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ORME SULLA SABBIA, IMPRONTE DIGITALI, CUORI INCISI SULLA PELLE DEGLI ALBERI, RETI DI GRAFFITI SUI MURI DI UNA CELLA, RUGHE E CICATRICI IN CUI SI RIASSUME UNA VITA, TACCHE SU UN BASTONE, NODI AL FAZZOLETTO, TATUAGGI COME ARCHIVI O PEDIGREE, SEGNI DI QUALCOSA CHE È ACCADUTO O STAVA PER ACCADERE, ANCHE PERSE PER SEMPRE QUESTE TRACCE CONTINUANO FORSE A PESARE CON TUTTA LA LORO ESILITÀ SULL’INANITÀ DEL NULLA. Michel Leiris, ‘Fissures’ Primapersona pubblica testi autobiografici inediti, tracce consegnate in Archivio da “gente comune”, e le accompagna con le riflessioni di chi, antropologo o storico, sociologo o linguista, filosofo o letterato, è persuaso che la scrittura autobiografica sia un gesto da interrogare. Questa pubblicazione riprende il contenuto del numero 28 di marzo 2014 di Primapersona, semestrale della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale - Onlus Pieve Santo Stefano (Ar)

ORME SULLA SABBIA, IMPRONTE DIGITALI, CUORI INCISI … · Il progetto “I sentieri delle anime ... Cento anni dopo, un viaggio nella storia d’Italia e d’Europa NICOLA ZINGARETTI

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ORME SULLA SABBIA,IMPRONTE DIGITALI,CUORI INCISI SULLA PELLE DEGLI ALBERI,RETI DI GRAFFITI SUI MURI DI UNA CELLA,RUGHE E CICATRICIIN CUI SI RIASSUME UNA VITA,TACCHE SU UN BASTONE,NODI AL FAZZOLETTO,TATUAGGICOME ARCHIVI O PEDIGREE,SEGNI DI QUALCOSA CHE È ACCADUTOO STAVA PER ACCADERE,ANCHE PERSE PER SEMPREQUESTE TRACCECONTINUANO FORSE A PESARECON TUTTA LA LORO ESILITÀSULL’INANITÀ DEL NULLA.

Michel Leiris, ‘Fissures’

Primapersona pubblica testi autobiografici inediti,tracce consegnate in Archivio da “gente comune”,e le accompagna con le riflessioni di chi,antropologo o storico, sociologo o linguista, filosofoo letterato, è persuaso che la scrittura autobiografica sia un gesto da interrogare.

Questa pubblicazione riprende il contenuto del numero 28 di marzo 2014 di Primapersona, semestraledella Fondazione Archivio Diaristico Nazionale - OnlusPieve Santo Stefano (Ar)

© Fondazione Archivio DiaristicoNazionale - onlusPiazza Plinio Pellegrini, 152036 Pieve Santo Stefano (AR)Tel. 0575 797730 - 0575 797731Fax 0575 [email protected]

© FORUMEditrice Universitaria Udinese srlVia Palladio, 8 – 33100 UdineTel. 0432 26001 / Fax 0432 [email protected]

In copertinaFoto di Luigi Coeta conservata presso laFondazione Archivio Diaristico Nazionale

Le citazioni tratte dai diari e dalle memorie riproducono integralmente il testo di riferi-mento: eventuali disgrafie e/o alterazioni delle corrette strutture sintattiche sono fedeli all’originale.

Hanno collaborato al volume:Anna Iuso, Silvia Bragagni, Antonella Brandizzi, Daniela Brighigni,Luigi Burroni, Francesco Della Costa,Patrizia Dindelli, Natalia Cangi, Alessio Catalini, Michelangelo Ciminale,Fulvio Cozza, Matteo Gallo, Gabriella Giannini, Irene Napoli,Riccardo Pieracci, Tiziana Nocentini,Simona Simone.

Photo editor: Daniele Cinciripini

Graphic design: cdm associati, UdineImpaginazione: Grafikesse, Tricesimo (UD)Stampa: Poligrafiche San Marco,Cormons (GO)

FONDAZIONE

L’ALFABETO DELLA GUERRA1915-2015. Cento anni dopo

7 1915-2015. Cento anni dopo, un viaggionella storia d’Italia e d’EuropaNicola Zingaretti

9 La memoria degli italiani. L’Archivio dei diari di Pieve Santo StefanoCamillo Brezzi

11 Q come guerraAnna Iuso

A15 Addestramento

Giuseppe Trentini

16 AddioGiuseppe Manetti

17 AlpiniIsidoro Primus

20 AmiciziaGiovanni Presti

21 AmoreVincenzo Farina

22 ArruolamentoRodolfo Frigeri

23 AustriaciUbaldo Baldinotti

B

24 BainsizzaAntonio De Maria

25 BersaglieriAnnibale Calderale

26 BiciclettaLudovico Caprara

27 BombardamentoErcole Vari

C30 Campi di

concentramentoFrancesco Isola

31 CaporettoRocco Egidio DeBonis

32 CarsoAlfonso Onofrii

33 CensuraAchille Salvatore Fontana

34 CiviliIsabella Bigontina

35 CrocerossineElisabetta Berti

D38 Disertore

Francesco Marchio

39 DisfattaGiuseppe Manetti

40 DisordineDomenico Bacci

41 DonneJone Leporini

E42 Edelweiss

Efisio Atzori

43 EroiGastone Bassi

44 EsperienzaAntonio Santo Quintino Preite

F45 Fame

Alfonso Lucarini

46 FangoLuigi Merlini

47 FedeSisto Monti Buzzetti

48 FeritiImerio Vincenzo Gherlinzoni

49 FortunaPriamo Ferrini

52 FotografiaFrancesco Tiscornia

53 FucilazionePaolo Ciotti

54 FugaDonato Vinci

G55 Generali

Giuseppe Mimmi

56 GiovinezzaSalvatore Pisanello

H57 Honved

Anonimo

I60 Ideale

Eugenio Anzilotti

61 IroniaAlessandro Vecchiotti

62 IrredentismoElisa Seppenhofer

63 IsonzoAntonio Ferrara

L64 Lavori forzati

Giuseppe Battistel

65 LetteraPaolo Capecchi

66 Libertà Francesco Isola

67 LicenzaPaolo Cassa

68 LogoramentoPasquale Gagliani

M69 Madre

Filiberto Boccacci

70 MorteFrancesco Ferruccio Zattini

71 MuloGiuseppe Carruba Toscano

N74 Natale

Giuseppe Orobello

75 NemicoGiuseppe Cordano

76 NeveGiuseppe Lucarelli

77 NobildonnaAmalia Sola

80 NostalgiaRenzo Re

81 NotteAgostino Tambuscio

O82 Odio

Giovanbattista Garattini

83 OffensivaGiuseppe Garzoni

86 OrrorePaolo Bielloni

87 OspedaleAmbrogio Ryllo

P88 Pacchi

Costantino Giordano

89 PadreRenato Rossi

92 PatriaLuigi Marziano

93 PauraDuilio Faustinelli

94 PiaveGiovanni Bertoli

95 PidocchiMariano Gigli

Q96 Querra

Vincenzo Rabito

97 QuotaAzaria Tedeschi

R98 Rancio

Eugenio Lavatori

99 RetrovieGiuseppe Tiburni

100 RiposoAgostino Tambuscio

101 RitirataMario Bosisio

102 RitornoCarlo Thau

103 RuberieUgo Mario Venturelli

S104 Sacrificio

Arturo Busto

105 ScheggeCesare Ermanno Bertini

106 SfollamentoMaria Brunetta

107 ShrapnelGiuseppe Rondoni

T108 Telegrafo

Danilo Gracci

109 TradimentoAnonimo

112 TrinceaMario Ginelli

U113 Uccidere

Giuseppe Russo

114 UfficialeBruno Palamenghi

V115 Vallata

Piero Rosa

116 VittoriaLuigi Braga

117 Vittorio VenetoRaul Baccini

118 VolontarioOliviero Sandri

Z119 Zaino

Emilio Cioli

Fortino italiano di cresta su cima Tognola nei pressi diPasso Rolle (Tn).

Il progetto “I sentieri delle anime” è una ricerca diCarlo Sette sugli avvenimenti e sui territori interessatidalla “guerra di mina” in alta quota, una particolare at-tività bellica della Prima guerra mondiale che consi-steva nello scavare gallerie al di sotto delle postazioninemiche per poi farle esplodere. Il lavoro interpreta,attraverso i segni rimasti, quanto avvenne sulle som-mità del Pasubio, quando l’esplosione di una mina de-vastante sgretolò il Dente Italiano uccidendo diversiufficiali. La morfologia dei due Denti fu profondamentemodificata e ancor oggi le ferite inferte dalle mine nonsono state dal tempo e dalla natura ricucite.

© CARLO SETTE

Reginaldo Binni - Archivio Daniele CinciripiniLanciabombe e serventi con maschera antigas al fronte sul Col di Lana (Bl)

Otello Ferri - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleManovre militari sul fronte carsico.

1915-2015. CENTOANNI DOPO ¬ 7

1915-2015Cento anni dopo, un viaggio nella storiad’Italia e d’EuropaNICOLA ZINGARETTIPresidente della Regione Lazio

La Regione Lazio è impegnata in tantiprogetti volti alla valorizzazione della sto-ria e nostra memoria. È un impegno checonsideriamo parte integrante del nostrolavoro quotidiano; perché governare unterritorio, lavorare per la sua modernizza-zione e il suo rilancio economico e socialenon è cosa diversa o separata dal cercaredi renderlo un luogo in cui tutti possanosentirsi cittadini consapevoli.Questa scelta assume una valenza tuttaparticolare in occasione delle celebrazionidel centenario dell’entrata in guerradell’Italia nel primo conflitto mondiale.Tra il 1914 e il 1918 il mondo è scosso dalpiù grande conflitto mai prodotto fino al-lora nella storia dell’umanità.Prende avvio, in quegli anni, quella chealcuni storici hanno definito come unalunga ‘guerra civile europea’, destinata adividere non solo gli eserciti, ma i popoli ele nazioni per oltre un trentennio, lascian-do un’impronta indelebile su tutto il XXsecolo.In quattro anni, sono oltre sessanta milio-ni gli uomini inviati al fronte; circa diecimilioni i morti; quasi il doppio i feriti. Ma la guerra non si combatte solo nelleprime linee: il conflitto arriva, anche se in-direttamente, nelle retrovie, modificandoabitudini, comportamenti, stili di vita –addirittura rapporti di genere – primaconsolidati.Dopo la Grande Guerra, la società, la poli-

tica, la cultura e i rapporti tra gli individuie gli stati in Europa non saranno più glistessi. Oggi, cento anni dopo quegli avve-nimenti, abbiamo la fortuna di vivere inun’Europa profondamente diversa, in cuinon solo la collaborazione pacifica e de-mocratica tra gli Stati è diventata lo stru-mento ordinario e naturale delle relazioniinternazionali, ma la stessa identità deisingoli paesi è sempre più collegata allaconsapevolezza di una più ampia cittadi-nanza e coscienza europea.Anche qui sta la complessità del XX seco-lo: mai come in Europa si sparse tantosangue come durante la prima metà delNovecento; allo stesso tempo, mai comenella seconda metà del XX secolo l’Europariuscì a costruire le basi di un futuro piùunito e solidale.La Regione Lazio per la sua naturale pre-disposizione geografica e culturale, e nelpieno spirito del processo di costruzioneeuropeo, vuole assumere sempre più lafunzione di ponte tra Europa eMediterraneo, per valorizzare gli incontritra culture differenti, senza rinnegare oreprimere le diversità, ma valorizzando imomenti di confronto e di collaborazionereciproca. Ricordare dunque gli eventi di quegli annisignifica andare alle radici della nostrastoria di cittadini europei; significa cerca-re di capire la complessità di quel periodostorico, per non dimenticare le milioni di

vite perse e perché gli errori che in queglianni portarono a due conflitti mondialinon si possano più ripetere. Per un’Europa, dunque, sempre più unitae democratica, in cui fare crescere le ge-nerazioni future.La pubblicazione dell’Alfabeto della guer-ra e la collaborazione che in questa occa-sione abbiamo realizzato con la Fon da -zione Archivio Diaristico Nazionale diPieve Santo Stefano – un’esperienza uni-ca in Italia –, rappresenta una grande oc-casione per comprendere le nostre radicie il vissuto di milioni di italiani nel volgeredi uno dei passaggi più significativi deinostri tempi.Uno strumento che vogliamo utilizzareper consentire ai giovani e agli studentidelle nostre scuole di scoprire come tantedelle cose della realtà in cui viviamo oggisiano il frutto di un lungo e articolato per-corso. In questo senso, la conoscenza delpassato è un tassello indispensabile diquel mosaico di idee e pensieri di cui dob-biamo dotarci per affrontare adeguata-mente le grandi sfide che abbiamo difronte.Tutto ciò affinché la memoria delle grandiconquiste economiche, sociali, politicheottenute nel corso dei decenni passatipossa fondersi con la ricerca delle solu-zioni ai problemi di oggi e di domani. Perguardare insieme, con maggiore serenità,al nostro futuro.

© NAZZARENO BERTON E SERGIO CARLESSO

Uno degli ingressi ai locali della batteria sul monteRasta (a Camporovere di Roana), cima strategicadella Grande Guerra.

LA MEMORIA DEGLI ITALIANI ¬ 9

La memoria degli italiani.L’Archivio dei diari di Pieve Santo StefanoCAMILLO BREZZIDirettore scientifico dell’Archivio diaristico

1. Sono passati più di trent’anni da quandoun giornalista, scrittore, ‘curioso’ intellet-tuale, viaggiatore, conoscitore di diversipaesi e di popolazioni, come Saverio Tutinopropose agli amministratori di un paesinodella Valtiberina, in provincia di Arezzo, dicreare un luogo che conservasse le memo-rie scritte della ‘gente comune’. Tutte le me-morie, colte e semicolte, prodotte da donnee uomini di diverse appartenenze culturalie politiche: nobiluomini o contadini, operaie industriali, partigiani e repubblicani diSalò, emigranti e viaggiatori, precari e cer-velli in fuga…Da questa originale e fantasiosa sollecita-zione nasce l’Archivio diaristico nazionale aPieve Santo Stefano.A partire dal 1984, Saverio Tutino, coadiu-vato da una motivata équipe, inizia a racco-gliere diari, memorie, epistolari della ‘gentecomune’, di coloro che abitualmente hannouna ‘vita normale’ o comunemente consi-derata tale. Tra gli obiettivi iniziali c’è quellodi costruire un patrimonio collettivo di me-morie. Oggi l’Archivio rappresenta una delleiniziative più interessanti a livello nazionalee costituisce un modello anche per altricentri analoghi in Europa. Il fondo com-prende oltre 7.000 storie tra diari, memorie,autobiografie, epistolari, che abbraccianoun ampio arco cronologico: dai manoscrittidell’Ottocento ai più recenti scambi e-mail.Chi invia una memoria, una raccolta dilettere, un’agenda consegna nelle manidell’Archivio un pezzo della sua vita oquello di una persona cara. Lo affida ad al-tri, affinché venga conservato, letto, dive-nendo in tal modo utile a qualcuno. Stando

al disegno di Tutino, i diari giunti all’Archivionell’arco dell’anno sono esaminati da unaCommissione di lettura che sceglie gli ottofinalisti. I testi prescelti vengono letti dauna Commissione nazionale che ‘premia’un diario e ne garantisce la pubblicazione. Con il passare degli anni, l’appuntamentodi settembre si è andato arricchendo e lamanifestazione – le ‘Memorie in piazza’ –vede una più ampia articolazione tanto dasembrare un vero ‘festival della memoria’. Ilpremio Pieve dal 2012 ha preso il nome delsuo fondatore, Saverio Tutino deceduto nelnovembre 2011 all’età di 88 anni.Al centro dell’attenzione della commissionedi lettura, dei giurati, dei numerosi (semprepiù numerosi) spettatori-partecipanti allegiornate del premio Pieve, dei lettori, ci so-no i diaristi. Le giornate di settembre, nellevarie piazzette di Pieve, vedono gli incontrifra chi scrive e racconta di sé e chi legge eascolta.L’Archivio diaristico non è solo un luogo incui la memoria è conservata. È il posto incui i ricordi e le narrazioni di sé parlano aglialtri; un monumento nazionale della me-moria che accoglie studiosi e cultori; dove idiari possono prendere la forma di libri,film e spettacoli teatrali. Si potrebbe quasidire che ogni diario, memoria, epistolario,giunto in questo paesino della Toscana, ol-tre a raccontare ‘le storie’ ha una propria‘storia’ che lo contraddistingue. Alcuni diquesti diari sono diventati rappresentatividell’Archivio, dei veri ‘simboli’.È il caso del lenzuolo di Clelia Marchi, unacontadina di Poggio Rusco che, dopo lamorte del marito, la sera scrive, riempie fo-

gli e poi li cuce insieme. Una notte non hapiù carta, allora, prende un lenzuolo (unpezzo del corredo matrimoniale d’altri tem-pi), sul quale non potrà più giacere con l’a-mato Anteo, e comincia a raccontare ladrammaticità di una vita quotidiana nellacampagna mantovana. Scrive di sé, dellasua famiglia, di Anteo, ma anche della suaterra, della sua gente … e in cima al lenzuo-lo appone un titolo: Gnanca na busia(Neppure una bugia). Clelia «rielaborava laperdita facendo della custodia della memo-ria e della scrittura due strumenti di con -forto e di riflessione» (Patrizia Gabrielli,Tagebücher, Erinnerungen, Autobiografien.Selbstzeugnisse von Frauen im ArchivioDiaristico Nazionale in Pieve SantoStefano, in «L’Homme. Z.F.G.», n. 2, 2004,pp. 345-352).Quale emozione guardare e leggere i fo-glietti scritti, nel carcere di via Tasso, aRoma, nei primi mesi del 1944 durante l’oc-cupazione nazista, da Orlando OrlandiPosti, un ragazzo che partecipa allaResistenza, e che da quel carcere, sfidandole severe regole della prigionia nazista, in-via alla madre dei bigliettini accuratamentecelati nei colletti delle camice da lavare! Iltentativo estremo di colmare il vuoto dellasolitudine, di alleviare il dolore procuratodalla rottura drastica dei vincoli affettivi.Dieci giorni dopo il suo diciottesimo com-pleanno, il 24 marzo 1944, Orlando, insiemead altri 334 prigionieri, sarà ucciso alleFosse Ardeatine.Anche il viaggio dei sette quaderni diVincenzo Rabito, cantoniere siciliano, ‘ra-gazzo del ’99’, ‘inalfabeta’, è una storia nella

10 ¬ LA MEMORIA DEGLI ITALIANI

storia. Paragonato a un Gattopardo ‘popo-lare’, la Giuria del 2000 premiandolo lo de-finì «il capolavoro che non leggerete» (datala sua mole). Alla fine di una ‘sfida esagera-ta’ il dattiloscritto divenne nel marzo 2007un volume Einaudi (sia pure non integrale)con il titolo Terra matta, ribaltando così laprovocazione della giuria e affermandosicome un caso letterario. Tutto quello che sicerca normalmente in una scrittura del séin Terra matta è presente. Il diario di Rabitonon è ‘solo’ la storia di un secolo o di unaterra o di un uomo, oggi è anche un librocostruito con involontaria sapienza narrati-va da una persona che ha preso la quintaelementare in dieci giorni, perché la licenzagli serviva per trovare lavoro.Tra gli altri simboli dell’Archivio, anche ildiario di una settantenne, Ida Nencioni, af-fetta da gravi turbe psichiche. Ida annotacon sconvolgente purezza i piccoli eventiquotidiani che si svolgono nelle case popo-lari di Milano e nel corso delle sue degenzenei manicomi: una testimonianza aspra sulcalvario cui erano sottoposti i ‘malati dimente’. Dopo l’approvazione della legge 180Ida è seguita a domicilio dal Centro di igie-ne mentale di Sansepolcro e, chiusa nellasua «casa scatolino», scrive le proprie me-morie d’infanzia, continuando ad appunta-re la sua vita su fogli finissimi di calenda-rio, quelli che si staccano uno ad uno con inumeri grandi rossi al centro. Scrive tutto,Ida, nel suo «diario nero», scrive la sua ve-rità di donna colta, informata, strana, ec-centrica, additata in paese come ‘matta’.2. Oggi chi raggiunge il piccolo centro dellaValtiberina si trova nello spazio unico edaffascinante, nel Piccolo museo del diario,allestito presso il Palazzo Pretorio nel cuo-re di Pieve Santo Stefano. Non si può rac-contare tutto quello che l’Archivio ha realiz-zato, né tutte le storie che ospita, ma grazieal progetto di interaction design elaboratodallo studio dotdotdot, il Piccolo museo deldiario offre il ‘significato’, la suggestione delluogo archivio e mette in scena alcune dellesue storie simbolo. Dal dicembre 2013, da-ta dell’inaugurazione, entrando nel museole prime due sale sono dedicate all’Archivio,un omaggio alle sue anime, un vivaio di me-morie, confessioni, segreti nascosti in scaf-fali e cassetti pronti per essere svelati: ungrande archivio per diverse tipologie di pa-gine, tracce e testimonianze di vite perso-nali. A ridosso delle pareti delle sale è stata

infatti riprodotta una parete archivio di le-gno composta di ante e cassetti, sulla cuisuperficie videoproiezioni dinamiche ripro-ducono i fogli dei diari. Basta avvicinarsi aduno dei cassetti, estrarlo e ci si trova difronte a schermi digitali e alle pagine di al-cuni diari originali: è così possibile leggeremolte delle numerose storie custodite aPieve o ascoltarle grazie ad una voce nar-rante. Le altre due sale sono dedicate aVincenzo Rabito e al Lenzuolo di CleliaMarchi.In questi trent’anni sono ormai numerosi itesti letti, esaminati, studiati da storici, an-tropologi, letterati. È questo uno degliobiettivi con il quale (negli ultimi tempi)l’Archivio si misura maggiormente: confron-tarsi e collegarsi con il mondo della ricerca,con le università nell’intento di porre i diarinel quadro del rinnovato dibattito scientifi-co che attraversa le diverse discipline; difar conoscere ad un pubblico più vasto,grazie all’impegno di sempre più apprezzatistudiosi, le tante storie conservate negliscaffali di Pieve; di consolidare la memoriaindividuale e collettiva e destare allarme ri-spetto ai rischi di una politica dell’oblio. Perquesto, sin dalle origini, l’Archivio ha avviatoun’intensa attività editoriale che ha coin-volto diverse case editrici e dato vita a varie‘collane’. In occasione del trentennale dell’Archivio, ciè parso significativo collegarci ad un altroanniversario assai più importante, il cente-nario della Grande Guerra. L’arco temporaleche va dal 2014 al 2018 offrirà un’occasio-ne irripetibile per riflettere e confrontarsisull’enorme dramma che ha coinvolto inte-re generazioni di cittadine e cittadini euro-pei, militari e civili, di tutte le nazioni chehanno preso parte alle ostilità. In questosecolo, la storia, la letteratura, il cinemahanno rappresentato in più occasioni que-sto grande evento.L’Archivio dei Diari vuole fortemente parte-cipare a questo momento di riflessione congli strumenti originali che in trent’anni diattività è riuscito a costruire, mettendo,quindi, a disposizione non solo degli stu-diosi ma di un più ampio pubblico, la suaparticolare e ricca documentazione, più ditrecento fra diari, memorie, agende, episto-lari di soldati e ufficiali. Si è pensato, quin-di, di dare vita al progetto Dalla trincea aidiari, in modo da divulgare aspetti ineditidell’esperienza bellica e mettere a disposi-

zione forme di comunicazione innovative ealternative.Nelle varie parti che compongono questoprogetto, abbiamo prioritariamente avviatola digitalizzazione del fondo Grande Guerrain formato scansione e fotografico (que-st’ultimo destinato ai manoscritti autografi)per poter consentire ricerche e visualizza-zione di diari e memorie relative al periodo1914-1918. Abbiamo dato vita, inoltre, aduna innovativa collaborazione tra l’Archivioe il Gruppo de «L’Espresso» costituendo undatabase con brani inediti dei diari. È statopubblicato il volume di un giovane studio-so, Nicola Maranesi, il quale – utilizzandocome fonte i diari di Pieve – racconta laguerra di trincea attraverso le tappe delpercorso emotivo, gli stati d’animo di chi havissuto mesi, anni sul fronte bellico (Avantisempre. Emozioni e ricordi della guerra ditrincea, 1915-1918, prefazione di AntonioGibelli, il Mulino, 2014). L’Archivio ha pro-dotto, infine, lo spettacolo teatrale di MarioPerrotta, una delle figure di spicco del tea-tro italiano, Milite Ignoto quindicidiciotto, alfine di coinvolgere un pubblico anche dinon esperti e, in particolare, le Scuole.La collaborazione con la Regione Lazio, conla pubblicazione dell’Alfabeto della guerra,è un’occasione per sollecitare l’interesseverso la memoria della Grande Guerra at-traverso la ‘letteratura popolare’, vale a diregrazie alla lettura di documenti vivi, elo-quenti, che continuano a rivelare risvoltiinediti dell’esperienza bellica e che hannoispirato un’indagine che si snoda tra leemozioni e le sensazioni dei soldati e degliufficiali dal momento del loro arrivo in pri-ma linea a quello, per chi l’ha potuto vivere,del ritorno a casa.Nello stesso tempo, con questa documen-tazione, si ha la possibilità di approfondireuna guerra di cento anni fa che ha segnatouno spartiacque nella storia del nostroPaese e in Europa. Soprattutto sarà un mo-do per conoscere i nostri antenati, milioni dicombattenti, molti dei quali non tornaronoalle loro case e alle loro famiglie. Quelli cheebbero la fortuna di ricongiungersi ai propricari, certamente erano cambiati, trasfor-mati. L’itinerario che proponiamo consentedi essere al fianco di quei soldati e nellostesso tempo suggerisce riflessioni profon-de sul presente, sulla reale portata dei pro-blemi individuali e collettivi che investono ilnostro tempo e le nuove generazioni.

Dicono gli specialisti del settore chequando un’esperienza è troppo forte, trop-po dolorosa, non si riesce a raccontarla.Che non ci sono parole per il dolore. DaAlphonse Daudet in poi, sappiamo che peril dolore fisico è così. E però si dice ancheche raccontare il dolore aiuti a lenirlo, asopportarlo, o perlomeno a conviverci.Così anche per i traumi: i disordini dastress post traumatico hanno, fra le tantedifficoltà, quella della parola: con qualiparole raccontare l’orrore che si è vissuto? Per noi, cha abbiamo la fortuna di nonaver mai vissuto una guerra, costruirequesto numero non è stato facile.Volevamo, ovviamente, rendere omaggio aimilioni di ragazzi (e non solo) che hannoaffrontato la Prima guerra mondiale, maabbiamo subito capito che sarebbe stataun’operazione diversa da quella degli altrinumeri. Privilegiare alcuni temi e alcunepersone implicava una conoscenza diquesta guerra che di fatto ancora non esi-ste. Perché, e questi diari lo dimostranobene, non è stata ancora sufficientemen-te raccontata dall’interno, dai suoi veriprotagonisti.La guerra dei milioni – milioni di morti,milioni di soldati, milioni di feriti, di perdi-te, di lettere… – poteva essere raccontatasolo dai soldati stessi, in un’operazionecorale da noi mai tentata prima. Tutto ilnumero è stato dedicato agli attori di que-sta lunga, dolorosa e sconvolgente espe-rienza, eppure anche così è stato difficilescegliere: quali dei diari presenti in

Archivio avrebbe avuto l’onore e la respon-sabilità di raccontarci la Grande Guerra?E partendo da quali argomenti? Insommaquali erano le “parole chiave” del grandeconflitto? Da questa domanda è cominciata la piùinteressante storia delle preparazioni dinumero della nostra redazione, piccolastoria che merita di essere narrata.L’idea dell’alfabeto è sorta in manieraabbastanza fulminea: un evento così per-vasivo come la guerra sicuramente inve-ste tutti i campi dell’esperienza, dunqueun po’ tutto il dicibile, dunque tutto l’alfa-beto. L’operazione immaginata, e da noiredazione realizzata, è stata la seguente:se ci fossimo trovati con un – folto – grup-po di soldati e avessimo detto “A come… ?”,cosa avrebbero risposto? La nostra redazione, composta per lastragrande maggioranza di giovani, hacercato di immedesimarsi con questi coe-tanei di cento anni fa, dando delle rispo-ste che poi avremmo “verificato” nei diari,per capire se quelle parole fossero vera-mente fra quelle utilizzate per raccontareil conflitto, e quindi se fossero idee, con-cetti, esperienze vissute dai nostri soldati.Per esempio, per la lettera A siamo andatidall’ovvia e onnicomprensiva parolaAmore (sì, ma che tipo di amore: coniuga-le, per i figli, i genitori, gli amici, o amoreuniversale?...) alla parola Abulia (sì, di cer-to l’abulia c’era, ma la raccontavano conquesto termine?). Esemplare sarà il per-corso seguito per la lettera S. Era stato

proposto, fra le altre cose, un inatteso “Seimilioni di morti”. Era una sorta di provoca-zione, che ci dice cosa resta nei giovanid’oggi di questa guerra: il ricordo dei mor-ti, giovani, sterminati. Una proposta cheserviva per riflettere, perché di certo i sol-dati che scrivevano lettere dal fronte, oche tenevano un diario durante il conflit-to, soprattutto all’inizio non avrebbero maiimmaginato una conclusione di questaguerra così inaccettabile. C’erano poi leproposte verosimili, come “sfollamento”,che poi in effetti avremmo ritrovato inmoltissimi diari. Andando dunque a leggere i diari, e impli-cando attivamente la parte della redazioneche ne aveva già letti molti, in alcuni casiabbiamo cominciato a capire la distanzache c’è fra ciò che immaginiamo di questaguerra, ciò che abbiamo imparato a scuolao dai documentari, e ciò che realmente èaccaduto fra le trincee o negli ospedalimilitari, o anche nelle case, perché i diari ele lettere sono anche quelli scritti dallefamiglie in attesa dei propri cari. Insommala distanza fra ciò che raccontano le ver-sioni ufficiali, e ciò che realmente è acca-duto durante la Grande Guerra. E c’eranoquindi delle sorprese: sempre per restarealla lettera S, andando a confrontarci con idiari abbiamo “scoperto” una parola cheera nelle bocche di tantissimi soldati, unpensiero fisso, motivo di iniziale sorpresa epaura costante: Shrapnel. Non credo sianoin molti a sapere che questa parola i nostrisoldati la pronunciavano tutti i giorni, che

Q COME GUERRA ¬ 11

Q come guerra ANNA IUSO

SEMBRA DI VEDERLO QUEST’UOMO CHE, IN QUARTA DI COPERTINA, PENSA,RICORDA E CHIACCHIERA CON UN AMICO CHE PARE UN PO’ LONTANO.COSÌ, PRIMA SEDUTO SU UN PARACARRO, POI SCALPITANDO SUI SUOI SANDALI, IL NOSTRO UOMO RESTA AD ASPETTARE BARTALI, IN UNA LUNGAGIORNATA CALDA, FRA LA VOGLIA DI UNA BIRRA E RICORDI DI CUI NONSAPREMO MAI.

la sognavano anche la notte. Uno shrapnelera una sorta di “proiettile a due tempi”,pericoloso e temutissimo, come raccontain questo numero Giuseppe Rondoni, ecome raccontano quasi tutti gli altri, inpagine che solo per motivi di spazio nonabbiamo potuto riproporre. Le foto, dopo tanto tempo, sono di nuovoquelle dei diaristi stessi, perché sarebbestato inconcepibile non restituire ai nostrilettori i volti veri, e i luoghi, a volte ieratica-mente vuoti come quelli di queste pagine,simbolicamente in attesa di essere riempi-ti di vita o di morte.

Così, quest’alfabeto è il frutto di un viaggionelle menti dei ragazzi che su queste mon-tagne temevano la morte, ma spesso supe-ravano se stessi nella capacità di affronta-re il dolore e la paura. Che scrutavano l’o-rizzonte per vedere il nemico, o poter scri-vere una pagina a cui affidare i propri pen-sieri e la propria testimonianza di un even-to che hanno rapidamente riconosciutocome tristemente straordinario. Inevitabil -mente, per ogni lettera c’è un numerodiverso di parole, perché abbiamo datospazio a quelle più frequenti o più inattese.Alla lettera Q ne avevamo poche, anzi una

sola, che emergeva su tutte: Quota, un ter-mine che i nostri soldati hanno imparato apadroneggiare, anche se venivano da pia-nure e mari. Leggendo e sfogliando, però,ne è venuta fuori un’altra, di un diarista chedella guerra scrive a lungo. Ancora una vol-ta, Vincenzo Rabito. Nel brano che abbia-mo riportato descrive il momento dell’armi-stizio, così come i soldati l’hanno vissuto:un susseguirsi di contraddizioni, di con-trordini, di sforzi inutili, di equipaggiamentiinadeguati e vettovagliamenti inesistenti.In altre parole, un’assurda carneficina, unteatro senza senso chiamato Querra.

12 ¬ Q COME GUERRA

Q COME GUERRA ¬ 13

Fortino sul monte Fior, Altopiano di Asiago.

Le immagini di Nazzareno Berton e Sergio Carlesso sono tratte dalprogetto “Cinquantaquattromiladuecentoottantanove”. L’altopianodi Asiago è stato importante teatro dei cruenti eventi bellici dellaPrima guerra mondiale: il suo territorio risulta ancora “marcato” daisegni rimasti di quell’avvenimento svoltosi quasi cento anni fa.L’intento originario di questa ricerca fotografica è la rilettura diquanto il paesaggio ancora “racconti” di quei giorni e delle trasfor-mazioni che questi hanno comportato. Di fronte alla comprensione dei drammi dei “cinquantaquattromila-duecentoottantanove” del Sacrario e di tutti gli altri che hanno sacri-ficato la vita per questo assurdo evento, si è affermata però l’impos-sibilità di limitarsi a un semplice “prelievo fotografico”: i segni intro-dotti (tutti fisicamente realizzati sul posto) diventano così allusivi, evogliono raccontare le sensazioni e le percezioni che ancora colpi-scono “chi cammina su quelle pietre frante”.

© NAZZARENO BERTON E SERGIO CARLESSO

14 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Reginaldo Binni - Archivio Daniele CinciripiniSoldati in marcia verso il fronte sul Col di Lana (Bl).

GIUSEPPE TRENTINI

Giuseppe, originario della provincia di Varese, è uno dei ragazzidel ’99 chiamati in guerra giovanissimi: la sua memoria, scrittaalla fine del conflitto, racconta come l’esperienza bellica abbiacambiato completamente la sua vita. In questo brano l’autorericorda, con una certa ironia, la noiosa ripetitività e la pesan-tezza dei mesi di addestramento.

[Luglio 1917] L’istruzione a piedi incominciò quando ancoraeravamo vestiti coi nostri abiti e si faceva sul piazzale del Realle Cascine. Il nostro orario era il seguente: Ore 5 sveglia. 5¾appello e poi alle Cascine; alle 10 rancio. 11-12 appello e istru-zione interna. 12-14 riposo (molto ben meritato). 14-17 appelloe istruzione alle Cascine. 17 rancio. 18 libera uscita. 21 ritirata.21½ silenzio. Farò ora di questo orario una specie di commen-to. Prima di tutto la sveglia: un…pochino presto, ma pazienza;quello che più importa si è che solamente quattro volte allasettimana ci davano quella bevanda che così chiamavanocaffè, ma che io non riuscii mai a decifrare con un nome appro-priato; era una vera “bourlanda”. Con niente in corpo si dovevapoi andare a fare istruzione sotto il sole, in mezzo alla polvereche non ci lasciava respirare e con solamente qualche minutodi riposo. Quando si ritornava per il rancio si era stanchi da mo-rire e bisognava di nuovo mettersi in riga ad attenderlo permezz’ora. Il rancio non era cattivo, ma non bastava. Io andavo a mangiareil caffè e latte in una latteria. La pagnotta pure era piccola edinsufficiente […].Alle 11 si era di nuovo in riga e dopo l’immancabile appello si ri-cominciava l’istruzione interna. Si andava molto spesso sotto unporticato che di notte serviva da “cesso” (non da gabinetto di de-cenza perché era una vera indecenza) e là in piedi ci insegnava-no tutto ciò che può essere utile (ci insegnavano pure quello cheera inutile però) ad un soldato riguardo al modo di comportarsi,ai suoi obblighi e alle pene stabilite per le mancanze che si com-mettono; fucilazione nella schiena compresa. I caporali però nonne avevano voglia e ci facevano leggere sempre le stesse cose il che rendeva ancora più noiosa quell’ora

di istruzione profumata. Non di rado poi capitava di doverlapassare sotto il sole di Luglio; una vera delizia quando si abbiala busta in capo. Si andava quindi a riposare; il caldo conciglia-va il sonno ed io stanco morto mi addormentavo, ma sul piùbello “Svegliàa!” Ed allora bisognava alzarsi subito, vestirsi ecorrere in riga […].Appena in riga si incominciava un nuovo appello, poi davano lapasta che ci veniva “buttata” da un soldato o caporale dallavoce squillante salito su una sedia e quindi si andava alle ca-scine a fare istruzione di fanteria. Tra l’altro mi ricordo chequando ricevetti la prima lettera da casa mia piansi. Dopo diaver marciato avanti e indietro per lunghe ore sul piazzale siritornava in caserma e veniva subito distribuito il rancio che simangiava sempre con molto appetito; non di rado capitava ditornare tardi dall’istruzione ed allora portavano la pasta ed ilriso stracotti.Alle 18 finalmente si usciva tirando un lungo sospiro come chisi sia levato di dosso un pesante fardello […].Ogni cinque o sei giorni avevamo la distribuzione delle cinquineo prestito che dir si voglia. Per prendere la misera moneta dicinquanta centesimi era necessario un cerimoniale molto ac-curato e complesso. Appena chiamata bisogna uscire di riga edandare di corsa davanti al tavolino delle cinquine, fermarsi a unpasso di distanza, far un saluto (d’ordinanza e bene) un passoavanti, allungare la mano sinistra (non la destra) prendere i de-nari, fare un passo indietro, un altro saluto, poi dietro front etornare in riga di corsa. Non di rado capitava che qualcunosbagliava questo cerimoniale ed allora lo facevano tornare dinuovo in riga per ripetere la prova fino a quando riusciva per-fetta. Molte volte avveniva pure che a qualche soldato facesse-ro fare una ventina di volte il saluto od il dietro front, mentre icompagni si sbellicavano dalle risa. È da notarsi poi che fra noivi erano degli anziani richiamati che avrebbero potuto benissi-mo esserci padri e che una di queste miserabili figure avrebbepotuto capitare a uno di loro. Veniva perfino voglia di non pren-dere la cinquina, ma era obbligatorio e poi l’avevamo veramen-te guadagnata col sudore della nostra fronte.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 15

AddestramentoA

GIUSEPPE MANETTI

Giuseppe Manetti ha trentadue anni quando viene richiamatosotto le armi e costretto, suo malgrado, a partecipare alla Primaguerra mondiale; per sedici mesi, dal 1917 al 1918, affida a duequadernini le sue paure, la sua ostilità verso la guerra e la grandenostalgia per la moglie e la figlioletta che non ha visto nascere.

Mia cara moglieQuando ti giungerà questo libriccino, io sarò belle estinto io ca-pisco quale effetto ti farà ma io ò pensato di far così in modoche tu non stia qualche mese senza sapere ciò che mi e acca-duto, se tucredi di rimaritarti permé non trovo cosa in contrarioperò, una raccomandazione ti faccio quella di tenere di contodella nostra piccina che ò amato teneramente e di trovareunuomo che sappia amarti come ti ò amato io che quando spo-sai te, ti giurai fedeltà e ti sono stato fedele questo desideroche tu possa trovarti felice, e trovare un cuore degno del tuoSe poi non vuoi far questo passo fai te di novo ti raccomando labambina, tuo marito e se io ti ò lasciato non e per la mia volon-ta per la mia volontà non avrei mai abbandonato la mia cara fa-miglia che mi sono sagrificato senza però sentire il sagrificio

farti forte che io potendo pregherò per te e per l’intera famigliaSe tù resterai conla mia famiglia mi raccomando la pace ha voitutti, che per causa di non esserci la pacie vedete a che puntosiamo arrivati lo dico a te come lo dico all’intera famiglia sequesto farete vi benedirò e pregherò per voi per tutta la vostravita, però non ve lo comando ve lo supplicoUnaltra raccomandazione faccio a chi resterà capo della miafamiglia o che tu resti te Ferdinando o te Emilio fate da padre,e da capo al resto della famiglia come feci io quando scompar-ve il nostro caro padre edanche a voialtre sorelle mi raccoman-do di tenere il vostro posto come vi è dovere di donna di sorellae di figlioSe questo libretto vi giunge sarà l’ultimo scritto che da me ri-cevete perciò con questo vi giunge l’ultimo mio saluto e baciodal più piccolo al più grande di voi edà te mia cara moglie lostesso questo e l’ultimo bacio che ben per i scritto parte dalmio quore e lo darai alla mia bambina tutte le volte che ti ram-menti di me

tuo marito 3.6.17

16 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

AddioA

ISIDORO PRIMUS

Isidoro Primus, classe 1895, partecipa alle manovre bellichecon gli alpini del Battaglione Arvenis. Nel 1955 scrive una me-moria per rendere omaggio al valoroso capitano Candoni, mor-to negli scontri sulle montagne del Friuli: in queste pagine tut-ta la dedizione di un soldato al proprio Corpo, rappresentatocome una vera e propria famiglia.

[Ottobre 1917] Saliamo sul Grappa. Lassù il monte era ricoper-to da circa trenta centimetri di neve, divenuta dura quanto ilmarmo a causa del freddo intenso. Come fare? non avevamonulla per coprirci. Niente cappotto, niente mantelline e senzacoperte. Niente corredo. Inoltre avevamo le scarpe rotte ! e cosìabbiamo dovuto tirare innanzi per un mese. Nulla avevamo,neppure un piconzino! Praticamente tutti noi avevamo i piedicongelati, eppure bisognava rimanere inchiodati sulla posizio-ne. I piedi ci davano la sensazione che fossero fatti di legno.Per non essere scaraventati giù lungo le pendici gelate delmonte, dovevamo tenerci per mano in circolo a sei per sei.Questo, naturalmente, quando si scatenavano le tormente. Equeste si succedevano sovente le une alle altre.Una notte di tempesta, il Feltre, che controllava la zona anti-stante dell’Arvenis, dà l’allarme al Battaglione Arvenis stesso.Ecco il Capitano Candoni pronto in prima linea. Quando il nemi-co aveva raggiunto le prime vette, il Savoia, urlato dal CapitanoCandoni fece scattare tutti. Il nemico venne ricacciato allabaionetta. Altre munizioni non avevamo, all’infuori di quelle perle mitragliatrici. Si pensi che il vino ed il cognac, destinato anoi, venivano usati per le mitragliatrici che dovevano spararesovente, per evitare che tutto il meccanismo si ghiacciasse enon si potesse poi usare l’arma.Il nemico bombardava ininterrottamente, tanto che i posti col-piti non erano più bianchi di neve, ma brulli! I battaglioni veni-vano decimati dai bombardamenti nemici e dal congelamento.Anche il Capitano Candoni soffriva come noi, tuttavia egli visi-tava i soldati della compagnia frequentemente, incoraggiandotutti. Egli ci parlava in dialetto friulano, particolarmente quan-do voleva darci la carezza di padre. Nel terreno di nessuno, cioètra le linee nostre e del nemico, vi era una malga (casera e bai-te). Nei pressi della malga aveva avuto luogo un combattimentoferoce tra i nostri alpini e gli austriaci. Numerosi i morti lasciatisul terreno da ambedue le parti.

[…] Il Capitano Candoni, insieme agli altri ufficiali erano salitisulla cima ad osservare l’attacco del Cividale. Come non mai, ilnemico vomitò sulle nostre linee proiettili di tutti i calibri. Eccola scheggia fatale colpire il padre nostro! Era stato colpito allatesta. Dal mattino, visse sino verso le ore 14, e poi rese la suagrande anima al Signore.E quì devo far rilevare che non ho mai notato cordoglio nelGruppo Alpini, come quando il nostro Capitano ci venne rapito!La 153 Compagnia, ormai orfana del suo padre, non poteva ras-segnarsi a tanta perdita. Tutti piangevano! Ufficiali e soldatiavevano le lagrime negli occhi ed il cuore spezzato da tanto do-lore. I suoi vecchi alpini lo piansero per tutto il resto della guer-ra e lo piangono oggi e sempre. In questo momento che scrivoquesto diario, dopo 37 anni, lo piango amaramente!Prima che esalasse l’ultimo anelito, tutti i soldati della suacompagnia si recarono, ad uno ad uno, a salutarlo. Egli nonparlava ed era in coma. Lo abbiamo salutato toccandogli quellemani benedette e generose; quelle mani che presto sarebberostate rese inerti dal crudelissimo destino.Tutti singhiozzavano asciugandosi le lagrime.Intanto il Tenente colonnello Tessitore, comandante del nostrobattaglione, che trovatasi in licenza in Piemonte, venne infor-mato della sorte toccata al Capitano. Egli diede ordini, per telegramma, di non rimuovere la salma si-no a quando egli non sarebbe giunto. Il giorno dopo ilColonnello giunse al fronte. Egli salutò il GRANDE CAPITANOcon nobilissime parole. Poi baciò la salma ripetutamente e dis-se: “Addio, mio caro Capitano Candoni, addio! Fece poi il salutomilitare, il dietro front e singhiozzando accompagnò con losguardo la salma del grande Artista e grande Soldato che veni-va rimossa verso valle. Anche noi, così duramente colpiti ab-biamo accompagnato il nostro PADRE con una lunga lagrima.“Et Nunc Et Semper!”, caro COMANDANTE! “Et Nunc EtSemper!” “Povera la mia compagnia!” disse egli prima di mori-re: aveva ragione!Ed ora, Signora Candoni, ho finito. Porti la mia lagrima anche aSua sorella e conforti Sua mamma.Ed ora chiudo, portando la mano destra alla falda del mio vec-chio sgualcito cappello alpino in reverente saluto militare.“Et Nunc Et Semper!”Isidoro Primus

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 17

AlpiniA

18 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleMilitari accanto a una granata inesplosa caduta l’8 dicem-bre 1915 nel versante sud del monte Melino (Tn).

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 19

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleNon solo eroiche azioni militari: soldati intenti a riparare le divise e le calzature in dotazione.

GIOVANNI PRESTI

Un giovane ufficiale siciliano scrive dal fronte giuliano alla fi-danzata e le parla della vita delle trincee: le logiche di guerra etalvolta la morte impongono a Giovanni, e ai suoi commilitoni,delle perdite dolorose che nei brani di queste lettere egli rac-conta con struggente nostalgia. Il solo conforto sta nei solidilegami umani che nascono tra i soldati a dispetto della lorocondizione di precarietà, delle fredde notti, della paura.

3 agosto 1916Ben altra voglia che scriverti avrei stasera, perché le circostan-ze han messo a ben dura prova il mio cuore. Mi son staccatoproprio or ora da tre tenenti che mi han tolto dalla compagniaper mandarli ad altri reggimenti, fra i quali quello che venne adimpostarti la lettera a Padova giorni fa. Cosa vuoi: abbiamo pro-vato le stesse emozioni sin dal principio della guerra, abbiamovissuto degli stessi palpiti e se per caso ora erano alla mia di-pendenza io li trattavo come compagni, come fratelli. Ci siamobaciati piangendo. Eravamo gli unici si può dire dei pochissimisuperstiti del 71 vecchio. Per maggior prova mi è giunta staserala cassetta dove tenevo i ricordi tuoi più cari e più recenti. Ti giu-ro che stasera il guerriero ne ha versato lagrime e ne versa; per-ché il cuore non conosce situazioni, è sempre uguale. Figurati: ilColonnello voleva tenermi seco stasera. Ma io francamente gliho detto: Colonnello, conosco da tre anni gli amici che vanno, enoi ci conosciamo da poche sere, vado con gli amici.Mentre ti scrivo il mio attendente guarda, rimescola, rivede, as-sorbe, gioisce della roba della cassetta; l’unica sua conoscen-te. Il capitano che sta con me che sviscera anche lui la suacassetta mi fa vedere i suoi ricordi di Albania: una pietra cheassomiglia a un acino d’uva presa nel fiume di confine, un gu-scio di tartaruga che in Albania aveva vita e tante altre cose;viene a farmele vedere mentre ti scrivo e vorrebbe infondermila sua contentezza; ma io ho ben altro per la testa. Io penso orache un anno fa io potevo venire a vederti, potevo venire a ba-ciarti, e ora che potrei farlo con maggior diritto, la necessità miinchioda. Penso che l’8 agosto l’anno scorso questi occhi gioi-rono a San Gaetano, quando il prete predicava. Riportavo allorai primi ricordi di guerra. C’era anche una cosa che avevamopreso con il povero Aruffo, morto al Pasubio. Il colonnello sta

sera mi ha fatto leggere una lettera del padre; io in sua memo-ria domani scriverò una lettera alla madre del mio sergenteSarpi, ucciso il 7 giugno […].

Ore 4 del 18 gennaio 1917Tu hai ripreso la generosa consuetudine di scrivermi di seraperché la sera è più propizia alle idee; io di notte perché, nellafebbre della tremenda responsabilità che su me incombe solodi notte posso scriverti. Il mio attendente accoccolato in pas-samontagna, mi sta scaldando un po’ di caffè con lo scalda-rancio. Queste scene di muta semplicità, mi fan pensare ad al-tre corrispondenti vissute; scene che avevano l’inquadraturapiù elegante, più colorita, ma in cui poi, fatta astrazione dellaparte formale, il risultato era identico. In tutta la fronte da ierisera c’è una calma, un silenzio che fa paura. Non un colpo dicannone, non una fucilata: sai che impressione? Perché po-trebbe nascondere qualche insidia. Di ciò abbiamo parlato po-co fa con l’amico mio che ha la sua Maria a Venezia e di cui tiho parlato più volte, il quale avendo la compagnia alla mia de-stra viene di notte a trovarmi in buca…Nel pomeriggio di ieri un soldato – non aveva candela lui – s’e-ra sporto un po’ dalla sua buca vicino alla mia per scriverechissà con quale affetto a qualche suo caro. La seconda pallot-tola di un cecchino lo ha ucciso […].

Comando 71° Regg. Fanteria Bologna 14 giugno 1917Sono qui per servizio. Ho trovato tanto lavoro. Ho trovato ancheil nuovo Colonnello che mi ha fato una lusinghiera accoglienza;ho trovato anche il reggimento più al sicuro. E così ho unastanza, un letto, delle lenzuola. Tante cose confortanti.

Comando 71° Regg. Palmanova presso l’Isonzo 24 giugno 1917S. GiovanniAl contrario dell’anno scorso, sul mio tavolo, di ritorno da unacavalcata col Colonnello, m’han fatto trovare tanti fiori.Gelsomino, rose e garofani come nell’età più beata e inconsa-pevole. Oh è San Giovanni del sole rosso e gigante alla mattinaquando il fresco inebriante pare che mettesse tanto sangue diparadiso nelle vene.

20 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

AmiciziaA

VINCENZO FARINA

Vincenzo, militare marchigiano dislocato sul fronte italo-austria-co, idealista e in attesa di partecipare ai corsi per ufficiale, scriveall’amata Jone lettere intense: alla vita di trincea si affiancano isentimenti, il desiderio di riabbracciarla e di sposarsi per nonessere più separati. Nel frattempo l’immaginarsi insieme aiuta asuperare il dolore per la lontananza.

