lungo quasi il doppio di quanto Kelvra era alto, e in tutto il suo corpo di felino predatore non c’era

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parte dove non spiccassero scattanti fasci muscolari. La pelliccia rasa era rossa come il sangue vivo, spezzato con motivo regolare da grosse scaglie nere, come neri erano gli artigli lucidi delle zampe, che facevano sembrare ancora più pericolose le zanne color avorio invecchiato delle fauci, aperte in un ruggito minaccioso. Ciò che più affascinò Kelvra furono però le fiamme che circondavano la sua testa come una criniera infernale e la punta della coda. Non era la prima volta che vedeva il demone cacciatore richiamato da Lusur, ma come ogni altra volta rimase congelato di fronte a quello sguardo infuocato. L’attimo di paradisiaca esitazione gli fu quasi fatale, si risvegliò dall’incanto nel momento esatto in cui il Jagghermann gli saltò addosso gettandolo per terra sotto il suo immane peso. Il dolore della caduta sulla dura pietra fu nulla a confronto di quello causato dagli artigli che affondavano nella sua spalla già martoriata.

L’urlo di agonia fu dovuto, ma uno Slarèn-Ekàd reagisce al dolore con la determinazione: strinse il piccolo pugnale così forte da far sbiancare le nocche e appoggiando il gomito sulla pietra lo conficcò nell’addome della bestia da preda. Fu poco più di una puntura per la grossa mole di Jagghermann, ma dolorosa a sufficienza per farlo fermare. La situazione di stallo permise ai due avversari di scrutarsi e valutarsi attentamente: una rapida mossa della zampa del Jagghermann e gli artigli avrebbero spezzato le ossa della spalla straziando la carne sottostante e probabilmente strappando di netto il braccio; dall’altra parte la corta lama in possesso dello Slarèn-Ekàd era penetrata abbastanza a fondo da permettergli di sventrare il Jagghermann con una decisa pressione in senso verticale. L’osservazione puramente fisica fu breve, solo il tempo di capire che né l’uno né l’altro avrebbe potuto avere il sopravvento senza rischiare molto. L’analisi successiva sembrò scavare negli occhi di entrambi per penetrare nelle profondità del loro io. Kelvra vedeva su di lui un re del sua specie stretto da un invisibile giogo che piegava le sue fiere spalle; un patto di nascita che lo costringeva ad essere schiavo di padroni a loro volta servitori di esseri più potenti. Fu stupito e confuso nel sentire, senza che gli venisse suggerito da alcun segno, che il Jagghermann lo aveva valutato nel medesimo modo. Per un attimo furono uniti da un legame empatico che trascendeva l’istinto animale della bestia cacciatrice e la comunicazione telepatica dell’assassino. Il Jagghermann volse di scatto la testa alle sue spalle e senza preavviso corse via in direzione del punto in cui era stato richiamato. In seguito Kelvra avrebbe attribuito il gesto del Jagghermann al fatto che Lusur era probabilmente uscito dall’area di influenza del richiamo e quindi il leone abissale cercava il suo padrone per farsi rimandare nel suo livello natio; ma in quel momento sentì che l’aveva lasciato andare per liberarsi da quelle catene che lo costringevano a negare il rispetto di se per assecondare gli scopi di chi voleva piegare la sua natura, la natura del cacciatore che provava repulsione nel finire una vittima già menomata fin quasi all’infermità. Kelvra provava lo stesso indomito desiderio: essere l’unico padrone di se stesso e delle proprie azioni. Più grazie alla forza di questo convincimento che alle energie rimaste nel suo corpo riuscì ad alzarsi e a dirigersi con passo malfermo verso la fine del camminatoio. Mentre il suo corpo diventava leggerissimo e iniziava a galleggiare per aria la sua mente era bombardata da miriadi di pensieri ed emozioni, così forti da fargli dimenticare il dolore, così confuse da impedirgli di focalizzare un solo pensiero coerente. Osservando il suo sguardo stanco fisso nel vuoto e le sue labbra bloccate in posizione quasi priva di espressione si sarebbe potuto dire che la sua mente era vuota.

***

«Stupido! Stupido idiota decerebrato!» Era passata ormai più di mezza decade da quando era scappato per pura fortuna dal

maniero Raven e non era passato giorno in cui non si maledicesse per la sua scempiaggine. Il tranello tesogli da Lusur e Goljar aveva lasciato più segni di quanto lui

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stesso fosse disposto ad ammettere, erano segni che bruciavano come marchi a fuoco, tanto sul suo corpo tanto sul suo spirito: la spalla era ancora rigida ed intorpidita, faticava molto a muoverla; le costole rotte non avevano avuto ancora il tempo di rinsaldarsi bene e ogni volta che provava ad alzarsi dalla lurida branda il dolore gli ricordava quanto era stato stolto. Come aveva fatto a non ricollegare tutto? I litigi fra lui e Lusur di solito si protraevano per intere decadi, l’ultimo invece era terminato subito, come se a Lusur non importasse di vincere quel battibecco, e poi gli sguardi di complicità fra lui e il Sìphial-Nòr, le guardie Wàgthru alla porta sorprese del suo attacco come se già lo conoscessero, il robusto portone appena accostato, la cecità… La testa iniziò a dolergli come se una squadra di minatori stesse lavorando alacremente per perforargli il cranio e le meningi. I ricordi si affollavano confusamente nella sua testa dolorante sotto forma di immagini statiche e suoni incomprensibili ad altissimo volume che riaffiorando in superficie lo facevano impazzire di rabbia. Riusciva a trattenersi dal distruggere tutta la sua stanza, tutta la locanda e tutti i suoi occupanti solo grazie alla sua precaria condizione fisica che estingueva l’ira nella sofferenza. Non poteva criticare nulla del piano dei due cospiratori, infatti non gli era costato solo problemi fisici ma la sua vita nel Gorgoth era diventata peggio di quella delle anime peccatrici che giungevano li quotidianamente per subire i supplizi che gli spettavano. Non era ancora uscito per le strade di Aflaslom, ma sicuramente Lord Zurtrumid aveva diffuso un ordine di caccia nei suoi confronti in tutte le Montagne dell’Agonia, il quinto livello, se non in tutto il Gorgoth. Con l’ombra dell’ascia del carnefice che già cadeva sul suo collo aveva pensato saggiamente che non fosse opportuno recarsi nel suo alloggio alla Casa degli Uccisori, per cui aveva preso una stanza in una sordida locanda di terzo ordine nella periferia. Un ambiente decisamente squallido per i suoi gusti, ma quanto meno adatto per nascondersi dai suoi inseguitori. Non ne poteva essere certo infatti, ma conoscendo il Granduca abissale, suo mandante fino a pochi giorni prima, e i suoi metodi per risolvere le questioni a cui più teneva, c’erano sicuramente numerosi demoni sulle sue tracce. Sperava solo che non gli avesse sguinzagliato alle costole un Vagherott. Non avrebbe avuto scampo con armi che non fossero quelle runiche che aveva ceduto per salvarsi la vita, contro il demone scovatore, concepito e creato con un unico scopo: stanare e distruggere demoni e diavoli traditori. Ma che cosa andava pensando, una morte rapida sotto gli artigli di un Vagherott sarebbe stata una benedizione al confronto di quello che avrebbe patito se Lord Zurtrumid fosse riuscito a catturarlo. Gia! Catturarlo! L’idea lo attraversò come una arco elettrico. Era sicuramente folle, senza dubbio dettata dal suo stato febbricitante, ma forse era l’idea che poteva salvargli la vita. Non aveva alcun senso continuare a nascondersi, anche una volta rimessosi del tutto sapeva di non poter sottrarsi a lungo agli sgherri di un Granduca del Gorgoth infuriato, che lo cercavano, e poi, non appena avesse attivato un Vagherott la sua fuga sarebbe diventata solo un’inutile corsa in attesa di venire preso. No, la soluzione non era nascondersi, era fuggire, ma fuggire in un luogo sconosciuto tanto a lui quanto ai suoi nemici, un luogo dove i suoi inseguitori non avessero né il vantaggio numerico né quello strategico del dominio territoriale. Quel luogo era Mediar, e l’unico modo che conosceva per raggiungerlo era entrare nel portale sul monte Zagòra. Non sapeva nulla di quella collina rocciosa, ne la sua conformazione, ne le forze in campo lì schierate dai vari duchi per presidiarlo. Questo rendeva piuttosto difficoltoso il compito che si era prefissato, ma all’interno di Castel Zurtrumid era sicuro di poter trovare tutte le informazioni che gli erano necessarie: sia in forma di scritti che di creature più o meno disposte a parlare. E non c’era modo più sicuro di riuscire ad entrare nel maniero se non in veste di prigioniero. I progetti sul modo migliore di simulare e inscenare la sua cattura sfumarono nella sua mente fino ad assumere l’immagine di Goljar che emetteva striduli suoni cicaleggiante di agonia sotto il filo tagliente del suo pugnale. A proposito, doveva assolutamente trovare il modo di recuperare le armi runiche: non sapeva quali fossero gli effettivi pericoli che

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avrebbe potuto trovare su Mediar, ma da quel poco che conosceva sulla terra degli uomini quelli come lui, le progenie del Gorgoth non erano molto ben visti, e avere potenti manufatti magici in mano gli sarebbe potuto risultare se non utile vitale.

