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Periodico dell’Associazione Culturale e del Paesaggio “Renzo Aiolfi” no profit di Savona Numero 21 • Novembre 2010 • Anno VIII • Copia omaggio Sergio Ravera Direttore Responsabile segue a pagina 2 segue a pagina 11 La cultura di Roberto Giannotti Jeronimus Wierix, San Miguel Arcàngel, Hacia 1570-75, con dedicatoria a Benito Arias Montano (sotto); Luis Tristàn, San Miguel Arcàngel, Hacia 1620, Convento de Santa Clara, Toledo (a destra). La cultura di una città, la sua sto- ria, la sua identità: possono essere questi elementi fautori di svilup- po economico futuro, di migliora- mento della qualità della vita? La risposta, breve e immediata, è sì. E’ un assioma generale che vale non solo per Savona, ma per qualsiasi realtà urbana, in Italia e in Euro- pa, in tutto il globo e specialmente in questa fase storica. Perchè ogni luogo del mondo ha il suo percor- so, la sua cultura, la sua identità, fatta di natura, ambiente e intera- zione con l’uomo. Dove questo è avvenuto con equilibrio, ma anche dove anche il genio umano ha la- sciato tracce importanti, è possibi- le trovare ed apprezzare il bello, a volte assoluto, nei capolavori di un monumento architettonico che esce prorompente dalla consuetu- dine o nell’armonia di edici sem- plici che si integrano nella natura di un luogo. Ma torniamo alla nostra amata Savona. Per chi oggi ha supera- to i quarant’anni, è possibile fare un primo bilancio interessante perchè è una generazione che ha visto molti cambiamenti. In tutti i termini: il tessuto sociale, l’aspet- to culturale, l’urbanistica, l’eco- nomia. Trent’anni fa, Savona era dal punto di vista economico una città portuale ed industriale, indi- rizzata verso una crisi irreversibile come del resto stava succedendo in tutte le realtà europee dove le grandi industrie cominciavano a confrontarsi con un mondo sem- pre più globalizzato, con lavora- zioni e forniture concorrenziali che stavano rendendo obsoleto un modo di lavorare e produrre appa- rentemente statico ed immutabile, capace per decenni di assicurare reddito a migliaia di famiglie. La città ha dovuto reinventarsi e fare i conti con la necessità di trovare nuove vie di sviluppo. Ma torniamo a quegli anni. Man- cava una cultura ambientalista, a tutti i livelli, e mancava anche una cultura della qualità della vita, a tutti i livelli. L’importante era di- sporre di una casa, di un lavoro per il sostentamento della fami- glia, di un’automobile. A qualsia- si costo. Non era importante, per conseguire quei legittimi obiettivi se l’asfalto e le automobili arriva- vano no agli scalini dei monu- menti, se c’era verde o meno, se le industrie inquinavano, se i cibi erano sani e naturali oppure no, se le case erano belle o brutte, se rovinavano per sempre un pae- saggio. E davvero, la grandissima parte delle abitazioni costruite tra il 1960 e i decenni successivi sono il disastro totale edilizio, lo strazio del territorio, in nome di una ap- parentemente ineluttabile necessi- tà, utilità, funzionalità, economi- cità. In Italia come a Savona, per non parlare delle Riviere. E’ stata un’epoca di mancanza di gusto e di qualità trasversale a tutte le ca- tegorie sociali, gli amministratori e gli amministrati, con migliaia di Come ha già segnalato il professor Bruno Barbero in un articolo pre- cedente sull’iconograa di San Mi- chele dalle pagine di questa stessa rivista, del quale questo vuole esse- re soltanto un discreto complemen- to incentrato più specicamente su ciò che concerne l’Impero Spagno- lo durante l’Età Moderna, il culto antichissimo per questo Arcangelo conobbe un momento di massimo splendore nel rinnovato fervore per le tematiche angeliche che il mondo cattolico apprese a partire dalla Controriforma. Tuttavia, per quanto riguarda il caso spagnolo, bisogna tenere con- to di una prima specicità derivata dall’incerto e peculiare Medioevo che conosce la penisola iberica, dominata in un primo momento dall’irresoluta unicazione religio- sa intorno al cattolicesimo dopo la conversione degli ultimi re visigoti nella loro corte di Toledo e, in un secondo momento, dal controllo musulmano quasi assoluto dell’in- tera penisola a partire dall’anno 712, che secondo le zone durerà otto secoli, e che avrebbe fatto sì che il culto per San Michele non giungesse a radicarsi, e di conse- guenza l’importanza che avrebbe avuto, per esempio, in Italia. Nella vicina Italia, come dimostra l’importanza che giunge ad avere il Santuario di San Michele sulla cima del Monte Gargano (Puglia), la gura dell’Arcangelo sareb- be stata più determinante, anche perché lì sarebbe apparso in varie occasioni, facendo del luogo una meta privilegiata di pellegrinaggi, La devozione all'Arcangelo fu tale nell’Impero Spagnolo che Filippo IV lo propose come patrono del regno. L’intento fallì, ma si tornò a imporre il suo culto nelle processioni e sugli altari, cosa che incrementò in buona misura il numero delle sue immagini. In questo contesto s’inquadra sia il San Michele del Museo delle Belle Arti di Cordoba, sia quello savonese della Certosa di Loreto, gemelli nell’iconografia e forse anche riguardo la provenienza andalusa e gienniense S. Michele, immagini nell’arte occidentale dell’Età Moderna di José María Palencia Cerezo visitato poi da Papi come San Ge- lasio nell’anno 494, o Pasquale II nel 1093. Pertanto, si può affermare che, anche prima della celebrazione del Concilio di Trento, San Michele in Italia aveva già una storia fortu- nata, poiché già nella seconda metà del XV secolo la regina Giovanna di Napoli abbelliva e ingrandiva il Gargano non solo per quanto ri- guarda il suo tempio, ma anche ag- giungendovi un ospedale, un ospi- zio e altri edici annessi. A partire dal XII secolo il sito fu visitato dai santi medievali più inuenti, come San Francesco d’Assisi, Santo Tom- maso d’Aquino, San Camillo de Lellis o Santa Brigida di Svezia. Ad ogni modo, senza realizzare una profonda ricerca a partire dai testi patristici medievali,risulta difcile poter precisare quali caratteristiche e funzioni, e di conseguenza, quale immagine, avrebbe avuto San Mi- chele nel corso di quel tempo; ma se facciamo un rapido percorso at- traverso le sue rappresentazioni, si potrebbe sostenere, a grandi linee, che durante tale periodo ebbe al- meno due condizioni: una prima di giudice e pesatore delle anime al momento del Giudizio Finale – da cui si può dedurre una condizione più “neutrale” in relazione al pro- gramma salvico dell’uomo ide- ato dalla Chiesa - , e una seconda di vincitore del male. Gli attributi di entrambe sarebbero stati la bi- lancia e la spada, e quest’ultima quella che alla ne avrebbe preval- so in un’Europa cattolica convul- sa, immersa in costanti guerre di religione, in un movimento ascen- dente che, specialmente a partire da Trento, avrebbe fatto sì che il nostro arcangelo venisse proiettato quale primo Generale delle legioni angeliche. Fra i due momenti, e in quanto an- gelo, nemmeno San Michele avreb- be mai perso la sua condizione di psicopompo, cioè di intercessore tra la terra e il cielo. In questo senso, in Spagna, già San Isidoro di Sivi- glia avrebbe parlato dell’esistenza degli arcangeli, traducendo il loro nome dal greco come “messaggeri principali” e considerandoli una terza gerarchia celeste, “destinata a presiedere le opere della Prov- videnza nella Creazione”. Michele signicherebbe “colui che come Dio”, poiché “quando succede nel mondo qualcosa di un potere portentoso, viene inviato questo arcangelo”, dato che “nessuno è capace di mettere meglio in chiaro ciò che Dio può fare”. Questo, tra- dotto in un’immagine della mitolo- gia classica, e se mi si consente il paragone, potrebbe essere qualco- sa come il raggio infuocato di Zeus che prende corpo umano, e che è mandato sulla terra ogni volta che il Padre vuole manifestare i segni di identità della sua onnipotente presenza. Intanto, il panorama teologico spagnolo dovette ordire non po- che discussioni in relazione alla funzione dei diversi cori angelici – che venivano teorizzati in numero di nove – e specialmente di quelli arcangelici, che secondo la tradi- zione altomedievale avrebbero avuto sette protagonisti principali, benché già nel XV secolo arrivasse una corrente di pensiero che difen- deva la teoria che, partendo dalla Bibbia, era possibile soltanto dare credito all’esistenza di tre di essi e chiamarli con i loro nomi. In tal modo restava tacitata la polemica relativa all’esistenza di sette,che si ravvivò e si diffuse rapidamente in seguito all’apparizione nel 1516 del noto dipinto murale nel Carmelo di Sant’Angelo a Palermo, che fece sì che in Italia la loro rappresentazio- ne godesse di qualche permesso in più da parte di Roma, benché tut- tavia, al riguardo, la venticinque- sima sessione del Sacrosanto Con- cilio di Trento decretava, nel 1538, che solo San Michele, Gabriele e Raffaele venissero “comunemente accolti”. In tal modo, nella cattolicissima Spagna – principale potenza so- stenitrice del Papato – la rappre- sentazione dei “quattro silenziati” – Uriel, Jeudiel, Baraquiel e Seba- tiel – avrebbe ottenuto una qualche fortuna soltanto durante il primo quarto del XVII secolo, benché solo in relazione a luoghi dove il ferreo controllo del Tribunale dell’In- quisizione poteva avere accesso a stento, come i conventi di patroci- nio reale, circostanza questa evi- denziata dall’esistenza nelle clau- sure di questi Conventi, di diverse rappresentazioni degli stessi, come per esempio quelle che realizzerà il cordovese Bartolomé Román per le Scalze Reali di Madrid, che parti- rà dalla nota serie delle Angelorum icones stampata nel 1575 dai am- minghi Gerard de Jode e Crispin de Passe. Eccettuati questi casi, com- pletamente nascosti alla vista del popolo, il controllo inquisitoriale permise appena che le loro immagi- ni proliferassero, e allorché diven- ne evidente, comportò l’istituzione di un processo, tra i quali famoso fu quello svolto presso l’Università

PIGMENTI N. 21

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Periodico dell'Associazione Renzo Aiolfi di SavonaDirettore responsabile: Sergio RaveraRedazione: Silvia Bottaro, Sonia Pedalino, Grazia RobaldoPer info: [email protected]

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Page 1: PIGMENTI N. 21

�Periodico dell’Associazione Culturale e del Paesaggio “Renzo Aiolfi” no profit di SavonaNumero 21 • Novembre 2010 • Anno VIII • Copia omaggio

Sergio RaveraDirettore Responsabile

segue a pagina 2segue a pagina 11

La culturadi Roberto Giannotti

Jeronimus Wierix, San Miguel Arcàngel, Hacia 1570-75, con dedicatoria a Benito Arias Montano (sotto); Luis Tristàn, San Miguel Arcàngel, Hacia 1620, Convento de Santa Clara, Toledo (a destra).

La cultura di una città, la sua sto-ria, la sua identità: possono essere questi elementi fautori di svilup-po economico futuro, di migliora-mento della qualità della vita? La risposta, breve e immediata, è sì. E’ un assioma generale che vale non solo per Savona, ma per qualsiasi realtà urbana, in Italia e in Euro-pa, in tutto il globo e specialmente in questa fase storica. Perchè ogni luogo del mondo ha il suo percor-so, la sua cultura, la sua identità, fatta di natura, ambiente e intera-zione con l’uomo. Dove questo è avvenuto con equilibrio, ma anche dove anche il genio umano ha la-sciato tracce importanti, è possibi-le trovare ed apprezzare il bello, a volte assoluto, nei capolavori di un monumento architettonico che esce prorompente dalla consuetu-dine o nell’armonia di edifi ci sem-plici che si integrano nella natura di un luogo. Ma torniamo alla nostra amata Savona. Per chi oggi ha supera-to i quarant’anni, è possibile fare un primo bilancio interessante perchè è una generazione che ha visto molti cambiamenti. In tutti i termini: il tessuto sociale, l’aspet-to culturale, l’urbanistica, l’eco-nomia. Trent’anni fa, Savona era dal punto di vista economico una città portuale ed industriale, indi-rizzata verso una crisi irreversibile come del resto stava succedendo in tutte le realtà europee dove le grandi industrie cominciavano a confrontarsi con un mondo sem-pre più globalizzato, con lavora-zioni e forniture concorrenziali che stavano rendendo obsoleto un modo di lavorare e produrre appa-rentemente statico ed immutabile, capace per decenni di assicurare reddito a migliaia di famiglie. La città ha dovuto reinventarsi e fare i conti con la necessità di trovare nuove vie di sviluppo. Ma torniamo a quegli anni. Man-cava una cultura ambientalista, a tutti i livelli, e mancava anche una cultura della qualità della vita, a tutti i livelli. L’importante era di-sporre di una casa, di un lavoro per il sostentamento della fami-glia, di un’automobile. A qualsia-si costo. Non era importante, per conseguire quei legittimi obiettivi se l’asfalto e le automobili arriva-vano fi no agli scalini dei monu-menti, se c’era verde o meno, se le industrie inquinavano, se i cibi erano sani e naturali oppure no, se le case erano belle o brutte, se rovinavano per sempre un pae-saggio. E davvero, la grandissima parte delle abitazioni costruite tra il 1960 e i decenni successivi sono il disastro totale edilizio, lo strazio del territorio, in nome di una ap-parentemente ineluttabile necessi-tà, utilità, funzionalità, economi-cità. In Italia come a Savona, per non parlare delle Riviere. E’ stata un’epoca di mancanza di gusto e di qualità trasversale a tutte le ca-tegorie sociali, gli amministratori e gli amministrati, con migliaia di

Come ha già segnalato il professor Bruno Barbero in un articolo pre-cedente sull’iconografi a di San Mi-chele dalle pagine di questa stessa rivista, del quale questo vuole esse-re soltanto un discreto complemen-to incentrato più specifi camente su ciò che concerne l’Impero Spagno-lo durante l’Età Moderna, il culto antichissimo per questo Arcangelo conobbe un momento di massimo splendore nel rinnovato fervore per le tematiche angeliche che il mondo cattolico apprese a partire dalla Controriforma.Tuttavia, per quanto riguarda il caso spagnolo, bisogna tenere con-to di una prima specifi cità derivata dall’incerto e peculiare Medioevo che conosce la penisola iberica, dominata in un primo momento dall’irresoluta unifi cazione religio-sa intorno al cattolicesimo dopo la conversione degli ultimi re visigoti nella loro corte di Toledo e, in un secondo momento, dal controllo musulmano quasi assoluto dell’in-tera penisola a partire dall’anno 712, che secondo le zone durerà otto secoli, e che avrebbe fatto sì che il culto per San Michele non giungesse a radicarsi, e di conse-guenza l’importanza che avrebbe avuto, per esempio, in Italia.Nella vicina Italia, come dimostra l’importanza che giunge ad avere il Santuario di San Michele sulla cima del Monte Gargano (Puglia), la fi gura dell’Arcangelo sareb-be stata più determinante, anche perché lì sarebbe apparso in varie occasioni, facendo del luogo una meta privilegiata di pellegrinaggi,

La devozione all'Arcangelo fu tale nell’Impero Spagnolo che Filippo IV lo propose come patrono del regno. L’intento fallì, ma si tornò a imporre il suo culto nelle processioni e sugli altari, cosa che incrementò in buona misura il numero delle sue immagini. In questo contesto s’inquadra sia il San Michele del Museo delle Belle Arti di Cordoba, sia quello savonese della Certosa di Loreto, gemelli nell’iconografi a e forse anche riguardo la provenienza andalusa e gienniense

