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N. 4 - Anno 2015 COLLEGIO UNIVERSITARIO “LAMARO POZZANI” - FEDERAZIONE NAZIONALE DEI CAVALIERI DEL LAVORO 9 | 2015 ECONOMIA CULTURA FORMAZIONE POLIS SCIENZE 01-11-15 PANORAMA PER I GIOVANI EDIZIONE DIGITALE Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro Direttore responsabile Mario Sarcinelli Direttore editoriale Stefano Semplici Grafica David D’Hallewin Direzione Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” Via Giuseppe Saredo N. 84 - 00173 Roma, tel. 06 72.971.322 - fax 06 72.971.326 Internet: www.collegiocavalieri.it E-mail: [email protected] Autorizzazione edizione on-line Tribunale di Roma n. 361 del 13/10/2008 panoramaperigiovani.it PANORAMA PER I GIOVANI

PANORAMA 9 | 2015 PER I GIOVANI 01-11-15 · EDIZIONE DIGITALE Federazione ... 2 PANORAMA PER I GIOVANI ECONOMIA N. 9 - Anno 2015. ... della propria ridefinizione sulla base di fattori

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N. 4 - Anno 2015COLLEGIO UNIVERSITARIO “LAMARO POZZANI” - FEDERAZIONE NAZIONALE DEI CAVALIERI DEL LAVORO

9 | 2015

ECONOMIA CULTURA FORMAZIONE POLIS SCIENZE

01-11-15

PANORAMA PER I GIOVANI E D I Z I O N E D I G I T A L EFederazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro

Direttore responsabileMario Sarcinelli

Direttore editorialeStefano Semplici

GraficaDavid D’Hallewin

Direzione Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” Via Giuseppe Saredo N. 84 - 00173 Roma, tel. 06 72.971.322 - fax 06 72.971.326Internet: www.collegiocavalieri.itE-mail: [email protected]

Autorizzazione edizione on-line Tribunale di Roma n. 361 del 13/10/2008 panoramaperigiovani.it

PANORAMA PER I GIOVANI

N. 4 - Anno 2015

Se ci chiedessero “quali sono gli effetti della corruzione?”, noi tutti potremmo rispondere a gran voce “un impoveri-mento del Paese!”. Ma sappiamo quantificare questo im-poverimento? Quali sono i reali effetti della corruzione sull’economia del nostro Paese?Secondo la Corte dei Conti italiana, la corruzione in Ital-ia costa 60 miliardi all’anno, poco più della metà del costo della corruzione in tutta Europa, con una crescita di circa il 30% di casi di corruzione rispetto allo scorso anno. In-oltre, secondo Transparency International, l’Italia è scesa dal 29esimo posto nel 2001 al 67esimo posto nel 2010 in quanto a livelli di corruzione, andandosi a collocare tra Pae-si come Brasile, Guatemala ed Egitto.In realtà, però, questo dato non è da considerare in modo assoluto: la corruzione è un fenomeno difficile da indagare e, anche nel caso in cui si riuscisse a quantificare tutte le tangenti pagate in un anno, questo dato sarebbe solo la punta dell’iceberg. Per riuscire a rappresentare il fenome-no nella sua completezza bisogna infatti considerare anche tutte le distorsioni che la corruzione produce. Pensiamo in-nanzitutto che la corruzione, essendo per sua essenza un atto di egoismo che lede l’uguaglianza sostanziale dei cit-tadini, mette in pericolo la libera concorrenza e l’efficienza dei mercati. Tutto questo si concretizza ad esempio in un aumento della spesa nei contratti dei servizi pubblici del-lo Stato, che trova il suo corrispettivo in una diminuzione della qualità delle opere pubbliche. Quindi ogni irregolarità negli appalti ci fa diventare più poveri due volte: la prima volta perchè più la spesa per le opere pubbliche cresce, più saranno i tagli allo stato sociale; la seconda volta perché maggiore è il furto di risorse, minore è la qualità del servizio offerto al cittadino. È sotto questa luce che dobbiamo in-quadrare, ad esempio, i crolli delle scuole appena inaugu-

