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DOMENICA 18 APRILE 2010/NUMERO 272 D omenica La di Repubblica i sapori Africa-Francia, la fusion di Marrakech DARIA GALATERIA e LICIA GRANELLO l’incontro Jeremy Irons, il bello di fare il cattivo ANTONIO MONDA spettacoli Jerry Lee Lewis, il “killer” del rock GINO CASTALDO cultura Lo humor nero di Edward Gorey PAOLO MAURI la memoria Cina, gli anni terribili della Rieducazione RENATA PISU I l primo rivoluzionario di Cuba fu un indio e veniva da Hai- ti (allora Hispaniola). Si chiamava Hatuey e guidò a Bara- coa la rivolta contro l’invasione degli spagnoli. I soldati di Diego Velazquez, il capo dei conquistatori, lo inseguiro- no sulla Sierra Maestra, lo catturarono e lo bruciarono vi- vo. Era il 1512, vent’anni dopo l’approdo delle caravelle di Colombo. La conquista di Cuba non fu un affare per gli spagnoli finché non scoprirono le ricchezze dello zucchero, del tabacco e del caffè. Tanto che nel corso del Cinquecento l’assenza di oro e altri metalli preziosi spinse i conquistatori altrove. Decisiva però fu sempre la sua posizione strategica, come ul- tima postazione prima di affrontare la traversata dell’Oceano con i pregiati minerali sottratti al Messico o al Perù da portare in Europa. Da quel momento in poi Cuba, tra eserciti invasori, pirati e ri- volte di schiavi, fu una autentica fabbrica di rivoluzionari. (segue nelle pagine successive) PACO IGNACIO TAIBO II OMERO CIAI PACO TAIBO II Un grande romanziere racconta un rivoluzionario carismatico e sconosciuto: Tony Guiteras, che incendiò Cuba negli anni Trenta FOTO ROBERT VAN DER HILST/CORBIS H o detto chissà quante volte in conversazioni con amici, giornalisti, editori, che le tre figure rivolu- zionarie dell’America Latina che più mi affascina- vano erano Pancho Villa, Che Guevara e Tony Gui- teras. Quasi sempre mi sono sentito chiedere «Tony chi?». E ogni volta cresceva la mia volontà di scrivere questo libro. Purtroppo, al di fuori di Cuba, trattato uni- camente dalla storiografia nazionale che si occupa della rivolu- zione e dell’esilio, Tony rimane uno sconosciuto. Ma un perso- naggio simile, in un continente come il nostro, che lotta per re- cuperare la propria memoria storica, non merita questo destino. * * * Lo spagnolo è una lingua perversa che usa parole come gracia per riferirsi indistintamente a uno stato di santità o a uno scher- zo; e parole come materialista per parlare di un autocarro da tra- sporto merci o di un seguace di Friedrich Engels. (segue nelle pagine successive) L’altro Che Repubblica Nazionale

PACO TAIBO II L’altro Chedownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/18042010.pdf · PACO IGNACIO TAIBO II OMERO CIAI PACO TAIBO II Un grande romanziere racconta un rivoluzionario

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DOMENICA 18 APRILE 2010/NUMERO 272

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Africa-Francia, la fusion di MarrakechDARIA GALATERIA e LICIA GRANELLO

l’incontro

Jeremy Irons, il bello di fare il cattivoANTONIO MONDA

spettacoli

Jerry Lee Lewis, il “killer” del rockGINO CASTALDO

cultura

Lo humor nero di Edward GoreyPAOLO MAURI

la memoria

Cina, gli anni terribili della RieducazioneRENATA PISU

Il primorivoluzionario di Cuba fu un indio e veniva da Hai-ti (allora Hispaniola). Si chiamava Hatuey e guidò a Bara-coa la rivolta contro l’invasione degli spagnoli. I soldati diDiego Velazquez, il capo dei conquistatori, lo inseguiro-no sulla Sierra Maestra, lo catturarono e lo bruciarono vi-vo. Era il 1512, vent’anni dopo l’approdo delle caravelle di

Colombo. La conquista di Cuba non fu un affare per gli spagnolifinché non scoprirono le ricchezze dello zucchero, del tabacco edel caffè. Tanto che nel corso del Cinquecento l’assenza di oro ealtri metalli preziosi spinse i conquistatori altrove.

Decisiva però fu sempre la sua posizione strategica, come ul-tima postazione prima di affrontare la traversata dell’Oceanocon i pregiati minerali sottratti al Messico o al Perù da portare inEuropa.

Da quel momento in poi Cuba, tra eserciti invasori, pirati e ri-volte di schiavi, fu una autentica fabbrica di rivoluzionari.

(segue nelle pagine successive)

PACO IGNACIO TAIBO II OMERO CIAI

PACO TAIBO II

Un grande romanziereracconta un rivoluzionariocarismatico e sconosciuto:Tony Guiteras, che incendiòCuba negli anni Trenta

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Ho detto chissà quante volte in conversazioni conamici, giornalisti, editori, che le tre figure rivolu-zionarie dell’America Latina che più mi affascina-vano erano Pancho Villa, Che Guevara e Tony Gui-teras. Quasi sempre mi sono sentito chiedere«Tony chi?». E ogni volta cresceva la mia volontà di

scrivere questo libro. Purtroppo, al di fuori di Cuba, trattato uni-camente dalla storiografia nazionale che si occupa della rivolu-zione e dell’esilio, Tony rimane uno sconosciuto. Ma un perso-naggio simile, in un continente come il nostro, che lotta per re-cuperare la propria memoria storica, non merita questo destino.

* * *Lo spagnolo è una lingua perversa che usa parole come gracia

per riferirsi indistintamente a uno stato di santità o a uno scher-zo; e parole come materialista per parlare di un autocarro da tra-sporto merci o di un seguace di Friedrich Engels.

(segue nelle pagine successive)

L’altro Che

Repubblica Nazionale

(segue dalla copertina)

Il termine guapo a Cuba significa audace, come delresto in Venezuela. Mentre in Spagna e in Messi-co (meno e ormai in disuso) si riferisce alla bellez-za maschile. Nella zona costiera della Colombia èsinonimo di buono, benevolo, bonaccione. In Ar-gentina rispetto alla versione cubana si aggiunge

la valenza di forte, resistente; e in posti come Salta, po-nerse guapo significa riprendersi da una malattia. Mausato per definire Tony Guiteras guapo recupera tuttequeste accezioni.

* * *Alla fine degli anni Venti, si instaurò a Cuba una ditta-

tura capeggiata da Gerardo Machado. La tardiva indi-pendenza cubana (fu l’ultima dell’America Latina) e l’in-tervento nordamericano avevano imposto al Paeseun’immensa dipendenza dai gringos, espressa dall’E-mendamento Platt che permetteva l’ingerenza statuni-tense nella vita pubblica del Paese fino a prevedere inva-sioni militari. Machado rinforzò sempre più questa rela-zione, unita a una potente dose di corruzione. Nel 1927 sisarebbe dichiarato ammiratore di Mussolini («L’opera diBenito Mussolini è di eccezionale importanza. Guida l’I-talia sul cammino del progresso in ogni campo») e avreb-be sostenuto: «Gli unici a lamentarsi della situazione so-no i biscazzieri e i vagabondi». Curiosa interpretazionedella realtà cubana, perché a Cuba i giocatori d’azzardonon si lamentavano di nulla, vivevano come al solito inquella combinazione di paradiso e inferno in cui sono so-liti vivere. Comunque, una manifestazione di disoccu-pati avrebbe innalzato questo striscione: «Generale, i bi-scazzieri e i vagabondi ti salutano».

Fu un movimento studentesco, nel quale apparveroper la prima volta le donne, ad affrontarlo. Per cinque an-ni, prima nelle strade e poi rispondendo alla violenza cre-scente della polizia con la violenza. Anni terribili. Nel1933 uno sciopero generale dei lavoratori lo rovesciò.L’ambasciatore americano cercò di sostituire Machado

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

CHE GUEVARAIcona della rivoluzione

cubana del 1959

Fu ucciso mentre

combatteva in Bolivia

il 9 ottobre 1967

TONY GUITERASPadre della rivoluzione

cubana del 1933

Fu ucciso nel 1935,

nella provincia

di Matanzas

RUBÉN MARTÍNEZVILLENA

Poeta, malato di tisi,

partecipò attivamente

alla rivoluzione del ’33

nonostante la malattia

PABLO DE LA TORRIENTEScrittore in lotta contro

il dittatore cubano

Machado, fu incarcerato

e poi esiliato. Partirà

per la Spagna nel ’33

la copertinaL’altro Che

Sostiene Paco Ignacio Taibo II che i grandi rivoluzionarilatino-americani del Novecento sono tre: Pancho Villa,

Che Guevara e Tony Guiteras, protagonista dellaspallata popolare che nel 1933 rovesciò il dittatore

cubano Machado. Ora il grande romanzierecompleta il suo ciclo e racconta Guiteras

in un libro che qui anticipaper “Repubblica”

compratore di biglietti della lotteria, che nel giro di pocheore diventò colonnello; al quale una volta avevano nega-to l’accesso nello Yachting Club de L’Avana perché si di-ceva avesse nelle vene sangue cinese, indio e africano;che senza quasi rendersene conto scalò le vette del pote-re assoluto in nome di una rivoluzione che non era più ta-le finendo per macchiarsi le mani con il sangue.

In primo piano, c’è senza dubbio un giovane avvocatodirigente comunista. Pur essendo pervaso dal settarismostalinista, in fondo all’anima e a fior di pelle era un gran-de poeta e sarebbe morto precocemente di tubercolosi.Un uomo votato con fedeltà assoluta a una sola causa eai suoi principi, alla guida di un gruppo di eroici e gene-rosi operai pericolosamente in possesso della verità ri-voluzionaria. Personaggi a metà strada fra la tragedia by-roniana e il realismo socialista.

E ci sono altri personaggi singolari, come uno scritto-re di nome Pablo, forse uno dei migliori giornalisti del-l’America Latina, preso dalla passione di vivere la storiaper raccontare storie, e che passò buona parte della gio-vinezza in carcere e in esilio e che era talmente cubano dafarsi scendere le lacrime nella nebbia di New York.

E con loro c’è un presidente che avrebbe potuto per-dere tutto a causa di uno scherzo, ma che neppure ri-nunciava a farne; un paio di avvocati aristocratici che in-ventarono un movimento civico terrorista di destra; undittatore butterato dal vaiolo che chiamavano “l’asinocon gli artigli”; un torturatore che trasformò la polizia diSantiago de Cuba nel suo strumento privato di lucro e diterrore; un venezuelano che partecipò a tutte le rivolu-zioni; una cubano-irlandese dai capelli rossi che seque-strava milionari con un mitra in mano.

Una storia che si svolse a Cuba. Con il 1933 come asseportante, l’anno della Revolución: suffragiste, studentibombaroli, scioperi generali, allusioni a Lindbergh,Mussolini e King Kong, orchestre femminili, locali a lucirosse incendiati, torturatori impazziti, masse insorte al-la maniera di Fuenteovejuna, marines statunitensi nelporto de L’Avana.

Con tanto materiale c’era da scrivere un romanzo, mane è venuta fuori una storia narrata.