S. Michele, immagini nell’arte occidentale dell’Età Moderna

di José María Palencia Cerezo

visitato poi da Papi come San Ge-lasio nell’anno 494, o Pasquale II nel 1093. Pertanto, si può affermare che, anche prima della celebrazione del Concilio di Trento, San Michele in Italia aveva già una storia fortu-nata, poiché già nella seconda metà del XV secolo la regina Giovanna di Napoli abbelliva e ingrandiva il Gargano non solo per quanto ri-guarda il suo tempio, ma anche ag-giungendovi un ospedale, un ospi-zio e altri edifi ci annessi. A partire dal XII secolo il sito fu visitato dai santi medievali più infl uenti, come San Francesco d’Assisi, Santo Tom-maso d’Aquino, San Camillo de Lellis o Santa Brigida di Svezia.Ad ogni modo, senza realizzare una profonda ricerca a partire dai testi patristici medievali,risulta diffi cile poter precisare quali caratteristiche e funzioni, e di conseguenza, quale immagine, avrebbe avuto San Mi-chele nel corso di quel tempo; ma se facciamo un rapido percorso at-traverso le sue rappresentazioni, si potrebbe sostenere, a grandi linee, che durante tale periodo ebbe al-meno due condizioni: una prima di giudice e pesatore delle anime al momento del Giudizio Finale – da cui si può dedurre una condizione più “neutrale” in relazione al pro-gramma salvifi co dell’uomo ide-ato dalla Chiesa - , e una seconda di vincitore del male. Gli attributi di entrambe sarebbero stati la bi-lancia e la spada, e quest’ultima quella che alla fi ne avrebbe preval-so in un’Europa cattolica convul-sa, immersa in costanti guerre di religione, in un movimento ascen-

dente che, specialmente a partire da Trento, avrebbe fatto sì che il nostro arcangelo venisse proiettato quale primo Generale delle legioni angeliche.Fra i due momenti, e in quanto an-gelo, nemmeno San Michele avreb-be mai perso la sua condizione di psicopompo, cioè di intercessore tra la terra e il cielo. In questo senso, in Spagna, già San Isidoro di Sivi-glia avrebbe parlato dell’esistenza degli arcangeli, traducendo il loro nome dal greco come “messaggeri principali” e considerandoli una terza gerarchia celeste, “destinata a presiedere le opere della Prov-videnza nella Creazione”. Michele signifi cherebbe “colui che come Dio”, poiché “quando succede nel mondo qualcosa di un potere portentoso, viene inviato questo arcangelo”, dato che “nessuno è capace di mettere meglio in chiaro ciò che Dio può fare”. Questo, tra-dotto in un’immagine della mitolo-gia classica, e se mi si consente il paragone, potrebbe essere qualco-sa come il raggio infuocato di Zeus che prende corpo umano, e che è mandato sulla terra ogni volta che il Padre vuole manifestare i segni di identità della sua onnipotente presenza.Intanto, il panorama teologico spagnolo dovette ordire non po-che discussioni in relazione alla funzione dei diversi cori angelici – che venivano teorizzati in numero di nove – e specialmente di quelli arcangelici, che secondo la tradi-zione altomedievale avrebbero avuto sette protagonisti principali,

benché già nel XV secolo arrivasse una corrente di pensiero che difen-deva la teoria che, partendo dalla Bibbia, era possibile soltanto dare credito all’esistenza di tre di essi e chiamarli con i loro nomi. In tal modo restava tacitata la polemica relativa all’esistenza di sette,che si ravvivò e si diffuse rapidamente in seguito all’apparizione nel 1516 del noto dipinto murale nel Carmelo di Sant’Angelo a Palermo, che fece sì che in Italia la loro rappresentazio-ne godesse di qualche permesso in più da parte di Roma, benché tut-tavia, al riguardo, la venticinque-sima sessione del Sacrosanto Con-cilio di Trento decretava, nel 1538, che solo San Michele, Gabriele e Raffaele venissero “comunemente accolti”. In tal modo, nella cattolicissima Spagna – principale potenza so-stenitrice del Papato – la rappre-sentazione dei “quattro silenziati” – Uriel, Jeudiel, Baraquiel e Seba-tiel – avrebbe ottenuto una qualche fortuna soltanto durante il primo quarto del XVII secolo, benché solo in relazione a luoghi dove il ferreo controllo del Tribunale dell’In-quisizione poteva avere accesso a stento, come i conventi di patroci-nio reale, circostanza questa evi-denziata dall’esistenza nelle clau-sure di questi Conventi, di diverse rappresentazioni degli stessi, come per esempio quelle che realizzerà il cordovese Bartolomé Román per le Scalze Reali di Madrid, che parti-rà dalla nota serie delle Angelorum icones stampata nel 1575 dai fi am-minghi Gerard de Jode e Crispin de Passe. Eccettuati questi casi, com-pletamente nascosti alla vista del popolo, il controllo inquisitoriale permise appena che le loro immagi-ni proliferassero, e allorché diven-ne evidente, comportò l’istituzione di un processo, tra i quali famoso fu quello svolto presso l’Università

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dalla prima pagina

di Salamanca nel 1645.Poiché durante tutta l’Età Moderna in Spagna furono impresse poche stampe, probabilmente fu proprio nel mondo fi ammingo che ebbe successo lo stereotipo di San Mi-chele che giunse ad avere maggior fortuna in tutto il mondo ispanico. Si tratta del noto San Michele vesti-to come un centurione romano con la lorica piena di stelle e un disco aureo dietro la mano destra dove si può leggere il suo motto, e la palma della vittoria, mentre posa il suo piede sopra il demonio, rap-presentato come metà uomo e metà animale fantastico o misterioso.Come ha espresso magistralmente anche il professor Barbero dal già menzionato Pigmenti, si conside-ra prototipo di questa rappresen-tazione un dipinto di Martin de Vos conservato in Messico, che fu riprodotto da diversi incisori del-la città di Amberes in data incerta, come Jerónimo Wierix o il primo dei Sadeler. Ma, cosa ci fu prima, la tavola o la stampa? Rispetto al caso della Spagna, bi-sogna ricordare anche un episo-dio riferito all’insigne umanista dell’Estremadura Benito Arias Montano (1527-1598), conosciuto maggiormente per essere designa-to da Filippo II per realizzare ad Amberes, nella stamperia di Cri-stóbal Plantino, l’edizione della Bibbia Poliglotta. Ebbene, come ha studiato la professoressa Hansel, prima di conseguire il suo propo-sito, Montano realizzò vari viaggi ad Amberes fra il 1568 e il 1573, ac-quisendo già lì la fama di saggio e “consulente” di questioni dogmati-che, consigliando su temi iconogra-fi ci che potevano creare ampie po-lemiche, come per esempio la rap-presentazione del Giudizio Finale, non priva allora di ardue dispute teologiche, poiché nel 1584 l’edito-re e incisore Adrian Huybrechts gli dedica tre stampe realizzate a parti-re da disegni di Martin de Vos,una Crocifi ssione con Maria e San Giovan-ni o Calvario, una Maria Maddalena inginocchiata davanti alla croce, e un Arcangelo San Michele della stes-sa identica iconografi a che stiamo commentando. Le tre stampe formano un insieme,

giacché hanno lo stesso formato e le dediche a Montano sono iden-tiche, benché non si conoscano le ragioni che indussero Hubertius a fare queste stampe, delle quali dice la professoressa Hensel “... sor-prende anche, giacché nel 1584 Ambe-res era già sotto il dominio calvinista, ma bisogna considerare che era già ini-ziata la controffensiva di Alessandro Farnese, di modo che alla fi ne del 1584 le Fiandre erano di nuovo sotto il con-trollo spagnolo e il blocco di Escalada mise Amberes in seria diffi coltà, pas-sando in mani cattoliche al principio del 1585”.Ad ogni modo, si dovette trattare solo di una piccola donazione sen-

za l’intenzione di essere censurata, poiché all’epoca la rappresentazio-ne del San Michele controriformi-sta fi ammingo sembra che sarebbe arrivata anche alla Nuova Spagna nordamericana, come suggerisce la tavola di Martin de Vos che, proveniente dal retablo maggiore dell’antico Monastero francesca-no della città, si trova oggi nella Cattedrale di Cautitlán (Messico), dipinto che alcuni hanno interpre-tato come l’origine della stampa. O anche un’altra tavola di mino-re raffi natezza, situata nel retablo maggiore della Cattedrale di Oa-xaca (Messico), che Tovar de Teresa ritiene realizzata nel 1581 dal pit-

tore sivigliano emigrato là Andrés de Concha, e poi mortovi nel 1612, che presenta la stessa immagine del San Michele psicopompo, ben-ché un po’ ridotta.Infi ne, per quanto riguarda l’im-portanza del culto di San Michele in Spagna si dovrebbe tener conto di un fatto cruciale, come fu verso il 1640, l’intenzione di farlo Pa-trono di Spagna dal re Filippo IV. Il motivo era molto semplice. In quegli anni, l’impero spagnolo di Carlo V aveva ereditato una serie di disgrazie, tra cui, di particolare importanza, al di là dei disordini avvenuti in città come Napoli e Ve-nezia, la perdita defi nitiva del Por-togallo, costata molto sangue.Questo rovescio di fortuna del prin-cipale Impero del momento venne attribuito alla poca devozione che si aveva per San Michele, per cui il re scrisse ai Vescovi non soltanto affi nché gli venissero resi pubblici omaggi, ma anche perché lo si ac-cettasse come patrono del regno. Alla fi ne questo non sarebbe avve-nuto, dato che la Spagna aveva già un altro santo patrono guerriero, l’

appena nominato apostolo Santia-go, allora molto rappresentato nel-la sua variante detta “matamoros”. Tale intento fallì, ma si tornò a im-porre il suo culto nelle processioni e sugli altari, cosa che incrementò in buona misura il numero delle sue immagini.Ritengo sia necessario inquadrare all’interno di quest’ultimo feno-meno sia il San Michele savonese della Certosa di Loreto, sia quello del Museo delle Belle Arti di Cor-doba, gemelli nell’iconografi a e forse anche riguardo la provenien-za andalusa e gienniense, poiché non bisogna dimenticare che l’au-tore del secondo nacque nella città di Jaén intorno al 1588, e si stabilì a Córdoba a partire dal 1631, mentre per noi il savonese denota forme di quelle praticate dai poco conosciuti pittori attivi in quella città nel pri-mo quarto del secolo XVII, secondo le ipotesi sulle quali, per il momen-to, stiamo lavorando.Tuttavia, a quel tempo l’immagine del San Michele spagnolo fi ammin-go, umanista e controriformista, in-gaggiava una dura battaglia contro un nuovo modello proveniente dall’Italia. Mi riferisco a quello del San Michele realizzato da Guido Reni intorno al 1636 per la Chiesa dei Cappuccini di Roma. Un San Michele questo che diventava bel-licoso, esibendo sull’armatura la tipica fascia rossa di capitano gene-rale, e che innalzava la sua spada con l’intento di gettare alle fi amme dell’inferno un demonio – ancora umano – incatenato, e che tornava ad essere nuovamente un signore degli eserciti celesti vincitori del peccato nella coscienza collettiva del mondo cattolico fi no all’Età Contemporanea.

Josè Maria Palencia CerezoMuseo delle Belle Arti di Córdoba Consulente Tecnico Conservazione

e Ricerca

Traduzione del testo a cura di Stefania Fabri

NOTE1 - Barbero, Bruno: “Savona e Córdoba

unite nell’Arcangelo Michele”, Pig-menti, VI, 17, novembre 2008, p. 1.

2 - Sánchez, Natividad: “Sobre los Ar-cángeles”, Cuadernos de Arte e Ico-nografía de la Fundación Universitaria Española, IV, 8, 1991.

3 - Sylvaine Hänsel: Benito Arias Mon-tano (1527-1598). Humanismo y Arte en España, Universidad de Huelva, 1999, pp.94-95.

4 - Cfr. Tovar de Teresa, Guillermo: Pintura y escultura en Nueva España (1557-1640), Mondadori, 1992, p.98.

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S. Michele, immagini nell’arte occidentale dell’Età Moderna

PigmentiPeriodico dell’Associazione Culturale e del Paesaggio “Renzo Aiolfi ” no profi t

Anno VIII – Numero 21

Direttore responsabile Sergio Ravera

Coordinamento editoriale Silvia Bottaro

Direzione e redazione17100 Savona, via Paolo Boselli, 6/3

RegistrazioneTribunale di Savona 12/03

Stampa: Coop Tipograf di Savona

Collaboratori di questo numeroAssociazione Culturale S. Fiorenzo;

Silvia Bottaro; Elisabetta Briano; Josè Maria Palencia Cerezo;

Mauro Teresio Ciarlo; Furio Ciciliot; Roberto Debenedetti; Roberto Giannotti;

Giacinta Ferrero Marengo; Giuseppe Milazzo; Giuseppe Pederiali;

Grazia Robaldo

Del contenuto e delle opinioni espressi negli articoli sono responsabili

i singoli autori

Stampato e distribuito gratuitamente in 2.000 copie

Uffi cio dell’Associazione Aiolfi 17100 Savona, via P. Boselli, 6/3

e-mail: ass.aiolfi @libero.ithttp://aiolfi associazione.blogspot.com

Apertura: mercoledì ore 10-12 Giovedì ore 16-18

Martin de Vos, San Miguel Arcàngel, Hacia 1575-80, Catedral de Cautitlan, Mèxico (a sinistra); Andrès de Concha, San Miguel Arcàngel, 1581, Catedral de Oaxaca, Mexico (sotto).

Atribuido a Pedro Pablo Rubens, Retrato de Benito Arias Montano, Museo Plantin-Moretus, Anversa (in basso a destra); Anonimo espanòl, San Miguel Arcàngel, Seguidor del modelo de Reni para los Capuchinos de Roma, Museo de Bellas Artes de Cordoba. Obra sin restaurar (a sinistra).

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Il racconto di NataleI re Magi Una luce vermigliarisplende nella pianotte e si spande viaper miglia miglia e miglia

Oh nova meraviglia!Oh fi ore di Maria!Passa la melodiae la terra si ingiglia.Cantano tra il fi schiaredel vento per le forre,

i biondi angeli in coro;ed ecco Baldassarre,Gaspare e Melchiorrecon mirra, incenso e oro.

Gabriele D’Annunzio (1863-1938)

“Non avrai paura?” do-mandò il professor Negevand. “Paura?

Uccidere è il mio mestiere” rispose Andreas, un poco offeso. “Credo di avere dimostrato, in questi anni, di essere un serio professionista. Pro-prio a te devo esibire le mie refe-renze ed elencare i miei successi?” “Se tu non fossi il migliore, il nu-mero uno nonostante l’ancora gio-vane età, non ti avremmo convo-cato. Trent’anni appena compiuti, vero?” Andreas non rispose. Prefe-riva lasciare sempre nel vago i pro-pri dati anagrafi ci, a cominciare dal nome. Che non era Andreas. Disse: ”Ho sempre portato a termine gli incarichi, anche i più diffi cili. Sen-za di me la vostra organizzazione non sarebbe tanto potente. Io non ho mai esitato di fronte alla vitti-ma scelta da voi, non mi sono mai domandato perché. Sparare a un uomo, a una donna, a un bambino o a una sagoma di cartone per me è la medesima cosa: la mano non trema e seguiterò a dormire sonni tranquilli…aiutato da equi com-pensi”. “Tra poco sarai uno degli uomini più ricchi del mondo. Soldi guadagnati bene, nel nome di Sa-tana e dei nostri sacri principi”. Il giovane dagli occhi di ghiaccio sor-rise, senza parlare. Non gli impor-tava niente della dottrina di questa potente setta di fanatici. Il suo uni-co dio giaceva sparpagliato in conti cifrati presso le banche di mezzo mondo. E la curiosità era un senti-mento a lui estraneo, come la pietà e la paura.. “Questa volta però non si tratta di un uomo politico, di un industriale, di una star” proseguì il professore. “Noi ci accingiamo a cambiare la storia, a modifi carla defi nitivamente a nostro favore. Al tuo ritorno troverai un mondo diverso. Ricordati che non puoi sbagliare. Per un viaggio tanto lun-go occorre una quantità enorme di energia: signifi ca che per molti anni nessuno, neppure la nazione più ricca, potrà permettersi uno spo-stamento di questa portata.” “Non sbaglierò” disse Andreas. Non con-fi dò al professor Negevand che per la prima volta sentiva il peso e la grandezza della responsabilità: il suo gesto avrebbe cambiato la sto-ria degli uomini. Sogghignò pen-sando alla faccia del professore se gli avesse confi dato che avrebbe accettato l’incarico anche per un solo, simbolico, dollaro. Un dolla-ro per fondare il regno del Male. “Quando sarai laggiù ricordati che sei un ospite, uno straniero con un solo compito. Non devi raccontare niente di noi, non devi partecipare ad avvenimenti importanti, non devi dare consigli. Solo guardare e ascoltare. E poi uccidere. Se ti co-stringessero ad agire in maniera di-versa, non hai scelta: scappa e torna immediatamente a casa, senza però mostrarti mentre azioni i comandi della cintura….”. “Si direbbe che tu stia parlando a un estraneo che non ha mai visto la macchina, neppure da lontano. Dimentichi che ho già compiuto cinque viaggi di prova, seppure brevi…Mi auguro soltanto che la data individuata dall’equipe di astronomi e matematici sia dav-vero quella giusta”.