rate e i minori finanziamenti per le sale operatorie.Un altro effetto collaterale sono i mancati investimenti stranieri: la corruzione, infatti, mina la credibilità dell’Italia agli occhi del mondo, scoraggiando i potenziali investito-ri. Secondo l’Unctad, l’afflusso medio di capitali stranieri tra il 2004 e il 2008 in percentuale sul PIL in Italia è stato dell’1,38%, appena 1/3 di quello francese riferito allo stesso periodo. Tale “spread” corrisponde a più di 40 miliardi, una cifra che, se investita in modo corretto, consentirebbe di creare posti di lavoro, realizzare opere fondamentali per il trasporto pubblico, oppure completare la messa in sicurez-za di tutti gli edifici scolastici. Quello che ci appare è un circolo vizioso. Non deve stupire, quindi, che il libro The cost of corruption degli economisti Marco Arnone e Eleni Iliopulos dimostri la forte correlazione tra corruzione, man-canza di trasparenza, controllo dei media, mancato stato di diritto e perfino trattamento discriminatorio nei confronti delle donne e mancata crescita del PIL.Infine, dobbiamo considerare un altro tipo di costo, forse il più grave, anche se non strettamente economico. Riguarda il rapporto intrattenuto dai cittadini con la cosa pubblica e si manifesta in un generale allontanamento dalla vita politica a causa di uno sdegno che, nel momento in cui diventa situazione cronica, si trasforma in sfiducia e disillusione. «La democrazia», scriveva Levi della Torre, «è in salute quando è animata da grandi ambizioni. Ma se il ceto po-litico si affatica nella propria autoconservazione, o nella gestione del proprio “particulare” privilegiato, vuol dire che manca l’ambizione, cioè l’immaginazione, e con questa, la prospettiva storica. La corruzione è indice della mancanza di ambizione storica; mentre la qualità etica della politica non è un orpello di moralisti, ma il fattore essenziale di una democrazia vitale».

Il prezzo della corruzioneUn male che in Italia ingoia 60 miliardi all’anno.

di Chiara Colognese

2 PANORAMA PER I GIOVANI

ECONOMIA N. 9 - Anno 2015

N. 4 - Anno 2015

In questi giorni numerosi spettacoli, convegni, articoli e mostre commemorano Pier Paolo Pasolini nel quaran-tennale della sua scomparsa. Anche a noi sembra giusto dedicare questo piccolo spazio in suo omaggio, senza promettere ovviamente ai lettori una trattazione esaustiva su una delle più complesse e controverse figure del Nove-cento, un intellettuale moderno nei contenuti ed eclettico nelle forme dell’espressione artistica.Quel che ci preme sottolineare è l’apporto tangibile e pre-zioso che Pasolini ha dato e continua a dare alla nostra società. Per questo speriamo che le recenti commemo-razioni siano uno stimolo per riscoprire i suoi scritti di di-sarmante lucidità e quel cinema di immensa poesia che rappresenta il culmine della sua attività. Soltanto in questo modo possiamo evitare che il suo pensiero venga dimen-ticato, travisato o strumentalizzato.Chi era Pasolini? Un inossidabile contestatore, certo, ma non per questo fossilizzato in ambiti tradizionalmente cari alla sinistra cui sentiva di appartenere. Sono proprio l’ori-ginalità e l’autonomia di pensiero che ne fanno un intellet-tuale corsaro. Il marxista scettico sul comunismo, l’ateo innamorato delle Sacre Scritture, il rivoluzionario polemico con gli studenti capelloni sessantottini, l’antiborghese che sfrutta gli strumenti della borghesia come il Corriere o il cinema.Tutte queste non sono contraddizioni: sono la traduzione pratica del compito dell’intellettuale, di colui che lancia l’al-larme in tempi non sospetti, che smuove gli animi dalla pigrizia mentale in cui si sono intorpiditi, che non esita a criticare le mistificazioni del vivere civile, che non ha pau-ra di andare contro il proprio interesse. L’intellighenzia di sinistra lo accusava di disimpegno intendendo l’impegno come militanza. Ma l’intellettuale, per confermarsi tale, non può militare. Deve osservare, capire, e soprattutto comunicare. Pasolini infatti sosteneva che il maggiore dei mali è non essere compresi.La sua grandezza sta nel valore profetico delle sue affer-mazioni. Già negli anni sessanta aveva capito, ad esem-pio, che la televisione sarebbe riuscita lì dove ogni impeto patriottico o impegno istituzionale avevano fallito: cemen-tare l’idea di Italia negli italiani, consacrando l’unità cultura-le della nazione a distanza di un secolo dall’unità politica.Oggi ci sembra banale discutere di problematiche sociali come consumismo e massificazione, libera espressione della sessualità e mercificazione dei corpi, incensurabili-tà dell’arte, integrazione delle aree urbane più disagiate (usando l’efficace immagine di Renzo Piano, il “rammendo delle periferie”). Eppure nulla di tutto ciò era scontato in un passato non troppo lontano e il contributo di Pasolini è spesso stato determinante per imporre questi temi all’at-tenzione pubblica e formare una consapevolezza diffusa.Nei romanzi degli anni ’50, Pasolini vedeva nel proleta-riato delle borgate romane l’ultimo barlume d’innocenza e purezza, di mancata contaminazione dai mali della classe media. Ben presto, anche quell’ultima fascia di popolazio-