Cara Jone mia, 11-VIII-1916 Venezia (isola)

Spero che la posta abbia ormai disingannato tua madre e tecirca il mio contegno e ti abbia recato quel conforto morale,quella gioia rassicuratrice ch’io vorrei in questo momento lar-girti e che, di lontano, non posso affidare che a queste povererighe scritte. Non puoi immaginare, Jone mia, come sono attri-stato dal tuo male. Anch’io dal tuo silenzio ero turbato, tantopiù che neppur i miei m’hanno scritto. Dicevo: Come tanta di-menticanza? Poi pensavo che forse tu aspettavi il seguito alletue cartoline, e mi rinfrancavo, ma sempre con un po’ di cruc-cio, per l’ostinato silenzio di tutti, amici e parenti, in questa ul-tima settimana. Ho sempre un po’ di posta; ora sono stato perparecchi giorni un derelitto. […] T’ho mandato ieri la solita car-tolina per annunciarti la solita visita e rassicurarti circa gli ef-fetti. Da che son qui è stata l’incursione più infocata. Abbiamomolto sparato e visto, qua e là per Venezia, intempestivi falò.[…]Io vorrei che tu mi scrivessi almeno una cartolina ogni giornoper rassicurarmi; ma forse pretendo troppo da te malata?Vorrei che tu potessi farlo e temo che, facendo, potesse venir-tene aggravamento. D’altra parte, se tu non mi scrivi, io sto indolore e preoccupazione. Dimmi, o fammi proprio dire di che sitratta. Rimettiti, poi va al mare o va in campagna; ma rimettitisana e lieta. Non ti preoccupare scioccamente per me; nondarti pensiero di qualche brutto episodio di cui mia madre èstata cagione. Perdonami e perdonale il dolore che ti abbiamoprocurato. Vorrei asserti vicino e immaginarti vicina, come altrevolte che sei stata malata. Come penso con desiderio la poltro-na che t’è viciona al tuo letto! Ecco io m’alzo in punta di piedi,

m’avvicino al letto, t’abbraccio i capelli disciolti e ti bacio il col-lo per la scanalatura della camicia. Jone, Jone mia! Poi ti strin-go le mani calde, sotto le calde coperte, e stiamo così stretti,stretti, dicendoci tante cose col fremere delle dita. Ti bacio, ba-cio, bacio Vincenzo tuo tuo tuo.

Mia carissima Jone 8-IIII-1917 (Pasqua)

Sono arrivato ieri sera, sabato, dopo un viaggio, come l’altro divenuta, faticoso (3a classe, la classe, e molto, molto carro be-stiame), all’accantonamento; stamani ho completato il mioequipaggiamento e domani, lunedì mi presenterò al comandodel raggruppamento, cui sono destinato.: il 12 esimo. […] caradesiderata frechina mia, le tue singolari virtù d’economia e d’a-bilità sono così preziose e invidiabili che io ci tengo a farle ap-prezzare. Del resto, tu che tieni tanto a che io sia pratico nondevi dolerti se sento e penso così; io compendio in queste tueottime e singolari qualità – quante ragazze potrebbero egua-gliarti in ciò? – la visione della mia vita futura con te, della no-stra casetta maritale o, se prima così a da essere, della mia vi-ta nella famiglia tua. Dunque sta salda e contenta al mio affet-to, al mio profondo e radicato amore e non ti turbino pensieritristi e dubbi, lascia perdere le stranezze assurde di mamma,come quelle dell’altra sera; io la rispetto, ma passo oltre allesue bizze: fa pure tu così. Non credere che essa s’imponga ame più del ragionevole: vedessi l’altra sera com’io trattavo ilsuo sragionare. Rispettarla, ma non subirla. Forse ci si separòtroppo a precipizio, mentre io potevo ancora rimanere un poco;ma fu bene che venissi via; risparmiai a te e tua madre una piùprofonda commozione e diedi tempo a mia sorella di fare allagiubba l’accomodatura del collo. Ora mi va benissimo. […]Sappi che io ti voglio bene come a ciò che ho di più caro con imiei, e fra questi e te non ci può essere in me contrasto alcuno,anzi, tu hai diritti, oramai, superiori a ogni altro, per me. Capisciche vuol dire: ti voglio bene? Pensa ciò che di più dolce e caropuoi immaginare; esso è per te.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 21

AmoreA

RODOLFO FRIGERI

La caserma e le sue regole portano un soldato spoletino a ungenerale malessere, che sfocia in mal di gola e in febbre alta.Nel suo diario Rodolfo racconta il trasferimento in ospedale, iltremore, la paura di morire che viene superata grazie alle at-tenzioni di altri soldati. Quindi la visita e la speranza di evitarel’arruolamento: non gli sarà possibile, ma alla notizia di cinquegiorni di licenza esplodono gioia e contentezza.

19.12.1915 DomenicaScrivo dall’ospedale del celio-Riparto misto letto 31°.Seguito al diario del giorno 16 di Giovedì.Dopo cenato mi ritirai in caserma, la nottata passò così cosìscrissi a Ada e l’impostai il giorno 17. La mattina facemmo l’i-struzione interna, ossia ci spiegarono i regolamenti del soldato.Poi ci fecero cambiare camerata dal 1° piano siamo andati inun corridoio al 3° piano col N. di 72 letti figuratevi che chiasso:Gigetto sta insieme a me come pure Aglini, il rosario non si dis-se. Dopo pranzo l’istruzione sotto il colosseo ma pochissimofacemmo. Dopo l’uscita andai in Via Emanuele Filiberto a trova-re Ida Ghilardi e fu assai contenta. La sera cenai da Giulia. Lanotte del 17 mi sentii male alla gola, la mattina del 18 marcaivisita e essendo donzillite mi hanno mandato qui al Celio. Lafebbre a 38½ entrai alle 11. Ero un po’ sconfortato, quando sta-vo sul letto che tremavo dalla febbre, senza coperta lenzuolinessuna conoscenza, il soldato mi si avvicinò e in un modo cosìvillano mi offese perché stavo sul letto. Fui preso dal convulsoe pianto. Mi sembrava di crepare allora. Corsero altri soldati, miconfortarono mi portarono del brodo -latte-, fecero chiamareTonelli, venne qui verso le 5, gli dissi di dire a Dante che fossevenuto a trovarmi. La notte del 18 non ho dormito quasi mai,chi sognava, chi camminava, e poi tuoni e acqua a dirotto.Scrivo adesso sono le 9 del 19 è Domenica, ho una pena devo

star qui solo solo, ho passato la visita e nessuna risposta mi hadato. Almeno potessi ritornare a casa per Natale! Sto sconfor-tato, prego, prego, Iddio mi aiuterà.seguito ore 9 del 20) la giornata è passata così così, pregandotrovo tanto conforto, solo mi urta molto che resto qui senza al-cuna notizia ne di casa, ne di Gigetto, Dante non è venuto. Alle3 circa ho fatto l’analazioni alla gola, ho trovato giovamento,poi verso sera gargalismi con colluttorio. Ha piovuto tutta lagiornata… Ho scritto alla maestra ma non si trova il verso d’im-postarla, sono andato a letto alle 5½, ho riposato bene questanotte, il respiro va molto meglio. Durante la notte non ha fattoche piovere dirottamente con tuoni e forti.

Giorno 20 - Tempo brutto piove dirottamenteMi sono alzato alle 7½, la gola sta un po’ meglio mi faccio deltutto per star bene. Ho passato la visita e il Capitano Fiorirattimi ha dato 5 giorni di riposo e poi stasera alle 5 esco. Mi haprocurato contentezza questa notizia, e se poi mi daranno al-tri 5 giorni di licenza alla caserma vado subito a casa. Iddio miha aiutato anche questa volta, e spero anche per l’avvenire.Scrivo adesso sono le 10 – e piove dirottamente. Ho l’animocontento – sono calmissimo.Seguito dalla caserma Vittorino da Feltro) Il resto della giorna-ta passò benino. Ero sopra il letto quando mi vedo vicino TitoBussotti e un altro di Bevagna. Fui contento vederlo, mi portòa trovare Muzio e parlammo a lungo. Alle 2½ mi fecero di nuo-vo rivestire, poi andai a trovare Tonelli, e mi consigliò di usciree dormire fuori. Avevo una gran tosse e così pensai di andareda zia Marietta. Trovai la lettera della Sartolli, da 4 giorni eralì, zia Armenia viene il 22 – Andai a dormire, feci una forte su-data contro la tosse. verso le 9 arrivò zio Filino, mi addormen-tai un po’ appenato pensando l’avvenire. La nottata è passatabenino.

22 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

ArruolamentoA

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 23

AustriaciAUBALDO BALDINOTTI

Nato a Firenze nel 1890, Ubaldo Baldinotti per aiutare lafamiglia deve abbandonare lo studio e lavorare prima pressoun orefice, poi con il padre calzolaio. Nella sua autobiografiaripercorre gli anni che vanno dalla chiamata alla leva militarefino al ritorno a casa, nel 1919. Nel 1915 viene richiamato edestinato alle trincee del Carso. Il senso della disciplina, deldovere, del sacrificio e della lealtà verso la patria si incontra esi scontra con lo spirito di fratellanza e solidarietà neiconfronti del nemico, in particolare verso due soldati austriaciche, nascosti in una grotta, si tengono per mano.

[1916] Ci trasferimmo in un paesetto oltre il Passo Rolle, che sichiamava Mezzano e ci alloggiarono nei locali delle scuole.In questa località ci trattenemmo diversi giorni, e lì si fecero ipreparativi per sferzare un altro attacco, e conquistare una po-sizione, sulla cima di un’altra montagna chiamata la cima delGardinal.Partimmo dal paesetto che erano le due di notte […] e incomin-ciammo a camminare per certi canaloni che andavano a finiresulla cima della montagna, ma disgraziatamente per noi, proprio,nel canale dove noi camminavamo, fù fatale il trovare un piccoloposto messo dal nemico, che era fatto con una tenda, ed eracomposto da quattro soldati che erano li come posto avanzato.Dei componenti il piccolo posto tre furono catturati prigionieri,ma il quarto riuscì a sfuggire alla cattura, e fece appena intempo ad avvertire, quelli che presidiavano la cima della mon-tagna; questo fù per noi fatale perché principiava appena a al-beggiare, quando giungemmo sotto la posizione nemica […] ve-demmo che i primi soldati Austriaci che si affacciarono sul co-stone, erano ancora in maniche di camicia, e se il soldato chefaceva parte del piccolo posto, fosse stato da noi catturato, […]con facilità il nemico sarebbe stato colto di sorpresa, e nonavrebbe avuto il tempo di organizzare la difesa, e forse nonavremmo avuto bisogno, di sparare […].Invece quell’unico soldato che riuscì a fuggire, fù la nostra di-sgrazia perché quando giungemmo nelle vicinanze della vetta,oltre agli spari dei fucili e delle mitragliatrici, si fù investiti dauna scarica di grosse pietre, che rotolando giù dalla cima dellamontagna, e che ruzzolavano per la ripida discesa, travolgendonella sua folle corsa, tutti coloro che si trovavano sul suo cam-mino, rimanendo investiti, e infatti ci furono parecchi feriti, e

qualcuno in modo assai grave, e anche qualche morto. Il nostro comandante di battaglione, sospese l’avanzata perché,data la situazione, e vista la impossibilità di conquistare la cimadella montagna, sarebbe successo che avremmo subito molteperdite, senza poter raggiungere lo scopo, che egli si era prefis-so dare battaglia e raggiungere la posizione del nemico. […]Una mattina mentre una nostra pattuglia era in perlustrazione,a una certa distanza dalla nostra posizione, in una piccolagrotta trovò nascosti due soldati Austriaci, che erano feriti mada ferite leggere, uno era anziano e aveva una lunga barba giàprincipiava a diventare biancastra, mentre l’altro era molto gio-vine, avrà avuto appena diciotto anni, il più anziano ne avràavuti oltre i cinquanta.Quello più anziano aveva una piccola ferita a una mano mentreil più giovine che pure era ferito ma non gravemente aveva unapiccola ferita sulla guancia destra, però i componenti la nostrapattuglia, rimasero meravigliati circa il comportamento, cheavevano questi due prigionieri, perché si erano presi per mano,e non ci fù verso di fargliele staccare, il sergente che comanda-va la pattuglia, non fù aspro ne cattivo, verso questi due prigio-nieri, e disse anzi con buone maniere ai suoi soldati, lasciatelifare noi li porteremo al comando, e la si saprà il perché e cisarà l’interprete che li interrogherà e cosi scopriremo perchéessi si tengono stretti per la mano.Furono portati al comando e il capitano medico gli medicò leferite, e confermò che erano ferite assai leggere, gli fù dato damangiare perché avevano molta fame, dopo poco arrivò al co-mando un tenente, che parlava e capiva bene il tedesco, e prin-cipiò a interrogarli, a un certo punto esclamò! Ecco chiarito ilperché si tenevano cosi fortemente stretti per la mano, sonopadre e figlio il padre ha 53 anni il figlio ne ha appena 17.A noi soldati Italiani quando, passati pochi minuti, questa noti-zia venne fatta conoscere, a tutte le compagnie, facevamo agara e correvamo al comando e tutti portavamo qualcosa aquesti due prigionieri, chi portava una mezza pagnotta, chiqualche pezzo di cioccolata, altri offrivano sigari e sigarette, eanche gli ufficiali portavano qualcosa, e tutti senza distinzionedi grado ne di regione, dimenticando in quel momento, che essinon erano due soldati nemici ma erano solo due esseri umani,che disgraziatamente come noi, erano stati mandati a combat-tere e far la guerra, anche contro la sua volontà.

ANTONIO DE MARIA

Un generale in pensione, nato a Vieste (Fg) nel 1899, rievoca laGrande Guerra cui prese parte giovanissimo come volontario.Realizzato il sogno di essere inviato nella zona di conflitto, ètestimone della disfatta di Caporetto ma anche dell’offensivache portò alla vittoria finale. Qui rievoca la celebre battagliadella Bainsizza.

[1917] Il nostro settore in quei giorni sembrava un tranquilloposto di villeggiatura, dove il verde cupo dei boschi si alternavaal verde chiaro dei prati.Due volte al giorno si andava a turno in fondo ad un piccolo av-vallamento a far rifornimento d’acqua, che attingevamo da unapolla ai piedi di una roccia, dalla quale scaturiva limpida e fre-sca. Di laggiù si poteva osservare il massiccio della Bainsizzacon i suoi fianchi boscosi, che scendevano verso l’Isonzo.Quello sarebbe stato fra pochi giorni l’obiettivo della nostragrande offensiva ed il bersaglio dei nostri tiri.La sera prima dell’inizio dell’azione, Carreri ed io, raggiungem-mo l’osservatorio della Sezione, dove appunto eravamo statidestinati. L’osservatorio, ricavato nella spaccatura di uno spe-rone di roccia che s’affacciava sulla valle dell’Isonzo, era picco-lo e stretto […].Il tenente in fondo, davanti alla ferritoia, col suo binocolo, iltaccuino, la matita ed il prontuario dei tiri; io attaccato al te-lefono e Carrieri, guardiafili, vicino all’ingresso per essere pron-to ad uscire in caso d’interruzione della linea.In quel buco saremmo rimasti […] tre giorni, tanti quanti neerano stati previsti per il fuoco di preparazione dell’attacco.Alle quattro del pomeriggio dell’indomani ebbe inizio il podero-so bombardamento delle posizioni nemiche. Anche noi aprim-mo il fuoco. Il tenente mi passava i dati ed io li comunicavo allaSezione.Le nostre bombe alate passavano rombando sulle nostre teste.Noi le vedavamo, perché avevano una velocità ridotta, e ne se-guivamo la traiettoria, attraverso la ferritoia, fino al puntod’impatto col terreno.Nel pomeriggio di quel primo giorno di fuoco una bomba, parti-ta da un pezzo della nostra Sezione, venne a cadere a non piùdi quindici o venti metri dall’osservatorio. L’esplosione fu for-midabile ed il nostro piccolo rifugio ebbe uno scossone comese fosse stato l’epicentro di un movimento tellurico. Sentimmocadere sulla debole copertura dell’osservatorio sassi e terric-

cio. Ci guardammo stralunati. Cos’era successo? Il tenente con-trollò i dati: niente da dire, erano esatti.Allora con la sua calma abituale mi disse:Sentiamo cosa dicono quegli incoscienti in batteria.Girai la manovella della chiamata e presi il microfono.Pronto? Ma dite un pò: siete matti? Volete farci fuori?Perché, cos’è successo?L’ultimo colpo che avete sparato ci è caduto quasi in testa.Breve interruzione; sentivo che il mio collega all’altro capo delfilo parlava con qualcuno. Poi la sua voce:Che cosa vuol dire quasi in testa?Vuol dire che la bomba è caduta ad una quindicina di metri danoi e nel nostro ricovero c’è stato il terremoto.Altra breve interruzione, poi il mio collega riprese a parlare:Il capo pezzo dice che è impossibile che sia stata una nostrabomba. Lui è vecchio del mestiere. Sarà vecchio – risposi – edanche rimbambito, credo, perché da quando hai detto “colpopartito” abbiamo contato i secondi, ma non siamo arrivatineanche a metà della solita conta e la bomba ci è caduta vici-no, sulla nostra sinistra.Il tenente mi prese il microfono e raccomandò al suo collega inbatteria di sorvegliare meglio il tiro dei suoi pezzi. Dopo, Carreried io scoppiammo a ridere come matti […]. Il tenente fingeva diessere assorto nei suoi calcoli, ma rideva anche lui sotto i baf-fi. […]Nel pomeriggio del terzo giorno Carreri ed io eravamo inBatteria, quando arrivò l’ordine di sospendere il fuoco.Il tenente Baldini ci disse:Ahi, ci siamo, ragazzi. Adesso viene il brutto. Fra poco sentireteche musica ci suoneranno quegli altri. […] Restammo in silenzio aspettando la reazione nemica.Questa non si fece attendere molto. Un uragano di fuoco si ro-vesciò improvvisamente su tutto il nostro schieramento.Sentivamo sulle nostre teste l’ululato dei proiettili dei grossipezzi nemici che andavano a colpire bersagli lontani, mentreintorno a noi era un susseguirsi di esplosioni che scuotevanopaurosamente i nostri ricoveri.[…] L’indomani l’alba si presentò ai nostri occhi con una visionedi tragico squallore: tutte le pendici della Bainsizza erano let-teralmente bruciate, tutto il copioso manto di verde che le rico-priva era stato distrutto dal nostro bombardamento. Non era ri-masto un solo albero né un solo cespuglio.

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BainsizzaB

ANNIBALE CALDERALE

Annibale Calderale, pugliese di Monopoli, divenne sergente deibersaglieri, ma dopo Caporetto fu fatto prigioniero e deportatoin un campo di prigionia vicino al confine con la Russia. Al ri-torno in patria dovette difendersi dall’accusa di tradimentoformulata dalle autorità italiane. In questi brani unisce la de-scrizione minuziosa delle asprezze della caserma con quellaorgogliosa dell’addestramento dei “Bersaglieri” sempre scrittocon la B maiuscola.

Giugno 1915La vita del bersagliere è dura e faticosa si va sempre a passo,veloce, spesso di corsa, si percorrono grandi distanze semprecon lo zaino affardellato; si fa ginnastica ed ogni giorno l’abi-tuale corsa regolamentare di circa un’ora (56 minuti) a passo li-bero. Detta corsa si inizia a cadenza normale e si finisce a gran-de velocità da far perdere il fiato. Nei primi tempi qualcheBersagliere non regge a detta corsa e si ferma o cade a terra co-me un corpo morto. Con il tempo però tutti si abituano. Vale l’al-lenamento. Si gronda sempre sudore. Quasi tutti i Bersaglieri,nonostante gli sforzi, le fatiche, le intemperie a cui sono espostigodono di eccellente salute. La massa dei Bersaglieri provieneda contadini perciò tutta gente forte, robusta, ben piantata: al-lenata ad una vita dura e disagiata. A Napoli i Bersaglieri sonomolto ben visti dalla popolazione e rispettati. […]

Vi è la squadra comandata da un caporale «squadra di giorna-ta» composta da 3 o 4 uomini. Addetta alle pulizie dei cortili,scale, cesso della Caserma. Il cesso è composta da una stanzacon buche. (alla Turca) che alla mattina sono sempre otturateed il pavimento coperto di uno strato di rifiuti di circa 10 cm. Ècosa trementa pulire e mettere in ordine il cesso. si rivolta lostomaco. Le camerate vengono pulite tutti i giorni. i pavimentidi detta lavati con creolina, le mura passati di uno straccio im-bevuti di petrolio acceso eppoi imbianchiti, una volta la setti-mana, ma ci sono sempre gli insetti (cimicie). La sera quando sirientra da un permesso serale alle ore 23 o 24, si sente nellecamerate un tanfo insopportabile di sudore e di altri malodoreche non so descrivere. […]Di tanto in tanto si va al tiro al poligono di Bagnoli. Io sono undiscreto tiratore, parecchi volti ho fatto 5 centri su 6 pallottole.Qualche volta durante il tiro scoppia la canna del fucile provo-cando lesioni alla guancia del tiratore.

Luglio 1915Abbiamo prestato giuramento, siamo diventati soldati completiassumendo tutti i doveri. Si comincia a montare la guardia; […]Sono arrivati i richiamati classe 1882, noi li chiamiamo i vecchi,hanno avuto appena il tempo di vestire la divisa, sono subitopartiti per il fronte.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 25

BersaglieriB

LUDOVICO CAPRARA

Nato ad Atri (Te) nel 1894, Ludovico scrive la sua memoria allafine della guerra: racconta l’eroica resistenza opposta al dila-gante esercito austro-ungarico, dopo la disfatta di Caporetto,dal 4° Reggimento Genova Cavalleria e si sofferma sulla suatenace e coraggiosa attività di ciclista portaordini tra i vari re-parti.

Dopo il rancio mi si presenta il capitano e mi domanda: Sai an-dare in bicicletta? - Signorsì – Allora presentati subito alComando. Mi presentai al Comando e fui nominato ciclista alloStato Maggiore. Mi sembrò una nuova vita, si portava ordini aireparti in bicicletta, eravamo in 6, ma io ultimo arrivato dovevosgobbare di più ed io volevo attirarmi la benevolenza degli uffi-ciali e dei compagni. Così quando di notte si doveva andarefuori, toccava a me. […]Il 13 agosto 1915 il reggimento fa la prima tappa a Morsano alTagliamento. Io sono passato al nucleo ciclisti, non ho alcun al-lenamento, specie con la bicicletta affardellata, non posso farcapire ai compagni che non sono provetto, poiché appartengoallo Stato Maggiore, quindi me la cavo con molto disagio manon ne posso più, vado a terra e faccio succedere un mucchiodi uomini e macchine, tutti si rialzano e rimontano, io ho un pe-dale storto. Il meccanico Vergani che segue in coda si compia-ce dell’accaduto e ci fermiamo a riparare la bicicletta. Il 15agosto 1915 arriviamo a San Donà di Piave; durante la perma-nenza facciamo manovra a Musile, Oderzo, Noventa di Piave,Ceggia, Torre di Mosto, Portogruaro e Fossalta di Porro ecc.La guerra imperversa e noi stiamo troppo bene. Dopo tre mesiin zona di operazioni ci sembra un Paradiso, ma non può durarea lungo. Io sono sempre ciclista portaordini al Comando diReggimento, i miei compagni sono: Aldani Angelo PierettiAnacleto, Romolo Castiglioni Guarinoni Giuseppe, GaspariniGiovanni Chiorboli Giovanni.Il Comando di Brigata era a Fossalta di Portogruaro (40 km daSan Donà) quando si guastava la motocicletta erano noi ciclisti

che doveva fare lo scambio di corrispondenza, a me mi è toc-cata più volte fare 80 km partendo la sera alle 7 e rientrare almattino seguente. […]Una tabella indica: Sei Busi quota 118. Dovunque proiettili ine-splosi, reticolati ma soprattutto croci di legno grezzo. Sono co-mandato di avvisare le cucine che il rancio deve essere prontoalle dieci. Ma dove sono le cucine? I portaordini deve saperlitrovare e io li trovai; a circa 100 metri in un valloncello. Si sci-volava come camminare sul sego, l’anticamera era una trinceae ogni feritoia un moschetto, più oltre una grotta, un vero infer-no. Fuoco e fumo facevano bollire le marmitte con la carne, mail fumo dava all’occhio al nemico e perciò i srapnels piovevanosulle cucine. Dopo pochi giorni le cucine furono trasferite piùlontano e non assieme ma ognuna per proprio conto. I cucinieridello Stato Maggiore si chiamavano Baldin e Bandinelli, mentrel’uno confezionava il rancio, l’altro andava a Pieris alla spesaviveri, avvenne che trovandomi presso di loro il Tenente diVettovagliamento mi comandò di scorta ai viveri e giornalmen-te dovevo recarmi assieme ad altri a Pieris in bicicletta.Il Comando di Genova Cavalleria è a pié della infernale collina.Dopo qualche giorno si trasferisce alla Cava “L” poco distantedalla… M a circa 20 metri più sotto ci sono i baraccamenti per100 uomini e vicino a questi c’è una semplice baracca di legnodove deve servire per deposito di viveri per un giorno delloStato Maggiore. Quindi io e i due cucinieri siamo alloggiati inquesta baracca. Tutti i giorni devo recarmi a Pieris in biciclettaassieme agli altri addetti al Vettovagliamento. La strada è con-tinuamente battuta dal nemico e noi ciclisti procediamo a 50metri l’uno dall’altro. A Pieris ci sentiamo allegri e felici ma ilbreve momento passa veloce e appena i carri sono carichi ri-facciamo la strada verso Vermegliano. Presso Ronchi il Tenentecon la rivoltella in pugno ci fa sfilare a lunga distanza finchéognuno ritorna alla tana assegnata. Io mi sento scoppiare desi-derio di raggiungere i compagni, mi sento solo e devo soppor-tare un lavoro superiore alle mie forze.

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BiciclettaB

ERCOLE VARI

Un telegrafista della provincia romana si trova nella laguna diVenezia sotto i bombardamenti austriaci. Nel suo diario neracconta la pericolosità con dettaglio e con una certa eccita-zione, mettendo a contrasto il rischio corso e il coraggio dimo-strato, l’ordine di restare al coperto e la voglia, un po’ sconsi-derata, di uscire a vedere.

15-5-916 Mancano i telegrafisti poiché 2 ne sono a Venezia sicché sonocostretto a starmene tutto il giorno in ufficio. E sicché in certimomenti non si arriva; mi stanco maledettamente. La sera do-po mangiato me ne vado al Caffè però in compagnia di Berettavado a fare una passeggiata lungo i vigneti. La sera è invidiabi-le, si gode e si respira a pieni polmoni; tanto è vero che noi cela cantiamo giocondamente, non curando il rumore degli uccel-lacci che si crede siano nostri. Intanto con grandi giri e congrandi archi si avvicina alla Cavazuccherina. Si sente un allar-me, ma non prevedo che qualche cosa succeda. Pian piano sia-mo diretti nuovamente al Caffè quando davanti al Municipio ilrumore dell’areoplano si fa tanto basso che ne sento lo sposta-mento dell’aria a terra. In un attimo si abbassa, butta una bom-ba quindi si rialza e segue il suo giro. Non so cosa è successo.Ho inteso solamente un formidabile scoppio, dei pezzi di gra-nata scivolare, sono stato abbagliato da una vampa momenta-nea, mi sono sdraiato immediatamente attera per essere liberoed offrire meno bersaglio, quindi come se nulla fosse stato mene andavo al Caffè quando presso il ponte incontrato ilColonnello Gherardini che ci ha mandati nelle nostre camerate.Sono andato di corsa e non appena entrato in Ufficio ove regnauna confusione babelica, eccoti un colpo stragrande, una fiam-mata, uno stritolare di vetri, un grido soffocante, una colonnadi fumo. L’agitazione è al massimo. Tento di uscire per soccore-re nel caso di bisogno, ma mi viene vietato. L’ordine del Sig.Colonnello è esplicito e non si ammettono trasgressioni. Vieneposcia il Colonnello e manda ciascuno in camerata.Quantunque a malincuore ci andiamo. Entrando noto che nellamia camerata si sono rotti due vetri. Intanto andiamo a calma-re le persone del vicinato che sono trepidanti. Il rumore degliareoplani è cessato. Vado a vedere la casa colpita. È la seghe-ria Baffi. È divenuta un macello. Le porte, le finestre, il tetto, i

piani, le tavole sono diventate un mucchio di stracci buttati inun angolo. Fa veramente pietà. Al ritorno vedo varî ufficiali, eper non avere delle osservazioni salto un muro e rientro inUfficio. Non ho avuta la minima paura. Mi sono mostrato vera-mente calmo. Andiamo a letto tardissimo dopo fatti i più grandicommenti. Si è assistito alla guerra per circa 2 ore, e ne sonocontento.

16-5-916Si vengono a sapere più ampi particolari sulla nottata ripienadi spavento. Un soldato del 4° Genio Lagunare è stato ferito daschegge di granate e trasportato immediatamenteall’Infermeria. Le bombe buttate sono moltissime. Presso laChiesa ha fatta una buca grandissima, vicino la Posta lostesso,molte sono andate in acqua, una presso il Presidio diCavazuccherina. L’unico danno è quello della segheria Baffi cheè stata quasi completamente annientata. Però le bombe lehanno buttate per tutto il percorso e la squadriglia deve esserestata di un numero considerevole. A Ca’ Porcia, a Ca’ Paziente, aCavallino Ca’ Vio, Treporti ovunque, quest’ultimo forte ha soste-nuto un attacco eccezionale. Ma la bomba è caduta su di unburchio carico di fieno; per fortuna non ha esploso però anne-gava ugualmente se non fossero accorsi i soldati della 3Disciplina che lo hanno liberato. A tale scopo il Generale Rossiha fatto alla predetta Compagnia un encomio solenne. ACaposile una bomba è rimasta inesplosa. Non si sono acconten-tati gli Austriaci di questa notte, ma anche questa mattina uncontinuo segnalare di areoplani nemici dirigentesi parte suVenezia, parte su Treviso. Tutto il giorno un lavoro eccezionale.Me ne resto tutto il giorno in Ufficio poiché non vi sono telegrafi-sti. La sera ritornando un mio collega da Venezia ci racconta chec’è stata un’ora di ira di Dio. L’attacco si è ripetuto per ben 3 voltecon accanitezza singolare. Lo scopo della visita poco gradita èstata poiché si trovava a Venezia la Regina Elena e non risiedevaal Palazzo Reale ma bensì all’albergo Danieli, lì precisamenteche si concentrano le bombe. Poscia se ne vanno a Mestre edanche qui tentano di rovinare la stazione. Questa mattina la regi-na è partita per Udine e gli areoplani sono andati a Udine perbombardare il treno reale. Sono informati troppo bene questi fi-gli di cani. La sera ho la testa piena, vado a farmi due passi.

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BombardamentoB

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Renzo Re - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleIl Colbricon (Tn), teatro di accesi scontri nel 1916.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 29

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleIl ponte sull’Isonzo abbattuto dalle incursioni aeree nemiche.

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Campi di concentramentoCFRANCESCO ISOLA

L’autore racconta la guerra nell’Isonzo tra il 1914 e il 1918, laprigionia in Westfalia e le sofferenze patite in diversi campi diconcentramento in cui viene deportato: fame, freddo e soprat-tutto dolore per la lontananza dai suoi cari.

[Ottobre 1917] E così dopo 20 ore d’ininterrotto camino, dopoun giorno e quasi due notti senza cibo, bagnati fino alle ossa,dopo tante peripezie, qual sollievo il trovarsi lì in un campoaperto, sotto il manto di una fitta pioggerella, riscaldati da unrabbioso vento nordico, lì senza alcun ristoro, senza nemmenoun pezzo di suolo per poter adagiare le nostre stanche ossa!“Oh, bel suolo d’Italia dove sei!” più volte esclamai.Il freddo, la stanchezza, la fame ognor crescente, dominaronole mie energie e dopo aver cercato invano un rifugio, mi sentiivenir meno e caddi per raggomitolarmi a terra; cercai di pren-der sonno, ma anch’esso era fugato dal dolore, dai ricordi:quanti e quanti ricordi passarono per la mia mente, quante rie-vocazioni, quante lacrime affiorarono sulle mie ciglia infossate,quanti singhiozzi amaramente repressi rattristarono il mio po-vero cuore sfinito e fiacco.Forse dormii, ma era un sonno sconvolto, era una visione conti-nua di cannoni, baionette, di morti, anime di compagni che miapparivan per implorare forse una preghiera, per mandare an-cora un ultimo addio.[…] Per prima cosa i tedeschi ebbero cura di dividerci dagli altriprigionieri racchiudendoci in un angolo del grande campo beneseparati da una forte cinta di rete metallica; e così per 40 gior-ni ci sottoposero a molte visite mediche, punture, bagni e di-sinfezione panni.Giorni questi di grandi torture, riducendoci ben presto ad unnuovo esaurimento per l’insufficiente alimento.Quale era il nostro alimento quotidiano? Una broda nerastra in-sapora composta di pezzettini di carote ed acqua, acqua difonte e null’altro assieme. Qualche volta ci davano invece una bevanda con un miscugliod’una farina color caffè, la qual farina, al par della sabbia cala-va rapidamente sul fondo dei recipienti.Un unico mestolo di questa denominata “sboba” era per duevolte il nostro miglior cibo giornaliero.

Ci davan sì alla mattina il caffè, un liquido color tintura di jodionauseante né più né meno dell’infuso di Vienna, tanto ripu-gnante che nessuno di noi nemmeno l’assaggiava.Ed il pane! Mio Dio quale oltraggio alla miglior provvidenza del-la natura! Il nostro pane non era altro che un conglomerato chissà di qua-li selvagge sostanze, una pasta cruda anch’essa color tabacco,attaccaticcia, tenuta insieme da una crosta nera in carbone,crosta bruciata superficialmente da una repentina cottura.[…] Dopo qualche settimana dal nostro serraglio dei compagnipiù audaci, approfittando d’un momento di distrazione dellerassegnate sentinelle, tentarono, e parecchie volte riuscirono, ascavalcare la cinta metallica che ci separava dagli altri prigio-nieri alleati, portandosi così alla ricerca di cibo.Ma una notte, una sentinella forse questa dal cuore più crude-le, colse un compagno al varco: la baionetta dell’inumano sibagnò di sangue!Cadde esanime a terra quell’infelice compagno; cercammo diraccoglierlo, ma fummo brutalmente ricacciati nella nostra ba-racca: solo attraverso la finestra potemmo vedere un gruppo diquegli armati raccogliere quel corpo e portarselo via; una largachiazza di sangue diceva che doveva esser stato ferito grave-mente. Morì esso? Nulla si poté sapere di quella povera vita così brutal-mente straziata per una colpa il cui fine non era altro che l’ele-mosina di un po’ di pane.[…] E così, lontani dal mondo, separati da ogni vita, accoglieva-mo quei raggi di sole come fossero angeli che portano un po’ dicalore, un po’ di vita e nulla vi era di più.Anzi, ad aumentare il più triste degli sconforti piombò sul cuored’un piccolo gruppo di noi italiani la dolorosa notizia, cioè laproibizione di scrivere alle nostre famiglie, ai nostri cari.Ma se i nostri territori eran sotto il dominio loro? Vane proteste!E mentre attendevamo nuove dai nostri cari, le nostre prime let-tere ritornavan invece respinte. E nemmeno nell’Italia, noi figli diprofughi per definizione d’indirizzi potevamo scrivere.Qual indicibile dolore provammo noi, dalle terre insanguinate, anon poter dire alle nostre mamme: “coraggio, siamo ancora vivi”,non poter ricevere da loro una parola di conforto, qualche nuova.

ROCCO EGIDIO DE BONIS

Un giovane ufficiale potentino tiene il diario di una carneficinatristemente nota e pressoché annunciata. Saldi nello spirito,ma fiaccati nel corpo, i suoi soldati resistono strenuamente al-l’avanzata nemica, inesorabile e impietosa. Cosa resta d’uma-no se vedere morire è peggio del morire stesso? Nessun cedi-mento, però, sembra trasparire dalle parole del diarista.Nemmeno di fronte al venire meno di munizioni e all’interru-zione delle comunicazioni con i comandi.

24 ottobre [1917]La giornata di ieri è trascorsa tranquilla. I due eserciti sono ri-masti immobili nella terra, muti; nessun colpo si è udito.All’alba di stamane dalla parte di Gorizia giunge a noi soffocatal’eco delle cannonate. Il tempo è triste e nebbioso.Nel pomeriggio le artiglierie austriache divampano dal Faiti almare; le nostre rispondono debolmente. Due tentativi di attac-co davanti alle trincee di Castagnevizza sono stroncati. Gli at-taccanti, che procedevano compatti, non hanno avanzato chedi pochi metri. Colpiti dai tiri delle mitragliatrici e dei fucili so-no stati costretti a retrocedere con gravi perdite. L’artiglieria haripreso i tiri ed ora batte anche gl’imbocchi delle gallerie, gliosservatorî e depositi, intossicandoli con gaz asfissianti e li in-tensifica nella serata e durante la notte, accanendosi in ispeciesui camminamenti di accesso alla prima linea, che sono inmolti tratti crollati.

25 ottobreAlle sette i rincalzi si recano in prima linea per rinforzarla.Iniziamo subito la marcia allo scoperto sotto la raffica dellegranate, non potendo seguire i camminamenti franati. Sullaepidermide sconvolta gli uomini vanno avanti curvi, senza fer-marsi un istante.[…] Il frastuono di miriadi di colpi sferza l’aria, i gaz avvelenano.Uno shrapnel sibila ed esplode in alto, la raffica delle pallettesi abbatte su un gruppo di soldati che rimangono tutti feriti. Uncaporale ha la forza di attraversare di corsa la dolina e cadefulminato vicino a noi. Ha gli occhi stravolti, le gote di un colorerosso bleu e due rivoli di sangue gli scendono dagli angoli dellabocca. Una palletta di piombo, penetrata dalla fossa sopracla-vicolare sinistra, gli avrà leso il cuore. Quale fenomeno! Colpitoa morte, ha avuto la forza di correre per oltre cinquanta metri. Iportaferiti lo depongono seduto con le spalle poggiate alla

scarpata di terra; non sembra morto, pare che dorma col caporeclinato da una parte.Ripigliamo la marcia in avanti. […] Sotto questo cataclisma fa-remo a tempo a batterci o cadremo prima di vedere il nemico infaccia? È terrificante essere attori in un teatro di morte e di di-struzione: pietre, ricoveri crollati, sacchetti di terra lacerati ecadaveri si accumulano per ogni dove.[…] Prima di appoggiarsi ad un dorso affiorante, fa duopo chie-dere scusa ai morti, invocare la loro protezione. [cancellatura]Quale artista del pennello saprebbe dipingere con verismo edefficacia un quadro così spaventoso? Le descrizioni di brutturedei più famosi romanzieri impallidiscono a paragone di similiorrori. Triste umanità come riduci i tuoi figli! […] Con la profonda visione di una brutta notte, che ravvolgenel suo sudario di tenebre i miseri avanzi umani, si soffre tuttociò che Iddio ha creato per far patire l’uomo: freddo, fame, sete,sonno e combattimenti contro una deità invisibile. A deprimereil morale contribuiscono vieppiù le catastrofiche notizie chepervengono dalle retrovie. I soldati sono a contatto di gomiti adattendere il cataclisma con calma, rinchiusi in se stessi, con lefacce smunte, sfinite e solcate da rughe profonde. Più che mo-rire, per loro, è più brutto veder morire…

26 ottobreAbbiamo trascorsa la nottata insonne sotto il fuoco avversarioche non ci ha permesso un po’ di tregua e l’alba di stamane èl’alba di un triste giorno.[…] Invio un biglietto al comando di reggimento (perché ignorodove sia quello di battaglione), al quale comunico che gli assal-ti nemici sono stati tutti respinti e invoco l’intervento dell’arti-glieria. Nessuno risponde e nessuno aiuto viene ad arrecarciconforto. È alle ore 23, invece, che ci perviene l’ordine di ab-bandonare la prima linea e di formarne un’altra più arretratanel camminamento di arroccamento.

27 ottobre[…] Ho notizie che pattuglie nemiche avanzano da tergo e av-verto i soldati di tenersi pronti per far fronte ad un nuovo as-salto generale. Mi reco all’osservatorio per assicurarmi dellaterribile notizia e infatti noto gruppi di uomini che dalla quota278 si dirigono verso di noi. Siamo completamente circondati epresto saremo travolti.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 31

CaporettoC

ALFONSO ONOFRII

Un militare abruzzese ripercorre nella sua memoria le fasi deldifficile trasferimento sul Carso: racconta dei cecchini au-striaci pronti a sparare in qualsiasi momento e offre, con luci-dità e gusto per il dettaglio, uno spaccato della vita e del mo-rale dei soldati costretti nelle trincee in attesa dell’attacco al-le postazioni nemiche.

[1915] Nel giorno stabilito mi presentai al deposito del Reg g i -men to, in Chieti, dove ritrovai altri compagni di corso e di scuola.Dopo il giuramento, ci consegnarono in foglio di viaggio perraggiungere il fronte. […] Il Comando del reggimento era a San Polo, un paesino or-mai ridotto ad un cumulo di macerie, situato alla sinistra diMonfalcone. Il reggimento era da pochi giorni in prima linea.Per raggiungere tale località ci condussero in camion dalla sta-zione ferroviaria vicino al fronte, Staranzano, a circa 3 chilome-tri da San Polo. Ci indicarono la strada e ci raccomandarono dicamminare distanziati ed il più possibile al coperto. […] Dopo meno di due chilometri cominciammo a sentire il sibi-lo delle pallottole e ci rendemmo conto di essere stati scoperti.Decidemmo perciò di abbandonare la strada per continuare ilcammino attraverso i campi, spostandoci sulla sinistra.Quando il fuoco dei cecchini, così si chiamavano i tiratori sceltiaustriaci, cessò, tornammo sulla strada e ci sedemmo sullaspalletta di un ponticello, per prendere l’ultimo caffè, che uncollega aveva nel termos. Alcuni scoppi a pochi metri sulle no-stre teste ci sorpresero e nel momento in cui stavamo osser-vando il fumo degli scoppi ancora sospeso nell’aria, un carabi-niere ci invitò a ripararci sotto il ponticello, poiché eravamostati individuati; e aggiunse che si trattava di shrapnel e cheservivano per aggiustare il tiro dell’artiglieria. […] ci consigliò diriprendere la nostra via solo all’imbrunire, perché il camminoera molto pericoloso e ci esponeva a grave rischio.[…] Quando riprendemmo il viaggio le pallottole fischiavano an-cora con una certa frequenza, però con minore intensità.[…] Incontrammo, lungo il sentiero che correva alla base delterrapieno, degli accantonamenti di soldati del nostro reggi-mento, i quali ci indicarono il Comando, cui ci presentammoverso le ore 19,30 della sera. Fui assegnato alla 11º Compagniadel 3º battaglione.Il capitano mi fece accompagnare da un soldato per raggiunge

re l’accantonamento dov’era il 3º plotone, di cui dovevo pren-dere il comando.A questo punto dovrei riferire sulle mie prime impressioni rice-vute arrivando al fronte. Dirò subito che vi si giunge senza pro-vare scosse emotive violente, se si è consci di ciò che è la guer-ra e se si tiene presente lo stato di temerarietà che accompa-gna sempre la gioventù. Quindi, i primi sibili di pallottole, loscoppio di granate anche a pochi metri e le diverse e difficilicondizioni di vita non mi impressionarono e ciò fu un bene, per-ché conservai quella padronanza e quella serenità, che sonoindispensabili ad un ufficiale a essere apprezzato dai superioried amato dai suoi soldati.[…] Io ero nuovo alla guerra, però fin dal primo giorno cercai direndermi conto delle posizioni che occupavamo, dei reparti checostituivano la mia divisione e della storia di quasi un anno diguerra, in quel settore del Carso, che era considerato uno deipiù attivi.[…] Nei pochi giorni di permanenza nelle posizioni di retrovia,come truppa di riserva, non mi riuscì di carpire notizie sui pro-grammi immediati che sarebbero stati assegnati al nostro reg-gimento.Però i soldati sapevano che la prossima azione doveva interes-sare l’attacco alla posizione di Seltz, definita la vedetta delCarso: infatti, era l’unica collina che non eravamo riusciti aconquistare e, per la sua posizione avanzata verso il nostrofronte, costituiva un ottimo osservatorio del nemico per le no-stre retrovie.[…] I primi giorni di fronte passarono in relativa tranquillità, purnon mancando, specie di notte, estese fucilerie fra le oppostetrincee ed intensi interventi delle artiglierie.[…] Intanto i soldati si preparavano alla prossima azione conspirito di rassegnazione e passavano il tempo libero a scriverealle loro famiglie […]. In nessun caso notai in loro uno stato d’animo depresso, anzichiedevano notizie di tutti i familiari […] senza omettere un ar-rivederci presto. In quel periodo vi era la convinzione che laguerra non potesse protrarsi ancora per molto tempo.Purtroppo questa speranza si ripresentava spesso, apportandoillusioni e conseguenti delusioni.Eravamo ormai alla vigilia dell’attacco e le nostre artiglierie ag-giustavano i tiri sulle posizioni di Seltz tenute dal nemico.

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CarsoC

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CensuraC

Achille Salvatore Fontana, giovane militare comasco, invia gior-nalmente alla famiglia lettere in cui alterna sue notizie a infor-mazioni sulle battaglie a cui prende parte e agli spostamenti dauna batteria all'altra, a richieste di giornali e notizie dei suoi ca-ri, sempre preoccupato per la censura e per gli affari di famiglia.

ACHILLE SALVATORE FONTANA

© Luigi Burroni

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CiviliCISABELLA BIGONTINA

Nata a Cortina d’Ampezzo nel 1862, resta sola con tre figli pic-coli nella casa di Belluno ove si sono insediate le truppe au-stro-ungariche per le quali fa da interprete, mentre il marito èal fronte. Responsabile di una comunità, contribuisce alla sod-disfazione dei suoi bisogni fondamentali, retta dalla fede inDio e dall’amore per la patria. Nel diario annota il suo impegnoquotidiano.

7 [gennaio 1918] – lunedì – S. Luciano preteVae Victis – proprio così. Sistematicamente ci espropriano diquanto abbiamo. Oggi hanno preso gli ultimi due vitelli di Riva– restano solo due vacche – per quanto tempo? A volte lo spet-tro della fame mi rende pensierosa – ma al solito mi rimettopresto – il cannone tuona più che mai e mi dice di sperare.Eppure ogni giorno la va un poco pezo, non tanto in casa chè gliufficiali attuali, presi individualmente non sono scortesi […]

9 – mercoledì – S. Giuliano m.Il cannone ha tuonato tutta la notte con violenza – Oggi corrono le voci più strane. Parlano tutti di ritirata dei tede-schi, ma io non mi illudo troppo – sarebbe troppo bello – misembrerebbe di non aver sofferto affatto. Ah, come si è risve-gliato in tutti un forte amore, un desiderio indescrivibile per lanostra patria! Molti darebbero volentieri quel poco rimasto purdi rivedere i nostri soldati! Eppure qualche cosa di nuovo ci de-ve essere!

11 – venerdì – S. Iginio papaChe serata triste! Se fossi abituata a piangere su quanto ha di-strutto la nostra quiete, verserei un torrente di lagrime.[…] Ho fatto una lunga visita alla sig.ra Sgorlon che si è presain casa il cav. Barucchi, rimasto derubato di quanto aveva […]Non ci rimane altro conforto che di aiutarci l’un l’altro. Parlanodi requisizioni che stanno facendo anche nelle case abitate dibiancheria, materassi ed altro. Possibile! […] Io spero ancorache non sia vero. […]

15 – martedì – S. Mauro ab.Come si va perdendo la speranza in una prossima liberazione!Che cosa faranno laggiù? Finalmente ho potuto avere dei gior-nali […] Pare che tutta la Polonia sia stata dichiarata stato libe-ro – e questo per la magnanima volontà dei due imperatori. […]

17 – giovedì – S. Antonio ab.Oggi prima distribuzione di farina, a pagamento. Quante fami-glie senza pane e senza polenta! […]. Come si andrà avanti? […]Io cerco di essere gentile con tutti (con dignità, come dice donAntonio) ma quando mi toccano l’Italia non ne risparmio una eprovo una soddisfazione incredibile a vedere come a volte deb-bano darmi ragione.

25 – venerdì – Conv. S. PaoloProprio quando speravo ormai di passare qualche tempo in li-bertà, sono arrivati due battaglioni della divis. Edelweiss […] Incasa abbiamo 14 ufficiali più gli attendenti, cuochi, ecc.Ho dovuto dare anche la cucina della Micca […] ci hanno pro-messo due porzioni di carne a pranzo e due a cena. Ci avevanopromesso dei dolci […] Ho ringraziato dicendo che preferivo unpo’ di pane e dobbiamo fare così, se vogliamo continuare adassistere tante persone […]Eppure come piange il cuore nel dover mostrarsi cortese conchi ritorna dall’aver combattuto contro i nostri figli! […] – Dove sarà stato Bepi? Meglio non fissarci troppo il pensieroed affidare i nostri cari a Dio. […] grandi scioperi di Vienna – dal18 non escono più i giornali.

30 – mercoledì – S. Savina m.Finalmente ho avuto un giornale! La situazione in Austria mipare tutt’altro che buona, […] Affretterà questo la fine del gran-de conflitto? […] In Russia tutto va di male in peggio. […] Saràmeglio per noi? Fortuna che il giornale non parla affatto o qua-si dell’Italia – questo mi fa sperare che nell’interno non vi sianograndi agitazioni. Chi potrà ridire le ansie di ogni giorno?Finalmente ci hanno dato kg. 90 di sale austriaco a cor. 0.50 ilkg. […]. Gran parte è già stato distribuito con Gigia a gr. 150 perpersona. Buona notte laggiù e Dio con voi!

17 [febbraio 1918] – Domenica – I QuaresimaSono arrivate le truppe che aspettavamo. Ve ne sono da pertutto […] Sono Honved – Ungheresi – dicono di essere semprestati amici dell’Italia, ma sono fieri, rudi quasi violenti se lagente non cede. […]Ma con che cuore vediamo arrivare tutta questa gente, che valaggiù a combattere i nostri con la forza della disperazione. Dioaiuti quelli che ci difendono.

ELISABETTA BERTI

Il diario della giovane crocerossina emiliana sembra rimandarel’immagine di una guerra vista da dietro una finestra.Impegnata in un ospedale militare di Caltrano che funge piùche altro da campo di smistamento dei feriti più gravi, la ra-gazza, in alcuni passi, sembra descrivere quasi con epicurei-smo gli eventi bellici che le scorrono davanti, vagheggiando sìil ritorno ai luoghi natii nei momenti più duri, ma giungendoanche a rimpiangere, una volta trasferita, i bei monti vicentinie financo il fermento guerresco che li animava.

Caltrano 3 agosto 1917L’ospedale è nel municipio (un gran palazzo), e ci siamo acco-modate benino; dà sulla piazza ove è la fontana e quindi gran-de comodità di acqua. Nella piazza vi è pure la chiesa che haun altissimo e svelto campanile. […] La popolazione ci ha ac-colto con grande curiosità benevola e quasi ossequiente e laprima nostra passeggiata ha avuto accoglienze talora commo-venti: alcuni vecchietti ci hanno salutato con riverenza, e i bim-bi ci hanno portato i fiori. Ci chiedevano i santini perché ci pen-savano Suore!

4 settembre 1917Ogni tanto si vorrebbe scrivere ciò che più appassiona l’anima,ma un po’ la mancanza di tempo un po’ un timore quasi di sestessi ci trattiene dal farlo. Questa vita è di sacrificio grande,[per] la lontananza da casa e specialmente quando si sappiache i propri cari vivono con l’anima in pena. Come si vorrebbevolare da loro! E come si aspetta la posta! Essa diventa la piùgrande attesa [del]la giornata e quando manca non si desideraaltro che di giungere presto al domani.