* * *Il miglior prologo a questa storia lo avrebbe scritto Pa-

blo de la Torrente Brau a New York qualche mese dopo lamorte di Guiteras; e lo avrebbe fatto nonostante le diffe-

La storia di un ambasciatore Usademocratico e liberale alleatocon latifondisti, sergenti golpistie generali conservatori persalvare un tiranno sanguinario

CUBALarivoluzioneguapa

PACO IGNACIO TAIBO II

LE IMMAGINISopra, scene

di guerriglia

a Cuba

negli anni ’30

A destra,

la tessera

di Guiteras

Sotto, il capo

dell’esercito

Fulgencio Batista

con una figura fantoccio, ma il movimento prese la for-ma di un’insurrezione dei sottufficiali e portò al potereun medico e docente universitario, Grau San Martín, ecome segretario al Governo uno studente della sinistraradicale, Tony Guiteras. Per cento giorni il Paese visse larivoluzione. Ci fu poi un contro golpe e due anni di unanuova dittatura filostatunitense che uno sciopero gene-rale nel 1935 tentò di rovesciare.

* * *In questo contesto, questa sarà la storia di molti per-

sonaggi straordinari. Tony Guiteras, un adolescente che affrontava la ma-

lattia con la forza di volontà, uno studente di farmacia alquale piacevano le piante curative, un leader studente-sco che si giocava la vita tutti i giorni, un rivoluzionarioche, assunto l’incarico di ministro degli Interni, espro-priò le imprese dell’energia elettrica statunitensi a colpidi decreti e in punta di pistola, promulgò la legge sul sa-lario minimo, sulla giornata lavorativa di otto ore, checercò di togliere i cimiteri dal controllo della Chiesa e chenominò le prime donne sindaco dell’America Latina;uno a cui piaceva farsi fotografare accanto a due donnebellissime, ma che raramente sorrideva; che si sedeva sulpavimento come un Budda e fumava sigarette accen-dendole con il mozzicone di quella precedente; uno cosìpuro ideologicamente che suscitava l’amore incondizio-nato degli amici e un brivido nella schiena dei nemici. Unuomo che fece una lettura non bolscevica della Rivolu-zione russa e mescolò le lezioni di Bakunin e di Durrutialla logica dei socialdemocratici adleriani e agli insegna-menti dello Stalin-Kamo espropriatore.

Ma questa è anche la storia di un ambasciatore statu-nitense che voleva dominare un Paese che non era il suo.Da buon democratico liberale newyorchese non potéevitare di salvare la pelle a un dittatore sanguinario, di al-learsi con terroristi, filofascisti, latifondisti della cannada zucchero, generali conservatori e sergenti golpisti;perché era un uomo dell’impero e governato dalla logicaimperiale. Che spostava trenta navi da guerra con due-cento cannoni mentre si dannava l’anima; uno che per lasmania di dimostrare la propria intelligenza, possedutodalla brama di controllare e cospirare, finì per diventaremachiavellico.

Fanno parte di questa storia anche un sergente steno-grafo, buon lettore di libri non molto buoni e accanito

Repubblica Nazionale

GERARDO MACHADOQuinto presidente

di Cuba, il suo governoreazionario

fu rovesciato dalla rivoltaguidata da Guiteras

FULGENCIO BATISTACapo dell’esercito dopola caduta di Machado

Diventa presidentedi Cuba nel 1952. Sarà

rovesciato nel 1959

RAMÓN GRAUSAN MARTÍN

Dopo la rivoluzionedel 1933, diventa

presidentedella repubblica cubana

FIDEL CASTROLider maximo cubano

dal febbraio 1959al febbraio 2008. È stato

sostituito dal fratelloRaúl Castro

renze di scelte politiche e l’involontaria distanza.«Nella sua appassionante carriera politica ci sono pa-

gine allettanti per uno storico coraggioso disposto a rac-contare la verità e insieme l’angoscia di un uomo onestogiunto al crocevia di tremendi dilemmi [...] Antonio Gui-teras, come uno che sopravvive a un’imboscata, attra-versò quei momenti, sentendosene oppresso, ma fermonella propria fede, in preda alla febbre della rivoluzione.Perché la rivoluzione fu come una febbre nell’immagi-nazione di quest’uomo. E per questo visse terribili deliri,potenti allucinazioni, affascinanti fantasie e sogni mera-vigliosi e per lui irrealizzabili. Era come un uomo che, alrisveglio, voglia realizzare ciò che ha concepito in sogno.Spesso non seppe riconoscere gli uomini, dando fiduciaa chi non la meritava e chiamando amico chi si sarebberivelato un traditore, ma intuì il talento in qualche idiota.Trascinato dalla febbre, ebbe l’impulso di fare tutto. E fe-ce più lui che migliaia di altri. E serbava il segreto della fe-de nella vittoria finale. Irradiava calore. Era come una ca-lamita che attirava gli uomini e gli uomini si sentivano at-tratti da lui. Per loro era misteriosa, ma irresistibile, quel-la silenziosa determinazione, quell’immaginazione fis-sa su un solo punto: la rivoluzione. Ebbe anche difetti. Nelgiorno del castigo non avrebbe concepito il perdono. Eraun uomo della rivoluzione. E anche lui non aveva nulla diperfetto».

* * *Questo è un libro complesso, troppi personaggi, trop-

pe storie, troppe forze sociali in azione; ma la comples-sità non solo è attraente e affascinante, è anche molto piùvicina alla realtà di quei materiali semplificati che ci han-no spacciato per storia. La complessità induce ad amoricontrastanti, a riflessioni più lucide e meno facili.

Raccontare di uomini d’azione è essenzialmente uncompito di ricerca sugli eventi, il contesto, le interazionie, solo a quel punto, le riflessioni che si facevano al ri-guardo e il modo in cui si pensava di loro. Come diceMartínez Heredia: «La storia che si limita a osservare leorganizzazioni politiche attraverso gli atti e le dichiara-zioni è cieca e viene a patti con i fantasmi».

* * *

Ho cercato di situare i personaggi nel loro presente, glieventi accaduti tra il 1930 e il 1935, e in parte gli antece-denti. Quello che poi sarebbe stato della storia di Cuba fufatto dopo, e guardare il passato dal futuro provoca nelmigliore dei casi una distorsione a discapito della genui-nità. Su questo aspetto particolare, la rivoluzione cuba-na del gennaio 1959 con le sue conseguenze impone sen-za volerlo sfumature che deformano la storia della rivo-luzione del 1933. I personaggi sopravvissuti verrebberogiudicati per come si sono comportati di fronte alla gran-de spaccatura sociale del ‘59, e non solo per le azioni com-piute nel ‘33. Da L’Avana e da Miami la storia della rivo-luzione del ‘33 è stata letta come un prolungamento del-la polemica tra castrismo e dissidenti reazionari, liberalifiloimperialisti, anarchici, socialdemocratici. Accadrà lostesso con le figure dei morti. Quasi tutti subiranno ag-giustamenti storici in funzione di un’altra polemica.

Ho cercato di raccontare le storie della rivoluzione del‘33 all’interno della loro prospettiva, con i miei amori e lemie simpatie, ma senza alcuna autocensura e calandolenel contesto degli anni Trenta; che gli uni e gli altri mi per-donino, compresi i guardiani delle ortodossie, coloro chevigilano sulle dottrine del passato, ai quali questo libronon piacerà.

* * *Il dio del politicamente corretto mi scampi dal far par-

te del suo club, ma nel tracciare i personaggi le questionilegate alla loro vita sessuale sono essenziali, e mi è sem-brato giusto invaderla; tra l’altro perché la forzata clan-destinità dell’omosessualità, ancor più nella Cuba ma-chista degli anni Trenta, e peggio ancora se eri un diplo-matico o un presidente, creava una particolare tensionenei personaggi e nella storia. Nel tentativo di raccontarequesto assunto spinoso, mi sono imbattuto in denigra-zioni ingiuriose, disinformazione, voci che possono ri-condursi a calunnie e a fervente puritanesimo, figlio piùdi una doppia morale che di una presunta rettitudine.

* * *Un libro di storia è, contrariamente a quanto potrebbe

sembrare, una versione assolutamente non definitiva de-gli avvenimenti. Un’altra tessera del grande mosaico.

Traduzione di Pino Cacucci© Paco Ignacio Taibo II

Un uomo votato a una sola causaalla guida di un gruppo di operaiin possesso della verità ribelleA metà strada tra la tragediabyroniana e il realismo socialista

Dittature e rivoltedell’isola bipartisan

OMERO CIAI

(segue dalla copertina)

Il culmine furono gli ultimi cinquant’anni del-l’Ottocento, tra le guerre d’indipendenza dallaCorona spagnola e l’intervento degli Stati Uni-

ti. Da Manuel de Cespedes a José Martì. La liberazione dell’isola dal giogo straniero ini-

zia con la “guerra dei dieci anni” nel 1868, quandoi proprietari terrieri bianchi si alleano con i neri (siaschiavi che liberti) — i famosi mambì — contro glispagnoli, e finisce con lo sbarco dei volontari Usa,tra i quali c’era anche il futuro presidente Roose-velt, il primo luglio del 1898. Una sovranità condi-zionata, quella di Cuba, prima dall’occupazioneamericana che durò quattro anni e poi dall’emen-damento Platt, pietra miliare di tutti i guai succes-sivi, che consentiva a Washington di intervenirepesantemente nella politica interna dell’isola.

La storia cubana del Novecento si può ancheleggere come un succedersi di dittature, rivolu-zioni e repubbliche che hanno sempre comepunto di snodo i rapporti dell’isola con la CasaBianca. Filo americani o anti americani. Sempree comunque. Non solo, spesso gli Stati Uniti han-no prima aiutato i dittatori a prendere il potere epoi i rivoluzionari a toglierglielo. È il caso di Ge-rardo Machado che cadde, con la rivoluzione del‘33 (quella di cui fu protagonista anche Tony Gui-teras), proprio grazie al fatto che Washington locostrinse ad accomodarsi in esilio. Copione nonmolto diverso da quello del 1959, quando Batista,perso l’appoggio degli uomini di Eisenhower,fuggì in Florida lasciando l’Avana ai barbudoscheavevano iniziato la guerriglia anche grazie a dol-lari e armi americane.

La rivoluzione di Guiteras e Grau San Martindurò poco più di cento giorni e dovette soccom-bere proprio per le ingerenze Usa dopo che ilnuovo governo si era rifiutato di pagare i debiti diMachado ed aveva iniziato a nazionalizzare leimprese americane. Sembra il preludio di quelloche accadrà con Fidel Castro, come se la rivolu-zione del ‘33 a Cuba corrispondesse a quella rus-sa del 1905. Fu il nazionalismo radicale la ragioneper cui caddero Grau e Guiteras. Ma contro di lo-ro, insieme agli Usa, c’erano anche gli immigratispagnoli più recenti e i neri degli altri paesi dei Ca-raibi colpiti da un decreto che imponeva alle im-prese di assumere per primi solo i nati a Cuba.