ne sarebbe stata fagocitata dai modelli fittizi del benes-sere borghese. Allora Pasolini, secondo cui «l’anima non cresce più» nel «ricordo di un amore consumato», conti-nuò la sua ricerca di una “sottoclasse” in cui la luce di uno sguardo potesse rivelare la purezza di un mondo diverso. Rivolse la sua attenzione al terzo mondo, girando film in Marocco, nello Yemen o in Nepal. Tuttavia non intendeva questa scelta come una sorta di narcisistico rifiuto della società che disprezzava. Come già aveva mostrato in Uccellacci e uccellini, non abbandonò mai il suo posto di intellettuale critico, che alla crisi dell’intellettuale guardava con preoccupazione, sentendosi sempre più chiamato in causa in una società sempre più ferita.Nell’ultima fase della sua vita, dopo aver abiurato la Tri-logia della vita, descrisse in Salò o le 120 giornate di So-doma la violenza estrema che il potere attua sull’uomo. Sarebbe riduttivo interpretare questo brusco passaggio in chiave di una visione più pessimistica della realtà. La te-traggine di Petrolio e Salò risponde allo stesso imperativo espresso con dolcezza nelle Ceneri di Gramsci: «credi nel mondo senza altra misura che l’umana storia». E se pen-siamo alla storia personale di Pasolini, ci rendiamo conto di quanto una vita violenta sia spesso più confacente alla realtà che alla finzione.

Pasolini, o l’intellettuale moderno

di Giulio Tanzarella

3PANORAMA PER I GIOVANI

CULTURA N. 9 - Anno 2015

N. 4 - Anno 2015

Premuniti dalla difficoltà storica di appartenere ad un’epoca che ha smesso di produrre il senso di ciò che non produce immediato profitto, l’Università e, più in generale, il mondo dell’Istruzione si trovano a dover fare i conti con la sfida della propria ridefinizione sulla base di fattori quali l’attualità storica e le esigenze del mondo contemporaneo.“Università dove sei?” è un convegno tenutosi il 7 ottobre presso l’Auditorium del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che si è proposto di trattare la questione in un quadro di presentazione per i ra-gazzi del Liceo Scientifico Amaldi di Tor Bella Monaca e di dibattito costruttivo, orientativo, informativo per gli studenti già iscritti all’Università che vi hanno preso parte.Nel corso della mattinata sono intervenuti il prof. Piero Ve-reni, docente di Antropologia culturale, il prof. Giuseppe Patella, docente di Estetica, il prof. Francesco Aronadio, docente di Storia della Filosofia Antica, il prof. Fabio Pie-rangeli, docente di Letteratura italiana e infine Roberto Iup-pa, ricercatore in Fisica: diverse voci, diversi background, diverse opinioni. Ogni relatore ha messo a disposizione la propria esperienza, competenza e testimonianza presen-tando la propria disciplina e esprimendo onestamente le proprie idee sull’Università, «perché possa essere un mo-mento di crescita per gli studenti di oggi e domani», citando il prof. Vereni.Nel pomeriggio, è intervenuto il prof. Tuninetti, docente di Filosofia della Conoscenza alla Pontificia Università Ur-baniana, raccontando al pubblico la figura di Henry New-man e il suo scritto The Idea of University (1852). Inglese convertito al cattolicesimo, Newman matura il progetto di istituire una nuova Università Cattolica in Irlanda. Tre sono le condizioni fondanti la sua concezione di Università: l’im-prescindibilità della teologia considerata come strutturante il curriculum accademico, l’aspetto della formazione pro-fessionale declassato a “non obiettivo” e, da ultimo, l’idea

che la finalità ultima dell’università debba consistere nella formazione intellettuale dei suoi studenti, non nel progresso della scienza.