5 ottobre[…] Avrei voluto tener conto di tutte le persone che ho conosciu-to ma non l’ho fatto di mano in mano ed ora mi riesce più diffici-le. Intanto oggi che ho poco da lavorare proverò a riepilogare.Comincio dall’unità.Direttore. Il capitano Caccini, un bravo medico, come direttorenon ha polso e la carica gli è di peso; è anche piuttosto nervosoe ha alcune fissazioni, specialmente contro la Croce Rossa. Oraè stato avvicendato.I Capi reparti Dott.r Rocchi e Dott.r. Pampiglione tutti e due ro-mani. Il secondo è rimasto pochi giorni, era persona simpatica

e geniale. Il primo è un carattere prepotente che fino ad ora èstato l’arbitro della riunione; pare abbia un po’ di simpatia perla collega mia, la Bianca Gentili di Roma anch’essa. Mi sembrache la simpatia vada accentuandosi; magari si combinasse unmatrimonio.

[…] I malati e feriti che si hanno assistiti si hanno in genere po-chissime eccezioni fatto, specialmente dopo che siamo aCaltrano vi è ordine ristrettissimo per ospitarli. E dispiace mol-to questo e specialmente se sono feriti di guerra gravi vengonosubito sgomberati negli ospedali dipendenti. Abbiamo spessooperai borghesi e questi vanno dai 13-14 anni ai 77. Pochi giorni[fa] in corsia avevo appunto un settuagenario e nei primi giorniche ero a Caltrano ho avuto due maschietti, uno di 12 e l’altrodi 15 anni; erano stati feriti dallo scoppio di una mina. Il primoera tanto tanto carino, e ogni tanto piangeva; bisognava propriofargli da mamma. Io gli chiesi “ma quando sei guarito ci vuoi ri-tornare sul Paù a lavorare?” e lui tutto spaventato agitando lamanina incolume mi rispose: “No no no! Voglio stare sempre acasa mia”. È rimasto spaventato dallo scoppio.

15 ottobre[…] Mercoledì parto e vado in permesso. Sono felice di riab-bracciare mamà papà le sorelle e tutti i miei; da Nino ho avutooggi una cartolina da Cuneo ove mi dice che nell’ultima decadedi ottobre sarà certo in licenza e così io potrò stare con lui edho preso le misure giuste.[…] Il 17 di ottobre sono ritornata a casa e credevo di passarviuna breve licenza, invece la nefasta sventura di Caporetto hatroncato il mio servizio in Zona di guerra.Vi ritorno solo il giorno 8 giugno 1918. Nello spazio ho prestatoservizio a Bologna ed ho lavorato anche per propaganda e resi-stenza patriottica.

8 giugno 1918Sono arrivata alle 4 e mezzo a San Bonifacio ove ho raggiuntola mia unità nuova, l’ospedale da campo 0.128. mi è stato im-mensamente duro il distacco da casa! Speriamo che il sacrifi-cio possa essere compensato dal lavoro! […] Il 0.128 è specia-lizzato per malarici e così il servizio sarà cosa tutta speciale. Ilpaese ove risiede è tra Verona e Vicenza a sud della strada fer-roviaria; non è niente di speciale, non ameno e non ridente.

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CrocerossineC

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Fanny Castiglioni - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleNumerosissime furono le donne che negli anni del confitto simobilitarono per l’assistenza sul campo ai feriti in battaglia. Le crocerossine, che popolarono i tanti ospedali e i punti disoccorso sorti durante la guerra, con le loro cure riuscirono adalleviare almeno in parte le sofferenze dei soldati.

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FRANCESCO MARCHIO

Le memorie di un falegname di Fiume che va in guerra richia-mato dall’esercito austriaco, finisce due volte in EstremoOriente, combatte per austriaci e zaristi, infine scappa per rag-giungere una donna russa innamoratasi di lui. In questo passoFrancesco Marchio ricostruisce in maniera vivida i tumultuosiattimi della sua diserzione: la narrazione trasuda angoscia eattaccamento alla vita più che retorica bellica.

Smontati dal treno, dopo due giorni di marcia, siamo arrivati alfronte, era circa la mezza notte.Erimo in piena offensiva, in una posizione buona per rimaner, otutti malsacrati, o tutti presi, Prevalse la seconda.Il dopo domani che era il 10 giugno 1916, ondate di paura pas-sava per la trupa, si legeva negli occhi di tutti una preocupazio-ne che superava, che andava oltre il straordinario, era circamezzogiorno, la bolgia aveva raggiunto sproporzioni inenarabili.Erimo dietro una picola colina che aspetavimo l’ordine d’atta-co, sotto una vera pioggia di granate, srapnels mine, mitraglia-trici e fucili. Piutosto bianchi che rossi, si comentava quellatropo ingarbugliata situazione.Si diceva: Questa giornata sarà per noi l’ultima.Uno diceva: povera la mia mamma.Un’altro: povera la mia sorella.Altri: poveri figli miei mai più gli rivedrò. Altri con la fotografia,della sposa, o dei figli, o di altre persone care pareva, volevanodare l’estremo saluto.[…] Sempre più fermi nel proposito di non tornare più in dietro.Oramai la carta era giucata, ci aspetava la morte, avanti, e in-dietro. Se ci prende la fanteria, siamo salvi se ci prende i cosa-chi siamo morti, e se ci assalta i cerchiesi, siamo fati a pezzi.[…] Ora, viene la nostra volta.All’armi! all’armi! All’armi!!!Tutti in piedi. Il fuocco aumentava ancora. Non si sale la colina,un altro ordine, cioè d’imbocare un lungo fossato, alla nostrasinistra, che si scostava gradatamente dal fronte russo.Gli dico all’amico: cambiamo posizione.No! dice lui, questa mi da l’odore di una ritirata. Io no, e lui si.Inverita era una ritirata, e che ritirata. Io però pensai di dareesecuzione al mio progetto, che era quello di non ritirarmi.Chiamai l’amico, sempre di corsa ma l’amico non c’era più ciavevimo smariti.

[…] Ora sicome tutti i mali non vengono per nuocere, pensai diriparare in un bucco fato in quel momento da una granata, per-ché dificilmente cade un altra nella medesima posizione datolo squotimento del cannone. A un centinaio di metri, vedo, unsoldato che si sbaraza del zaino, tascapane, fucile ecc. e co-minciava corere da sinistra a destra, io sapevo che da quellaparte erano i russi, ma non gli avevo ancora visti, perche la co-lina me lo impediva. Tutto questo in meno che non si dica.Abbandonai l’idea del buco e mi sbarazai di tutto, e di corsaverso i russi. Non avevo più forsa, ero ridoto ai minimi termini,non escluso il pericolo di venire ripresi della cavaleriaAustriaca. La testa era giucata un tutte le maniere.Fatti un quattrocento passi, vedo il mio plotone senza armi, coni fasoletti bianchi, in segno di resa, e sempre di corsa, nel qualcaso non potevo mai ragiungerlo, perche io dovevo corere al do-pio, imaginarsi chi poteva corere il doppio, si tratava, di non mo-rire. Stavo per guadagnare la cima della colina quando mi sipresenta soldati a cavallo che non avevo mai veduti, Eramo(cierchiesi) Questi sono turchi, hanno tutte le carateristiche delnomade, non e che le spade, lancie, e l’imancabile pugnale, chelo portano alla cintola anche quando vano a leto, feroci per ece-lenza, vestono come vogliono, chi ha i calzoni rossi, chi bleu, al-tri verdi ecc. Portano una bereta di forma cilindrica […] qualchecosa di spaventoso il vederli, strisciano per l’erba con il pugnalefra i denti, senza rendersi accesibili al nemico.A quella vista cominciavo a smarirmi, non sapevo più se ero io,se ero un’altro se sognavo, se ero in cinematografo, se legevoqualche romanzo d’aventure. In un sforzo supremo, riebbi la ra-gione e mi considerai morto.Veloci passavamo vicino al mio plotone, tirando colpi di spada,e di lancia, che venivano scansati, anzi schivati con meraviglio-sa abilità. Esausti fino che si vuole ma si tratava che passatoquel pericolo, non c’era più guerra per noi, sono momenti quelliche si diventa d’acciaio. Allora racolsi tutte quelle forze chenon avevo più continuai la corsa sempre contro i cerchiesi unamossa per scapare la testa era persa.Ora sicome i primi non erano tanto compati, potei, sgataiolareun po a destra un po a sinistra, in modo da passare tra l’uno el’altro, finché trovai i primi soldati russi, cioe la fanteria.Li mi sono un po rassicurato, feci un ultimo incomparabile sfor-so, dove guadagnai il di dietro della colina.

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DisertoreD

GIUSEPPE MANETTI

Giuseppe Manetti ha trentadue anni quando viene richiamatosotto le armi e costretto, suo malgrado, a partecipare allaPrima guerra mondiale: in questo brano racconta nei dettaglila ritirata dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto,descrivendo le azioni e lo sbandamento dei soldati, gli incendi,la distruzione e i saccheggi lungo il cammino.

27 Ottobre 1917circa alle ore 7 si difonde la vocie che li austriaci anno sfondatola linia dalla parte del monte Nero ma io per il primo non ci cre-do pe la prima dissi con i miei compagni può essere ma la se-conda o la terza come sarebbe questo è impossibile! specie incosì poco tempo. più tardi le voci diventano più difuse al finedel giorno realtà perché anche a noi viene l’ordine di ripiegare eabbandonare la linia.circa alle ore, 19, sull’imbrunire si vede più qua, e più scoppiarecome vampe di foco formidabili sul principio si crede a dellegrandinate incendiare ma più tardi di pole capire di chi si trat-tava.in faccia a noi, sulle pendici del vallone Doberdò ci avevano riz-zato un’infinità di baracche per ricoverare tutti i soldati tutte dilegno, nellandare della notte queste baracche un ciuffo prima euno dopo si vedeva una gran vampa di foco che faceva luce perdelle diecine di chilometri di circonferenza e in seguito a que-sto bruciare, le baracche, per così dire non si trattava di bru-ciare le baracche ma pareva che prendesse foco tutte quellecolline pareva essere in mezzo all’Inferno da ogni parte da ogniluogo si vedeva di questi incendi più tardi ancora si innalzadelle nove vampe ancora più grandi accompagnate da un rom-bo e da una scossa del terreno quasi da buttarti per terra ci le-vava il fiato per 10 secondi ci faceva salire il cuore alla gola,per quanto questi rombi e fiamme si vedessero a distanza di 2,o più chilometri circa nessuno si poteva fare in idea di cio chefosse perche granate anche da 420 non potevano fare un talrumore e più non si sentivano veniresi passa così 5 o 6 ore si può dire in mezzo all’inferno o peggioancora non so spiegarmi.poi circa alle ore 2 del 28 ci fu detto, e si poté capire di che sitrattava: tutti quelli incendi erano prodotti da dei tubi di benzi-

na buttati in mezzo alle baracche, e poi messo foco capiretequando arrivava entro la benzina scoppiava il tubo e bagnavadi benzina tutto il legno potete in maginare quale vampe si al-zava e questo lo facevano i nostri soldati perche costretti a do-vere abbandonare le posizioni prima di lasciarle in mano al ne-mico, quei rombi e scosse, erano prodotti da l esprosione deicannoni di grosso calibro in trasportabili 280 e 305 medianteun tubo di gelatina che li faceva scoppiare.alle ore 4 ci fanno preparare tutta la roba e si parte, quandosiamo a Doberdò pieno la strada di soldati di tutti i reggimentisi dové fermarsi per dar corso adessi nel frattempo arrivò 3strap da 151 calibro proprio sopra a noi ma come dio volle nes-suna disgrazia si seguita il camino quando siamo in cima aduna collina che si vede tutta la pianura dell’Isonzo quale effet-to!! si vedeva da tutte le parti incendi per tutti i paesi pertutti ibaraccamenti, in somma eravamo in mezzo alle fiamme tuttobruciava quando si trattava di cose militari.qui in cima a questa collina ci eunaltra linea di resistenza tuttain cemento armato anche questa incavata nella roccia quantolavoro quanto sudore ci resta su queste colline oltre a tutta lagioventù e tutto il sangue e tutti i sagrifici sopportati in duemesi di guerra, eppur per quanto sia antiguerriero per naturami era tanto dolore abbandonare tutto quello, si seguita il cam-mino accompagnati dalla pioggia.[…] la mattina del 29 ci alzammo circa le ore 7 mi pareva di es-sere tornato al mondo.Mi misi a parlare con un borghese questo mi dimostrò che il ri-torno delli austriaci li dispiaceva per quanto egli fosse natosotto quel governo edanche delle donne si dimostrarono di-spiacenti, ci e una gran confusione di soldati, chi va chi viene,passa artiglieria, passa genio, passa soldati, e materiale di tut-ti i reggimenti ci si domanda tra noi quale catastrofe suciede? […] La mattina del 1° Novembre 1917 ci fanno andare in secon-da linia dietro l’argine del fiume qui il saccheggio crescie a par-te per conto mio che sono stato tanto timido di non approfit-tarmi di niente ne di roba da mangiare ne di altro perché erotanto addolorato nel vedere tutte queste famiglie costrette adabbandonare i suoi averi la sua santa dimora e piu vedere cioche va sciupato specie il vino!!!

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 39

DisfattaD

DOMENICO BACCI

Il ricordo di un sacerdote che ha vissuto al fronte la Primaguerra mondiale: le sue memorie militari si intrecciano conl’esercizio del ministero sacerdotale. La pagina che segueracconta lo sbandamento dell’esercito e dei civili dopo laritirata delle armate italiane dal fronte carsico, nel 1916.

La ritirata delle nostre valorose Armate da tutto il frontecarsico, giunse a noi sul S. Michele dove da poco tempo vierano stanziati, inaspettata, sbalorditiva e irrazionaleconsiderato l’alto morale che animava i combattimenti! […]Era notte avanzata!…silenzio sul nostro Fronte, e rombo dicannone sul Fronte opposto!Scendemmo il Monte, preceduti dalle nostre Truppe, eattraversammo il Ponte di Peteano, Ponte sul fatidico fiumeIsonzo!… Non appena ci fummo assicurati che tutti eranopassati, furono poste le mine e fatto saltare il bel Ponte, chericordava il sacrificio di innumerevoli vittime.Di qui, passammo attraverso Gradisca in fiamme alimentatedai grassi della Sussistenza, e tra il fumo e il fetoreammorbante, in breve tempo giungemmo a Cormons.Confusione babilonica indescrivibile!… vera confusioneapocalittica, della quale nessuno potrà ritrarre l’orrore, ildisordine, la degradazione di un esercito, di più eserciti,abbandonati al disordine, all’ubriacatezza, alla licenzasfrenata, alla vendetta, al furto, al delitto!La piccola piazza rigurgitava di soldati misti agli Ufficiali, inpreda al vino, delle cantine e dei bar svaligiati, da far pietà!…Tutti i combattenti, piccoli e grandi, si erano strappate lemostrine, per nascondere l’Unità militare cui appartenevano!Tutte le viuzze della cittadina, formicolavano di soldatiammassati insieme a borghesi, uomini, donne, bambini, vecchi,malati, sofferenti, inebetiti dalla paura, cui contrastavano icanti e gli urli degli ubriachi, e i pianti dei piccoli che avevanosmarrito la mamma, e le mamme che avevano smarrito ibambini!… spettacolo da far pietà.Si vedevano molti scalmanati prendere d’assalto negozi,cantine, bar, calzaturifici, oreficerie, orologerie, panetterie,salumerie, macellerie, e abitazioni abbandonate dai padroniimpauriti… a far mambassa di tutto riempiendo sacchi, efagotti fino all’impossibile, servendosi di lenzuoli e di coperterubati!… […]

Fra quella folla incomposta, disordinata, rumorosa ed eccitata,senza guida, senza indirizzo e improvvisamente depauperatavidi un giovane a cavallo, certamente un soldato, che si eragettata a tracolla una bellissima stola sacerdotale di setagiallo-oro, con fiorami a colori, rubata indubbiamente inqualche chiesa; e che si atteggiava a “maresciallo”comandante di quel disordine, gridando a destra e a sinistra,quasi volesse rimettere ordine in quell’immenso disordine!Appena lo vidi, corsi a Lui imponendogli di consegnarmi quellastola! Egli si oppose, e io feci mossa di prenderlo per unagamba e tirarlo a terra! Allora mi cedette la Stola, che presi,portai a suo tempo in famiglia, feci ripulire e conservai comeprezioso ricordo di guerra. […]Da Cormons prendemmo la via conducente a Latisana,credendo di poter proseguire attraversando il Ponte, per poiraggiungere il Piave. Questo tratto addivenne un tormento,cotanto penoso che non potremo mai dimenticare.Il disordine si fece ancora più caotico, […]. Pioveva a dirotto!…la strada assai stretta, tra il fango e la pioggia si era resaimpraticabile!… ai lati della strada, canali in piena allaganti icampi vicini! Tra le nuvole ronzavano gli aeroplani nemici, chedi tanto in tanto lasciavano cadere qualche bomba. Il panicoera generale.Tra la folla in maggioranza a piedi, bambini piangenti attaccatialla sottana della mamma!… vecchi e vecchie impotenti sivedevano d’impaccio a coloro che volevano camminare! Carriagricoli sovraccarichi, di masserizie, di donne, e di fanciulli!Barocci e baroccini pieni fino all’impossibile di persone d’ognietà e condizione!… malati che languivano distesi sopra carrettivecchi e sgangherati!… persone, e fra queste, molti Soldati, chesi trainavano dietro dei cavalli, die muli o dei somari!… altri cheguidavano gruppi di tacchini e di polli!…Impossibile descrivere al minuto quella scena!Per diminuire il disordine, alla fine fu dato ordine ai carabinieridi gettare nei campi o nei canali vicini, tuttociò che era dimaggiore ingombro, e quindi giù bestie, giù carri, giù birocciecc. senza imprecazioni e opposizioni! Eccoci sul Ponte diLatisana che attraversa il Tagliamento. Confusione ancoramaggiore! Tutta la folla, compresi Soldati e Ufficiali, direttiverso il Ponte S. Vito al Tagliamento!… la ragione non si seppe;almeno io non la seppi.

40 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

DisordineD

JONE LEPORINI

Le lettere che Jone, giovane insegnante marchigiana, scrive al-l’amato Vincenzo, militare durante la Prima guerra mondiale ecombattente sul fronte italo-austriaco: una donna che vivenell’attesa del ritorno, impegnandosi nel lavoro e occupandosidelle “domestiche cose” sempre in equilibrio tra il dovere ver-so la famiglia e il desiderio dell’autonomia decisionale.

Ascoli P. 2-7-916Carissimo Vincenzo[…] Io vorrei arrivare alla fine della guerra senza intaccare il no-stro gruzzolo già troppo esiguo pei nostri bisogni: che se do-vessi consumare anche quello non saprei più su cosa sperare evedrei avverate tutte le mie tristi previsioni. Se ne sono avvera-te già tante! Come ti ho detto nella cartolina-vaglia, sono stataper qualche giorno malata. Certo nelle condizioni d’animo tri-stissime in cui son posta, ho abusato troppo delle mie forze equeste non bastano, per quanto sfruttate, a darmi quel tantonecessario a edificare, da sola, il nostro nido. Sono stata dun-que malata e sono così stanca ed esaurita anche ora! Ma stasicuro: io vivo in mezzo ai dottori. Attorno al mio letto ho avutoZannoni e Cardi. È vero che il primo scherzando mi diceva: condue medici attorno l’ammalato muore di certo. Ma io son viva!La scuola non si chiuderà che alla fine di luglio. Ho lasciato laripetizione serale alle Angelini; entro quest’altra settimana milasceranno anche Virdia e Vecchiotti che vanno in campagna:mi restano tuo fratello, un altro ragazzetto che ho preso ulti-mamente e una bambina che per ottobre devo preparare perl’esame di prima in seconda. Per settembre ho altri impegni. Sepenso che l’improba fatica mi frutterà si e no 100 lire, mi vienvoglia di pensare piuttosto alla salute. Ma non potrei smettere.Tu forse non mi comprendi perché troppo poco quando sei sta-to qui ti sei preoccupato di fare in modo di sposare presto ebene. Hai fatto troppo a modo tuo e ti assicuro, perdonamiVincenzo, che ho rimorso di non aver saputo, con tutte le buonemaniere, con tutto il mio amore, trarre maggior utile dai tuoiguadagni. L’utile per tutti e due, intendimi. […]

Ascoli P. 16-12-916Carissimo Vincenzo mioebbi giorni fa la tua lunga lettera attesissima e graditissima: l’ultima tua fotografia mi piace e l’ho cara. Sei tu, con la tua

deliziosa pozzetta mia che mi fa fremere per tanti ricordi. Nonsei preso bene, ma io ti rivedo chiaramente. […] Grazie dunque,Vincenzo mio, di queste fotografie che ho gradito immensamen-te, per quanto sono arrivate ben tardi per il mio desiderio. […] Io sono, in fondo, sincera solo nei momenti buoni: perdona-mi dunque tante mie stranezze, nate dalla nostra lontananza,dal sospetto messo in me da tanti fatti a te noti, dal mio amoreche non è mai sazio di te. Pensa che tutto passerà quando sa-remo in pace e più quando sarò tua. Un’altra cosa mi addolora,di non poterti mandare, per Natale, un bel pacco “magnifico”che sollevi in qualche modo l’animo tuo, che, in quei giorni, saràproprio solo. Godrei tanto di poterti mandare il segno del mioamore premuroso e vigilante, perché se tu non sarai sereno inquei giorni, io sarò sconsolata in mezzo agli agi di casa mia.Avrò tutto e tutti e non avrò nulla e nessuno senza di te. Pareche abbiano sospeso l’invio dei pacchi: sarà vero? In ogni modo,il mio subirebbe un enorme ritardo. Come fare? Poi tu non saraipiù ove sei ora e chi sa se i pacchi ti perverranno? Consigliamitu come devo fare. Ora io so che tu aspetti da me uno sfogo po-litico pel vile agire della Germania. Credi che io sarei contentadi una pace o di una tregua? NO. Ti do ragione. La Germania havoluto la guerra quando era comoda, vuole la pace quando le acomodo? Ci possono essere degli italiani pronti ad acconten-tarla? Io passo nel tuo numero. Guerra sino alla vittoria!!

S. Benedetto 22-8-917Vincenzo mio[…] Rimarremo io e Mimma sole quaggiù. Se sapessi Vincenzo,che vita spensierata menano le bagnanti! È una vergogna! Illusso è mai visto. Ma io non mi curo di nessuno. Stamattina èstata vista in alto mare una torpediniera. Un po’ di panico fin-ché non s’è saputo che era italiana. Ieri sera passò un treno diferiti. Quando passò sopra al ponte da cui si vede il caffèAdria, essi fischiarono fortemente tutte le signore e signorineche stavano lì a civettare prendendo il gelato. Ma l’hanno ri-detto certe signorini che erano lì con le altre. Non è una vergo-gna? Tu pensa che in questo momento terribile nessuna piùdella tua Jone compie il suo dovere di Italiana. Ti sembra unaesasperazione? Lascio di scrivere per ora. Vado ad impostare:poi al mare, davanti al quale siedo, lavorando il centro del no-stro comò.

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DonneD

EFISIO ATZORI

Il militare sardo Efisio Atzori non ha ancora compiuto vent’an-ni quando lascia l’Accademia di Modena alla volta del fronte,nei pressi di Trento. L’euforia con cui affronta questa nuova fa-se lo porta a fare incetta di esperienze e oggetti: certificatidella sua presenza nell’esaltante impresa collettiva che pun-tualmente racconta per lettera alla propria famiglia. Efisiomorirà di lì a poco, combattendo, come scrive un quotidianolocale, “con la fede e l’entusiasmo della sua bella e ardentegiovinezza”.

Zona di guerra 24/4/16Miei cari,[…]. Mi ripetete sempre che volete i fiori delle alpi. Quandoquassù sarà primavera se la neve sarà sciolta ne potrò trovarequalcuno. Son fiori rari e nascono nei punti più alti e più diffici-li. Ad ogni modo spero procurarne, ho raccomandato anche aimiei soldati. Qui è pieno inverno, 15 gradi sotto zero, c’è un val-lone dove ci saranno una ventina di metri di neve, quindi i fiorisono lontani. Pazienza, verranno anche quelli […].

12/5/16Carissimi,[…]. Vorrei raccontarvi la bellezza della Valtellina, che io hopercorso completamente a piedi, anzi presso Cepina, mentre isoldati facevano il bagno ai piedi in riva all’Adda ho colto i pri-mi fiori visti in questa primavera. Di violette ce n’è una quantitàfenomenale. Fra violette e non ti scordar di me i campi perdonoil loro verde per prendere il colore dei fiori. Questi pochi fiorelli-ni serbateli per mio ricordo. Quassù la primavera non esiste ilghiaccio e la neve c’è tutto l’anno e lo stato normale è la tor-menta. Di notte il freddo tocca i 35, 40° sotto zero, ma io nonsoffro, in 2 giorni abbiamo avuto 4 soldati coi piedi congelati,da qualche giorno non mi lavo la faccia, ma in compenso stobene di salute. Continuano a sparare cannonate, si vede che non pensano al lavoro che anche per loro il trasporto delle mu-

nizioni ch’è difficilissimo. Io son contento perché nella posizio-ne in cui ci troviamo siam penetrati per oltre 15 Km in terre re-dente, Se si potesse salire una montagna che abbiamo difrontepotremo (col cannocchiale) vedere la nostra cara Trento […].

Temù 24/5/16Carissimi,[…]. Questa carta con la quale vi scrivo l’ho trovata in una ca-verna austriaca, ho trovato un libro da messa scritto in polaccodelle imagine e due aldewais. Sono i primi che ho trovato sonstati colti da un austriaco forse già morto, sarà un bel ricordolo stesso.Ed ora posso dirvi che tutto il ghiacciaio dell’Adamello è con-quistato anzi la nostra compagnia in certi punti è entrata inmezzo ai boschi della Val di Genova. Col mio plotone son scesoper 1002 metri in un pezzo di territorio di circa 8 Km.Ho colto altri fiorellini a quota 2352 i primi che ho visto dopo 12giorni di ghiacciaio. Ho raccolto qualche oggetto austriaco eappena mi verrà conveniente ve li invierò. Conservatemi tutto.Volevo pigliare un fucile ma mentre sono andato giù ilComando di reggimento ha inviato a ritirarli tutti. Ne troverò al-tri in seguito. Ho preso anche la borraccia ed ora posso portar-la perché l’ho presa io. Ho fatto bene a non accettare quellache voleva darmi il Signor Mereu.Come vedete anche i sardi resistono a 3354 metri dove granparte dei montanari nati gelano per il gran freddo, io ci resistobenissimo e benché sia stanco (più per il sonno perduto cheper altro) mi sento benissimo e in perfetta salute. Oggi ho rice-vuto la vostra lettera dove mi dite di aver saputo che io cambiozona e vado nell’Adamello. Invece io ci son già stato 12 giorni eson già giù. È abbastanza svelto il nostro giro di corriere!!!Salutatemi tutti, la comitiva i parenti gli amici in genere e voiricevete i più caldi e affettuosibacioniEfy

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EdelweissE

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EroiEGASTONE BASSI

Cinque anni dopo la partecipazione alla guerra, un capitano dicomplemento fiorentino ricostruisce dai suoi appunti del tem-po diverse azioni belliche. Serrato è il susseguirsi di impreseeroiche, tutte descritte con un linguaggio preciso, enfatico easettico insieme, volto a lodare il proprio e l’altrui coraggio.Anche riconoscere i primati del nemico diventa così un modoper glorificare il valore dell’esercito italiano.

[Dicembre 1917] La seconda compagnia, a destra, dette l’allar-me troppo presto.Intuii il pericolo, balzai in piedi col bravo sergente Stucchi, persuperare rapidamente la breve distanza, ed urlai raucamente:– Savoia!…Le mitragliatrici nemiche apersero il fuoco insieme e c’inchio-darono. Ci gettammo ancora a terra sotto la grandine di colpi.Con la testa puntata dietro un grosso sasso sentivo il breve si-bilo rabbioso delle pallottole, impossibilitato di muovermi. Ifanti a terra, come compressi contro il terreno, aspettavano.Pareva aspettassimo la morte. Il fuoco nemico sostò; come ob-bedendo ad un ordine ci trovammo ancora in piedi ed a testabassa ci lanciammo urlando contro il nemico.Ma le inesorabili Schwartzlose stroncarono ancora il nostrotentativo e ci costrinsero a rinunciarvi. Mentre ci apprestavamoad un penoso e difficile ripiegamento, con un improvviso con-trattacco numerosi nemici ci avvolsero sul fianco destro e conun tremendo lancio di bombe a mano riuscirono a catturareIngignoli col suo primo plotone. Tentai intervenire, ma il sover-chiante numero degli avversari mi costrinse a recedere dal pro-ponimento.Catturammo alcuni uomini ed un ufficiale ferito ad una gambae ripiegammo affranti presso le caverne sulla linea conquistatail giorno prima. Ci restammo: eravamo ridotti in pochi.Dall’ufficiale prigioniero un bel giovanotto biondo, Zarantino,sapemmo notizie preziose sull’efficienza del nemico, potentis-sima sotto ogni riguardo, e tale da stornare ogni velleità di agi-re profittevolmente nell’enormi condizioni d’inferiorità in cuieravamo.Ma non era finito il nostro compito: alla 10 del mattino un ordi-ne ci lanciava ad un secondo assalto, a mezzogiorno ad un ter-zo, alle due ad un quarto; l’ultimo! E tutti disgraziati.

Ma il generale Di Giorgio “voleva” la quota Col Berretta. Noi non gliela prendemmo –come nessun poteva prenderla- ed egli sfogò il suo sdegno non dando corso alle varie proposte di ri-compense!Ma noi sapevamo di aver fatto intero il nostro dovere. Quantipoveri fanti lasciammo lassù e quanti buoni e cari colleghi![…] E quanti altri! Il battaglione era ridotto a poco più di centouomini. E pensare che, stanchi e sfiniti come eravamo, si avevadi fronte freschissima la Divisione Edelweiss, la bellissima edimbattuta dell’esercito nemico! Mi preme ricordare, a titolod’onore, che la mia Brigata Massa Carrara era chiamata permotteggio dal nemico: Massa Cattiva (Massa, in friulano, signi-fica molto ) ed i fanti se ne gloriavano, a buon diritto.Col Berretta voleva ancora da noi delle vittime, chè alcune mi-tragliatrici nemiche appostatesi su di un costone che ci domi-nava di fianco presero a batterci senza che noi trovassimo altroriparo che qualche tronco d’albero o qualche lieve prominenzadel terreno. Col coraggio della disperazione, con tutte le nostrearmi controbattemmo furiosamente finché le Schwartzlosetacquero, dopo averci ancora dilaniato. La 7° compagnia delCapitano Mariton, era rimasta interamente falciata dai tiri cheavevan fulminato i fanti nella loro posizione di vigile attesa.Finalmente, su quella seconda giornata di tragedia (date ino-bliabili: il 10 e l’11 Dicembre) calò la sera a portarci un po’ ditregua. I fanti, avvolti in teli di tende, si gettarono a terra fiac-cati, mentre in sei o sette ufficiali ci cacciavamo nella brevecaverna ingombra d’indumenti austriaci, di elmetti, di cinghie,di giberne, da cui esalava un odore nauseabondo di untume edi cattivo tabacco e da cui, anche, emigrarono legioni di pidoc-chi a far causa comune con quelli che avevamo già a tormen-tarci da un pezzo.Da due giorni non si mangiava; mi cacciai nello stomaco duepugni di neve che frattanto era caduta, ma quella mi aggiunseil tormento della sete. […] Nella notte ebbi ordine di costituireuna pattuglia per avvicinarmi alle posizioni nemiche esplorarela zona e procurare di scoprire gl’intendimenti dell’avversario.Uscii all’aperto; la neve caduta aveva velato di candore la tra-gedia dei due giorni. I fanti giacevano a terra, e non mi fu facilecomporre il drappello perché molti che chiamavo sottovocescuotendoli, dormivano il sonno della morte.

ANTONIO SANTO QUINTINO PREITE

Un giovane soldato descrive la vita di trincea nel Carso. Tra leopposte linee di guerra, distanti spesso pochi metri, dove isoldati si consumano in attesa di assurdi assalti frontali, sicompie il massacro di centinaia di ragazzi mandati allaconquista delle posizioni nemiche. L’inferno del corpo a corpoè un’esperienza che Antonio non può dimenticare.

La mattina del 24 aprile [1916], appena i primi raggi del solecominciarono ad illuminare l’universo intero, il nemicoincominciò a bombardare la nostra prima linea con tiri bengiusti e con un’attività che a otto mesi che avevo partecipato inguerra, giammai era stata così attiva e così precisa. Le granatenemiche scoppiavano sulle nostre trincee seminando stragi emorte. […] Verso le ore 1 di notte stavo per dare il cambio allevedette che si trovavano con me sotto il cunicolo 8 bis; nelmomento in cui stavo cambiando l’ultima vedetta di punta,davanti al rimboccatura sento un rumore: senza nessunaimpressione cominciai ad osservare da un feritoia più vicina: inostri soldati, che erano sul San Michele, per combinazioneavevano buttato in aria un razzo luminoso, di quelli aparacadute. Io, aiutato dalla luce di quel razzo, m’accorgo chegli Austriaci erano usciti dalle loro trincee, con le baionetteinnestate erano distesi a terra, aspettavano forse il comandodal loro ufficiale per venire all’assalto contro di noi. Miimpressionai molto vedendo il nemico vicinissimo e, cosìpreparato, mi rifeci animo e incominciai a gridare come unpazzo con tutta la forza dell’animo mio: “Battaglioni: baionettain canna, fuoco!” I rincalzi alla nostra linea erano già arrivati eallora i nostri aprono una fucileria infernale. Gli Austriacicominciarono a menare bombe incendiarie e mozziconi carichi didinamite e gelatina, vedevi l’inferno! I nostri, al mio grido, eranopronti ed ognuno aveva preso posto alle feritoie e con labaionetta innestata aprirono il fuoco. Ad un fiato sentiamo unmondo di voci gridare: “Urrà! Urrà!”. A questo grido i nostri piùs’inferocirono e, tutti un’anime e un sol pensiero, incominciaronoa fare fuoco; le nostre mitragliatrici entrarono in azione. […]Dopo un’ora e forse più di accanita fucileria, il nemico, perdutaormai ogni speranza di conquista, dovette ritirarsi nella loro lineadi partenza, lasciando centinaia di morti e di feriti sul terreno,cioè davanti alla nostra prima linea. […]

I poveri Austriaci feriti a morte giacevano sul terreno, gridavano esi lamentavano, forse chiedevano aiuto, ma chi li poteva aiutare?Nessuno! In verità ti veniva compassione a sentire tanti lamentidi quei poveri disgraziati, che pure loro erano giovani e padri difamiglia, e per adempimenti di dovere verso la Patria lororestarono chi morto, e tanti altri feriti sul campo di battaglia. […]Il giorno 28 giugno fu un giorno molto ventoloso, e l’acqua cadevasenza tregua, che noi eravamo tutti bagnati da capo a piedi.Verso le ore 6 venne dato l’ordine di andare all’assalto.Innestammo tutti la baionetta e, pronti, aspettavamo ilcomando del nostro Capitano. Finalmente sentiamo gridare“Avanti Savoia”.Ufficiali, graduati, e soldati, tutti un’anime, uscimmo dalla trin-cea nostra; arrivammo senza nessuna perdita nella trincea ne-mica, ma la trincea nemica era stata costruita di cemento, enon si poteva entrare da nessuna parte. Con vanghette, piccoz-zini, a colpi di baionette, potemmo fare qualche buca ed entra-re dentro; intanto il nemico che ci aveva visto il nostro movi-mento, incominciava a tirare con le loro mitragliatrici, che era-no state ben piazzate sopra il San Michele, e ci pigliavano aifianchi, e seminavano strage.Un mondo di feriti giacevano a terra senza fare nessun movi-mento, parecchi dei nostri soldati, per mezzo di qualche bucache avevano fatta, erano penetrati dentro. Io ed il Tenente CoenMosè, leccese, entrammo da dentro una buca.Ci accorgemmo che c’erano parecchi fili telefonici, a colpi divanghetta li tagliammo; in quel momento sentiamo i nostri sol-dati gridare “Savoia”. Gli Austriaci che erano dentro gridavano:“Urra!”.Insomma, venne una lotta corpo a corpo, non si sentiva altroche gridi, spasimi, lamenti, colpi di baionette… insomma, nonsi capiva niente! Veduto il pericolo che gli Austriaci erano statifino a quel momento vincitori, io con il Tenente Mosètagliammo i fili telefonici e cercammo di uscire da quellatrincea. Appena usciti, una bomba a mano che gli Austriacibuttarono a noi venne a ferire il Tenente alla schiena. Vado peraiutarlo e m’accorgo che gli Austriaci, per mezzo di un lorocamminamento scendevano alla prima linea. Allora avverto iltenente, lo piglio a spalle e via! Lo strascino alla nostra linea dipartenza, passando in mezzo al piombo nemico.

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EsperienzaE

ALFONSO LUCARINI

Alfonso Lucarini di Camaiore (Lu) alla fine della guerra comin-ciò a scrivere le memorie dei fatti appena vissuti sulla base dialcuni appunti: la vita della trincea, la disfatta di Caporetto, laprigionia in Austria-Ungheria con la vivida descrizione di uncorpo frastornato dal viaggio, piegato dal sonno e divorato dal-la fame.

[1917] Arrivati che fummo stavamo in attesa di mangiare, ma diquesto niente si trattava; e così bisognò coricarsi, bene leggieridi stomaco, in baracche ove l’acqua veniva dentro a più nonposso e così alla meglio, tra il sonno, che era qualche notte chenon dormivamo più, e la stanchezza, finimmo coll’addormen-tarsi, ove ricomparve il giorno, sperando che ci avrebbero datoqualcosa a mangiare. Mi affaccio sulla porta della baracca ovevedo unaltra quantità di prigionieri giunti da poco, anche loroaspettavano di sazziare un poco lappetito e difatti si vedevanograndi marmitte che bollivano a grande velocità; tutti dicevanocosa bolliranno di bello, lappetito era al colmo e dopo qualchemezzora si mettono a distribuire quella roba che tutti curiosi ecolla voglia di mettere in bocca qualcosa, saltiamo tutti inmucchio intorno alle marmitte, al rischio di rovesciarle al suoloper rimanere allo sciutto; in una parola, a forza di pigiare, miriuscì prendere un mescolo di quella roba che non era altro cheacqua bella chiara un poco indolcita. Alla sera ci fu quasi comeper miracolo del cielo una mezza pagnotta ove se la diluviam-mo in un attimo, assieme con un mescolo di rape tagliate aquadretti a guisa di minestra, donde poi tornare di nuovo a co-ricarsi nelle baracche che bisognava adattarsi a rimanere unosopra latro per scarsità del posto e la quantità di prigionieri.[…] La mia compagnia prese dimora in un bosco, nei dintorni diCernizza ove si adattaromo in baracche che sembrava quasiessere rinati, avendo sofferto quattro o cinque giorni di fame,fradici dallacqua e dalla fanga ove qualcuno toccò lasciarsi lapelle, forse polmonite fulminante. La vita passata a Cernizzanon era gran male, poiché ci alzavamo la mattina alle sei, pren-devamo il caffè e se ne andavamo in giro per quei dintorni […].Alle due dopo mezzogiorno ritornavamo alla baracca ove unagavetta di rape e qualche segnale di patate stava ad attendersi;

un mezzo chilo di pane assai mangiabile, unaltro mescolo dicaffè […]. Trascorsimo così un mese a quella maniera, ove unpo’ d’appetito si sentiva ma non quella fame che mi credevasoffrire. Viene ordine di riunire le compagnie e partire per ilconcentramento il quale il due dicembre prendiamo il treno al-la stazzione di officina […]. E dopo un lungo aspettare si muoveil treno in direzzione di Lubiana. Inutile tenersi fermi e a posto;la fame per qualche compagnia era già al colmo; ogni qualvoltache si fermava tutti col busto sporgente in fuori al vagone mo-stravamo ai borghesi chi un coltello, un fazzoletto, un paio dicalze e qualche oggetto che fino a quel momento n’avevamoavuto in abbondanza, e mostrando con mani allungate quellaroba gridando: Prut, prut, la prima parola imparate per tedesco.Qualcuno trovava da fare affari riuscendo portar via qualchepezzetto di pane in scambio di roba, qualcunaltro rimaneva al-lo sciutto, rimettendosi il treno in moto, e così rimaneva col-l’occhi fissi su quelli che mangiavano facendosi venire lacquo-lina in bocca. Arrivati dopo dieci ore a Lubiana […] ci mettonoper quattro in direzzione di baracche ove ci avevano preparatoun poco di acqua calda con un po di essenza di rum, un pezzet-to di salame nella quantità di cinquanta grammi; e via un dietrolaltro in baracca, dove no ci si capiva nemmeno ritti. […] Allasera del terzo giorno veniamo messi in partenza e via in direz-zione della stazzione ove un lungo treno stava preparato. […]Fu presto fatto a imbarcarci e dopo qualche ora di cammino cifermiamo, ove corre la voce che è pronto il rancio. Tutti a orec-chi tesi ascoltavamo i passanti; che andavano avanti e indietro;dialoghi che non capivamo una acca; attendevamo ansanti lor-dine di mangiare; come infatti giunge lordine e qui in riga frabinari ci conducono in direzzione d’un baraccone ove un vapo-retto fitto faceva a gara per uscirne fuori esalando un odorinoche faceva venire, a noi tutti affamati, l’acquolina in bocca.Porgo la gavetta a mano tremante quale vedo rovesciarmi unmescolo di farinata con qualche pezzetto di carne, ove faccioritorno nel vagone, mettendone in bocca mezzo cucchiaio pervolta, per timore di finirla troppo presto. Inghiottita quella fari-nata bollente sembrava, benché fossi ancora un po leggerino distomaco, essere risuscitato.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 45

FameF

LUIGI MERLINI

L’impiegato fiorentino Luigi Merlini, in questa breve memoriascritta appena dopo la vittoria, racconta la disastrosa ritiratadi Caporetto, denotando un particolare attaccamento al ter-reno perduto: un suolo bagnato dal sangue e sferzato dallapioggia.

[Ottobre 1917] La seconda e la terza Armata a destra, la quartaa sinistra, avevano l’ordine di ripiegare sul Tagliamento, con-tendendo al nemico palmo a palmo il terreno, onde dar tempoai carreggi, alle artiglierie, al grosso dell’esercito, di passare iponti. […] Descrivere il nostro stato d’animo all’annuncio è im-possibile. Era un sogno, un terribile sogno, non voleva entrarein testa che fosse una realtà. Ci guardavamo in faccia instupi-diti, increduli di quanto sentivamo, profondamente accasciati.Lasciare quelle terre ridivenute nostre a prezzo di tanti sacrifi-ci, bagnate col sudore della nostra fronte, colle lacrime dei no-stri occhi, col sangue delle nostre vene, quelle terre di cui ognimetro possedeva il cadavere di chi l’aveva conquistato coll’olo-causto della propria esistenza. Il 230° andò sul monte Quirino asbarazzarvi la strada che da Vercò viene verso Cormons, sboc-cando sulla strada principale che da Bazzano va a Cormons; enoi del 229° dovevamo stenderci lungo detta strada principalefacendo da collegamento coll’85°, che stava a protezione delponte sull’Indrio a poca distanza dal paese di Brazzano.Dopo vari spostamenti all’interno del paese, ci stendemmo incatena di combattimento lungo la strada, delle “gran guardie”nelle baracche e infine la “riserva” nel paese.Insomma una perfetta applicazione del regolamento sul “servi-zio di sicurezza in stazione” che tanto ci aveva fatto sudarenelle istruzioni prima di andare al fronte, ma che al fronte, collaguerra in trincea, non aveva servito a niente. Per miglior consolazione alle nostre fatiche, ecco un bel ROVE-SCIO D’ACQUA, COME POCHE VOLTE MI ERA CAPITATO di vedere

e… sentire. Il cappotto, in pochi istanti, fu talmente zuppatoche non riescivo a portarlo. Dovevo correre fra i campi e stabili-re collegamenti, vedere se “le piccole guardie” fossero in corri-spondenza fra loro e col grosso, andare appostare nuove “pic-cole guardie”, ritirarne delle altre, perché l’85° fanteria conti-nuava a spostarsi verso di noi, accavallando la sua linea di di-fesa alla nostra. Il terreno era così pantanoso, che si sguazzavae si affondava a meraviglia. E sempre giù acqua per tutta lamattina. […] Intanto si andava ristabilendo la calma e potemmo fare un po’di fuoco e asciugarci. Il fante fu sguinzagliato dentro i magazzi-ni dei forni […] e riportò una discreta provvista di pagnotte.Verso le tre (le 15), mentre stavano distribuendo delle cartuc-ce, ecco l’improvviso ordine di partire. Ci radunammo sul cro-cevia del paese e avanti, cioè indietro! Traversammo il pontesull’Indrio, portandoci sulla riva destra del fiume, che, con lepiogge della notte e della giornata, andava gonfiandosi spaven-tosamente. Riscendemmo il corso del fiume per un tratto, ecioè fino a portarci all’altezza del ponte della ferrovia. Qui so-stammo e disponemmo la difesa lungo l’argine e formando unatesta di ponte al di là del fiume. Il livello dei campi nei qualistavamo era molto più basso di quello del fiume in piena; l’ac-qua minacciava di momento in momento di sorpassare gli argi-ni e allargare i campi, già melmosi e viscidi per conto proprio.Ogni tanto, una nuova scossa d’acqua. Imbruniva rapidamente.Il comando di battaglione s’era messo dentro un baracchino,che altra volta serviva ai carabinieri di servizio al passaggio sulponte, che stava al lato di quello della ferrovia. I soldati stavano nei campi fra l’acqua e il fango; le vedette fra icanneti sguazzando nell’acqua e nella nebbia foltissima. Pochevedette stavano nella testa di ponte oltre il fiume. Noi girava-mo, abbattuti, stanchi e fradici da un posto all’altro, senza po-sa, senza requie, vigilando.

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FangoF

SISTO MONTI BUZZETTI

Sisto Monti Buzzetti, vincitore del Premio Pieve 2007, è natonel 1896 ad Allerona in Umbria. Terminati gli studi superiori,segue un corso per ufficiali a Modena. Nel 1916 parte per ilfronte in Trentino: morirà il 9 giugno 1917 a causa di una gra-nata. Per mantenere i rapporti con la famiglia, Sisto invia a ca-sa quasi trecento lettere, cartoline e telegrammi. La fede in Diolo sostiene e gli dà forza durante le battaglie, tanto da crederedi essersi salvato miracolosamente dalla morte come scrivenella lettera.

26-2-1917Miei cari.Oggi ho ricevuto una vostra lettera in data del 22 nella quale midate migliori notizie circa la salute di Carlo. Io gli ho scrittopersonalmente per avere più precise notizie, ma ancora non miha risposto. Veramente stavo un po’ in pensiero, ma adesso stopiù tranquillo.Mi dite anche, riguardo alla mia domanda per gli aviatori, che lenuove squadriglie, saranno squadriglie da bombardamento.Sentite, miei cari, pur di non ritornare in trincea sarei dispostomagari di andare all’inferno, se in questa vita esistesse un in-ferno, e ciò specialmente dopo quanto mi è occorso l’altro gior-no, 24 febbraio.In una mia dei giorni passati vi dicevo che da un momento al-l’altro poteva giungere una cannonata e mandarmi a gambe al-l’aria; invece il giorno 24 è giunta una pallottola che, solo permiracolo di Dio non mi ha trinciato le budella. Io lo consideroun vero e proprio miracolo, e ne ringrazio a mani giunte Iddio.Mi ero proposto di non farvelo sapere, per non arrecarvi quel

patema d’animo che certe notizie apportano sempre. Ma perprovare la mia ripugnanza verso la trincea non ho potuto fare ameno dall’esporvelo. La pallottola mi ha forato la giacca un po’a sinistra, sotto le costole, mi ha trapassato il portafoglio e tut-te le carte che vi stavano dentro, mi ha rotto la penna stilogra-fica, ha attraversato altre carte e lettere che avevo in tasca, haforato il maglione, la camicia, la maglia e mi ha colpito, proprioal ventre, sopra l’ombelico, facendomi fortunatamente solo unascalfittura, un po’ dolorosa sì, ma di nessuna conseguenza.Forse nell’attraversare le carte, il portafoglio, e la penna, haperduto forza e forse anche si è deviata. Ma io continuo sem-pre a considerarla come una grazia di Dio segnalatissima.Fra le carte forate, c’è l’immagine della Madonna Addoloratache mi mandaste insieme al ricordino della prima Comunionedi Maria, pure esso forato.Ed il portafoglio bucato, e le carte bucate le ho ancora in tasca,e nel portafogli ci ho pure la pallottola che ho raccattato, ed hoancora indosso la giacca, il maglione, la camicia, la maglia; tut-to forato. E dire che la notte avanti ero uscito in pattuglia enessuno mi aveva tirato un colpo, invece in trincea, una pallot-tola poco è mancato che mi mandasse nel mondo dei più.Vedete dunque quanto è cattiva e traditrice la trincea, e se ioho ragione di far di tutto, pur di non ritornarvi.Ora non state ad angustiarvi per quanto mi è accaduto; quelche stato è stato ed è per questa volta andato bene, e non sene parli più se non per ringraziare Iddio.Saluti a tutti i parenti ed amici. Baci forti forti a Vilge.Beneditemi e pregate sempre e molto per me.Vostro aff.mo. figlio Sisto

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FedeF

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FeritiFIMERIO VINCENZO GHERLINZONI

Imerio Vincenzo Gherlinzoni, contadino veneto e padre di dodi-ci figli, racconta nella sua autobiografia il tragico episodio delsuo ferimento in guerra. Vincenzo si ritrova inerme sul campodi battaglia; ad un passo dalla morte il suo pensiero è rivoltoalla moglie, a i suoi figli e ai suoi cari. Neanche il gesto diestrema umanità di un bersagliere sembra poterlo salvare:nella disperata attesa dei soccorsi, non può che affidarsi allasua profonda fede in Dio e alla preghiera.