Nell’ultimo mezzo secolo, l’isola delle rivolte edei rivoluzionari ha vissuto la dittatura più lunga,figlia di una ennesima rivoluzione. E un motivoche può spiegare la sua longevità sta proprio nelnazionalismo. La rivoluzione guidata da Castro èstata molto più nazionalista che socialista — co-me dimostra ancora oggi il modo in cui il regimesi chiude su se stesso quando viene criticato e co-me esalta la “diversità” cubana. Un’altra spiega-zione sono le valvole di sfogo. L’area grigia discontenti e oppositori ha abbandonato l’isola inmassa con grandi esodi successivi (1960, ‘80, ‘94).Così, a partire dal ‘59, intellettuali critici, studen-ti ribelli e professionisti scontenti, invece di fab-bricare nuove rivolte, se ne sono semplicementeandati.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 18 APRILE 2010

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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IL LIBRO

Un hombre guapo, la biografia del rivoluzionario cubano Tony Guiterasscritta da Paco Ignacio Taibo II,sarà in libreria dal 22 aprile (MarcoTropea Editore, traduzione di PinoCacucci, 384 pagine, 19,50 euro)Di Taibo II, autore di una cinquantinadi opere tradotte in venti paesi,Marco Tropea Editore pubblicherànel 2011, per le celebrazioni salgariane, il romanzo Ritornano le Tigri della Malesia(più antimperialiste che mai)

Repubblica Nazionale

la memoriaPersecuzioni

Siamo negli anni Sessanta, nella Cina della Rivoluzioneculturale. Kang Zhengguo, come tanti intellettuali, vienecondannato a “trasformarsi con il lavoro”. Ora, in un libroin uscita per Laterza, racconta la sua odissea: una storiaesemplare tra le altre, come testimonia una giornalista-scrittriceitaliana che ha vissuto quella terribile stagione

Huang fu umiliatain un “processo”pubblicoper aversprecato del paneDue giorni dopo sigettò dal quarto piano

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

Rieducazione, le vite a perdere

Ho conosciutotanti ragaz-zi come Kang Zhengguoquando, negli anni Cin-quanta e Sessanta, stu-diavo all’Università diPechino. Erano miei

amici, era facile comunicare con i cinesiallora, prima che la Rivoluzione cultura-le, nel 1966, troncasse ogni possibilità diconfronto tra Noi e Loro. Quei ragazzi equelle ragazze avevano tutti delle storieda raccontare, storie della loro infanzia edelle loro speranze, deluse al punto cheerano diventati increduli e scettici sullafutura umanità che gli era stata promes-sa. Mi raccontavano le loro giovani sto-rie del passato mentre vivevamo assie-me un assurdo presente, episodi deiquali ero a volte testimone, a volte invo-lontaria catalizzatrice. Frequentarmiera proibito in quanto venivo da un pae-se capitalista e quindi propagavo germi.Chi osava frequentarmi lo faceva a pro-prio rischio e pericolo.

Ne fece le spese, per esempio, WangZhangmei alla quale avevo regalato unamia giacca imbottita con una manicabruciacchiata. Per riscaldarmi mi ero ac-costata troppo al fornelletto elettrico chetenevo in camera e con me c’erano dueamici cinesi che risero del mio infortu-nio. Quando però riconobbero comemia quella giacca con la bruciatura in-dossata dalla loro compagna di corso, ladenunciarono alla sezione universitariadel partito. Zhangmei, che era già in odo-re di dissidenza, fu mandata poco dopoa «trasformarsi con il lavoro». Non l’hopiù vista e non ho più saputo niente di lei.

Non ha scritto la sua storia come hafatto Zhengguo, ma tutte le storie deglistudenti cinesi di quegli anni per moltiversi si assomigliano per il fatto di esser-si svolte sotto il segno delle varie campa-gne di critica o di educazione di massache si sono succedute come ondate finoal punto di far perdere la testa, di ridurreal silenzio i testimoni, di creare alla fineuna connivenza tra carnefici e vittime.

E questa connivenza ancora è di osta-colo oggi, in Cina, al libero fluire dellanarrazione di quegli anni che non furo-no, come qualcuno sostiene, «grandi eterribili» ma soltanto terribili.

Ricordo una ragazza che studiava lin-gua e letteratura tedesca. Si chiamavaHuang Hua. Era alta, con delle lunghetrecce e una naturale eleganza di porta-mento che nemmeno la più proletariagiacca blu riusciva a mascherare. Era incorso la campagna contro gli sprechi eovunque, all’Università come in città,campeggiavano grandi cartelli con suscritto «Non sprecare nemmeno unchicco di riso». Lei venne accusata, inun’assemblea della sua facoltà, di voler«affamare il popolo», perché le compa-gne di stanza, rovistando nel suo casset-to, avevano trovato dei mantou, che sa-rebbero dei pani cotti a vapore, rinsec-chiti. Lei si giustificò dicendo che li ave-va conservati per portarli a una poveravecchia che elemosinava fuori dalle mu-ra dell’Università. La seduta di critica eragremita da almeno due-trecento ragaz-zi che urlavano in preda a un’esaltazio-

ne allora per me incomprensibile. Era laprima volta che assistevo a un similespettacolo. Poi capii che in simili occa-sioni bisognava che tutti si comportas-sero così, altrimenti sarebbero stati in-colpati di simpatizzare per l’accusato diturno. Non erano in preda alla furia, re-citavano. Avevano fatto salire HuangHua in piedi su di una panca con indos-so una specie di collana fatta con i suoivecchi mantou. Le gridavano: «Abbassala testa!», «Confessa!». Lei non riusciva aparlare, singhiozzava disperata. Un ra-gazzo le si scagliò addosso e le premetteuna mano sulla nuca obbligandola adabbassare la testa, a sottomettersi.

Due giorni dopo quella ragazza sigettò dal quarto piano del suo dormito-rio e morì sul colpo. Non ha scritto la suastoria, non ha avuto abbastanza anni persoffrire e raccontare la sua vita.

Di un’altra ragazza, la chiamerò Anne,ho invece seguito le vicende, dai giornidell’Università a oggi. Venne accusata diessere un «elemento di destra» perché,alla trasmittente del campus dove pre-stava servizio volontario, lesse i comuni-

cati «anti-partito» che le passavano stu-denti e insegnanti. Era l’inizio della«campagna dei Cento fiori», lanciata dalpartito per sollecitare critiche e ideenuove: «Fioriscano cento fiori. Gareggi-no cento scuole!». «Non capivo neancheil senso dei testi che mi davano da legge-re ma ero molto orgogliosa di essere sta-ta scelta per la mia ottima pronuncia»,mi disse Anne. Solo che quando, percontrobattere le critiche che erano pio-vute sul partito e i suoi burocrati, vennelanciata la campagna contro gli elemen-ti di destra, ad Anne venne messo in te-sta il cappello (si diceva così allora, il cap-pello da destrorso) e fu mandata a «la-varsi il cervello» in una vetreria.

Persi completamente ogni sua tracciafino a quando, morto Mao e salito DengXiaoping al potere, venni a sapere daamici francesi che era riuscita a raggiun-gere Parigi con un visto di studio. La rin-tracciai, ci incontrammo in Francia e alei pareva di sognare. Anche a me. Era-vamo ormai delle quarantenni con deiricordi. Anne mi raccontò la sua storia:cinque anni in fabbrica, alla vetreria, dueanni rinchiusa in una «gabbia di demonie mostri», un marito defunto, un figlioche aveva abbandonato per poter«uscire dal paese», ma al qualecontinuava a scrivere tutti i gior-ni, o quasi. Anne era sincera,amava suo figlio, ma non eradisposta a dare la sua vita,quella vita parigina da badan-te (era il suo primo impiego),

per il ragazzo che aveva affidato alle cu-re di sua madre.

Anne era a Parigi quando, nel 1989,scoppiarono i fatti di Tiananmen, e suofiglio, a Pechino, era sceso in piazza congli altri ragazzi. Fu arrestato, costretto asconfessare sua madre, a rinnegarla per-ché tramava all’estero contro la Repub-blica popolare cinese. La sconfessò, la ri-pudiò. Ora è un imprenditore di succes-so, uno dei milionari della nuova Cina.Me lo ha raccontato Anne pochi mesi fa.Le ho chiesto perché mai non andasse atrovarlo. E lei: «Neanche pensarci, nonmi fido, non mi fido». Anne non avevaancora ottenuto la cittadinanza france-se e non si fidava.

Non avrebbe dovuto fidarsi nemme-no il nostro autore quando nel 2001tornò in Cina con il suo passaporto cine-se e ripiombò in un mondo di sospetto edelazioni che credeva scomparso.

In Cina nessuno ancora si fida, chi hasofferto teme il ritorno dell’epoca delleombre, delle umiliazioni, delle amicizienegate. Ma tutti quelli che hanno più dicinquanta, sessanta anni, avrebberodelle storie da raccontare, non storieestreme ma della loro quotidianità tan-to segnata dagli eventi di una politicaomnipervasiva. Se non lo fanno è perchéancora hanno paura. Preferiscono allo-ra affidare la memoria alle immagini, al-le foto di famiglia, piccole istantanee in

bianco e nero con brevi ma intense di-dascalie che pubblica, dal 1996, una rivi-sta che si chiama Vecchie foto. Immaginiin bianco e nero accompagnate da sem-plici didascalie, storie tragiche di vita cheriportano alla memoria collettiva il pas-sato, meglio forse di tanta narrativa con-temporanea in cui la fantasia non riescea superare la crudezza della realtà, quelvivere giorno per giorno nell’assurdo edessere costretti a farsene complici.

La memoria, in una società che sta su-bendo una grande mutazione e cioè nonè più formata da persone che agiscono inun contesto comunitario e pubblico mapiuttosto familiare e privato, se non ad-dirittura individuale, non è più ancoratacome una volta a testimonianze e bio-grafie di grandi uomini che hanno fattola storia. La gente si sta riappropriandodelle proprie storie minime, e sente il bi-sogno di rivalutare la propria apparizio-ne sulla scena con immagini sbiadite diluoghi, di persone, di interni di famigliao di foto di gruppo degli studenti di unascuola o degli operai di una fabbrica [...].È un passato privatizzato, non quello

RENATA PISU

Regalai una giaccavecchia alla mia amicaWang. Fu denunciataper questo e mandatavia dall’UniversitàNon l’ho mai più vista

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 18 APRILE 2010

che è stato imposto ma quello che è sta-to vissuto, e si scopre che ognuno l’havissuto a modo proprio, anche se la gran-de livella del Potere ha sempre tentato diridurlo allo stesso denominatore: la lot-ta di classe, la grande causa della rivolu-zione, le campagne e i movimenti dimassa.

La ragazza con le trecce e il viso pulito,i pantaloni larghi e la camicetta bianca amaniche corte che sorride sotto un car-tello con la scritta «Grande balzo in avan-ti» è stata fotografata nel 1958 dall’uomoche sarebbe poi diventato suo marito.Nel breve testo che accompagna l’im-magine, la donna, ormai settantenne,propone il ritratto del suo bambino eracconta come il padre non l’abbia maivisto perché, prima che il piccolo na-scesse, «andò volontario nel Xinjiang aimparare dai contadini» e non fece mairitorno a Pechino. Non traspare nessungiudizio politico, nessuna recriminazio-ne, soltanto il desiderio che di quel mari-to e padre svanito nel nulla rimanga unatraccia di ricordo anche se di lui non è ri-masta neanche un’istantanea.