Università: sfida alla ridefinizione di séDove si produce il senso del fine del mondo.

di Elvira Pompili

4 PANORAMA PER I GIOVANI

FORMAZIONE N. 9 - Anno 2015

N. 4 - Anno 2015

È il 2 gennaio 2015. Sulla costa di Lista, in Norvegia, un pensionato trova una muta. Si avvicina e si accorge che contiene delle ossa. La polizia brancola nel buio e invia una “Black Notice” attraverso Interpol, che ottiene risultati im-mediati. Il 27 ottobre 2014, sulle dune di Texel, in Olanda, un corpo è stato trovato nelle stesse condizioni.La direzione del giornale norvegese “Dagbladet” dà car-ta bianca a Anders Fjellberg e al fotografo Tomm W. Chri-stiansen per scoprire l’identità delle due persone ritrovate. Punto di partenza sono le mute, entrambe acquistate a Ca-lais il 7 ottobre 2014. Con una lunga inchiesta, iniziata dalla cosiddetta Giungla, nella località francese, e proseguita in vari Paesi europei, i due cronisti ricostruiranno due storie all’insegna del dramma.Mouaz Al Balkhi, 22 anni, studente a Damasco, raggiunge la famiglia in Giordania nel 2013, dopo numerosi arresti arbitrari da parte della polizia di Assad. Non essendo stato ammesso all’università di Amman, il giovane lascia i ge-nitori e la sorella Rahaf per andare a studiare in Turchia, cosa che non si rivelerà possibile. L’obiettivo diventa l’In-ghilterra, dove vive lo zio Badi. Nell’agosto 2014 Mouaz vola in Algeria, da cui giunge in Libia attraversando il de-serto. Dopo 10 giorni parte su un barcone per l’Italia, dove arriva sano e salvo. Spostatosi a Dunkerque, nel nord della Francia, falliscono numerosi tentativi di nascondersi sui ca-mion per raggiungere il Regno Unito. Il 7 ottobre 2014 Al Balkhi decide di attraversare a nuoto la manica partendo da Calais, ma non rivela le sue precise intenzioni alla fami-glia. Il suo ultimo messaggio alla sorella, alle 18.30, recita: “mi mancate”.Il giorno stesso Shadi Omar Kataf, classe 1986, telefona a suo cugino Ziad, che vive in Belgio, e dice: “Sono a Calais,

in Francia. Devi venire a prendere il mio portatile e il mio zaino. Non ho abbastanza soldi per pagare i trafficanti di esseri umani, comprerò una muta e nuoterò fino all’Inghil-terra”. I tentativi di dissuasione sono vani e il cellulare si scarica.Appassionato di nuoto, Shadi lavora come gommista a Damasco. Con lo scoppio della guerra la sua casa è bom-bardata e la famiglia si sposta nel campo di Yarmouk. Qui vivono fino a 150.000 persone in due chilometri quadrati, sotto i bombardamenti di Assad e gli attacchi dell’ISIS, in condizioni igienico sanitarie inenarrabili. Per sopravvivere ci si nutre di erba e gatti. Nel 2012 il giovane si trasferisce in Libia, dove vive e lavora la sorella Racha. Lei sparirà nel 2013 lasciando due figli, e non sarà mai più ritrovata. Il fratello diventa sub e ottiene la licenza da istruttore, con cui spera di trovare lavoro in Italia, Paese che raggiungerà su un barcone nell’agosto 2014. Arrivato in Francia vive per strada e a inizio ottobre, disperato, confessa al padre l’in-tenzione di attraversare la Manica a nuoto. Da allora non si avranno più sue notizie. Forse i due giovani siriani si sono incontrati in Italia e han-no proseguito insieme per la Francia, dove hanno compra-to insieme il materiale per la traversata. Quello che è certo è che finiranno il primo sulle coste olandesi, il secondo su quelle norvegesi, come ha confermato il test del DNA.La forza di queste storie sta forse nella loro autonomia da ulteriori commenti, che risultano, probabilmente, non necessari. Sono narrazioni che “parlano da sole” e che si pongono di fronte a noi con fermezza, ricordandoci ancora una volta che dietro a ogni numero c’è una vita; e che in fondo in fondo se due vite terminano nel Mare del Nord a vent’anni, la responsabilità è, in parte, anche nostra.