***

«Agli ordini capitano!» dissero rispettosamente i Wàgthru prima di imboccare il passaggio laterale.

“Agli ordini capitano” suonava dannatamente bene. Lusur rimase qualche istante a godersi compiaciuto lo spettacolo offerto dalla sua nuova uniforme: viola scuro con bordi e ricami neri e dorati. Poi lo sguardo scivolò volutamente sui foderi di cuoio laccato appesi alla cintura, l’occhio della sua mente però andò oltre immaginando le armi al loro interno, armi dai riflessi dorati e istoriate di rune magiche.

– Tutto è assolutamente perfetto – Constatò il Maestro Uccisore proseguendo lungo il corridoio che lo avrebbe portato fuori

dal palazzo di Lord Zurtrumid. La mente corse ad appena tre decadi prima quando tutta la vicenda era cominciata

proprio lì. Di certo non si sarebbe immaginato di finire nominato capitano della guardia del palazzo, ma il discorso di Goljar al granduca Zurtrumid al loro ritorno dal Maniero Raver era stato davvero convincente, alla fine il Lord abissale non aveva potuto esimersi dall’emettere un ordine di cattura immediata nei confronti di Kelvra e una nomina come Eroe del Ducato nei suoi confronti. I dettagli del resoconto e dell’arringa inquisitoria ancora gli sfuggivano in parte, lui si era limitato ad annuire e a confermare ogni tanto, il che era stato più che sufficiente a dare maggiore credibilità alla trama intessuta dal Visir. Mentre apriva la grande porta di bronzo verde intarsiata quel tanto che gli bastava per uscire ebbe un brivido involontario pensando alle urla di rabbia di Lord Zurtrumid dopo che Goljar gli ebbe comunicato in che modo Kelvra aveva fatto scempio del corpo della figlia. Una sferzata di aria calda e polverosa lo riportò alla realtà del presente. In lontananza vedeva avvicinarsi delle sagome lungo la sabbiosa strada rossa, erano due o tre al massimo. Era una cosa piuttosto comune, per cui normalmente non se ne sarebbe curato in maniera particolare. Eppure la vista di quelle creature ancora indistinguibili disturbava incredibilmente l’aura di perfezione che Lusur sentiva attorno a se. Quando fu in grado di discernere chiaramente il piccolo gruppo la sensazione di forte disagio persistette per qualche istante ancora, poi la razionalità prese il sopravvento sull’istinto. Le figure laterali erano dei Sùldra sporchi e impolverati, ma senza ferite e in mezzo a loro la figura più esile era senz’ombra di dubbio Kelvra. Lusur si avvide con suo estremo piacere che lo Slarèn-Ekàd ricercato era coperto da una moltitudine di tagli, ferite e contusioni. Era così malridotto da non riuscire a camminare: veniva infatti trascinato di forza dai due demoni minori che lo sorreggevano per mezzo delle lame dei loro falcioni infilzate nelle costole sotto le braccia del prigioniero. Kelvra sobbalzava e gemeva ad ogni passo, tenendo la testa inclinata sul petto, come una marionetta senza fili.

Il capitano della guardia attese con malcelata ansia che il trittico di figure raggiungesse la scalinata vitrea e gli fece cenno di fermarsi qualche scalino più in basso di dove si trovava lui così da mantenere una posizione di superiorità anche nei confronti dei grossi demoni barbuti, ma soprattutto della moribonda figura crocifissa sulle lance. A Lusur sembrò di trovarsi davanti ad un macabro stendardo che siglava la sua vittoria definitiva.

***

Il grosso demone ricoperto dal carapace spinato aprì la rugginosa porta metallica della cella maneggiando maldestramente la chiave di ferro. Il suo compagno spinse dentro senza tanti complimenti lo Slarèn-Ekàd ridotto in fin di vita. Non appena sentì scattare la doppia mandata della serratura Kelvra iniziò a dare segni di vita. Non che la cosa gli

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riuscisse molto facile dato come era conciato. Decise di non perdere neanche tempo a valutare le sue condizioni di salute; stava morendo non c’erano dubbi. Però sapeva come funzionavano le cose a Castel Zurtrumid: fra non molto sarebbe arrivato un guaritore che lo avrebbe fatto vivere fino all’indomani affinché potesse essere torturato ancora, così ogni giorno per il resto dell’eternità, col solo scopo di far piacere a Lord Zurtrumid, e ai torturatori, ovviamente. La prospettiva non era per nulla allettante, ringraziò dunque che i due Pàdrull li fuori non fossero abili perquisitori e da sotto le fasce strette attorno al polpaccio tirò fuori una minuscola fialetta. Quell’elisir di guarigione gli era costato quanto i suoi ultimi tre omicidi, inoltre quasi era stato scoperto dai gendarmi demoniaci mentre stava uccidendo l’alchimista per riprendersi il denaro. Sentì nuova vita diffondersi in lui non appena ebbe ingerito il liquido ambrato e frizzante e poté iniziare a riflettere su quanto gli era accaduto. Il piano per farsi catturare era andato bene, la rissa fatta scattare nel vicolo aveva fatto accorrere le guardie come previsto. Anche se a dire il vero essere stato costretto a subire un pestaggio da parte di quelle nullità era costato tanto al suo corpo quanto al suo orgoglio. Per fortuna poi vedere Lusur in divisa da capitano lo aveva rimesso di buon umore: era talmente ridicolo che sulla scalinata aveva dovuto fare uno sforzo di volontà per non mettersi a ridere. In definitiva era riuscito ad entrare nel castello di Lord Zurtrumid come voleva, e se conosceva bene Lusur, nessuno ancora sapeva della sua presenza, per di più era anche quasi riuscito a non morire. Sì, era decisamente il suo giorno fortunato. Non appena le ferite che aveva sparse su tutto il corpo si furono completamente rimarginate grazie all’effetto dell’elisir, udì dei passi avvicinarsi. Hanglok, questo il nome del carceriere Pàdrull, fu sorpreso di leggere nuova vita negli occhi verdi del suo prigioniero quando aperta la porta rugginosa della cella lo trovò in piedi davanti a lui con un sorriso sadico e malvagio stampato sul volto. Kelvra, invece, non affatto stupito delle bestemmie e delle preghiere di salvezza che lesse negli occhi del demone carceriere, quando con un gesto fulmineo della mano gli rubò, dal fodero che portava alla cintura, la corta daga di corno prima che avesse il tempo di estrarla. Il patetico tentativo di indietreggiare, per bloccare il prigioniero dietro la porta della cella, fu stroncato sul nascere da un taglio veloce e preciso che dal basso ventre seguiva esattamente la sottile linea verticale che separava in due sezioni il carapace addominale e pettorale del Pàdrull, l’unica parte molle in un’armatura di chitine altrimenti impenetrabile. Nel cadere a terra privo di vita il pesante corpo coperto di aculei produsse un tonfo sordo ed una moltitudine di stridii acuti nel momento in cui le spine del carapace incontrarono le millenarie mattonelle di pietra del corridoio. Le viscere bluastre si riversarono copiose sul pavimento spargendo ovunque un fetido icore giallastro che andò ad imbrattare anche i piedi di Kelvra, il quale però non se ne curò minimamente, era troppo occupato a prendere la mira sulla piccola figura demoniaca in fuga alla fine dell’oscuro corridoio, suppose, a ragione, trattarsi del demone guaritore che il Pàdrull stava conducendo da lui. Se quel Wàrter-Gòj fosse riuscito a svoltare la curva verso cui stava correndo e fosse riuscito a risalire ai piani del castello più popolati avrebbe dato l’allarme di quanto stava accadendo, della sua fuga. Gli balzò in mente la strampalata idea di lasciarlo andare, era curioso di vedere quanto ci avrebbero messo le inette guardie di Lord Zurtrumid a trovarlo e quante ne avrebbe fatte fuori prima di riuscire a fuggire e… No! Giocare era un lusso che non poteva permettersi, in quelle condizioni sarebbe stato difficile anche riuscire ad uccidere il Wàrter-Gòj. Quella particolare razza di diavoli non era molto forte nel combattimento e neanche nella magia, il loro ruolo era quello di artigiani, diplomatici, e professionisti, ma avevano sviluppato un infallibile metodo di difesa, o meglio, di sopravvivenza. Se ricevevano una ferita abbastanza seria da incapacitarli il loro livello natio, il Fiume della Dimenticanza, li richiamava a se istantaneamente mettendoli così al sicuro. Per cui impose a se stesso di rispettare il piano che aveva studiato, il suo braccio piegato all’indietro scattò in avanti come un cordino di balestra, ma ,anziché un quadrello, saettò per tutta la lunghezza del