Tante sono le immagini di gruppi fa-miliari, come se l’antica tradizione cheglorificava le leggende e le storie degli avirispuntasse in tono minore su queste pa-gine, dove gente che non ha legami disangue con coloro che sono ritratti si ri-conosce tuttavia in particolari che acco-munano, per esempio, quelli che vive-vano in una casa a corte: l’arredo dellastanza della famiglia che si è messa in po-sa in quel lontano giorno degli anni Qua-ranta assomiglia a quello di tante altre,con l’orologio a pendolo in bella mostrasu di una consolle, l’ultimo nato in grem-bo alla madre avvolto in una coperta im-bottita a fiori, il nonno con la corta pi-petta in mano, la nonna con i piedi mi-nuscoli che tenta di nascondere ripie-gandoli sotto lo sgabello e non accennanemmeno un vago sorriso.

Numerose anche le foto di classi sco-lastiche alla fine dell’anno di corso, gli in-segnanti seduti in prima fila, dietro glistudenti, ragazzi e ragazze, vestiti tuttiuguali ma non in uniforme: nella Cinadegli anni Sessanta, dove il tessuto di co-tone era razionato, non ci si poteva per-

buon auspicio, Chunlai, due ideogram-mi che significano «arriva la primavera».Soltanto una speranza: per lui e per la Ci-na l’inverno era ancora lungo. Quando,anni e anni dopo, viene riabilitato, riac-quista anche il suo nome e cognome ma,alla fine della vicenda, quando ottiene lacittadinanza e il passaporto americani,commenta semplicemente che, ancorauna volta, aveva dovuto ridefinire la pro-pria identità: «Questa volta il mio nomeera Zhengguo Kang», scrive. E così firmaqueste sue memorie.

Sembrerebbe una modifica da niente,invece ha un significato intenso per uncinese, perché il nome davanti al cogno-me, secondo l’uso occidentale, in Cina sipensa che sottolinei l’individualismo,l’affermazione del soggetto rispetto allafamiglia, al clan. Un atto di ribellione, in-somma. Come un atto di ribellioneegualmente significativo è quello di nonvoler mai più rimettere piede in Cina.Neanche da morto. Zhengguo, a conclu-sione del lungo racconto della sua vita,dice alla moglie: «Quando saremo vec-chi, ci preoccuperemo di farci seppellirein America».

Se questo libro è una «confessione»(come titola l’edizione originale), il fina-le è forse un’amara «sconfessione» dellacinesitudine più profonda, quel modo diessere, di sentire e di rapportarsi di unaciviltà tradizionale che vuole indissolu-bile il legame dell’uomo con la terra. Co-me d’inverno le foglie dell’albero che sispoglia fanno ritorno alle radici dellapianta che le ha generate per rinnovarneil futuro rigoglio, così l’uomo deve esse-

re sepolto là dove ha visto la luce. Aquesto si conformano, o per lomeno ambiscono, da genera-zioni e generazioni, tutti i cine-si della diaspora o dell’esilio.

Ma Zhengguo e sua moglie vi ri-nunciano. È veramente una«sconfessione» totale della ci-nesitudine? Se il capitolo fina-le non fosse dedicato al futuro

del loro figlio maschio chedecide di fare ritorno in pa-tria, a Shanghai, con la sua

laurea americana in Economia e com-mercio, così si potrebbe dedurre. Inve-ce, il ciclo si rinnova in maniera fino a po-chi anni fa impensabile. La cinesitudinesi prolunga nell’ibridazione: per questo,per quel che vale, è salva.

© Editori Laterza

‘‘Noi esigiamo unitàtra politica e arte, unità tra contenutopolitico rivoluzionarioe una formaartistica il più possibileperfetta

‘‘La rivoluzionenon è un’opera letteraria,un disegno, un ricamo...È un’insurrezione,un atto di violenzacon il quale una classene rovescia un’altra

‘‘Mao ZedongL’arte per l’arte,l’arte al di sopradelle classi,l’arte al di fuoridella politicae indipendente da essain realtà non esiste

Le citazioni sono tratte dal LIBRETTO ROSSO

IL LIBRO

Laterza manda in libreria Esercizi di rieducazione(traduzione di SerenaZuccheri, 488 pagine,

22 euro). L’autore, KangZhengguo, bollato come

criminale nella Cina di Mao,racconta il suo percorso di rieducazione negli anni in cui anche appassionarsialla poesia era considerato

reato. Anticipiamo la prefazione di Renata Pisu

mettere di pretendere altra uniformitàoltre quella imposta dalla penuria. E co-sì tutti con gli stessi pantaloni, le stessegiacche imbottite di colore blu.

Nel testo che accompagna una di que-ste foto di classe, inviata da un uomo chespecifica di essere il terzo, a partire da de-stra, della seconda fila, si dice soltantoche l’immagine è stata scattata nel lugliodel 1966, nella Scuola superiore Nume-ro Due di Pechino, e che loro speravanotutti di andare all’Università ma nessu-no vi riuscì; e tutti i cinesi sanno perché,di lì a poco sarebbe divampata la Granderivoluzione culturale proletaria.

Anche Kang Zhengguo, che si presu-me si sia liberato da ogni remora grazie auna drastica scelta di vita, a commentodelle pagine della sua biografia inseriscedelle vecchie foto di famiglia, come sesentisse la necessità di chiamare a testi-moni quei volti e quei luoghi, per comu-nicare un di più, il non-dicibile [...].

È doloroso per un cinese smettere diessere tale, ci sono cose profondamenteconnaturate alla sua cultura. Il nome,per esempio, sempre prima il nome difamiglia (Kang, nel caso del nostro auto-re) seguito dal nome proprio, Zhengguo.È costretto a rinunciarvi una prima volta

quando accetta il nome di famiglia delvecchio contadino che lo ha

adottato, e diventa Li.Avrebbe potuto con-

servare il suo nomeproprio, ma ri-

nuncia anche aquello sceglien-done un altroche gli pare di

Repubblica Nazionale

Personaggio bizzarro, collezionista eccentrico, maniaco ossessivocon la passione del cinema e del balletto, scrittore e vignettistaenigmatico, misterioso, di cupezza vittoriana, torna ora in libreria

a dieci anni dalla morte per iniziativa di Adelphi con “L’arpa muta”Un lavoro che, col consueto mix di parole e illustrazioni, mette ferocemente alla berlinal’esercito dei romanzieri inutili e degli editori che li pubblicano

CULTURA*

EdwardGorey

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

neroHumor

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 18 APRILE 2010

vetri purché azzurri. Ma, a leggere il già citato saggio di Codignola, Go-rey era un maniaco ossessivo fin da quando a undici anni giocò a Mo-nopoli per un anno intero da solo. Era nato nel ‘25 e sarebbe vissuto fi-no all’aprile del 2000. Aveva letto almeno tre volte tutte le opere diAgatha Christie, aveva visto tutto quello che il cinema gli offriva e ancheil balletto: non perse una sola replica del New York City Ballett il che vo-leva dire 150 Schiaccianoci e 39 Lago dei cigni… Il gusto per il nero (e ilmortuario) lo portò a mettere in scena (nel ‘77) un Dracula che aBroadway fu applaudito ad apertura di sipario per la scena interamen-te nera.

In questi giorni Adelphi, sempre per le cure di Codignola, manda inlibreria L’arpa muta-ovvero Mr Earbrass scrive un romanzo che fu inpratica il suo esordio nel 1953, quando era fresco della laurea in lette-ratura francese presa a Harvard. Mr Earbrass è un tipico scrittoresenz’anima oltre che un autentico idiota, il che già mette in agitazionechi considera il mondo delle lettere pieno di geniali creatori. Nella pri-ma vignetta Earbrass si trova su un campo da croquet, nel Mortshire,dove vive abitualmente: «È intento a studiare una partita lasciata in so-speso l’estate scorsa». Nella seconda vignetta vediamo Earbrass inten-to, questa volta, a prendere il tè, mentre il testo ci informa che un annosì e un anno no, il 18 novembre lo scrittore pone mano al suo “nuovo ro-manzo”. Il titolo lo ha già, è L’arpa muta, ma della trama non ha per orala più pallida idea. Gorey sta prendendo in giro se stesso? È probabile,ma credo abbia in mente anche certe teorie critiche sulla scrittura. Adun certo punto Mr Earbrass fa il bagno e medita intorno ad un brano delromanzo che non lo soddisfa. Vorrebbe spostarlo, ma poi pensa: «Già,ma dove? Ci sono cose che neppure un autore onnisciente può per-

mettersi — ad esempio, interrompere la narrazione per tornare indie-tro e raccontare una storiella qualsiasi ambientata a Ladderback, in Ti-bet, proprio mentre i personaggi si stanno dannando l’anima per deci-dere se sia o no il caso di dragare il laghetto vicino al Dishiver Cottage».

Sebbene sia all’epoca un esordiente, Gorey sembra conoscere a fon-do il mondo dei letterati: ne individua manie, sorprese, desolazioni. Ilpovero Earbrass quando scrive si mette sempre una tuta al contrario egli capita persino di vedere un personaggio che lo apostrofa sulle scale.Ad un certo punto il poveretto rilegge la parte già scritta dell’Arpa mu-

ta e la giudica atroce. Vorrebbe bruciare tutto. Poi si riprende e va avan-ti. Gorey ritrae lo scrittore alle prese con il finale e con la revisione deltesto. Lo accompagna fino in casa editrice dove vogliono sottoporgli unpiano per tradurre tutte le sue opere in urdu…

Ma quali sono le opere di Mr Earbrass? Lo si dice all’inizio: Un sac-

chetto di polvere, Più pugni che grugnie Di cosa sparliamo?. Più in là tro-viamo citato anche il suo secondo romanzo Il significato della casa: Ear-brass ne trova una copia da un venditore di libri usati con una sua de-dica di cui non ricorda nulla. Il suo primo romanzo si intitola invece La

piantagione di tartufi. Comunque, ora L’arpa mutaè in libreria. Gli edi-tori mandano a Earbrass tutte le recensioni uscite, ma lui si incaponi-sce a leggere un Compendio delle eresie minori nell’Asia Minore del Do-

dicesimo secolo. In due anni ne ha lette solo trentatré pagine, ma oravuole andare avanti. Mr Earbrass è lo scrittore di cui nessuno ha biso-gno, ma che, sembra dirci Gorey, si pubblica lo stesso. Con successocrescente. In inglese, in urdu e magari anche in italiano.

In una fotografia degli anni Novanta, pubblicata nel 2007 da Har-

vard Magazine a corredo di un servizio su Edward Gorey, si vedeun uomo calvo e barbuto disteso in mezzo a libri e giornali, men-tre alcuni gatti sono sdraiati qua e là. Un lettore, neppure troppodistratto, potrebbe chiedersi: chi, tra queste creature, è il veroEdward Gorey? In fondo Gorey potrebbe benissimo essere (o

meglio essere stato) un gatto. Basta scorrere Category (pubblicato inItalia da Adelphi nel 2003 col titolo Gattegoria) per convincersene: nonsi sa se è Gorey ad interpretare la gattitudine, o se è un gatto a leggere ilmondo. Si tratta comunque di cinquanta disegni molto eleganti e di-vertenti, ma anche fortemente allusivi. Nel secondo, per esempio, si ve-de un gatto di schiena che scruta l’orizzonte marino deserto stando suuna barca rovesciata. Che cosa accadrà dopo l’evidente naufragio?Ogni lettore è libero di interpretare questa storia senza parole, che mol-to probabilmente finisce bene, visto che i gatti, specie quelli delle vi-gnette finali, sono sorridenti e l’ultimo, vittorioso, indossa una sciarpasvolazzante stando ritto su un muro alla cui base c’è una porticina. Do-ve porterà? Il mistero è insoluto.