[16 settembre 1916] Ci fecero sfilare allo scoperto, per squadraper uno di corsa, come dissi l’azione era già cominciata, e lareazione nemica era terribile. Il nemico diffendeva, accanita-mente, le sue posizioni, con un terribile fuoco di mitragliatrici,e fucileria, e bombe a mano, mentre le artiglierie, battevano leretrovie. […] Ad un tratto sentii un gran colpo al fianco destro,che mi fece traballare. Siccome che dietro di me, veniva un sol-dato, bergamasco che era assai burroso; in un primo tempo,credei, che questo mi avesse allungato un calcio, e feci per vol-tarmi per allungargli un ceffone ma nel fare tale movimento,perdetti l’equilibrio e anche i sensi, e caddi a terra: erano le un-dici del mattino.Quando ripresi i sensi il sole era presso al tramonto, feci perrialzarmi da terra, e non vi riuscii; un dolore acuto, e lancinan-te, alla schiena e alla anca sinistra mi fece ricadere e sollo al-lora, mi accorsi di essere stato ferito; mi guardai attorno, e vidiche il terreno tutto seminato di corpi di soldati, qualcuno anco-ra si muoveva e si lamentava, ma la maggior parte non si muo-veva più!!! […] Io continuavo a raccomandarmi a quelli che mipassavano vicino; Portatemi giù, per carità, ho quattro bambi-ni; salvatemi la vita!!! Ma quelli badavano ai casi loro, senzacurarsi dei miei lamenti!!! Per caso un bersagliere, mi passòtanto vicino che riuscii, ad afferrarlo, per una gamba, tanto miagrapai, che lo feci cadere, appenna che questi si rialzò feceper prendermi per le spalle, forse per portarmi al posto di me-dicazione quando un aspirante ufficiale gridò: lasciate quel fe-rito, che ci sono i portaferiti apposta; e nel dir questo fece par-tire, un colpo della propria pistola, che prese di striscio, al collodel povero bersagliere, che, cacciato un urlo, mi lasciò ricadere,e raccolto il proprio fucile, seguì gli altri mentre, dal collo, glizampillava il sangue; e di lui non seppi più nulla. Io ricadendo

per terra, provai un dolore assai forte, ma non ostante gridai all’aspirante: vigliacco!!! […]Quando tornai in me il sole era già tramontato, e allora mi pre-se un tale sconforto, vedendo che nessuno si curava di me, epensavo che durante la notte, senza essere soccorso sarei cer-tamente morto!! E pensai ai miei cari, ai miei bambini che sa-rebbero restati orfani, e alla mia sposa, che non avrei più vedu-ta, ai miei vecchi genitori, che mi avrebbero aspettato invano!!!Ma pensai anche, che forse, in quell’ora i miei innocenti bambi-ni, e la mia sposa stavano pregando il Signore per me, miconfortai un pocco e pregai anch’io e dissi: Signore, datemi, al-meno altri dieci anni di vita, a ciò che possa allevare grandicellii miei bambini.Poco discosto da me, intanto vidi passare due porta-feriti con labarella in spalla […]. Mi feci animo, e chiamai: portaferiti porta-feriti!! E quelli si girano e si avvicinarono e dissero: Ma sei tuGherlinzoni, da quanto tempo sei qua? ed io: da stamattina alleundici? Erano della mia stessa compagnia ed erano andati a por-tare giù, un altro ferito, poco prima che io restassi ferito, e poi sierano imboscati e ora tornavano in cerca della compagnia.Mi chiesero: soffri molto? e io: non ne posso più!! ed essi: maquanto sangue dove sei ferito? ed io: qui al fianco: Ben feceroloro; coraggio ora ti portiamo giù, caricatomi sulla barella si av-viarono. […]Arrivammo dopo mezz’ora di corsa, su una strada tutte buche,che mi sballotarono di qua e di là, e arrivammo all’ospedale dacampo 205 che era a Saciletto, paesino a alcuni Chilometri daCarvignano, verso Palmanova e subbito fui portato in sala diopperazione, dove spoliato che fui, venni visitato dal Colonnellomedico, assistito da due altri dottori che si accorsero subbito,che la pallotola che mi aveva colpito, mi era entrata nel fiancodestro, un, poco in dietro, più verso la spina dorsale, e passan-do sotto a questa, aveva attraversato tutto il corpo, e avevabattuto, su l’osso -illiaco-, quindi strisciando su questo, erauscita, dall’inguine sinistro, dove aveva leso alcune vene, e len-tamente andavo dissanguandomi, e seppi più tardi, che se fos-si rimasto ancora poco senza soccorso, sarei certamente mor-to dissanguato. Providdero subbito a fermarmi il sangue, e do-po una sommaria medicazione, e disinfezione, mi portarono inun lettino, in una camerata, dove si trovavano molti altri feriti.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 49

FortunaFPRIAMO FERRINI

Priamo Ferrini, contadino toscano dotato di una scrittura ve-nata di oralità, nel suo diario alterna la cronaca delle trincee,della resistenza sul Piave e di una brutta malattia, con le spe-culazioni sul carattere imperscrutabile della fortuna, conside-razioni tipiche del mondo popolare dal quale Ferrini proveniva.Il racconto di una licenza di pochi giorni è tormentato da unoscuro senso di incertezza.

[Giugno 1918] 15 giorni passarono presto e dopo mi toccava tor-nare lassù in dove avevo veduto che cosa c’era, stavo male per-ché pensavo a più cose un pensiero mi diceva non tornarci chefai meglio non farai la vita bella ma stai sempre che in trincea,l’altro pensiero mi diceva torna in su potreste avere anche la for-tuna di non succedere niente, e dandoti chi sa come ti andra hafinire, proprio non sapevo come fare, ma pero l’idea l’avevo sem-pre avuti di non tornarci se avevo la fortuna di scappare se tro-vavo ancora Vergilio e gli altri, e questi erano tutti piani che face-vo dopo aver provato la trincea, ma si dette la sfortuna che glipresero, e non posso dire che sia stata una fortuna e una disgra-zia era proprio la stessa, anzi era molto meglio se non gli pren-devano anche per me perché ero convinto di non tornare più setrovavo dei compagni. E questo e stato tutto il mio pensiero du-rante la licenza. Poi anche gia sapevo la disfatta del 15 giugno esapendo di quei disastri non potevo stare contento, che ci dove-vo essere anchio, ed invece la fortuna mi assisti e mi trovavo acasa ed ogni giorno prendevo il giornale per sentire da che partedi trovava il mio reggimento perché ero convinto di sapere daqualche giornale e sapere come era andato a finire, ma non lotrovato per niente, e dove ho lasciato la mia compagnia

compresi nel giornale che ci era la brigata Sassari ed allorapensavo, ho si trova ha riposo, oppure tutto prigioniero. Insomma sono arrivato al termine della mia licenza, e dovevoritrovare in linia non trovavo il verso di andarmene, a stare tan-to pensieroso facevo star male i miei cari, mi sono fatto convin-to di partire ma il mio cuore era gonfio di bilia la mia testa eracolma di pensieri. Sono arrivato a sortire dalla porta della mia casa che tutti imiei erano li vicino, per la mia partenza, ma propio non potevodistaccarmi perché pensavo, siamo tutti quanti, io me ne vadoe chi sa se li ripotro rivedere come gia avevo perso la speranzapiù di una volta. Insomma ho avuto tanto spirito di salutarlitutti ed andarmene, ma ogni passo che facevo pensavo in dovedovevo ritornare.Poi camminando mi son fatto un po più coraggio, ma giunto al-la stazione che cera mio padre pensavo che fra poco dovevo la-sciare anche, giuta la tradotta ho salutato mio padre e sonoandato ha sedere in un angolo ha pensare a quello che mi erotrovato e quello che mi potrò ancora trovare, poi che mi sonotrovato in tanti sfortunati tutti nello stesso modo ci si doman-dava da che parte ci si trovava, e cosi mi sono masso un po alposto ed avevo tralasciato di pensare a tante cose […] quandosono giunto al comando del Regg ho trovato un mio amico cheda tempo si era stati insieme e gli ho domandato di diversi no-stri compagni, e lui la prima risposta che mi ha dato e stataquella di dirmi che in tutta la compagnia giorno 15 ne restaro-no 5 di quelli che avevo lasciato quando parti per la licenza, emi disse che diversi erano morti chi all’ospedale e chi prigio-nieri nisomma era distrutto tutto quanto.

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Renzo Re - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleTrasporto di un ferito sul Piccolo Colbricon (Tn).

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 51

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionalePrime cure prestate a un ferito nell’ospedale da campo.

FRANCESCO TISCORNIA

Le lettere d’amore di Francesco Tiscornia, tenente siciliano in-viato a Bologna, all’amata Armida. I due, da poco sposati, con-dividono per iscritto la loro quotidianità e tentano così, tenera-mente, di sopperire alla lontananza scambiandosi fotografie:Francesco, però, non è mai soddisfatto di come lo ritraggono.

Bologna 3/8/18Cara Armida,hai pregato tanto che mi facciano lavorare anche di notte e co-si proprio oggi ricevo l’unito invito. Come vedrai dal testo saròcomandato anche nelle ore di notte, quando cioè sarò liberodal mio servizio, a decifrare i telegrammi che arrivano dalComando Supremo.Come vedi non mi lasciano più nemmeno dormire di notte.Sarai contenta adesso, non lo dirai più che vado dietro alle bel-le Bolognesi nelle ore di libero svago. Ebbene prendiamo anchequesta. Quando c’ è la salute c’è tutto. Del resto come ti dissigià varie volte sono così contento e soddisfatto di tutto l’insie-me che non mi da proprio noia l’andare all’intendenza Generalea passarvi qualche ora anche della notte, Non ti puoi immagi-nare che cameratismo regni tra tutti noi, anche da parte di co-lonnelli e generali verso di noi poveri ufficialetti in erba c’èquasi amicizia. Ti parlano con deferenza dandoti magari il buongiorno ed il buon appetito. Cosa bisogna osservare è però la di-sciplina ed i superiori bisogna salutarli. Se manchi a questoobbligo però la cosa è reciproca, non trovi un soldato che non tisaluti, non un carabiniere, persino i marescialli di carabinierisalutano i sottotenenti. Altro che lì, che se ne fregano dei supe-riori. […]Tante cose belle e tanti bacioniTuo Francesco

PS.: Mi arriva in questo momento la tua raccomandata colla fo-tografia. Che porcheria, siamo alle solite, non ne facciamo altracopia per carità. È proprio un fotografo cane o meglio scalzaca-ne. Sulla busta scritto in lapis bleu c’è “Bello-Bel”. L’hai scrittotu? Aspetta che abbia il vestito nuovo poi me le faccio fare qui,vedrai che artisti. Qui usa far così: il fotografo prende 10 lireper le lastre e poi ogni copia la paghi a parte, a seconda delformato e della carta. Mi sembra più pratico, non è vero.Rispondimi su quella parola… Bello… Ciao

Bologna addì 15/8/18L’Assunta e ferragosto CaraIn fatto di fotografie son proprio disgraziato. Come ti scrissi mifeci fotografare qui da uno dei migliori fotografi della città,Ebbene invece di essere il principale mi fece il ritratto un suocommesso di modo che quando il padrone vide le prove mi dis-se che erano sbagliate e che bisognava ripetere perché il suodipendente aveva sbagliato nel mettermi in posa. Cosi ieri ilFotografo Capo mi fece provare di nuovo a sue spese e mi pre-se in due posizioni differenti, una col berretto e l’altra senza, esenza occhiali.Speriamo che sia l’ultima e siano riuscite bene, cosa che vedròsabato quando andrò a vedere la prima prova. Intanto ti mandoqueste due che mi prese un collega qui dell’ufficio. Mi sembradi non esserci rimasto tanto male. Il male è che son troppogrosso e grasso e stavo in mezzo a tanti mingherlini. […]Ciao ciao tanti bacioniTuo Francesco

Bologna addì 24/8/18Cara mogliefinalmente questa volta ci siamo? Vuoi che non è la mia facciacosi brutta come la dipingevano i fotografi di Genova? –Cambiato artista – cambiato tutto.E nota che queste fotografie non sono per nulla ritoccate –Adesso sì che sono io. Sono rimasto naturale in tutte – fuoriche quella senza berretto – quella non mi piace proprio pernulla. A parte ti mando quella per Gino e favorirai spedirla tu –ed una copia per te, quella della bicicletta che in grande nonl’avevo fatta. L’ho fatte tutte grosse perché la spesa è la stes-sa. Peccato che erano finite quelle carte gialle e me l’hannofatte in bianco, col carbone scuro sotto – Sono un po’ antiche,ma possono passare lo stesso. A Gino non occorre che la mandiraccomandata, io dico che non si perde.Mandami l’indirizzo preciso di Parmisini, corso Torino… […]Mi scrivi di mandarti una piccola fotografia – ma come faccio,dove vado a prenderla? Vuoi che vada nuovamente a farmi foto-grafare? Adesso basta no? […]Ciao e tanti bacioni.Tuo Francesco

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FotografiaF

PAOLO CIOTTI

In guerra non si muore solo per mano nemica. Può accadere avolte che un ordine dall’alto, che vorrebbe essere esemplare,cagioni l’esecuzione di soldati del proprio esercito per futilimotivi. La percezione dell’ingiustizia, dell’assurdità e il dissen-so da parte dei commilitoni può non essere sufficiente a fer-mare la folle imposizione: è quanto si evince dalle memorie diPaolo Ciotti, sottotenente nato a Bologna, all’epoca poco piùche ventenne.

La vita di sacrificio, benché tale ancora non sembrasse, perchéancora ricoverati nelle case, era già incominciata da diversi gior-ni; e negli stabili rimanemmo fino a che non ci accorgemmo cheessi erano presi di mira dal nemico. La mattina dopo ritornai albattaglione con la Compagnia, rimanendovi qualche giorno. Le al-tre compagnie erano sempre in linea, e alla terza, il 2 Novembre[1917] successe un fattaccio che rattristò immensamente. Tre soldati, fra cui un caporale, erano stati sorpresi dalColonnello Brigadiere, mentre uscivano da una villa di Nervesacon alcuni effetti di biancheria. Vi erano entrati così per quelsenso di curiosità, di cui tutti erano ancora invasi nel vedereuna casa abbandonata, e trovando nelle stanze deserte dellabiancheria, avevano innocentemente commesso l’errore di sce-gliere qualche camicia e qualche paia di mutande per cambiar-le con quelle sporche e piene di insetti che tenevano ancoraaddosso fino dal Settembre. Il Generale li interrogò, prese il no-me e cognome di ciascuno e tre ore dopo, quando ancora era-vamo a mensa, un porta ordini del Comando di Brigata recò unbiglietto scritto a matita coll’ordine perentorio al Comandantedella 3° Compagnia di fare immediatamente fucilare da unasquadra dello stesso reparto i tre soldati, di null’altro colpevoli,che di avere innocentemente asportato da una casa abbando-nata una camicia e un paio di mutande. A nulla valse che il

Capitano Brenci e il Colonnello stesso scongiurassero ilComando di Brigata di ridurre la punizione; la belva umana, an-zi le belve umane, perché ad influenzare l’animo del Generalenon fu estraneo, si disse, il Capitano Oliva – Aiutante di Brigata– furono irremovibili.Il Ten. Medico Aschettino, che fu obbligato di assistere all’ese-cuzione, raccontò che i soldati della squadra che doveva farfuoco, piangevano e così pure gli Ufficiali della Compagnia acui fu imposto di essere presenti alla tragica scena. Invece nonun lamento da parte dei giustiziati; prima di allinearsi, si bacia-rono e si rammaricarono soltanto, ad alta voce, di essere vitti-me di piombo italiano, anziché di quello nemico; poi pregaronoi compagni di mirar giusto affinché non li facessero agonizzare.Vollero anche non esser bendati ed essere colpiti al petto.Così, l’epilogo di un banale incidente! Oh! Quanti, per non diretutti, avrebbero dovuti essere fucilati per lo stesso motivo! Sivolle dare un esempio triste di rigidità militare che, se ebbel’effetto di impedire momentaneamente lo svaligiamento e larazzia, ebbe altresì l’effetto di debilitare gli animi, sempre sot-to l’incubo di pene feroci e di far nascere un odio grande controil Comandante di Brigata.Venti giorni dopo, il padre di uno dei soldati fucilati, si recò adArcade chiedendo del figlio di cui era privo di notizie, e ilColonnello, che nessuna colpa aveva dell’accaduto e che avevapianto all’annunzio dell’ordine di esecuzione, dovette ricorrerea pietose bugie per descrivere la fine del figlio. Il Generale nonsi fece mai più vedere in linea. Se ci fosse andato, credo gli sa-rebbe capitato qualche brutto scherzo. Il Capitano Oliva invece,vi andava spesso, e quando il 25 Novembre verso sera, ritor-nando da Nervesa a Case De Ros (dov’era il Comando) fu colpi-to da una palletta di shrapnel che lo ferì mortalmente noi tutti,alla disgrazia del caso, vedemmo anche la giustizia di Dio!

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 53

FucilazioneF

DONATO VINCI

La guerra interrompe la quotidianità di questo contadino ve-neto che, nel mezzo di una giovinezza di ristrettezze e fatiche,viene chiamato al fronte. Partecipa alla battaglia del SanMichele poco dopo il suo arruolamento e viene immediata-mente preso prigioniero dagli austriaci che lo destinano a la-vori di disboscamento e alla costruzione di una ferrovia. Inqueste pagine della sua memoria, Donato rievoca la decisionedi fuggire con un compaesano: un’evasione che non durerà senon qualche giorno.

Giunse il Lunedì dopo Pasqua del 1916 abbiamo lavorato quelgiorno mezza giornata cioè fino a mezzo giorno, il pomeriggio cifù concesso di riposo per farci un poco di pulizia personalepresso un piccolo fiume lì vicino, ed in quella mattinata mi bu-scai una bastonata da un caporale austriaco, allora anchePietro fù maltrattato, tanto da farsi prendere un’ulteriora deci-sione di allontanarsi con la fuga da quel gruppo, dicendomi ioqui non resisto più oltre;Se tu vuoi seguimi. Altrimenti ti lascio, con la speranza di rag-giungere il confino dell’Italia nostra.Io però molto rassegnato non credevo ai suoi progetti, valutan-do la piena ignoranza di tutti due. In ogni modo volli seguirloper tanti altre ragioni, pensando, ha separarmi da lui, dovevapoi scrivere ai miei Genitori, è nel venire a sapere ciò, le fami-glie certamente dovrebbero pensare a male, per chi s’ha cosasarebbe successo fra noi due;Per tal ragione fui costretto di abbandonare quel logo, pur con-tro la mia piena volontà di non mai tradire il modo d’agire e difare, acconseti di unirmi alla fuga con quel mal desideratocompagno.Con la nostra poca roba che consisteva, del tascapane ha tra-collo, qualche camicia alcuni paia di calze, un paio scarpe nuo-ve strettamente tenutele conservate di due paia avutane in do-tazione, quando ci fecero partire dal campo di concentramentodi Mauthausen, un telo da tenda, due piccole coperte, la gavet-ta è qualche pagnotta con qualche cosa altro per vitto neces-sario per un paio di giorni.Prima di tutto nel iniziare la fuga, ci fecimo premura di allonta-narci il più che ci fù possibile nella boscaglia, per non dar mo-do di venirci ha pescare al primo allarme, che certamente subi-to avrebbero dato.In breve tempo ci trovammo lontano dal pericolo di essere

acciuffati, è per la durata di cinque giorni, quasi sempre incammino su di una cresta di alti monti.[…] Nei primi albori della mattina seguente ripresimo il cammi-no tanto pericoloso, che ogni passo si provocava un rotolamen-to di sassi di ogni specie è grossezze, è col pericolo di essereavvolti con i medesimi sassi fino alla loro nuova destinazione. […] Fattosi giorno mentre ci trovavamo ancora sulla cresta diuna montagna è boscosa, si sentiva in prossimità della vallerimbombare, un prolungato fischio di una locomotiva, ove siscorgeva anche la fine d’una seria di una catena di montagne.In quest’altra ed’ultima discesa quasi nella valle trovassimouna capanna con un piccolo deposito di paglia, qui pigliassimodecisione di riposarci è dormire diverse ore, essendo moltostanchi per non avendo dormiti la notte precedente.Quando ci siamo svegliati nelle prime ore del pomeriggio delquinto giorno, abbiamo ripreso di nuovo il cammino, però dopoqualche ora essendo sempre tempo piovoso, appena usciti ilmargine della foresta ci siamo trovati in una piana ove c’eranosolo alberi di quercia molto rapidi è senza macchia massaod’altri cespugli, qui il Sig. comandante Pietro?,, con la sua im-mancabile bestialità volle comandarmi di radunare un poco dilegna per farsi il fuoco per asciugarsi i vestiti.Ha tale richiesta mi rifiutai dicendo, non vedi che siamo vicinoa molto abitato e ha pochi passi dalla strada che certamenteda un momento ha laltro potranno passare soldati è gendarmi,è facilmente col fumo che provocheremo facendo del fuoco, at-tirerà l’attenzione è ci verranno ha prelevare come due salami;Questo mio giusto rifiuto al Sig. è padron Pietro non li andò giùper niente, che subito imbestialitosi al pare di un somaro sel-vatico, saltando fuori d’ogni limite è con la sua zampa destraimbrandì un legno per volermi menare! Questa volta l’ho scia-gurato voleva fare il conto senza loste, ma!, sventurato lui chetrovò la reazione meritata[…] gli dissi vai, mentre io essendo sicuro che ho tutto da per-dere è niente da guadagnare, mi vado ha costituire al prossi-mo Comando di gendarmi!, nell’ascoltarmi volle dire, adessoche vai dai gendarmi?! Di che vado io di qua la quale genero-samente le risposi dicendogli, vai fin dove id’Dio ti permetta diaiutarti, anche io ti do un buon augurio di riuscirci secondo iltuo desiderio, è sappi che non sarò mai un vigliacco come tumi giudichi, dirò sempre ha costo di farmi ammazzare che va-do solo.

54 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

FugaF

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 55

GeneraliGGIUSEPPE MIMMI

Giuseppe Mimmi, originario di Spoleto, partecipa alla guerracome ufficiale e, dopo un lungo periodo in prima linea, vieneferito nell’agosto del ’17. In queste pagine della sua memoria-diario rievoca l’orgoglio che aveva rianimato l’esercito italianodopo la campagna del Piave.

28 Ottobre [1918]Alle ore ventitré della notte scorsa, le truppe italiane hanno ini-ziato la grande offensiva, che è in pieno sviluppo. Lungo tuttala linea del Piave, attraversato i fiume, avanzano lentamente,ma vittoriosamente, non ostante l’accanita resistenza nemica.Le fanterie dei reggimenti 23°, 24°, 37°, 38° delle brigate Como eRavenna, […] hanno guadato il fiume alle grave di Salettuol,vincendo enormi difficoltà, perché le passerelle gettate dal ge-nio pontieri vennero presto distrutte dall’artiglieria nemica ed ifanti costretti ad avanzare con l’acqua fino alla cintola, sotto ilfuoco violento delle armi automatiche, appostate sull’altrasponda. A costo di sacrifici non lievi, riuscivano a sopraffare gliaustriaci, obbligandoli a retrocedere, ampliando poi, sempre dipiù, il terreno conquistato.Il generale Vigliani dirigeva personalmente le operazioni sottol’intenso fuoco avversario e di ciò glie ne va reso merito. Però èstrano il modo con cui si vuol mettere in evidenza il suo indi-scusso coraggio e cioè attraverso la motivazione di una propo-sta di ricompensa al valore, che mi hanno fatto fare per il ma-resciallo Tellini, che lo accompagnava in macchina, e nella qua-le si parla più del generale che del sottufficiale. Lo scopo evi-dente è quello di mettere in luce il comportamento del coman-dante, affinché in più alto loco, venga fatta uguale proposta peril generale. Non v’è dubbio che il comandante di una divisionepoteva esimersi dal rischiare la vita, andando in mezzo ai sol-dati, ma di conseguenza dovrebbero essere decorati tutti quelliche hanno effettivamente compiuto l’azione. […]

6 NovembreHo lasciato di buon ora Colloredo e questa volta non per anda-re alla ricerca di locali o per guidare una carovana di carriaggi,ma per compiere una missione inaspettata e nuova, che mi dàun senso di soddisfazione e di orgoglio.Fra le clausole del trattato di armistizio, vi è anche quella in cui

si stabilisce che, per il giorno otto corrente, debbano essereoccupate le zone lungo la nuova linea di confine ed i repartidella 56^ divisione dovranno raggiungere, per l’epoca fissata ladislocazione assegnata, nel settore medio del confine orienta-le. […] La via più comoda, ma più lunga sarebbe stata quellaper Udine, Cividale e la valle del Natisone, ma per evitare l’e-norme traffico prevedibile, abbiamo preferito prendere la stra-da della montagna, che porta direttamente a Caporetto. […]giunti a Platischis, abbiamo trovato la brigata Como, che mar-ciava già verso la meta. Il parroco del luogo era in mezzo ai sol-dati e stava tenendo un discorso, pieno di entusiasmo e di pa-triottismo, mentre la popolazione acclamava festante.Proseguendo per Bergogna, il primo paese austriaco di là dalvecchio confine abbiamo incontrato il generale Tomassini, co-mandante della brigata, che ci vieta di andare più oltre, perchéla gente di quel luogo ci è ostile, e si ode qualche colpo di fuci-le. […] Ripreso il viaggio, siamo entrati a Bergogna, insieme conTomassini. Qui abbiamo trovato un clima ed un ambiente nuo-vo. Il paese è pavesato da lunghi stendardi bianchi e turchini egli abitanti recano al petto coccarde degli stessi colori. La gen-te ha facce dure, prettamente slave e parla una lingua ostica,incomprensibile. Gendarmi e soldati austriaci, jugoslavizzatiall’ultimo momento, ostentano un autoritario servizio d’ordine.Ci fermiamo nell’unica piazzetta del villaggio e Tomassini con-voca il sindaco, il parroco e gli altri maggiorenti del paese. […] Ilsindaco, in perfetto italiano, lingua che tutti conoscono benis-simo, quando hanno voglia di parlarla, annuncia con enfasi, cheessendo stata proclamata la repubblica croata di Zagabria, lo-ro sono i legittimi rappresentanti del nuovo stato e protestanoper la presenza delle truppe italiane! Tommasini scoppia in unarisata omerica e dopo averli apostrofati, con adeguati, ma irri-petibili epiteti in pretto dialetto calabrese, fa loro energica-mente intendere di non essere disposto a tollerare cretineriedel genere e conclude ordinando l’immediata consegna di tuttele armi, il ritiro dei drappi e l’ubbidienza assoluta ai suoi ordini.E poiché erano intanto sopraggiunti reparti della 23° fanteria, iplenipenitenziari della repubblica di Zagabria, hanno fatto attodi sottomissione, i fucili sono stati ammucchiati sulla piazza ele bandiere jugoslave scomparse.

SALVATORE PISANELLO

Un’adolescenza nutrita dalla voglia di essere arruolato comevolontario per combattere in difesa della propria patria. Tra lemura del convitto, Salvatore ci racconta le esercitazioni in cor-tile, il secondo anniversario dell’inizio della Grande Guerra, leincomprensioni familiari, le amicizie e la scuola che vuole la-sciare.

25 aprile 1917Vorrei andare volontario, ma visto e considerato che questo so-gno non è possibile, mi sono deciso ad arruolarmi nel corpo dei“Giovani Esploratori”. Io m’arruolo con la speranza di potercombattere contro l’eterno nemico, e se riuscirò nel mio dise-gno, come del resto spero, sceglierò la sezione di Verona.Questi miei sentimenti bellicosi s’erano raffreddati quandoseppi della morte immatura della mia amatissima sorellaAntonietta; ma subito poi passata la prima fase del mio doloremi si sono riaccesi. Io non vedo l’ora di poter compiere il miosogno, e quando questo avverrà mi dirò il più felice del mondo.Ora aspetto il consenso di mio padre e che finiscano le scuolesperando di essere promosso. Intanto ho cominciato a procu-rarmi i mezzi.

[…]studio 9.10 di sera 19 maggioGli esercizi militari col moschettoFinalmente dopo due mesi e più e dopo tanto aspettare, dopotanta ansia, stasera dalle 6 alle 6 1/2 noi alunni della squadradi collegio terza quarta e quinta (dove in quest’ultima sono io)ci hanno armati di moschetto e siamo usciti al prato superioredi San Francesco sotto il comando del tenente Buoncompagni.Domani domenica 20 maggio ci sarà il giuramento delle reclutedella classe 1898 ci andrà pure il plotone di convittori.Correndo l’occasione ci hanno imparato il present’armi e i di-versi ordini di marcia. Domani domenica alle nove si svolgerà lacerimonia, il plotone dei convittori sarà inquadrato colla 1°compagnia dei soldati; spero che sarò pure io implotonato.Insomma vedrò domani.

20 maggio 1917Il giuramento delle recluteStanotte ho dormito poco pensando sempre alla solenne ceri-monia che si sarebbe svolta stamani, e temendo di non essereimplotonato. Finalmente è sonata la sveglia, e io a domandaredi qua e di là se io ero sì o no implotonato, tutti mi rispondeva-no negativamente. Ma quando siamo usciti da colazione il cen-sore leggendo di quelli che dovevano essere implotonati, hosentito anche il mio nome e ho dato un balzo dalla gioia.Vestitici cogli abiti grigi da passeggio, siamo scesi giù in pale-stra dove abbiamo trovati i moschetti disposti incontro il muro,ci siamo armati e al “plotone avanti march” disposti per quat-tro e in cadenza siamo usciti dal collegio e siamo andati sulprato ove abbiamo trovati i soldati con il tenenteBuoncompagni. Dopo una quindicina di minuti è stato dato l’or-dine di marciare, e noi ultimo plotone della prima compagniaabbiamo seguito i soldati […]Abbiamo fatto la sfilata mentre la musica intuonava la marciareale; io sono stato preso da vero entusiasmo e come speronon tarderò a offrire il mio braccio alla patria.

[…]24 maggioOrsono due anni l’Italia conscia dei propri diritti entrava inguerra a fianco dell’alleati contro l’Austria. Oggi secondo anni-versario vi è stata vacanza. Non si è svolta nessuna cerimoniama dicono che oggi ci sarà qualcosa; io a ricordarmi di due annifa il mio cuore ha palpitato e mi si è acceso l’entusiasmo. […] Ionon so veramente che mi sento, vorrei andare al fronte per mo-rire; mi sembra così dura la vita quando penso ai casi miei, chemi viene un desiderio di morire.Dunque come ho detto mi sono acceso di entusiasmo, sono im-paziente di stare in collegio non vedo l’ora che si chiudano lescuole; qualcuno forse riderà, ma io voglio andare al fronte.Ripenso sempre al maggio del 1915, quando la gioventù d’Italiaaccorreva lieta e piena d’entusiasmo ad offrire le loro vite perla grandezza della patria.Gloria ai caduti! Gloria agli eroi che non curanti della loro giovi-nezza s’immolarono sull’altare della patria per una più grandeItalia, più forte e più temuta!

56 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

GiovinezzaG

ANONIMO

Il diario di un ufficiale austriaco ignoto viene rinvenuto sulcampo di battaglia. Sul versante opposto all’Isonzo, a fronteg-giare le truppe italiane lungo la linea del San Michele, sonoschierati anche i reparti del Regio esercito ungherese (MagyarKiraly Honvéd) di cui egli fa parte. Il testo ripercorre il periododal 13 luglio all’11 agosto 1915. Non si hanno notizie del suoautore che vede morire, con sofferenze inaudite, i compagni ditrincea esprimendo odio per le atrocità della guerra e disprez-zo per il nemico.

19 luglio [1915]Gli italiani sono impazziti tutti. Ma è questo il modo di sparare?Mi pare che la ci vada piuttosto male.

20 luglioAnniversario di Lissa. mene infischio! Messe di campo discorsipatriottici. Il cappellano militare ha detto oggi tante messe chideve essere mezzo ubriaco […]. Banchetto. discorsi spumante.triplice evviva. Il Signor Maggiore si è ubriacato come una troia edha vomitato come uno studente. Qualche cosa di stupendo il pa-triottismo. E poi mi si strapazza perché non sono un patriota.Pardon sono nato sloveno, ho passato gli anni dell’infanzia aVienna, la prima adolescenza in Boemia, due anni a Budapest, trein Svizzera poi a Parigi… e poi un povero diavolo dovrebbe sapereciò che veramente è, ed essere per giunta un patriota austriaco. […]

23 luglioPovera di vita questa! invece che a ½ notte ho raggiunto la trin-cea sulle 4½. io credo che il caporale volontario di 1 anno, l’ita-liano, voleva farmi sbagliar strada. Una brava persona e colto.si dice che se non fosse italiano, sarebbe già alfiere, mi sor-prenderebbe se non fosse così “Salve o mia Austria!”.[…] Umanamente incredibile ciò che succede qua, tutti zaini,gambe, zolle di terra, visceri, pietre tutto vola in aria. È un fra-stuono come se il mondo volesse ritornar al Caos. I miei soldatisono istupiditi e pallidi dal terrore. non basta che i porcaccioniche abbiamo rilevato ci abbiano lasciato indietro i loro mortipuzzolenti. Anche la maggior parte dei miei è già fatta a branidalle scheggie. se vale la pena di ridursi in tale stato per questiquattro sassi pidocchiosi del Carso.

24 luglioNotte terribile. Vorrei essere già morto. O non ci si farà uscire mai più da queste zolle, o ci si estrarrà pazzi. […] Vorrei cono-scere il poeta capace di mettere in belle rime questi versi trac-ciati, questi brandelli di carne. questi torsi troncati, e la chiaz-za di sangue dei brani di cervello. Ho avuto comunicazione cheun’intero Battaglione di Honvvard si è arreso e che il tiro italia-no ha prodotto grandissimi danni anche all’artiglieria.Stiamo freschi! Ore tragiche, eppure bisogna che rida, non neposso fare a meno. Una scheggia di granata ha asportato i ge-nitali al mio attendente.Eppure il mondo è così volto! No, proprio li doveva far centro lagranata italiana. Povero Idenko!È certo che tu non andrai in giro a far veder la tua gloriosa feri-ta. Specialmente non la mostrerai alle belle del villaggio. […]

6 agostoOggi ho visto per la prima volta soldati della Landsturm con fu-cili Vendoll. Credevo di scoppiare dalle risa. E la baionetta ches’è applicata!È vero che gl’italiani sono ancora alle lancie, ma l’antico non èridicolo, il “fuori moda” invece sì. Nessuno riderebbe dinanzi adun cavaliere in armatura: di un borghese in frak e pantaloniquadrigliati riderebbero anche i morti. Fucili Vendoll! si spara,poi si prega il nemico che per l’amor di Dio non si muova, poi siricarica, si spara e così via. […] Gl’italiani sparano senza posa.Oggi ho chiesto di Kern. È considerato disperso ma lo si ritienemorto. Peccato un’ufficiale valoroso, un uomo di cuore. Non sisarebbe detto che fosse un’ungherese e per giunta ufficiale dicarriera. Pace alle sue ceneri.Per mare la ci và splendidamente. Un sottomarino nostro ha si-lurato e affondato la Dreadnought “Conte di Cavour”. Così la tri-nità italiana si trova unita un’altra volta in fondo al mare “Red’Italia” “Garibaldi” “ Conte di Cavour”. Varsavia caduta.Dublino presa. Banchetto alle 8 ½. Non ci vado. Il Cantiere diMonfalcone è in fiamme. Meravigliosa scena di guerra. Pareche gl’italiani sgombrerebbero le loro posizioni.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 57

HonvedH

58 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleOltre al nemico si dovevano sfidare i rigori dell’inverno…

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 59

Per non dimenticare: colonna mozza eretta nel 1920 sullacima del monte Ortigara (Vi) in memoria dei caduti dellaGrande Guerra.

© NAZZARENO BERTON E SERGIO CARLESSO

EUGENIO ANZILOTTI

Deciso interventista, Eugenio partecipa prima ai combatti-menti sul Carso, poi, come funzionario ministeriale alle tratta-tive diplomatiche dei più importanti negoziati postbellici.Dopo aver letto il “diario di un ufficiale austriaco morto su SanMichele nel luglio 1915” ne commenta la storia, interessato al-la personalità del militare senza nessun pregiudizio. Nelle sueriflessioni, Anzilotti apprezza lo spirito indomito dell’anonimoufficiale che affronta le battaglie sorretto da un forte ideale dipatria, fiducioso nella vittoria e nell’imperatore. Un’anima “so-gnatrice e sentimentale”.

15 luglio 1916 = Un diario di un ufficiale austriaco morto su S.Michele nel luglio 1915.– Contiene tutti gli elementi di una pietosa storia, e per deli-neare il carattere della persona.È scritto con efficacia, con vivacità, con sentimento: è un docu-mento interessante, che ha del romantico.= Spirito entusiasta, pronto al sacrificio, odia l’Italia, ritenen-dola traditrice, ma ne sente il fascino specialmente attraversol’affetto ed il ricordo di una donna, amata e che ama ancora,una donna che era signora di [lui]. Sembra allontanato da essa,e pur ne serba vivissimo il ricordo e ne subisce fortemente ilfascino. Ad essa attribuisce il risveglio di un forte senso di am-mirazione per opere [d’arte], e ricorda quelle vedute insieme inItalia. In questo posto di passione [sogna] alti sentimenti e si[appassiona].È profondamente religioso: fida sulla vittoria, perché ritienegiusta la guerra. Se non scorge le proprie armi vittoriose, nedubita però.Invoca Dio con un senso intimo, vivo, meraviglioso di fiducia.Odia brutalità, indifferenza ed il lazzo. È per questo che si tiene

lontano dai colleghi. Almeno dentro sé li disprezza. Sono pronial vizio (ne parla spesso come dediti alle orgie di ogni specie),senza pensare che vi è chi combatte e chi soffre, v’è chi a casapatisce la fame.Si apparta ed un amico gli suona Grieg, Händel Beethoven: èmusica che gli rammenta pure l’italiana.– [Freme] di spirito militare, di venerazione per la famiglia re-gnante e bacia, piangendo, le mani dei principi della casa im-periale.Ferito leggermente, è fiero del sangue versato. «Chi muore perla patria e per l’onore di Asburgo, non muore!» Non tutti gliufficiali, sembra però, pensano così!Inorridisce per le perdite subite nel luglio 1915 su S. Michele: sisente che di fronte alla poderosa offensiva italiana diminuisceil suo disprezzo per i soldati italiani (luglio 1915).Ha momenti [anche] di depressione, di scoraggiamento.Ma ha accanto slanci vivi, nobili: il suono delle fanfare e le[parate] lo commuovono, come lo commuovono i ricordi difamiglia. Rammenta persone e cose. (p. es: Un Cristo emaciatonella cattedrale di Villach).

Mi apparisce così una anima seria, sognatrice, sentimentale,forse per questo un po’ debole.In Lui è una lotta fra ideale e reale, fra quanto Egli aspira ecoltiva nell’anima sua e che importa sacrifici di pensieri e disensi, e tutto quello che di terreno gli fa [contrasto] e cercacondurlo in direzione contraria.Egli riscontra in sé il male, ed allora si disprezza e ricerca loslancio che nobilita.Religione, Amore, Patria, Ricordi… agitano quest’anima inten-samente.– Pace ad Essa!

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IdealeI

ALESSANDRO VECCHIOTTI

Torinese, studente di ingegneria, Alessandro parte volontarioper il fronte carsico: le lettere che invia alla famiglia sono ric-che di dettagli legati al vivere quotidiano, con poche esterna-zioni ideali, ma con i segni di una giovanile e inconsueta ironia:la disincantata capacità di cogliere il dettaglio che dà un sen-so diverso agli orrori circostanti.

14/12/1915Cari fratelli, a rapporto!

I fucili sparanoI cannoni rombanoI proietti scoppianoLe pallette fischianoOh che bel mestiere fare l’Artigliere

Sono dentro un’abitazione troglodita, seduto su una panca dilegno che mi serve presentemente da scrittoio e che l’abilitàdei miei soldati ha elaborato.La mia abitazione è piccina piccina e la condivido coi soldatidel mio pezzo, per compenso c’è il palchetto di legno, un ad-dobbo di teli da tenda, un caminetto che fa fumo ecc. ecc.Raccontarvi tutto il viaggio sarebbe troppo lungo, d’altronde lamia posizione è terribilmente incomoda per potervelo fare sen-za eccessiva mia fatica. Sono partito da Torino, e questo anchevoi lo sapete, ho cominciato subito a mangiare cioccolatini equesto ve lo immaginate e sa Iddio se ho dovuto faticare e semi è stato necessario del tempo per esaurire la provvista. Peròlungo il viaggio ho sempre trovato qualche collega che mi haaiutato nella bisogna. Sono saltato da un treno all’altro e hoadoperato vari mezzi di locomozione: l’autocarro pieno di sac-chi di castagne, il carretto, il cavallo, e sono giunto a destina-zione. […] Voi vorrete sapere dove sono?… Sono sopra un mon-te. Prendete una carta del teatro di guerra, ai posti d’orchestracercate un nome impossibile che sta tra lo starnuto e il colpodi tosse; ne troverete moltissimi, e molti ne ho già trovati io pervenire qua, prendetene uno a caso, quello che vi piace di più, elì fate conto che sia io. […]

16/12/1915Ha piovuto infatti; non molto, una pioggerella fine che è bastata

a sciogliere la neve e a infangare i sentieri. Oggi le artiglierie,tanto da una parte che dall’altra, hanno lavorato poco.Ora i monti si profilano pezzati di neve per la luce che trapelada una cortina di nubi; vicino si vedono delle luci sul trincero-ne, la valle è coperta da nebbia. La mia compagnia alla mensasono sei o sette sottotenenti di artiglieria e con loro si fa musi-ca orale; un romano legge le poesia di Trilussa, si scherza, si ri-de, e nell’antro formato da pietre e sacchi di terra accatastati,piccolo scuro e fumoso, mangiamo in stoviglie primitive cibimigliori di quanto potete credere (tutte le sere il dolce).Bandita l’acqua perché, dovendola portare dal basso a dorso dimulo, tanto fa portare solo il vino. Si passano ore di buon umo-re, sempre pronti però – o italiani le sentinelle vegliano – adandare al pezzo.

19/12/1915Cari fratelli,stamattina per la prima volta da quando sono partito da Torino,mi sono lavati e puliti i denti. La cosa sembra a voi naturale, manon a me, né ai miei compagni che quando lo hanno saputo mihanno accusato di epicureismo. Ciò che ancora aspetto è di ra-dermi: l’ultima volta mi feci la barba a Cividale, e adesso la bar-ba orribilmente lunga mi dà un aspetto da “poilu” e mi fa malealla gola. […]

23/12/1915I giorni ora sono belli e promettono un buon Natale. Vi manderòil menu del pranzo di quel giorno e stupirete. La baracca doveora abita il comando della mia Batteria è la più grande e sfar-zosa delle vicinanze: ha una stufa di ghisa che fa poco fumo,una porta con un buco, una lampada a petrolio provvisoriamen-te senza petrolio, un tavolo largo e lungo, dei banchi lungo lepareti. Il tutto fabbricato sul luogo partendo dalle materie pri-me. Grazie alla magnificenza di questa baracca vi si farà ilpranzo di Natale, e sarà per dodici persone, non tredici perchéporterebbe disgrazia e perché non ci si potrebbe stare. […]Dimenticavo dirvi che ieri mi sono fatta la barba, aveva la vene-rabile età di 14 giorni. La gioia che ne ho provato era ancora su-periore a quella che ho provata dopo essermi pulito i denti do-po una settimana. Non vi ho neppur detto che sono da moltigiorni tornato all’uso del sapone.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 61

IroniaI

ELISA SEPPENHOFER

Nell’estate del 1915 Elisa cerca di raggiungere, in Svizzera, ilmarito irredentista, ma viene arrestata dalla polizia austriacache l’accusa di spionaggio. Imprigionata, ha inizio per lei uncalvario che durerà ben tre anni durante i quali, spostata in va-ri carceri, subirà patimenti e angherie di ogni genere.

Partita da Gorizia il 18.6.915 per Trieste ove mi attendeva miasorella, credeva di stare in pace e di riposare la notte, ma lecontinue incursioni di Aeroplani italiani poco si riposava.Rimasi fino al 13 agosto e decisi, dopo aver avuto il permessodelle autorità militari, di accasarmi a Vienna e di avere qualchenotizia dei miei e eventualmente poter andare in Isvizzera. Ebbianche regolare passaporto. Colà vidi parecchi cari amici. […]Passai bene 5 giorni, mi proposero di partire, ebbi diverse visitedi persone che volevano darmi incarichi per persone di paren-tela ecc.Alle 8 di sera rientrata all’albergo colla Sig. Ortensia 2 agenti inborghese mi attendevano, si fecero mostrare il mio passaportoche avevo in piena regola e mi invitarono di andare con loro allaPolizia-Shitteuring. […] Dopo pochi momenti di attesa fui con-dotta dal Commissario Superiore Dr. Pollak tipo poco simpaticodi aguzzino. Mi fece molte domande sulla mia famiglia e di fat-to m’accorsi ch’era ben informato di tutto. Dopo un lungo inter-rogatorio mi disse che doveva trattenermi in arresto aggiun-gendo che tutta la mia famiglia era sospetta e che probabil-mente i miei figli combattevano contro l’Austria. […] Fui con-dotta da un agente in borghese alle carceri dell’Elisabethprisone dopo una minuziosa visita delle cose mie e alla mia persona(fatta da donna apposita) fui rinchiusa in una cella angusta il-luminata a gas. […] Rimasi li fino a domenica mattina credo il20 agosto del 1915. Verso le nove venne la guardia a dirmi ditenermi pronta che doveva andar via. Io credeva di poter esserelasciata libera, ma quale fu la mia disillusione quando i miei 2crucchi, che aspettavano chissà che persona pericolosa, midissero se desideravo andare a piedi o a mie spese s’intende invettura giacché venivo trasportata agli arresti delLandesgericht, ove alcune celle sono adibite per inquisite poli-tiche. Tutto il mio bagaglio era già stato levato dall’albergo

Veisenhahar ove avevo pernottato 2 o 3 notti e portati alla Polizia […] accompagnata da 2 angeli custodi, perché uno eratroppo poco, fui consegnata all’ufficio del carcere. Anche li al-tro interrogatorio sulla mia nazionalità, cultura, conoscenza di lingue, ecc. Fu trattenuto tutto il mio danaro perché sospetto dispionaggio pochi gioielli vestiti qualche libro ecc. Solo un vesti-to una veste e pochissima biancheria mi fu concesso di portarein cella. Verso le 11 ½ entrai nel mio nuovo appartamento N.194 ove si trovavano già altre 6 infelici 4 per reato politico 2 co-muni. Mi fu dato un po’ di minestra, una porzione di verduratutto immangiabile, mangiai 2 cucchiaiate ed un po’ di pane ne-ro. […] Dopo quasi 7 mesi di pene, angherie terribili, insonnie, tormen-tata da cimici e rovinata da tanti patimenti, fui chiamata anco-ra dal Dr. Hein il quale con strana cortesia mi disse che loro de-sistevano d’ogni accusa e che sarei passata fra breve allaPolizia la quale destinerà dove potrò andare. […] Ero accusatanientemeno che di spionaggio, perturbazione della pubblicaquiete e provata diserzione dei miei figli s’intende. Dopo averfatto parecchie perquisizioni in casa mia, a Trieste da mia so-rella, non trovarono nulla di compromettente e per ordine mili-tare fui confinata a Pöggstall Austria inf, al di là del Danubioluogo abbastanza lontano da qualunque centro importante, lacittà più vicina è Melk! Passai altri 5 giorni all’Elisabethpro -menade, carcere di passaggio. Tutte donne di malafare, che 2volte al giorno vengono arrestate nei locali pubblici e per lestrade, passano subito la visita medica e poi hanno piccole con-danne. Io per fortuna ebbi stanza con due signore che erano so-spette politiche; passai anche là tutte le umiliazioni possibili efinalmente martedì 14 marzo accompagnata da un detectiveborghese, molto andante, mi lascio impostare alcune lettere,partimmo per Melk e poi in vettura attraverso il Danubio inferrybott attraverso bei boschetti arrivai alle 5 pom. a Pöggstall.Il mio avvocato […] la seconda volta venne all’Elisabeth prome-nade e mi assicurò che Pöggstall è un bel luogo di villeggiatura,che avrei trovato molti italiani e forse gente di Trieste. Io venniqui piena di speranza, che almeno dopo 7 mesi di terribile pri-gionia avrei potuto parlare la mia lingua.

62 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

IrredentismoI

ANTONIO FERRARA

Un ufficiale di fanteria della provincia di Potenza racconta, travicende personali e precisa cronaca militare, due dellebattaglie dell’Isonzo. Dal 4 agosto al 17 settembre del 1916 letruppe italiane sono infatti impegnate nella sesta battagliadell’Isonzo, terminata con la vittoriosa presa di Gorizia, e nellasettima, che vede invece respinta l’offensiva italiana.

4 Agosto. [1916]Inizio dell’azione offensiva per la sesta battaglia dell’Isonzo, labattaglia di Gorizia, con azione dimostrativa sul fronte diMonfalcone, a q. 181, a q. 85, sul Sele e sul Casich.La preparazione del fuoco di artiglieria è intensissima, comemai visto finora. Il nostro battaglione, su due colonne, agiscesu q. 85, dove facciamo circa 400 austriaci prigionieri conufficiale e una mitragliatrice in perfetta efficienza. Questa èstata presa mentre la puntavano contro di noi da un miocoraggioso soldatino.Purtroppo non possiamo tenere la posizione perché presad’infilata da raffiche di mitragliatrici provenienti da q. 121 nonespugnata. Siamo perciò costretti a ritornare nelle nostreposizioni di partenza.I soldati hanno portato via tutto il portabile dalla posizioneespugnata, fra cui diverse mazze ferrate. Chiedo il favore cheme ne siamo lasciate un paio per mandarle a casa per ricordo,se mi sarà possibile. Me ne vien data una mazza regolamentaree una di rozza costruzione, ma ancor più dannosa. Mi vien datoanche un binocolo austriaco. […]

9 Agosto.La nostra azione dimostrativa questa volta è servita aqualcosa: ha consentito al 28° Fanteria di raggiungere Gorizia.La battaglia, infatti, al 6 Agosto ha spostato il suo fiato roventesul suo obiettivo: Gorizia, con inizio di una furiosa preparazionedi artiglieria.Arriva la notizia che il Sabotino è caduto e che alle 8 delmattino del 9 Agosto Gorizia è stata espugnata. La notiziariempie di gioia tutte le truppe della III° Armata.

10 Agosto – 13 Settembre.Il Reggimento va a riposo a Crauglia, un paesino posto fraAiello e San Vito, non lontano da Palmanova. La truppa èalloggiata in baraccamenti costruiti dal Genio, gli Ufficialipresso case private. […]

14 Settembre.Ha termine il turno di riposo e questa sera si ritorna in trinceaper prendere parte ad un’altra azione offensiva: la settimabattaglia dell’Isonzo. Il gazzettino del Reggimento, ilSottotenente Comandini, figlio del Ministro, che riceve ognigiorno posta dal padre, ci elargisce le notizie politiche romane,le quali sono a volte finanche sconcertanti!. […]Per andare in linea ci fanno passare l’Isonzo sul ponte diSagrado e poi sostiamo nel “Vallone” con sistemazione intrincee arretrate. […]Per l’azione offensiva a me viene dato il comando di unacolonna di attacco formata da due Compagnie. Comandantedel Battaglione indietro e Comandante del Reggimento ancorapiù indietro.La nostra artiglieria apre il fuoco con pezzi di tutti i calibri.Entrano in azione le bombarde che hanno il compito disconvolgere i reticolati e le trincee nemiche.Do le istruzioni per l’azione offensiva raccomandando aiComandanti di Plotone ed ai capi squadra di balzare subitonella trincea austriaca che dista dalla nostra appena unatrentina di metri, espugnarla e immediatamente rovesciarne ilfronte di difesa e offesa. […]All’ora stabilita, al cessare del fuoco delle bombarde e conl’allungamento del tiro delle nostre artiglierie, scatta lacolonna all’attacco.L’azione riesce bene, senza perdite, con conquista deltrincerone e della sottostante dolina, che viene subitobattezzata Dolina dell’acqua poiché nel fondo è piena d’acqua.Facciamo parecchi prigionieri che non oppongono alcunaresistenza e sono ansiosi di essere avviati al più presto nellenostre retrovie. Evidentemente temono di essere riacciuffati daun possibile controffensiva da parte dei loro commilitoni!.Do gli ordini per organizzare immediatamente a difesa la dolina echiedo nel contempo al Comandante del Battaglione dei rinforzi.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 63

IsonzoI

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Lavori forzatiLGIUSEPPE BATTISTEL

Un falegname veneziano racconta nella sua autobiografia lastraziante esperienza dei lavori forzati, che l’uso di una scritturasemplice, e a tratti sgrammaticata, contribuisce a rendere forseancora più diretta. Fatto prigioniero e deportato a Mauthausen,Giuseppe deve fare i conti con la fame, il freddo e la fatica chedominano le sue interminabili giornate scandite dal duro lavoroe dai lunghi spostamenti. Ciononostante trova la forza di la-sciarsi sorprendere, incuriosito, dall’aspetto delle truppe tede-sche, turche e austriache, che descrive nei minimi dettagli.