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corridoio una rozza daga di metallo brunito che con micidiale precisione si infilò in mezzo alle scapole del Wàrter-Gòj tranciandogli di netto la colonna vertebrale. Il piccolo diavolo dalla pelle giallastra e cadente si accasciò al suolo, incapace di articolare qualsiasi movimento, lanciando un urlo gorgogliante. Mentre i suoi occhi iniziavano già a farsi vitrei i suo corpo si dissolse per ricomporsi in chissà quale punto sulle rive del Fiume della Dimenticanza.

Che fosse realmente morto o solo risvegliatosi in un altro livello Kelvra si ritenne comunque soddisfatto, aveva guadagnato del tempo, ed il piano non prevedeva di fermarsi a lungo a Castel Zurtrumid, non era un luogo molto salutare per lui in quel momento.

***

«Lord Zurtrumid mi nominerà come minimo generale d’armata» disse Lusur a se stesso mentre saliva eccitato la scala che lo avrebbe portato allo stesso piano della sala privata d’udienza del suo signore.

Gli scalini erano così mastodontici che era costretto a saltare per riuscire a percorrerli: ognuno di essi era adornato con un’armatura nera di grandezza umana sia sulla destra che sulla sinistra, con una bardicca fra le mani in posizione da parata.

«Voglio omaggiare Lord Zurtrumid facendolo assistere alla prima seduta di torture a Kelvra direttamente nelle sue stanze, ho già dato disposizioni al carceriere affinché lo porti li. Non ho dimenticato nulla. Sì, è tutto perfetto.»

Persino le sue riflessioni private erano nervose e confuse, Lusur stava impazzendo di smania al pensiero delle onorificenze che gli sarebbero state riservate, d’altronde “lui” aveva scovato Kelvra, “lui” lo aveva catturato e sempre “lui” lo conduceva ora li in catene per essere suppliziato. O almeno questa era la versione che sarebbe passata alla storia; aveva provveduto personalmente infatti ad eliminare le guardie Sùldra che gli avevano consegnato Kelvra, nient’altro che scomodi testimoni.

La figura immobile nascosta nell’ombra di una delle armature nere sull’immensa scalinata d’alabastro vide sfrecciarsi davanti uno Slarèn-Ekàd visibilmente troppo esaltato per prestare attenzione ai possibili pericoli in agguato. Gli occhi di giada brillante dell’osservatore, celato dal manto di tenebre, divennero due fessure mentre le sue mani, imbrattate del sangue di una cinquantina di soldati del castello, spingevano in avanti un’armatura completa alla sua immediata destra.

Il clangore del metallo che cade sulla pietra fece trasalire Lusur. Senza pensarci fece una mezza capriola per girarsi verso il rumore alle sue spalle. Sembrava una donnola con le spalle al muro: pochi rapidi movimenti sinuosi e precisi e fu pronto ad affrontare il nemico. Le gambe leggermente piegate pronte a balzare in ogni direzione, busto e testa tesi in direzione dei pezzi d’armatura sparsi in terra, la scimitarra di traverso davanti al corpo per difesa e il pugnale ricurvo caricato per poter colpire in qualsiasi momento. Mentre si girava con la coda dell’occhio vide un ombra fugace muoversi da un’armatura all’altra. La seguì per un istante con lo sguardo, poi la perse. La vide ancora, ma solo per lasciarsela sfuggire. Ormai era pronto, se si fosse mossa ancora l’avrebbe attaccata sicuro della sua posizione. Nulla si mosse, sentì invece una voce profonda provenire da un’armatura sulla sua destra:

«Bravo cagnolino…» Non intenzionato a sentire la fine della frase Lusur squarciò il pettorale di metallo nero

con un fendente del pugnale. L’armatura cadde a terra sfasciandosi in pezzi e rivelandosi vuota.

«…corri dal tuo padrone» Terminò la frase una voce dolcemente beffarda da dentro un’altra armatura sulla sinistra

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delle scale. Un prestante balzo e l’elmo fu spiccato dal resto del corpo con un unico attacco della

scimitarra dorata. Non c’era nessuno, anche stavolta a parlare era stato un fantasma. «Chi sei? – chiese Lusur – Mostrati!» «Cosa» «Succede» «Ti» «Stai» «Innervosendo?» Ogni parola era proferita da una voce diversa proveniente da dentro una diversa

armatura. Lusur fece un giro completo su se stesso per tentare di individuare il suo nemico. Ritornando nella posizione iniziale si avvide di due piccoli riflessi luminosi che da basso nelle scale si muovevano verso di lui, due occhi verdi che brillavano nel buio come fiaccole ardenti fuoco sacrilego. Lusur vide la figura dallo sguardo di smeraldo assumere sempre più connotati umanoidi man mano che si avvicinava, fino a divenire del tutto riconoscibile; a quel punto gli parlò con voce familiare:

«Non dirmi che il Grande Maestro della Casa degli Uccisori si fa spaventare e confondere da semplici giochi con le ombre e trucchetti da ventriloquo»

«Kelvra…» disse Lusur a bassa voce. Stava pensando a quale assurdo scherzo giocatogli dal destino aveva fatto in modo che

l’altro Slarèn-Ekàd si liberasse per essere lì, ora, in quel momento. Kelvra non attese il seguito e prendendo l’iniziativa si chinò fulmineo a raccogliere da terra qualcosa che il suo avversario non riuscì a vedere e tirò di scatto a sé la mano chiusa a pugno. L’armatura immediatamente dietro Lusur fu privata del sostegno di una delle sue gambe andando a cadere su di lui. Con un piccolo balzo laterale Lusur evitò l’inaspettata valanga metallica che stava per abbattersi sulle sue spalle, ma fu colto alla sprovvista dal coltello da lancio scagliato da Kelvra. Uno Slarèn-Ekàd colpisce sempre per uccidere e si aspetta che quelli della propria razza facciano lo stesso, per cui il Maestro Uccisore, anche se in ritardo, si preparò a difendersi da un attacco portato a punti vitali, non alla mano che reggeva il pugnale che si trovò inevitabilmente ormai ferita e disarmata. La corta lama ricurva volò qualche scalino più in alto, e approfittando della sorpresa dell’avversario Kelvra si allungò con un balzo per ghermirlo. Lusur, ripresosi, gli fu sopra bloccandolo con il petto a terra e schiacciandogli con il ginocchio la mano a pochi centimetri dall’elsa ingioiellata del pugnale runico.

«Siamo alla resa dei conti finalmente! – disse lo Slarèn-Ekàd in posizione di vantaggio – Jagghermann! – ordinò – Compari!»

Nel buio lo spazio si distorse con rumore sfrigolante, e dal pallido specchio di plasma luminoso uscì la feroce bestia abissale da caccia ruggendo la voce del suo odiato padrone.