Se non fosse stato un gatto, Edward Gorey avrebbe potuto essere unpinguino, come il protagonista de L’ospite equivoco, tradotto da Mat-teo Codignola per Adelphi nel 2004. In una cupa casa vittoriana (Goreyama muoversi tra lo stile vittoriano e l’edoardiano) si sente suonare al-la porta, ma chi va ad aprire non trova nessuno. Però, guardando me-glio, ecco uno strano figuro appollaiato su un vaso che, esigenze di ri-ma, lascia tutti «con un palmo di naso». Il pinguino non è un ospite fa-

cile: se siede a tavola mangia anche le stoviglie, se acchiappa il gram-mofono (uno di quelli vecchi, a tromba) non ne vuol sapere di rimet-terlo al suo posto. In biblioteca manomette i libri e sposta i quadri. Sot-to forma di pinguino il nonsense entra nella vita di tutti i giorni di unafamiglia dickensiana. Ma sebbene abbia illustrato Dickens e oltre aDickens moltissimi altri scrittori (Beckett, Eliot, Updike, Chandler…) iveri padri nobili di Gorey sono Lewis Carroll e Edward Lear. Anche Go-rey compose limerick, un po’ funerei, come questo che trascrivo: «Ogninotte papà mi riempie di affanni/ quando siede sul mio letto a far dan-ni/ Non mi importa se si esprime/ con borbottii o false rime/ ma per-ché è morto da diciassette anni».

Sebbene nei suoi libretti (ne ha pubblicati quasi cento) compaianospesso dei bambini, l’opera di Gorey non è affatto destinata all’infan-zia, come ribadisce in un suo gustoso e informatissimo saggio(Adelphiana 2003) Matteo Codignola, che della fortuna di Gorey in Ita-lia è ora il maggior artefice. «Quando si sentiva chiedere che esperien-za avesse dei bambini, e perché nei suoi libri infliggesse loro i tormentipiù indicibili, Gorey rispondeva molto tranquillamente: “Nessuna. Liuso soltanto perché sono così indifesi”». C’è anche un limerick su uncurato un po’ pedofilo… Ma la violenza e addirittura la morte si celebraanche nella Bicicletta epiplettica dove i due fratelli Embley e Yewbert«hanno una mazza da croquet per uno, e se la danno in testa».

Personaggio bizzarro, Gorey in America è da tempo oggetto di culto:la televisione lo ha reso popolare e la sua casa a Cape Cod è meta di pel-legrinaggi. Nella sua vita ha collezionato di tutto e tutto è ancora lì: fer-ri da stiro, sassi e rane, confezioni di medicinali purché di color arancio,

Il nonsense in punta di penna

IL LIBROL’arpa mutadi Edward Goreyesce da Adelphimercoledì(traduzionedi MatteoCodignola,72 pagine, 16 euro)

PAOLO MAURI

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Repubblica Nazionale

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

Adiciassette anni ègià bigamo. Un belrecord. E neanchel’unico nella foco-sa vita della leg-genda del rock’n’-

roll Jerry Lee Lewis, detto “the kil-ler”, micidiale performer che neisuoi anni d’oro era capace di ri-baltare intere platee con quel mo-do sfrenato di cantare, in eviden-te ambiguità sessuale, i suoi ca-valli di battaglia, Whola lottashakin’goin’on o Great balls of fi-re, pestando a pugni e calci il suoincandescente pianoforte boo-gie. Dire che sia una vita da ro-manzo è riduttivo, ma come talela tratta Nick Tosches, abilissimonarratore che trasforma la vicen-da umana e musicale di Lewis inquello che a tutti gli effetti risultaun grande romanzo americano,dominato dai contrasti tra l’arre-tratezza della campagna e le ten-tazioni di città, tra la voglia di es-sere un predicatore timorato diDio e diventare invece un testi-mone vivente della musica deldiavolo, “the killer” appunto, ilpiù inguaribile e sistematico deipeccatori.

Dall’infanzia povera negli statidel Sud, tra cerimonie religiose,teppismo giovanile, miseria rura-le; alla perdizione della notte neilocali più malfamati; fino agli illu-sori splendori del successo, pun-

tualmente rovinati dall’indole ri-belle e autolesionista, dall’incon-trollabile demonio interiore chelo spingeva sempre a guastareogni cosa, la storia di Lewis attra-versa quella dell’America, ne in-

terpreta le contraddizionima anche la mobilità, il fervo-re, la speranza, la tracotanteenergia. Il libro (in uscita perle edizioni Alet) si intitola Conme all’inferno (Hellfire nell’o-riginale), rende molto benequesta storia di fuoco e pecca-to, di costante lotta tra Dio eMammona, ed è stato accolto inAmerica come un capolavoro.Addirittura, si è detto, la migliorebiografia rock mai scritta.

Di sicuro Jerry Lee sembra per-fino irreale nella tenacia con cuisa trasformare la sua vita in undrammatico, agrodolce roman-zo. E la scrittura di Tosches seguecon brillante passione le tappe diquesta vicenda. Quando, dopotanto vagabondare, arriva al suc-cesso, si sposa per la terza voltacon Myra, sua cugina di terzogrado, che il giorno del matri-monio ha appena tredici an-ni. La cosa viene tenuta na-scosta per un po’, ma nel1958 i giornali inglesi la ti-rano fuori e lo scandalodistrugge la sua carrie-ra. Viene abbandonatoda tutti, tranne che dal djAlan Freed, quello a cui la leg-genda attribuisce l’invenzionedel termine rock’n’roll. Freed

SPETTACOLI

Rockand rollkiller

Re degli eccessie delle classifiche,il cantantedi “Great ballsof fire” tornaprotagonistain una biografiache scorrecome un romanzoL’abbiamo lettain anteprima

GINO CASTALDO

continua a far ascoltare i suoi di-schi, ma neanche lui è uno stin-co di santo: viene devastatodallo scandalo payola, unasorta di tangentopoli che feceluce sul sistema di corruzionenelle radio americane. Cosìanche l’ultimo amico di JerryLee viene neutralizzato.

Seguono altre tragedie, lamorte di due dei suoi figli,l’alcol, la droga, ma anchemomenti di pura esalta-zione. Ci sono pagine, inquesto libro, di inquie-tante bellezza. Ad esem-

pio, la descrizione dellecerimonie religioserurali, dove improvvi-

samente i fedeli comin-ciano a dimenarsi come

indiavolati e a parlare lin-gue sconosciute. O la po-

tente descrizione della piùclamorosa jam session mai

capitata nella storia delrock’n’roll. Quel giorno, il 4 di-

cembre 1956, nello studiolodella Sun, l’etichetta di

Memphis che aveva lanciato Pre-sley e altri fondatori del rock’n’-roll, tra cui lo stesso Jerry Lee, si ri-trovano per caso insieme Elvis,Johnny Cash, Carl Perkins e l’ap-pena scritturato Jerry Lee Lewis.

Cominciano a giocare e cantareinsieme, depositando sui nastridell’etichetta un autentico teso-ro. Sam Phillips, il capo della Sun,lo definì “Million dollar quartet”,anche se la seduta fu registrata inmodo rudimentale e non è statopossibile sfruttarla adeguata-mente. Sorprende casomai chequei quattro, tutti in diversi modiesponenti di spicco della musicadel diavolo, si mettessero a canta-re gospel, musica da chiesa. Ma èproprio questo il punto. Quellamusica discendeva dallo slanciodi possessione che tutti, neri ebianchi, avevano assaporato nel-le chiese protestanti.

Poco tempo dopo Phillips ven-de il suo più luccicante gioiello,Elvis, alla Rca per quarantamiladollari: per quei tempi una cifrapiù che ragguardevole. A Phillipssembra un buon affare. Ma non loè. Anzi, passa agli archivi come ilpeggior errore mai commesso intutta la storia della discografia. El-vis è stato ed è tutt’ora una minie-ra inesauribile di denaro, parago-nabile solo ai Beatles e a MichaelJackson. Lewis da parte sua, dopolo scandalo, deve ricominciarepraticamente da capo, suonandoa cento dollari a sera in locali mi-nori e proponendo una più mori-

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Repubblica Nazionale

IL LIBRO

Con me all’inferno.La vita di Jerry Lee Lewis è la biografia della rockstar

scritta da Nick Tosches

È in uscita il 21 aprile

da Alet (traduzione

di Fabio Zucchella,

224 pagine, 18 euro)

pretendendo di essere ricevutodal “re” in persona. Dice di essereatteso, ma dalla casa non arrivaalcuna conferma. Lui allora tirafuori la pistola e minaccia di spa-rare a chiunque cerchi di fermar-

lo. Viene chiamata la polizia eLewis finisce una volta ancora inprigione. E solo perché il re delrock’n’roll non ha voluto ricever-lo nella sua reggia.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 18 APRILE 2010

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“Dicono che sono cattivo

ma ho ucciso solo zanzare”

NICK TOSCHES

Parlavamo della Bibbia, e hai detto che il tuo libro preferito è quello della Rivela-zione…«Non è quello che ho detto. Ho detto dalla Genesi alla Rivelazione. Prendilo come

una cosa unica. Ma è difficile scegliere un libro nella Bibbia. Ce ne sono così tanti. Hostudiato la Bibbia tutta la mia vita».

C’è qualcosa nella Bibbia che ti sembra di non aver capito?«Sai perché non capisci? È perché stai cercando una facile via di fuga. Ora, se puoi mo-

strarmi qualcosa che mi indichi come uscirne fuori senza bruciare il mio didietro all’in-ferno, io saprò dov’è. Io e te bruceremo all’inferno. Siamo nei guai. Siamo peccatori, an-dremo all’inferno».

Non ne sono così certo. Davvero pensi che ci andremo?«Dritti come una zucca. Penso che ci siamo attardati abbastanza a lungo. Il tempo è

vicino».Nessuno andrà in paradiso?«Molto pochi. È difficile arrivarci, figliolo. E di sicuro non passando attraverso il Pa-

lomino Club. La Chiesa non può garantirti il paradiso, e neanche la religione. La Bibbianon parla mai di religione, parla di salvezza».

È vero che una volta hai spinto un pianoforte nel mare?«Puoi giurarci che l’ho fatto. Successe a Charleston, nella Carolina del Sud. L’ho spin-

to fuori del teatro, fino in strada, l’ho spinto lungo il molo e poi l’ho spinto dritto nell’o-ceano. Ho solo cominciato a spingere e poi si è annebbiato tutto. Non ricordo bene per-ché l’ho fatto. Doveva essere un pessimo pianoforte. Non credo che l’abbiano mai re-cuperato. Sarà diventato cibo per gli squali».

Secondo te, Elvis è finito all’inferno o in paradiso?«Non mi tirerai dentro una cosa del genere. Elvis ha avuto molto tempo per prepa-

rarsi. Ho parlato con lui della sua anima. Sai una cosa? Ci sono stati solo quattro che con-tano: Al Jolson, Jimmie Rodgers, Hank Williams e Jerry Lee Lewis. Il resto di questi idio-ti cavalcano un maledetto cavallo, suonano una chitarra o ammazzano qualcuno inqualche stupido maledetto film».