Due mute, due vite

di Michelangelo Caserta

5PANORAMA PER I GIOVANI

POLIS N. 9 - Anno 2015

Il ritrovamento di due corpi sulle coste del Mare del Nord e la scoperta di due storie di ordinaria disperazione.

N. 4 - Anno 2015

In un Occidente ancora scosso dall’Ebola, ecco il ricono-scimento mondiale più ambito a tre microbiologi di “vecchia data” per aver fornito all’umanità «nuovi, potenti mezzi per combattere malattie che colpiscono ogni anno centinaia di milioni di persone».«Le conseguenze nel miglioramento della salute globale e nella riduzione della sofferenza sono incommensurabili» sottolinea il Comitato di assegnazione del Nobel.E non potrebbe essere altrimenti.Per filariasi, cecità fluviale e malaria sono a rischio ogni anno 3,4 miliardi di persone, distribuiti in 97 Paesi del mondo; si parla di poco meno del 50 % della popolazione mondiale, in particolar modo, di coloro che abitano l’ Africa subsahariana, l’Asia del sud e l’America Latina, dove molte di queste pato-logie sono diventate endemiche.Ai 3 microbiologi è stato riconosciuto l’indiscutibile contri-buto nel trattamento di queste parassitosi, definite con l’e-spressione anglosassone di “neglected tropical diseases”: sono patologie diffuse in alcuni degli angoli di mondo più popolati dall’uomo, ma meno all’avanguardia da un punto di vista igienico-sanitario.A Satoshi Omura, scienziato giapponese della Kitasato University, e a William Campbell, ricercatore irlandese del-la Drew University, è stata attribuita una terapia di conteni-mento di due parassitosi, la filariasi e l’oncocercosi o cecità fluviale, causate da vermi nematodi trasmessi da mosche e zanzare.A rendere il loro lavoro ancora più stimabile e incredibile, è anche l’aver vissuto e studiato per anni lontano dalle tecno-

logie occidentali degli anni ‘70, animati unicamente dalla pa-zienza certosina nello studio di ordinarie colture batteriche e di diverse tipologie di erbe officinali.Di erbe si è occupata anche Youyou Tu, studiosa cinese dell’Accademia cinese di medicina tradizionale, vincitrice di metà del premio di 8 milioni di corone svedesi, corrispon-denti a circa 900 mila euro. Studiando un manuale di anti-che tradizioni mediche di 1600 anni fa, Tu avrebbe capito che occorreva estrarre l’erba a basse temperature per non trasformare i suoi principi attivi in veleni, conservandone le proprietà curative.«Ero disposta a sacrificare la mia vita personale per il lavo-ro; la mia più grande ricompensa era vedere i miei pazienti curati», dichiara la studiosa, che nel 1972 riuscì a ridurre la mortalità per malaria del 30 % nei bambini e del 20 % negli adulti, ma che solo intorno al duemila vide i primi ricono-scimenti in patria e da parte della comunità scientifica del tempo.Sicuramente, uno dei contributi più significativi di queste ri-cerche è proprio l’insegnamento di un vero “umanitarismo scientifico”, che si riscopre vicino anche a coloro che, nei loro Paesi d’appartenenza, non possono nemmeno predi-sporre degli interventi preventivi di prima linea. Lo studio di questi tre microbiologi riscopre anche uno dei modelli più virtuosi di ricerca scientifica, una ricerca che, più che trovare il suo punto di forza nei finanziamenti, ritrova il suo più autentico significato nella caparbietà del ricercatore, va-lorizzando anche elementi ricavati dalla conoscenza della medicina tradizionale.

Un Nobel alla medicina tradizionale e all’umanitarismo I Nobel per la Medicina 2015. Verso una medicina meno tecnica e più vicina all’uomo.