Andreas chiuse gli occhi. Sen-tì un gran freddo, dai capelli ai piedi. La mente ragiona-

va bene, perché sorrise al pensiero che anche i capelli potessero perce-pire il freddo. Poi riaprì gli occhi e sentì un gran tepore sciogliergli di dosso il freddo di prima. Sem-brava che fossero trascorsi soltanto pochi secondi, eppure era già arri-vato. Si guardò attorno per tentare di riconoscere il luogo che nel suo presente aveva esplorato a lungo per impararlo a memoria. Ora non esistevano edifi ci, fi li della luce, cartelloni pubblicitari, asfalto e au-tomobili sulla strada che dalla vi-cina Gerusalemme scendeva al Ne-

gev. Però riconobbe le rocce laggiù, dopo gli ulivi e il somaro legato a un palo, immobile, come dipinto nel paesaggio. Si avviò verso set-tentrione, verso Betlemme. Prima di partire aveva indossato stracci da mendicante sopra un abito da facoltoso mercante, così sarebbe stato pronto ad ogni evenienza. Stracci puliti che nascondevano, oltre al costume da ricco e al cintu-rino con i comandi miniaturizzati, confortevoli maglie e mutande di lana, adatte a ripararlo dai rigori dell’inverno palestinese. Un greg-ge di pecore apparve oltre la colli-netta, annunciato da belati e scam-panellii. L’anziano pastore portava sulle spalle un agnello, e la scena ricordò ad Andreas un giorno del-la sua infanzia, all’orfanotrofi o, quando la suora gli aveva chiesto di aiutarla a fare il presepe. Forse la tradizione era più vicina alla realtà di tutte le ricostruzioni scientifi che. “Salute, straniero” disse il pastore passandogli accanto. Doveva aver-celo scritto in faccia che lui era un turista, seppure travestito. Forse aveva sbagliato a radersi la barba di fi no prima della partenza. Ma intanto aveva capito perfettamen-te il signifi cato delle parole del pastore, anche se la pronuncia era molto diversa da quella del suo in-segnante di aramaico. “Salute a te” rispose Andreas. “Stai conducendo il gregge all’ovile?”. “Il mio ovile e la mia casa sono a Yatta. Io e le mie bestie stiamo seguendo quella”. Il pastore indicò il cielo. Andreas non lo aveva ancora guardato, troppo indaffarato a scoprire le differenze tra questo e il suo mondo. Alzò gli occhi al cielo sgombro di nubi e la

vide, nonostante fosse ancora gior-no: la stella e la sua coda segnava-no l’azzurro con una sfera di luce ed una scia dorata. Abbagliato, ab-bassò lo sguardo e disse al pastore: ”Potrebbe condurti molto lontano, dall’altra parte del mondo.” “Io credo di essere quasi arrivato, per-ché tre giorni fa, quando mi sono messo in cammino dalle colline di Yatta, la stella cometa era appena visibile.” Andreas lasciò sfi lare il pastore, le pecore e il cane che chiu-deva il corteo e si accodò.Astronomi e matematici non ave-vano sbagliato nel calcolare la giusta data, che corrispondeva anch’essa alla tradizione. Bene at-tento a non farsi vedere dal pastore, consultò gli strumenti che portava all’avambraccio sinistro, nascosti dagli stracci. Erano le 17,35. Tem-peratura 12 gradi centigradi. Ok tutto il resto: inquinamento atmo-sferico sullo zero, radiazioni solari nei limiti. Raggiunse una piccola carovana formata da tre cammel-li, due somari e dieci uomini. E fu raggiunto da altri viandanti, uomi-ni e donne di ogni età e censo. Una matrona viaggiava su una portan-tina sorretta da otto servi. Nessuno notò qualcosa di strano o di diver-so nel mendicante che avanzava in coda a un gregge, nessuno gli rivolse la parola. Tutti seguivano la strada indicata dalla stella cometa, in direzione di Betlemme. Accanto ad Andreas camminava un giova-ne vestito di una puzzolente pelle di capra. Dalla bisaccia estrasse un pezzo di cacio e cominciò a man-giarlo di gusto tagliandone fette con il coltello. Andreas scoprì di avere fame, e questo doveva esse-

re tanto evidente che il giovane gli porse una fetta di cacio. Nonostan-te le proteste dello stomaco, Andre-as rifi utò con un sorriso. In tasche segrete nascondeva, oltre alle armi, una buona scorta di grosse tavo-lette di cioccolato arricchite di vi-tamine. Gli avevano raccomanda-to di evitare il cibo del luogo, per non correre il rischio di riportare indietro dei virus. Solo l’acqua gli era consentita, purché attinta diret-tamente alla fonte. Estrasse di ta-sca una delle tavolette, protette da carta argentata. Pericoloso anche lasciare sul posto materiali estranei all’epoca. Divorò di nascosto la ta-voletta e mise in tasca la carta. Sta-va calando la notte, ma sulla strada per Betlemme i viandanti aumen-tavano. Allontanatosi dal gregge, troppo lento, Andreas si avvicinò a tre personaggi che lo precedevano di poco, scortati da numerosi ser-vi e da una carovana di cammelli stracarichi. I tre, due bianchi e uno nero, vestiti di costumi sontuosi, dovevano venire da molto lontano e attiravano la curiosità degli altri viandanti. Andreas decise di unir-si a loro, sicuro che, per una que-stione di censo, sarebbero riusciti ad arrivare alla meta tra i primi. Abbandonò la strada, si nascose dietro una roccia e si liberò degli stracci da mendicante. Trasformato in ricco mercante, tornò sulla stra-da e raggiunse i tre pellegrini dal portamento regale.

“Signori, stiamo vivendo un grande momento sto-rico. Anzi, sarebbe più

esatto dire che stiamo subendo le conseguenze di un antico momen-

to storico.” Il professor Negevand fece una pausa che utilizzò per ab-bracciare con lo sguardo il salone gremito di confratelli. “Ora lonta-no da qui nello spazio e nel tempo, e precisamente nella Terra Santa dell’anno zero, un nostro inviato ha compiuto il gesto che modifi ca la storia degli ultimi due millenni e dell’intero futuro. Satana ha avuto la meglio, il Regno del Male ha vin-to.” Uno dei confratelli più anziani alzò il braccio e domandò: ”Come avremo la certezza della vittoria?”. “Da milioni di clamorosi indizi. Usciti di qui non troveremo più le chiese, dai libri sarà sparito ogni ac-cenno a Gesù, alla sua dottrina, alla sua storia, e dall’iconografi a sarà svanita ogni immagine cristiana. Viviamo in un mondo alternativo a quello che abbiamo voluto can-cellare. Soltanto noi che abbiamo provocato il cambiamento conser-veremo un barlume di conoscen-za”. Il professore concluse con una esortazione: “Andate, il mondo vi appartiene!”

Nella sala piccola erano ri-masti soltanto i più alti di-rigenti della setta. Il profes-

sor Nègevand appariva sconvolto: ”Non capisco, Andreas avrebbe dovuto essere di ritorno da molte ore!” Gli altri tentavano di tran-quillizzarsi a vicenda: “Forse la macchina ha sbagliato epoca.” “O luogo.” “Oppure si è guastato il meccanismo del ritorno.” “Un professionista come Andreas, il si-cario numero uno nel mondo, non aveva mai sbagliato il bersaglio…” Intanto il tempo passava. Squillò il telefono. Con mano tremante , Ne-gevand alzò il ricevitore e premette il pulsante del “ viva voce” affi n-ché tutti potessero udire. “Allora?” “Ho consultato molti libri della bi-blioteca, professore” rispose la voce dell’uomo incaricato dei controlli. “Naturalmente ho cominciato dal Nuovo Testamento. Che esiste e non è cambiato. Come non sono sparite le chiese. Mezz’ora fa il Papa ha benedetto la folla radunata in San Pietro…” Il professore crol-lò sulla sedia. Mormorò: “Dunque Andreas ha fallito! Ci avrà provato senza riuscirci…Ma allora perché i libri e la tradizione non parlano del suo tentativo, così come ricordano quello di Erode?” L’uomo al telefo-no riprese la parola: “Volevo segna-lare una stranezza…Nel Vangelo di San Matteo, almeno da come lo ricordavo io, non si precisava il nu-mero dei Magi giunti da Oriente e interrogati da re Erode. Invece, nel-le varie edizioni dei Vangeli da me consultati oggi in biblioteca, ho tro-vato in Matteo queste parole: “Ora, essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai giorni di re Erode, ecco quattro Magi d’Oriente arrivarono in Gerusalemme…” “Quattro?”. “Si direbbe che questo sia l’unico cambiamento negli ultimi duemila anni!”

Altri piccoli cambiamen-ti il professor Negevand li scoprì sfogliando libri

d’arte. Nelle sacre interpretazio-ni dell’Adorazione, i Magi erano quattro, perché così voleva la Tra-dizione. Offrivano oro, argento, in-censo e mirra. Negevand ricordava bene la cinquecentesca tela di Vin-cenzo Foppa per averla ammirata alla National Gallery di Londra. I Re Magi e gli altri personaggi occu-pavano la parte destra del dipinto. Oggi, sulla tela originale come nel-le riproduzioni su tutti i libri d’ar-te, a sinistra della Vergine appariva un quarto re inginocchiato, intento a porgere al bambino una tavoletta d’argento. Andreas offriva al bam-bino la propria anima pentita e una tavoletta di cioccolato avvolta nella carta d’argento.

Giuseppe Pederiali

Illustrazione di Nani Tedeschi, matita su carta, cm. 50x35, 2010)

… si avvicinò a tre personaggi che lo precedevano di poco, scortati da numerosi servi e da una carovana di cammelli stracarichi. I tre, due bianchi e uno nero, vestiti di costumi sontuosi, dovevano venire da molto lontano ed attiravano la curiosità degli altri viandanti. Decise di unirsi a loro, sicuro che, per una questione di censo, sarebbero riusciti ad arrivare alla meta tra i primi …

Il quarto dei re MagiEcco i Magi d’Oriente arrivati ai giorni di re Erode in Gerusalemme… Quattro, secondo la Tradizione che offrono al Bambino mirra, incenso, oro … e argento

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Filatelia, culturapiù che un hobbyL’osservazione del francobollo è un modo istruttivo, oltre che divertente, di percorrere gli avvenimenti del passato, di rievocare situazioni, sensibilità sociali e mode. E’ il motivo per cui ogni nazione veicola attraverso le emissioni fi lateliche i messaggi più idonei a rappresentare la propria identità e il meglio di se stessa

Tra i possibili approcci al tema, mi è parso preferibile privilegiare gli aspetti che presentano maggiore attinenza col contesto offerto dal-la prestigiosa rivista che ospita l’intervento. Tralascio, infatti, gli aspetti di carattere tecnico e stori-co-postale, per mettere, invece, in luce la valenza culturale, artistica ed anche sociale, politica nonché educativa connessa all’interesse e alla pratica fi latelica.Francobollo e fi latelia sono nel senso comune sinonimi; il franco-bollo è del resto universalmente riconosciuto come l’oggetto prin-cipe delle collezioni fi lateliche.Va indubbiamente fatta risalire alla Grande Riforma Postale, che ha preso origine in Inghilterra cen-tosettant’anni fa e dato vita all’in-venzione del francobollo, anche l’origine della disciplina che va sotto il nome di fi latelia. Voglio, però, introdurre da subito l’osservazione che il francobollo viaggia su una lettera, una carto-lina, una stampa e, inoltre risul-ta obliterato con un’impronta di bollo, che a sua volta qualifi ca e aggiunge ‘signifi cato’ alla corri-spondenza. E’ la ragione per cui l’interesse fi latelico, nelle sue va-riegate e spesso ricercate specia-lizzazioni, si estende non solo al francobollo, ma anche agli oggetti postali e agli annulli.Ma iniziamo pure dal francobollo, che nel tempo ha saputo riscuote-re consenso e manifestazioni di apprezzamento in mondi anche diversi e distanti da quello postale e fi latelico. Il celebre critico d’arte Federico Zeri defi nisce l’oggetto fi latelico per eccellenza ‘il mezzo fi gurativo più stringato e concen-trato di propaganda, quasi un manifesto murale ridotto ai mi-nimi termini, dal quale il substra-to sociale e politico si rivela con estrema chiarezza e pregnanza’.Federico Zeri esprime effi cace-mente la ragione per cui il fran-cobollo è l’oggetto più colleziona-to del mondo; esso non soltanto appare un oggetto meritevole di essere conservato e capitalizzato, ma in pochissimi centimetri qua-drati, attraverso poche parole ed un’immagine, ci regala una minie-ra di informazioni e di signifi cati con i quali ampliare le conoscenze e nutrire lo spirito.Il francobollo, inoltre, per quan-to piccolo ‘riempie l’occhio’. Il suo elemento fi gurativo, la vi-gnetta, rappresenta sempre una ‘festa’per la vista: il soggetto, i colori, la grafi ca, la composizio-ne dell’immagine, anche quando

non incontrano i gusti estetici di tutti, non passano mai inosservati e non mancano mai di suscitare emozione e sorpresa.L’osservazione del francobollo è un modo istruttivo oltre che di-vertente di percorrere (o ripercor-rere) gli avvenimenti del passato, di rievocare situazioni, sensibilità sociali e mode, di interrogare la memoria collettiva della nostra comunità nazionale come anche di entrare in comunicazione con la cultura e la storia di altri popo-li.Di conseguenza può altresì dive-nire un valido ausilio nella ricerca e nella ricostruzione storico-am-bientale, uno strumento didattico di particolare effi cacia nell’inse-gnamento delle discipline geo-politiche, come in quelle artistiche e della comunicazione. “Imparare divertendosi”, lo slogan inventato per stimolare l’introduzione della fi latelia nella scuola, sintetizza come il francobollo può rappre-sentare una fi nestra sul mondo, attraverso la quale sia lo studente giovanissimo sia il più esperto dei fi latelisti possono ampliare i pro-pri orizzonti e arricchire il proprio bagaglio di conoscenze.Il francobollo, infi ne, - e qui ve-niamo alla sua valenza sociale e politica - ha una particolare ed insostituibile effi cacia comuni-cativa: viaggia in tutto il mondo e, proprio per il fatto di campeg-giare su un oggetto di corrispon-denza , riesce, molto meglio delle immagini circolanti attraverso la stampa commerciale, a catturare lo sguardo e sollecitare l’attenzio-ne del destinatario.E’ il motivo per cui ogni nazione veicola attraverso le emissioni fi -lateliche i messaggi più idonei a