«Se Kelvra si allontana inseguilo, anche se dovesse fuggire fino all’origine dei piani.» Kelvra sussurrò qualcosa a voce troppo bassa per poter essere sentita, Lusur si chinò

avvicinando la faccia alla testa di Kelvra e gli sussurrò ad un orecchio: «Hai detto qualcosa? Era una preghiera? Le tue ultime volontà?» «Ho detto “Questa volta”, Lusur, “Questa volta”» Ripeté Kelvra in crescendo di volume e con simulata calma. Poi la rabbia esplose con

violenza inaudita: Kelvra strattonò a se, con la mano libera, un filo così sottile da essere invisibile ma resistente come una trave d’acciaio, lo stesso tipo di filo che aveva già utilizzato come garrota in numerose esecuzioni. Sapientemente legato all’arma lunga il filo tirato fece cadere la bardicca su Lusur con il peso di tutta l’armatura che la reggeva. Il dolore causato dalla punta ricurva infilzata fra le scapole fece sussultare Lusur

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consentendo a Kelvra di liberare la mano bloccata e afferrare il pugnale ricurvo. Un rapido arco di morte dorata amputò la mano del Maestro degli Assassini che impugnava la scimitarra all’altezza di metà avambraccio, a questo punto all’uccisore dagli occhi di giada fu sufficiente un rotolamento a terra per essere libero e pronto ad infierire sul suo avversario. La situazione si era capovolta, ora Lusur giaceva carponi, stingendosi, con l’unica mano rimastagli, il moncherino del braccio zampillante fluido vitale. Il sudore imperlava la fronte e tutto il viso, Lusur già faticava a rimanere cosciente, aveva perso troppo sangue, sia dalla schiena squarciata sia dall’arto monco. Con la voce rotta dal dolore chiese:

«Cosa speri di ottenere Kelvra? Anche se ora mi uccidi tu sei già morto.» «Che cosa vuoi dire?» Il dubbio solcò per un attimo il volto di Kelvra. «Giura che se te lo dico te ne andrai per la tua strada e mi permetterai di fare lo stesso» Una promessa tra Slarèn-Ekàd è qualcosa di inviolabile, chi ha il compito di condurre gli

altri alla morte non oserebbe mai venir meno alla parola data a chi potrebbe un giorno porre fine alla sua vita.

«D’accordo Lusur, ma parla in fretta.» «È semplice, Lord Zurtrumid attiverà a momenti un Vagherott per darti la caccia, io

stavo correndo da lui proprio per dirgli che non era necessario visto che eri già nelle mie mani, ma tu mi hai fatto perdere tempo.»

La faccia di Kelvra divenne di pietra scolpita, i suoi lineamenti gelidamente seri impenetrabili non lasciavano trapelare nessuno dei suoi molteplici pensieri. Poi sorrise distrattamente, e voltandosi fece qualche passo per andare a raccogliere la scimitarra runica volata a terra assieme al braccio amputato.

«Vedi Lusur – disse ancora voltato di spalle – io potrò anche essere uno stupido tagliagole, e tu hai fatto in modo che venga braccato da ogni demone degli Undici Livelli, e questo probabilmente porterà al mio annientamento definitivo. Ma hai dimenticato una cosa.»

Girò la testa e il collo quanto bastava per guardare il volto di Lusur con uno sguardo sadico e carico d’ira.

«Sono un assassino migliore di te.» Mentre lo diceva si girò completamente, ed affilando l’un con l’altra scimitarra e pugnale

iniziò ad avanzare con studiata e terrorizzante lentezza verso Lusur. «Sono il migliore assassino del Gorgoth!»

*** Il Jagghermann attese che lo Slarèn-Ekàd ebbe finito di sfogare la propria rabbia, dopo

di che, come gli era stato ordinato, lo inseguì. Tralasciando i sottintesi intenti di violenza che Lusur aveva messo nei suoi comandi.

***

Il prossimo punto sulla lista era Goljar. Dalle voci che aveva sentito nei corridoi del palazzo era evidente che ormai era lui ad occuparsi degli affari del ducato, Lord Zurtrumid era troppo occupato ad impazzire per cercarlo. Nelle questioni politiche ed organizzative riguardanti il ducato ovviamente rientrava anche Monte Zagòra e il dispiegamento di forze lì d’istanza, ciò che interessava a Kelvra. Una volta aveva visto gli appartamenti privati del Sìphial-Nòr, e in quell’occasione aveva avuto modo di esaminarli: impenetrabili, una fortezza dentro la fortezza. Confidò nella precisione e nel senso dell’ordine di Goljar e si diresse verso gli uffici che gli spettavano come Visir, sperando di trovare lì i piani di cui aveva bisogno. La sua meta non era molto distante dal corridoio di color ocra lucida in cui arrivò al termine della lunghissima scalinata. Il Signore del Castello stava preparando

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qualcosa di grande e spaventoso: l’attivazione di un Vagherott, per cui tutto quel piano era completamente sgombro da guardie. L’accesso agli uffici del Visir era difeso, come la sala ottagonale delle udienze, da un pesante drappo color ruggine; sicuramente poche creature avevano libero accesso a quella soglia e senza dubbio lui non era fra esse, anzi se avesse toccato le stoffa incantata per entrare probabilmente sarebbe stato ridotto in cenere, se lo sentiva, l’aveva già visto accadere più volte. Kelvra ringraziò di essere stato previdente e slegò dalla cintura il braccio mozzato di Lusur. Mentre scioglieva i sottili ma tenaci nodi che bloccavano l’arto morto si avvide che il Jagghermann era ancora dietro di lui, in fondo al corridoio; lo stava seguendo. Doveva stare in guardia, si trattava pur sempre di una bestia demoniaca, ma quella presenza costante in qualche modo lo sollevava, se non altro perché se qualcuno avesse voluto giungergli alle spalle avrebbe prima dovuto vedersela con il leone abissale deciso a rimanere l’unico cacciatore della sua preda. Kelvra scostò un lembo di tenda con la mano del Maestro Uccisore:

«Entra Lusur – disse una voce familiare e flautata – ma sbrigati devo inviare al più presto questa missiva»

Non era la voce di Goljar, ma del suo braccio destro, Segretario, come pretendeva di essere chiamato, l’orribile Kezàga, che sicuramente era stato avvertito dalle difese della tenda sull’identità dell’intruso. Entrò silenzioso nel grande studio coperto di teli viola; il mobilio era composto per lo più da creature pietrificate in pose di indicibile agonia; l’odore di carta invecchiata e di cuoio lavorato riempiva la stanza, come il fumo delle stoppose candele gialle che colavano sego in almeno un centinaio di punti sparsi nella stanza. Il Segretario era fermo a mezz’aria, sbattendo a velocità inconcepibile le ali da insetto produceva un ronzio assordante; era voltato di spalle intento a redigere scartoffie su una scrivania imbrattata di inchiostro. Non aveva trovato Goljar, ma un’idea che gli si stava formando in mente gli suggeriva che forse era meglio così; affrontare ed uccidere il Visir, a patto di riuscirci, sarebbe stato senza dubbio gratificante, ma mai quanto riservargli lo stesso trattamento che Goljar aveva progettato per lui. Si avvicinò a passi lenti, senza dire una parola estrasse con estrema calma la scimitarra portandola sopra la testa quasi con il braccio dritto. Il fendente si abbatté impietoso: l’ala tagliata in due continuò a muoversi dibattendosi in aria in una macabra parodia di vita ed efficienza, mentre il resto dl corpo cadde rumorosamente sul tappeto lanuginoso, non più sostenuto dal ritmico vibrare delle due membrane trasparenti. Puntando il pugnale a lama ricurva sull’addome sezionato e la scimitarra alla gola del demone dalla forma insettoide gli intimò di tacere. L’intimato acconsentì con un cenno della testa ovoidale producendo un debolissimo gemito ronzante.

«Ora farai qualcosa per me» disse Kelvra mentre faceva alzare il Segretario e lo spingeva verso lo scrittoio.

Lesse rapidamente le carte che vi erano sopra, pur non soffermandosi a lungo su nessun foglio due concetti gli furono chiari al termine dei pochi minuti di studio. Il primo era che la situazione sul Monte Zagòra era di stallo, gli eserciti dei vari ducati avevano già combattuto battaglie sanguinose nelle ultimissime decadi, ma ora si era giunti ad una specie di tregua forzata violata solo da qualche blanda scaramuccia armata. Ma la pace nel Gorgoth è una favola utopica, sarebbe bastata una scintilla per far esplodere il caos e il massacro; una scintilla come… come una missiva da parte di un Visir con l’ordine di attaccare la più vicina postazione avversaria. Il secondo portò all’euforia un Kelvra già compiaciuto del subdolo progetto partorito dalla sua mente: Goljar si stava preparando a spodestare Lord Zurtrumid, anzi, addirittura ad eliminarlo fisicamente. Un gruppo di diavoli congiuratori, tutti piuttosto altolocati e tutti molto potenti, aspettavano solo un segno dal Visir per comparire all’istante in un luogo prefissato del castello per poi attaccare tutti insieme il Gran Duca Abissale (piuttosto saggiamente Goljar aveva omesso di scrivere nomi, luoghi e date anche nei suo appunti privati). Il piano era folle e a prima vista

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irrealizzabile, anche tutti insieme non avrebbero avuto alcuna speranza di sconfiggere il Custode delle Cento Chiavi dell’Agonia, un vassallo diretto degli Undici Arcidemoni Patrono; ma le carte menzionavano un metodo, di cui solo Goljar era a conoscenza, per sottrarre a Lord Zurtrumid gran parte della sua energia. Le condizioni per attivare questo metodo erano ben lontane dal verificarsi, gli scritti parlavano chiaro, ma gli altri congiuranti non lo sapevano ed inoltre erano ansiosi di ricevere il segnale del Visir.