di Vito Cormaci

6 PANORAMA PER I GIOVANI

SCIENZA N. 9 - Anno 2015

Konserthuset, Stoccolma

N. 4 - Anno 2015N. 9 - Anno 2015

7PANORAMA PER I GIOVANI

RUBRICA SU ROMA

Il cantautore romano tuttavia perdeva di vista, nello scrive-re, un dettaglio tanto impercettibile ad un occhio esterno quanto fondamentale per chi Roma la vive e la abita ogni giorno. La Roma che respira e che emana gli odori più forti, non è quella del centro, dei sampietrini, delle rovine e delle chiese barocche. Ma quella dei rioni, dei quartieri, delle an-ziane signore col carrello della spesa e dei “pischelli” che escono urlando dalle scuole in due sul motorino: dunque proprio la Roma che tu, quartiere Don Bosco, rappresenti. Quante contraddizioni nella tua storia, da una parte fatta di cinema e di spettacolo, dall’altra fatta dal popolo, quel-lo semplice e genuino, che talvolta si è visto contaminato dalle storie di criminalità che hanno percorso negli anni la città eterna.Nato negli anni Sessanta vicino ad uno dei poli cinemato-grafici più importanti al mondo, Cinecittà, ti sei visto prota-gonista di una crescita smisurata in tempi brevi. Le stesse persone qui nate e cresciute stenterebbero a riconoscere quella stessa piazza che ogni giorno frequentano, se la ve-dessero percorsa da Vittorio Gassman nel film “L’audace colpo dei soliti ignoti”, o utilizzata da Fellini nel capolavoro “La dolce vita” come parte del quartiere EUR. Quelle stes-se vie che costeggiano il suggestivo Parco degli Acquedot-ti, meravigliosamente rappresentate in “Mamma Roma” di Pierpaolo Pasolini, risultano quasi irriconoscibili in una del-le scene più belle e ciniche de “La grande Bellezza”, quella della delirante performance di un’artista. Tuttavia, a dispet-to della numerosissima lista di film che nel tempo sono stati girati nel quartiere, questo tuo aspetto potrebbe essere in fondo come la bambina bionda messa davanti nella recita di fine anno, una luce posizionata ad arte per coprire le im-perfezioni, una Roma tanto bella da essere scelta dai mitici Pink Floyd per la loro ultima data italiana nel 1994.Già, caro quartiere, sei l’emblema delle contraddizioni che

abitano la città eterna, tagliato come sei da Via Tuscolana, che divide la curata zona residenziale antistante il Parco degli Acquedotti dai palazzoni di Don Bosco. Una differen-za immediatamente evidente nel valore di immobili distanti poche centinaia di metri l’uno dall’altro, che cresce in ma-niera inversamente proporzionale alla distanza dal Parco degli Acquedotti, culminando nella curata e appartata Via Lemonia, che costeggia con i suoi bassi palazzi l’ingresso del parco stesso.Tuttavia è la zona circostante il tuo complesso salesiano ad essere il polo storico su cui ti sei sviluppato insieme agli studi cinematografici di Cinecittà. Questa è la vera prota-gonista della vita di ogni giorno del quartiere: la piazza, la Basilica, l’oratorio. È qui che i “pischelli se sgrugnano i ginocchi” rincorrendo un pallone, inseguiti dalle grida del-le nonne, protagoniste del volgo di un tempo, lavoratrici o casalinghe semplici ma instancabili. Con il tempo la tua realtà è cambiata, s’è contaminata, nel tempo la voce del-la nonna è diventata più complicata da udire, confusa tra le tentazioni di una metropoli, una capitale in crescita. Tali trasformazioni sociali ed umane avvenute nell’area sono oggi evidenti nel Parco degli Acquedotti, testimoniate da elementi di baraccopoli ormai scomparse.Una passeggiata per la campagna romana può dar testi-monianza di questo e di un’altra faccia di Roma, oltre a quella storica, trionfale e caotica: il silenzio e la quiete sono elementi da ricercare nella tua città e tu, come quartiere, sei un buon punto di inizio, mostrando sulla tua pelle i se-gni indelebili della storia che corre. Sono così passate di qui come altrove, negli anni ’70-‘80, le stragi dell’eroina, la Banda della Magliana e le uccisioni politiche degli anni di Piombo, dei quali ancora Piazza Don Bosco porta i segni, con la lapide di Roberto Scialabba, militante dell’estrema sinistra freddato la notte del 28 febbraio ’78 dai NAR dell’

Lettera al quartiere Don Bosco

di Alice Favotto

“Quanto sei bella Roma quann’ è r tramonto quanno l’arancia rosseggia ancora sui sette colli” cantava An-tonello Venditti, con gli occhi di un uomo nato e cresciuto nella città eterna, che si scopriva per un istante turista, straniero appena capitato per le magiche e uniche vie del centro.