rappresentare la propria identità e ogni comunità aspira a presen-tare il meglio di sé attraverso la vignetta di un francobollo. Uno scorcio paesaggistico, un’opera d’arte, un personaggio famoso non meno di un prodotto tipico o di una manifestazione culturale o folkloristica, riprodotti e circo-lanti in milioni di esemplari co-stituiscono una delle più effi caci campagne pubblicitarie cui una collettività possa aspirare.Anche il timbro può veicolare, ol-tre alle informazioni di natura po-stale, messaggi divulgativi e pub-blicitari; la vignetta e la legenda, unite alle coordinate geografi co-temporali ( luogo e data) appaio-no veri e propri spot su spaccati di realtà e pezzi di mondo. Lo stu-dio dei timbri, infatti, appassiona non soltanto il collezionista mar-cofi lo, ma rappresenta una fon-te non secondaria per lo storico come anche per chi ama ‘nutrire’ le proprie curiosità su altre civiltà e culture.L’oggetto sul quale, poi, fi gurano il francobollo e il timbro, diviene una ulteriore fonte di informazio-ne e anch’esso veicolo di imma-gini e messaggi. Nelle collezioni fi lateliche, infatti, vengono di gran lunga preferiti gli oggetti di corrispondenza e assumono una posizione di primissimo piano i cosiddetti ‘maximum’: cartoline, stampe, buste illustrate con fran-cobollo e timbro simili o il più possibile coerenti nel soggetto e nella fi gurazione. I ‘maximum’ oltre che negli al-bum dei fi latelici, possono entrare nelle più svariate raccolte oggetti-stiche dedicate a un tema: dall’ar-te alla natura, dalla musica allo sport, dalla religione all’impegno

civile, dal teatro al folklore, dalla storia al fantasy, ecc.. Essi entra-no, infi ne, nel cassetto dei ricordi di ognuno di noi; li raccogliamo o li riceviamo in dono a testimo-nianza di un avvenimento, di un personaggio o di una ricorrenza che riguarda la nostra città, o il nostro paese d’origine, l’associa-zione di cui facciamo parte o un nostro particolare ambito d’inte-resse o di impegno.Ogni soggetto organizzatore di manifestazioni, siano esse di ri-lievo nazionale e internaziona-le, oltre che locale, qualora non possa aspirare ad un francobol-lo dedicato, ha l’opportunità di chiedere l’emissione di un timbro speciale e lasciare testimonianza e memoria della sua opera sem-plicemente offrendo a protagoni-sti e partecipanti, e alla comunità di riferimento, un ‘maximum’: una cartolina, un francobollo e un timbro speciale dedicato, che con accurata e sapiente combinazio-ne, sono destinati a rispecchiare ed evocare insieme la ‘ratio’ e lo ‘spirito’ dell’evento.Scorrendo, per esempio, l’album degli annulli speciali della pro-vincia di Savona, anche solo degli ultimi decenni, non possiamo non meravigliarci della varietà di occa-sioni celebrative e della sensibilità estetica che traspare dai ‘maxi-mum’ dedicati a mostre piuttosto che a monumenti, a eventi di ca-rattere civile piuttosto che cultura-le o sportivo; la grafi ca della carto-lina e la composizione del timbro, il soggetto del francobollo scelto, unendosi e sommandosi, formano scampoli di microstoria illustrata, che tramandano testimonianze, eccellenze, ‘racconti’ e caratteristi-che dei nostri territori.

Spero che avremo in seguito l’op-portunità di ricordare con qualche bella immagine fi latelica, estrapo-lata dall’album, alcuni importanti eventi artistici e culturali come pure di manifestazioni di massa, che hanno particolarmente emo-zionato e lasciato traccia nella me-moria dei savonesi e anche di turi-sti e visitatori. Sarà l’occasione per presentare a un pubblico più vasto e nuovo, le potenzialità della fi la-telia, e dimostrare che, per quanto considerata un’arte ‘minore’, essa non risulta sicuramente priva di forza ed effi cacia espressiva.Questa prima sommaria panora-mica è mossa dall’intento di comu-nicare che la fi latelia non riguarda una cerchia ristretta e chiusa di personaggi, magari un po’ strani e demodès, ma costituisce un patri-monio culturale fruibile potenzial-mente da tutti, dallo specialista ma anche da ogni persona che abbia a cuore la propria comunità, amore per il bello, rispetto della tradizio-ne e sguardo al futuro.

Elisabetta BrianoSpecialista Filatelica

Poste Italiane – Filiale di Savona

Verezzi, Italia, € 0,60

Oratorio SS. Annunziata, Italia, Spotorno, € 0,60

Giardini botanici Hanbury, Italia, Ventimiglia , € 0,60

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te e contiamo di divertirci in questa e nelle susseguenti gare alla caram-bola, nel qual gioco onesto e familia-re eccellono molti frequentatori del Bar che fi orisce con il nome ... “Del-la Rosa”. Sono in vista, sul verde tappeto del nuovo e perfetto bigliar-dino, molte sfi de con stecche e con palle nuove di zecca. Sfi de all’ame-ricana ... impegnate per vincere ... una buona tazza di Moka o un fresco chop di birra. E Carlino, queste be-vande, le serve bene. Al biondo e gio-vane proprietario l’augurio di ottimi affari». E ancora, solo pochi gior-ni dopo: «Grandi sfi de al bigliardo si svolgeranno dal 1° al 30 giugno nel “Bar Della Rosa”. Preparatevi, o fi eri carambolisti di Savona e din-torni, e anche più in là se è possibile, alla grande disfi da indetta dal “Bar Della Rosa” per i primi di giugno e seguenti. Là, sui nuovi bigliardi del-la fabbrica “De Agostini”, gli acu-ti maneggiatori della stecca (non si parla di artisti lirici, eh?) dimostre-ranno la loro abilità nel gioco. Ric-chi premi ai più abili vincitori. Ser-

vizio di gelati napoletani e bir-ra, nonché bibite e liquori

speciali agli accorren-ti e ai concorren-

ti. Complimenti all’esercente del

vasto “Bar Della Rosa”, all’elegante

e ... mordace Carlino, svelto quanto simpati-

cone, ravvivatore esper-to dell’ambiente e fecon-

do ideatore di ... sfi de con le palle. Carambola!». E infi -

ne, nel settembre 1912: «Il si-gnor Carlo Della Rosa, proprieta-

rio del Bar omonimo nel corso Prin-cipe Amedeo, ha testé aperto pres-so le sale dei bigliardi, nello stesso Bar, in via Brusco, un grande ed ele-gante deposito di eccellente vino di Chianti. Nello stesso deposito si tro-vano tutte le squisite e rinomate pro-duzioni della premiata Società in ac-comandita “Fratelli Rossi & c.” di Pietra Ligure con stabilimento eno-logico in Loano».L’avventura del “Bar Della Rosa” non sarebbe comunque durata ancora per molto: nel 1917, in-fatti, a distanza di una dozzina d’anni dalla sua apertura, Car-lo Della Rosa decise di chiudere quel locale e di aprirne uno nuo-vo, la “Bottiglieria Della Rosa”, che fu inaugurata in via Monte-notte n. 13 poco tempo dopo. Ma anche quella fu un’esperienza di breve periodo. Intorno alla metà degli anni Venti, infatti, “Carlìn” Della Rosa lasciò per sempre Sa-vona e andò a vivere e a lavorare nelle campagne dell’alessandri-no, a Lu Monferrato, il paese di origine della moglie.Carlo Della Rosa si spense a Spo-torno il 9 febbraio 1972, all’età di ottantasette anni.

Giuseppe Milazzo

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Il protagonista di questo picco-lo ma importante pezzo di sto-ria cittadina si chiamava Carlo Della Rosa ed era nato a Savona il 9 agosto 1884, undicesimo dei dodici fi gli nati da una famiglia di commercianti all’ingrosso di frutta e verdura di piazza delle Erbe, Tommaso Della Rosa e Giu-lia Folco. Fin da bambino “Car-lìn” aveva mostrato di non esse-re interessato a continuare l’atti-vità dei genitori, una coppia di “ciassè” peraltro molto noti e co-nosciuti nella Savona di fi ne Ot-tocento; così, ancora ragazzino, “Carlìn” aveva iniziato a lavorare per qualche anno come garzone all’interno del Bar Pasticceria ge-stito da Tommaso Peluffo che si trovava sul fondo di piazza delle Erbe, nel vecchio palazzo di Giu-stizia o dei Governatori, affaccia-to con le proprie vetrine anche sull’adiacente via degli Ortola-ni. Di animo allegro, spiritoso e cordiale con tutti, “Carlìn” ama-va il divertimento, le buone com-pagnie, la bella vita e, più di ogni altra cosa, stare a contatto con la gente. Quell’esperienza fece ma-turare in lui il desiderio di poter divenire, un giorno, il proprieta-rio di un “suo” locale, di un Bar che potesse essere il ritrovo più gradito dai giovani Savonesi.E così fu. Dopo aver svolto il ser-vizio militare tra il 12 febbraio 1902 ed il 24 febbraio 1903, Carlo Della Rosa, non ancora ventenne, si mise alla ricerca di quei fi nan-ziamenti che avrebbero potuto consentirgli di aprire in città una propria rivendita di liquori. Mes-sa insieme la somma necessaria per fi nanziare l’apertura del lo-cale, “Carlìn” Della Rosa riuscì fi -nalmente a coronare il suo sogno alla fi ne di novembre del 1905: in quei giorni, così, il “Bar Del-la Rosa” fu inaugurato in corso Principe Amedeo n. 2, all’angolo con via Brusco (oggi corso Italia n. 90 rosso e 92 rosso, all’angolo con via Cesare Battisti, nei locali attualmente occupati dall’“Istitu-to Bancario San Paolo di Torino”).Ecco come diede notizia dell’aper-tura di quel locale il giorna-le “L’Indipendente” il 9 dicembre 1905: «in fondo al corso Principe Amedeo si è aperto un elegante Bar che promette di diventare uno tra i migliori ritrovi della città. L’ami-co Carlo Della Rosa che ne è il pro-prietario continui ad offrire eccellen-ti qualità degustative al mite prez-zo iniziato in queste giornate inau-gurali e la fi orente clientela moltipli-cherà con crescendo spontaneo, qua-le noi col cuore invochiamo».Nel giro di pochi mesi il “Bar Del-la Rosa” riuscì a divenire uno dei locali più alla moda nella Savona del primo decennio del Novecen-to, frequentatissimo e rinomato, famoso anche per le sue sale da gioco dove, fra l’altro, erano pre-senti tre eleganti bigliardi realiz-zati dalla “Ditta De Agostini” di Torino. Il “Bar Della Rosa”, in par-ticolare, fu tra i primi, in città, ad inaugurare una tradizione che avrebbe presto incontrato il va-sto consenso dei Savonesi: quella degli spettacoli musicali all’aper-to. Durante i mesi d’estate, così, piccole orchestrine suonavano le melodie più in voga in quel pe-riodo di fronte ad un pubblico composto dai raffi nati scignùi de Savunn-à seduti ai tavolini siste-mati fuori del Bar.Qualche tempo dopo, nella not-te del 25 aprile 1909, la storia del “Bar Della Rosa” fu turbata da un episodio di cronaca nera: alcuni sconosciuti penetrarono all’inter-no del locale e, come testimoniò il giornale savonese “L’Indipen-dente”, «dopo aver fatto largo botti-no di liquori, vini e palle da bigliar-do, devastarono in modo vandalico l’elegante locale e infi ne appiccaro-

Palazzo Bernardo FerreroE’ la storia di un mercante e del suo palazzo. Quella di un imprenditore savonese che lascia una impor-tante traccia della sua vita e costruisce, con l’acquisto nel 1547 di una casa nella contrada della Quarda, un edifi cio nobiliare, evolutosi nei due secoli successivi, che ospita oggi la Camera di commercio, l’ente che, ristrutturandolo nel 1958, ha salvaguardato un im-mobile certamente il più prestigioso del nostra città.L’uomo è Bernardo Ferrero, il cui core business è il commercio del grano; ma quanto fosse presente in lui il concetto di fi liera lo dimostrano altre attività collaterali: noleggio di navi, assicurazioni marittime, acquisto di un mulino, produzione di ceramiche, ma anche interessi nel campo agricolo e nell’artigianato (vetreria, fi latura e produzione di carta da stracci).Un libro in cui si intravede la Savona del Cinquecen-to, tra i periodi di maggior risveglio artistico ed eco-nomico della città, assieme al dispiegarsi di una se-quenza di immagini che rivelano nella loro bellezza decorazioni ed elementi architettonici del palazzo.

(g.r.)

no il fuoco alle due portiere interne, ad alcune sedie e ad alcuni tappeti, producendo danni ascendenti a pa-recchie migliaia di Lire. Avvertiti da un vigile notturno, accorsero subito i pompieri civici che, in breve tem-po, domarono l’incendio». A cau-sa di ciò che era avvenuto, il lo-cale poté essere riaperto solo nel successivo mese di maggio, dopo che furono apportate le neces-sarie riparazioni. Non fu quella l’unica vicenda negativa di cui fu vittima il Bar di Carlo Della Rosa: un altro episodio analogo rischiò infatti di verifi carsi nella notte del 29 marzo 1910, quando alcuni ignoti forzarono un’anta di una delle porte del locale che dava su via Brusco; in quest’oc-casione, però, i malviventi non riuscirono a penetrare all’inter-no del Bar, essendo stati distur-bati dal sopraggiungere di alcuni passanti; abbandonata l’impresa, i malviventi si diedero così alla fuga.Nel 1911, desiderando abbellire e potenziare le qualità del suo Bar, Carlo Della Rosa si fece conce-dere un prestito di 1.700 Lire dai fratelli Agostino, Benedetto e Lu-igi Isetta, fi gli del fu Francesco, titolari dell’omonima pasticceria di via Luigi Corsi, posta all’ango-lo con via XX Settembre.Le condizioni economiche e la stessa vita personale di Carlo Della Rosa presero comunque una decisa svolta poco tempo dopo: il 17 febbraio 1912, infatti, egli si sposò con Edvige De Mar-tini, una giovane originaria di Lu Monferrato, in provincia di Ales-sandria, fi glia di un ricco possi-dente piemontese, da cui avreb-be avuto due fi gli, Ezio ed Ani-ta. Grazie alle somme recategli in dote dalla moglie, così, “Car-lìn” riuscì fi nalmente a conclude-re tutti quegli importanti lavori che aveva iniziato a predisporre all’interno del suo Bar, allo scopo di renderlo più bello e raffi nato.Il “Bar Della Rosa”, come testimo-

niano i numerosi articoli pubbli-cati in quel periodo dal giorna-le “L’Indipendente”, era frequen-tato soprattutto dai giovani bor-ghesi savonesi più vicini alle po-sizioni dei socialisti riformisti. Non fu un caso, quindi, se pro-prio “L’Indipendente”, un gior-nale di orientamento repubbli-cano, anticlericale, anticoloniali-sta e popolare, all’epoca avver-sario dichiarato della politica di Paolo Boselli, ospitò in quel pe-riodo moltissimi articoli pubbli-

citari che, con grande eviden-za, reclamizzavano le prerogati-ve, i pregi e le virtù del “Bar Del-la Rosa”. Qui, come riportava il giornale, si potevano consumare «bibite speciali, latte, frappè, birre e liquori fi ni assortiti», si potevano gustare i caffè espresso prepara-ti dalla macchina “Aiglon” acqui-stata poco tempo prima a Milano da “Carlìn” insieme alla macchi-na del caffè “Ideale”, un moderno apparecchio capace di fornire ai clienti, «in un secondo, la tazza di Moka Ideal» al prezzo di «15 cen-tesimi la tazza». Si potevano inol-tre degustare «il cognac Biscuì e il vermouth Lys, specialità della casa». «Nel “Bar Della Rosa” dell’amico Carlino», scriveva ancora “L’In-dipendente”, «abbiamo recentemen-te ammirato il nuovo abbellimento degli ampi locali. Domenica 5 mag-gio 1912 sarà inaugurato il terzo bi-gliardo della premiata fabbrica “Fra-telli De Agostini” di Torino. Siamo stati gentilmente invitati a presen-ziare alla prima partita alle boccet-

Gestito da Carlo Della Rosa, fu uno dei luoghi di ritrovo più rinomati di Savona negli anni della Bella Epoque

Il “Bar della Rosa”

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“Omaggi”Bruno Tessitore (1932-1998) ha sempre guardato la natura, so-prattutto gli alberi con interesse, curiosità trovando nelle loro for-me, spesso tormentate da un ven-to di bufera, spunti per la ricerca d’equilibri a volte diffi cili. Il suo mare è minaccioso, ma a volte la-scia intravedere un azzurro più limpido e sereno. Pittura che ap-passiona per il colore provocante (il nero intenso e blu corvino delle chiome dei suoi caratteristici pini marittimi), per il segno incisivo che ci conducono al suo pensiero radicato e che supporta la propria fase creativa. Tele intense, energi-che, a volte quasi informali dove gli elementi danno vita agli alberi, come il vento che ne mette a dura prova le radici: alberi vivi come uomini sulla terra. Giampiero Ru-bicondi nella sua presentazione critica relativa alla mostra retro-spettiva di Tessitore, svoltasi dal 20 al 30 marzo 2003 presso la Sala Mostre della Provincia di Savona, ha scritto: “…Tessitore era ligure … fate conto che l’osso di seppia di Montale si sia fatto onda, curve di costa, intreccio di rami: restando sé stesso più barocco, più espansivo dunque, più fanciullo, più capace di amare spontaneamente”.