Non ti sei mai stancato di cantare Great balls of fire notte dopo notte?«Ho dovuto, sempre. Altrimenti la gente avrebbe voluto i soldi indietro. In fondo ab-

biamo venduto qualcosa come trentotto milioni di copie di quel disco».È vero che i tuoi antenati possedevano Monroe, in Louisiana?«È un dato di fatto. Il mio bis-bisnonno era il proprietario. Poteva stendere un caval-

lo con un pugno. Un diavolo di uomo, Old Man Lewis. I Lewises hanno una grande sto-ria. Bevitori incalliti. Giocatori incalliti. Tutti peccatori. Te l’ho detto, io sono un cattivo».

Davvero pensi di essere così cattivo?«Non so, non vorrei pensare così. Sono gli altri a dirlo. Mi hanno sempre chiamato

“the killer”. Mi sono sempre chiesto perché. Credo che lo dicessero in senso musicale,non perché io sarei andato in giro a uccidere persone. All’inferno, la sola cosa che ho

ucciso è una zanzara della Louisiana. The killer. Dio, odio questo dan-nato nome».

L’intervista è apparsa integralmentenel libro The Nick Tosches

Reader, Da CapoPress 2000 © Nick

Tosches

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gerata musica country. Ma è ov-vio che tra il santo e il peccatore, aprevalere è sempre il peccatore.Da sottolineare una della paginepiù travolgenti del libro: il raccon-to della prima volta che Lewis

canta dal vivo Whola lotta sh-skin’goin’on, l’improvviso in-fiammarsi del locale, il delirio chesi impossessa delle ragazze lan-ciate verso il palco come offertedevote allo sciamano.

Chi ha assaporato un poteredel genere, difficilmente può di-menticarsene. E sicuramentenon ha dimenticato il vecchioJerry Lee Lewis, oggi settantacin-quenne, rassegnato forse alla vit-

toria del peccato, ma senza smet-tere per tutta la vita di credere nel-la salvezza. Anche se per conqui-starla ha fatto davvero poco, co-me quella volta che va fino alla ca-sa di Elvis, la mitica Graceland,

LE IMMAGINIJerry Lee Lewis all’apice

della carriera: a destra,

a colori, il suo disco

più recente, Last ManStanding. Foto

gentilmente concesse

da Alet edizioni

Repubblica Nazionale

i saporiContaminazioni

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

Tra le mille seduzioni della città marocchina anche quelladi essere diventata una meta gourmand. Non solocouscous e tajine, ma spezie, frutta secca, pesci e verdure,mix agrodolci, echi di ricette europee danno vitaa piatti cult dove l’abbinamento fa davvero la differenza

DatteriArrivano dall’oasi di Tafilalet,dove prospera un maestosopalmeto di 700mila alberi(con festa dedicata a metà ottobre)Dolcissimi, sono immancabiliin pietanze, insalate e dessert

TèLa menta profuma irresistibilmenteil tè verde che scandisce la giornata:tonico, digestivo, rituale,viene servito in bicchieri alti,stretti, colorati, versatoda teiere d’argento istoriato

Olio d’ArgànOccorrono le bacche di sei pianted’Argania Spinosa per fareun litro di questo nettare di tradizioneberbera, dalle proprietà lenitiveIl profumo originale battezza pesci e minestre

MandorleAmatissime e indispensabili in cucina, dal latte (sharbat billuz)all’olio, fino alla pasta, con cuisi farciscono i dolcetti (kaab al ghazal)Sono una costante per couscous,tajine, focacce e insalate

Ras el-hanoutLa risposta marocchina al curryindiano è “il meglio del droghiere”, un poderoso mix di spezie tostate e macinate, con cui si insaporisce,tra gli altri, lo stufato di agnelloal miele (mrouziya)

Africa-Francia, capolavoro fusionLICIA GRANELLO

l’appuntamentoSi svolgerà dal 16 al 24 lugliola quarantacinquesimaFesta Nazionaledelle Arti Popolari di Marrakech,il più antico festival culturaledel Marocco. Mille artisti e 350milaspettatori (dati della scorsa edizione),per una nove giorni – e notti – ininterrotta di spettacoli, parate,cene, dibattiti, presentazioniche animeranno l’intera cittàNumerosissimi baracchinidi bevande e cibi di strada

Questionedi olfatto. Annusare Marrake-ch è come sentirsi Alice nel paese dellemeraviglie: un attimo e ci si ritrova ca-tapultati in un mondo magico, colora-tissimo, odoroso come nessun altro. Segli afrori del Cairo sono concentrati nel

mercato delle spezie e quelli di Barcellona tra Bar-rio Gotico e Boqueria, i sentori della Medina, la zo-na centrale di Marrakech, divampano e si ricom-pongono come stormi di uccelli. Ne segui uno equando stai per afferrarlo un altro ti assale, mascal-zone e irresistibile, a braccetto con una tavolozza dicolori abbaglianti.

Se è vero che si mangia con la bocca ma si gustacon tutti e cinque i sensi, allora Marrakech è davve-ro il paradiso dei gourmet. Pazienza se il mare è aun’ora di macchina e all’imbrunire il traffico vi met-te a dura prova. La città trionfa accendendo la fan-tasia dei suoi frequentatori.

Lo sguardo passa in rivista le cento bancarelle di

Jamaa el Fna, la grande piazza dove si mischiano in-cantatori di serpenti e bancarelle di datteri. Il nasofreme per il misto seducente di polveri che battezzale carni di manzo e d’agnello, le frasi accattivanti deivenditori di spremute d’arancia tentano le gole as-setate. Immergere le mani nelle ceste di frutta sec-ca è questione di un attimo, quasi come scrocchiar-ne un paio sotto i denti. «Say couscous» gridano i fo-tografi più intraprendenti, traducendo il sempiter-no «Cheese» con cui si immortalano le facce sorri-denti nelle foto di tutto il pianeta.

Certo, la natura aiuta. Basta inseguire l’orizzonteda una delle terrazze della città vecchia per scopri-re fattorie e palmeti immensi, prodromi di desertoe oasi da Mille e una notte, giardini lussureggianti einaspettate coltivazioni biologiche.

Qui, i francesi non sono passati invano. Al di là dicouscous e tajine, che ancora si contendono il pri-mato del piatto più popolare in città, la contamina-zione tra gourmandise e tradizione araba ha pro-dotto una cucina di fusione franco-africana curio-sa e golosa. Tutto, ovviamente, comincia negli sto-

rici luoghi del cibo, che qui si dividono tra la distesabrulicante dei venditori di strada e il nido d’ape dibotteghe assiepate nelle viscere dei palazzi d’antàn.

Assemblare materie prime e spezie in quantità èpratica sapiente, da cui nascono i piatti-culto dellaMarrakech gourmand. Così, il battuto di melanza-ne prende quota grazie a frutta secca e passita, lacroccante pasta millefoglie si accoppia con la mor-bida carnalità del foie gras, pesci e crostacei incon-trano le verdure sul bilico dell’agrodolce.

Se la cucina marocchina vi tenta, ma avete biso-gno di un incoraggiamento, tra la visita alla mo-schea della Koutoubia e una passeggiata lungo i via-letti dei giardini di Majorelle — ex casa di vacanze diYves Saint-Laurent — entrate al glorioso hotel LaMamounia, riaperto lo scorso autunno dopo unmeticoloso restauro: mentre ammirate gli arredimagnifici e la sequenza di opere d’arte, un tuffo ne-gli enormi piatti di datteri appoggiati sui tavoli vi fol-gorerà il palato, come novelli San Paolo sulla via delMarocco gourmand.

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MarrakechCucina

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 18 APRILE 2010

itinerari

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Consulente della famigliareale e veteranade “La Mamounia”,l’hotel amato da Churchille Yves Saint Laurent,Liliane Humbert dirige“L’Italian par Don Alfonso”,dove lo chef napoletanodelizia gli ospiti con il megliodella cucina mediterranea

DAR MOHA81 Rue Dar el-BachaTel. 00212-24-386400Chiuso lunedì,menù da 30 euro

LE GRAND CAFÉ LA POSTEBoulevard el-Mansour EddahbiTel. 00212- 024-433038Sempre aperto,menù da 25 euro

LA TABLE DU MARCHÉ(con camere)4 Rue du TempleTel. 00212-24-424100Sempre aperto,menù da 28 euro

KSAR ESSAOUSSAN3 Derb El MessaoudyenneTel. 00212-24-440632Chiuso domenica,menù da 35 euro

M’semmenIn coppia con le ciambelline (sfenji),le frittelle abbondano nella colazionedelle famiglie marocchineLe schiacciate di farina,acqua e sale, fritte nel burro,vanno servite caldissime con miele

BriwatA forma di sigaro o di triangolo, gli involtini di sottile pasta sfoglia(brik) sono un appetitoso ciboda strada. Si gustano come snackdolci o salati, farciti con gamberio con le mandorle col miele

HariraRicca la zuppa che accompagna i pasti del Ramadàn. Piccoli pezzi di carne cotti, poi assemblati con un brodo di ceci e limone(tka-tàa) e una crema di pomodoriA cotè, datteri e dolcetti

PastillaPolposo, lo sformato di piccionedal sapore dolce-salatoSi prepara infilando nella farcitura,carne cotta con burro,cipolle e zafferano,ma anche zucchero e mandorle

TajineIl piatto-simbolo della tradizionemarocchina è di spettanza maschileMarinate carne e spezie, la pentoladi terracotta viene portata al farnatchi,(il forno a legna pubblico)per una cottura sotto la cenere

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E ASSOUSSCOOPERATIVE D’ARGANERue el-Mouassine angoloRue Sidi el-Yamani

SOUQ BAB DOUKKALARue Fatima Zohra

MARCHÈ MUNICIPALENouvelle VilleRue ibn Toumert

MERCATO DEL MELLAHAve Houmane el-FetouakiPlace des Ferblantiers

MOUHASSIN EPICESRiads Zitoun10 Rue de la Bahia

PATISSERIE AL-JAWDANouvelle Ville11 Rue de la LibertéTel. 00212-24-433897

Dal vizir della guerra, quarti di montoni,piramidi di polli, pesci in forma dimontagna, couscous «per orchi» sotto

grandi coni di giunco bianco e rosso, che, nelcortile, formano un deposito di giganteschicappelli cinesi; dall’alto dei muri, si affaccianoteste velate. Pranzi su cuscini, e senza vino; iltè è sempre pronto negli alti samovar d’argen-to. Le ventidue portate sono accompagnateda una musica stridente e veloce; il vizir siedelontano — un buon musulmano non puòmangiare con dei nazzareni. Solo nel quartie-re ebreo il cibo è innaffiato da due o tre qualitàdi vecchi vini rosé coltivati nelle colline attor-no a Meknès, con grande scandalo dei musul-mani.

Ma Pierre Loti — lo scrittore ufficiale di ma-rina in missione nel 1889 dal sultano del Ma-rocco a Fèz — preferisce il «Marocco intimo»delle tribù; gli spostamenti in cui le ragazzine

portano gli agnelli sul collo e le mule dondola-no nelle ceste i puledri. La mouna firmata dalsultano — l’indispensabile “diritto di riscatto”che consente di attraversare le tribù e di esse-re accolti — si esprime ovunque in un lungo egrave corteo di cibi. Couscous al latte e zuc-chero; e montoni e polli vivi, sacrificati sul po-sto alla voracità della scorta. Ma meglio anco-ra, per Loti, il tè offerto dai beduini con un for-nello preistorico in terra secca; hanno da offri-re arance, pane e un’acqua incerta in cuiaffondano le dita. Tutto è meglio degli alber-ghi in cui il personale in cravatta bianca porgeil couscous a ore fisse, mentre clienti biondegiocano a tennis.