N. 4 - Anno 2015

EUR.Delle contraddizioni del quartiere siamo tornati a parlare dopo lo sfarzoso funerale di Vittorio Casamonica, accompagnato dalle note de “Il padrino”. Ed è stato necessario questo episodio di cronaca per vedere la Chiesa di Don Bosco e la sua piazza nei servi-zi dei telegiornali. Spenti i riflettori dell’attenzione mediatica, rimangono i problemi che incidono di-rettamente sulla vita quotidiana, come la gestione della pulizia e degli spazi. I parcheggi rappresenta-no una piaga a cui non sembra esserci soluzione: l’assenza di posti auto adeguati fa sì che le strisce pedonali, i marciapiedi e le piste ciclabili sparisca-no. Noi, da cittadini responsabili prima ancora che da residenti della zona, ci chiediamo come il vasto pezzo di territorio che ci circonda non possa es-sere oggetto di un piano regolatore piuttosto che essere lasciato a sé stesso. Ma intanto crescevi e cominciavano a delinearsi i confini tra i vari rioni: il Quadraro con la Sinistra estrema, tu variegato Don Bosco, il Lamaro e il più benestante Appio Claudio. Staccandoti dal Suburbio Tuscolano, la tua zona si sviluppava sia dal punto di vista edilizio che de-mografico e, con i negozi e i servizi, crescevano anche i conflitti interni.Ma anche oggi non dimentichiamo che sono molteplici gli esempi di coscienza civile testimoniati per le tue strade. Basti citare i volontari che, per iniziativa personale e senza alcuna sovvenzione pubblica, si sono impegnati a ripulire quel patrimonio unico nel suo genere che è il Parco degli Acquedotti. Un altro esempio è rappresentato dalla sorta di ambulatorio a Piazza dei Decemviri creato dal medico cardiologo Antonio Calabrò per visitare i poveri, i disperati, i clochard, gli “ultimi”. Oppure, ancora, il valore della testi-monianza religiosa apportata dalla tua basilica come unico tempio dedicato a Don Bosco in Roma: il suo oratorio, so-pravvissuto per più di mezzo secolo all’interno di un quartiere troppo variegato per consentire una visione totalitaria dell’educazione, ha accompa-gnato la crescita di intere generazioni con lo spirito di amorevolezza e di servizio aperto a tutti. È in-dubitabile che il quartiere rappresenti anche un la-boratorio socio-economico nel quale le idee di mi-glioramento e di sviluppo non sono mancate e non mancano. Risale per esempio al 1968 la fondazio-ne della scuola 725 nelle baracche dell’acquedotto Felice da parte di Don Roberto Sardelli, battutosi per il riscatto morale ed esistenziale dei baracca-ti di Roma. Inoltre, egli seguì negli ospedali la vi-cenda tragica degli ammalati di Aids e propose di rivedere le categorie teologico-morali che avevano creato esclusioni. L’esperienza della scuola, offerta ai bambini che venivano allora messi nelle classi differenziali, terminò nel 1974 quando il Comune di Roma assegnò le case popolari ai baraccati. Qual-che anno fa, Don Roberto richiamò i suoi studenti per scrivere, come allora, una lettera al sindaco per denunciare le nuove povertà e ingiustizie. Si tratta di un esempio di impegno politico concreto che ar-ricchisce la tua storia.Ma quante cose ancora da sapere su di te! Alcune sfuggo-no, altre vengono a far parte della cronaca nazionale, ma

in quale modo? Per esempio, sarebbe stato interessante sapere di più sui funerali di Piergiorgio Welby, quando il

Vaticano impedì la celebrazione in chiesa ed il quartiere rispose riempiendo la tua piazza. Questo è solo uno dei tanti episodi che nei decenni hanno segnato, solcato, attra-versato la quotidianità di tutti coloro che abitano quello che oggi è uno dei quartieri con più alta densità di popolazione d’ Europa.Ed è dunque con la speranza di poter far qualcosa per te che ti scriviamo: chi per più o chi per meno tempo, chi con passione più o meno accesa, ma noi studenti del Collegio ti viviamo ogni giorno.Ti saluto con la consapevolezza che avvicinandoti ad uno

di quei tuoi “pischelli”, forse proprio per le contraddizioni che ti rendono un quartiere unico, sentirai dirgli :“io nun te lasso mai”.

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N. 9 - Anno 2015RUBRICA SU ROMA