16 Agosto [1916] partenza da Verde e si arriva il 19 al campo diconcentramento di Mauthausen […]. Il giorno 2 Settembre fe-cero un battaglione di mille uomini e ci mandarono ai lavori siparte da Mauthausen si passa per Budapes Itri Leopoli capita-le della Galizia e presa dai Russi in principio della guerra ilgiorno 7 si arriva a Premislani quì smontammo dopo 130 ore diferrovia il giorno 9 ci mandano a fare trincee e reticolati alfronte Russo […], il giorno 4 Ottobre dopo 20 chilometri a piedi,arrivammo in un paese Russo, […] il lavoro era faticoso e ilmangiare poco, si doveva fare sveglia alle 4 mangiare un po diacqua calda con qualche patata, alle 6 al lavoro e si dovevastare con questo poco di rancio fino alle 4, che si ritornava dallavoro, a mezzo giorno non si poteva mangiare perché la stradaera molto lunga, ci voleva 2 ore andare e 2 ore venire, e tuttastrada di montagna con terreno paludoso, alla mattina del 9Agosto, ci danno da mangiare acqua bollita con un poco di san-gue di un piccolo maiale, che avevano comperato per le senti-nelle, e qualche buccia di patata dentro, perché le patate sierano sciolte, noi tutti daccordo non abbiamo mangiato, alloradecidiamo di mettersi a rapporto, di andare al lavoro, ma nes-suno lavorare, venne avvisato il tenente che comandava lacompagnia, che a mezzo dì venne, col capo lavoro, ma noi re-stammo sempre li, fermi con la palla in mano, allora feceschierare tutte le sentinelle davanti a noi, col fucile spianato, simise a gridare ad alta voce, lavorare, alla prima volta nessunoci badò, ma alla seconda volta ci si mise adaggio a lavorare, inquel momento tutto era contro a noi, perfino la pioggia che sirovescio a secchi rovesci, poi ci fece a dire per mezzo del lin

terprete, che chi non vuole lavorare ce lo dica che sarà imme-diatamente fucilato […], il giorno dopo ci fece smettere il lavoroun ora prima, e andavamo in grannaio, quì avevano legati 5 uo-mini al palo incolpati come iniziatori, e caporioni della rivolu-zione, […] questi poveri Italiani piangevano, erano legati con lemani di dietro a un palo, e una corda ai piedi, si dovevano so-stenere con la punta dei piedi, dopo 2 ore vennero slegati, que-sti poveri uomini caddero a terra, erano svenuti […], allora il te-nente ci disse che se cera qualche altro che avesse da direqualche altra parola lo metteva al palo. Dopo il lavoro di questetrincee ci mandarono a lavorare nelle cave di pietra, il lavoronon era tanto pesante, ma ci volevano 2 ore di strada alla mat-tina e 2 alla sera […], pulizia non se ne faceva più si erano dive-nuti come i maiali, intanto si erano arrivati al mese diNovembre, e cominciava un altro nemico, il freddo quì la neveveniva abbondante, e si gelava per la strada, e si erano vestiti destate, con giubba e camicia sottile, senza malia senza capot-to, e si doveva lavorare sempre fuori le scarpe rotte che quandofaceva scirocco si doveva camminare nel fango fino al ginochio,quì si era a Aulcha e Coino 2 paesi vicino al fronte Russo. Inquesto fronte si vedevano soldati Germanici e Turchi, quì si la-vorava per rimediare una strada Provinciale […], i Germaniciper questa strada passava di continuo, queste truppe le imma-ginavo formate da uomini molto più giovani, nella faccia di que-sti uomini si leggevano i segni di stanchezza, della lunga guer-ra, ce ne erano di giovani, ma anche di vecchi, dai 40 ai 45 anni,di questi uomini, molti avevano i baffi lunghi, e dal freddo edalla neve li avevano sempre pieni di ghiaccio, cose che nonavevo mai viste i Turchi poi erano tutti ammalati, e parevanotanti malati che camminavano, quello che son restato abbaliatoera lartiglieria Germanica […], e le cucine anche queste belle egrandi, facevano da mangiare in marcia […], tanto fumo ma pocoarrosto, perché anche per queste truppe il rancio non era tantoabbondante, il pane si vedevano che lo tagliavano come il pro-sciuto, e nel rancio cera molta acqua. I soldati che gli Austriacisi servivano, nelle retrovie erano quasi ridicoli, erano uoministorpi, zoppi, senza un occhio da 60 anni, ragazi di 10 o 12 anni,che vestiti da militari facevano i carrettieri e altri lavori.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 65

LetteraLPAOLO CAPECCHI

Dall’epistolario di Paolo Capecchi, un giovane fante che scrivealla famiglia dal fronte, pubblichiamo una commovente letteradei genitori che chiedono notizie. La ripetitività con cui il padreimplora il figlio di scrivergli quotidianamente e di raccontareloro la verità sulla situazione, testimonia la paterna preoccu-pazione e ci fa comprendere quanto la guerra coinvolgesse di-rettamente anche la quotidianità dei civili, in apprensione perla vita dei propri figli.

Abbadia S. Salvatore 31 maggio 915Caro Figlio

Sentendo dai giornali tante cose, noi stiamo molto in pensieroper te. Dunque mi raccomando, di nuovo che tu ci scrivi anchetutti i giorni; se fosse possibile, che potessomo almenorianimarci anche fosse un rigo, e che per avere questo rigo civolesse anche quanto si sia non ce ne importa niente; bastasapere le tue nuove; caro figlio se e possibile ciraccomandiamo.Ora ti pregherei anche farci sapere come mi ci dici, che non aine fucile, ne cartuccie e tante altre cose; di te e dei tuoi com-pagni se ai tempo e che puoi scrivici tante cose tanto buone,come cattive, buone se ci sono, e cattive se vengono; non ci na-scondere nulla per carita.

Ci dicano che i nostro paesani anno fatto parecchie avansate, enon cie tanto male se fosse possibile anche questo si avrebbepiacere di saperlo, che cosi almeno si saprebbe la verita e non sistarebbe su l’incertezza. farci sapere che cosa fa Ferruccio se evero che si e battuto più di una f volta, e cosa fai te dirci propriola verita: anche dei tuoi compagni, ci raccomandiamo la veritaCi dirai noiosi perche ripetemo tante volte le medesime cose.ma capirai bene che sono tutte cose che si avrebbe piacere disaperle tanto volentieri perche solo te possi farci sapere la ve-rita se tu puoi, spero di siTi abbiamo scritto 3 letere con questa e al giorno di oggi non babbiamo avuto nessuna risposta speriamo che siano state perla strada e che le riceveremo tutte insieme. tanto te che noiqua All’Abbadia partono tutti 1° 2° 3° insomma eguale conquelli che si credevano sicuri vengono sottoCaro Figlio fatti tanto coraggio che anche noi ce lo facciamo,che presto passera, e tu potrai tornare, vittorioso nelle bracciadei tuoi cari coraggio anche ai tuoi compagni e Paesani e a tuttie raccomandiamoci a Gesu e alla Madonna S.S. e spero vorraaiutarci e liberarti da tuoi pericoli non ti dimenticare di dirle 3Ave Marie, quando ti trovi angustiato che vedrai ti aiutera salutidi tutti i parenti dandoti la paterna e materna Benedizione[…] dico i tuoi GenitoriGigi Luigi

FRANCESCO ISOLA

L’autore racconta la guerra nell’Isonzo tra il 1914 e il 1918, laprigionia in Westfalia e le sofferenze patite in diversi campi diconcentramento. Tutti i prigionieri sono in attesa di notizie,sperano che la fine del conflitto sia ormai vicina. Scene di in-descrivibile esultanza avvengono per festeggiare l’agognata li-bertà.

[1918] In pochi giorni mi vestirono da capo a piedi con un nuovopesante vestito di color nero ed alla foggia inglese con i bottonicolor oro. […] Ma nonostante mi fossi trasformato in un inglese,mi procurai un paio di stellette e me le applicai al colletto per-ché, così rimesso tanto di salute quanto di vestimenti, non vollivenir meno allo spirito di corpo, anche se l’Italia m’aveva per unistante abbandonato.Intanto si cominciava a parlare come avremmo trascorso il se-condo inverno, perché la guerra, secondo le notizie che ci giun-gevano, doveva durare ancora per molto tempo.Ben poco o nulla si sapeva dei grandi avvenimenti che accade-vano sul fronte di guerra.Le uniche notizie erano portate da qualche prigioniero cattura-to negli ultimi avvenimenti, ma ancor così ben poco potevanoraccontare in relazione ad una prossima fine, poiché la guerrasi combatteva ad oltranza, senza crolli decisivi.Sapevamo bensì, e qui il nostro terrore, che l’esercito alleatocresceva ogni giorno di uomini e di armi pel fatto che, lenta-mente, tutto il mondo si schierava contro il nemico, che sareb-be capitolato per fame.E se così fosse avvenuto, quale sorte sarebbe toccata a noi?Ecco il dilemma che dalla bocca di centinaia di migliaia di prigio-nieri veniva ogni dì in questione, poiché già il tedesco aveva co-minciato a restringere più quel poco di alimento che distribuiva.Siamo nel giorno dei morti! Avremmo voluto portare un fiore ainostri poveri compagni che vedemmo lentamente morire e che,poco distante da noi, dormivamo il loro sonno eterno, ma que-sto pio sentimento non poteva essere effettuato, tuttavia ciraccogliemmo nella piccola e nuda cappella del campo pressoun disadorno altare pregammo con il cuore, pregammo per essi,

pregammo per i morti, forse nuovi, delle nostre famiglie, mentre quella preghiera era anche invocazione della nostrasalvezza, oppure per una dolce morte che desse finalmente al-le nostre martoriate anime la pace della tomba.Sarà vero che noi abbiamo ben poco contribuito alla causa percui siamo stati chiamati, ma pur tuttavia per la stessa causatremendamente abbiamo sofferto e, con il pensiero sempre ri-volto alla nostra patria, serenamente aspettavamo la morte.Molti italiani morirono, ma tutti questi morirono invocando, ac-canto al nome della loro mamma, anche quello della Patria.Qualche giorno dopo a quello della commemorazione dei morti,i miei inglesi mi strinsero cordialmente la mano, tra il mio piùgrande stupore, poiché questo atto era del tutto inconsueto:“perché ciò”, chiesi loro? “ Gli italiani hanno sfondato il frontesul Piave e con una poderosa offensiva marciano avanti!”Qual miglior risposta potevo ricevere!I miei occhi si aprirono, esultai di gioia, tanto più che proprio ilnostro esercito avanzava e corsi a raccontarlo ai miei compagni.Ma pur sì bella nuova ci dava dei dubbi e cioè ci chiedevamo secon quello sfondamento avrebbero vinto la guerra oppureavrebbero dovuto fermarsi sul Tagliamento o ritornaresull’Isonzo.Ma gli echeggianti squilli della vittoria dovevano svegliarci an-cora dal torpore dell’agonia e risorgere per cantare l’esultanzadella prossima libertà, infatti l’11novembre arrivò a noi lasplendida notizia.La portarono un manipolo di nuovi soldati repubblicani checontemporaneamente obbligarono la guarnigione del campo atogliersi le insegne imperiali ed al “levatet” delle baionette ciannunciarono ufficialmente la loro resa succeduta non percausa delle armi, ma per la fame, invitandoci al perdono ed allafratellanza: questo per noi fu come uscire dalle tenebre ed en-trare in una sfolgorante luce, li baciammo e ci abbracciammomille volte, si corse nelle nostre baracche ed alla meno peggiosi formò delle bandierine e fra il delirio incontenibile, urlammola nostra gioia, la nostra libertà.

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Libertà L

PAOLO CASSA

Soldato semplice, promosso a caporale sul campo, PaoloCassa è originario di Brescia. Ha ventinove anni quando, tramolteplici difficoltà e impedimenti, riesce ad abbandonare latrincea per sette giorni, sufficienti a tornare dalla suaGiulietta, salutare i parenti, comprarsi un abito, un paio discarpe, due anelli e sposarsi; non senza immancabili e comicicontrattempi. In poche e sbrigative righe Paolo racconta lasua incredibile esperienza di licenza, “una breve parentesi difelicità”.

Da tempo, dalla mia fidanzata giungevano giustificatissime sol-lecitazioni a regolare la nostra situazione in modo, dato il pro-trarsi dello stato di guerra, di poter godere di giorni di licenzatutti assieme e senza scrupoli circa la convivenza.Mi rivolsi quindi al Cap. Capizzi che dimostrò di prendere la cosaa cuore, ma mi avvertì che non poteva concedermi una licenzamotivata da… matrimonio, ma aggiunse che aveva sentito di unaprobabile visita a Milano del Cap. Spatocco e “tu potresti aggre-garti a lui”. La cosa mi fece naturalmente molto piacere, ma pas-savano i giorni, le settimane e la trasferta non maturava. Avevoscritto a mio padre della cosa e lui aveva chiesto una breve li-cenza per attendermi a Brescia.Finalmente il 10 Ottobre del 1917 telegrafai a papà e Giuliettache l’11 sarei stato a Brescia per recarmi il 12 a Guidizzolo per lacerimonia. Infatti il 10 mattina col Cap. Spatocco ci mettemmo inviaggio. Giunto a Vicenza dove papà presiedeva il tribunale scen-do dal treno per telegrafargli che mi raggiunga a Brescia, ma melo vedo di fronte appena arrivato da Brescia. Saluti e abbracci,scambio di accordi per l’indomani e proseguo il viaggio. ABrescia saluto il Capitano e prendiamo accordi per ritrovarci aMilano. Corro a casa e mi diverte la sorpresa di tutti al vedermi.Naturalmente c’erano varie cose da predisporre, ma l’ora tardanon consentiva più acquisti d’alcun genere e papà e sorella nonavevano pensato neppure all’anello nuziale.

A notte giunse anche papà ed era assai tardi quando ci conce-demmo un po’ di sonno.Al mattino il “tram” per Guidizzolo, una specie di gamba di legno,partiva piuttosto presto e io, Fanny e papà ci vestimmo in fretta ealla stazione trovammo il treno in partenza. Ci accomodammosulle lunghe panche imbottite e partimmo; da qui la cosa assun-se un andamento piuttosto comico.Pochi chilometri dalla città entrano nel vagone due carabinieriche, giunti da me, mi chiedono i documenti. Ahimè, i documentierano rimasti nella divisa ed io m’ero messo in borghese. Cercai dicommuovere i tutori dell’ordine, spiegando che i documenti liavevo, ma a casa, che mi recavo a sposarmi, ma la risposta fu chealla prossima fermata mi avrebbero fatto scendere in attesa diavere i famosi documenti.Però i Carabinieri proseguirono nel controllo e lasciarono il vago-ne, ed io uscito dalla piattaforma della vettura con salto elegantebalzai a terra ed ebbi la fortuna di veder passare un signore su uncalesse diretto in città e che gentilmente mi prese a … bordo.Giunto a casa, trovai subito i documenti, poi corsi a comprarmi unpaio di scarpe decenti e poi al negozio di Fabanni e Frugoni aprendere un paio di anelli di misura diverse.Per il ritorno però non c’erano più treni, sicché non mi restava cheun mezzo, la bicicletta e senza por tempo in mezzo la inforcai evia…La povera sposina era in uno stato di agitazione da non dire, ilclero che doveva celebrare il rito pestava i piedi e continuamentemandava a chiedere se lo sposo era arrivato, gli altri invitati, nonsapendo come comportarsi, scrutavano la strada e tentennavanoil capo, ed io pedalavo, pedalavo.Il sospiro di sollievo di tutti al mio arrivo deve essere stato avver-tito a distanza; 38km. Su strada e con bicicletta dal tempo, ma al-le 12.30 io e Giulia eravamo sposati; ce l’avevo fatta!Una troppo breve parentesi di felicità ed al mattino del 18 partoper Milano.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 67

LicenzaL

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LogoramentoLPASQUALE GAGLIANI

Pasquale, originario di Napoli, partecipa alla Grande Guerracome ufficiale al comando di vari reparti di artiglieria, riceven-do per i suoi atti eroici numerosi riconoscimenti. Nel suo diariogiornaliero annota la snervante ripetitività della vita di trinceae i terribili effetti provocati dai bombardamenti nel fisico e nelmorale dei soldati.

7 marzo [1916] = Oggi compiono 4 mesi dal nostro ritorno allafronte. Vi sono vaghe voci di un prossimo cambiamento delCorpo d’armata: credo che siano voci che riflettono più un de-siderio soggettivo che una realtà.

11 marzo = Oggi si inizia un bombardamento sistematico chedovrà durare almeno tre giorni, per culminare in un’avanzatache dovrebbe renderci padroni di alcuni tratti di trincea che cidanno fastidio. L’azione è contemporanea su tutto il fronte del-l’armata (sui fronti delle altre armate sarà resa impossibile for-se dalle abbondanti nevicate di questi giorni). Vi è chi dice cheil nostro cannoneggiamento è politico, riconnettendosi alla si-tuazione particolare a Roma (che parola putrida è la politica! igiolittiani hanno il coraggio di metter fuori il naso, spalleggiatidai socialisti così detti ufficiali! perché non si mandano tutti intrincea in prima linea!)Tempo perfido! le piogge continue dei giorni scorsi hanno reso icamminamenti tanti ruscelli di fango rosso: si arriva all’osser-vatorio in condizioni disastrose. […]Il bombardamento nostro si è iniziato alle 10; gli Austriaci nonrispondono, per ora cercano di indovinare in che cosa noi sitenda. All’imbrunire sono tornato a casa bagnato come un pul-cino. Che voluttà potersi mettere addosso oggetti asciutti: è unpiacere questo che non possono concedersi quei disgraziatiche sono nelle trincee…

12 marzo = Tutta questa notte è durato il cannoneggiamento:visto dalla mia finestra è uno spettacolo grandioso: nella fo-schia leggermente illuminata dalla luna crescente gli scoppidegli shrapnels sembrano enormi lucciole.Stamani continua la pioggia fitta gelida che sferza il viso.Giungo all’osservatorio molle d’acqua e con il fango rosso sinoalle ginocchia. Il campo di battaglia – per chiamarlo con untermine non più rispondente al vero – è vuoto, deserto. L’unicomovimento è dato dal saltare per aria delle trincee avversarie

battute dalle nostre granate. Ho avuta l’inestimabile fortuna divedere un austriaco che scappando dal suo ricovero, colpito inpieno da una nostra granata e passato di corsa attraverso unabreccia della trincea. disgraziato! sei rimasto vivo sino a sera?Se sì, devi essere o intontito o pazzo!Un disgraziato colpo di una delle nostre batterie è caduto suuna nostra trincea, la più avanzata e distante un’ottantina dimetri appena dalla trincea austriaca battuta da noi. Col bino-colo ho visto accorrere i portaferiti e da sotto le macerie trarreun corpo umano e trasportato indietro su di una barella! Ne hoprovata una pena immensa! che strana psicologia è la nostra!lo stesso colpo se ammazza dei nemici è giudicato da noi benriuscito e ci dà soddisfazione: se invece colpisce fortuitamentei nostri, lo chiamiamo disgraziato e ci fa pena! Per telefono misono informato: il ferito non è grave, forse se la caverà con unmese di cura: chi sa che non sarà contento di questo colpo chegli permetterà di rimanere lontano da questa bolgia infernale[…].Oggi quei signori hanno tirato con le loro artiglierie: ma si hal’impressione che i loro tiri siano disorientati: sono colpi quasidi rabbia, di stizza.

13 marzo = Il bombardamento di questa notte è stato intermit-tente, ma in certi momenti raggiungeva un furore che ricorda letempeste dell’offensiva dei primi giorni.L’avanzata doveva essere per le ore 5,30 (ora molto mal sceltaper un’avanzata preceduta da un bombardamento! Se si rag-giunge l’obbiettivo, si ha poi davanti a sé tutta un’intera giorna-ta da rimanere sotto al fuoco violentissimo delle artiglierie av-versarie che hanno i tiri aggiustati sulle proprie trincee. Meglio,in tal caso, avanzare al tramonto).Pioveva; alle ore 5 si è intensificato il fuoco dell’artiglieria daentrambe le parti ed è cominciato quello di fucileria.Spettacolo meraviglioso il lancio di innumerevoli razzi fatto da-gli austriaci per illuminare il terreno davanti alle trincee e bat-tere così sicuramente l’attaccante. Pare che in due o tre puntidella fronte del nostro corpo d’armata si sia riusciti ad impa-dronirsi di elementi di trincea avversaria […]. Sono andato ver-so le 9 all’osservatorio sotto l’acqua battente. A quell’ora l’in-tensità del fuoco nemico era un po’ diminuita, sempre forteperò nella zona verso Monte S. Michele.Sono tornato a casa bagnato fino alla pelle.

FILIBERTO BOCCACCI

Filiberto Boccacci ha vent’anni quando, nel 1913, parte per ilservizio militare in fanteria a Genova. La separazione dallafamiglia innesca una fitta corrispondenza. Con lo scoppio delleostilità, Filiberto viene inviato al fronte. Nella lettera alla madresi avverte tutto l’amore verso i genitori e si intravvedono incontroluce i riferimenti alle sofferenze della vita di trincea.

lì 24 Settembre 1915 ore 23Cara la mia mammetta;ho ricevuto la tua lunga lettera e te ne ringrazio tanto tanto.Ogni tua, ogni vostra lettera mi arreca una gioia indescrivibile,un conforto massimo. Ti ringrazio degli incoraggiamenti: tigiuro, cara mamma, che il coraggio non mi fa difetto: son dibuon sangue! Però non ti nascondo che sono un pò stanco: nonte lo dovrei dire; ma a te che mi comprendi più d’ogni altrapersona, a te che qualche volta ho fatto inquietare, nonnascondo nulla; si, sono un pò stanco. Vedi l’allegria non mimanca, l’appetito nemmeno, la mia salute è ottima, ma sentoche avrei bisogno di almeno dieci giorni di riposo assoluto. Soncontento di compiere il mio dovere di soldato, di figlio italiano,ne sono orgogliosissimo, e lo compierò fino all’ultimo, finchéuna sola stilla di sangue scorrerà nelle mie vene, ma con miosommo rincrescimento, constato che non sono più quello didue mesi fa’.Ti scrivo sopra una tavola che appoggio sulle ginocchia, entro ilmio buco che il tempo e l’acqua hanno scavato nella roccia:100 metri più su della mia casa vi sono gli austriaci, quindi pernascondere ai loro sguardi sempre vigili il piccolo chiaro dellamia candela, ho coperto il mio alloggio con due tele da tenda:ecco, sto col mio reggimento, con tremila compagni, eppure misembra di star vicino a te, vicino alla mia famiglia, sedutoinnanzi al tavolino di cucina a parlare con voi del più e delmeno, come facevamo quando ritornavo a casa presto…Mancano pochi minuti alle 10 di sera (me l’ha detto un miocompagno che dorme sotto terra vicino a me) e forse saraiandata a riposare; ma son certo che il tuo pensiero di madreaffettuosa è rivolto a me, son certo che tu intuisci cosa iofaccia in questo momento; vedi l’illusione è completa: conversocon te, colla mamma mia.Vuoi che ti dia una spiegazione un pò sommaria del luogo in cuimi trovo? ti servo subito.Mettendo fuori la testa dal riparo, a destra ho il monte che

scende quasi a picco: giù in fondo valle la luna fa sembrard’argento un piccolo corso d’acqua ed illumina più in là i tettidelle casette di un villaggio; a sinistra, a 10 passi da me, visono le trincee, dove vegliano le sentinelle a guardia di chiriposa: innanzi, il monte scende dolcemente e si confondelaggiù, un pò lontano, con un bosco; in vetta a questo monte,lassù sul cucuzzolo vi sono i nemici. Di tanto in tanto mi giungeil loro grido imitante il «cu-cu» che serve forse per tenersveglia l’attenzione delle loro guardie; il silenzio che sarebbeprofondo quassù, specialmente di notte, viene interrotto daqualche fucilata, dal sibilo di qualche bombetta che quasisempre scoppia molto lontano da me: il rimbombo delloscoppio si ripercuote più volte per la valle in modo strano. Ognicinque minuti un nostro colpo di cannone passa sulla nostratesta sibilando e batte nelle loro trincee: qualche volta vieneseguito da un grido, da un lamento: segno buono: ha picchiato!Ecco su per giù com’è una notte di guerra. Ma però mi sonoabituato completamente, e non mi fanno più alcun effettoquesti rumori che prima mi sembravano tristi, quasi paurosi.Se tu mi vedesti come sono imbacuccato! Son sicuro, non miriconosceresti. Fa un freddo birbone che di tanto in tanto micostringe a soffiarmi sulle dita. Quest’anno posso dire chel’estate non sia venuta per me. […]Avevo mandato via tanti animaletti, accidenti! sono ritornati!Vedi è un incomodo: nel meglio che sto per sentir caldo, sentoun pizzico in qualche punto difficile del corpo e lì per… grattareson costretto a disfare la mantellina, la coperta, i guanti ecc.ecc. Se tu sapessi che nervi! eppure vi rido sopra; infatti, non fàridere il morso di un pidocchio? (scusami)Dunque: mi vuoi mandare la polvere disinfettante? Mandamelapure: accetto tutto […] Mettici ingredienti mangerecci, comesalame, scatolette di sardine, di tonno, qualche salsiccia difegato di quelle nere, come piacciono a me. […]Buona notte, cara mamma, smorzo o spengo, (come ti fa piùcomodo) il lume. Dì al babbo che a sua volta spenga la pipa, etutti e due, carissimi, dormite d’un buon sonno: io cercherò difare altrettanto.Cara mamma, domattina distribuisci tanti bacioni a Mario,Umberto, Irene: al babbo no perché glie ne invio due entroquesta lettera; a te tanti tantituo FilibertoViva L’Italia

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MadreM

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MorteMFRANCESCO FERRUCCIO ZATTINI

Un giovane soldato di Palestrina (Rm) a ventiquattro anni rac-conta nel suo diario uno degli episodi più tragici dell’esperien-za al fronte: una valanga di neve travolge lui e i suoi compagni.Francesco riesce fortuitamente a salvarsi, grazie al ramo di unalbero a cui si era aggrappato un attimo prima del disastro.Sepolto nella neve ha la visione di suo padre, scomparso pocotempo prima, che lo aiuta miracolosamente a liberarsi, ma,uscito finalmente da quella che poteva essere la sua tomba, ècostretto ad assistere impotente alla morte di molti commili-toni. Un dolore indicibile, che non si può descrivere.

[1916] Fu un momento, un attimo anzi, che non permise neppu-re di gridare. Io, fortunatamente mi ero tolto lo zaino dalle spal-le e invece di sedermici sopra come sempre avviene, mi ero ap-poggiato al grosso albero che sosteneva la baracca del posto dicorrispondenza. E quando ebbi la percezione del disastro checi minacciava, per istinto di difensiva o protezione, mi attaccaicon tutte le forze che la lotta per l’esistenza infonde al primogrosso ramo di detto albero. Fu questo un vero miracolo! La va-langa, investendomi a pieno, voleva trascinarmi nella sua fugaprecipitosa, sentivo una pressione intorno alla […] corpo, chemi toglieva il respiro, la testa che avevo ritirato nelle spallesembrava volesse da un momento all’altro staccarsi.Trattenevo il respiro perché sembravami che respirando nonpotevo far forza, intanto, un rumore che chiamo infernale, per-ché altro nome non merita, era intorno a me, nella testa equando si allontanò e […] stabilire di essere passata la bufera,vado per aprire gli occhi, ma non potei, la neve mi aveva rico-perto tutto. Mi si strinse il cuore e se non mi fosse comparso

mio papà, il povero babbo mio innanzi che sembravami rispon-dere alle mie invocazioni di aiuto, certamente non avrei fattonessuno sforzo per liberarmi ed avrei atteso la morte che concertezza non sarebbe tardata a venire che pochi minuti.Invece no, con l’impressione il mio povero babbo si adoperavaper liberarmi, io che sempre ero avvinto al ramo, mi provai a ti-rar su, ma non ero capace. Contemporaneamente sentivo qual-che cosa muoversi sotto i piedi e come una molla che mi solle-vasse, accoppiando così i miei sforzi, potei finalmente tirarfuori la testa, respirare e vedere… tutto bianco, solo cinque osei dei sessanta che eravamo erano nella condizione mia piùfortunata di tutti invero.Una volta tirata fuori la testa, potei facilmente liberarmi tutto edall’apertura che tirando fuori il mio corpo si era fatta, vidi uncompagno che faceva sforzi disperati per muoversi ma comepoteva mai da solo liberarsi di oltre due metri di neve che loavevano ricoperto? Balbettando, perché parlare bene non pote-vo gli feci capire di stendermi una mano, la strinsi forte, mentreero disteso sulla neve e con la sinistra stringevo il ramo che misalvò, potei tirarlo su, ma era in condizioni da far pietà, gli usci-va dalla bocca un liquore verdastro ed il naso gli faceva sangue,ma non importa era salvo. Gli altri cinquanta e più compagniche mancavano dove erano?! Mistero! Non si vedeva che neve,neve e null’altro che neve. Come gridai, come gridammo noi po-chi che da soli ci eravamo salvati? Cosa gridammo? Furono cer-tamente gridi di aiuto perché in pochi minuti a centinaia venne-ro i Bersaglieri armati di badile e con la loro umanitaria operasalvarono non pochi da certa morte. Non posso descrivere il miostato d’animo. No, certe cose non si possono scrivere.

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MuloMGIUSEPPE CARRUBA TOSCANO

Il tenente siciliano, di stanza nella zona del Vallone, traMontefalco e Gradisca, partecipò all’ultima delle undici batta-glie sull’Isonzo, assistendo alla lenta avanzata dell’esercitoitaliano e al contrattacco austriaco: nel suo diario, da buon uf-ficiale veterinario testimonia le devastanti perdite di uomini,ma anche di animali.

29 giugno 1917Stamattina si parte. Vo a Ferleti ove starò cinque giorni per ilturno al Vallone con gli altri veterinari delle brigate. Giungo alle9,30. Trovo De Rosa. Rimane alla medicazione e io vo a salutaregli ufficiali del comando. Accoglienza né buona né cattiva. Nonè passata mezz’ora, squillo di tromba. Corriamo a rifugiarcinella caverna: vengono gli aeroplani. La sera prima alle 7 ave-vano lanciato 4 bombe e uccisero 20 soldati e 40 furono feriti.Dopo altri 10 minuti altro squillo. Si poteva andare fuori. Se neerano andati. Vo al posto di medicazione vicino la mezza sezio-ne di sussistenza, non trovo De Rosa. I quadrupedi feriti furonoavviati alle retrovie. Erano 15. I due morti li avevo visti sui carriper la strada che li portavano al digestore di Torre Luino. […] Fo chiamare i maniscalchi. Li mando in giro. Notizie: alla 589ªcompagnia mitr. Fiat del Capitano Bruno cinque muli uccisi euno ferito gravemente. Un altro mulo del 243 ferito gravemente.Sono al di là della mezza sessione di sussistenza. Si va là, foabbattere i due feriti e torno a riferire. Avviso il digestore permandarli a rilevare. Non è ancora finita. Ronzio nell’aria di ae-roplani. Sono nostri Si fanno riconoscere segnalando con la lu-ce. Sono accolti a shrapnel. Si sta in ascolto.

13 agosto[…] Oggi tirano pure a Redipuglia. Una granata pigliò in pienouna tenda e fregò 4 soldati. Il colonnello brigadiere Cicconettifarà cambiare il posto al battaglione. Se lo tiene lì glielo fuga-no. Tirano sempre lì, vicino la via, alla fine del paese quando siva a Monfalcone.L’offensiva pare si farà tra dieci giorni. Nella presente offensivapare si stia avverando quanto pensai al principio di quella dimaggio. Mettere dei depositi di scatolette nelle prime linee inmodo che le truppe possano vivere due, tre, quattro giorniquando gli austriaci sferreranno il fuoco sbarramento. Allora imuli rimasero 24 ore carichi col rancio nelle marmitte senza

potere andare avanti e senza potere trovare le truppe dei proprireparti. Avvenne che il rancio dovette essere buttato, le trupperimasero quindi due giorni senza mangiare. Se invece si davanodelle scatolette tutto quello non si sarebbe avverato. Lo spiritocombattivo sarebbe rimasto alto e non depresso per la depres-sione del fisico causata dalla fame e dalla sete. Come pure sipoteva evitare la morte e molti ferimenti nei muli per lo stareallo scoperto 24 ore; anche loro provarono la sete e la fame.Molti insegnamenti ci ha dato la lezione del maggio. […] Moltoabbiamo imparato, molto sangue si è sacrificato, in questaguerra per non aver tenuto conto di certi fattori, per disprezza-re l’avversario, il quale si è dimostrato temibilissimo. […]

17 agostoIeri notte passarono da S. Pietro i 200 camion. La guerra noi lafacciamo con lusso. […] Passarono i camion piene di soldati. È un nervosismo che ci tiene in orgasmo. Se non riesce questavolta, sarà l’ultima offensiva nostra sul Carso.Al Vallone il posto di medicazione è stato spostato da Micoli. È un errore tenere un veterinario. I quadrupedi invece che subi-re la 1ª medicazione al Vallone possono benissimo senza alcunpregiudizio riceverla a Redipuglia, Fogliano, S. Pietro ecc. Le fe-rite devono sempre guarire per 2ª intenzione.Resteranno aperte e a contatto dell’aria. Nessuna medicazioneocclusiva si fa perché non danno fasciature e cotone e poi per-ché in certe parti del corpo non si possono fare. Basta una fri-zione vescicatoria che è meglio di qualsiasi medicazione disin-fettante.I cavalli i muli non possono essere considerati alla stregua del-l’uomo. Quelli si possono paragonare al fucile, alla baionetta, alcannone. Rappresentano un’arma; il completamento di un’armacome la trattrice, l’affusto, il calce pel fucile. Ora i meccanicivanno in prima o terza linea per riparare quegli ordigni. Stannonell’officina ove glieli portano per la riparazione. Il veterinario èné più né meno che un meccanico.Andare spesso al Vallone è bene per la profilassi delle malattieinfettive e parassitarie. Ma star lì per la medicazione è male.Andare dopo la pattuglia per lo sgombro e sta benone. Ma tra queste funzioni è quella di star lì per imitare i medicidella specie umana È una imitazione un voler copiare su unaparete della cucina o di una stalla il capolavoro di Raffaello.

72 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleSequenza fotografica che mostra la celebrazione di unamessa in onore dei “Prodi morti per la Patria” accompa-gnata dalla descrizione di ogni singola immagine.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 73

GIUSEPPE OROBELLO

Giuseppe Orobello, impiegato siciliano di Bolognetta (Pa), nellesue memorie che vanno dal 1917 al 1919 narra un percorso chelo porta a Singapore, passando per l’Egitto, la Russia e la Cina.Ad Harbin, in Manciuria, incontra gli irredentisti italiani delTrentino scappati dalla Russia scossa dalla Rivoluzione d’otto-bre. In questo brano ricorda la dolorosa esperienza del Nataletrascorso in Siberia, il secondo lontano da casa.

Fu il giorno 24 dicembre [1918], giorno per me indimenticabile,che il turno per andare a prendere la legna alla stazione toccòa me. I conducenti andarono al magazzino a prendersi gli stiva-li e per primi, si recarono alla scuderia per preparare le slitte.Furono distribuiti gli stivali agli altri serventi, e ne mancaronodue paia. Ma questi, come succede spesso sotto le armi, cu-randosi poco del soldato, insistette dicendo di recarmi assiemeagli altri, mettendomi se volevo sulla slitta. mentre si svolgevaquesto diverbio durato pochi minuti, i piedi si erano cominciatia raffreddare Dovetti andare e siccome era peggio star sullaslitta andai a piedi, così il movimento mi poteva recar menomale. Avevo camminato circa m. 500 metri e mi sembrava chenon avevo più i piedi. Siamo giunti alla stazione, e avevamo cominciato a caricare laprima slitta, che costretto dovetti presentarmi al caporale di-cendo che dubitavo di un congelamento ai piedi. Ritornai indietro a piedi, e non appena fatto 100 metri, cammi-navo come un ubriaco. Gettavo i piedi come se il terreno mi mancava sotto mi sentivopiù nulla dei miei piedi. Il sangue ormai aveva terminato di circolare e fu perché mi eroavvicinato al muro della strada che non cascai a terra. Feci subito cenno ad un conducente di slitta, che mi condussealla caserma. Arrivato nel cortile della caserma a stento appoggiandomi almuro mi portai nella camerata e […] avvertii i miei compagni.Subito hanno preso della neve e fu quella la 1° medicina, e in-cominciarono a strofinare i piedi. Fu chiamato subito il tenente medico, e maggior fu per me lospasimo quando questi, proprio nel 1° dito del piedi sinistro

v’introdusse uno spillo della lunghezza di 4 centimetri. Ma co-me se nulla mi avesse introdotto, nessun dolore avvertii, erarealmente un congelamento Da un infermieri ebbi fatto dei massaggi di spirito e grasso, mifasciarono i piedi e copertomi con delle coperte rimasi in atte-sa della guarigione. Non mi facevano alcun/male e tanto è vero che essendo ora delrancio mangiai, aspettando come il medico mi aveva detto, cheil sangue cominciava a circolare a poco a poco come prima.Stiedi il rimanente del giorno e tutta la notte senza avvertirniun dolore. Il 25 dicembre, ricorrendo il Natale e di conseguenza festa perla religione cattolica Appunto per farmi rammentare che nellefamiglie quel giorno si festeggia e facendomi accorgere che ilmondo non lascia sempre felici; ma girando come una ruota, siferma qualche volta per farci vedere che anche il soffrire è pernoi, quel giorno mi trovai a letto. La mattina alle ore 8, ad unoad uno, moltiplicandosi tra loro, sentivo come un’introduzzionedi tante spille in un corpo vivente, da costringermi a non poterstar fermo sul pagliericcio. Tale dolore era prodotto dal sangue poi incominciava a ripren-dere la circolazione. Se continuava così per poco tempo si po-teva dire nulla, aumentando in tutti e due piedi, per presto siformò un dolore irresistibile – Se fossi stato a casa avrei piantocertamente, ma in mezzo ai miei compagni d’armi, che con meavrebbero sofferto qualsiasi male, mi distruggevo dal dolore. Stiedi a soffir di quel dolore sino alle ore 14, quando fattosi lariunione uscirono dalla camerata per recarsi altrove. In un ca-merone molto spazioso, da diversi giorni si preparavano per fe-steggiare il Natale. Potei sapere che ivi era preparato l’albero diNatale, tutte le pareti erano adorni di bandiere alleate. Poi ilColonnello, in presenza delle diverse rappresentanze di quellacittà, adunò la truppa e tenne un discorso riguardo alla vittoriadegli Alleati, e la prossima pace. Seguì una lotteria di alcuni re-gali, mandati dalla patriottica colonia italiana di Shangai, men-tre la musica italiana suonava gl’inni nazionali. Così, passò per me il 2° Natale sotto le armi, e il 1° fuordall’Italia.

74 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

NataleN

GIUSEPPE CORDANO

La guerra vissuta da un militare di Bellagio (Co) e trascritta neldiario insieme ai quotidiani problemi da affrontare: la fame,l’autolesionismo – che a volte arrivava fino all’amputazione diarti – di chi voleva tornare a casa in congedo, la prigionia e lamorte propria e degli altri. Una generazione intera che ha per-so la sua giovinezza.

5 [luglio 1916] - Piove.Ecco un’altra brutta notizia: una bombarda austriaca ieri colpìa morte il mio carissimo amico Massola di Como. […] sono mol-to addolorato per la sua morte ma è così, uno alla volta toc-cherà a molti.L’austriaco si è ritirato e fortificato su queste cime di monti: loZebio, il Colombara, l’Ortigara e altre montagne che, nel susse-guirsi come una catena, formano un baluardo dominando tuttol’altopiano dei Sette Comuni e quassù resiste forte. […]Sulla sera, alla nostra destra, verso il Colombara, un forte at-tacco nemico persiste tenace ma viene respinto dopo parec-chie ore di fuoco. Nella notte da noi siamo sempre in allarme.Nelle nostre linee stanno piazzando dei lanciabombe di grossocalibro, il fante dice che qualche cosa di nuovo sta maturando.

6 - Tempo bello.Sono le ore quattro del mattino, le nostre artiglierie iniziano unbombardamento sulle linee avanzate nemiche. Il cannoneggia-mento è continuo, serrato, un tambureggiamento infernale. Letrincee nemiche vengono martellate palmo a palmo con unaprecisione millimetrica.Verso le otto del mattino il comando di settore, visto l’effettopositivo eseguito dalla nostra artiglieria, dà l’ordine di attacca-re e avanzare. […]A mezzogiorno la nostra artiglieria leggera, piazzatasi su posi-zioni avvicinate alle linee nemiche, inizia un micidiale tiro ser-rato e preciso sulle loro trincee. […]Il fante pensa che qualche cosa di nuovo sta avvenendo in me-glio. Seguendo la solita manovra, protetti del tiro di coperturadella nostra artiglieria, sfruttando ogni asperità del terreno, ar-riviamo a pochi metri dall’austriaco.La sua difesa ora è sporadica perché ormai con fucili e mitra-glie non può offenderci. Solo con le bombe a mano può causar-ci disturbo o perdite di soldati. […]

Sono attimi questi che non si dimenticheranno facilmente. an-che l’austriaco ora batte con feroce accanimento, con grossicalibri, le retrovie e le strade di accesso. Con le bombarde bat-te i rinforzi e i rincalzi nostri. Lo scoppio tonante, il sibilìo deiproiettili causano un frastuono che stordisce e annichilisce.Intanto le nostre artiglierie allungano i tiri oltre la linea nemica.[…]Io e un soldato, compagno d’occasione, ci troviamo insiemenella trincea austriaca. Vogliamo percorrere un camminamentocercando altri soldati austriaci da snidare, lui avanti, io dietro.D’improvviso escono da un ricaverò due soldato austriaci. Ilprimo tenta un tiro con la baionetta per colpire il mio compa-gno. Però, io con un salto, faccio in tempo a darci un colpo allatesta con il calcio del mio fucile. Il secondo austriaco, non vi-sto, tenta a sua volta di colpirmi con la baionetta alle mie spal-le. Ma il mio compagno ebbe la prontezza di sparargli una fuci-lata a bruciapelo, freddandolo.L’altro austriaco rima a terra stordito dal mio colpo. Noi due,con altri, passiamo oltre verso un tronco di trincea posto sul ci-glio del cocuzzolo in mano ancora al nemico che di là ci mitra-glia rabbiosamente […] Arrivano altri soldati nostri di rinforzo,viene così completata la conquista della trincea austriaca delMonte Zebio. Ora si cerca di sistemare la trincea occupata e diritirare i fucili, mitraglie e bombe a mano lasciate dal nemico.Si trasportano i feriti gravi per medicarli al posto di medicazio-ne, sia nostri che austriaci. È strano eppure si trasportano e sicurano i feriti nostri e austriaci con eguale considerazione. Aimorti si penserà dopo. […]Intanto la nostra artiglieri inizia un accanito cannoneggiamen-to alle linee e retrolinee nemiche, i proiettili passano sopra lenostre teste fischiando maledettamente. […]Intanto, piano, piano, siamo arrivati ai reticolati che il nemico hagià sparso alla rinfusa Basta questo per farci sostare. […]Il nemico, forse accortosi di qualche movimento, dalla trinceabutta dei razzi luminosi. Così io vedo che la trincea è a pochi danoi. vedendo ciò do tempestivamente un avviso al Capitano ecerco di trascinarlo a terra con forza. Ma lui sta ritto, immobile,sembra di sasso. Fu un lampo di tempo, il nemico da pochi metrispara una scarica di fucileria a bruciapelo. Il Capitano viene col-pito in fronte e stramazza a terra trascinandomi anche a me. […]È caduto senza un grido, senza un lamento, credo da vero eroe.

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NemicoN

GIUSEPPE LUCARELLI

Nel febbraio 1916 il sergente d’artiglieria Giuseppe Lucarellisi trova con una batteria di trecentocinque obici nella zonadella Carnia; nel suo diario giornaliero descrive minuziosa-mente i bombardamenti che la batteria effettua sulle posta-zioni nemiche e le enormi difficoltà create dalle abbondantinevicate.

21-II-[1916] Si sta formando un campo d’aviazione per la zonaCarnia ad ovest di Tolmezzo al di là del Pinte sul Tagliamento.Un po’ tardi!…22-II Ha nevicato tutta la notte; ne deve far tanta questa volta;l’aria è oscura e la neve viene giù con lena. 23-II Nevica sempre, abbondantemente, ha raggiunto quasi i 60cm. Non si può uscire che si affonda sino al ginocchio. Alle 21 èquasi un metro e sembra voglia cessare 24-II Tutto è coperto di neve e di tanto in tanto s’ode dai monticircostanti i rumore fragoroso delle valanghe di neve. Le comu-nicazioni telefoniche s’interrompono di frequente ed i nostriguardiafili sono impossibilitati di percorrere i tratti di terrenopiù pericoloso 25-II L’immensità della neve caduta doveva certo portare delleconseguenze; infatti tre guardiafili sono stati, nei pressi dellabatteria Poviz, investiti da una valanga e scaraventati in unburrone. Due sono stati salvati (alpini) un terzo di fanteria èstato rinvenuto cadavere. L’osservatorio di Robon basso rimaneisolato e non è possibile da tre giorni avere notizie dell’ufficialee dei tre soldati che vi si trovano, essendo inaccessibile, per laquantità della neve che vi si trova, il terreno. […]5-3 Nevica sempre. Numerosissime valanghe si susseguonosui monti circostanti, ed il fragore, giunge distintissimo sino anoi come un boato. La calma è perfette in tutta la Zona, ed iposti nostri avanzati, si ritirano, donde più è maggiore lo spes-sore della neve e più frequente la caduta delle valanghe. Labatt. Doux parte dalla Carnia.6-3 Si organizzano spedizioni agli osservatori sia per riattivarele comunicazioni telefoniche, che per aver notizie del persona-le esistente sul Robon basso di cui nulla si può sapere da varigiorni. Si teme che siano loro venuti meno anche i viveri.

Numerose valanghe cadono lungo tutta la valle e maggiormen-te dalla Sella in su, cagionando qualche vittima umana.7-3 Nevica. Le nostre squadre di guardiafili non possono prose-guire in alcuni tratti, poiché la neve supera l’altezza del lorocorpo, e le linee telefoniche, specie quella del Robon rimango-no interrotte. Numerose valanghe cadute dalla Sella Nevea sul-le trincee di fanteria, hanno causato la morte di ben undiciSoldati, che sono stati trasportati fino a Chiusaforte per glionori funebri.8-3 Si celebrano i funerali degli undici militari vittime della ne-ve. La sezione da 75 A, trainata fino alla batteria 120 Poviz, do-po innumerevoli stenti, durante la bufera di neve, per esseredestinata a Sella Prevala, ieri veniva investita e sepolta da unaimmensa valanga. Nessuna notizia si è avuta in un primo tem-po degli uomini, che poi risultò che erano fortunatamente tuttiillesi, dopo le ripetute ricerche. così, essendo rimasti allo sco-perto, tutti gli artiglieri di quella sezione sono venuti a ricove-rarsi nel nostro baraccone.9 Marzo La neve è ostinata. Fervono i lavori sia per il riatta-mento delle linee telefoniche, interrotte cogli osservatori, siaper mettere in condizioni, il nostro obice, da poter far fuocoverso la Zona di Plezzo, essendo stata ordinata per il giorno 11una nostra offensiva sul Cucla per rioccupare la Zona perdutail 15 n.s. […] 12-3 Nevica. Cadono valanghe. Alle ore 4 si è avvertita una leg-gera scossa di terremoto in senso ondulatorio. Alle 13 una im-mensa valanga seppellisce il ricovero della batteria 149 G.Poviz. Furono estratti il Ten. Garroni che respirava appena e cheè morto dopo alcuni momenti, 5 o 6 Soldati già cadaveri ed or-ribilmente deformati. Se continuerà ad imperversare il maltempo e la tormente, avremo, chissà quante altre vittime da re-gistrare ancora!…13-3 Pioviggina. Continuano a cader valanghe. In batteria si èsempre pronti ad aprire il fuoco al primo ordine. 14-3 Azione delle nostre artiglierie. Verso le 10 apre il fuoco laBatt. 280, sullo Zottenkopf. Vari colpi non scoppiano, causa, ve-rosimilmente della grande quantità di neve.

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NeveN

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NobildonnaNAMALIA SOLA

Memoria della discendente di una famiglia aristocraticamilanese: dall’infanzia agiata trascorsa nella villa della nonnacontessa al prestigioso matrimonio con un nobile lombardo,fino alla lotta clandestina contro i tedeschi. L’atmosferagioiosa del periodo adolescenziale si interrompe quandoscoppia la guerra, peggiorano le condizioni di vita e i giovanivengono richiamati alle armi: tra questi l’amato zio che nonfarà più ritorno.

Sul finire del 1914 nessuno in casa parve preoccuparsi chequei mesi sarebbero stati gli ultimi di una lunga pace e diun’esistenza facile, tutti invece sembravano convinti che la vitanon dovesse mai mutare.Così il Natale del 1914, nella vasta sala l’albero strappato allaterra per l’occasione brillava come nei passati Natali. Ancorapacchi di regali voluminosi e minuscoli dalle varie forme,ancora la nonna come capofamiglia seduta sull’ampia poltronadai braccioli dorati, ancora presenti mia madre, mio padre, lozio Ferdinando e l’altro venuto da Parigi, ancora tutti, i fattori, i“familii” al completo e i contadini. Ancora quella atmosferaparticolare di festa, perché non si pensava allora che non sisarebbe più ripetuta.

1915In casa nulla cambiò sino al maggio di quell’anno.Solo due fatti nei primi mesi dell’inverno, avevano segnato pernoi bambine l’inizio di qualcosa di nuovo.Dopo la partenza di Nurse, il nostro rigido sistema educativo siera allentato, ed ogni “rito” soppresso. Una certa tristezza avevaavvolto tutto e tutti. I “Grandi” sembravano muoversi senza piùentusiasmo, come degli automi.Dapprima il presagio, poi la paura che anche l’Italia, dopo laFrancia e l’Inghilterra, sarebbe entrata in guerra. E arrivò il 24maggio.

La grande BertaCon l’inizio della guerra, in casa s’era stabilito un modo di viveremeno grandioso. Mia nonna e mia madre avevano smesso dilavorare a ricami pregiati, per confezionare passamontagna,calzerotti e altri indumenti per soldati al fronte.

Al rosario della sera la nonna intonava alcune preghiere per ilbuon esito e la fine della guerra e per gli uomini ch’erano statirichiamati e si trovavano lontano, sui campi di battaglia.Vagava d’intorno una certa atmosfera di dubbi, d’agitazione, dipaure, ma nel medesimo tempo esaltante, poiché tutti eranoconvinti di combattere per giusta causa; forse anche la nonnala pensava così, ma non lo zio quando venne richiamato.[…] Il motore rombava scuotendo la vettura con l’Achille giàseduto al volante quasi scomparso nella pelliccia e sotto ilberretto di pelo d’orso, come allora usavano indossared’inverno gli autisti.Quando l’auto partì con un sobbalzo, silenziosamente esommessamente commossi, tutti i presenti ritornarono chi alleproprie case, chi alle proprie stanze. Anche mia madre, le miesorelle e Madame Blanche se ne andarono, ma la nonnarimase. Io nascosta in un angolo stetti ad osservarla. Mairiuscii in seguito a dimenticare la sua immagine ritta, immobilesulla soglia della casa, con un viso pallido, terreo, dailineamenti tirati che spuntavano dall’abito nero accollato; gliocchi fissi dinanzi a sé, senza lacrime. Pareva una statua,rigida nel suo grande controllo per non mostrare come esigeval’educazione d’allora tutto il dolore che la scuoteva.Si mosse solo dopo qualche istante, ma per scendere nellaneve, con quelle sue leggerissime scarpette, forse perun’istintivo – unico – attimo di debolezza, nell’ansia o nellasperanza di rivedere ancora il figlio, mentre guardaval’automobile svoltare l’ultima curva del viale e scomparire. Solanella notte, ombra nera nell’immensa distesa bianca, rimasesino a quando l’eco del motore, che le portava via il suoprediletto, divenne sempre più debole sino a spegnersi deltutto. Allora piegò il capo. Io fuggi nel timore di esserescoperta, pentita quasi d’aver assistito alla sua muta e segretapena.Il dolore della nonna mi sconvolse più della partenza dello zio.Quella notte, io e, penso, pure lei, nel silenzio d’ogni cosaaddormentata, con il capo nascosto sotto le coltri, nei nostririspettivi letti, versammo le proprie lacrime.Fu questo il mio ultimo ricordo della nonna.Essa s’ammalò gravemente qualche mese dopo. Lo zio nonritornò mai più.