– Sì – pensò Kelvra – È il caso di dimostrare a questi arroganti diavoli megalomani che una gatta frettolosa può mettere al mondo cuccioli ciechi. –

In realtà si stava figurando la scena di un gruppo di sparuti gattini non-vedenti che sfidano la tigre più feroce e grande che si possa immaginare, ferita e affamata per giunta. Il colore predominante nella scena era ovviamente il rosso…

Distratto da questi allettanti pensieri Kelvra si accorse all’ultimissimo istante, ma per sua fortuna appena in tempo, che il Kezàga aveva tirato fuori dal corto grembiule di tessuto nero rinforzato che aveva in dosso una minuscola ampolla di vetro opaco con un tappo di piombo fuso. Un semplice movimento del polso fu sufficiente affinché la punta della scimitarra facesse volare via dalle lunghe dita ossute del sequestrato la fiala, la quale scivolò sul pavimento ruotando su se stessa e fermandosi intatta contro la base di una credenza.

«Che accidenti stavi facendo? Cos’è quella boccetta? Rispondi, ne va della tua vita!» disse a voce alta Kelvra, ansioso a causa del brusco ritorno alla realtà.

«Una pozione di teletrasporto» disse il segretario troppo intimorito per tacere. «E volevi berla per scappare da me, scommetto.» «No… Volevo dartela in cambio della mia libertà.» La spudorata menzogna fece sorridere Kelvra, che però stette al gioco: «Mio buon miserabile segretario, si da il caso che tu possa fare per me molto di più che

darmi un semplice composto magico, che comunque accetterò di buon grado per non offenderti. Hai due lettere da scrivere per me, con il nome del tuo padrone, a chi ti dirò. Dammi solo il tempo di pensare alle parole.»

Il demone insettoide temeva di sapere cosa volesse scrivere lo Slarèn-Ekàd nelle missive, e proprio per questo temeva ancor di più la reazione di Goljar nei suoi confronti. Abituato ad essere un servitore non si chiese se era meglio venir ucciso dalla lama runica dell’uccisore o dal fuoco magico del Visir: fece solo come gli venne comandato. Le lettere furono dettate e scritte in poco tempo, e non appena il segretario le convalidò con il sigillo in ceralacca recante la stemma del Visir si dissolsero per ricomparire nelle mani dei destinatari indicati.

«Bene! – disse Kelvra non appena anche l’ultima missiva fu inviata – ora che abbiamo sbrigato questa piccola formalità veniamo alle cose serie. Dove si trovano i piani per Monte Zagòra? In qualche cassetto? In quell’armadio? O nel vano segreto nascosto dietro l’arazzo? Dove? Parla!»

«Veramente – disse li Kezàga quasi senza voce – si trovano nella sala del consiglio dove si trova adesso Lord Zurtrumid.»

– Maledizione! – pensò Kelvra. Aveva appena spedito un gruppo di sanguinari cospiratori nella stanza dove c’erano le

carte che gli serviva rubare. Il suo calo di morale durò solo pochi attimi, in fondo anche quella situazione poteva andare a suo vantaggio, doveva solo valutare bene i tempi d’azione. Ah, già! C’era prima una faccenda da risolvere.

«Sai – disse rivolto al piccolo demone ma senza guardarlo – ho tutta l’intenzione di lasciarti vivo...»

La speranza invase li Kezàga come può accadere solo in chi abbia scampato di un soffio la morte, malauguratamente la frase di Kelvra non era terminata.

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«Purtroppo non posso! – disse secco, guardando negli occhi il suo interlocutore per gustarsi la sua muta disperazione – Avevo infatti deciso di prendere subito i piani e di sparire, ma dopo la notizia che mi hai dato penso che mi ci vorrà un po’ più di tempo rispetto al previsto. Capirai bene che non posso lasciarmi dietro testimoni scomodi»

***

«Nulla di personale.» Queste furono le ultime parole di senso compiuto e articolate che il Jagghermann sentì

pronunciare da dentro gli studi del Visir. I suoni udibili dopo sembravano provenire dalla bottega di un macellaio. Dalla sua posizione di guardia in fondo al corridoio vide uscire Kelvra con le mani grondanti icore nerastro: sorrideva soddisfatto.

***

L'ultimo a comparire nel sontuoso corridoio di marmo viola fu un Tàlbug-Ròn, la testa da iena cornuta si girò di scatto verso gli altri congiuranti; con una mano umana, separata da una chela affilata fino al gomito per poi diventare tutt'uno fino alla spalla, cercò nel gonnellino di maglia di bronzo il medaglione di riconoscimento che già gli altri diavoli riuniti mostravano sul palmo delle mani: un medaglione recante il simbolo personale di Goljar.

«Salute a te Vildiagh!» A parlare era stato Solit-Iz-Afas, un Orfizie dalla testa di salamandra sormontata da una

testa di condor che faceva sembrare sproporzionato il suo corpo grasso e untuoso. «Gherrena non è potuto venire, ma ha mandato il suo fido Annìllevo a svolgere il suo

compito.» Aggiunse Tazrou-Bal, il Signore dei Wàgthru. I’Annìllevo fece un segno di saluto con la sua massiccia testa di rinoceronte a sei occhi. «Bene! – confermò Vildiagh dopo una breve occhiata – Visto che ci siamo tutti andiamo,

il regno di soprusi del bastardo Zurtrumid sta per finire»

*** Nessuna delle quattro figure in marcia era alta meno di tre metri, ed l’Annìllevo alzava

notevolmente la media. Ognuno di loro trasudava potere e propositi di vendetta: tutti avevano infatti buoni motivi per serbare rancore verso il Lord del castello. Il fratello gemello del Tàlbug-Ròn era stato giustiziato per alto tradimento, e lui stesso esiliato dal ducato e dai suoi possedimenti. Solit-Iz-Afas era un ricco e potente mercante che un giorno aveva chiesto un prezzo, a detta di lord Zurtrumid, troppo alto per un carico di schiavi, per cui era stato umiliato e declassato pubblicamente: gli venne decapitata la testa di babbuino che un tempo svettava orgogliosa sopra quella di condor. Tazrou-Bal invece rivendicava libertà per tutti i Wàgthru, costretti da millenni in quella zona a servire il Gran Diavolo Ober-Slog. Nessuno degli altri invece sapeva le motivazioni che spingevano Gherrena, ma si vociferava che a causa di Lord Zurtrumid non potesse più farsi vedere da nessuno; il Annìllevo senza dubbio sapeva la verità, ma nessuno si azzardò a chiedergliela.

Certi che Goljar avesse adempiuto alla sua parte del patto i congiuranti si muovevano silenziosi ma sicuri di non essere percepiti o visti nel corridoio, guardato sia da un lato che dall'altro da due file di statue blasfeme.

Kelvra li seguiva come un'ombra, non visto. era così vicino al gruppo di enormi Nobili del Gorgoth da sentire il puzzo della loro impazienza. A differenza loro però sapeva la verità, le statue li stavano scrutando ed esaminando, e stavano comunicando tutto a Lord Zurtrumid, che non si sarebbe fatto trovare impreparato. Sapeva anche che lui era nulla al confronto del potere riunito dei quattro congiunti, per cui sperava che la vittima del loro tradimento focalizzasse su di loro la sua attenzione ed i suoi sforzi, ignorando la sua

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celata presenza. Grazie ai medaglioni dati loro da Goljar passarono indenni oltre la tenda magica che

proteggeva la soglia; Kelvra quasi soffocò fra i peli setolosi dell'Orfizie per riuscire a passare contemporaneamente a lui. L'ampia sala piena di trofei di guerra e dalle pareti tappezzate con mappe e piani di battaglia li accolse con la luce malsana di una decina di pali a cui erano legati umani, e altri esseri bipedi, messi al rogo, alcuni erano ancora vivi.