Il turismo infatti già avanza. «Da quandofabbrichiamo soli a volontà / soli prêt-à-por-ter», lamenta in versi Tahar Ben Jelloun, «ab-biamo fatto venire il mare fino a Marrakech».Così i profumi cambiano: «Le spezie venutedal fondo dell’Oriente al passo indolente del-le carovane — cumino — chiodi di garofano —sessi doppi — ambra — cocacola — benzoino(…) il nostro mondo è posseduto». L’etnologoMichel Leiris, militare in Africa del Nord, man-gia da legionario «frutta, caffè e ammazza-caffè».

Jean Genet — circondato come un tempoAndré Gide da ragazzi che carezzano «lo zob diMonsieur» — prende casa per un figlioccio a

Larache; e lui, sempre senza bagagli, è invasodi colpo dall’universo degli oggetti: tegami so-prattutto — non una cucina chiavi in mano,ma casseruola per casseruola. A scuola portaal bambino secchi di limonata e dolci “cornadi gazzella”. Paul Bowles non osa incontrarlo,sa che non frequenta i bianchi, che si moltipli-cano. Nel ‘17 è arrivata Edith Wharton; nel ‘54Elias Canetti offrirà una moneta a un mendi-cante, che la mette in bocca e ve la gira e rigira:è cieco, e la sta leggendo. Da Bowles passanoTennessee Williams e Ruth Fainlight, che vie-ne trascinata a una cerimonia nel deserto per«un santo berbero»; sui bassi tavolini sorti dal-la sabbia arrivano i tre tè rituali, dolci e bollen-ti; gli indemoniati non mangiano più rospi eserpenti, e così Bowles indica agli ospiti la dan-za del ventre: da vicino, la ballerina accaldatasembra proprio un ragazzo.

Quarti di montone, couscous “per orchi”il mito del Marocco nella letteratura

DARIA GALATERIA

LA MAMOUNIAAvenue Bab JdidTel. 00212-24-388600Camera doppia da 500 euro,colazione inclusa

RIAD 72 (con cucina)72 Arset Awsel - Bab Doukkala Tel. 00212- 24-387629Doppia da 160 euro,colazione inclusa

TALAA 1212 Talaa Ben YoussefTel. 00212-24-429045Doppia da 150 euro,colazione inclusa

RIAD MERIEM154 Rue Mohamed El BeqalTel. 00212-24-437062Doppia da 125 euro,colazione inclusa

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Repubblica Nazionale

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

le tendenzeNon solo fiori

Peonia e geranio, ma anche vaniglia e pompelmo, tabacco,caffè puro e tè del Sudafrica. Al Cosmoprof di Bologna premiatele fragranze dell’anno, con un ritorno ai fioriti verdi, freschie allo stesso tempo retrò e con l’avanzata di speziati e agrumatiLa conferma riguarda i consumi: nonostante la crisi le italiane(e gli italiani) hanno speso in essenze novecento milioni di euro

LAURA LAURENZI

BOLOGNA

Il profumo dell’anno è Lola diMarc Jacobs, un bouquet florea-le che sa di peonia e geranio maanche di pepe rosa, vaniglia e

pompelmo. Quello da uomo invece èCK Free, legnoso e aromatico, con ac-centi di tabacco, caffè puro e tè del Su-dafrica. I cosiddetti Oscar del profumo,tributati a sei diverse categorie, sonostati assegnati durante una serata di ga-la venerdì a Bologna nel corso del Co-smoprof, la più importante fiera dellacosmesi del mondo.

I profumi sono stati votati da una giu-ria di 40 mila italiani in 401 punti vendi-ta diversi, fra profumerie e grandi ma-gazzini. A loro si è affiancata una giuriaspeciale affollata di nomi celebri: daFranco Battiato a Mario Biondi, da Car-lo Ancelotti a Paola Barale, da MarellaFerrera a Massimo Ghini, da SimonaVentura a Zlatan Ibrahimovic. A con-durre la serata, non senza qualche im-paccio, Victoria Cabello.

La crisi non ha inciso più di tanto sulconsumo dei profumi, erodendo solol’uno per cento, secondo gli ultimi datiresi noti al Cosmoprof. Il valore totaledella cosmetica è stato lo scorso anno di9,1 miliardi di euro; quello che riguardaprofumi e fragranze è pari a 897,47 mi-lioni di euro. Ovviamente si profumanopiù le donne degli uomini, ma il distac-co non è poi così schiacciante. Le don-ne incidono infatti con una spesa di cir-ca 549 milioni di euro, gli uomini si atte-stano sopra i 348. Dato significativo: au-menta sensibilmente (più 4,1 per cen-to) l’uso dei deodoranti e degli antitra-spiranti.

La recessione taglia implacabilmen-te le spese voluttuarie, ma sui profumi,dotati di grande valore aggiunto, si ten-de a fare qualche sacrificio in più. Pro-fumo come benessere diffuso e insiemecome piccolo lusso abbordabile. Quan-to ai gusti imperanti, la tendenza da se-gnalare sembra quella di un ritorno aifioriti verdi, freschi e allo stesso temporetrò, gli speziati, i fruttati, soprattuttogli agrumati, ma Gian Andrea Positano,responsabile dell’ufficio studi Unipro,sostiene che i trend sono i più diversi ecoesistono pacificamente: «Il classicotiene sempre moltissimo, ma i premiconferiti dall’Accademia confermanola validità di numerose nuove esplora-zioni creative».

Crescono (anche se solo con un fiocopiù 0,3 per cento) i consumi della co-smetica. Se le aziende hanno fatturatocomplessivamente il 2,5 per cento inmeno ciò è dovuto alla diminuzionedell’export. Si vendono bene i prodottiper il corpo, crescono anche i solarimentre precipitano (meno 9,1 per cen-to) gli anticellulite. Si acquistano i pro-dotti di base, legati all’igiene e conside-rati indispensabili, mentre su molto al-tro si tira la cinghia.

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DSQUARED2Miglior creazione olfattivada uomo: ambra minerale,incenso e giglio del CanadaWood vince ancheil premio per il migliorpackaging da uomo

ETROMiglior prodotto

di nicchiada uomo,

l’agrumatoPegaso:

bergamottoe cedro

con sentoredi neroli

e basilico

SERGE LUTENSMiglior prodotto

di nicchiaè Fémineté

du bois:prevale il legno

di cedrocon notecremose

MIYAKEVince come migliorpackaging donna:

il flacone ha origineda un pezzo di vetro

grezzo dal fascino primitivo

CALVIN KLEINMiglior profumo dell’annoda uomo Ck Free:all’assenzio, all’anicedalle insolite notearomatiche e speziate

MISS DIORPremio migliorcomunicazioneFirma lo spotSofia Coppola

MIYAKEVince ex aequoil premiocome miglior creazioneolfattiva da donna:verbena, giacintoe gelsomino

ACQUA DI PARMADivide ex aequo

con Miyake il premio migliorcreazione olfattiva

da donna: distilla il raroprofumo della magnolia

D&GVince il premio uomocome migliorcomunicazione:cardamomo,ginepro, betullaper Le Bateleurispirato ai tarocchi

Oscarprofumo

del

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 18 APRILE 2010

“Ogni nuova miscela è un messaggioche parla al nostro inconscio”

Luciano Bertinelli, presidente dell’Accademia del profumo

Luciano Bertinelli è il presidente di Accademia delProfumo, che da vent’anni assegna i suoi “Oscar”.Quali sono le nuove tendenze?

«I profumi premiati, selezionati dai consumatori,esprimono chiaramente la voglia da un lato di conser-vare saldi i canoni della tradizione olfattiva e dall’altrodi esplorare nuove interpretazioni di modernità».

I creatori di fragranze hanno a disposizione una ta-volozza di circa tremila materie prime. Chi detta i cri-teri con cui sono selezionate?

«I criteri sono di due ordini, quello tecnico e quellocreativo. Dal punto di vista tecnico la selezione si ope-ra sull’attendibilità della fonte di approvvigionamen-to, che significa non solo migliore qualità, ma anche re-golarità e continuità delle forniture. Dal punto di vistacreativo, il profumiere seleziona le materie prime a se-conda del proprio stile e dell’obiettivo da raggiungere.Mi piace paragonarle alle lettere di un alfabeto che il“naso” utilizza per scrivere un messaggio ogni volta di-verso. Per questo ci sono creatori che attingono ad unavasta selezione di materie prime ed altri che si limita-no ad un numero molto ridotto, poche centinaia».

Perché tanti profumi si somigliano?«Anche se non esistono più da tempo i diktat olfatti-

vi, è evidente che i numerosi profumi lanciati ogni an-no si iscrivono in grandi correnti che rispecchiano gu-sti e tendenze. In questa dimensione è possibile chefragranze diverse possano contenere inflessioni e con-cetti vicini. È come nella moda: ci sono per ogni sta-

gione temi dominanti». Perché i profumi di marca costano tanto?«Perché si spende moltissimo in marketing, in co-

municazione, in pubblicità. Il liquido che è dentro labottiglia alla fine è la cosa che costa di meno».

Vengono lanciati sempre nuovi profumi. Que-st’anno oltre trecentocinquanta. In che percentualesopravvivono?

«Uno su dieci a dir molto. Gli altri finiscono nel di-menticatoio».

Quanto incide un testimonial famoso?«Il valore del testimonial varia da campagna a cam-

pagna, ma non dimentichiamo che è più importante ilbrand. Questo spiega perché i testimonial vengonomolto spesso cambiati».

Quanto è importante il packaging?«In generale un packaging attraente contribuisce

molto all’affermazione di un prodotto, ma quel che fala differenza è, e rimane, la qualità del profumo».

Che vuol dire che un profumo, attraverso il suo per-corso olfattivo sensoriale, può aumentare il nostrobenessere?

«Le essenze hanno la capacità di influenzare a no-stra insaputa il nostro inconscio: studi scientifici han-no evidenziato che alcuni odori possono avere un ef-fetto stimolante o al contrario rilassante sul nostrotracciato encefalografico, quindi sulla nostra mente».