Pietro Nicolino (1918-1981), auto-didatta, lega la sua predisposizio-ne al bello, all’arte fi n da fanciullo seguendo, come ha scritto il poeta e gallerista Luigi Pennone, “Ma-donna Pittura, senza pretese di cerebralismi o d’intellettuali acro-bazie… È un discorso pittorico di-messo, di pochi toni e carezzevoli luci: ma portato avanti con fresca genuinità e semplicità di senti-re…”. Nicolino ci ha raccontato

questo suo intimo conoscere con le strade (quelle del Santuario di Savona e di Lavagnola), le case, i muri della sua tanto amata Città antica, le piazze (quella silente del Santuario), la darsena vecchia con il vascello Costa Del Sol, oppure è rimasto affascinato dalla bellezza della natura di Sassello (i pagliai dorati) e di Stella San Giovanni. Ha seguito, forse anche senza vo-lere, altri pittori che hanno ripreso più volte questi temi, da Peluzzi a Collina, da Bossi a Berzoini, da Gigi Caldanzano a Lottero. Qual-cuno lo ha defi nito “il poeta di Savona”. Considerare adesso le sue opere signifi ca, anche, ritrova-re angoli, scorci, di Savona ormai scomparsi. Lo stesso si può dire dei suoi verdeggianti dintorni, in molti casi, probabilmente troppi, offesi dall’inesorabile colata di

cemento. Grazie a Pietro Nicolino possiamo avere una “memoria sto-rica” di terra ligure.

Guido Fragiacomo (1918-2005) sempre presente alle mostre collet-tive e ad alcune personali presso la Galleria “Sant’Andrea” di Luigi Pennone, vero serbatoio culturale per molte generazioni e di cui si avverte la mancanza, ha ripreso le case di campagna e gli arenili ligu-stici con rara sensibilità: veri rac-conti del paesaggio sentito quale categoria culturale e bellezza vera. Iniziò la sua attività creativa da autodidatta nel 1973 e gli fu molto preziosa l’amicizia e la frequenta-zione del pittore Carlo Bossi. Ha scritto Pennone: “ …Fedele alla lezione della pittura “en plein air” egli racconta paesaggi ambienti e nature morte con una delicata e

paziente tavolozza che predilige la luce e l’espressività del colore. Un pittore autentico insomma, un pittore “all’antica” di quelli che di-pingono ancora”. Ha partecipato a diverse mostre a Diano Marina, Lavagna, Savona ricevendo il pri-mo premio ex aequo nel 1976, tra le altre si ricorda la sua mostra per-sonale nel 1980 alla Galleria d’arte Sant’Andrea di piazzetta dei Con-soli a Savona.

Vincenzo Frunzo (La Spezia, 1910 – 1999). Ha iniziato a dipingere in età giovanile e la sua prima mostra a La Spezia risale al 1948. E’ stato promotore del Gruppo dei Sette; tra l’altro, ha esposto a Milano e Firenze. Ha aderito al MAC (Mo-vimento Arte Concreta) col quale prese parte alla Mostra dell’Arte Astratta e Concreta, presso la galle-

Nel 2010, si è scelto di cambiare le vetrine con la formula degli “omaggi”

ai Maestri del Novecento, privilegiandone alcuni particolarmente legati alla Liguria

Vetrine d’Artista Antologia di “omaggi” e di proposte nuove

L’alternanza tra gli “omaggi” e la presentazione, ogni ventuno giorni, di “voci” contemporanee in parte già note ha suscitato vivo interesse

da parte della critica, dei media e del pubblico

Guido Fragiacomo: Casa medievale di Faie di Quiliano, 1974, olio su tela, cm. 40x60

Pietro Nicolino: Estate a Sassello, olio su tela, cm 50x39

Vincenzo Frunzo: Conchiglie a Veneolio su tela, cm. 30x24

Bruno Tessitore: Albero, 1994, olio su tela, cm. 60x50

Francesco Vichi: Copia da Renoir, olio su tela, 2010, cm 60x30

“Omaggi”

Proposte nuoveBruno Gorgone: Forme in giallo, anni ’90, tecnica mista su carta, cm. 32x24

Massimo Vella: La Torretta di Savona, fotografi a

Giuseppe Ferrando: Natura moincisione, cm. 20x15

Paola Failla: Tra ...la notte stellata, tecnica mista e foglia oro su tela, cm. 24x18

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ria d’arte moderna di Roma (1951). Si ricorda la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1958 e la presenza costante dal 1959 al 1965 alla Quadriennale di Roma. Si trasferì, poi, defi nitivamente a Milano pur mantenendo i contatti con l’ambiente ligure. La sua pit-tura, ricca di poesia, è in qualche modo anche legata alla lezione di Renato Birolli e durevolmente svi-luppata nell’alveo dell’area infor-male. Altro passaggio signifi cativo nel suo percorso d’artista è l’avvi-cinamento a temi più lirici, basati, pure, sullo studio naturalistico (le conchiglie, le marine silenti, gli ombrelloni e le cabine delle spiag-ge), senza disdire le nature morte e le fi gure. Ricco di una tavolozza magica e, nello stesso tempo, mol-to elegante, leggera dove le traspa-renze e la luce sono indagate con

appassionata felicità di segno e di campitura, anche sfumata.

Roberto Bertagnin (1914-2008). Nel secondo anniversario della sua scomparsa, l’Associazione “R. Aiolfi ” ha voluto ricordare uno scultore, un pittore, un ceramista, un poeta, allievo e genero di Artu-ro Martini, una “voce” di assolu-ta limpidezza europea, seguendo qualità plastico-spaziali estetiche totalmente basilari e fondamentali. Il suo è stato un discorso nel corso della lunga attività d’artista, oltre sessant’anni di ricerca di opere con l’acciaio, con la terra e la cerami-ca, di disegni, personale, puro ed assolutamente autonomo nelle li-nee, nella plastica, nella sensibilità ed essenzialità del modellato. Di-plomato all’Accademia di Venezia, studiò alla scuola di Arturo Mar-

tini diventandone assistente e con lui ha vissuto e lavorato a Vado Li-gure. La sua scultura all’inizio ri-sentì del secessionismo alla Wildt e della lezione arcaica di Martini, poi se ne è svincolato con una ma-trice molto personale. La sua pri-ma mostra risale al 1944 a Venezia. Le ultime nel 2008 lungo la “via del sale” presso il centro Studi Ce-sare Pavese a Santo Stefano Belbo e l’altra a Milano nella biblioteca Umanistica dell’Immacolata dove sono state esposte, in una sorta di antologica, le sue opere che par-lano di un universo primitivo ed elementare per certi aspetti, dove la forza si scontra con la tenerezza nella ricerca di un minimalismo es-senziale, anche morale.

Guglielmo Bozzano (Varazze, 1913 – ivi, 1999), personalità molto si-

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Il numero semestrale di fi ne anno 2010, tra i molti articoli e saggi, presenta, come da tradizione, il riepilogo riguardante l’iniziativa culturale ed artistica denominata “Vetrine d’Ar-tista” che l’Associazione “R. Aiolfi ” di Savona, tramite la ri-cerca e l’organizzazione di Silvia Bottaro, svolge da sei anni presso la sede centrale della Cassa di Risparmio di Savona, sita in corso Italia a Savona. Un doveroso ringraziamento corre al presidente dell’istituto bancario citato, Dr. Luciano Pasquale, ed al suo Consiglio Direttivo che da anni accettano le proposte individuate e sponsorizzano la pubblicazione an-tologica riguardante i vari anni solari. Nel 2010 si è scelto, ancora, di cambiare le vetrine con la for-mula degli “omaggi” ai Maestri del Novecento, privilegian-done alcuni particolarmente legati alla Liguria. Tale semplice alternanza tra gli “omaggi” e la presentazione, ogni ventuno giorni, di “voci” contemporanee più o meno già note ha su-

scitato vivo interesse da parte della critica, dei media, del pub-blico che gratuitamente può fruire di tale iniziativa, corredata sempre da una sintesi curata da Silvia Bottaro.Nel corso del 2010 abbiamo dato spazio nella sezione “omag-gi” a Bruno Tessitore, Pietro Nicolino, Guido Fragiacomo, Vincenzo Frunzo, Guglielmo Bozzano, Roberto Bertagnin e, poi, due piccole rassegne dedicate ad alcuni Maestri del No-vecento liguri (O. Saccorotti, E. Rambaldi, R. Collina, Remo A. Borzini, Giovanni Solari, Adelina Zandrino) e ad alcuni grandi Maestri della pittura italiana del secolo scorso (Artu-ro Martini, Ottone Rosai, Pio Semeghini, Raffaele De Grada, Mino Maccari). Nella sezione dei contemporanei hanno avuto modo di pre-sentare i loro ultimi lavori: Mariella Relini, Bruno Gorgone, Massimo Vella, Paola Failla, Francesco Vichi, Giuseppe Fer-rando, Germana Rossi, Lorenzo Giusto Acquaviva, Marghe-

rita Piumatti. Complessivamente ventiquattro personalità che hanno, certa-mente, arricchito la proposta culturale savonese aprendo una fi nestra sul collezionismo privato. Infatti, diversi artisti in-seriti nella sezione “omaggi” fanno parte di molte quadrerie ma l’attenzione uffi ciale è un po’ allentata sul loro lavoro e la loro ricerca, lo stesso si può dire per alcune “voci” d’oggi che, non facendo parte di circuiti omologati, anche, dal crite-rio commerciale, faticano a trovare spazi dai quali proporre la propria creatività.Da questo quadro generale, si passa a tracciare brevi profi li biografi ci-critici relativi ai ventiquattro artisti proposti, ciò per facilitarne la lettura e per comunicare informazioni sin-tetiche che potranno, poi, essere individualmente arricchite da parte di chi avrà la sensibilità di leggere e di conservare il catalogo-antologico delle “Vetrine d’Artista 2010”.

Roberto Bertagnin: Il vento, 2006, incisione su carta, cm. 30x30

Arturo Martini: Nudo di schiena, studio per la scultura “Palinuro”, 1945, inchiostro su carta, cm. 31x21

a Venezia, 1980, Guglielmo Bozzano: Scorcio urbano di Savona, anni ’60, acquerello su carta, cm. 25x17

Oscar Saccorotti: Pesce e conchiglia, china su carta, cm. 17x21

ura morta con brocca,

Germana Rossi: L’apparenza, 2010, terra refrattaria, 1000° e terzo fuoco, cm. 98x35x30

Margherita Piumatti: Primavera nell’aria, ceramica, ingobbio e smalto, cm. 30x30

Mariella Relini: Eleven, 2009, olio su tela, cm. 70x50

Lorenzo Giusto Acquaviva: Erisson (Protezione),2008, semirefrattario smaltato, vetro in terza cottura e platino in quarta

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gnifi cativa nel panorama cultu-rale italiano del Novecento per i suoi rapporti con artisti, scrittori, poeti italiani e stranieri. Pittore e ceramista, fi ne illustratore dei Li-bretti di Mal’aria editi dall’amico Arrigo Bugiani, collaboratore pre-zioso per l’organizzazione della mostra antologica dedicata a Lino Berzoini, svolta da Silvia Bottaro per il Comune di Savona. Artista poliedrico, curioso, al di fuori di ogni moda, sempre coerente a se stesso nella ricerca con la ceramica (le forme della quotidianità come piatti fondi nel solco della tradi-zione ceramica popolare ligure) assurta a esiti, anche tecnicamente sorprendenti, lirici, a volte ludici. Ha studiato all’Accademia Ligu-stica di Belle Arti di Genova e dal 1941 ha dato vita alla sua intensa attività espositiva (presente a tutte le Sindacali e Regionali liguri, alla XXV edizione della Biennale di Ve-nezia, al Premio Golfo di La Spezia dal 1952 al 1961, alla Mostra inter-nazionale d’Arte contemporanea di Roma del 1955, per citare alcune sue particolari presenze). Pittura, acquerelli trasparenti, poetici nella loro essenzialità che, a volte, han-no risentito della lezione di Rodo-canachi e di Saccorotti svolta con cristallina originalità.

Arturo Martini (Treviso, 1899- Mi-lano, 1947). Personalità di indub-bio rilievo nel panorama del Nove-cento delle arti plastiche: scultore, ceramista. Rilevante la sua azione di sprovincialismo della scultura ligure, dovuta alla sua presenza a Vado Ligure, dove si sposò nel 1920, rimanendovi fi no agli anni Trenta e trovando in loco un cli-ma favorevole al dialogo tra arte e società. Si devono a tale periodo alcune opere signifi cative come “Pegaso” per il palazzo delle Poste di Savona, “Il benefattore”, monu-mento funebre dedicato al sacer-dote Cesare Queirolo (oggi nella sede del Museo di Villa Groppallo a Vado Ligure). Aderì nel 1921 a “Valori Plastici”; la sua produzio-ne ceramica, sempre dello stesso periodo, è caratterizzata da una “dimensione scultorea”. Forte è la sua ricerca e meditazione sul valo-re della classicità e della purezza delle forme usando, anche mate-riali particolari, come la terracotta, la pietra (caratteristico l’uso della pietra di Finale Ligure) che tendo-no a riportare il linguaggio artisti-co verso lineamenti di comunica-zione elementare e, quindi, in un certo senso, vitale. La presenza di Martini a Vado Ligure, ad Albisola (lavorò per La Fenice), a Genova (lavorò per l’Ilca di Genova-Nervi) è stata di impulso per l’attività e la ricerca di molti artisti locali.

Oscar Saccorotti. (Roma, 1898- Recco, Genova, 1987). Giunge a Genova nel 1914 ed inizia la sua attività lavorando, anche, con i Coppedè. Ha aderito nel 1926 al Movimento del Novecento italia-no e la sua prima mostra perso-nale risale al 1927 a Milano e nello stesso anno è presente alla Bien-

nale di Arti Decorative di Monza. Come disegnatore di mobili ha lavorato (1928-1931) presso la dit-ta D.I.A.N.A. di Genova. Presente a tutte le Biennali di Venezia dal 1930 al 1940, dove ebbe una mostra personale nel 1942. Nel 1948 ha partecipato, ancora, alla Biennale di Venezia. Stessa frequenza alle Quadriennali di Roma (1935; 1939; 1943; 1959; 1965). Pittura dedicata alla natura, con un periodo legato al Futurismo, portata avanti con originalità ed una costante ricerca sul paesaggio, indagato nei suoi signifi cati allusivi, nei suoi valori cromatici ed intimi. Le nature mor-te e gli uccelli fanno parte del suo ricco bagaglio iconografi co della sua ultima produzione. E’ stato anche un validissimo incisore.