Lord Zurtrumid, seduto su una bassa colonna di teschi, li guardò falsamente sorpreso. «Preparati a morire, infame cane bastardo! – disse Vildiagh puntando in avanti il suo

braccio multiplo. «Chi ha la faccia di una iena non dovrebbe dare del cane ad altri Vildiagh. Non pensavo

che tu fossi così desideroso di raggiungere tuo fratello» ribatté Lord Zurtrumid con un sorriso maligno.

Come se non fosse mai esistita la tenda scomparve lasciando posto al solido muro di pietra: non c'erano più vie d'uscita dalla sala, ne era più possibili trasportarsi lontano con le proprie sole forze.

Il sorriso del Custode delle Cento Chiavi dell'Agonia si trasformò in una tonante risata fragorosa. Poi si alzò avvolto da fiamme infernali, imponente, maestoso e carico di potere come prima di allora.

– Riunite i vostri eserciti, circondatelo, fate in modo che non possa fuggire... e sarà lui ad avervi tutti ai suoi piedi – pensò Kelvra nascosto nell'ombra di un busto commemorativo di dimensioni impressionanti.

Osservava attentamente ogni metro quadro dell'immensa parete priva di spigoli alla ricerca dei fogli che gli servivano, a dire il vero nemmeno lui sapeva esattamente di cosa si trattasse. Forse erano delle mappe, forse dei resoconti scritti, forse degli schemi, non lo sapeva. Si limitava a cercare riferimenti a Monte Zagòra.

Un'esplosione fece tremare la stanza disturbando la sua concentrazione. Senza che Kelvra vi prestasse troppa attenzione il gruppo di congiuranti aveva già cominciato il suo attacco suicida, a cui Lord Zurtrumid aveva risposto scatenando una tempesta di lame d'ombra: migliaia si spade oscure che avevano trafitto e inchiodato al suolo i suoi avversari. L'unico ad evitare questo effetto fu Tazrou-Bal spiccando un balzo verso l'alto e rimanendo sospeso a mezz'aria grazie alle sue ali scagliose.

La prontezza di riflessi e l'esperienza del Signore dei Wàgthru erano ben note a Lord Zurtrumid, che si limitò ad alzare lo sguardo facendo scaturire dagli occhi una sfera infuocata che esplose addosso al diavolo alato.

L'esplosione investì anche numerose carte affisse sulla parete alle spalle di Tazrou-Bal. – Un momento! – Kelvra notò che una delle mappe lambite marginalmente dalle fiamme, e quindi non

molto danneggiata, si riferiva chiaramente ad un rilievo montuoso; e guardando meglio distinse il nome Zagòra.

Il motivo per cui era entrato nel Castello era lì, alla sua portata, attaccato al muro con quattro chiodi di osso; ora dovevo solo riuscire a prenderla senza rimetterci la pelle.

Liberandosi dalle lame che lo imprigionavano a terra, l'Orfizie dalle teste di salamandra e di condor scagliò la sua enorme mole contro in gran Diavolo Ober-Slog avvolto dalle fiamme in una carica furibonda.

Kelvra non aveva intenzione di vedere l'esito dell'impatto: come un gatto in fuga balzò in direzione della mappa prendendola nel centro e strappandola dai suoi supporti ossei. I Grandi Diavoli nella sala, troppo intenti a combattere e troppo superiori a Kelvra di dimensioni si accorsero solo di una sagoma colorata in movimento, ma quando tentarono di focalizzarne meglio la figura per valutare se si trattasse di un alleato o di un nemico, Kelvra aveva già inghiottito il contenuto della fiala presa al segretario Kezàga sparendo nel

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nulla. Solo il Custode delle Cento Chiavi dell'Agonia riuscì a penetrare quella fugace visione,

capendo l'entità di quello che era appena successo. «Kelvra! Non aver timore, giusto il tempo di sbarazzarmi di questi sciocchi irriverenti e

poi mi occuperò di te!» disse il Signore del Castello emettendo un ruggito capace di far intimidire l'eruzione di un vulcano.

***

– Le pendici di Monte Zagòra! Le pendici di Monte Zagòra! – pensava ripetutamente Kelvra mentre il suo corpo veniva scomposto in atomi infinitesimali e smaterializzato per effetto della pozione di teletrasporto.

Quando riaprì gli occhi, verificando così di aver raggiunto la meta desiderata, gli sembrò che il suo stomaco fosse stato ricomposto al contrario e che al posto dei muscoli avesse gelatina. La sensazione di nausea e di stordimento durò solo pochi istanti, sostituita dall'eccitazione per la mappa che ancora stringeva in mano. Cercò un posto dove poter consultare la carta in tranquillità, ma il desolato paesaggio del monte di ossidiana offriva pochi rifugi se non gli scheletrici alberi pietrificati che formavano qui e la piccoli boschetti privi di vita. Alla fine decise per un piccolo anfratto su un costone a strapiombo rialzato di qualche decina di metri rispetto alla base del monte. Dopo poco più di tre quarti d'ora aveva già memorizzato la disposizione di tutti i contingenti militari dei vari ducati ed aveva studiato un percorso sicuro che lo conducesse il più rapidamente possibile al portale, facendo solo una breve sosta nel campo dell'esercito di Lord Zurtrumid; che era uno dei più vicini al passaggio magico. Se voleva giungere in tempo per quando lui stesso, tramite la lettera inviata a nome di Goljar, aveva dato ordine di effettuare l'attacco al campo vicino, doveva muoversi ora. Era fondamentale che i campi più vicini al portale fossero occupati a combattere fra loro, così avrebbe trovato poche guardie a sua difesa anziché interi battaglioni.

Quando uscì dall'anfratto scorse al di sotto dello strapiombo uno spettacolo che per un po' gli fece seriamente disperare di poter uscire vivo da quella vicenda. C'era infatti un gruppo piuttosto nutrito, cinquanta o forse più, di demoni e diavoli; facevano parte dei reparti di guerrieri scelti di Lord Zurtrumid, aveva riconosciuto alcuni di loro anche da quella distanza. A terrorizzarlo era però ciò che stava nel mezzo della strada a diversi metri di distanza dal contingente demoniaco ma chiaramente implicato con loro. Era una gabbia cubica senza sbarre, un'enorme scatola d'acciaio larga e alta cinque volte Kelvra, con le pareti metalliche spesse un metro. Qualcosa stava orribilmente ammaccando la gabbia dall'interno, qualcosa che Kelvra sapeva essere un Vagherott.

Allo Slarèn-Ekàd sembrò quasi di sentire la voce di Velgiu che ai tempi dell'apprendistato nella Casa degli Uccisori gli ripeteva spesso:

«La tattica è semplice. Vedete, ogni Vagherott viene creato appositamente per distruggere il suo bersaglio, ogni volta che viene animato gli se ne specifica uno. Da quel momento in poi cercherà di raggiungerlo puntando direttamente verso di lui, ovunque si trovi, eliminando fisicamente ogni ostacolo che gli si presenti innanzi. Per evitare che quest'arma formidabile si ritorca contro il suo attivatore solitamente viene rinchiusa in una gabbia sufficientemente robusta da consentire il suo spostamento in un luogo sicuro. Di li a poco il Vagherott riesce a sfondare la gabbia iniziando il suo mortale percorso. A seguito del Vagherott viene comunque messo un gruppo di demoni, per eliminare i fastidi minori che potrebbero ritardarlo o distrarlo, per dargli manforte e per ricondurlo al suo attivatore una volta portato a termine il suo compito.»

Se prima agire in fretta era importante ora era questione di vita o di morte; non aveva dubbi infatti: il Vagherott era stato attivato per lui.

Guardando in alto, verso la cima del monte che doveva al più presto raggiungere, vide

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ad una certa distanza da lui, stagliata nitida contro la luminescenza riflessa dall'ossidiana, un'imponente figura leonina, che girandosi e cominciando a correre, sembrò volergli aprire la strada.

***

Kelvra si fermò un attimo a riprendere fiato, sentiva i polmoni scoppiargli dopo tutto quell'alternare corsa e marcia spedita senza mai riposarsi, anche i muscoli delle gambe gli dolevano per lo sforzo che persisteva ormai da quasi mezza giornata. La consapevolezza di essere braccato dal Vagherott gli diede nuova forza per continuare a seguire il Jagghermann, il quale nel frattempo aveva ricominciato a correre a non più di un tiro di freccia da lui.