78 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleL’equipaggiamento invernale in dotazione al soldato intrincea. L’inverno del 1916-17 fu uno dei più nevosi e tristidella Grande Guerra. Fu il nemico comune contro cui dovevano combattere italiani ed austriaci: i morti pervalanghe, assideramento, malattie dovute alla vita di stenti e al freddo superarono i caduti in azioni di guerra in quei mesi in cui la coltre bianca aveva ricoperto ognireticolato e annullato ogni confine.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 79

Reginaldo Binni - Archivio Daniele Cinciripini

RENZO RE

Renzo è un pellettiere nato a Milano nel 1892. Amante dellamusica e delle buone letture, dal fronte scrive intense lettered’amore alla futura moglie Giannina. In queste pagine egli lecomunica tutta la nostalgia per una vita interrotta bruscamen-te e rimandata al giorno del suo ritorno dalla guerra.

Lì 4 Marzo 918 ore 20Mia Giannina,Attendevo stasera una tua lettera, una semplice riga che mi dicail tuo saluto, il tuo pensiero, mi porti un tuo bacio che ricevo e ri-cambio con tutte le mie forze; e invece nulla! come sei cattiva,Giannina! e come non pensi al tuo Renzo che ti adora tanto! […]Sono tanto malinconico, stasera! Il tempo è orribile, piove, masui monti ove presto saliremo, nevica; le strade sono infangate,le case e palazzine deserte, finestre dai vetri in pezzi, profondebuche scavate dalle bombe degli aeroplani; solo qualche radoborghese e qualche donna qua e là; nemmeno un raggio di so-le; bigio, sempre bigio, come l’animo mio; almeno potessi vede-re il tuo bel viso amato, parlarti e udire la tua voce tanto carez-zevole; potessi stringerti sul mio seno e non lasciarti più, mai;sento un bisogno, una vera nostalgia di te e delle uniche ore fe-lici da me vissute; è un disperato abbandono, un vuoto che pro-vo intorno a me, quando tu non sei! E perciò che ti penso co-stantemente e ti desidero tanto! Quando, quando sarai persempre mia, tutta mia, senza ostacoli né distanze? È quasi unafebbre per me, il desiderio di te, del tuo amore; darei qualun-que cosa per rivederti per qualche giorno; anche solo per po-che ore; ma è impossibile! Se sapessi anche di che conforto misia una tua buona parola d’affetto! e quando penso che un uo-mo senza cuore si è permesso di offenderti…Si dice che a luglio ci saranno le nuove licenze, però di diecigiorni; ma ci sono quattro eterni e lunghissimi mesi; e quantecose possono accadere…!Forse ti avrò un po’ comunicata la mia tristezza, stasera; per-donami, sai! E scusa qualche mia debolezza; ma la fiducia èforte, nell’animo mio e nulla potrà scuoterla; ti amo tanto e misono giurato la nostra felicità, come cosa per me sacra;Giannina cara, tu mi amerai sempre, vero? Lo so l’amore tuo per me, eppure vorrei che lo dicessi sempre come una musica dol-cissima pel mio cuore: rammenti un mese fa? Ti ho baciata per

l’ultima volta col cuore che singhiozzava; avessi potuto vedereil povero cuore mio! quanto dolore ho provato, Giannina! noncredevo di amarti si teneramente, si fortemente; come ti sei re-sa padrona di tutto me stesso! Ti ho annoiata, è vero? Abbi pazienza cara mia! Non sono sem-pre così triste e di umor nero; abbiti i più appassionati baci daltuo Renzo che ti adora e ti pensa, ciao cara mia!Vorrei mandare un saluto a tua mamma, tuoi fratelli e sorella;se però lo vuoi sai?Ciao e di nuovo bacioni,tuo Renzo[…]

Lì 30 Marzo 918 ore 20 Giannina mia,Approfitto di un po’ di libertà, nella bella giornata, azzurra disole per scriverti […] certo che il cannone mi richiama allarealtà ricordandomi la guerra brutale che distrugge tante bel-lezze naturali; guardo col binocolo sulla strada lontana e scor-go una donna, col fazzoletto rosso in capo ed una sporta sottobraccio; ed un desiderio stanco e melanconico di affetto e dipace m’invade, per cui mi sento improvvisamente solo ed ab-bandonato. La donna mi richiama vivamente alla memoria ledolcezze quiete e care della vita domestica, le quali, paragona-te alla dura vita di soldato, proprio in quest’ora, in questi mo-menti in cui di tale vita non si provano che le amarezze ed i di-sagi, mi fa quasi sembrare di essere infelice. Quella figura didonna mi mostra la tua personcina, ardentemente cara, quelladi mia madre; in questo divagare della fantasia rammento imomenti felici passati con te; i ricordi sono ciò che mi rimanedi più caro e santo; miro la tua fotografia e rivedo quella sera incui conobbi tuo fratello, quando tu mi stringesti il braccio e midicesti di volermi ancora più bene; cari, cari momenti! Tu nonimmagini quanto bene mi fecero e ancora mi fanno quelle tueparole! Ho compreso tanta sincerità in tali parole e ne rimasicommosso; ma perché non puoi leggermi nel cuore? […] ed ora termino per davvero coll’inviarti i più caldi bacioni edaffezionati saluti, ciau, tesoro e ricordati qualche volta, ma po-chino, veh, del tuo aff.mo Renzo

80 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

NostalgiaN

AGOSTINO TAMBUSCIO

Agostino, nato a Savona nel 1897, viene fatto prigioniero dagliaustriaci dopo la disfatta di Caporetto. Riesce in seguito a tor-nare a casa, dove scrive le sue memorie del periodo passato intrincea. La prima notte di guerra del giovane fante è notte dismarrimento e paura; dopo una lunga marcia nel buio, la spos-satezza prevale. Le cupe sensazioni legate all’oscurità si dira-dano al mattino seguente, lasciando posto alla cruda realtà diun paesaggio devastato dai combattimenti e a un’agghiaccian-te scoperta.

[1917] Lungo e pauroso è il corso dell’Isonzo fra Tolmino eGorizia […] = Si va senza posa, senza fermarci.= È quasi not-te.= Il nostro pensiero è ora concentrato unicamente a nonperdere il collegamento.= Da appena un giorno conosciamo laguerra e ne siamo già veterani.=È notte. Una notte buia, senza luna, senza una stella, notte tre-menda di mistero! L’andatura diventa incerta, si incespica adogni istante ed ogni attimo si cade. Non scorgiamo più gli osta-coli improvvisi che si presentano uno ad uno sul nostro cammi-no, i piedi si posano sui cadaveri, sui feriti che non vediamo, mache si… sentono.Qualche ferito riceve l’ultimo colpo di grazia.=Il piede si posa con un colpo pesante, violento sul quel corpo cheostruisce la strada e sente sotto di esso costole scricchiolareAd intervalli delle urla lacerano l’aria.= Notte, notte tremendadi mistero!!![…] Non si vede ad un metro e siamo costretti tenersi l’un l’altroper la giubba.= Squarcia ad intervalli l’oscurità la fiamma delleartiglierie ed il fascio di luce degli insonni riflettori italiani diKambresco che scrutano l’altipiano.= Il rombo tambureggiantedei cannoni non ha un attimo di silenzio. si va, si va a tentoni insilenzio, ma dove? S’ode lo schioppettio della fucileria e i rombisordi delle bombe a mano che esplodono.= 7 certo che a qual-che chilometro vi sono uomini che si battono accanitamente.=Ci fermiamo per avere un attimo di riposo.= Nulla si vede all’in-torno fuorché i lampeggi dei cannoni.=Che notte orrenda!……….Si riprende il cammino alla cieca, fra poco ci si deve fermare – Siamo giunti? ci domandiamo.= No, non siamo giunti, ma ab-biamo perduto il collegamento.= Ed ora che si fa? Come trovare

gli altri? Alziamo la voce per chiamare la prima sezione che do-vrebbe trovarsi avanti alla nostra: nessuna risposta.= Allora siprova a chiamare la 3° che dovrebbe trovarsi alle nostre spalle:lo stesso risultato.= Che fare? Anziche alzare la voce, proviamoad urlare: “Prima! Terza!! Finalmente delle voci lontane, sepol-crali ci rispondono.= Ma ove andare? non possiamo percepirela provenienza delle risposte.= L’unica risoluzione è d’attende-re con pazienza.= Dopo circa mezzora ci raggiunge il Tenentedella 3° e ci riposta a contatto con le altre sezioni.Veramente stavolta ci fermiamo. Siamo sfiniti dalla lunga fati-ca sopportata e non abbiamo ancora visto il nemico, né spara-to un solo colpo contro di esso.= Durante la notte a sorso, asorso ho bevuto tutto l’anice che avevo nella borraccia, quel-l’anice che da più giorni mi aveva regalato l’amico Callegaris.Spossato, con le membra indolenzite e le gambe che a stentomi reggono mi abbandono al suolo.= Ho tanto bisogno di dor-mire! Ho la sensazione di sentire sotto il corpo un bel morbidogiaciglio, parmi essere coricato su un letto di piume; ma lastanchezza e l’oscurità non mi danno il tempo di pensare, néd’osservare su cosa sono coricato.= Dormo profondamente lepoche ore che rimangono ancora a questa notte tenebrosa.=Verso le quattro del mattino sento scuotere il mio corpo, aprogli occhi, ma l’oscurità è ancora completa.= È il sergenteRocci che mi chiede se ho ricevuto il caffè.= Rispondo negati-vamente.= – Ma che facevi? tutta la compagnia ha già ricevuto il caffè. Sista ora distribuendo l’acqua.= – Grazie tante!=Non ho ancora mosso un passo dla luogo in cui riposavo.=Albeggia. Scorgo alla prima luce incerta di quest’alba una for-ma umana stesa ai miei piedi.= Osservo meglio; mi chino… or-rore… ho dormito sopra un cadavere austriaco… le mie mani…gli abiti … = Tutto intriso di sangue umano, del sangue del ne-mico morto.= Con terrore mi allontano dal cadavere… Ma qui,cadaveri austriaci sono sparsi ovunque. La morte ha svolto unpoderoso lavoro.= Tutt’intorno sono le macerie delle case sfal-date dai cannoni; la strada è interamente ostruita da mattoni,pietre, pezzi di muro, calcinacci, legnami d’ogni sorta e d’ognicolore.= Tutto dall’orribile forza distruttrice è stato scaraventa-to in aria e tutto si è rigettato alla rinfusa, come cosa morta,sul terreno ove alloggiava.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 81

NotteN

GIOVANBATTISTA GARATTINI

Nato a Martano (Le) nel 1893, nella sua memoria, scritta su ri-chiesta del Ministero della Guerra dopo la conclusione delconflitto, Giovanbattista Garattini racconta della ritirata diCaporetto, di come fu catturato e internato nei campi di con-centramento austriaci. L’incubo della fame, il freddo intenso, imaltrattamenti subiti e le continue sofferenze alimentano un“odio eterno” per i suoi aguzzini.

[1917] Era notte fatta, e non se ne poteva più! Finché quandoDio volle, giunti in vicinanza di alcune capanne, qualcuna dellequali adibita a stalla, ci fecero sostare, ma in che modo! Inmezzo al fango, nel quale si sprofondava per un buon palmo,sotto la pioggia e al buio completo, bagnati, intirizziti dal fred-do, senza un angolo dove poterci riparare e sederci per riposa-re! Si è acceso dei fuochi per riscaldarci, ma in mezzo a quelvento, si gelava ugualmente! Intanto il nostro pensiero correvalontano, la nostalgia della nostra Italia. Ormai lontana, ci oppri-meva, mentre ci trovavamo tra gente che non comprendeva e ciodiava! […] La sera del 14 novembre, ci caricarono su di un tre-no, formato da vagoni merci […] e partimmo si disse, per laGermania.[…] Ricoverati in luride baracche, parecchie delle quali scon-nesse, tanto che dalle fessure vi entrava il gelido vento di queiluoghi e la pioggia, su quella paglia polverizzata e completa-mente infettata da parassiti, parecchi infelici dai volti emacia-ti, con corpo scheletrito od enfio, colle stimmate proprie e ter-ribili della fame, privi ormai di quella poca forza che sarebbebastata loro per rizzarsi, stavano sdraiati coll’abbandono pro-prio dei morituri […], cogli occhi socchiusi ai quali la vita sem-brava ormai mancare.Di quei disgraziati, […] ve n’era già una forte percentuale. Gli al-tri, quelli a cui ancora bastava la forza di camminare, la più partecogli abiti a brandelli, colla mantellina e col cappotto bucati, osemplicemente con un pezzo di coperta sulle spalle, colle scar-pe rotte, oppure privi di scarpe e coi piedi fasciati da cenci, luri-di, intirizziti dal freddo, cogli occhi infossati, gironzolavano traquei ricoveri, dai quali usciva un fetore insopportabile, […] A que-gli infelici, la fame, indubbiamente, aveva tolto il senno […].Era uno spettacolo straziante vedere uomini sui vent’anni,

camminare curvi alla ricerca di erba e di radici, sulle quali si pre-cipitavano per arrivare prima di un compagno vicino, estirparle eportarsele alla bocca, senza nemmeno curarsi di una sommarialavatura, ed ingoiarle! Questa lugubre scena si ripeteva ormaicon tale frequenza, che, cosa indescrivibile ma purtroppo vera, ilComando del Campo, per evitare che si rovinasse oltre il terreno,già tutto a buche e fossette, ordinò ai sorveglianti di impedireche continuasse?! E così quei selvaggi colla soddisfazione diaver trovato un pretesto nuovo per sfogare liberamente il loroodio, giravano col nervo in mano in cerca di qualche prigioniero,intento ad estirpare erbe per percuoterlo senza pietà e goderenel vederlo contorcersi! […] Questi nervi, della lunghezza di circaun metro, grossi all’impugnatura come un bastone comune e ter-minanti a punta, saranno per i reduci della prigionia, il simbolo elo sprone dell’odio eterno contro i loro aguzzini, che senza ombradi umanità, usavano per un nonnulla, anzi a solo scopo di ven-detta e per sfogare il loro odio selvaggio. Vidi un sergente austriaco nel bagno del campo. Al quale eraaddetto, percuotere incredibilmente, dei disgraziati nudi e perquella canaglia, il contorcersi di quegli infelici, sotto quellepercosse, mentre avrebbe fatto sudar freddo per lo sdegnocontro quell’aguzzino, ogni animo appena sensibile, era motivodi gioia. […] Una notte, un infelice ridotto agli estremi, coi piedicongelati e ravvolti in cenci, dovendo necessariamente usciredalla baracca, faceva sforzi inauditi per trascinarsi, ma fu co-stretto ad abbandonarsi al suolo a pochi passi dalla porta, ri-manendo esausto nella neve, battendo i denti dal freddo inten-so e gemendo continuamente con voce fioca. […] Dopo qualche ora, due militari austriaci, piuttosto anziani,adibiti quali pompieri del concentramento e comandati quellanotte, di vigilare nell’eventualità di incendi, ispezionando ilcampo, passarono davanti alla baracca e scorsero il disgrazia-to che, ormai assiderato, non aveva più nemmeno la forza di la-mentarsi. In men che non si dica, i due bruti, dopo aver ingiuntobruscamente al poverino di alzarsi e ritornare in baracca, nonottenendo risposta si scagliarono su di lui malmenandolo epercuotendolo finché trascendendo sempre più, imbestialiticome iene, finirono coll’ammazzarlo con un colpo di picconcinoalla testa!!

82 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

OdioO

GIUSEPPE GARZONI

Un operaio friulano porta la testimonianza di un’avanzata chesegue i ritmi della guerra, tra strappi e pause forzate. Strategiea volte estemporanee che espongono ancor di più i soldati. Lapaura che immobilizza, i momenti di pietà per il nemicoagonizzante, gli slanci camerateschi. E la morte che datragedia, nella furia di un attacco, finisce spesso pertrasformarsi in evento ordinario.

[Agosto 1915] Il battaglione è pronto per l’assalto. […] Adagioadagio si portiamo sotto pronti per l’assalto. E un miocompagno mi diede dello zucchero da mangiare dicendomi: Iomuoio di sicuro; io me lo vedo, é troppo il pericolo. Io dicei: Èdestino, cosa vuoi! Ma le sue parole mi rimaseroimpressionanti. Si aveva formato tre linee; io ero in mezzo.Quindi danno l’ordine di Savoia. La prima riga impauriti di quelmacello che avevano visto il giorno prima tanti si trattenevano.Io sbalzo fuori coi primi e fui stato fortunato che in dove sonpassato io dopo é stata pronta una mitragliatrice puntata chetanti passavano tanti morivano. Ecco che mi sono trovato in unaltro riparo a 20 metri del nemico. Un momento mi muore ilcompagno che mi aveva dato lo zucchero e va giù in unburrone. Il capitano ferito. Le grida erano immense dei feriti.Ma non giova. Un altro sbalzo tocca fare. Ormai si muore. […]Andiamo fino in trincea loro. Ormai tocca di adoperare labaionetta che quella mi faceva impressione più di tutto. […]Davanti la mitragliatrice i morti erano uno sopra l’altro. […]Dunque uno sbalzo in trincea. Le bombe fioccavano. Un miocompagno gli diette una baionetta a uno e poi lo medicò. Vieneil cessate il fuoco. I austriaci si arrendevano. I prigionierifurono pochi. I morti non tanti. In quel momento lì si occupò 3linee di trincee. Terminata la battaglia il capitano ben dueferite aveva una a un braccio e una a una gamba. Ciaccompagnò fino l’ultimo momento e poi ci fece la morale. poilo portarono giù in barella. Si chiamava il capitanoBracciaferri. Ora tocca star attenti a un contro attacco. Siprende le posizioni opportune. […] Poi si mettiamo disentinella quasi tutti. Erano le 8 di sera. Da mezzogiorno che si

combatteva. Alle 8 viene un ordine di mangiare mezza scato -letta di carne in conserva. Uno alla volta si mangia. Poi sisentiva tutta la notte dei gridi strazianti dei soldati austriaciferiti nei burroni. Andati al riparo si sentiva chi chiamava lamamma a chi la Madonna e tutti i santi. Facevano pietà aisassi. Benché era tempo bello l’indomani di mattina andai perlevarci una cinghia a un morto austriaco. Mi sento a chiamare:Italiano! bono italiano! io mi salto indietro come una molla.Presi il fucile e la baionetta sveglio il mio compagno chedormiva da qualche momento e poi andieti a vedere chi era. Didistantescorgo 6 austriaci che volevano darsi prigionieri. Alloragli feci gettar giù le armi e chiamarli per tedesco. Mi inteserosubito e venirono su. Sono le 5 di mattina del giorno 16 agosto.[…] E poi ritorno indietro in prima linea che in quella mattinapassando per il campo di battaglia trovavo i morti uno qua euno là.[…] Dava un aspetto orribile a vedere che tutti i sassi eranobagnati di sangue. I morti si li vedeva bianchi con la boccaaperta e i denti strinti, unghie che grattano la terra, i occhistravolti. Quindi era una disperazione a passar di lì. Ritornatoindietro viene ordinato di far le trincee e così si dovettelavorare di notte perché di giorno ci vedevano di un altromonte. L’indomani di nuovo tocca andare a un assalto e inveceil compito di quell’assalto gli toccava alla 6^ compagnia. E cosìci tocchette andare a noi. […] Alle 2 dopo mezzogiornoandiedero all’assalto un plotone alla volta. Era un cucuzzolodistante della nostra linea circa 30 metri. Noi in alto e lorointernati nella roccia e veniva combattuto tutto a forza dibombe a mano. Lì si combatte forse una mezz’ora e poi i nostridovettero cedere e ritirarsi. Quelli che erano rimasti vivi eranoben pochi. […] Il 18 due assalti così nel medesimo vallone. Altrecompagnie furono state a noi di rincalzo. Dopo andettero ilgenio a fare una galleria e poi minarla per far saltare tutto inaria. Poi sospesero. Il 20 di nuovo allo assalto altre compagnie.La notte dal 21 al 22 il capitano della 6^ compagnia volontariovoleva prendere il cocuzzolo. Noialtri si seppe due giorni primadi questo assalto.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 83

OffensivaO

84 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleSoldato in appostamento con la mitragliatrice.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 85

Renzo Re - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleReticolati di trincea.

PAOLO BIELLONI

Le memorie di un ufficiale veneziano ci proiettano in una nottedi apparente tranquillità in cui, con il favore dell’oscurità, siriescono piuttosto agevolmente a completare gli spostamentistrategici. Ma il cammino si rivela una discesa agli inferi,rischiarata beffardamente dal plenilunio, che illumina il latopiù macabro del conflitto: cadaveri ammassati, ricopertipietosamente con mezzi di fortuna e straziati da stormi dicorvi voraci.

[1917] Un giorno, il Comandante la batteria volle trattenermifino al sopraggiungere della notte, dicendo che era inutileesporsi a dei rischi enormi, mentre che la notte si potevacompiere il trggitto con un maggior margine di sicurezza.Il fronte era tranquillo. Passammo cameratescamente lagiornata ed a sera mi misi in cammino insieme a due soldatiche venivano trasferiti al parco.Eravamo in totale plenilunio e ci si vedeva quasi come di pienogiorno. Ma più ci avvicinavamo all’Judrio più si infittiva unanebbia densa ed opaca che non era rischiarata che daglishrapnell ad intervalli regolari.[…] Ci fermammo indecisi in quanto sarebbe stato necessarioimboccare giusto il sentiero che portasse al varco nei reticolatie conseguentemente al ponte.Ma, nel mentre cercavamo un orientamento, la luna disparvesotto una cortina di nebbia fitta ed impenetrabile. Il buiolattiginoso non ci consentiva di vedere più in là di due passidavanti a noi. Un fetore di cadaveri rendeva l’aria quasiirrespirabile.Subito dopo l’avanzata era stato istituito un Corpo speciali diterritoriali che provvedeva a sotterrare le salme dei caduti,lungo tutto il fronte di combattimento. Ma il compito erasproporzionato al contingente di personale addetto. […]Provvisoriamente si provvedeva col buttarvi sopra qualchemanata di calce viva. Prendemmo ognuno per conto suo, unsentiero diverso senza troppo discostarsi e mantenendoci incollegamento con chiamate frequenti.

[…] Il chiarore del plenilunio non fece altro che renderciconsapevoli della situazione in cui eravamo.Ci trovavamo imbottigliati in uno dei punti più battuti dalleoperazioni di attacco che avevano portato allo sfondamento.I cadaveri austriaci coprivano letteralmente il terreno: Sparsi, agruppi, a cumuli uno sull’altro, sui margini delle trinceeevidentemente diventati inospitali, denotavano unospostamento in massa stroncato da un volume di fuocoapocalittico.Nel raggio della nostra visuale se ne poteva calcolare acentinaia, tutti in uno stato di incipiente putrefazione.[…] Sui primi incontrati, che noi schivavamo nel nostrocammino vedevamo staccarsi qualche nero uccellaccio chefuggiva gracchiando sinistramente.[…] Ad un tratto ci trovammo davanti ad una superficieondeggiante di piume nera iridescenti. Sostammo inorriditi.Uno stormo denso di centinaia di corvi ricopriva compatto unmucchio di caduti, ammassati uno sull’altro evidentementestretti insieme in un ultimo supremo momento di disperazione.Il tropico ha le sue iene, i suoi sciacalli. Il nord ha i suoi corvi,gli alati vermi delle tenebre, direbbe Victor Hugo. Tirai fuori la rivoltella e sparai un colpo, due, tre. Vedemmo lostormo nero sollevarsi gracchiando e riprender terra qualchediecina di metri più in là.[…] Ci guardammo attorno: Tutti e tre eravamo immobilizzatidall’orrore. Nello chock che ci invadeva avevamo perdutol’orientamento ed ogni ulteriore passo non sapevamo se ciportasse ad uscire o ad inoltrarci in quel regno dei morti.[…] La nebbia veniva intanto spazzata da folate di ventosempre più intense. La luna illuminava a giorno il campodell’orrore.Ritrovammo il sentiero e poco dopo individuavamo il varco deireticolati e con esso il ponte.Pur sotto l’incombere degli scoppi di shrapnell che ad intervalliregolari ci investivano rabbiosi, ci guardammo in visosorridendo di un sorriso inebetito.

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OrroreO

AMBROGIO RYLLO

Un giovane maestro calabrese viene fatto prigioniero dagliaustriaci nel 1917. Liberato dopo sette mesi per malattia, gra-zie anche all’intervento della Santa sede e della Croce rossa,Ambrogio Ryllo scrive numerose lettere ai propri famigliari,descrivendo di volta in volta la propria situazione nelle strut-ture ospedaliere in cui trova ricovero. Nelle lettere pubblicatedi seguito egli racconta del trattamento, decisamente diver-so, che riceve prima in Liguria e poi in Sicilia nel maggio del1918.

Nervi, 14.5.1918Carissimo Papà,Io fui rimpatriato, senza scambio. La storia della mia malattia èbreve. Arrivato a Sigmundshberg la sera del 6 Gennaio rimasi alGruppe sino al giorno 11, giorno in cui entrai all’ospedale confebbre (37,2) qualificata reumatica. Allo Lager-Spital non vi eraposto e andai al Lager-convalescenzario. Io che fui mai un uo-mo robusto ma al contrario anemico, per lo scarso e pessimocibo (acqua sporca per caffè, acqua sporca per brodo, 4 milli-metri di carne di cavallo, erba (scorze di cavoli, di rape e similiassecchiti) o vermicelli austriaci (cavoli sottaceto) o spinaci, orape, o barbabietole malcondite) e la sera polenta di miglio o dialtra farina (senza condimento) e 1/5 di pane di miglio ammuf-fito fecero sì che decadessi in una estrema magrezza e debo-lezza per cui il medico italiano Sotto Tenente De Rosa a miaistanza mi propose Invalido per “Deperimento Organico”.Passata la visita da un Colonnello austriaco il 15 marzo mi di-chiarò invalido e così il giorno 4 maggio presi il treno dellaCroce Rossa e lasciai Sigmundshberg sul confine AustroSvizzero dove la sera del 7 son venuti gli Svizzeri i quali mi ac-compagnarono con un loro treno fino a Como dove arrivail’8.Non so dirti che festa ci hanno fatto in Isvizzera fu un gettocontinuo di fiori, di aranci, di cioccolate, di sigari e sigarette. AChiasso vennero dati persino fazzoletti. Da Como su treno ita-liano fummo trasportati qui sulla Riviera in mezzo una selva difiori di aranci e di palme in uno dei più rinomati ex HotelTedeschi.Passata una prima affrettata visita fui diagnosticato (SclerosiPolmonare).Qui ci danno un vitto sostanziosissimo a base dicarne uova e latte alla quale dieta aggiungo una o due tazze dicacao che ho comprato. Io noto in me stesso un miglioramentogiornaliero. Ho dato il sangue, l’urina, le feci, lo spurgo per l’e-

same, e dovrò passare per la radiografia del torace e una se-conda e più minuta visita. Ho scritto la storia dell’atavismo. Hofatto l’innesto antitubercolino che è risultato negativo. Zio Luigino mi ha offerto la sua casa per passarvi la licenzascrivigli per ringraziarlo io ho già accettato l’offerta.Attendo il certificato di sussistenza già richiesto a mammà e diessere esaminato dalla Commissione d’Inchiesta sulla ritirata.[…] Dimenticavo dirti che sono sempre dalle 6 del mattino alle10 di sera sempre in giro. Prega e benedici.Ambrogio

Catania, 29.5.18Carissima Mamma,[…] Siamo capitati in mano alla Tetella. Hanno paura dei microbiincominciando dal Colonnello Medico che ci prende come impe-stati e sta tutto ristretto e con le mani in tasca finendo così alTrombettiere. I borghesi neanche ci avvicinano. Ieri è venuto sul-la soglia un […] della C.R. Ed è fuggito subito. Di poi sono un am-masso di asini non credono né alla batterologia né alla radiolo-gia. Ci han rinchiuso in un […] dove si prende l’aria in un cortiledove vivono o vivacchiano due tisiche piante di rose e una pal-ma di grasta. […] Oh! quante maledizioni scaglio contro chi hadato la disposizione di venire quà giù e di lasciare la bella Nervipoiché qui mi sento di nuovo in esilio poiché i fatti mi conferma-no che l’Italia nostra finisce alla punta di Reggio Calabria.Ho scritto a Giulio Corapi per sapere le disposizioni emanatedal Ministero riguardo ai Tubercolotici provenienti dalla prigio-nia austriaca. In quanto al vitto si sta male latte e caffè la mat-tina un decilitro l.0,10 senza pane. Alle 11 pasta in brodo o pa-sta asciutta, ma senza formaggio né grasso. Un pezzo di carneo per meglio dire strascinacchia con contorno di faggioli o diceci tutto senza olio, un decilitro l.0.10 di vino. Alle 16 riso inbrodo e due uova che puzzano di cacentero – pane g 500 in unavolta e così ci vogliono rinforzare e rinsanguare!…È proibito ri-cevere parenti poiché ci fanno parlare dalle finestre come i ga-leotti!…Proibito ricevere pacchi. In ogni modo ci vogliono sagri-ficare e mi sento te lo ripeto in Austria. In Austria almeno v’erail Lager spazioso dove si poteva camminare qui manca anchequesto. Se papà potesse venire farebbe bene altrimenti brutteidee mi frullano per la testa e quello che non ho fatto in tre an-ni lo farò oggi. Prega e benedici. Saluto tuttiAmbrogio

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 87

OspedaleO

COSTANTINO GIORDANO

Costantino, militare di leva, è fatto prigioniero dagli austriaci edal campo di prigionia invia lettere alla famiglia fornendoindicazioni su come preparare i pacchi da inviare tramite laCroce rossa: fondamentali per la sopravvivenza sono dellepiccole pagnotte di pane, che si mantengono per più giorni.

3/9/1916Carissimi genitoricon questa mia spero di trovarvi tutti in buona salute come almomento vi posso assicurare di me. Oggi ho ricevuto il paccon° 361 ancora intatto, contenente il pane, cioccolata,continuate a spedirmene uno ogni dieci o quindici giorni.Attendo vostre notizie; altro non mi occorre niente. Terminosalutandovi tutti di famiglia, saluti alle zie zii e parenti tutti.Saluti dal vostro aff.mo figlio Costantino.Giordano Costantino Soldato 80° fanteria Baracca n°6hriegagefagenlager Breitenlee bei Vien Austria

7/1/1917Carissimi genitoripochi giorni sono ho ricevuto una delle vostre cartoline, che mifece molto piacere al sentire che vi trovate tutti bene, comepure al momento vi posso assicurare di me. Fate doppioabbonamento alla croce rossa e meglio ancora unabbonamento solo e speditemene da casa un pacco allasettimana di 5 chili di pane. Soldi non ne ho bisogno, altro nonmi occorre che pane, pane e qualche pacchetto di tabacco.Termino salutandovi di vero cuore tutti. Costantino.

21/1/1917Carissimi genitoricon questa mia spero di trovarvi tutti in buona salute come al momento vi posso assicurare di me. Sono contento che ipacchi mi giungono con regolarità e in buone condizioni,solamente che un abbonamento è troppo poco perciò vi pregofare il possibile spedirmi un pacco alla settimana da casa disolo pane, se non vi è comodo così fate doppio abbonamentoalla croce rossa. Pochi giorni sono ho ricevuto un pacco che conteneva proprio igeneri che io desideravo cioè: pasta riso burro conserva come

sapone tabacco. Altro non mi resta che salutarvi di vero cuoretutti. Costantino

14/3/1917Carissimi genitoricon questa mia spero di trovarvi tutti in buona salute come almomento vi posso assicurare di me. Questa settimana horicevuto tre vostre cartoline, una del 22 ottobre, una del 6dicembre e l’altra del 22 dicembre, ho pure ricevuto tre pacchidalla croce rossa, due contenenti pane e uno contenenteproprio i generi che desideravo cioè pasta, riso, burro,conserva, una scatola di carne, sardine, un pezzo di sapone equattro pacchetti di tabacco. Nelle vostre cartoline vi lagnatedi ricevere poca posta, questo non è colpa mia poiché io scrivouna volta alla settimana com’è prescritto, questo divienedall’attività della posta. Sono contento che finora i pacchi migiungono con regolarità e in buone condizioni; in tutti ne horicevuti 18, delle cartoline ne ho ricevute 13. Fate doppioabbonamento alla croce rossa perché uno è troppo poco espeditemi un pacco al mese di pasta, riso e fumare perchéquest’ultimo è l’unico divertimento che si abbia qua. Altro nonmi occorre che pane, pane. Soldi non ne ho bisogno. Terminosalutandovi di vero cuore. Tanti saluti dal vostro figlio Costantino.

3/6/1917 Carissimi genitoricon questa mia spero di trovarvi tutti in buona salute, comefinora vi posso assicurare di me. Il giorno 30 ho ricevuto unacassetta di pane spedito l’undici maggio che era tuttoammuffito, fate le pagnotte piccole come quelle dei primipacchi e possibilmente di pasta dura fatele cuocere bene e poiprima di spedirle fatele seccare al sole in modo che noncontenga più umidità.La scorsa settimana ho pure ricevuto due cassette, unacontenente pane, riso pasta conserva dadi formaggio, l’altrapasta, una camicia, una maglia, un paio di mutande. Quando miscrivete invece di sei mettete baracca n° 9. Altro non mi restache salutarvi di vero cuore tutti. Vostro aff.mo figlio Costantino.

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PacchiP

RENATO ROSSI

Ventenne parte per la Prima guerra mondiale e da Venezia,dove svolge lavori di ufficio, Renato scrive al padre in Umbria.Nelle lettere le notizie sulla guerra si alternano al desiderio ditenersi aggiornato sulle questioni familiari.

31.10.1917Babbo carissimo, Sono in questo momento in città e il primo pensiero è dirassicurarvi sul mio conto, perché sto bene. Altrettando nonposso dire del morale certo che è doloroso e triste il momentoattuale, ma non bisogna disperare. Il momento è grave, forse ilpiù grave da quando l’Italia è stata formata, ma appunto perquesto occorre combattere strenuamente, chiamare a raccoltatutte le nostre forze, le nostre energie per rinfrancarci e vincere.Ti so dire soltanto che la gran parte dei soldati, eccettuatoalcuni, che però hanno già trovato il loro meritato… premio, sonoanimati da una sola, da un’unica volontà: quella di ricacciare iltedesco ad ogni costo! Questa è la mia impressione avvaloratada ciò che ho visto in questi giorni trascorsi in mezzo a loro.Certo una ritirata rapida e precipitosa come la nostra ci hacostretto a sacrifici dolorosi; ed ha recato confusione che però ègià quasi completamente scomparsa e i nostri più bei reggimentiattendono a piè fermo e con animo assetato di vendetta. È probabile che anche il mio battaglione parta per spostarsi piùverso la linea del fuoco, ma parto contento e felice di recare ilmio modesto contributo. Chi ha un cuore e un’anima non puòassistere con animo indifferente agli avvenimenti che sisvolgono. In ogni modo nulla di preciso so dirti, perché sonosempre in attesa. Ti pregherei però di mandarmi subito L. 50,perché se dovessi partire mi occorreranno. […] Babbo miocoraggio e non disperare! Son certo che tu non vorresti saperetuo figlio vile! Non cercherò di partire lo prometto, ma se mel’ordinano obbedirò con animo lieto e sereno, sicuro della tuaapprovazione! Mi sbaglio forse? Non credo!Raccontarti ciò che io ho visto non potrei, perché la mia mente ètutta piena di visioni dolorose, e mi sento stanco, d’altra parte èproibito, e specie in questo momento occorre soprattutto tacere.Vivi adunque tranquillo e se una decisione qualsiasi verrà resa amio riguardo te la comunicherò subito. Abbracciami tutti di casae tu voglimi sempre bene. Bacioni dal tuo affezionatissimo Renato

19.12.1917Babbo carissimo, eccomi a te per rispondere alla tua lettera del 7 giuntami ieri. Dinuovo a mio riguardo nulla ancora, ma credo che l’ordine dipartenza non tarderà molto. Come già ti ho detto parto tranquilloe calmo con la certezza di compiere il mio dovere. […] Graziebabbo mio della tua approvazione ai miei sentimenti, cosa di cuinon ho mai dubitato, perché ben ti conosco e so quanto tuapprezzi le idee buone e generose. Non temere babbo per me. Hola convinzione intima che la palla che deve uccidermi non èancora stata fusa e forse non lo sarà mai; perché ho la certezzadi riuscire a giungere alla fine sano e salvo con l’orgoglio di avercompiuto tutto il mio dovere di uomo e di soldato. Natale siapprossima e anche quest’anno dovrò farlo lontano da tutti voi.È il 4° che manco da casa e credi che tale pensiero suscita in metanta tristezza e nostalgia! Ma come fare? Occorre pazientare eattendere quel giorno sospirato in cui potremo ritornare inmezzo a voi per riprendere quella vita così bruscamenteinterrotta! In quanto alla situazione sebbene possa ancorariserbarci qualche dolorosa sorpresa, pure è molto migliorata epuò considerarsi con fiducia! Il nostro esercito si batte e si battebene, gli alleati ci aiutano e il tempo è il nostro ausilio piùprezioso. Attendi quindi con fiducia lo svolgersi degli eventi enon impressionarti di qualche momentaneo rovescio che ormainon può cambiare il decorso degli avvenimenti! Sulla Russianulla posso dirti perché non so cosa pensarne! Sebbene l’attualelassù può riservarci qualche sorpresa buona, pure è meglio noncalcolare più su loro, perché le speranze potrebbero svanire anzitempo. Anche se la corrente contraria alla pace avesse ilsopravvento, ben poco aiuto potrebbero darci, perché ormaiquell’esercito è completamente disorganizzato e lungi daportare un concorso a noi utile, non sarebbe che unassorbimento di rifornimento degli alleati: rifornimento che peròpuò avere più utile impiego qui e in Francia. In quanto poi farscontare alla Russia i suoi peccati, credo non sarà lontana laresa dei conti; e se daranno mano libera al Giappone, il castigonon sarà poi tanto lontano. […]Saluti cari a tutti amici e parenti. Bacioni a tutti di casa e a te unabbraccio di cuore dal tuo Renato.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 89

PadreP

90 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

Renzo Re - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleSoldati impegnati nel recupero di legname per lacostruzione di baracche.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 91

Luigi Coeta - Fondazione Archivio Diaristico NazionaleTrasporto di vettovaglie con l’aiuto dei cani da slitta.

92 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

PatriaPLUIGI MARZIANO

Un tenente siciliano racconta le manovre italiane sul frontefrancese, ma soprattutto testimonia per iscritto l’orgoglio cheprova per il suo compito di soldato, l’amore per la patria. Iltricolore rappresenta tutto ciò che spinge Luigi e i suoicompagni a dimenticare la paura, il pericolo, il dolore, e andareavanti.

18 luglio [1918]Gli ultimi soldatini d’Italia ce l’hanno fatta contro gli arroganti,duri signori della guerra.Ho attaccato al ramo di un albero vicino al I pezzo ilfazzolettino tricolore. Com’è bello! Sventola alla leggera brezzadi questa mattina assolata. Il tricolore spicca, sembra unagemma luminosa n mezzo al fogliame verde; guardandola nonsi può fare a meno di mormorare: – “Oh, Italia, Italia bella!” – esono parole che si pronunciano con la voce del cuore più checon le labbra e senti il petto gonfiarsi e un sentimento diorgoglio e di soddisfazione per il dovere compiuto, e non haipiù paura della morte,non hai più titubanza alcuna di fronte alpericolo e al sacrificio.Intanto i cannoni tuonano rabbiosamente. Nel Bois de Fleury, apoca distanza dalle nostre posizioni, ferve accanita la mischia.I nostri fanti sbarrano decisamente il passo alle massenemiche, il nostro fuoco cerca i punti vitali di esse e lesgomina, le disorienta, le batte. È ormai in tutti la convinzione,per una sorta di preveggenza che in guerra anticipa glieventi,che il piano tedesco di sfondare a ovest di Reims e a suddella Marna, debba considerarsi fallito.Alle 14 viene a farci visita un colonnello d’artiglieria della 120°divisione francese. Il maggiore ci riunisce, ci presenta. L’ospiteha per noi parole magnifiche, esalta il nostro valore, enumera inostri eroismi e si dichiara onoratissimo di averci al suo fianco.Ci ha chiamati manipolo di eroi. E questo ci ha riempito diorgoglio sebbene non possa compensare il sacrificio di tantevite. […]

19 luglioAlle 8 sferreremo il contrattacco.Alle 8 in punto tutte le artiglierie del settore aprono un fuocotremendo. Il tiro è cadenzato ma data l’enorme quantità dibocche da fuoco i tedeschi si sentiranno addosso uneccezionale bombardamento.Cambiando continuamente obbiettivo, per tutta la giornata sispara. È uno spettacolo tragico e grandioso insieme. Ai pezzi iserventi, tutti scamiciati, senza elmetto, perché il pericolo nonsi conosce più, grondanti sudore, abbronzati dal sole cocente,caricano e sparano come forsennati. I conducenti, nellafornace della battaglia, in mezzo ai cannoni roventi, vomitantiacciaio, con le pariglie impazzite, scaricano e si allontano algaloppo; cassoni di artiglieria con i cavalli che si impennano enitriscono terrorizzati dalle esplosioni, charrettes francesi,autocarri, portano munizioni senza un attimo di sosta. Tutte lepiante vicino alle batterie sono sfrondate. I cannoni sonoinfuocati, ad ogni colpo mandano scintille; gli operai sisforzano di lubrificarne i congeni. I comandanti di sezione,dietro ai cannoni, con il canocchiale incollato sugli occhi,seguono le mosse del nemico. Di quando in quando con vocesicura diamo un ordine: un nuovo bersaglio si presenta, inpochi secondo è battuto. A sera si cessa il fuoco. I nostri pezzi,in queste ore di fuoco hanno sparato, solo essi, oltre 2400granate.Nuove truppe, intanto, vanno in linea. La brigata Brescia,decimata, viene sostituita dagli americani. È un continuo viavai di barelle. Le perdite del nemico sono gravissime: divisioniintere sono state gettate nella fornace ardente della battagliae annientate dal nostro fuoco. Anche le nostre, però, sonogravi; ma l’azione è riuscita: i tedeschi cominciano ad arretrare.I nostri cuori esultano.

DUILIO FAUSTINELLI

Un pastore della Valcamonica racconta, nella sua memoria, i tragici avvenimenti che lo videro testimone della GrandeGuerra. In prossimità di Monfalcone, durante un’azione, avanzalungo un pendio e si trova di fronte il nemico. Duilio èimpaurito, terrorizzato e retrocede nascondendosi in unaspecie di trincea fatta di sacchetti. Alla sera raggiunge unpiccolo paese con altri superstiti cercando di non farsiscoprire dagli austriaci.

[1915] Siamo scesi nella retrolinea provisoria cioè in unpaesello chiamato S. Pollo poco distante da Monfalcone, paeseche avevamo già sventrato con le pillole pins, era quasi già unamaceria: erano depositati in una casa semidirocata vari mortidei nostri soldati caduti, che già si sentiva molto putrefemento,e li si cominciava ad avere sensazione di paura e facevaribresso al vederli, e si diceva ora son questi, quella notte,domani, ne può essere di me, dicevo tra me: la mia famiglia nonla vedo più, e che fare povero Duilio? A questo punto bisognaarmarsi di un ferreo coraggio e poi basta, mi rincresceva moltoa quel’età cosi giovine quasi ventitreenne il fiore dell’età, edicevo tra me: qui per campare ci vuole la grazia di qualcheSanto che abbia a proteggermi, altrimenti cè nulla da sperare;poi a pochi passi cè in piedi ancora una chiesetta, […] èperforata in varie parti, e io come pensava il mio pensiero sonoentrato colla mia dovuta intenzione […] e li cominciai a pregare.[…] In questo frattempo il mio reparto l’anno richiamato a rango,è fatto l’apello per scegliere circa 12 o 15 soldati per andarecirca mezzanotte per tagliare i reticolati austriaci […]. Danno l’ordine, di avanzare, prima si doveva calarsi giù per unpendio: non si è fatto che quattro sbalsi a carponi, che il nemicomi scopriì, e allora è stato una tempesta di piombo, a ridosso sudi noi, poveri infelici, perciò centinaia di bocche gridavano: AiutoAiuto, portaferiti, salvatemi, chi chiamava la mamma, chi lasposa, il papà, insomma cose che facevano, ribrividire chi èmorto sul colpo, chi era gravemente ferito, pochi erano isuperstiti. Insomma era una desolazione di spavento, chi non haprovato e visto non può credere, un vero sfacelo; poi io, invece diretrocedere, mi sono portato più avanti, di modo che mi sono portato fuori del tiro nemico, ma camminavo come fanno i

caprioli, tutto angosciato del vero spavento, non cera dascherzare, e di qui trovai una specie di trincea fatta disacchetti di terra dove di notte ci si metteva i piccoli postiavanzati, era apenna della larghezza di circa due o tre metri, elì mi buttai contro di traverso ma non ne potevo più, e arsitodalla sete chi mi bruciava il proprio petto e più in alto a retro dime, si sentiva a ancora tanti, a gridare aiuto, aiuto, portaferiti,che contendevano colla vita e la morte, perciò io per il grandespavento non sapevo più cosa mi facevo, dicevo tra me quibisogna morire, o a un modo o all’altro, ed io pensai di mettereil mio fucile in posizione di sparo e cociuto che volevo ferirmiad una mano, per poi eclisarmi al’ospedale, ma lo spirito santonon mi a concesso, perché se fosse stato di spararmi per di piùa bruciapelo, poteva subentrare il tetano poi mi avrebbericonosciuto, e così mi mandavano alla fucilazione, cosedell’altro mondo perciò un qualche santo mi a protetto atenermi la mano sulla testa. Poi in sul fare della sera sonvenuti avanti ancora parecchi superstiti, di cui mi sono messoinsieme anchio ed era proprio il mio reparto, e siamo avanzatidi nuovo; il mio tenente che si chiamava Dipalma m’avevapromesso una decorazione al valore militare, perché mi sonoportato avanti prima di loro i sopravvissuti, perciò mi volevapremiare. Fatto sta che circa pochi minuti dopo il nemico, miscopre di nuovo: era poco distante e hanno cominciato asparare col loro tapum, perciò è stato ferito il proprio tenente atutte e due le gambe e li in questo fra tempo è rimasto uccisoun soldato: li aveva centrato il cuore, e non a detto più né Gesùné Maria e il tenente l’anno portato via i portaferiti e poi hosaputo, più tardi, che li era stata conferita la medagliad’argento, perciò al posto di me la presa lui. Comunque quelladetta sera, al chiaro della luna siamo giunti a un paesello chesi chiama Sela: ai piedi della quota dove stavano la trincea deiTugnit sopra circa 200 metri di noi, e noi stare perfettamentezitti: non si doveva fiatare e si sentiva apenna il tacpum equalche colpi di canone, perciò i Tugnit mi attendevano e di lìabbiamo fatto sosta tutta la notte, e quel momento, erevamoveramente avelito, faceva impressione guardando all’alto:quella detta trincea pareva la spelunca dei maniturghi, chesparavano.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 93

PauraP

GIOVANNI BERTOLI

Originario della provincia di Parma, Giovanni trascrive nel suodiario, giorno per giorno, gli avvenimenti che vive al frontelungo il Piave: il celebre passaggio attraverso il fiume, leemozioni, le paure e i confusi pensieri di quei momenti tragici.Ma anche la gioia di riuscire, finalmente, ad arrivare sano esalvo sull’altra sponda.

[1918] Venne l’ordine di prepararsi, pronti a qualsiasi chiamataperché si tratta che il Genio pontiere vé à fare le passarelle perpassare il Piave alla notte medesima. Allora si prepariamo tuttala nostra roba, si mettiamo questo vestito impermeabile ché sichiamava la combinasione, si sembrava tanti palloni frenati. […]Si sentiva le nostre artiglierie a sparare, ma non ci si oservavaperché era già da qualche giorno ché non si udiva altro, ma piùtardi si incomincia ha sentire un nostro bombardamentofenomenale, […] era uno dei più inferociti che aveva sentito inventisette mesi. […] Noi siamo rimasti così impressionati chénessuno non aveva più né freddo né sonno, né niente.Almeno à mé mi sembrava di avere una macchina nella testa chémi rappresentava centomila cose ogni momento […].Allora abbiamo preso la nostra roba e via di corsa […].Sembrava una cosa fatta ha posta! Non ancora distantecinquecento metri incomincia ha piovere. […] Trà l’aqua, là paurae là confusione non si cappiva più niente. Almeno io era uno diquelli! Ma senza temere di sbagliare chi un poco più chi un pocomeno lé mie scarpe andavano bene a parecchi.Siamo stati fermi circa un quarto d’ora poi si fanno proseguire lastrada assieme con la Fanteria […]. Più avanti loro incomincianoa gettare qualche raggio nel Piave. Poi frà pochi minuti a spararecon artiglierie con Mitragliatrici ché sembrava l’affine del Mondo[…]. I zrapnel le granate è lè pallottate di Mitragliatrici chefischiavano, era una cosa spaventosa.Sì erano accorti ché si era dietro per passare, e ché né era giapassato. È loro facevano foco acanitamente. Io dire la verità,tremava, batteva i denti e non sappevo più niente.Mi ero trovato ancora in posti brutti ma così mai…[…] Più tardi incomincia la medezima storia di cominciare asparare dà ogni parte. Io incominciavo a pensare per mé stesso ?Diceva: la facenda si fa seria, qui si tratta di passare il piave

questa notte. […], mentre stava pensando venne l’ordine dipartire […] per andare a passare contro Vidor. Mentre si siamospostati pare ché sé né siano accorti subito anno cominciato asparare zrapnel è granate è guardare via il faro. […], il viaggio èstato lungo è faticoso, va è và siamo arrivati a Vidor, eravamo giàper passare da una passerella, ché è venuto un ordine di tornareindietro per andare a passare dà unaltra passerella intanto chesiamo andati da una passerella à l’altra là fortuna è stata per noiché è saltato per aria l’uno e laltra. Ed è venuto l’ordine difermarsi […].Dalle nove che siamo partiti si siamo fermati ché era le tre deldel g. 28. Non era tanto caldo ma là contentessa di esser rimastidi quà del Piave tutto nascondeva. […] e poi venne l’ordine di partire e andare a passare di doveeravamo partiti la sera prima, percorrendo quazi sempre in rivaal Piave, per cinque o sei ore sotto quel fulmineobombardamento come la notte precedente. Quanto eradolorosa?… Mà non cé stato da discuttere, bisogna andare: èfelice notte.[…] Verso le undici arrivano dove si costeggiava proprio il Piave,ché là sera prima da quel punto in avanti era qualchecosa dispaventevole, invece là sera medesima si sentiva soltanto ilnostro. […] Si diceva fra noi guarda come si è cambiato da ierisera ha questa sera? […] per noi è una fortuna sé la riva dilà delfiume è zgombra speriamo che non abiano a massacrarsi coifucili in mezzo al fiume mentre si passa […].Noi si aveva premura di passare non per tanti scopi, ma soltantoperché si diceva? se viene giorno e poi che si fanno passarelostesso sarà un disastro… per noi. In fatti mentre comincia afarsi giorno si infilano traverso il fiume siamo arrivati a metà chenon abiamo sentito neanche un colpo […], ma dopo anno incominciato a sparare alla passerella, inseguendosi di dietro con icolpi […]. Il suo tiro si faceva sempre più intenso e à finito con untiro di sbarramento tutto verso il fiume. […] Finalmente siamoarrivati sulla riva sinistra del fiume mà fuori completamente,abiamo viaggiato sino circa le 12 poi si siamo fermati. Abiamomangiato un poco di galetta con della carne di scatolette, e sisiamo levate le scarpe rompendo il sugatoio per poter mettere ipiedi nel siutto, è gettar via le calze che erano piene di acqua.