Proposte nuoveFrancesco Vichi. Insegnante di musica, concertista. Appassionato d’arte e pittore; copia, soprattutto, gli Impressionisti francesi che da anni indaga col colore e l’elegan-za delle forme riproducendone le opere più note. Crea, poi, lavori suoi dedicati alla natura, ai caval-li, emozionanti nella linearità del-la composizione e nella intrinseca capacità comunicativa usando una ricca tavolozza e forme che, nella loro elementare evidenza, hanno una comunicazione accattivante. Cromie allegre, fraseggio comple-to che attrae l’osservatore e che si discosta dalla timidezza di fondo della sua personalità.

Bruno Gorgone. Artista ormai con-solidato nel panorama dell’arte contemporanea internazionale. Compie ricerche sui materiali (ve-tro, computer artist, incisioni, oli). Fa parte del “Gruppo Architetti Artisti Venezia”. Luce, trasparen-ze, i miti (dai “giardini” al mito di Narciso) sono presenti nel suo bagaglio iconografi co più attuale, fi no ad una sua lettura futurista attraverso il vetro di Murano con inclusioni, anche auliche (l’uso dell’oro). Quadri e sculture ci of-frono la bellezza di una poesia, il racconto della sua ricca e poliedri-ca fantasia, l’ideazione e l’abilità dei suoi paesaggi: peculiari le “mi-tocromie”, cioè campiture sma-glianti di colori, intarsiati tra loro con l’”originale segno” dell’alfabe-to enigmatico gorgoniano che com-pone pagine silenti e singolari.

Paola Failla. Artista di origine padovana dove vive e lavora, con attività anche a Parigi. Pittura in-tensa la sua con una caleidosco-pica tavolozza, ricca di segni, di riferimenti alla natura, alla fl ora, alla fauna che è avvertita come valenza culturale molto forte. Ha scritto: “ Un pensiero alla terra e un pensiero all’aria, all’acqua. E la

carta si incresca a formare picco-le colline e la polvere di marmo e la sabbia diventano deserti. Il blu diventa mare, fi ume e scorre tra infi niti verdi…”. Espone dal 1984; ha frequentato l’Accademia di Bel-le Arti di Venezia avendo come maestro Emilio Vedova. Compie ricerche nel settore della calligra-fi a intesa quale mezzo di comuni-cazione artistico con riferimenti ai fregi rupestri e, quindi, agli albori dell’uomo.

Massimo Vella. (omaggio postu-mo) E’ con viva partecipazione che ricordiamo la creatività di Massimo Vella che ha esposto le sue fotografi e, sensibili, ricercate ed ottenute con la raffi nata tec-nicar del bianco e nero e con una capacità realizzativa originale e in-tensa da vero artista dell’obiettivo. Purtroppo la sua “Vetrina d’Arti-sta” è stata l’ultima occasione per avvicinarci al suo modo d’essere fotografo d’arte, perché a fi ne mar-zo ci ha improvvisamente lasciati. Pochi giorni prima i suoi progetti facevano sempre capo all’Associa-zione “Aiolfi ” per la quale aveva realizzato una serie d’inedite foto-grafi e di Savona ripresa nelle ore notturne, per carpirne i segreti, le ombre e le luci. Si prospettava, quindi, una sua mostra persona-le dedicata alla Città quale luogo della quotidianità. A metà marzo 2010 aveva comunicato di aver concluso le riprese notturne e che avrebbe voluto ideare un’inizia-tiva atta a “svelare” Savona sotto una luce diversa: lo ringraziamo per questa sua intenzione e spe-riamo che chi oggi conserva le sue cose cui teneva moltissimo (i vetri e le ceramiche futuriste), le sue creazioni fotografi che possa e vo-glia ricordarlo con affetto e stima allestendo, nell’anniversario della sua scomparsa, la mostra “Savona nel cuore dell’obiettivo”. Questo era il titolo provvisorio che aveva prospettato a Silvia Bottaro, con la quale intendeva realizzare questo omaggio alla Città di Farfa e di Mario Stellatelli. Giuseppe Ferrrando. Personalità molto nota in Albenga, a Ceriale dove vive e lavora. E’ vicepresi-dente dell’Associazione Artistica Torchio e Pennello sita in Alben-ga, dove espone in permanenza le proprie opere e insegna la tec-nica dell’acquerello. La sua pit-

tura, anche, iperrealista mette in luce la propria voglia particolare di comunicare attraverso un su-perealismo che è suadente, im-mediato, che riesce ad accentuare le forme più belle della donna o d’alcuni personaggi, come cer-ti Pierrots, moderni anche se ri-presi nella classica iconografi a. Il suo simbolismo è istintivo, non di maniera; infatti, non vi sono inutili

esibizioni, ma in ogni piccolo spa-zio delle sue opere, che si possono defi nire in un certo senso veri so-gni ad occhi aperti, questi affi ora-no come ergendosi dal penetrante inconscio, che è la varietà in cui lui immerge il pennello della sua cre-atività e della sua concretizzazione sempre effi cace e felice.

Germana Rossi. La ceramica è la materia, si può dire, esclusiva con la quale crea le sue sculture, i piat-ti, le grandi ciotole, le sue “donne” sinuose e orientaleggianti seppur legate, in qualche modo, agli echi del Liberty. Padrona di una buo-na tecnica, affi nata dalla costante ricerca, la Rossi si cimenta, molto spesso, con l’antica tecnica raku dove la bravura del modellato gio-ca, anche, con la casualità del fuo-co, della cottura in un alchemico insieme dove, però, il risultato è sorprendente, pregevole e poeti-co. Opere quasi informali sia nel-la decorazione, sia nel modellato sempre innovativo e che risente della scuola albisolese nelle tante contaminazioni culturali che dal-le fornaci di Albisola hanno avuto voce, grazie ai maestri del gruppo Cobra, fi no a Fontana, a Sassu per citarne alcuni. Queste tracce sono state metabolizzate in forma per-

sonale dalla Nostra che ha trasfor-mato la ceramica nel suo “linguag-gio” ben riconoscibile.

Mariella Relini. Si avvicina all’ar-te come autodidatta ed esordisce nel 1984 a Pozzo Garitta (Albissola Marina). Sotto la guida di Attilio Cicala si perfeziona nella pittura a spatola e si avvicina, sempre in modo personale, alla pittura infor-

male. Ha scritto Marco Pennone: “…La tavolozza della Relini è in-somma in pieno accordo con i suoi (ed i nostri) stati d’animo, ricordi, visioni; le emozioni si traducono in tonalità musicali, con forte sen-so dell’ equilibrio e dell’armonia compositiva. La nostra pittrice è dotata di uno spiccato talen-to nella sintesi visiva; il suo è un post-impressionismo che ha ma-gnifi camente assorbito la lezione del grande Van Gogh (si vedano certi notturni) e che talora sconfi na quasi nell’ astratto….”. Campiture di colore acceso e moderno, fi gu-re geometriche spezzate, contorni netti e senza pentimenti: questo è il suo particolare racconto visivo, contemporaneo, esplorato con par-ticolare sensibilità e felice tecnica compositiva e coloristica.

Margherita Piumatti. Ricercatrice inesauribile poiché mette in esperi-mento la sua creatività con la cera-mica, il vetro e non solo riuscendo, in ogni caso, a costruire il suo per-corso d’artista, ben riconoscibile. La sua ormai conclamata esperien-za e consapevolezza, anche, tecni-ca, la conducono a percorsi sempre innovativi dove la favola, la magia gioca un ruolo importante con il design. Nascono così i suoi monili che non sono soltanto attrattive per le mani o i decolté delle signore ma sono dei veri “cammei” della sua creatività. Scultrice, anche, poiché si cimenta con forme globose e primarie, modellando la terra con l’antica tecnica raku dove l’alchi-mia casuale del fuoco ha un ruolo decisivo per l’innovazione delle immagini concretizzate, compiute. Eleganza, leggiadria, intelligenza, progettualità sottendono all’ela-borazione e produzione delle sue opere

Lorenzo Giusto Acquaviva. L’ap-partenenza ad una famiglia di artisti lo ha accostato alla ricerca culturale del secondo futurismo, con la letteratura e poesia che n’è derivata. In tale articolato conte-sto, il Nostro esprime con tempra la sua natura di sperimentatore raffi nato, colto, irruente e timido al contempo, elegante ed esplosi-vo con l’uso dell’oro, del platino, del cristallo intarsiato, gettato, ur-lato col colore assoluto rosso sulla ceramica. Tale materia, povera e umile, nel-le sue mani diviene pagina sulla quale incidere, scrivere parole e detergere lacrime degli uomini d’oggi. E’ il vulcano acceso dalla sua fantasia. La ceramica è il mondo immagi-nario del globo sommerso legato a Verne che esplode con la forza della Natura e delle sue creature, più o meno note. Così il mistero della galassia con le sue forme, i suoi vuoti inesplorati lo rapiscono con la creazione di forme nuove, forse aggressive, ma certamente implicanti miti, favole, versi, fol-clore, paure, verità universali.

Saccorotti Oscar: “Ritratto di Domenica”, carboncino su carta, cm. 30x25 (sotto); Collina Raffaele: “Tramonto a Clement Town”, 1943, olio su cartone, cm. 50x65 (a destra); Rosai Ottone:“Autoritratto”, 1952, carboncino su carta, cm. 38x28 (a sinistra in alto).

Solari Giovanni: “Lungo Senna”, tempera su carta, cm. 48x67 (sotto); De Grada Raffaele: “San Giminiano”, matita su carta, cm. 22x27 (a fi anco).

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Una statua di Gian Lorenzo Bernini?Da sempre affascinata dalla Statua della Madonna di Squaneto, ho iniziato a cercare notizie. Recatami all’archivio della Diocesi di Acqui Terme, qui ho trovato conferma che non se ne conosce con certezza la provenienza. Alcuni abitanti dei dintorni raccontano che persino Vittorio Sgarbi si sia recato a vederla e che abbia dedotto che effettivamente appartenga alla scuola del Bernini. Ora qualcuno sostiene che la statua sia di un anonimo di scuola genovese del XVIII secolo…Quali sono le cose che dobbiamo tener presenti nel giudicare una scultura? Nella scultura bisogna considerare il volume dell’opera. Essa, infatti, non presenta un’unica superfi cie, bensì un insieme di superfi ci curve, spezzate, piane; ed essendo diverse, queste superfi ci ricevono anche in modo diverso la luce che si posa su di esse. Ciò che una scultura rappresenta non è affatto il fattore saliente, la cosa più importante nel giudicarla. Il soggetto è solo il punto di partenza. Ciò che veramente conta è il come, il modo in cui l’autore lo ha raffi gurato.La cosa più importante è lo stile. Molti elementi contribuiscono a creare questo stile. Il vibrare della luce sulla materia, il senso di energia o di movimento che l’artista ha saputo infondere alla sua opera, le proporzioni, l’armonia, la stilizzazione…Gian Lorenzo Bernini ci ha donato opere in cui il volume delle fi gure quasi non si nota, tanto le superfi ci sono animate, spezzate dai rifl essi di luce e ombra. I movimenti non sono dati dai gesti dei personaggi, quanto dal gioco dei chiaroscuri nel panneggio delle vesti. (G. F. M.)

Nella Madonna dell’Immacolata Concezione non c’è più la com-postezza lineare, quei volumi ben defi niti e tranquilli che erano stati caratteristici dell’arte del Ri-nascimento, bensì il nuovo modo di scoprire e intendere la scultu-ra che ha ideato il Bernini e che si è diffuso in tutta l’Europa. C’è il movimento, creato da un attor-cersi di vesti, una tensione spa-smodica, un guizzare di abiti, di pieni e di vuoti sui quali la luce si rompe producendo l’illusione di una vitalità celeste. “Brividi di luce” sono stati chiamati quelli che animano le sculture del Ber-nini e sembrano simboleggiare i fremiti di quel secolo inquieto, in cui visse, pieno di contrasti vio-lenti. Lorenzo lasciò Roma dal 25 aprile alla metà di novembre del 1665 per recarsi a Parigi e proba-bilmente proprio in questo perio-do passò tra Piemonte e Liguria e scolpì la statua. Il marmo acqui-sta nelle sue mani, delicatezza, morbidezza, sottile fragilità. La Madonna dell’Immacolata Con-cezione è piena di vita,è ampia e ariosa. Con il suo gusto decorati-vo e il suo genio scenografi co il Bernini movimenta il piedistallo della Madonna che è sostenuta da una suggestiva scenografi a di rocce, angeli e serpente che simboleggia il Male e viene cal-pestato e sconfi tto dal Bene. In questa stupenda opera sono evi-denti due caratteristiche dell’arte del Bernini. La prima è la gran-diosa concezione che si esprime nella suggestiva composizione alla quale danno risalto le deco-

Un gioiello dell’arte gotica o tardo-gotica a Bastia di Mondovì

La Chiesa di San FiorenzoLe piccole cappelle che, girovagando per le Langhe, si incontrano un po’ ovunque ci trasportano con le loro storie in un mondo ingenuo, sincero e ricco di fede. Costruite anticamen-te per riparo e riposo dei pellegri-ni, sono state in seguito abbellite ed affrescate traducendo in immagini le preghiere di ringraziamento e de-vozione, ma anche di invocazione di aiuto nei fl agelli della peste e della guerra.Arte popolare, semplice e spoglia, ma densa di spirito religioso e misti-co rapimento, con un gusto pronun-ciato per i lunghi sviluppi pittorici e le storie ad episodi multipli.Tutto doveva parlare al cuore ed alla mente di chi guardava i soggetti rap-presentati; più che per diletto, dove-vano servire per istruire, confortare ed ammaestrare il popolo. Vera e propria “Biblia Pauperum” che rac-coglie in sè tutti gli insegnamenti ed i valori della fede ad iniziare dal Cri-sto, dagli Evangelisti, dalla Vergine e dai Santi.A questi concetti, che rientrano nei canoni stilistici del XV secolo dell’ar-te delle Alpi Marittime, si ispira l’ar-

te gotica o tardo–gotica che trovia-mo nel ciclo di pitture murali della Chiesa di San Fiorenzo di Bastia.Edifi cata verso la metà del XIII se-colo (1220-1230), è stata in seguito ampliata ed affrescata con un nuovo ciclo pittorico coprendo, nel nucleo primitivo, antiche pitture bizanti-ne ancora parzialmente visibili. Le attuali sacre rappresentazioni sono datate 24 giugno 1472 ed occupano una superfi cie di ben 326 mq. Come in un gigantesco “fumetto”, ecco il-lustrate le gesta e la vita dei santi e dei martiri tra i quali San Fiorenzo, San Martino, San Giorgio, San Seba-stiano, San Michele, Sant’Antonio abate e molti altri ancora. Assisi nel-le vele della volta del presbiterio, il Cristo creatore e gli Evangelisti. Par-ticolare importanza rivestono due riquadri di circa 50 mq, ciascuno raffi guranti il Paradiso e l’Inferno.

Il primo gioioso, festoso e bello con sei schiere di Santi in contemplazio-ne dell’incoronazione della Vergine attorniata da una moltitudine di an-geli musicanti, alla base le opere di misericordia quale insegnamento da seguire per giungere alla salvezza e alla gioia eterna.Il secondo, l’Inferno, tetro, lugubre e spaventoso con a capo Satana che sevizia e tortura sotto i piedi avvo-cati e procuratori. La cavalcata dei vizi, che unisce e lega i sette peccati capitali, ci conduce attraverso le fau-ci del “Leviatano” a terribili pene.Molto delicate e ricche di simbolismi le scene dell’infanzia di Gesù ispira-te ai Vangeli apocrifi con riferimenti a credenze popolari. Dipinte come stazioni della “Via Crucis” le 22 ico-nografi e della Passione che occupa-no tutta la parete sinistra della nava-ta. Ultimo riquadro la resurrezione simbolo di vita eterna e nuova.

Associazione CulturaleS. Fiorenzo

La chiesa di San Fiorenzo è aperta al pubblico con visite guidate gratuite tut-te le domeniche dalle ore 15 alle 19 dal mese di aprile a tutto il mese di ottobre. Per visite fuori orario contattare: Asso-ciazione Culturale S. Fiorenzo O.n.l.u.s. tel.338/4395585

Il Presbiterio (a sinistra); la volta (sopra) e gli Evangelisti (sotto); la navata (sotto il titolo).