(l. lau.)© RIPRODUZIONE RISERVATA

ACQUA DI PARMAFrizzante e agrumato,Magnolia vince ex-aequoil premio come migliorprodotto made in Italyper donna

MARC JACOBSÈ Lola il miglior profumodell’anno da donna:pepe rosain grani, pera,peoniaDi Marc Jacobs

L’ANTEPRIMA

Presentata in anteprima al Cosmoprofdi Bologna nel corso di una serata di gala,l’ultima fragranza donna di Ferragamo: si chiama Attimo. Fra i componenti menoconosciuti la pera Nashi, il Kumquat e il fiore di frangipani. A questi accenti si mescolano il fiore di loto, il profumo della gardenia e gli effluvi rosati e particolarmente femminili della peonia. La scia, lieve ma persistente, è data dal mix di muschio, legno di cedro e patchouli. La famiglia olfattiva è fiorita, verde,legnosa. Ecologico il cartone utilizzato per il packaging, secondo la tendenza che va verso “una bellezza che non inquina”La testimonial è Dree Hemingway, pronipote dello scrittore

COSTUME NATIONALMiglior prodotto made

in Italy da uomo:Homme ha una fragranza

sobria con traccedi uva, timo, sandalo,

bergamotto

BULGARIVince ex aequo comemiglior prodotto madein Italy da donna: Blusa di violetta, anice,liquirizia e mandarino

Repubblica Nazionale

l’incontro42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 18 APRILE 2010

Carismatici Oscar, Tony, Emmy, cinema, teatroe televisione. Ha fatto incettadei massimi premi, ma non smettedi voler “continuare ad assaporare

la gioia di recitaredavanti a un pubblicoin carne e ossa”Predilige i personaggiambigui o decisamentenegativi e difendele sue scelte: “Se dovessi

interpretare persone perbenee cristalline, temo che mi annoiereiI cattivi sono più divertenti”

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Nessuna automobile,nessun altro mezzodi trasporto, anchenei viaggi lunghi,mi dà il piaceredella moto:la mia Ducatiè come una Ferraria due ruote

gli ammalati di Aids. «Ritengo che la co-sa da fare per rendere utile la propria ce-lebrità sia quella di enfatizzare causeche hanno bisogno di ossigeno per es-sere visibili», mi spiega, senza alcunaenfasi. Poi assume un tono disincanta-to: «Riguardo alla politica, ho cercato diaiutare con convinzione i laburisti, maora non appoggio alcun partito. Troppipolitici non hanno null’altro da fare checoncepire leggi non necessarie, spe-cialmente a livello di parlamento euro-peo. Penso che dovremmo educare edincoraggiare la gente a comportarsi inmodo da rendere la vita più piacevoleper tutti, e non guardare costantemen-te al governo per ottenere risposte».

Al crescente atteggiamento di distac-co verso lavoro e politica si contrappo-ne l’attenzione dedicata alla vita fami-liare (è sposato dal 1978 con Sinead Cu-sack, dalla quale ha avuto due figli, Sa-muel e Maximilian) e alle attività spor-tive. È un ottimo cavallerizzo e un ma-gnifico sciatore, oltre che un grandetifoso della squadra calcistica del Port-smouth. Ma la passione più divorante èrappresentata dalle motociclette, cheusa come mezzo di locomozione ancheper i lunghi viaggi: definisce la sua Du-cati una «Ferrari a due ruote» e spiega:«Poche forme di trasporto mi procura-no lo stesso piacere della motocicletta:è necessario essere sempre attenti e ri-spettosi delle condizioni meteo, dellestrade, dei limiti di velocità. Inoltre lamoto ti permette di non restare intrap-polato nel traffico a quattro ruote». LaDucati tuttavia non è l’unico amore: lasua scuderia, che si arricchisce conti-nuamente di nuovi acquisti, è compo-sta da una Audi A6 Quattro Estate, dauna Cruising Bike Bmw, da una MorrisMinor, da una Honda 50 e da un Mag-giolone Volkswagen.

Ai tempi della scuola, un liceo chia-mato Sherborne nel Dorset, cominciò asuonare la batteria e l’armonica e insie-me a un gruppo locale chiamato ironi-camente “The Four Pillars of Wisdom”conquistò una discreta fama con unaversione di Moon River. È il periodo incui scoprì la passione per l’esibizione inpubblico e per la recitazione. Cominciòa studiare presso la Bristol Old Vic Thea-tre School e debuttò nel musical God-spell, alternandosi in due ruoli diversis-simi: Giuda e Giovanni Battista. Lospettacolo ebbe un grande successoma, dopo un ruolo di contorno in Nijin-ski, il vero lancio avvenne grazie all’in-terpretazione di Charles Ryder nellaproduzione della Bbc di Brideshead Re-visited. Il passaggio al cinema fu imme-diato e a distanza di pochi mesi duettòmeravigliosamente con Meryl Streep in

La donna del tenente francese. Sin da questi inizi appare evidente

l’eclettica intelligenza delle scelte e lacontinua ricerca della qualità: gli auto-ri dei romanzi rispondevano al nome diEvelyn Waugh e John Fowles. Per nonparlare di Harold Pinter, che sceneggiòil film per la regia di Karel Reisz, e per ilquale interpretò subito dopo la versio-ne cinematografica di Tradimenti, ac-canto a Ben Kingsley. Irons divenne im-mediatamente una star e cominciò adalternare le interpretazioni per il cine-ma europeo a quelle per Hollywood,non disdegnando mai i ruoli interes-santi nei film americani indipendenti.Sin da quegli anni mostrò di preferirepersonaggi ambigui, se non dichiarata-mente malvagi: è il caso di Inseparabilidi David Cronenberg; di Lolitadi AdrianLyne, nel quale interpreta HumbertHumbert immortalato in precedenzada James Mason; di Il mistero Von Bu-low di Barbet Schroeder. Non sono cer-to mancati personaggi nobili, positivi, ocomunque caratterizzati da unaprofonda umanità, come quelli inter-pretati in Mission di Roland Joffé e in Io

ballo da soladi Bernardo Bertolucci, mal’immagine prevalente è sempre, volu-tamente inquietante: seducente e nellostesso tempo luciferina. Ne è prova lascelta fatta dalla Disney, che lo chiamòa prestare la voce a Scar, il felino che uc-cide il proprio fratello nel Re Leone perstrappargli lo scettro.

«Sono affascinato dai personaggiambigui ed enigmatici», mi spiega conun sorriso, «una delle aree più interes-santi del mio lavoro è imparare perchécostoro sono quello che sono. La lavo-razione di un film può essere lenta e tor-tuosa e, se dovessi interpretare personeperbene e cristalline, temo che mi an-noierei. Ovviamente i “cattivi” sonopersone che non seguono le regole del-la società: sono destinati ad essere sco-raggiati nella vita ed è il motivo per cui èdivertente interpretarli».

Queste caratterizzazioni, sempre raf-finate e spesso sorprendenti, sono statebilanciate costantemente dalle scelteteatrali. Una delle interpretazioni cheha lasciato un segno nei palcoscenici in-glesi è stata quella di Henry Higgins inMy Fair Lady, il raffinato glottologo chesi innamora della semi-analfabeta ElizaDoolittle nella versione musicale delPigmalione di George Bernard Shaw.Dopo il successo nel ruolo di Alfred Stie-glitz nella biografia televisiva di GeorgiaO’Keeffe, Irons sta preparandosi adessoper il ruolo di Rodrigo Borgia, l’uomoche divenne papa con il nome di Ales-sandro VI: «Sto leggendo tutto quelloche è stato scritto sulla famiglia Borgia emi colpisce di non aver trovato una bio-grafia accurata su Rodrigo: molti pette-golezzi e sospetti ma nessun fatto pro-vato con certezza».

Tuttavia, tra tutti i ruoli affrontati, ècon ogni probabilità quello di ClausVon Bulow che presenta maggiori peri-coli e sfumature. L’uomo che vennecondannato e poi assolto in appello perl’omicidio della moglie non ha nulla diattraente o simpatico, e il grande avvo-cato Alan Dershowitz utilizzò abilmen-te questa caratteristica per costruireun’accusa di pregiudizio che invalidòprove schiaccianti a suo carico. Un per-sonaggio che portava con sé il rischio diintrappolare per sempre una carriera,ma nel suo caso condusse al premioOscar. Dopo la fine del processo e la di-scussa assoluzione Von Bulow si è riti-rato a Londra e ha diradato le appari-zioni pubbliche, limitandosi a scrivereoccasionalmente di teatro. Irons lo haincontrato soltanto molti anni dopoaverlo impersonato sullo schermo, enon deve essere stato un incontro pia-cevole: «Ho avuto l’impressione che lamia interpretazione non fosse troppo

distante dalla realtà». Ancora oggi coltiva le passioni della

gioventù, e sono in pochi a sapere che hadiretto un video musicale per Carly Si-mon. Il filmato, intitolato Tired of beingblonde, negli anni è diventato di culto.La musica rappresenta un momentoimportante del suo percorso creativo, enon si è mai tirato indietro anche di fron-te a incisioni e esecuzioni difficili. Lascelta di interpretare Henry Higgins inMy Fair Lady testimonia infatti sia l’a-more per la musica che per il palcosce-nico, dove al talento naturale unisce unatecnica acquisita con caparbietà e unagrande presenza scenica: è alto quasi unmetro e novanta, ma è in grado di muo-versi con raffinata scioltezza.

Così non ha mai abbandonato il tea-tro, anche nei momenti di maggioresuccesso cinematografico: lo scorsoanno ha interpretato con successo aBroadway Impressionism, ed è appenaandato in scena a Londra in The God’sweep. L’alta qualità della sua formazio-ne teatrale, che lo ha visto interpretareripetutamente Shakespeare, ha lascia-to il segno anche nel cinema: tra le in-terpretazioni più intense e sensibili c’èquella di Antonio nel recente Mercantedi Venezia con Al Pacino. «La mia edu-cazione teatrale ha dato forma a tuttoquello che ho fatto. Lavorando come at-tore e come stage manager ho visto diquale disperato talento ci sia bisognoper realizzare uno spettacolo. Il fattoche a teatro esistano molti ruoli straor-dinari, mi ha reso più esigente nellascelta dei ruoli cinematografici». A que-sto punto Irons si ferma un attimo, co-me se volesse confidarmi qualcosa: «Hoassaporato la gioia di recitare di fronte aun pubblico in carne e ossa. Si tratta diun elemento che nel cinema, inevita-bilmente, mi manca».

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ANTONIO MONDA

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Ha mostrato il propriomagnifico talento inogni forma di spettaco-lo, alternando conti-

nuamente cinema, teatro, televisione emusica. Ha ricevuto un’educazioneclassica estremamente rigorosa, chetuttavia non lo ha mai portato a disde-gnare forme di intrattenimento più leg-gere. È stato insignito di ogni tipo di ri-conoscimento, ed è uno dei pochi atto-ri ad aver ricevuto il premio Oscar (Il mi-stero Von Bulow), il Tony (The RealThing) e due volte l’Emmy (The GreatWar and Shaping of the 20th Century eElizabeth I). Parteciperà stasera al“Viaggio nel cinema americano” al-l’Auditorium Parco della Musica di Ro-ma, e ci tiene a spiegarmi che non ha al-cun atteggiamento di snobismo neiconfronti del cinema statunitense, an-che quello più mainstream e commer-ciale. «Sono un attore, e come tale lavo-ro quando vengo scritturato. Se la sto-ria, il personaggio e il regista sono inte-ressanti, sono felice di accettare l’offer-ta di lavoro. Si fanno buoni film sia inEuropa che negli Stati Uniti, così comebrutti film».

È nato con il nome di Jeremy JohnIrons a Cowes, nell’isola di Wight, inuna famiglia di origini irlandesi. Il bi-snonno era un attivista politico, dalquale ha ereditato una concezione del-l’esistenza che non ignora mai l’impe-gno nella vita sociale. È stato per moltotempo un generoso sostenitore del par-tito laburista, e non ha mai fatto man-care il proprio sostegno a cause nobilicon azioni concrete e gesti simbolici,come l’indossare tra i primi a Hol-lywood il nastro rosso di solidarietà per

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Jeremy Irons

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