94 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

PiaveP

MARIANO GIGLI

Mariano Gigli, nato alla Maddalena nel 1897, è un ufficiale di-ciannovenne che svolge scrupolosamente il proprio serviziosul fronte austriaco sopportando, con serena accettazione, di-sagi e sofferenze. Nelle lettere che scrive ai genitori è premu-roso e affettuoso, ma non esita a confidare alla madre il disa-gio procuratogli dagli indesiderati ospiti.

Lì 12-12-1917Mamma mia carissima,finalmente posso prendermi il lusso d’inviare una lettera in ri-sposta alle tue lunghe e affettuosissime. Sono tre giorni chenon scrivo perché non ne ho avuto né il tempo né il modo.Immagino quanto ti sarà di sollievo questa mia dopo tre giornidi mancanza di mie nuove. Bisogna, cara mamma, che ti adatti asimili scherzi perché in guerra non sempre si ha a portata dimano la buca delle lettere, la carta per scrivere o la cartolina.Quando manchi di mie nuove non devi allarmarti, ma pensasempre in bene, sono sicuro non ti sbaglierai. La tua corrispon-denza giunge regolarmente ed è l’unico mio sollievo della gior-nata.[…] Ho qui presente la tua lettera dell’8 cm che ricevetti ieri sera. Diparecchie lettere non ti ho accusato nemmeno ricevuta, ma tuperdonerai comprendendo che quelle poche righe inviate sonostate scritte in fretta in un momento di tregua o di calma spiri-tuale, e che loro scopo principale era quello di mantenerti tran-quilla con quelle poche e quasi sempre sconnesse frasi. Scrivoseduto a terra, entro un buco, con la maschera contro i gasasfissianti sulle ginocchia che mi serve da scrittoio. […]Quando penso a quello che è accaduto e che la guerra stermi-natrice è stata portata in casa nostra non riesco assolutamentea convincermene. Tutti siamo però convinti che presto le cosecambieranno, per quanto la odierna situazione sia molto critica.Lasciamo queste dolenti note e parliamo d’altro. Ringrazio im-mensamente zia Lina della sua lunga e cara lettera. Per oranon posso (perché non ho tempo) risponderle, ma appena misarà possibile sarà mio dovere il farlo. Così pure farò per Carloche ringrazio tanto del suo cartoncino con tanto di intestazione“BANCA”. Che bel giorno sarà quello in cui pure io potrò tornarea ricoprire, anche un modesto impiego, e godere, però, un po’ diquella pace famigliare che tutti si desidera ardentemente.Tu mi domandi quando ci recheremo a riposo; nulla posso dirtiin proposito perché non se ne sa proprio nulla.! Sono già sedici

giorni di vita veramente dura e tutti ci sentiamo un pò snervati.In confidenza ti comunico che mi sono riempito di pidocchi eche non so come fare per togliermeli di dosso. Biancheria nonne ho in gran quantità e quello che più mi importa, non ho unadivisa di riserva in modo da poter gettare via quella che pre-sentemente indosso. Avessi almeno un antisettico, ma non miè stato possibile trovarlo! Questo a titolo di cronaca !!Pazienza!Chiudo: baci e abbracci carissimi a tutti di casa, a te, mammamia cara, tutto il mio affetto. Tuo affmo figlio Mariano

Lì 18-01-1918Mamma carissima,stasera rispondo alla tua carissima in data 14 cm ricevuta ierisera. Da qualche tempo non scrivo più a lungo perché propriome ne manca il tempo. Si lavora notte e giorno e gli ordini si ac-cavallano e non bisogna assolutamente farli accavallare, per-ché altrimenti sono guai!Andiamo all’argomento che tanto ci preme; la licenza. Quandosarà quel giorno? Spero presto, ma il punto interrogativo si in-grandisce perché solo il Colonnello decide chi deve partire.Siccome io non vado molto d’accordo con lui mi farà allungareil collo. Pazienza! Già in altra mia lettera ti accennavo dell’arri-vo del Cap.Scola e in questa te lo confermo. Ti ringrazio dell’an-tiparassita che, quantunque entrato in funzione, pure non rie-sce a togliermi di dosso il prurito!!!Il sergente che avevo mandato in licenza è già tornato ed oraper turno spetterebbe proprio a me! Il mio arrivo sarà un’im-provvisata perché da un momento all’altro il mio nome puògiungere dal Comando di Reggimento con l’invito di presentar-mi a ritirare il foglio di licenza. Quale valore avrà per me quelpezzo di carta con quelle poche parole stampate su! Non tistare a preoccupare per quanto riguarda la chiave del portone. Quando penso che, per lontano che sia (al massimo sarà anco-ra un mese), vicina è la gioia di riabbracciarvi, ciò mi sembraquasi impossibile. In questi giorni mi sta prendendo quasi unafissazione e la mente non riesce a distogliermi dall’idea dellalicenza.Lascio perché la posta non mi lascia altro tempo. Bacioni a tut-ti e a te mamma mia tutto il mio affetto. Tuo affmo figlio Mariano

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 95

PidocchiP

VINCENZO RABITO

Nato a Chiaramonte Gulfi, Vincenzo Rabito, classe 1899,partecipa appena diciottenne alla “querra”. Nella prima partedella sua lunga memoria descrive con il suo particolare stilenarrativo la vita nelle trincee, le marce, la scarsità del cibo e,con sottile ironia, sdrammatizza il rischio della morte e leingiustizie subite; libero da ogni retorica, ricorda laconclusione della guerra e l’apparente vittoria.

[1918] Così, ci hanno portato nella provincia di Verona. Recordoche erino li prime ciorne del settempre. E così, i nostrecomandante ni hanno detto come era il nostro intrizzo perscrivere alli famiglie. Ed era così: al soldato Rabito Vincenzo, 69reggemento Fanteria di marcia, 2 battaglione, 2 repartoZappatore, zona di querra, per dove si trova.E tutte noi ci abiammo quardate in faccia sentento che erimonella «zona di querra». Ni ha cominciato la paura. E comincianto da me, diceva: “Ma allora siammo in querra!?”. Eio diceva: “Ma come lo sente mia madre ‘zona di querra’,sapendo sentere che Ciovanni era allo spedale a Pistoia, chi losa quanto pianto deve fare questa mia madre!”.Così, passereno 15 ciorne, sempre ciranto tutte li provincie delVenito, sempre zaino a spalla, facendo teniche di querra e tiredi fucile e di bombe ammano, sempre camminare curbe e dacarpone, e sempre caminanto a piede, senza che una seraavessemo dormito come li cristiane, sempre dormire sedute,opure mentre che camminammo aderetura, che tutte, se niavessero pesato, avemmo demacrito 5 chile di ognuno di noie.Che poi ci facevino camminare macare con la pancia astrescione per terra e paremmo tante maiale, e sempre facentotante corse e senza levarene li scarpe maie maie, e senzacompiarece maie la biancheria.E come passereno li 15 ciorne, ci hanno portato a Scio, vicino alfronte, dove di notte se vedevino li monte dell’altopiano diAseaco. E il ciorno ci facevino saltare tante fosse e di notte sivedevino li monte, che annoi ni pareva che doveva faremalotempo, e invece erino li cannonate che lampeciavano e sisentevino li tuone.Io diceva e tutte diciammo: “Se ci porteranno lì, siammo sicuro

che moremmo e con la famiglia non ci vediammo più!”.Tanto lettere macare che scrivemmo, non ne arreciviammo, emagare che qualche letra la reciviammo, era tutta scancellata,perché la cenzura, se vedeva che c’era scrito: “Figlie mieie,state atento! quardatete!”, non poteva essere di scrivillo e loscancellavino. Solo non scancellavano quanto la famigliascriveva: “Bisogna di morire per la Madre Padria!” E noi cipotemmo mandare a dire: “Cara madre, io faccio il soldato perdefentere la Madre Padria!” Che io e tutte, nel nostro penziero,diciammo: “Maledetta la Padria, che ci stanno fanno morireprima che antassemo in trencieia…” Perché, per 15 ciorne, nonci hanno fatto dormire neanche una notte! […]Così, recordo che il 4 novembre, ciornata che non lademencheranno nesuno de li uomine che sono nate e quelleche devino nascire, che verso li ore 10, prima di mezzo ciorno,hanno passato tante aparechi basse basse, che butavinoun’altra collazione di menefesti, più significative di quelle diiere, che dicevi che immidatamente si doveva scomprare unadelle 2 strade, quella a destra che viene da Bassano, chedevino passare una colonna di machene con tutto lo Statomaggiore, che dovevino antare a Trento a fermare l’ommistizio.Così, la strada subito fu scomprada. E li colonne daiprigioniere, se volevino camminare, dovevino camminare terraterra, voldire campagne campagni. […]Quella strada da Bassano a Trento era piena di bamtirinetrecolore e tante fiore butate e tante borchese che batievino limane, e tutte noi soldate col presenda darme, perchépassavino queste pezze crosse che antavino al castello di SanCiusto a Trento – dove li austriece hanno imporcato a CesareBatista –, per fermare la pace. Così, ci hanno fatto l’adonata, sempre senza rancio, e hannochiamato l’apello per vedire che era asente. Poi, ci hanno dettoche chi ave li callette e li scatolette si li mancia, e quelle chenon ci n’abiammo manciammo questa mincia, e ci dovemmocontantare che avemmo vinto la querra. E tutte ci abiammoquardate in faccia e tutte diciammo: “Ancora manciare per noinon ci n’è. Abiammo vinto la querra e abiammo perso ilmanciare!”.

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Querra Q

AZARIA TEDESCHI

In questa raccolta di lettere spedite da Azaria all’indirizzodella fidanzata-cugina, il giovane capitano calabrese descrivela guerra di montagna in Trentino alternando pittoreschipaesaggi a cruente avventure belliche. Nel settembre del 1917verrà ferito a una gamba; una volta guarito ritornerà sul Carso,ma perderà la vita sull’altopiano della Bainsizza.

Trentino, primi di giugno 1915 Carissima Peppinuzza, da due giorni ho raggiunto il mio nuovoreggimento, che opera nella zona montana. Ho preso ilcomando della 7° compagnia ed ho con me due tenentirichiamati e tre sottotenenti, di due di complemento. sembranotutti degli ottimi giovani e animati dalle migliori disposizioni. latruppa in fondo è costituita da buoni elementi. […] Lacompagnia la ho raggiunta in montagna a 1900 metri dialtitudine assieme a una compagnia di alpini. A questaaltitudine la notte e la mattina si avverte abbastanza fresco especialmente ieri mattina, avvolti come eravamo nella nebbiafitta e col vento che soffiava abbastanza impetuoso, sembravadi essere ritornati in pieno inverno. In Friuli soffrivo pel caldosnervante, ieri ricordando il mio desiderio di fresco di qualchegiorno fa, ho pensato più volte: troppa grazia, S. Antonio: lamantellina era insufficiente. Nelle alte valli ancora si trovanoda quattro a dieci metri di neve, dalla quale facciamo largouso: serve per cuocere il rancio, bere, lavarci ecc. L’acquascorre molto più a basso e costerebbe molta fatica andarla aprendere. I sorbetti come vedi, possiamo prepararli a buonmercato. A questa altitudine sembrerebbe che la vita dovessescorrere abbastanza triste e noiosa, ma non è così, non cimancano i divertimento e il buon umore. Lasciando da parte ilmagnifico panorama che quando il cielo è limpido, si gode da

queste vette dalle quali la vista spazia libera per enormidistanze; lasciando da parte le sensazioni che si provanoguardando l’abisso dall’alto d’una roccia che per centinaia ecentinaia di metri sprofonda a picco, liscia e compatta, comese a quella costruzione avessero lavorato non le forze brute einsensibili della natura ma centinaia e migliaia di arteficidannati per tempo immemorabile a quel lavoro dal capriccio diqualche re delle foreste – noi abbiamo anche i nostrispettacoli, specialmente pirotecnici. I nostri forti e le batterielanciano continuamente i loro proiettili che tagliano l’aria conun frullio lamentevole, passano alti e vanno a colpire e ascoppiare sui forti austriaci, dei quali alcuni sono statismantellati. Ma quelli che ancora hanno subito pochi dannirispondono al fuoco dei nostri forti e mandano i loro proiettilisu quelli e sulle posizioni occupate da noi. Quando noi altrisentiamo che un colpo è partito da un forte nemico ciaddossiamo alla roccia e alle trincee: subito dopo si sente ilfischio caratteristico del proiettile che si avvicina e che giuntosulla nostra testa scoppia con grande fragore che l’ecoripercuote cupamente giù per le vallante. Avvenuto lo scoppiotutti i soldati tirano fuori la testa dal loro nascondiglioimprovvisato per constatare se ci sono stati danni e in questomomento le trincee danno l’idea degli stagni popolati daranocchi i quali sono solleciti a mettere fuori il naso appena èpassato il pericolo. Se lo shrapnel o la granata non hannoprodotto alcun danno, qualche soldato si sente autorizzato agridare all’indirizzo del puntatore. “ Va alla scuola, schiappino”.In questo consiste il nostro divertimento. Oggi la mia compagnia è scesa a valle e tra qualche giornoritorneremo in montagna. Dammi vostre ottime notizie e abbiticon la zia e cugini i miei migliori abbracci e baci. Aff Azaria

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QuotaQ

EUGENIO LAVATORI

Le giornate in ospedale che Eugenio, bracciante marchigianoferito in guerra, annota sul suo diario, sembrano esserescandite esclusivamente dall’ossessione per il cibo, dallasperanza di un rancio più sostanzioso. Eugenio è peròconsapevole di essere un sopravvissuto, e il suo pensiero va aicompagni in trincea, meno fortunati di lui, e alla famiglia chespera di rivedere presto, non appena sarà finita questa guerradi cui non capisce il senso.

5 [novembre 1915] Siamo partiti di nuovo a piedi senzamangiare e senza trarre nulla per strada abbiamo camminatotutto il giorno siamo arrivati in un piccolo Ospedale alle 6 disera Fermati lì ci anno preso la base è poi ci anno mandato viadi nuo.. 10 chilometri di strada ancora siamo arrivati all’11 dinotte tutti bagnati e infangati che la fanga passava il ginocchiolì ci anno dato un po di paglia da riposare un quarto di panemezza razzione di carne e a dormire.Alla mattina alle 6 e arrivato un ottomobile ci anno caricatocome bestie e via abbiamo camminato circa 8 ore siamoarrivati in un ospedale vicino a Udine […]appena rivati con quella fame ci anno fatto spogliare vestire damalati e poi ci anno consegnato un bel letto poi cosa ci annodato da mangiare un sesto di pane, un mescolo di broda di risocon 6 acini di riso così ci siamo coricati viene la mattina del 7senza caffè alle dieci un quarto di pane una porzione di carnema assai poca, un mescolo di riso non so con che cosa eracondito Dalla fame sto scrivendo ma mi trema il polso si va ariposare8 Si fa giorno un po di caffe un decimo di pane alle 11 e ½ unquarto di pane un pezzo di carne allesso un sesto di vino unmescolo di riso e basta ma quasi sono sazio perché il dolore miguerna non è tanto orrendo ma lo sento bene sembra che latesta sia abbastanza grossa ma invece sarà come prima midicono che la mia ferita è piccola ma io non la posso vedere esono costretto a credere ora aspettiamo cosa ci daranno damangiare questa sera, un quarto di pane un pezzetto di carne

allesso un mescolo di riso senza vino e si va a dormire Il letto eabbastanza buono.9 E già giorno un mescolo di caffe un decimo di pane mezzogiorno carne riso vino pane sempre al medesimo cosa si fa inquesto ospedale pensare alle nostre famiglie care ai nostrivecchi genitori che piangono tanto la nostra disperazione e inostri disaggi di vita e poi loro cosa sanno sanno che noistiamo bene ma no la vita che facciamo si pensa alle nostreaddolorate moglie che tanto piangeranno qurando i nostribambini che forsi nemmeno avremo la fortuna di rivederlibasta speriamo in Dio che lui é il nostro padrone lui puole fareciò che vuole speriamo e preghiamo che presto finisca questaguerra che rovina giornalmente migliaia di famiglie ebbenesarà destinato così se dobbiamo morire moriremo è duramorire senza rivedere i nostri più cari ma speriamo sempre chequesto non succeda.Ebbene si fa sera …medesimo rancio meno il caffe.Io…sembra di stare un po meglio[…] 13 Lo stesso rancio sempre riso. Io mi sento sempre meglio oggipoco appetito nessuna notizia della famiglia molto desidererei Si fa sera e medesimo rancio e poi si va a dormire14 Si fa giorno, il giorno iniquo. Sono partito dalla mia famigliache vuoi sarà sempre un giorno rammentato quel maledettogiorno che ha messo in disperazione migliaia di migliaia difamiglie e qualcuna, no parecchie, non si consoleranno mai piùperché perché i loro cari sono rimasti sul campo di battaglia eio pure se mi prendeva meglio ero rimasto a S.Lucia là sullaterra dell’Austria ancora speriamo presto sarà Italiana maancora non è.Ebbene questa volta è vinta.Oggi sono tre mesi che non vedo più i miei cari genitori, la miabambina, la mia povera moglie ebbene possi avere la fortuna dirivederla dopo tanti disagi della mia via non importa soffrire,basta portare la pelle a casa.

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RancioR

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RetrovieRGIUSEPPE TIBURNI

Nel diario di un bersagliere senese troviamo un bell’affrescodelle retrovie dell’esercito. La musica della fanfara, di cuiGiuseppe fa parte, le lamentele del parroco che non vuole che ibersaglieri suonino ballabili per far danzare le ragazze delpaese, ma anche i bombardamenti che illuminano a giorno icieli notturni e gli orribili spettacoli della guerra.

27 settembre [1917]La notte gli austriaci ci sparano sulla nostra trincea e cibuttano giù qualche baracchino, ma nessuno resta ferito. Ilgiorno calma. […]

28 settembreAlla mezzanotte e ½ arriva la compagnia e ci riuniamo tutti.Alle 1 si parte da Pietra Rossa; a Cave di Seltz ci fermiamo unpoco poi andiamo avanti e ci fermiamo a Ronchi, ci portano inun prato appena fuori del paese e ci buttiamo a dormire perterra. […]

29 settembreLa mattina appena alzati io e Petri si va dal caporal maggioreBielli a sentire se ha nessun ordine riguardo ai trombettieri,mentre si sta parlando arriva il sergente tromba Vitali e ci diceche la sera bisogna suonare, e si resta d’accordo di riunirsitutti per le 1. Verso le 4 una squadriglia di 4 aeroplani austriaci viene agirellare sul nostro accampamento, le nostre batterie glisparano ma loro non intendono e seguitano a girare sopra noi.Ad un tratto vediamo arrivare 5 o 6 nostri cacciatori e dannosubito battaglia agli austriaci, per un poco li vediamo tuttiassieme darsi dietro l’uno con l’altro poi gli austriaci tentano difuggire ma i nostri li seguono e riescono a tagliare la strada adue apparecchi austriaci, nello stesso tempo sentiamo un paiodi scariche di mitragliatrice e un apparecchio austriaco cheforse non è stato colpito riesce a fuggire e lo vediamoallontanarsi […]

5 ottobreLa mattina il sergente ci porta in un prato dove troviamo il 64 e65 battaglione e il 18° reggimento con la mia fanfara a noi cifanno suonare mentre i nostri battaglioni fanno istruzioni, […]

7 ottobreIl giorno si prova tutti assieme (noi, la fanfara del 18° e lamusica divisionale) La sera ci si riunisce tutti al comando didivisione e di lì si parte suonando tutti assieme e si va inpiazza, dove la musica divisionale fa servizio suonando deipezzi d’opera […] Appena finito il servizio della musica ci siriunisce di nuovo tutti assieme e partiamo suonando, si fa ilgiro del paese poi si rompe le righe.

13 ottobreLa mattina si va a far scuola di tromba.Dopo il rancio idem.la sera si suona in piazza a Ruda. Mentre si suona il prete delpaese va a reclamare da un ufficiale perché le ragazze delpaese ballano coi bersaglieri. Noi allora suoniamo dei ballabiliapposta finché il prete non va via tutto scandalizzato.

26 ottobreLa notte gli austriaci non sparano. Giù nella strada continuanoa passare cannoni e camion di materiali che vanno verso leretrovie. […] La sera verso le 4 sentiamo un gran rumore diaeroplani e vediamo avvicinarsi una grossa squadriglia diaeroplani austriaci Noi stiamo a vedere che direzione prendonoma quando arrivano all’inforco del vallone cominciano a tirarbombe. Allora scappiamo per andare in galleria ma la troviamogià piena, e noi ci tocca stare fuori allo scoperto.

27 ottobreLa notte fino alle 3 si dorme ma poi ci tocca ad alzarsi escappare in galleria perché comincia a venir giù granate chesembra l’inferno e questa volta picchiano nel segno perchécascano tutte dalla nostra parte, cioè dove sono ibaraccamenti. […] Gli aeroplani appena sopra a noi comincianoa menar giù bombe e continuano fino a che uno che si trovaall’imbocco della galleria comincia a gridare che ci sono i nostricacciatori, allora io esco di galleria e mi metto allo scopertoper vedere la battaglia. […] Ogni tanto vediamo alzarsi per l’ariadelle enormi vampate di fuoco che arrossiscono tutto il celo:sono le cariche delle artiglierie che bruciano nei depositi. […]Noi arriviamo al ponte sull’Isonzo (dove stanno già preparandole mine per farlo saltare) e di qui vediamo tutta la pianuraincendiata.

AGOSTINO TAMBUSCIO

Agostino Tambuscio, nato a Savona nel 1897, viene fatto pri-gioniero dagli austriaci dopo la disfatta di Caporetto. Riesce inseguito a tornare a casa, dove scrive le sue memorie del perio-do passato in trincea. Le vivide immagini della prosa diAgostino ci restituiscono una quotidianità in continuo fermen-to, che riesce ad allentare i suoi ritmi solo nei momenti di ripo-so: si tratta però di un riposo relativo, una sosta “da trincea”:due sacchi vuoti possono costituire un buon giaciglio.

[1917] Due o tre chilometri ci separano dalla linea che abbiamolasciato, Chiassosa diventa la discesa verso il fiume, C’è chi ridesguaiatamente senza quasi saperne il perché. C’è chi canta enon si perita di osservare ove posa i piedi sulla strada ricopertadai sassi, tronchi d’albero, bombe abbandonate alla rinfusa dalnemico in fuga nei primi giorni dell’offensiva vittoriosa. Eppurebisogna calmare il delirio folle che ha invaso tutti e che ci hafatto dimenticare per pochi istanti i fratelli che sono rimastilassù! Ci sono le loro ombre, tristi, mute, sofferenti incolleriteper la gioia nostra così oscenamente esternata. Non credevanoi nostri morti di venire così presto dimenticati. Finalmente,però, pare ritornarmi la realtà. Si scende ora con precauzione,con lentezza e si tace. Ogni viso diventa grave, pensieroso, ogniindividuo ha un ricordo, la tragica fine d’un compagno. […] All’alba del 31 agosto siamo in riva al fiume. Rivedo Auzzacon la stazione ferroviaria semidistrutta e nei muriccioli ancorain piedi le screpolature nei calcinacci portanti ben visibili i se-gni delle fucilate. Si va lungo l’Isonzo verso Canale. Ci fermiamoall’entrata di una insenatura non troppo vasta formata da duecolline che si congiungono come il vertice di un triangolo.All’entrata dell’insenatura si erge un alto tumulo composto conpietre. Era una enorme fossa preparata dai nostri per poter da-re sepoltura ai primi fanti che attraversarono l’Isonzo. Ci vieneriferito che sotto questi sassi riposano un centinaio di italiani.Un poco più basso, cioè al piano del fiume c’è il nostro carreg-gio e le cucine.

Si fa una corsa al fiume. C’è un conto da regolare con i cucinie-ri: vogliamo sapere da essi che ne hanno fatto dei viveri spet-tantici, perché non ci hanno inviato il rancio lassù, ove non simangiava né si, beveva; solo si moriva!Gli accusati si scolpano, giurano, spergiurano, che il ranciogiornalmente e regolarmente ci è stato preparato e inviato, co-me pure il pane, il vino… Ma allora dove andava a finire? Chedicono quelli imboscati di conducenti? Questi dal canto loro ri-spondono che portando i viveri a metà strada venivano fermatida reparti che secondo gli stessi erano addetti a farci perveniregli alimenti in linea! Sono tutte falsità! Non sapremo mai doveandò a finire quella roba; ammesso che fosse stata realmenteinviata. Meglio troncarla così!Scavalchiamo la ferrovia che corre sotto a questa cieca valle sioltrepassa il traghetto di barche costruito dal Genio Pontieri esi dà l’assalto ai carri. Vuotiamo i sacchetti che racchiudono labiancheria, si va al fiume, ci spogliamo e ci tuffiamo nell’acquafresca che corre impetuosa, indi possiamo indossare bianche-ria pulita e priva di parassiti. Con il corpo ringiovanito dalla fre-schezza dell’acqua del fiume ormai nostro risaliamo la collinaper preparare la tenda. Non abbiamo un filo di paglia che ciserva da giaciglio e dovremo dormire per trenta notti consecu-tive sul suolo nudo! Mi serviranno da giaciglio, dopo qualchegiorno, i due sacchi vuoti che, un giorno trovandomi di giornataper il prelevamento e distribuzione del pane, non ho più resti-tuito al magazzino. Appena la tenda è pronta invio Rovere alla ricerca di una canti-na militare con l’incarico di provvedersi delle migliori cibarie, difrutta, di vino, avendogli promesso fin dalla linea di combatti-mento che se la fortuna fosse stata a noi propizia, appena a ri-poso avremmo festeggiato S. Agostino degnamente, il nostroonomastico, l’anniversario del quale si celebra ogni anno il 28agosto. Rovere parte e qualche tempo dopo ritorna con le braccia col-me d’ogni ben di Dio.

100 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

RiposoR

MARIO BOSISIO

Nella memoria di un artigliere milanese leggiamo l’angoscia elo sconforto per l’ingloriosa ritirata seguita alla battaglia diCaporetto. Mario verrà fatto prigioniero e finirà in Belgio, ma inqueste pagine si impone la malinconia del soldato che, dopoventi mesi al fronte sull’Isonzo, deve distruggere i cannoniperché non cadano in mano del nemico, deve lasciare la vallein cui ha combattuto.

Verso la fine dell’ottobre dell’anno 1917 gli eserciti Austro-Ungarico e Germanico scagliavano tutte le loro migliori truppesul fronte italiano, per un’offensiva in grande stile, seguendo unloro programma prestabilito; in una settimana tutto avrebbepotuto essere distrutto: il nostro Esercito, le nostre forze navali,la nostra esistenza come grande nazione.Gli Unni calavano con secolare sete di vendetta, pieni didesiderio del nostro bel paese, delle nostre belle donne, delnostro buon vino, ebbri di tutto il ben di Dio che lasciavano dietroa loro. Furono giorni di grande dolore, che mai verrannocancellati dalla nostra storia. Tutto finiva, tutto crollava, e contutto crollava il frutto dei nostri sacrifici, le conquiste fatte indue anni di continue vittorie del nostro glorioso esercito.La notte dal 26 al 27 ottobre, non si capiva più nulla della nostrasituazione; reggimenti interi che si ritiravano; brigate cheandavano di rincalzo sulle linee; batterie che trainavano i loropezzi verso più solide posizioni, per proteggere la ritirata dellefanterie di linea. Il cielo di Gorizia era stato illuminato a giornofino all’alba dal fuoco dei cannoni nemici, che vomitavano sullelinee e sulle retrovie proiettili di tutti i calibri, mentre le nostreartiglierie cominciavano a tacere; poche batterie resistetterofino all’alba compresa la 428º batteria d’assedio con cannoni da149 G., alla quale io appartenevo.Questa batteria dopo aver resistito sotto raffiche di colpi beneaggiustati, al mattino verso le sette ricevette l’ordine di farscoppiare i cannoni e di distruggere tutti i proiettili e polveri cheesistevano. Dolenti e taciturni ci accingemmo alla triste bisogna.Una parte degli uomini, seguendo i camminamenti, raggiunse ilfiume Isonzo per buttare in acqu tutti gli esplosivi e proiettiliesistenti della nostra dotazione, mentre gli altri di servizio in

batteria, provvidero a caricare i pezzi per farli saltare. Qualecolpo fu per me! Ero di servizio in qualità di capo al primo pezzo.Radunai i miei fedelissimi sette inservienti guardandoli concommiserazione, poi con le lacrime agli occhi ci abbracciammo.Soltanto un attimo trascorse; poichè si dovette incominciare ilfunebre rito:far morire quel bel mostro che da più di venti mesiera stato nostro buon amico, di giorno e di notte, col bel tempo econ la tempesta, nella stanchezza e nelle privazioni, nella gioia enel dolore […]. Tutto si distrusse colle nostre mani! E non sivoleva credere ad una ritirata così disastrosa…Dalla poderosa e titanica lotta per la presa della città diGorizia, avvenuta nell’agosto 1916, che eravamo qui stabiliti nelValloncello sotto Peuma, largo non più di una ventina di metridove scorreva il torrentello Peumica, che raccoglie tutti gliscoli delle montagne ad Ovest del Sabotino e delle espugnateposizioni di Oslavia e Lenzuolo Bianco, tomba e gloria dei nostrigranatieri di Sardegna, per poi sboccare nell’Isonzo, propriodietro alla nostra batteria.Partimmo dalla batteria sfasciata e ci avviammo per icamminamenti […] con alla testa il caro Comandante dellanostra batteria, Capitano Bernardoni, che mai ci lasciò unminuto in quella tragica notte. Le batterie nemiche cisalutavano con rabbiosi tiri di artiglierie: sembrava ci volesserosterminare tutti durante questa nostra fuga. Invece nonostantela pioggia di ferro e di fuoco, riuscimmo a raggiungere il nostroaccampamento, dove avevamo le cucine, il materiale di riservae delle care e sgangherate brande, su cui si poteva riposaremeglio […].Il nostro Comandante ci radunò sulla strada, col solotascapane, perché tutta la nostra roba era stata caricata suicarri bagaglio […] allo scopo che la nostra marcia di ritiratavenisse effettuata con meno peso sulle spalle.Lasciammo il baraccamento in fiamme e risalimmo ilcosiddetto Vallone delle Acque, alla sinistra del poderosoPodgora, per raggiungere la strada di Cormons. Demmo l’ultimoaddio a questa vallata, dopo più d’un anno di nostrapermanenza, a noi tanto cara nelle giornate di tregua e diriposo che il fuoco ci concedeva.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 101

RitirataR

102 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

RitornoRCARLO THAU

Carlo è un ragazzo del '99 costretto a interrompere gli studiperché richiamato al fronte. Nella sua corposa autobiografia,che abbraccia gli anni dal 1899 al 1985, egli dedica uno spazioimportante alla sua partecipazione, giovanissimo, alla GrandeGuerra alla fine della quale, ancora sotto le armi, riprenderà glistudi per costruire il proprio futuro.

[1918] Un certo giorno venne l’ordine di trasferimento a Napoli.Venne formato un treno straordinario, fu caricato tutto l’arma-mento e furono assegnati i posti per noi: ufficiali, due per ogniscompartimento di prima classe; sottufficiali classe seconda eper la truppa terza classe, sempre due per ogni scompartimen-to. Quindi partimmo per Napoli. Il viaggio durò dieci giorni! […]A Bologna facemmo una sosta di qualche ora a fianco di una“montagna” di cassette di liquori. Dopo la partenza, alla portadi ogni scompartimento trovammo due bottiglie di liquore, unaper ogni inquilino! Il furto era stato equamente ripartito e diesso godettero anche gli ufficiali.Giunti ad Ancona fummo fermati. I ferrovieri si rifiutarono diseguire, non ricordo quale questione c’era con l’Albania.Appena giunti alla stazione dissi scherzando, ad un capotreno:“Fateci partire subito, siamo stanchi, altrimenti noi spariamo icannoni!” “Provateci” – mi fu risposto – “e state buoni che sia-mo armati”. La risposta non mi sembrò tanto scherzosa.Rimanemmo ad Ancona per tre giorni […]. Dopo trattative colcomando territoriale di Bologna, il viaggio riprese. Non eravamogiunti a Bari che ci arrivò la grave, tragica notizia: un battaglio-ne di bersaglieri di istanza ad ancona si era ammutinato. Fuappoggiato dai ferrovieri e proprio la stazione divenne un cam-po di battaglia con morti e feriti. Quella insurrezione si estesenelle Marche ed in Umbria. La famosa settimana rossa!Pensare che avevo avuto l’idea di chiedere un permesso per re-carmi a Narni, ma deposi l’idea, così senza una precisa ragione.Fu una fortuna perché essendo in divisa potevo essere coinvol-to! […]Come Iddio volle giungemmo a Napoli! Correva l’anno 1920. Fuiassegnato ad una batteria del 24° Reggimento artiglieria dacampagna al comando del mio ex capitano siciliano.Alla stazione di Napoli ci fu la battaglia dei vagoni: questi

erano scarsi ed i facchini pur di averne uno si offrivano di aiu-tare i soldati a scaricare i nostri. Io non mi feci travolgere daassalti feroci. Misi due soldati a guardia, non feci toccare nullaagli invasori. Chi accondiscese fu punito perché mancò anchedel materiale. Dopo qualche anno rientravo in una caserma do-ve vigevano tutte le regole e regnava la disciplina. Sempre quelcapitano mi propose di andare con lui in Sicilia dove era statotrasferito. Con garbo ed adducendo una buona scusa non ac-cettai e rimasi a Napoli. […]Imparai a scrivere a macchina. A Napoli la vita fu abbastanzabuona e il mangiare discreto e abbondante. Stavo bene! Eratempo che pensassi però anche alla mia vita, al mio futuro. Lamia classe era stata trattenuta per addestrare il 901, quella del900, richiamata anche essa in anticipo fu posta in congedo su-bito, appena finita la guerra, sacrificati nella nostra carrierascolastica e quelli del 900, non potevano addestrare la classesuccessiva! Una assurdità, una ingiustizia! Scoprii una circola-re che dava diritto agli ex combattenti a sei sessioni di esami,due di queste erano già sfumate! Decisi di prendere parte alleseconde due, mancavano due mesi per quella di luglio. Miiscrissi agli esami presso la scuola media superiore come can-didato a geometra, mi rivolsi ad un insegnante privato, per lamatematica; qualche nozione d’italiano la prendevo da alcunilibri di letteratura. Pensavo di dare l’esame di italiano scrittoed orale e di matematica/Povero me! Ero molto indietro!Comunque mi presentai ad italiano, scritto e orale, storia egeografia e mi sembra in francese. Fui promosso in tutte e trele materie. […]Tornammo a casa, io definitivamente. Questi 44 mesi di vita mili-tare erano stati per me di grande esperienza. Ero partito ragaz-zo, ritornavo uomo. Mi sentivo soddisfatto ed anche contento diaver servito la mia patria, con senso del dovere e con entusia-smo. Allora la patria era un qualcosa di nostro, una grande tradi-zione, era l’orgoglio di aver diffuso nel mondo una civiltà da cuiprovenivano navigatori, pittori, scultori, scenziati e certo, anchesanti. Tutti avevano contribuito a far conoscere al mondo la pic-cola ma bella, tanto bella Italia.[…] Un periodo della mia vita erafinito ed ora ne iniziava un altro, più importante, più mio. Dovevolavorare per preparare il mio avvenire, per entrare nella società.

UGO MARIO VENTURELLI

Un rappresentante di gioielli ferrarese, impegnato nel con flittocome tenente dei bersaglieri ciclisti, in queste pagine di diarioracconta i giorni successivi alla battaglia di Caporetto.L’emozione per le condizioni dei fuggiaschi si unisce all’at ten -zione nel riportare la preparazione dei pasti, l’approv vigiona -mento dei viveri e gli episodi di razzia.

Venerdì 26 [ottobre 1917]Cominciano le prime notizie tristi. Vediamo i primi fuggiaschi.Sono tutti instupiditi. Povera gente. La giornata per noi passaabbastanza tranquilla. Facciamo i commenti sulla ritirata dellenostre truppe.

Sabato 27 – S. Vito[…] L’ordine di partenza c’è anche per noi. Il Maggiore vuole lamensa per le 17,30. Mi do subito all’opera e all’ora stabilita lamensa è pronta. Il Cap. Rizzo offre lo champagne Brindisi eurrà! […]

Domenica 28Ore 3 – Arrivo a ColloredoSiamo bagnati fradici. Mi metto in cerca di un locale per farfare la mensa e accendere un po’ di fuoco per gli ufficiali. Alle 4il locale è trovato, il fuoco pronto. Gli ufficiali bevono il caffè esi addormentano vicini, mentre il cuoco cuoce quattrobistecche. Io spacco e imburro il pane. Faccio le razioni diformaggio e di dolce preparato a S. Vito per la domenica.Ore 5,30 Tutto è pronto. Consegno agli ufficiali una pagnottaburrata con entro due bistecche, un bel pezzo di formaggio, unpo’ di dolce.Alle 7 il Battaglione parte.Vado a salutare i più intimi. Il Maggiore Diuro, il dott. Manfredi,Pisciotta.Sono commosso. Ciò è tanto strano.Alle 7,30 Carati mi dice di trovargli dei copertoni mentre vado aprocurami i viveri.

Piove sempre. […]Entro in Udine per andare alla Sussistenza. Tutto è chiuso.Qualche soldato ubriaco per la via. Vetrine sfasciate. Si notanoi primi segni di saccheggio.In Piazza Mercato Vecchio vedo il negozio di Paulini aperto.Entro. Dei soldati d’artiglieria stavano rubando. Li caccio, a unoanzi do un ceffone. Ma ormai chissà quanti prima di loro hannorubato. Fornito come era il negozio, nemmeno più unamacchina fotografica. Povera gente! Quanta distruzione.Rimonto in autocarro e parto per Porta Venezia per andare aCasarsa, visto che a Udine nulla potevo prendere di quantodovevo.L’affollamento degli autocarri e delle persone che fuggono ècosì enorme che decido di rientrare in città per partire daun’altra porta. […]

Lunedì 29Tutta la notte passa, si può dire, fermi. Tempo discreto. Alle 8del mattino siamo a Pasian.Dietro al mio autocarro ce n’è uno che deve essere di unvivandiere. I conduttori mangiano. Io guardo.Si procede a passi.Verso le 15 ricominciano a mangiare. Domando qualche cosa.Mi offrono tre gallette, una scatola di salmone e un bicchier divino. Non male. […]Corre voce che al deposito benzina di Codroipo danno benzina.I capitani vanno avanti e mi attenderanno là. Io vi arrivo versole 18. […]Carico la benzina e i due capitani.Alle 19 siamo a Codroipo. Io vorrei andare a Casarsa perprelevare a quella Sussistenza viveri per il mio Battaglione.Vicino alla Piazza di Codroipo degli arditi stanno svaligiandouna drogheria.Entriamo io e Montemuro. Ci carichiamo di bottiglie, discatolette, mezza forma e rimontiamo in autocarro.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 103

RuberieR

ARTURO BUSTO

Ingegnarsi per scacciare il nemico non è semplice, puòdiventare problematico anche accendere un fuoco. Nellamemoria del militare di Verolanuova (Bs) è struggente ladescrizione del sacrificio di un giovane per un compagnod’armi, appena conosciuto, che implora di essere salvato damorte sicura in nome dei figli e della moglie.

[Luglio 1916] Poiché si era praticamente attaccati dall’idea diconquistare a qualunque costo delle posizioni nemiche,dovemmo studiare qualche idea geniale per costringere ilnemico a sloggiare dal suo formidabile torrione. Questo mezzofu l’incendio del bosco che rivestiva il “Mosciagh”.Ma […] vuoi per l’umidità propria di quei boschi, il fuoco nonprese, e noi rimanemmo delusi.Da tergo non si rinunciava ancora all’attacco. Si aveva lasfrontatezza di tacciarci perfino di codardi!E noi col mucchio di cadaveri, ancora giacente fra le nostrelinee e quelle austriache, testimoniavamo il grande, sfortunatospirito di sacrificio delle nostre fanterie! […] Dalla fase degli attacchi risolutivi si passò poi dopo l’ecatombedi tanti uomini alle azioni dimostrative che consistevano inintense disordinate sparatorie di fucilieri e di mitragliatrici enell’uscita di qualche piccolo reparto, destinato a sicura morte.La prima volta gli austriaci si allarmarono, ma poi se nestettero tranquilli pronti più a colpire gli uomini che ardivanoavvicinarsi ai loro robusti reticolati. In una di queste azionidimostrative nelle quali, come ho già detto, i nostri repartierano esposti a perdite sicure e inutili, dovetti assistere ad unascena dolorosa quanto sublime di umanità e di valor militare.La mia compagnia doveva far uscire una pattuglia di ungraduato e 4 uomini per tentare di raggiungere le trinceenemiche. Era semplicemente pazzesco pensare allarealizzazione di tale obbiettivo; ma gli ordini erano tassativi enon ammettevano obiezione. Tutti i superiori erano come meconvinti di un tale stato di cose, ma nessuno aveva il coraggiodi protestare presso i capi più elevati. […]Sta di fatto di dovere senz’altro eseguire l’ordine chesignificava il sacrificio sicuro dei miei uomini. In base ai turnida me scrupolosamente tenuti, stabilii a chi toccava il

pericoloso servizio e diedi le disposizioni del caso. Uno deicomponenti della pattuglia, un soldato con moglie e figli,sapendo di andare a certa morte, implorò la mia pietà per lasua famiglia. Evidentemente io non potetti concedergli quantoegli voleva senza esporre, al posto suo un altro soldato. E fuiperciò rigido nel pretendere l’esecuzione dell’ordine del qualepotevo avere nessuna responsabilità. Quando la pattuglia,ormai rassegnata alla sua sorte fatale, stava per uscire dallanostra trincea, un soldato, da poco assegnato alla compagnia,si presentò a me e chiese di sostituire il compagno ammogliatoche conosceva appena. Fu un atto veramente generoso edimostrava l’animo nobile dell’oscuro soldato, già ferito sulPergon. La sua volontaria offerta commosse tutti noi ed i nostrivoti fervidi li accompagnarono nell’odioso servizio.Appena usciti di trincea la pattuglia fu fatta segno al ritiropreciso delle vedette austriache che colpirono quasi tutti i suoicomponenti. Soltanto il soldato volontario, il più animoso fratutti, riuscì a raggiungere il reticolato nemico e ne iniziò iltaglio con la pinza di cui era munito. Ma una pallottolaesplosiva lo ferì gravemente. Nonostante il dolore dellalacerante ferita e la forte perdita di sangue, egli, senza unlamento, tentò di continuare il taglio del reticolato, finchécolpito a morte da una seconda fucilata, dovette desistere dalsuo generoso tentativo. Sgomberato poco dopo indietro, eglivolle venire a consegnarmi un pezzo del robusto reticolatonemico da lui reciso. Ricordo ancora il suo pallido viso, il suocorpo esangue, il suo parlare tranquillo nel dirmi, quasiscusandosi, di aver fatto di tutto per eseguire l’ordine ricevuto,ma di essersi trovato di fronte a difficoltà insormontabili.Rivedo nel suo sguardo un non so che di celestiale e puroproprio degli eroi, inconsapevoli della grandezza del loro animoe della sublimità dei loro atti. Giunto al posto di medicazionespirò senza alcun lamento.E noi rimanemmo confusi di tanta generosità e di tantagrandezza spirituale! La sua nobile anima aleggiò attorno a noie ci ricordò nei momenti più gravi fino a che punto dovevagiungere il nostro spirito di sacrificio per la Patria e per l’onore!Lo proposi per la medaglia d’oro al valor militare ma non seppipiù nulla!

104 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

SacrificioS

CESARE ERMANNO BERTINI

Cesare Ermanno Bertini è nato nel 1890 a Massa Carrara. Neldiario, composto da tre taccuini, scrive da maggio a dicembre1915, di sé, degli altri soldati e degli eventi bellici sul Carso inmodo ironico e disincantato, senza far trasparire la paura dellamorte a causa delle granate e delle schegge. Il giovane toscanoviene ferito e, durante la convalescenza, conosce una ragazza,Linda, che sposerà nel 1917 a Brescia.

22 = [agosto 1915] all’alba gran scarica sul fronte; le granatenemiche passano sopra le nostre trincee andando a scoppiarea distanza. Nel pomeriggio sono andato, assieme ad altri capo-squadra, condotti dal nostro Tenente, fino alla prima linea difuoco a riconoscere i sentieri per guidare i soldati nel caso checi fosse bisogno di rinforzare la linea di combattimento.Lassù apprendiamo che, nella serata del 21, rimasero uccisi 3soldati e vi furono 7 feriti della 5^ Compagnia.Facendo ritorno ai nostri posti abbiamo provato grandi emozio-ni perché parecchie granate ci scoppiarono vicinissime, mentrele schegge sibilando passarono alle nostre orecchie.23 = Anche oggi sono andato a riconoscere i sentieri per anda-re in prima linea. Sono stato nel cantiere di Monfalcone dovetrovai ciminiere perforate da cannonate, macchinari rotti dagranate, stabili squarciati e rottami di ogni genere.Parecchie compagnie hanno morti e feriti: anche la mia oggi hasegnato il primo morto. La sfortuna è toccata al soldatoTalamoni del terzo plotone.Il disgraziato è stato colpito in testa da una scheggia di grana-ta nel mentre che era uscito dalla trincea per cercare un po’d’uva. La morte di Talamoni è stato così fulminea da lasciarlocol grappolo in mano e diversi granelli in bocca. […]31 = sono stato rinominato il Capitano della “Irma”, chiatta conla quale ho traghettato per tutta la giornata i militari che dove-vano attraversare l’Isonzo. Alle ore 22 abbiamo lasciato l’ac-campamento per andare di nuovo sul fronte dove siamo arrivatialle 3 del 1 settembre.Il malcontento regna su tutti perché abbiamo dovuto riposaresu due sassi aguzzi ed in trincea scoperta ed in trincea scoper-ta completamente.

1 settembre. Nessuno avvenimento durante il giorno.Nella notte diverse granate nemiche sono state tirate a repar

del 22 Fanteria che trovasi sulla nostra sinistra.2 = Alle ore 20 sono montato di vedetta alle trincee, assiemealla mia squadra fino alle ore 24. Durante il servizio si è scate-nato un temporale fortissimo che ci fece tribolare non poco.Continuamente venivano lanciati dai nemici dei razzi verso lenostre trincee, mentre la fucileria faceva un fuoco terribile.3 = Moltissime granate di grosso calibro sono scoppiate vicinoalle nostre trincee; le schegge sibilando cadevano in ogni luogosenza ferire alcuno della nostra compagnia.4 = Il tempo era brutto: tuonava e pioveva a dirotto mentre ilampi, squarciando le tenebre, rendevano il quadro tetro e spa-ventevole. […]

11 ottobre. Interessantissimo duello di artiglieria durante leprime ore del giorno. Calma nel resto della giornata.12 = Al fronte se ne vedono di tutti i colori.Mentre mi recavo con la mia squadra di rinforzo all’11 compa-gnia incominciò un fortissimo attacco ore 20½). Le nostre po-stazioni sono state tutte coperte di fuoco.Le granate di gran calibro con schianto terribile esplodevanovicinissime facendo sussultare il terreno mandando le scheggeda tutte le parti. Gli shrapnels a centinaia scoppiavano per arialasciando cadere una gran pioggia di piombo.Il nemico ci ha assalito con un ben nutrito fuoco di fucileria; manoi, che sempre vigiliamo, pronti ad ogni sorpresa, abbiamo ri-sposto immediatamente.Il combattimento si è fatto serio, il momento è critico: le grana-te fioccano da tutte le parti mentre le pallottole, con sibilo in-fernale, passavano sopra la nostra testa.Ma ben presto è entrata in azione la nostra artiglieria la quale,con i suoi tiri ben aggiustati, ha posto in fuga il nemico rimastosbalordito da sì forte resistenza. Il 22 fanteria ebbe parecchi morti e feriti ma ebbe pure l’onoredi far prigioniero un Capitano e molti soldati austriaci. Serataindimenticabile per le grandi emozioni provate.13 = Il Comandante della Divisione ci ha fatto un encomio so-lenne per il contegno e sangue freddo dimostrato durante l’at-tacco di ieri sera. Oggi, quelle testa quadre di seguaci diBeppone non si fanno vivi.A quanto pare si vede che la lezione che hanno avuto ha fattoeffetto.

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ScheggeS

MARIA BRUNETTA

Dopo Caporetto, una donna friulana, colta e molto ricca, iniziauna lunga discesa verso sud insieme ai famigliari. In questepagine del suo diario Maria Brunetta raccoglie le impressioni ele emozioni che seguono l’addio alla propria casa. La quotidia-nità, oramai alle spalle, viene soppiantata da un susseguirsi diburrascosi eventi. La nuova condizione di instabilità costrin-gerà Maria ad adattarsi a situazioni per lei inimmaginabili finoa quel momento.

30-10-17[…]. Nelle case un dolore immenso, uno spavento cupo. Che av-verrà? Prepariamo i bagagli, Antonia ne ha l’incarico.Raduniamo i nostri contadini che in quest’ora di lutto si dimo-strano sinceramente affezionati. Essi rimarranno, non possonopartire, sono famiglie numerose, vi sono troppi bimbi piccini.Essi rimangono, affidandosi al destino e mettono a disposizio-ne nostra tutti i loro cavalli.La nostra casa è piena di ufficiali e soldati; la mamma piangeinginocchiata davanti all’immagine miracolosa della scala,piange e inutilmente invoca dalla pietà divina l’arresto del ne-mico al Tagliamento. Valentino ci supplica di partire prima chegli avvenimenti precipitino […].È sera, la pioggia è cessata, i bagagli sono pronti, i servi ciscongiurano di condurli con noi. Si parte affidando a ToniMarsonet, il fedele dipendente nostro, la nostra roba. Apre ilcorteo la carrozza col papà, la mamma, Natalia e Bruno.Antonia in bicicletta, una “charrette” piena di bagagli ed uncarro che io seguo con Vico a piedi […].Addio casa adorata, salotti che conoscevate tutti i miei segreti,Madonnina dell’Oratorio che sapevi i miei piccoli dolori, addio ca-mera bianca e verde che fosti testimone di tante fantasie bizzar-re, di tante meditazioni, di tanti sogni dolci. Addio crisantemi delgiardino, – fiorite, fiorite a dispetto della malvagità dei tempi sul-la tomba dei miei ricordi sacri, dei miei affetti perduti. Passo lapiazza del paese. Tutti sono sulle porte e mi salutano commossi.