A Squaneto, la Madonna dell’Immacolata Concezione

razioni del sostegno. La seconda caratteristica è data dall’assolu-ta padronanza del materiale: il marmo bianco della Madonna è trattato con vera maestria.Gian Lorenzo Bernini, nato a Napoli nel 1598 e morto a Roma nel 1680, è senza dubbio uno dei “grandi” della scultura italiana. Egli ha per primo espresso com-piutamente la nuova sensibili-tà barocca, fatta di movimento, drammaticità, potenti contrasti e accompagnata da un prodigioso virtuosismo tecnico.Nell’aprile 1796 Napoleone e le sue truppe conquistarono i terri-tori intorno a Squaneto. In quel periodo, da quelle parti, passò anche Papa Pio VII. Si narra che le truppe di Napoleone avesse-ro scovato chissà dove la statua e volessero trascinarla fi no in Francia. Un nobile del luogo pat-teggiò, l’acquistò e la statua arri-vò a Squaneto. Un’altra versione racconta che la statua in marmo, attribuita alla scuola del Bernini, sembra (gli anziani raccontano) sia stata la-sciata da Carlo Alberto mentre passava da queste parti per an-dare in esilio ad Oporto.

Giacinta Ferrero Marenco

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Lo “Scarabattolo”a cura di Roberto Debenedetti

Le mostre dei nostri artisti• Giuseppe Ferrando: Mostra perso-

nale, Galleria “Bottega d’Arte”, Sanremo, 3-15/5/10. La mostra è il premio all’artista per essersi clas-sifi cato ai primi posti nel concorso “Il gioco nell’Arte 2009” tenutosi a dicembre presso il Teatro Ariston di Sanremo; Festivalart 2010, Expo internazionale di Spoleto dal 24 al 27 settembre 2010.

• Celina Spelta: “Artisti per la salu-te”, Studio Arco Quattro, Galleria Derbylius, Milano, con il patroci-nio del Comune di Milano e delle Regione Lombardia, 4-15/5/10.

• Elisa Traverso: “Volano i pensieri”, Galleria del Cavallo, Quiliano, 8-23/5/10.

• Carmen Spigno: “Materia creati-va”, Caffè d’Arte, Alassio, 1/4-31/5/10.

• Antonietta Cavallero: “Geometrie in fuga”, Pozzo Garitta 11, Albisso-

la Marina, 15-27/5/10• Riccardo Accarini: “Mostra perso-

nale”, Circolo degli Artisti, Albis-sola Marina, 22/5-6/6/10

• Paola Failla: “Wonderland”, Gale-rie Orenda, Parigi, 27/5-10/7/10

• Giovanni Tinti: “Ceramiche”, Poz-zo Garitta 11, Albissola Marina, 29/5-9/6/710

• Laura Macchia: Mostra personale e presentazione del libro “Poesie”, Biblioteca Civica C. Sbarbaro, Spo-torno, 31/5-11/6/10

• Franca Briatore: “Appunti di viag-gio”, Sala Mostre della Provincia di Cuneo, 15-22/6/10

• Paola Failla: “Place aux Artistes! Italie et Méditerranée «, Gallerie d’art Arcima Paris, 25/6-23/7/2010

• Beppe Schiavetta: “Dipinti e cera-miche”, Bludiprussia, Eleutheros, Studio Lucio Fontana, Albissola Marina, 4-26/9/10

• Walter Allemani, Almerindo Wal-ter Cicerone, Augusto De Paoli, Vincenzina Pessano : “Porto Vado”, presentazione P. Toso, Piazzetta Cialet, Vado Ligure, 9-12/9/10

• Giovanna Crescini: mostra perso-nale “Sotto lo stesso cielo”, presenta-zione di S. Bottaro, Sala Convegni Palace, Spotorno, 11-19/9/10.

• Castellamonte, L’anima della Terra, 50a Mostra della Ceramica e 7a Mostra dell’Arte Applicata, 3/9-3/10/10, hanno partecipato: Car-men Barbini, Arturo Bertagnin, Silvia Calcagno, Roberto Gian-notti, Enzo L’Acqua, Giacomo Lusso, Renata Minuto, Gianni Piccazzo, Giovanni Tinti

• Gian Genta: Mostra personale, Cen-tro Ceramico della Fornace Paglie-ro, 3/9-3/10/10, Castellamonte (TO).

• Sergio Palladini: Mostra persona-le “Città a bordo tra nuvole e mare”, Galata Museo del Mare, Genova, 23/9 – 17/10/2010.

• Bruno Gorgone: “Giardino mentale”, opere 1980-2010, Pinacoteca Civica di Savona, 25/9 - 24/10/10.

• Sergio Paladini e Giuseppe Triel-li: “Omaggio agli incisori antichi”, Galleria Il Grechetto, Genova dal 30 settembre al 30 ottobre 2010 con altri artisti.

Libriin

vetrinadi Grazia Robaldo

Guido Bava, “Piemonte in fl ash”, 4 voll., Carta e Penna, Torino, I^ edi-zione 2006.Il Piemonte è regione ricca di storia e leggende come tuttora testimonia-no numerosi castelli, fortezze, tor-ri e abbazie; è terra di tesori artistici e culturali con paesaggi naturali bel-lissimi. Quattro volumi che intendo-no far conoscere meglio questa terra, inducono il lettore a non di-menticare le tradizioni, a non trascurare ciò che quotidia-namente è davanti agli occhi, ma ad apprezzarne il valore. Attraverso una serie di infor-mazioni a fl ash interessan-ti e non tediose, ci riportano anche notizie che non trova-no spazio sui libri di storia; ci raccontano di antichi cava-lieri, di suore pittrici, di stre-ghe; ci ricordano usi dome-stici anche con ricette (la ba-gna cauda) e curiosità come la gara tra mangioni a chi, consumato il pranzo, pesa-va di più. Vi invito a legge-re: vi divertirete e forse ricor-derete anche “storie” raccon-tate in famiglia, perché tan-ti liguri hanno un po’ di san-gue piemontese ereditato da quei nonni che hanno supe-rato le colline e cercato for-tuna sul mare come testimo-niano Pavese e Fenoglio nelle loro straordinarie pagine.

Andrea Borsarelli, “Schegge di memo-rie – Vicoforte 1935/1945”, Stilgraf, Vi-coforte, Cuneo, settembre 2008.La vita di un paese in un tragico de-cennio d’Italia attraverso vicende umane vissute o raccontate con pro-tagonisti noti o meno noti e luoghi, alcuni ormai solo vivi nel cuore delle persone. E’ un racconto avvincente, di facile lettura che nasce dal piacere di ricordare piccole storie che ben ri-velano la paura, la confusione di que-gli anni. L’autore ha ascoltato le testi-monianze di quanti li hanno vissuti, ha partecipato alle loro emozioni nel ricordare, ha raccolto storie di fami-glia che parlano di partigiani, tede-schi in fuga, rappresaglie, brutalità e delazioni. Ma anche di artigiani e di soprannomi in un paese tanto amato dall’autore che è fi ero di ricordarne le usanze, i modi di dire, i proverbi per tramandarli ai giovani.

Laura Sergi, “Una grande macchia a forma di cuore”, L. Editrice, Cairo Montenotte, Savona, novembre 2009.Per gli appassionati di animali, per i “gattari” – e sono molti – questo è un libro delizioso: tante storie vere di amici a quattro zampe, anche quelli che non ci sono più, scritte in manie-

re veloce e discorsiva da chi con loro ha vissuto. Ed ecco, Ketta, Mimmo e Noemi, tanti gatti del quartiere e tut-ta una folla di randagi. Solo chi non conosce gli animali può credere che non capiscano e non comunichino; chi non li ama pensa che sporchino e diano fastidio; invece, possono essere una cura contro la solitudine e il do-lore, piccoli amici spontanei e disinte-ressati. Per far contenti chi ama i cani, ci sono due piccole storie, ma si par-la anche di un cinghiale, di un gallo, di ramarri, di bisce, … Buona lettura. Tutto andrà a favore dell’associazio-ne no profi t “Felini felici” di Savona.

Laura Macchia, “Poesie”, collana La Moretta, Coop Tipograf, Savona, maggio 2010Primo libro di un’artista che da sem-pre ama scrivere, dipingere e lavorare la ceramica: una raccolta di versi da-gli anni sessanta ad oggi che solo ora sono offerti alla lettura fuori dall’am-bito familiare. Immagini, emozio-ni, ricordi mentre il tempo passa, si affacciano nuovi affetti, si soffrono pene e sempre la vita riprende, la na-tura si risveglia in tutta la sua bellez-za. A dirla con l’autrice, se da giova-ne la scrittura serviva a fermare le

sue emozioni e poi a descriverle, ora in età matura le porge fi ltrate come avviene nella sua ceramica e nei qua-dri: è “come diluire la mia voce … nel coro delle voci di tutti”.

Gruppo Prisma 177, “Volti, corpi e for-me dei cantieri”, Erredi Grafi che, Ge-nova, 2010L’intento di avvicinare il pubblico

all’arte e alla cultura attra-verso argomenti di attualità ha trovato realizzazione nel tema “delle macchine” nei molteplici aspetti. Il Gruppo ha scandagliato i luoghi del-la Genova industriale per co-glierne i momenti più rap-presentativi del lavoro. Me-morie, luoghi, manufatti, cor-pi e volti sono coniugati con diverse espressioni artistiche – poesia, prosa, pittura, foto-grafi a – e proposte ai visita-tori di una mostra itinerante. Testimonianze di un periodo importante, perché le riviva-no quanti vi hanno parteci-pato e le possano conoscere le nuove generazioni.

Raimondo Sirotti, “Giardini 1958-2008”, a cura di Marco Goldin, linead’ombra libri, Treviso, 2008Il pittore si appropria del-la natura eludendo la vista e determinando immagini le-gate ad un gesto, ad un’emo-

zione; si alimenta di suoni, odori, contatti, fruscii, attento ai particolari più semplici come erbe, foglie, inset-ti, muschi pur sempre privilegiando il fi ore. E’ la luce che determina le for-me, ma spesso è luce interiore che di-venta forza espressiva. Le parole del pittore, da cui ho tratto spunto, sono accompagnate dai versi di Edoardo Sanguineti: “… e vedo odori; e vedo nero/ ma ormai soffi ato, il lampo ve-getale …”.

Fuga, “11° Concorso letterario Premio Cosseria 2007” …Il volume raccoglie i testi classifi cati-si ai primi tre posti nella sezione pro-sa e poesia nell’11° Concorso Inter-nazionale “Fuga”, Premio Cosseria 2007, nonché quelli insigniti di men-zione speciale ed altri primi classifi -cati nel concorso riservato agli auto-ri italiani residenti all’estero. Il tema “Fuga” come desiderio di evasione dalla realtà quotidiana ha sollecita-to molti partecipanti a presenziare per esprimere sentimenti ed emozio-ni, oltre che per mettersi in gioco. Il volume è illustrato dalla pittrice val-bormidese Marilena Colombo Povi-gna, anch’ella ispirata dalla sugge-stione del tema.

Rifl essioni

Gli azuleios di Milly CodaLa giornata del 15 agosto 2010, al calare del forte sole agostano e nell’in-canto della Natura del Tombolo della Giannella, ha visto, dopo la funzione religiosa nella piccola e linda cappella di Sant’Antonio, alla presenza di molte decine e decine di persone, la presentazione da parte di Silvia Bot-taro del libro “Gli azuleios di Milly Coda”: un libro-catalogo che è un vero inno alla bellezza del Creato, al sentimento religioso, alla creatività della Coda guardando la lezione della ceramica savonese legata alla decorazio-ne bianco/blu ed al lavoro di Bartolomeo Guidobono.Quelle piccole piastrelle che, poste assieme formano le tre croci reggen-ti la mensa dell’altare della Cappel-la in discorso, fondata da Gemma e Armando Salati, coinvolgono l’os-servatore non solo dal punto di vista iconografi co legato alla religione ma, anche, lo conducono a scoprire la fl o-ra e la fauna di questo lembo di terra toscano, così ricco di colori, di pro-fumi, di intense sinergie. Questa è la rifl essione che ho fatto nello sfoglia-re l’elegante volume dove dal blu di fondo emergono con elegante forza le varie opere ceramiche di Milly Coda, che ha appreso i segreti della materia da Lino Berzoini. Dall’uva al melo-grano, dalla passifl ora al trifoglio, dal rovo al grano è una enciclopedia per immagini della ricchezza della natura e del paesaggio: la Coda ha scritto con la ceramica il suo inno musicale dedicato alla salvezza e valorizzazio-ne del Territorio con un gesto di onesta verità, con una preghiera sentita. Dal 1985 ad oggi la Coda ha creato piastrelle (azuleios come le ha Lei de-fi nite, oppure “laggioni”, come li ha precisati Silvia Bottaro, collegando la cultura araba spagnola con quella ligure a cui appartiene Milly Coda), la “Via Dolorosa”, il “Sacro mandillo”, due vasi: un articolato ed impegnati-vo lavoro che ci fa scoprire un’altra Coda più rifl essiva, forse, più matura certamente nell’uso di soli due colori che riesce a rendere caleidoscopici nelle loro trasparenze e modulazioni melodiose.

Milly Coda, “Rovo”, la pianta che con le sue spine simboleggia la Passione di Gesù, piastrella in ceramica con decorazione bianco blu.

Addii d’estateNella primavera 2010 è mancato l’amico e fotografo Massimo Vel-la, un nostro associato entusiasta del clima propositivo dell’Asso-ciazione “Aiolfi ” cui aveva aderito da diversi anni e contribuito con i suoi consigli puntuali, con la partecipazione a numerose inizia-tive, con la realizzazione di una serie di signifi cative fotografi e in bianco e nero dedicate alle architetture futuriste di Savona e zone vicine. Massimo lascia un grande vuoto e lo ricordiamo per la sua educazione, disponibilità, desi-derio di aiutare a far crescere la nostra associazione anche attra-verso le sue passioni, la fotogra-fi a appunto, la ceramica ed i ve-tri futuristi di cui era un raffi na-to collezionista. L’estate 2010 ha, poi, spento la voce dell’editore e grande amico Marco Sabatelli della Famiglia Sabatelli che con Silvio, il pa-dre, ed il fratello Norberto han-no scandito, coltivato la cultura in Liguria, in generale, e a Savo-na in particolare. L’Associazione “Aiolfi ” aveva conferito il “Pre-mio Aiolfi ” a Loro, proprio per ricordarne i grandi meriti cultu-rali, l’impegno costante sul Ter-ritorio, l’editoria specializzata negli argomenti legati alla no-stra Terra, la promozione cultu-rale e turistica avviata da tanti decenni con raro impegno e ca-pacità professionale. Savona ri-mane orfana di un Amico, di un sereno conoscitore della sua storia e dei suoi Uomini. Una persona sempre entusiasta ed appassionato quando qualcuno, sia giovane promessa della letteratura e della ricerca, sia nome più noto, si re-cava nella sua casa editrice e prospettava nuove imprese editoriali. Marco Sabatelli ha scoperto molti talenti locali, ha pubblicato libri ormai rari che hanno arricchito l’indagine e la proposta culturale di Savona e del suo Territorio. Altre voci si sono spente in questi mesi. Il ricordo corre alla nostra associata artista Lisa Boer, tragicamente scomparsa in un terribi-le incidente stradale, che ci ha lasciato in dono la sua creatività fre-sca e rivolta ai diversi materiali (vetro, ceramica) e la sua inclina-zione al racconto, alla divulgazione dell’arte ceramica anche pres-so i bambini. Non è più tra noi Valeria Camerone che fu tra le prime artiste ad iscriversi sette anni or sono e da allora, anche se negli ultimi tempi molti problemi seri familiari l’avevano giustamente distolta, è sem-pre stata presente con le sue originali, oniriche, sensibili opere e con la sua presenza, perennemente un po’ nell’ombra come il suo carat-tere, schivo e molto educato, la portava a fare.