Fu consolato dal pensiero che secondo la mappa mancava poco al campo dell'esercito di Lord Zurtrumid, ma sapeva che se era riuscito ad arrivare in così poco tempo senza grossi problemi era perchè aveva seguito un percorso ben preciso e studiato; lo stesso percorso che avrebbe seguito il Vagherott seguendo le sue tracce, ciò gli faceva perdere la speranza che potesse essere stato rallentato in qualche modo. Sentiva di avere i minuti contati. Era come se già sentisse il dolore delle sue carni squarciate e dilaniate dalle lunghe e affilate lame ossee della bestia che lo inseguiva. Le spinate e muscolose zampe da aracnide erano infatti capaci di trapassare e di spaccare anche i materiali più duri. Osava solo immaginare come avrebbe ridotto il suo corpo. Una delle armi più efficaci del Vagherott erano la paura e l'angoscia che poteva causare; Kelvra doveva combattere sia l'una che l'altra concentrandosi sul prossimo obbiettivo.

***

Come si aspettava Kelvra vide innanzi a lui iniziare a digradare una conca piuttosto ampia e profonda dalle pareti piuttosto ripide, ad eccezione che in due o tre punti ben difesi da fortificazioni artificiali. La sua precauzione di nascondersi dietro uno dei numerosi massi vetrosi, che circondavano il margine esterno della conca, non fu affatto eccessiva. notò infatti che il campo di Lord Zurtrumid era praticamente inespugnabile: la posizione bassa dava infatti un teorico vantaggio a chi attaccasse dall'alto; annullato però dalla naturale scivolosità della discesa d'alabastro, punteggiata tra l'altro da migliaia di grosse schegge affilate come rasoi. Gli accessi meno proibitivi erano facilmente difendibili anche da poche unità e la naturale cappa d'ombra di nebbia onnipresente forniva una naturale protezione strategica contro eventuali attacchi volanti.

Aveva i minuti contati. non riusciva a togliersi questo pensiero dalla mente mentre attendeva nervosamente che nel campo si destasse qualche segno di movimento. Con lo sguardo intanto osservava la zona circostante: gli sembrò strano che non se ne fosse accorto prima, ma appena oltre il campo militare, da un'ampia spianata nero lucido, si innalzava una vorticosa colonna di luce bianco-azzurra. Eppure era sicuro che prima non vi fosse, come se avesse deciso di mostrarsi soltanto nel momento in cui lui aveva focalizzato l'attenzione su di essa. Non c'erano dubbi, quello era il portale per Mediar. Ora che ci faceva caso, attorno alla spianata rotondeggiante sorgevano avamposti militari più grandi di quelli che aveva passato fino a quel momento su Monte Zagòra, a al loro interno riconobbe le insegne dei Ducati Maggiori del Quinto Livello. Cercò di individuare il presidio verso cui aveva dato l'ordine di attacco a nome di Goljar ai demoni di Zurtrumid.

– Eccolo! Fantastico, degli straccioni... – pensò senza ironia osservando il nutrito gruppo di figure umanoidi che si aggiravano nel piazzale circondato da palizzate – Il loro campo è il più vicino a quello di Lord Zurtrumid ed i Lamashtra sono in numero sufficiente a reggere uno scontro. Se i due campi iniziano a combattere dovrebbero lasciare sguarnita una buona sezione della spianata per il portale, una volta li sarà facile eludere anche le guardie degli altri avamposti ed andarmene –

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Ripeteva fra se queste parole più per rassicurarsi che tutto sarebbe andato bene che per ricordare come andava svolto il piano di fuga.

Per un attimo il suo sangue demoniaco gli si gelò nelle vene. Lo sguardo che rivolse alla lontana figura dalla tunica viola sembrò durare un'eternità. Il torreggiante diavolo dalla faccia d'insetto si muoveva a passi rapidi fra gli edifici temporanei in fondo alla conca oscura e nebbiosa. Dispensava ordini con la sua indistinguibile voce cicaleggiante.

«Goljar...» mormorò sottovoce Kelvra per l'incredulità. Cosa diavolo ci faceva li Goljar? Quando mai si era visto un Visir in un avamposto di

prima linea? Il suo piano andava in frantumi come un calice di cristallo sbattuto per terra. Goljar avrebbe visto l'ordine d'attacco fasullo e l'avrebbe revocato. Ah, e naturalmente

lui sarebbe morto di conseguenza sotto gli attacchi del Vagherott, dato che non aveva più alcuna speranza di attraversare il portale.

Quando vide il Visir entrare nella sua sontuosa tenda decise di agire; comunque fossero andate le cose la situazione poteva solo migliorare.

***

«Salve Goljar» disse Kelvra uscendo da una piega della tenda che lo aveva celato fino a quel momento.

«Salve a te, piccolo e insignificante tagliagole – rispose il Visir voltandosi lentamente verso la nuova figura comparsa nella sua abitazione momentanea – mi chiedevo quando ti saresti deciso ad uscire del tuo nascondiglio»

Era un sottile gioco di minacce che a Kelvra non piaceva, ma a cui doveva sottostare; sapeva perfettamente che Goljar non lo aveva vista finché non aveva deciso di rivelarsi, come invece voleva far intendere l'ultima frase. ma si trovava nella sua tenda, nel suo campo, la verità era un dettaglio secondario.

«Si da il caso che la qui presente nullità abbia appena reciso da un orecchio all'altro le gole delle tue possenti guardie per entrare qui dentro.»

«E a cosa debbo tanto onore?» «Sono venuto ad avvertirti.» Kelvra noto una nota di dubbio negli occhi compositi del Visir, esattamente ciò di cui

aveva bisogno. «Non fraintendermi, al Maniero Raver potevi finirmi, e non l'hai fatto. Sto solo

ricambiando il favore. L'ultima cosa di cui ho bisogno ora è un debito con il diavolo.» Se Goljar apprezzò la battuta non lo diede a vedere certo a vedere, si limitò ad ordinare

con voce seccata: «Parla!» «Per miei motivi personali che non necessitano spiegazioni, problemi potremmo

chiamarli, tengo costantemente d'occhio Castel Zurtrumid, e mi informo su quello che accade al suo interno e nei dintorni.»

Kelvra decise che aveva stuzzicato a sufficienza Goljar nel momento in cui il suo sguardo manifestò il passaggio da curiosità ad impazienza.

«Ho saputo, o forse ho visto di persona, chi può dirlo, che il tuo fedele segretario ha inviato una missiva a tuo nome ai tuoi alleati congiuranti.»

La bocca del Visir accennò una smorfia di preoccupazione. «Si, so tutto del tuo piano per spodestare il Nostro Signore, e da diverso tempo ormai.» Il gioco delle minacce continuava. «Ad ogni modo quegli stolti hanno attaccato un lord Zurtrumid al pieno della sua

potenza, portando in bella mostra medaglioni con il tuo simbolo. Diciamo che Lord Zurtrumid non l'ha presa granché bene.»

Seguì una breve pausa carica di tensione durante la quale Goljar spostò il peso del corpo da un piede all'altro. A Kelvra quasi dispiaceva di non poter leggere nella mente del

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Visir tutte le invettive ed insulti che stava rivolgendo al suo defunto segretario e a se stesso.

«Ha attivato un Vagherott contro di te.» Se Goljar fosse stato un gatto i suoi peli rizzati sarebbero schizzati fino al soffitto. «L'ho visto mentre salivo fin qui, è già in movimento. Se non mi credi prova a

concentrarti, sicuramente puoi sentire che si avvicina.» Il Visir si estraniò un attimo da se stesso, portando la sua coscienza verso lo spettacolo

di assoluta distruzione provocata dal Vagherott lungo la sua strada. Quando ritornò in se, maledicendo il destino che stava disgregando tutto ciò che aveva costruito in secoli di studi, tradimenti e pianificazioni, era solo nella tenda, lo Slarèn-Ekàd se n'era andato.

***

Un avvoltoio chelato osservava dall'alto un piccolo diavolo dagli occhi verdi uscire da una tenda riccamente drappeggiata ed abbandonare insieme ad un leone abissale un campo in subbuglio, dove demoni soldato correvano da una parte all'altra armandosi e preparandosi ad un combattimento epocale. Girando pigramente il lungo collo l'uccello mangia carogne poté vedere a qualche chilometro di distanza una sagoma mostruosa in avvicinamento; non perdeva tempo ad aggirare o scavalcare asperità del terreno o altri ostacoli preferendo frantumarli. La massa in movimento puntava dritta verso la direzione del campo. L'avvoltoio chelato prevedeva un lauto pasto prima della fine del giorno.