Arrivederci, arrivederci, e mi guardano compiangendomi. Poi lecase si perdono nella semioscurità, si dileguano come fanta-smi che inutilmente abbiano rincorso e tentato di arrestare ilnostro esodo. […]

1-11-17[…]. Si parte col cuore grosso, con una gran voglia di piangere.Papà sospira continuamente ed io non parlo. La parola della fe-de, la luce della speranza non la so trovare e anche trovandolanon la posso esprimere. Mi sento oppressa da un’angosciamortale, guardo senza vedere, odo ma non sento, mi sembrad’esser morta. Infatti la parte migliore di me stessa è a casamia. Oh! non più mia.[…] Finalmente, in fondo al paese, ci offrono una stalla per ilcavallo e il fienile per dormire. Accettiamo e con i buoni conta-dini dividiamo scambievolmente la cena. Loro ci offrono polen-ta, insalata, vino; noi formaggio. Poi all’incerto lume di un fana-le ad olio, reggendo due coperte, m’avvio su per la lunga scala apioli per preparare le due cucce nel fienile… Orrore. Una qua-rantina di soldati dorme gettata bocconi qua e là. Qualchedunos’alza, stropicciandosi gli occhi imbambolati dal sonno, intra-vede la mia figura femminile e grida:– Qua, qua, c’è un bel posto vicino a me, staremo caldi. –– Non fare la schizzinosa – urla un altro.– Fa freddo, rincuorati, bevi un sorso d’acquavite – dice un ter-zo quasi proteggendomi.Io discendo precipitosamente, a rischio di rompermi il collo,lungo la malferma scala, mentre sghignazzate e frasi equivo-che m’accompagnano.Impietosita allora una vecchia m’offre la metà del suo letto epapà con Beppino s’adatta s’un altro lasciato neanche un’oraprima da un morto! La vecchia puzza, il letto di papà è nauseabondo, ma Dio pieto-so alfine concede il sonno benefico alle nostra membra spos-sate.

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SfollamentoS

GIUSEPPE RONDONI

Il giovane Giuseppe Rondoni, poco più che ventenne,meccanico di professione e originario di Umbertide (Pg), sitrova al fronte nel ruolo di operaio semplice. Nelle pagine delsuo diario racconta uno dei momenti più intensi e pericolosidella vita di trincea: a un passo dalla morte, impara ariconoscere ed evitare i suoni del fuoco nemico, tra i qualiquello inconfondibile degli shrapnel, i letali proiettili carichi disfere di piombo.

Il 22 [giugno 1915] , che siamo arrivati qui in prossimità diCapriva, si è preparata la batteria per il tiro che doveva essereincominciato il giorno 23.Infatti oggi si è incominciato verso le 2 dopo mezzogiorno. Nonsi è soltanto noi, ma circa 39 batterie a tirare, ed è un continuosparare cannonate. Però questo giorno mi sarà indimenticabile,e credo sarà il più critico di mia vita Poco dopo, incominciato ilnostro fuoco, il nemico deve averci visto, perché ci ha subitorisposto con colpi aggiustatissimi. […] Il primo proiettile ècascato un po’ indietro e a destra, il secondo proprio lì a soloqualche metro dalla bocca del fuoco, e di questo passo hannoseguitato per diverso tempo. Noi, quando si sentiva il proiettilearrivare dal sibilo, cu su riparava dentro alla trincea che erascavata dietro al pezzo, ma a che cosa avrebbe servito quellase la granata fosse venuta li sopra? […] È impossibile,descrivere e immaginare l’impressione che faccia il sibilo delproiettile al momento che arriva. Sembra che voglia arrivaredappertutto, e in nessun posto si sia al sicuro, ed infatti èproprio così perché per le granate in qualsiasi posto non si puòdire di essere sicuri. Quelle trincee che avevamo fattoservivano bene per gli shrapnels e per le schegge di granatequando ricascavano, ma per null’altro; eppure per noi eral’unica speranza di salvezza… Seguitano a tirare cambiando da

granata a shrapnels, e quei proiettili scoppiavano proprio lìsopra lanciando le pallette in tutte le direzioni. Sulle paretidella trincea del 4° pezzo, si vedevano tutti buchetti fatti dallepallottole. Lì si ebbero i primi proiettili a due tempi. Si sentivalo scoppio dello shrapnel in aria e poi un secondo scoppio perterra; da principio noi credevamo che si trattasse di dueproiettili alla volta, ma più tardi ci si accorse che il secondoscoppio succedeva quando l’ogiva dello shrapnel urtava aterra, così che essa faceva da granata. Sistema Tedesco!…Loro seguitano a tirare, e noi si seguiva, avviene un primoferito.Una palla di shrapnel gli ha traversato il braccio destro e si èandata a fermare in una gamba, poi un secondo ed un terzo,questi lievemente. In ultimo una granata arriva a scoppiareproprio sulla sinistra del 4° pezzo. Si vede tutto il cannonericoperto di fumo e di terra e si sente a gridare. Credevofossero stati fracassati tutti i serventi. Si corre a vedere; sitrattava d’uno solo, ma ferito in un modo così raccapricciante,che senza descriverlo l’avrò sempre impresso in mente miomalgrado. Ad un certo punto vado dal 3° al 4° pezzo perprendere una cordicella da sparo che si è rotta, e che devoriparare. Tornando indietro sento un proiettile ad arrivare; erocompletamente allo scoperto. Come potevo meglio ripararmi?Mi sono gettato tutto lungo per terra. Arriva a scoppiare proprioli alla mia destra, e mi nasconde tra il fumo e la terra,nell’istesso tempo sento qualche cosa che mi striscia nel collo.Quando la burrasca è passata mi rialzo, tasto nel collo e sentoche si tratta d’una piccola sgraffiatura che mi era stata fata dauna scheggia, che poi era andata a conficcarsi in terra. Non eranulla di male, e posso essere contento di essermela passatacosì. […] Era già quasi notte, ed il nemico tirò ancora qualchecolpo, e poi tacque.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 107

ShrapnelS

DANILO GRACCI

Un giovane livornese, impiegato dopo la guerra comecapostazione in Sicilia, racconta la sua partecipazione alconflitto quasi soltanto descrivendo il suo ruolo ditelegrafista. Gli eventi narrati e gli spostamenti citati sonosempre in funzione della formazione tecnica ricevuta,dell’interesse per lo stato o il ripristino di una buonacomunicazione telegrafica.

25 Maggio 1917.Parto con un plotone al comando del Sott. Nicastro per andaredi rinforzo alla 34.a Sez. Telegrafisti che trovasi a S. Pietrodell’Isonzo ad alla quale passo in sussistenza.

27 Maggio.Ci rechiamo alla dolina delle granate (Appacchiasella. Io ed ilCap.magg. Manerba e cinque uomini per concludere diversistendimenti tra i diversi comandi di fanteria che con l’avanzatasi sono dislocati nelle nuove posizioni conquistate.Eseguiamo 4 stendimenti notturni sotto un fuoco infernalenemico che ci fa passare momenti innarrabili. […]

1 Giugno 1917.Rientriamo in compagnia la quale da Aiello si è trasferita aCurriaco prendendo il posto della 18.a e quindi quello dei 23 Cache opera da Castagnevizza a Pietra Rossa.

2 Giugno.Parto con una stazione ottica per la 61.esima divisione che ciinvia a quota 236. Siamo 3: Io Brizzi e Gaidano.Fuoco nutrito,il nemico vuole riprendere le posizione perdute igiorni prima.Arrangiamo una capanna e impiantiamo stazione senza potercorrispondere a causa delle scure nubi sollevate dalbombardamento. Siamo a disposizione del 31.esimo fanteriaBrigata Siena ed abbiamo un fante per il collegamento.

3 Giugno.Ore 4 di mattina forte contrattacco nemico preceduto daviolento fuoco di grossi calibri: un 280 esplode vicino e ciseppellisce completamente frantumando l’apparato estordendoci senza procurarci gran male alla persona salvoqualche sassata.

4 Giugno.Dopo sostituito l’apparecchio con uno nuovo ritorniamo aquota 235 per corrispondere con quota 208.Troviamo un ricovero ingombro di cadaveri irriconoscibili nellaex linea austriaca. Sono con Settimo e Biagi i due uomini dicollegamento del 141 fant. Brigata Catanzaro. Impiantiamo lastazione eliografica la mattina del 5 giugno e possiamocorrispondere abbastanza bene. L’artiglieria nemica si mostrapiù umana ma di quando in quando qualche colpo cade a noivicino senza però fare danni di sorta.Fa un caldo soffocante ciò che rende atroce il puzzo deicadaveri sparsi nei pressi e dissepolti ancora.Ho provveduto allo sgombro del ricovero dei cadaveri ad alladisinfestazione con la calce.C’è discreto lavoro di telegrammi per l’osservatorio di artiglieriache battezziamo col nome di Parigi (Convenzione). […]

17 Luglio.Comincia il bombardamento da parte delle nostre artiglieriesulle posizioni nemiche e il 18 Luglio alle 12 raggiungeun’intensità spaventevole. Il nemico risponde e molte granateesplodono vicine alla stazione. Lavoriamo quasi continuamentecon l’apparato ottico del comando della 6.a. div. essendosiinterrotte quasi tutte le linee telefoniche. Le nubi fornite dalleesplosioni tra la nostra stazione e quella di quota 235ostacolano moltissimo la corrispondenza, gli ordini ditrasmettere sono urgentissimi e tutti riguardanti gli assalti el’avanzata delle nostre fanterie sull’Hermada a destra e su Seloa sinistra.[…]

23 Ottobre.Il bombardamento nemico non accenna ad indebolirsi, moltedelle linee che sono a me affidate si rompono in diversi punti.La linea telefonica 20.a divisione si rompe alleore una di nottein tre diversi punti. Piove a dirotto.Pur nonostante esco con l’apparecchio telefonico e due uominiper trovare e riparare i guasti.Uno dei due uomini e precisamente il Coppini, cade in unaprofonda pozzanghera.A stento riusciamo a portarlo fuori. Rientriamo in ricovero allecinque del mattino.

108 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

TelegrafoT

ANONIMO

Il diario di un ufficiale austriaco del 2° battaglione 46°fanteria, deceduto durante la guerra, viene trovato tra le cartedi un prigioniero del 1° Reggimento Honved, catturato sul SanMichele il 29 giugno 1916. Il testo, tradotto dal tedesco,esprime le dolorose contraddizioni dell’anima dell’ufficialedivisa tra la convinta fede nella patria e nell’imperatore, el’amore struggente per Ilaria, una cocotte italiana, che locondurrà al punto di pensare di farsi catturare, tradendo i suoiideali, pur di passare del tempo con lei.

6 GIUGNO – Eccomi sul Monte Grappa, al confine tra fedeltà etradimento. Le ondeggianti schiere dei nostri prodi difensoricrescono, come le onde del torrente contro la chiusa, e lacorrente umana cresce e romperà gli argini per allargarsi sulPaese che deve essere punito. […]

18 GIUGNO – Pernottiamo all’albergo Eder. Alle 15½ incontrocon XI° battaglione di marcia del 46° Fanteria. Finalmenteposso fare un bagno. Alle 19 arrivo a Mauthen. Banchetto,serata di musica. L’alfiere SPORER suona meravigliosamente ilpiano. […] Quando suonò “ La morte di Ase” di Grieg, le lagrimemi sgorgarono dagli occhi. Non posso dimenticare Ilaria ed ellaamava tanto la “Peer Gynt’s Suite”. Dove sarà ora? Donnaperfida e senza cuore! Per torturarmi di più pregai Sporer disuonarmi il “Largo” del “Rolando” di Handel. “Lascia che iopianga”. Ed io piango nella notte come un bambino. E unpensiero sacrilego sorge improvviso nel mio cervello. Dio miperdoni! Pensai per un momento di farmi prendere prigionieroper cercarla in tutta l’Italia, per passare ancora un’unica notted’amore con lei. […] Perché l’amore, che pure è un sentimentonobile, ci rende vili?

19 GIUGNO – Riposo. Ed io mi riposo, ma soltanto fisicamente,perché la mia anima non trova riposo da ieri. Penso ai moltieroi austriaci che sacrificarono la vita per l’onore dell’Austria ed’Asburgo, mentre io coltivavo propositi di tradimento per unadonna indegna. Provo schifo di me stesso. […]

2 LUGLIO – Arrivo a Devetaki. Rombo del cannone. Non un vetroalle finestre. Nelle vicinanze tuona un mortaio da 305. Vorreiconoscere l’effetto morale che fanno sugli italiani i suoi colpi.

Ma l’artiglieria italiana deve essere preponderante. Qua vicino una vaga veranda ornata di fiori mi costringe a pensare a Ilaria.Una bella giovane bionda, con la veste bleu di cobalto conricche pieghe e stretta con una cintura, stava affacciata allaveranda. […]Impossibile dimenticare quella donna. Tutto e poi me laricorda. Appunto perché io non l’amavo soltanto coi sensi, perquanto non fosse stata niente di meglio che una cocotte. […]

8 LUGLIO – Ho sognato di lei tutta notte. Stamani vidi su uncespuglio due insetti accoppiati in modo perverso nella lorofusione d’amore. Pensai tosto ad Ilaria e la rividi sulla piazza diRavenna mentre cercava qualche cosa di noto sulla base dellacolonna Veneziana. Ella mi prese la mano e con un risoperverso mi accennò con l’ombrellino l’oscena figurazione deigemini dello zodiaco…[…]

14 LUGLIO – Dio sia lodato! Una scheggia di granata mi haferito al braccio sinistro. Nulla di grave, ma io sono talmentefiero che non lo posso esprimere. Quale grande onore poterversare il sangue per la mia Patria per il mio Imperatore.Adesso benedico la guerra e potessi avere innanzi a me ilnemico che mi ha ferito, lo accoglierei come un amico, lobacerei e lo abbraccerei. Rimango in trincea. […]

18 LUGLIO – Il cannoneggiamento si fece follemente violentonella notte. È finita pensai: e mi preparai a morire da buoncristiano. Però: morire così giovane! E senza confessione,senza la parola di consolazione della fede, della nostra santareligione. Ah! Italia! Dio ti punisca te, il tuo Re il tuo popolotraditore.Nelle prime ore del mattino il fuoco cessò di violenza. Ioguardavo una roccia liscia che il sole nascente tingeva di rosa,e pensavo involontariamente al roseo fianco di Ilaria sullacoltre verde. Quando due minuti più tardi una granata scoppiòsulla roccia frantumandola, rimasi sorpreso di non vederneschizzare il sangue. E mi sentii più leggero come se “Ella” fossemorta, come se fossi più libero, come se l’incanto fosse rotto.Quando vedo il cappellano voglio confessarmi.

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TradimentoT

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Reginaldo Binni - Archivio Daniele CinciripiniTrincea sul fronte italiano e austriaco. Qui giovaniuomini, divisi soltanto dall’appartenenza a nazio-ni diverse, venivano chiamati a combattere unaguerra di cui spesso non comprendevano il senso.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 111

Trincee sul monte Fior: su queste balze infernalicombatteva e moriva la miglior gioventù europea.

© NAZZARENO BERTON E SERGIO CARLESSO

MARIO GINELLI

Un agricoltore calabrese, cinquant’anni dopo la Prima guerramondiale, racconta la sua vita al fronte, il suo ferimento e ilcongedo. In queste pagine egli rievoca i quaranta giornipassati in trincea, le anguste condizioni in cui si svolge laquotidianità, ma soprattutto il pericolo di essere in primalinea, al cospetto dei cannoni nemici.

[Giugno 1917] Alle cinque di sera, appena dopo il rancio, mi fuordinato di fardellare lo zaino che dovevo partire. Un sergente edodici della mia compagnia si doveva partire per andare intrincea a raggiungere il 1° Regg. Fanteria sul S. Caterina.Aspettammo che scendesse la sera per essere meno scoperti.Il viaggio fu pieno di paura. Mentre ci avvicinavamo al fronte[era] sempre più forte il tuono del cannone. Circa le 9 di seraeravamo sul ponte dell’Isonzo. Difronte avevamo il monteSabutino e alla sinistra il Carso. Una lunga distesa di collinetutte aride e roccia. Passato il ponte, a 500 metri di strada,entrammo nella città di Gorizia: strade piuttosto strette e nonera passato un mese che i nostri italiani l’avevano rpesa.Prendemmo la strada che conduceva al Castello. A ogni scaricache facevano i cannoni delle nostre artiglierie il cuore veniva ingola e ci buttvamo per terra dalla paura. Il nostro sergente ciincoraggiava, dicendoci di non avere paura che erano i nostricannoni che sparavano e quindi non ci potevano fare del male.Passato il Castello di Gorizia, prendemmo la strada checonduce sul monte S. Caterina. Quanto ci impressionò quellastrada, tutta mascherata di con tavole dei bachi da seta, conmuretti di sacchetti di terra, per essere riparato chi viaggiavain caso di bombardamento! Arrivammo circa le 10 in trincea. Miconsegnarono a un Tenente di compagnia che, come un padredi famiglia, considerò quanto eravamo emozionati e stanchi. Mifece dare un po’ d’avanzo del rancio, piuttosto freddo, e un po’di pagnotta e formaggio e mi fece ritirare in un buco un po’ piùgrande di quello di un topo. Eravamo dentro in tre: Caporalecapo posto e due soldati che dovevano dare il cambio allevedette. Seduto uno stretto all’altro, mi lasciarono dormiretutta la notte che più non sentii niente, né cannoni e nemmenomitraglia. Al mattino ebbi il tempo di esaminare la posizione.Quanto disastro! Il monte era tutto ribaltato sottosopra. Mi

meravigliai avendo visto un castagno tagliato dai proiettili euna vite lunga un palmo della mano. Ai morti avevano perfinoancora da dare sepoltura. Uno poi si trovava davanti al mionascondiglio che le sue scarpe erano davanti ai miei occhi e giàsi sentiva l’odore. Per quel giorno feci solo qualche vedetta. […]Un giorno il mio Ten. Caputo (un tipo strano e coraggioso. Luiera sempre per osservare le trincee nemiche e vi penetravaanche all’insaputa del nemico) mi chiama, lui [con] due altrisoldati ben forti, mi dice di seguirlo. Era in pieno giorno quandosiamo giunti fuori la prima linea, nei piccoli posti avanzati. Mifa fermare, buttati a terra come pesci, nella piccola trincea, mispiegò il suo intento. A circa 4 metri di distanza c’era lapostazione nemica, ma quella postazione serviva solo di nottee quindi il nemico non c’era. Noi, a carponi, si doveva penetrarenella sua trincea e portar via due casse di munizioni e bombe amano e, a fatto compiuto, avrebbe pensato a farmi premiare.Come facciamo a rifiutare? Con coraggio tutto andò liscio, main quanto alla medaglia chi la vide? Un altro giorno il mioplotone fu assegnato per montare di pattuglia ai piccoli postiavanzati di notte. La sera era ben calma in quel punto.Avevamo una trincea non più fonda di mezzo metro; la distanzadalla nostra e quella nemica non superava i sei metri circa. Inquella posizione si vedeva bene la stazione di Gorizia e, pocolontano, difronte il cimitero. In quel punto c’era un boschettonel quale c’erano nascoste le artiglierie nemiche. Eranopassate circa 2 ore che eravamo appostati, ma sempre regnavacalma dietro la nostra postazione. Avevamo una pianta di meleche proprio in quel momento erano bemmature. Un infermieresi azzardò a volerle raccogliere. Non l’avesse mai fatto! Unrazzo nemico diede segnalazione e non vi so dire quantecannonate ci mandarono. Rimanemmo tutti coperti in terra,ma, grazie a Dio, tutti salvi, nessun ferito. Il povero soldatodella Croce Rossa fu molto punito e la paura che prendemmofu infinita.Il giorno seguente, mentre eravamo in trincea di vedetta, unagranata nemica uccise un soldato e ferito un altro. Cosìtrascorsero i 40 giorni di trincea che il mio regg. Avevaaccettato, piuttosto che partecipare all’azione dicombattimento per prendere il Monte Santo e monte Gabriele.

112 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

TrinceaT

GIUSEPPE RUSSO

Nato a Napoli nel 1896, Giuseppe Russo racconta la guerra sulCarso e la sua prigionia in Boemia dopo la cattura nel 1917. I combattimenti sono intensi, senza esclusione di colpi daambo le parti. Il terreno è pieno di buche, egli avanza confatica tra i soldati feriti e i molti cadaveri di compagni ormaiirriconoscibili. Quando vede gli austriaci correre, comincia asparare con il suo moschetto, cercando di ucciderne il maggiornumero, ma questi lo accerchiano spingendolo avanti nellalinea nemica.

24 maggio [1917]I granatieri che mi precedono hanno perduto il collegamento,mi trovo solo con la compagnia. Il fuoco d’artiglieria d’ambo leparti è di estrema violenza. Comprendo la situazione, escodalla distrutta trincea Cordova e trascino i granatieri versoquota 235 ove veggo svolgersi il combattimento. Il terreno ècosparso di morti, passano feriti e prigionieri. Incontro qualcheufficiale ferito del mio battaglione.L’aspetto del terreno è terrificante: enormi buche prodotte daigrossi calabri che si succedono l’uno all’altro seminando lamorte nelle file dei soldati che avanzano, membra umanelanciate in ogni direzione, cadaveri irriconoscibili ancorasanguinanti, morenti e feriti che chiedono aiuto e noi passiamosopra tanto sterminio in una corsa veloce verso la quota, seguitida scoppi di shrapnell. L’artiglieria nemica ci ha scorti e cisegue col suo fuoco che aumenta sempre d’intensità. Ritrovo ilmio capitano e gli altri ufficiali col rimanente della compagnia,ci organizziamo in una dolina e proseguiamo la corsa. […] Alfine ritrovo le altre compagnie del mio battaglione e mifermo. Son esaurito, le forze mi mancano, il petto ansa, milascio cadere per terra e pian piano l’affanno mi passa. Hovicino il mio capitano. Con l’elmetto scavo nei sassi e mi faccioun piccolo riparo. Di fronte a me veggo correre degli austriaci.Col moschetto ne ammazzo 3. Vengono ancora degli altri,continuo a sparare, essi continuano a cadere fulminati. […]Cade la sera, mi trovo con pochi uomini framischiato ad altrireggimenti. Seguendo il camminamento ritrovo il reggimentoquindi mi reco al comando di battaglione. Il maggiore mi ordinadi racimolare gli uomini e portarmi alla estrema sinistra incollegamento col 1° Battaglione.Tutta la notte i pochi uomini lavorano per farsi un riparo. Si sgomberano i feriti. Viene l’alba.

25 maggioAll’alba incomincia il tiro d’artiglieria nemica, mi abbatte ilmuricciolo e mi seppellisce con molti granatieri parte dei qualisoccombono. Resto ancora al mio posto e, seppellito unaseconda volta e contuso, mi sposto a sinistra. I feriti michieggono aiuto, è impossibile il trasporto, né aiuto e nemedico qualcuno. Ritrovo parte della mia compagnia. Il fuocod’artiglieria è violentissimo, la nostra piglia il sopravvento maquella nemica non si arrende. Il pomeriggio, il caldo e la setesono insopportabili, io ho le labbra sanguinanti, ho perduto lavoce, la gola mi arde. Verso il crepuscolo si avanza sotto il tiroincrociato delle mitragliatrici nemiche, molti cadono colpiti allafronte, molti tenacemente proseguono e si spingono avanti. Lemitragliatrici aumentano. È impossibile avanzare. Facciamososta su quota 219 e ci rafforziamo con pochi sassi. Bevol’acqua sporca di lubrificanti d’una mitragliatrice austriaca. Lanotte si lavora.

3 giugnoIntenso bombardamento durato tutto il giorno a tre riprese,verso il crepuscolo aumenta di violenza, gran parte dei mieigranatieri restano vittime, i loro cadaveri son irriconoscibili,non mi è possibile indentificarne alcuno. La linea ècompletamente distrutta e sconvolta, cosparsa di avanziumani. […] Verso tardi il mio comandante di battaglione mi fachiamare. Mi consegna un foglio di carta, desidera l’elencodelle perdite. Mi reco nella buca a sinistra del comando dibattaglione per compilarlo. Appena scritto 3 nomi sento delleurla fuori, domando spiegazioni, mi si risponde: – Gli austriaci!Intanto i granatieri che occupavano la buca si precipitano fuori.Io lascio tutto impugno la pistola ed esco per correre allemitragliatrici, ma appena sull’imboccatura mi veggoaccerchiato da soldati austriaci armati di bombe e fucile e miimpongono di lasciar la pistola. Ho appena 3 colpi essi sonnumerosi, mi è impossibile resistere. Lascio la pistola e cercodi dirigermi a destra per poi riunire qualche soldato e far fuoco,ma due austriaci mi afferrano e mi spingono in avanti, verso lalinea nemica. Tutte le caverne son bloccate, veggo austriacidappertutto. Il terreno antistante alla linea nostra è cosparsoda cadaveri nemici, vittime della propria artiglieria la quale nonaveva modificato il tiro durante l’attacco delle fanterie perrendere possibile la sorpresa.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 113

UccidereU

BRUNO PALAMENGHI

Non ancora ventenne, nel 1882, Bruno Palamenghi entraall’Accademia di Modena e inizia la carriera militare. Durantela Grande Guerra è al comando dell’esercito, impegnato nellebattaglie dell’Isonzo e del Carso; poco dopo aver combattutoper la conquista di Gorizia, il 7 ottobre 1916 riceve l’ordine dilasciare il suo incarico e viene collocato a riposo.

7 ottobre – Mi trovo a chiacchierare in una piccola stanzuccia– che fungeva da Ufficio Comando – col mio Aiutante Maggiorein 1° e con varii miei Ufficiali. Entra il porta-lettera: distribuì lacorrispondenza. Presi alcune mie lettere personali ed altre di-rette al comando di Reggimento, tra le quali una in busta giallacarica di sigilli. Ne arrivavano tante durante la guerra, di que-ste buste misteriose contenenti ordini riservati, variazioni a ci-frari, informazioni sul nemico ecc… a pur non di meno questami sorprese… lacerando la busta lessi per la prima. Mi immobi-lizzai nel leggerne il contenuto – Mi si dava l’ordine di lasciareil comando del Reggimento che provvisoriamente avrebbe as-sunto il T.te Colonnello Cappello – e rientrare al Deposito, a di-sposizione del Ministero della Guerra. II foglio mi tremava nellemani – la fronte mi si imperlò di una improvvisa perspirazione,e nel volto ricoperto d’un pallore terreo, gli occhi sbarrati, daimpressionarne seriamente i presenti – l’Aiutante Maggiorespaventato mi chiese cosa avessi.Nulla – risposi con voce dura – bassa – tagliente – incisiva.Con uno sforzo visibilmente doloroso piegai il foglio, lo riposinella busta, e lo misi in tasca.Vidi tanti sguardi dei miei Ufficiali conversi su di me e provai disorridere, ma non vi riuscii.Ho visto molta, troppa morte intorno alla mia vita, ma non ave-vo mai visto assassinare un’anima.Rimasto poi a solo col mio Aiutante Maggiore in 1° e colTenente Colonnello, dissi loro “Leggete” per me non è vergogna– voi sapete come si silura qua al fronte – Rimasero anche loropietrificati.Tale comunicazione inaspettata, imprevista, inconcepibile mi

annienta – mi avvilisce – mi ha fatto penetrare il freddo dellamorte sino alle sorgenti più profonde della mia vita – Una lamadi acciaio Austriaca attraverso il mio cuore non mi avrebbecausato più dolorosa sensazione – ma… per la mia dignità, pelmio orgoglio, mai mi mostrai più calmo – più indifferente – piùfreddo.Il perverso ed infame piano di vendetta di quel gran mascalzo-ne e vigliacco del Generale Ruggeri Laderchi si è effettuato, haavuto esecuzione.Il delinquente – l’assassino – ha un tribunale che lo chiama asé; una difesa che discute i suoi capi d’accusa; e spetta a luiper ultimo la parola.Un Ufficiale Superiore – un Colonnello – un Generale – rigidocustode dell’onore e della salvezza della Patria, non sa nem-meno per quale ragione specifica lo si getti sul lastrico.Questo gran mascalzone di Ruggeri Laderchi mai mi aveva vistoné conosciuto, tranne il 22 Settembre 1916 quando stavo colReggimento a riposo – e mai in trincea od in una azione dicombattimento. Come e su quali elementi ha potuto giudicar-mi? Nessun dolore che io possa aver provato e possa provarenella vita, può e potrà uguagliare quello sentito nel vedermi al-lontanare dal Comando del mio Reggimento dalla linea di com-battimento ove tante soddisfazioni tante emozioni avevo pro-vate – tante privazioni sopportate – tanti pericoli affrontati esempre con grande abnegazione. Per un soldato valido e forte– ardimentoso e coraggioso – amante delle peripezie e dellavita movimentata e dei pericoli – il dover stare lontano dalfronte in questi momenti in cui si decidono le sorti della Patria– del proprio paese – è quanto di più doloroso vi possa essere– Ma pare che la guerra abbia tutto sconvolto e distrutto – an-che nei vecchi Ufficiali.Quei sensi di lealtà – franchezza – cameratismo – dignità –che erano vanto e nobile tradizione dell’Esercito Italiano – so-no del tutto spariti. […]La carriera delle armi era per me poesia – culto – vita – ora neè disgusto – nausea.

114 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

UfficialeU

PIERO ROSA

Piero è nato a Torino nel 1897 e nel 1916 parte per il fronte comesergente di artiglieria. Nella memoria racconta la sua guerra dalCarso alla Valle dell’Adige, utilizzando un linguaggio aulico e riccodi citazioni dantesche, descrizioni di particolari, tra cui le cartinedei luoghi, i piani d’attacco e i disegni degli armamenti in uso.

[1917] Usciamo dal paese, ma dopo qualche centinaio di metri,dobbiamo già fermarci per togliere i cingoli Bonagente dalleruote dei pezzi. È inutile, su strade a fondo solido, servono uncorno e fanno un fracasso indiavolatoAttraversiamo gruppi di casette rustiche abitate da qualche ra-ro borghese, e puntiamo direttamente verso il nord. Buona par-te di noi ha preso posto sulle trattrici e sui rimorchi. Il resto se-gue in autocarro. Sono sul secondo traino e chiedo al condutto-re dove si va. “Chiedilo al capo colonna”. Ma anche questo èmuto come un pesce. “Dimmi almeno che acqua è quella lì”.“Iudrio”. Alla buonora! Mi ricordo che quel fiumiciattolo servivadi confine anticamente fra l’Italia e l’Austria e che non si inoltraverso la linea di combattimento, ma la costeggia. La strada, opur meglio dire, le strade, poiché sono due, appaiate l’una di ri-serva all’altra, s’inoltrano incassandosi nella tortuosa valle cheprende il nome dal fiume suddetto. Immagino che costeggiamoalla nostra destra il Carso, Gorizia, il corso dell’Isonzo; poiscende la notte, il nostro stradale si svolge in serpeggiamentiche mi fanno perdere la bussola: Segno evidente dell’appres-sarsi alle prime posizioni e l’inizio della frascatura e dellestuoie sul mascheramento delle strade. Tutto è silenzio, soloqualche rombo lontano ci ricorda che entriamo in guerra. Lostrepito del motore, mi accomuna barbaramente al sonno.Rannicchiato in un’angolo della trattrice, dormo un’oretta. Poi

la salita diventa ripidissima, i traini sono malsicuri in curva edè d’uopo sorvegliare con i cunei una possibile e pericolosa fer-mata della trattrice i cui freni non potrebbero vincere il peso. Ilcielo imbianca indicandoci l’approssimarsi dell’alba. Tratto,tratto, autolambulanze incrociano il nostro convoglio portandoil loro dolorante carico di feriti. Alle sei, sbuchiamo in una valle.Riesco finalmente a sapere che siamo in Val Doblar di fronte aTolmino e Santa Maria. Il mio traino si ferma per una riparazio-ne ed ho agio di dare uno sguardo ai dintorni. La valle ha la for-ma di un trapezio strettissimo ed è orientata a nord; la testatasuperiore è formata dai monti Ossojenka e le tre punte Jeza; illato destro (cioè verso il nemico) dai monti Varda, Zible, e Kard,riuniti da una serie ci conche e selle; la sinistra dall’Ostry-Kras,e Globo-Kak; la testata inferiore termina presso la stretta diAuzza, alla strada imperiale. Il fondo valle è bagnato dal torren-te Doblar. Vi è un paesino, Itergari e qualche casetta isolata e inrovina. Siamo così destinati ad una posizione molto avanzatache s’interna audacemente entro le linee nemiche, mettendo aprofitto lo scarto che forma l’Isonzo dalla conca di Plezzo adAuzza. Ripartiamo. La strada militare è ancora da finire e moltiborghesi lavorano alacremente a gran colpi di muia, per con-durla a termine. Ciò non impedisce il comodo transito. Il fondostradale è ottimo, perché di viva roccia. Curve strettisfime ed inpendenza con ai lati l’apertura di certi burroni da mettere i bri-vidi. I conduttori devono usare la massima prudenza possibile.Oltre a ciò, ogni tanto un cartello avverte: Strada battuta dal ti-ro nemico = transitare in piccoli gruppi = veicoli distanziatiSenza alcun incidente attraversiamo l’Ossojenka, si transitasul costone del Varda e dello Zible-serh. Alt! Qui sta la nostraposizione.

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 115

VallataV

LUIGI BRAGA

Un ex ufficiale del Genio, nato a Milano nel 1899, descrive nellasua memoria gli ultimi giorni della guerra quando, giunto nelpaese di Cinto Caomaggiore, in provincia di Venezia, apprendela notizia dell’armistizio e assiste alla resa degli austriaci.

[1918] Rotto il fronte, è compito dei reparti celeri incalzare il ne-mico che ormai si ritira disordinatamente.La Fanteria avanza lungo la direttrice delle strade; e siamo noi,Zappatori del Genio, che, in testa alla colonna, provvediamo adassicurare la viabilità rimovendo eventuali ostacoli e a renderepossibile il passaggio.Arriviamo così, la sera del 3 novembre, davanti al paese diCintocaomaggiore, non lontano dal Tagliamento: il paese è anco-ra occupato dagli austriaci che però sembrano avere abbando-nato ogni velleità di resistenza.Dalle prime case del paese, escono tre austriaci che portano altosu un bastone uno straccio bianco. Allora si fa loro incontro unufficiale della nostra Fanteria, scortato da due fanti: un parla-mentare chiede di parlare con il nostro Comando. Con l’anacroni-stico rituale delle tradizioni militari, l’ufficiale austriaco, bendatigli occhi, viene guidato sino al Colonnello di Fanteria; e qui, connostra grande sorpresa, afferma che è stato stipulato un armi-stizio e che quindi ciascuno deve rimanere sulle posizioni occu-pate al momento.Naturalmente, poiché non abbiamo al proposito notizia alcuna,si pensa ad uno stratagemma del nemico. Il Colonnello rispondedunque che non ha nessuna intenzione di emanare contrordinealla disposizione già data che prevedeva la nostra avanzata; e dàmezz’ora di tempo ai nemici per ritirarsi o per darsi prigionieri.Mezz’ora drammatica! Un grave silenzio incombe sul paese checi sta di fronte e che appare nella luce del tramonto ormai immi-nente, triste e deserto. Le nostre truppe, scaglionate in profon-dità sulla strada d’accesso dalla quale siamo arrivati sostanocon l’arma al piede. In attesa di conoscere la risposta degli au-striaci al nostro ultimatum la Compagnia del Genio cede allafanteria il posto in testa alla colonna. Il mantenimento dei ruoli edei rispettivi compiti viene anche in questa circostanza rigorosa-mente rispettato. Quella mezz’ora passa rapidamente e ad untempo con estrema lentezza. L’attesa è gravida di emozione.Cosa accadrà? Si accenderà una battaglia dei cui esito non pos-siamo certo dubitare, ma che potrebbe risultare, oltreché assurda,

aspra e sanguinosa? O gli austriaci giudicheranno inutile il sacri-ficio di altre vite, quando per le loro armi è tutto ormai perduto?Allo scadere della mezz’ora, per qualche minuto continua ildrammatico silenzio, carico di tensione. Sta dunque per iniziarel’azione di forza della Fanteria, quando ecco ricompare la ban-diera bianca con la richiesta di un nuovo colloquio per trattare: ilnemico offre la resa delle truppe asserragliate nel paese ma ri-chiede l’onore delle armi. E noi giudichiamo sia giusto riconosce-re anche formalmente il valore dei soldati avversari.La cerimonia si celebra senza indugio. Le truppe che si arrendo-no si costituiscono in una Brigata con tutti gli ufficiali di StatoMaggiore; e sfilano, deponendo le armi davanti a un nostro pic-chetto in posizione di presentat-arm.Non trovo parole adeguate per descrivere convenientemente lasolennità di quei momenti; ma ricordo bene che ne provai gran-dissima emozione. Tra noi e gli austriaci era caduta qualsiasi ca-rica di odio; arrivo a dire che provavamo quasi pena per questaesplicita solenne ammissione della loro sconfitta: dopo tante oredi lotta e di fatiche; e dopo il sacrificio di tanti loro uomini mortisul campo. […]A Villa Giusti, dove ha sede il Comando Supremo dell’Esercito,dal 30 ottobre al 3 novembre, si tiene un convegno tra il nostroComando e il Comando austriaco e in data 4 novembre 1918 vie-ne firmato l’armistizio tra l’Italia e l’Impero austro-ungarico.Non appena la notizia ufficiale arriva a noi, una gran gioia si im-padronisce di tutti: a sera il cielo è tutto illuminato da razzi ver-di, bianchi e rossi e salve di fucileria rompono l’aria. I pochi abi-tanti rimasti sul posto, prendono parte al tripudio, quasi incre-duli che il lungo martirio abbia alfine avuto termine.Assicurato il passaggio del ponte, noi riprendiamo la nostra po-sizione di avanguardia per facilitare il transito sulle strade alletruppe che proseguono l’avanzata. Attraversiamo campagne epaesi, sempre tra popolazioni esultanti che ci accolgono trion-falmente.[…]Ho issato su di un bastoncino il piccolo tricolore di seta cheavevo portato con me da Milano (me lo aveva regalato miamamma prima che partissi per il fronte): in testa allaCompagnia, la mia bandierina è salutata ed acclamata dai civiliche incontriamo e che ci accolgono festosi e plaudenti. Ancorala conservo (con compiacimento e un po’ di commozione).

116 ¬ L’ALFABETO DELLA GUERRA

VittoriaV

RAUL BACCINI

Caporale durante la Grande Guerra, Raul Baccini annota in duepiccoli quaderni gli avvenimenti bellici che lo vedono protago-nista, arricchendoli con disegni di mappe e stemmi dei paesiche visita. Nell’ottobre del 1918 partecipa alla battaglia diVittorio Veneto che racconta con passione e con precisa dovi-zia di particolari.

24 ottobre [1918] – Si attacca il nemico sul Grappa. Il ns.Reggimento opera nella zona del Pertica che viene preso. Il ne-mico contrattacca; parecchie perdite da ambo le parti. Vengofatti al nemico 2800 prigionieri. Tempo cattivo.

25 ottobre – Proseguono gli attacchi sul Grappa. Abbiamo altredolorose perdite. Vengono fatti altri circa 2000 prigionieri.Continua il movimento di autocarri. Il tempo è un po’ rimesso.[…]

29 ottobre – Sul Piave si delinea magnificamente la nostra vit-toria. Sono espugnate le alture di Valdobbiadene e riconquista-ta la città di Conegliano. Sul Grappa il nemico si accanisce an-cora a tirare con le artiglierie. Nostri reparti attaccano il MonteAsolone.

30 ottobre – Anche la 3° Armata passa il Piave ed avanza versola Livenza aspramente combattendo. La 10° Armata occupaOderzo, l’8° e la 12° giungono a Vittorio ed ai monti sovrastantiValdobbiadene. La 6° Armata rioccupa Asiago. La 4° occupa sulGrappa l’Asolone ed altre importanti posizioni. Il nemico si sfo-ga a bombardare la città di Bassano.

31 ottobre – Il nemico pienamente sconfitto fugge precipitosa-mente abbandonando materiali, cannoni, viveri e munizioni;migliaia di prigionieri vengono catturati. […]Il nemico sembra si stia ritirando anche da questo Massiccio,però le sue artiglierie si accaniscono ancora sulla povera cittàdi Bassano. Sono gli ultimi sfoghi di un nemico vinto!. Il nostroreggimento deve andare in linea a M. Coston per fare una avan-zata. Alle 15 circa partono i battaglioni e il comando. Il ritorno aSemonzo in autocarro. Arrivato al piano apprendo la notizia cheil nemico in piena rotta fugge verso la montagna e verso ilTagliamento.La nostra cavalleria è presso Pordenone.

In Val di Brenta e sul Grappa gli Austriaci abbandonano in fret-tale posizioni lasciando nelle nostre mani quasi tutta l’artiglie-ria. […]

1 novembre – Le avanzate travolgenti delle armate Italianehanno annientato completamente l’esercito austriaco. I prigio-nieri si contano oramai a decine di migliaia, i cannoni vengonoquasi tutti catturati, il valore dei materiali caduti nelle nostremani ammonta a miliardi. Non è questa una vittoria, è addirit-tura un trionfo!. Ecco vendicato Caporetto!.La nostra valorosa Armata del Grappa è entrata in Feltre; le al-tre armate occupano Belluno, le montagne di Asiago e tutta lalinea della Livenza. Il nostro Reggimento, come tutta la 15°Divisione, trovasi ancora fermo in Valle dei Lebbi sul Grappa.

2 novembre – Continua rapidissima la travolgente avanzata.Anche la 1° Armata è in azione.È passato il confine della Valsugana, occupato Pordenone e laCavalleria trovasi già al di là del Tagliamento. Ci arriva la notiziache l’Austria vinta e abbattuta ha mandato al nostro ComandoSupremo i plenipotenziari per chiedere l’Armistizio. Le campa-ne dei paesi, silenziose da una anno suonano a festa, soldaticantano per le vie, e la musica della nostra Divisione percorrele campagne suonando inni patriottici e canzoni popolari. Trovol’amico serg. magg. Gambino sfuggito dalla prigionia nemica.

3 novembre – Al mattino vado a Bassano in bicicletta col ten.Viganoni. La bella cittadina ricomincia a prendere un po’ di vita,libera oramai dal pericolo delle cannonate, essendo cadutanelle nostre mani tutta l’artiglieria del Grappa.Nel pomeriggio ci arriva la notizia che nostri reparti di marinaie di bersaglieri sono sbarcati a Trieste piantando il vessillo tri-colore sulla Torre di S. Giusto. Più tardi arriva un fonogrammadal Comando Supremo annunziante la firma dell’ Armistizio fral’Italia e l’Austria e la sospensione delle ostilità per le ore 15 didomani; nel contempo apprendiamo che la 1° Armata ha occu-pato Trento piantando il tricolore sul Castello del BuonConsiglio. Impossibile descrivere l’entusiasmo di noi tutti! Treanni e mezzo di dolori, di privazioni, di lutti, ci hanno dato final-mente l’auspicata vittoria! Trento e Trieste sono riconquistatealla madre patria, l’Austria debellata è costretta ad accettarele nostre dure condizioni!

L’ALFABETO DELLA GUERRA ¬ 117

Vittorio VenetoV

OLIVIERO SANDRI

Oliviero Sandri nasce nel 1898 a San Giovanni in Persiceto(Bo). Spinto dal patriottismo, a diciassette anni decide dipartire come volontario per il fronte, ma a causa della suagiovane età viene rimandato a casa. L’anno successivo riparteper andare in trincea e questa volta riesce a restare.Sopravvive a Caporetto e alla trincea sul Piave fino a vedere lavittoria finale. Le epistole che seguono sono pervase da unafrenetica e giovanile bellicosità.

27/06/1915Carissimo zio, certamente resterai stupito nel vedere che lalettera vien da Mantova e ti domanderai per qual miracoloquesto possa avvenire. Il miracolo in verità è molto semplice:m’hanno mandato a casa perché il tenente ha saputo che ho 17anni. M’hanno mandato a casa lo capisci, non è vero? Quandomi dissero di tornarmene, provai una sensazione così dolorosache avrei preferito una fucilata e mi trattenni dal piangere soloper orgoglio. […] Ora mi trovo qui come un pesce fuor d’acqua,perché, davvero, in 15 giorni di campagna avevo già cambiatoabitudini e direi quasi carattere. In casa poi sono moltoscontenti di vedermi così triste, come rimbambito […]. Ti giuro,zio, che mi trovo male, molto male, depresso moralmente inmodo spaventoso. Scusami se non ti ho scritto prima, maavevo speranza di poter ripartire e ieri, andato a Verona, provail’ultima disillusione: alle mie domande o, meglio, alle miepreghiere mi si oppose un veto assoluto, cosicché me ne tornaia Mantova senza quell’ultima speranza. […] Prega anche tuqualche santo che mi aiuti. Ti ringrazio di nuovo ed abbiti i bacipiù affettuosi dal tuo Oliviero

16/07/1916Carissimo Papà,questa mattina tutto il battaglione ha prestato giuramento,dopo un discorso del Colonnello Bernardini. Così ora sono unvero soldato, pronto a tutto. Per festeggiare la solennità cisiamo riuniti noi tre volontari in una trattoria, da dove ti scrivo,sperando in un lauto banchetto. […] Vita sempre attiva, famecrescente, ora si fanno sboccini con meloni molto buoni persapore e per prezzo e un po’ di prosciutto e così si varia cibo. Allegria non ma manca, anzi ce n’è troppa tanto che impediscedi dormire il pomeriggio. […]Bacio te e tutti. Oliviero

18/08/1916Carissima mamma,[…] Credo che non ne abbiate un’idea di che cosa vuol direstare per circa sette ore sotto una cortina di fuoco (nostriperò). Se avesti sentite le bombarde che sinfonia intonavano; iloro proiettili si vedevano volare per aria come tanti mosconi epoi scoppiare con di quei cinguettii che facevano tremarepersino le nostre trincee. E noi tutti allegri, perché ci sispianava la via, ce ne stavamo ben nascosti poiché ogni tantoqualche pezzo di una nostra granata arrivava sino a noi. Amezzogiorno in punto cessò il fuoco e noi ci disponemmo lungoil torrente Vertojbizza pronti a balzare fuori. […] Finalmente siudì il grido di «Savoia»!. Allora non ho capito più niente: buttavia mantellina e coperta, che avevo a tracolla, scalza i riparidella nostra trincea e fuori di corsa in mezzo ai vigneti. Lepallottole vuoi di fucile vuoi di mitragliatrice (dio le maledica: leloro però) cominciarono a fioccare; ma ti giuro che in queimomenti non ci si bada più. […] Giunti sotto alla quota 95, unapiccola collina boscosa tra il S. marco ed il Vertojbizza, cilanciammo all’assalto. Se avessi sentito che «Savoia»! nefremo ancora al solo pensarci; credo di aver avuto l’aspetto piùdi una bestia che d’uomo: la barba d’una decina di giorni,sporco in faccia che non ti so dire, con la giacca aperta per ilcaldo, calzoni lacerati dal filo spinato dei reticolati (i qualierano stati demoliti dal bombardamento). […] M’incaricarono diandar a vedere cosa succedeva alle pendici del colle; di fattiportatomi su di un costone vidi dei fez rossi di bosniaci chevenivano su incitandosi con degli «Urrah!» molto flebili inconfronto ai nostri «Savoia»! Allora corsi a portare la notizia esubito ci apprestammo alla bisogna, cosicché quandoapparvero sulla cima furono accolti maluccio e sicuro che ciavran detto degli indelicati. Fu in questa occasione, mentresparavo in piedi per vederci meglio che rimasi colpito albraccio. Però prima ebbi la soddisfazione di vederne ruzzolaregiù quattro. Fui medicato da quel falegname di Rimini, delquale ti parlai quando venisti a Bozzolo, che piangeva perpaura che mi avessero fatto troppo male. Poi pian piano,strisciando per non farmi chiappare dai colpi di mitragliatriceche spazzavano i fianchi del colle, mi portai al posto dimedicazione […].Baci carissimi a te, papà, Renato, Maria e cognati.Oliviero

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VolontarioV

EMILIO CIOLI

Un cambio di reggimento, vissuto con estremo disappunto dalgiovane toscano Emilio Cioli, offre l’opportunità di immergersiin uno spaccato differente della quotidianità militare. La vesti-zione, l’equipaggiamento, la distribuzione delle mostrine, l’ac-curata disposizione del corredo personale nel pesante zainosono tutte azioni che sembrano svolgersi con un’affascinanteritualità.

[1916] Sotto il peso quasi insuperabile dello zaino si giunse,dopo aver ascoltato le poche ma tanto aspre parole delColonnello, alla disordinata caserma Cavalieri. Il buio e la ri-strettezza della camerata produssero una gran confusione, edassai tempo ci volle per trovarsi un po’ di posto e sdraiarsi. Lanotte fu per tutti insonne: svariatissimi i commenti, le ango-scie, il dispiacere improvviso, tutti confusi e disperati. I supe-riori stessi si trovavano in imbarazzo e dicevano “è impossibilevestire e preparare del tutto questi soldati”. Pareva proprio chesi dovesse partire istantaneamente. Nacque subito una granconfusione. Subito mi tornarono alla mente le marce di Riola,Pioppe, Grizzano, Susana, Montepero, S. Cristoforo, Labante,Castelnuovo di Vergato, ecc. Il dolore della schiena e dellespalle mi ricordarono che quelle belle marce le avevo fatte tut-te senza zaino. Pensai all’avvenire che sarebbe stato ben diffe-rente, ma non m’afflissi.Al mattino si tornò di nuovo nel piazzale della caserma Cavoure qui il colonnello ci ripeté quasi le stesse parole, aggiungendoche quasi tutti si sarebbe rimasti al 27° Reggimento, perchésoli 200 venivano mandati ad altro reggimento. Io mai pensavoche toccasse a me la sorte di cambiar reggimento. Dopo il mez-zogiorno, affardellati gli zaini, ci portarono al magazzino di ve-stizione e fummo tutti vestiti di nuovo: tale operazione occupòtutta la giornata. Uno degli ultimi oggetti distribuiti fu la giac-ca: quando vidi che teneva le mostrine del 27° fui contento edesclamai: “meno male le mostrine sono già attaccate!” Non sierano ancora distribuite a metà soldati, quando ci fu comanda-to di ritirarle tutte e riportarle in magazzino: che sorpresa! Ci

vennero tosto sostituite con altrettante portanti mostrine atutti sconosciute, metà verdi e metà nere: a tutti fecero cattivaimpressione e poco dopo si seppe di che reggimento fosseroperché ci dettero i berretti col numero 118. Si cominciò subitoa dimandare da che parte si trovasse questo reggimento e sidiceva dai più che si trovava nel Trentino. Il perché veramentefosse toccato alla 4a compagnia a fornire i 200 uomini per il118°, anziché alla 5a od alla 1a, fu un mito. Da alcuni si volle at-tribuire all’influenza del Tenente Bisci, comandante la 5a, il fat-to che essa non fornì soldati al 118° reggimento. Per completa-re il numero di 200, vennero 13 soldati della 5a compagnia piùil Cap.le Magg. Gherardi e il Cap.le Borlacchi mio conterraneo.Al mattino dopo la vestizione si fu divisi in 2 centurie; alla serasi passò in rivista, dopo aver prelevato ognuno alla casermaUngarelli gallette, scatolette, coperte ed armi. L’ora della par-tenza fu sempre sconosciuta. Passammo così il giorno 18 el9;la sera del 20 alle ore 5 mangiammo il rancio, si andò alla ca-serma Martini, posammo zaini e tascapani, ci fu data la pa-gnotta e la scatoletta per il giorno seguente e poscia ci lascia-rono andare in libertà per la città per due ore. Alle ore 20 dove-vamo ritrovarci tutti alla caserma per la partenza. Uscito per lacittà potei mangiare per l’ultima volta la cucina ferrarese, con-segnare all’amico Monticini un pacco acciocché mi fosse spe-dito alla famiglia insieme alle mie fotografie ritirate quella seradal fotografo. Fui quasi dei primi a tornare alla caserma; mi ac-compagnava l’amico Monticini assai sgomento: ci si potéscambiare poche parole dato il dispiacere di doversi separare.Stanco di stare nell’angoscia di vedersi dispiacenti l’uno col-l’altro, gli strinsi la mano ed appena riuscii a dirgli addio.Circa le ore 22, dopo diversi appelli, tutti si fu pronti ed il mestocorteo col massimo silenzio sfilò verso la stazione. Tra lo zainoe tutto il resto che contribuiva a rendermi quasi immobile, astento e sacrifizio tenni il passo dei più. Sul marciapiede dellastazione posammo i nostri bagagli e dovemmo attendere diver-se ore, forse fino alle 24. Saliti su scompartimenti di 3a classe,si partì alla volta di Padova.

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ZainoZ