***

Kelvra corse fuori dalla tenda di Goljar eludendo la sorveglianza dei Sùldra, per dirigersi verso il campo dei Lamashtra. mentre i suoi piedi calcavano sicuri e rapidi il suolo d'alabastro che separava i due insediamenti militari poteva scorgere in lontananza la polvere provocata dal juggernout di lame e artigli che lo inseguiva. ignorando il panico che saliva puntò diritto verso uno straccione a guardia di un accesso secondario al campo. Non ci fu combattimento, solo una pietosa esecuzione. indossando le vesti lacere della sua vittima si rese indistinguibile da ogni altro Lamashtra. Ora si trattava di aspettare; si mise a girare fra le costruzioni di pietra, fango e legno fossile evitando accuratamente quelle più grandi, li probabilmente si trovavano i diavoli di più alto grado, capaci di scoprire la sua vera identità anche così camuffato. in giro sentiva voci dai soldati che parlavano di una pericolosa mobilitazione di forze nel vicino campo del Granduca Zurtrumid. poi tutti iniziarono a muoversi come colti da frenesia, comandi mentali li spingevano a fare tappo negli accessi, a fortificare barricate, a distribuire armi, a ripassare strategie di combattimento.

– Non c'è dubbio – pensò Kelvra – Hanno visto il Vagherott – Era uno spettacolo che non gli era permesso di godersi. Già il terreno iniziava a tremare

ed lo Slarèn-Ekàd si faceva largo attraverso la nauseabonda marea di straccioni che fluiva verso morte certa rischiando di venir travolto.

Il rumore di carne tritata e urla di agonia divennero la musica di sottofondo della sua fuga. poteva vedere distintamente il Jagghermann sulle lievi alture a ridosso del campo, gli stava indicando la via più rapida e sicura per giungere alla spianata del portale. A questo punto entrava in gioco la fortuna, per quanto avesse pianificato anche i dettagli c'erano troppe variabili, troppe forze in campo di cui valutare le reazioni, troppe cose che potevano andare storte.

Per giungere all'immensa colonna di luce nebulosa che vedeva oltre le dune d'alabastro doveva compiere un'ampia deviazione. E corse, corse a perdifiato.

Non aveva il diavolo alle calcagna, ma qualcosa di cui persino il diavolo ha paura. Si fermò solo un attimo, aveva ormai raggiunto la massiccia arcata che permetteva di

accedere alla spianata. Come sperava non c'erano guardie, voleva dire che il suo piano

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aveva funzionato. Concesse a se stesso un attimo di tregua per guardarsi alle spalle: il Vagherott aveva abbandonato il campo dei Lamashtra nel momento in cui lui aveva deviato la sua corsa, i demoni che facevano da retroguardia continuavano però a combattere contro gli straccioni. il costrutto cacciatore sembrava puntare verso il campo di lord Zurtrumid, in realtà l'avamposto rientrava solo marginalmente nella sua carica mortale.

L'impatto fu comunque violentissimo: il Vagherott, i Sùldra chiusi in difesa, i Lamashtra in carica disperata, tutti avvolti e partecipi nel caos della battaglia, senza formazioni, senza ranghi, senza amici o nemici; solo armi e dolore, uno sfrenato inno al sangue versato, centinaia di metri quadri cosparsi di cadaveri, il puzzo di morte nelle narici.

– Adoro tutto questo – pensò Kelvra. Ma qualcosa non andava. Le forze erano troppo disgregate, falciando chiunque avesse

attorno il Vagherott si stava districando da quel pantano agonizzante; i demoni, ormai in frenesia convulsa, bramavano solo la vita degli avversari, non curandosi più di un nemico imbattibile che non si curava di loro.

Un ruggito sommesso del Jagghermann lo riportò alla realtà: lo separava dal portale poco più di mezzo chilometro, non gli rimaneva che correre.

Mentre ansimava per fare un passo dopo l'altro il più velocemente possibile si accorse di star ripensando a tutto ciò che lo aveva condotto fino a quel punto. non solo gli avvenimenti concitati delle ultime decadi, ma tutta la sua vita; la cerimonia di nascita, l'addestramento nella Casa degli Uccisori, i primi omicidi, le continue gare con Lusur... non aveva alcun rimpianto. Ma ora che stava correndo verso la sua salvezza, verso un luogo lontano dal Gorgoth un rimorso lo aveva: tutto ciò che vedeva.

monte Zagòra non era il rilievo più alto del Quinto Livello, eppure a Kelvra sembrò di poter guardare tutto il Gorgoth; oltre il nero lucido dell'ossidiana che componeva il monte c'erano sterminati deserti di polvere rossa e sabbia grigia, l'orizzonte contornato da vulcani in perenne eruzione, i cui fumi venefici formavano nubi che oscuravano la luminescenza rossa del cielo plumbeo. Li in alto si libravano draghi e serpenti alati dalle scaglie d'ottone e stormi di manticore ruggivano contro i fulmini che si abbattevano incessanti su tutto il paesaggio. Illuminati dai bagliori delle saette centinaia di città fortificate gridavano la loro caotica presenza allo spettatore, poco più che puntini nella sterminata desolazione.

Il Gorgoth era l'unico luogo in cui avesse mai vissuto; violenza, soprusi, menzogne e aberrazioni erano state la linfa da cui era nato e che lo aveva nutrito. Non poteva concepire un mondo diverso.

Un assassino che aveva sconfitto migliaia di avversari, che un'infinità di volte si era trovato in situazioni critiche e disperate da cui era sempre uscito vincitore. Ora aveva paura di abbandonare la propria casa.

«La Paura...» disse fra se Kelvra sorridendo al pensiero di un nemico che non poteva uccidere.

Un rumore roboante lo distolse dai suoi pensieri, era come se intere mandrie di bisonti stessero correndo alle sue spalle. I tremiti del terreno gli rinfrescarono il concetto che dietro di lui lo stava inseguendo un terrore incarnato ben più attanagliante della malinconia: il Vagherott, al pari della paura, era un nemico che non poteva sperare di uccidere.

«E' troppo veloce! Dannazione, è troppo veloce!» malediceva Kelvra a denti stretti. Aveva percorso appena metà della strada che lo divideva dal portale, e il suo incubo

peggiore era troppo vicino, troppo veloce. In quel momento invidiò profondamente il Jagghermann che faceva strada davanti a lui,

stava frenando la sua corsa per non lasciarlo in dietro, probabilmente era più rapido anche del Vagherott.

Il terreno tremava sempre più forte e Kelvra sentiva chiari i rumori di lame ossee sulla

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pietra, di muscoli che si tendono per lo sforzo, di mille gole ansimanti e altrettante fauci serrate e digrignanti.

Poche decine di metri alla colonna di luce, ma comunque troppe, inevitabilmente sarebbe stato raggiunto.

Continuando a correre estrasse le armi runiche; preferiva voltarsi e combattere, pur senza speranza, che venir dilaniato alle spalle cercando di fuggire.

Il Jagghermann si fermò improvvisamente e voltandosi con uno scatto gli corse in contro solo per passargli sopra la testa con un balzo dopo pochi passi.

– Si è buttato contro il Vagherott – pensò Kelvra – Inconcepibile... è andato a farsi massacrare, per farmi guadagnare pochi istanti... –

Istanti preziosi che non avrebbe sprecato. – Io ho ucciso Lusur ridandogli la libertà, sta solamente saldando il debito – si sforzò di

pensare Kelvra. Il suono di fauci d'osso che lacerano la carne però rivelava nel suo profondo che

nessun debito dovuto vale tanto per un demone, ma la fedeltà e la riconoscenza si per una bestia abissale.

Già la luminescenza della titanica colonna transdimensionale lo avvolgeva facendolo sentire leggero e inconsistente, quando vide il fiero leone del Gorgoth affiancarglisi, ferito in più punti ma determinato a seguirlo nel portale; la criniera fiammeggiante non riusciva a nascondere l'orribile ferita aperta e sanguinante che divideva in due il volto della fiera demoniaca con una linea verticale.

Ognuno dei due aveva perso ciò che era, e sacrificato ogni cosa guadagnata fino a quel momento per avere la possibilità di scegliere.

***

Su un piccolo monte di ossidiana in una regione del Quinto Livello del Gorgoth uno Slarèn-Ekàd e un Jagghermann attraversarono una porta che conduceva in un mondo che non era il loro.

– Fine