Marco Sabatelli

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dalla prima pagina

metri cubi di cemento orripilante, di casette, casoni e casermoni ma-gari vicino a monumenti antichi, periferie massacrate che un tem-po erano borghi storici importanti con la loro armonia urbanistica, come Legino, Lavagnola, Zinola. Provate a fotografare la chieset-ta di San Martino sul Letimbro, un piccolo capolavoro, ma oggi sembra una vignetta di Mordillo, la chiesetta con il ponticello e un po’ di verde in mezzo ai palazzi di appartamenti che la sovrasta-no. Eppure non protestava nessu-no, nemmeno mezza parola. Oggi per fortuna la voglia di qualità è entrata nel senso comune, tutti vo-gliono le belle pavimentazioni, le isole pedonali, gli intonaci restau-rati, il verde ben curato, la città a misura d’uomo, anzi di bambino. Si è passati talmente all’eccesso opposto che il nuovo, qualunque esso sia, quello brutto ma anche quello bello, crea polemica. Così capita che il nuovo quartiere Bo-fi l nella Darsena, che ha sostituito un precedente enorme autosilo, diventi il vulnus di tutte le cemen-tifi cazioni. Tanto che oggi chi ci passeggia dentro, nella piazza De André, lo dice quasi piano, sotto-voce, timoroso di farsi sentire che invece quel posto sembrerebbe … bello. Pareti vetrate, trasparenze e pannelli di legno, legno anche per terra come se si camminasse sulla tolda di una barca a vela, prospet-tive ariose sulla Torretta, sulle an-tiche “quarde” che fi nalmente di-ventano uno splendido waterfront per una passeggiata carica di brez-za marina e di rifl essi sul mare, vicino al terminal crociere che ac-coglierà nel 2010 oltre 820.000 pas-seggeri, anche questo elemento concreto del cambiamento in pro-iezione turistica della città. Sono così i “foresti” a godersi il pano-rama e a dire senza incertezze che “bella è Savona”, il centro storico dentro il porto, il porto dentro il centro storico, le spettacolari navi da crociera che attraccano a trenta metri dal salotto buono della città, scendi le scalette attraversi il pon-ticello e sei in Via Paleocapa. Uno spettacolo. Perchè non dirlo? E’ la nostra città, ed è bellissima. E’ una parte nuova di Savona che deve ancora trovare la sua dimensione e la sua vita, ma che già comincia ad offrirsi all’esterno con un grande albergo, ristoranti e bar, negozi di qualità che via via riempiono gli spazi ancora vuoti. Tutta la zona dell’Antica Darsena, con il bel la-vatoio ben restaurato, e le vecchie case ripristinate con cura dagli in-tonaci color pastello, rappresenta-no nel loro insieme una bellissima passeggiata tra storia e innovazio-ne, tra cielo e mare, piena di vita, di locali, di giovani. Una cosa im-pensabile prima della ristruttura-zione di questa zona, quando per fare due passi con gli amici o con la famiglia bisognava spostarsi da Savona in macchina e muoversi in Riviera. E’ un cambio culturale an-che questo, fondamentale, perchè è inutile promuovere la cultura e il turismo se non ci sono alberghi, locali, possibilità di svago, se non c’è una cultura dell’accoglienza. Venendo agli aspetti più propria-mente “culturali”, in questo scena-rio radicalmente cambiato, è come se i tesori della città, la Pinacoteca, il Teatro, il Priamar fossero pietre preziose dalle quali è stata tolta una patina di polvere. Oggi splen-dono di luce straordinaria, e ov-viamente tutto questo non avvie-ne per caso ma è frutto di un forte impegno, di un duro lavoro quoti-diano. La Pinacoteca Civica sta vi-vendo da alcuni anni una magni-fi ca stagione, grazie all’impegno dell’Amministrazione Comunale che, è importante ricordarlo, “go-verna” con lungimiranza anche

Teatro e Complesso monumentale del Priamar, oltre che la ricchissi-ma Biblioteca Civica a Monturba-no, considerando la cultura come un vero e proprio motore di svi-luppo e di miglioramento della qualità della vita. Per i tantissimi visitatori che grazie anche al fl us-so delle crociere arrivano in città, la Pinacoteca Civica di Palazzo Gavotti è una piacevolissima sor-presa. Le collezioni di arte anti-ca sono curate e ben esposte, con pezzi ed opere di assoluto valore. Poi la Fondazione Museo di Arte Contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo racco-glie eccezionali capolavori di arte contemporanea internazionale, da Lucio Fontana a Picasso, da Mirò a Magritte. La già vasta collezione ceramica si è arricchita in questi anni della fantastica collezione di maioliche savonesi del Principe Boncompagni Ludovisi, dona-ta alla città. E nei prossimi anni grazie al nuovo progetto di polo museale che l’Amministrazione sta portando avanti con la Fonda-zione De Mari, Savona diventerà tra i più importanti musei europei della ceramica, con l’esposizione di oltre 800 capolavori antichi e moderni. Ma un Museo non è solo conser-vazione, è anche confronto con il contemporaneo e con il territorio. Pochi sanno che ogni anno con le attività didattiche entrano nel Mu-seo alcune migliaia di studenti sa-vonesi, straordinario intervento di diffusione della cultura nella col-lettività, un vero fi ore all’occhiello di questa istituzione. Le mostre temporanee, in Pinacoteca come negli altri spazi espositivi comu-nali sono un altro tassello impor-tante: ormai distribuite lungo tut-to l’arco dell’anno, prendono in considerazione non solo il patri-monio storico ma anche l’arte con-temporanea nei suoi protagonisti

più signifi cativi dando spazio alle molteplici espressioni dell’arte sa-vonese che ha saputo esprimere in questi anni interpreti importanti, ma anche producendo esposizioni di carattere storico di ampio respi-ro, come è stata ad esempio quella realizzata al Priàmar nell’anno del centenario del Futurismo. Il Teatro Chiabrera è un’altra peculiarità savonese. Anche qui spesso non ci si sofferma sul carattere pubblico di questo splendido palcoscenico che fa parte dei grandi teatri sto-rici italiani di tradizione. E’ una struttura comunale che continua ad arricchire le sue Stagioni Ar-tistiche con prosa, lirica, danza, musica, operetta, il teatro giovani, il teatro ragazzi. Sono stagioni di altissimo livello, con i più grandi protagonisti della scena nazionale ed internazionale, e davvero non è poco in un momento nel quale grandi istituzioni di questo tipo, in città più grandi di Savona e con molti più mezzi, si ritrovano con buchi milionari e il rischio di una chiusura defi nitiva. Il Priàmar: mentre da qualche par-te si continua a dibattere sul suo futuro, nel frattempo si lavora. C’è moltissimo da fare, ma non possia-mo non soffermarci su quanto fatto e sulle prospettive di un comples-so monumentale che sarà sempre più punto di riferimento per un turismo colto in grado di apprez-zare le bellezze storico-artistiche ed ambientali. Oggi, alla Sibilla, c’è una nuovissima sala congres-si multimediale, in uno scenario unico con le grandi fi nestre che si aprono sul Mediterraneo dall’al-to della Fortezza; ci sono spazi espositivi guadagnati alla città ed usati, differentemente dal passato, lungo tutto l’arco dell’anno come il Palazzo del Commissario e la af-fascinante Polveriera; c’è il Museo Archeologico, con i suoi reperti ma anche con gli scavi della stessa for-

tezza, uno dei cantieri archeologici medievali più interessanti d’Italia; ci sono due musei in via di rior-ganizzazione, il Museo Pertini e la Collezione Renata Cuneo, la gran-de scultrice savonese tra le poche ad essere stata invitata alla Bien-nale di Venezia; c’è una stagione estiva straordinaria, con la lirica, il balletto, il teatro della città che raccoglie molte esperienze teatrali di giovani compagnie, spettacoli che ad ogni estate richiamano mi-gliaia di spettatori da tutto il Nord Italia nello splendido palcoscenico allestito nel Piazzale del Maschio. Del Priàmar bisognerebbe parlar-ne per ore, anche del suo signifi ca-to più profondo, dell’identità del-la città perduta con la costruzione della Fortezza e la distruzione da parte dei genovesi dell’antica cat-tedrale, una sorta di 11 settembre savonese, ma se possibile ne par-leremo in un’altra occasione. Tutto bene dunque? Tutto perfet-to? No. Si può sempre fare meglio e ci sono ancora tasselli importanti da mettere a sistema. Ma c’è una direzione precisa, un impegno concreto quotidiano e una consa-pevolezza: che la città, in tante sue espressioni, sta cambiando, sta vivendo un clima di rinnovamen-to. Lo si apprezza anche in tutto quanto altro completa il quadro culturale urbano. Savona signifi ca tanta musica, gruppi musicali ed ensemble di musica classica, rock, da camera, jazz che coinvolgono tanti, tantissimi giovani. Savona è teatro, con compagnie teatrali in-novative che hanno però già una notevole storia alle spalle e propri palcoscenici in città, diventando veri e propri laboratori urbani di creatività. Savona è arte, con i suoi molti artisti contemporanei di altissimo livello che portano il nome della città negli scenari più prestigiosi, con iniziative innova-tive, con spazi sperimentali. Savo-

na è istruzione e università, con lo splendido Campus universitario. Savona è associazionismo cultura-le: molte sono le associazioni che hanno a cuore il territorio, con una attività straordinaria, di ricerca, di studio, di approfondimento, di dibattito, come lo è la Aiolfi, che gentilmente oggi ospita questo piccolo contributo scritto, e che cito per tutte, tantissime, presen-ti in città. Savona è ancora tanta solidarietà, tante associazioni di volontariato, perchè anche que-sto è cultura di una città, cultura civica, capace di confrontarsi ed arricchirsi in un panorama socia-le sempre più multietnico. Savo-na è anche attenzione all’ambien-te perchè le bandiere blu non si conquistano per caso in questa città con tre chilometri e mezzo di spiagge naturali, ma spesso ce lo dimentichiamo. Per essere uno dei momenti di peggiore cri-si economica a livello internazio-nale, di oggettiva difficoltà per tutti, la città si sta mostrando in qualche modo viva e reattiva. Sa-vona deve credere sempre più in se stessa, e capire il valore delle tante storie straordinarie che pos-siede perchè anche queste sono patrimonio comune, cultura, va-lore intrinseco. Come quella di Piazza Mameli. E’ sempre emo-zionante vedere come, al primo risuonare dei rintocchi della cam-pana del Monumento ai Caduti, la piazza si fermi. L’altro giorno pioveva. Macchine ferme, i sa-vonesi giovani e anziani a piedi con o senza l’ombrello, qualcuno era in vespa: tutti hanno ascolta-to immobili sotto la pioggia, con rispetto, fino all’ultimo rintocco, attimi infiniti nei quali la città si raccoglie e ritrova se stessa, con la propria storia, le proprie ferite, e una gran voglia di futuro.

Roberto Giannotti

La Torretta e piazza Fabrizio De Andrè Chiesa di San Martino in altoe il Teatro Chiabrera

Savona deve credere sempre più in se stessa e capire il valore delle tante storie straordinarie che possiede perchè anche queste sono, oltre che patrimonio comune, cultura e valore intrinseco

Cultura, segno di civiltàe motore di sviluppo

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Studiare il passato sui documen-ti vuole dire dare un signifi cato preciso ai termini che si incontra-no. Se andiamo a momenti molto lontani dai nostri, come i secoli del pieno medioevo (X-XII) in cui i documenti sono scarsi, poter in-dividuare il giusto senso di una parola è fondamentale.Il 9 maggio 1080 si incontrano sul Priamàr in casa del vescovo dal nome beneaugurale di Amico, al-cuni uomini che abitano a Cairo ed altri che si dicono Savonesi. Di loro nulla sappiamo: solo che vogliono defi nire l’utilizzo di un vasto territorio, utilizzato da pa-stori, che si trova tra la valle Bor-mida e Savona; quel territorio ha confi ni indefi niti ed è descritto nel latino medievale come in sil-vis (nelle selve).Il termine selva è per noi potente-mente evocatore: primigenia, ver-gine, amazzonica. L’area boscosa tra Cairo e Savona è proprio così: nessun luogo abitato, quasi nes-suna strada che la percorra. Una situazione che, nel 1080, deriva direttamente dai cosiddetti seco-li bui - se non addirittura dalla preistoria - e da allora incontami-nata.Per inciso, occorre chiarire il di-scorso dei pastori che vogliono pascolare nelle selve. Non cura-no, ovviamente, mandrie di bovi-ni: lo spazio tra gli alberi è troppo limitato, l’erba vi cresce stentata e nelle selve ad altitudine così bas-sa (poche centinaia di metri sul livello del mare) le radure sono rare. Possiamo ipotizzare greggi di ovini, questi sì adatti all’am-biente forestale. Ma soprattutto branchi di maiali: gli animali per-fetti per pascolare nel sottobosco. Ne abbiamo qualche indizio in quella stessa pergamena che ci racconta l’incontro tra Cairesi e Savonesi.Nel secolo XI, il rapporto tra il potere e gli uomini comuni è re-golato in buona parte da consue-tudini, frutto di una legislazione complessa in cui si sono incontrati diverse tradizioni e gli interventi fi scali assumono una notevole va-rietà di forme. Chi pascola nella selva, anche se non ancora intac-cata dall’uomo con coltivazioni o insediamenti, sfrutta comunque prodotti naturali che appartengo-no ai Signori del territorio e deve pagare loro tributi specifi ci.La nostra fonte del 1080 ne cita due: l’escatico ed il pascatico. Se il pascatico è facilmente defi nibi-le, si tratta del diritto di pascolo, l’escatico è più complesso. Il vo-cabolo latino esca indica il cibo: l’escatico sarebbe il tributo dovu-

Solo un poeta-cantante come Fabrizio De Andrè poteva descriverle in maniera tanto signifi cativa quanto amabile: “creũza de mâ” costituisce un’autentica forma di messaggio universale per chi, pur non conoscendo queste particolari stradine liguri, se ne può innamorare all’istante. Una traduzione in lingua italiana non le gratifi ca del tutto, anche se “mulattiera di mare”(secondo l’interpretazione del Nostro) non è del tutto errata. Nei secoli d’oro della Repubblica di San Giorgio, infatti, il mestiere di conducente di muli era tra i più conosciuti. La “creũza de mâ” serviva per chi proveniva a Genova dalla pianura del Po e portava merci di vario genere; come pure per chi arrivava dalla Toscana o da Savona. Fino al 1830 è stata la “via di comunicazione” più importante.Poi, l’Aurelia l’ha messa poco per volta nel dimenticatoio; anche se quella strada stretta, incassata tra muri che si intersecano con vie moderne in maniera discreta, nascondendosi dietro ai palazzi, risorge tuttora nel cuore dei liguri. Un patrimonio da preservare, un monumento che giorno dopo giorno viene cancellato per sempre. Ed è un peccato di presunzione. I ritmi moderni non concedono spazi di romanticismo frignoso. Sbriciolate da ruspe sempre più golose di spazi, le “creȗze” stanno per essere

Nell’XI secolo, a pochi chilometri dal capoluogo, esisteva una foresta “vergine”, popolata di querce e faggi di alto fusto, abitata quasi unicamente da porcari ed a rischio rapine per coloro che la frequentavano

Da selva selvaggia a bosco di Savona

Immagini Fototeca Scotch 3M:

a sinistra, lo sparviero, uno dei rapaci più elusivi e diffi cili da avvicinare (R. Siegel);

a destra, sentiero tra i faggi

(Gian Paolo Cavallero)

A Savona, alcune di queste stradine resistono al tempo. Nel quartiere di Legino, una, che tuttora dimostra la “magnifi cenza” di un'epoca lontana che non c'è più, è stata ristrutturata

La “creũza de mâ”patrimonio da salvare

dimenticate. La scelta di un’architettura contadina rende queste mura eleganti e fl uttuanti. La tecnica defi nita a “scopoli e tocchetti” (ovvero, pietre variamente e grossolanamente squadrate, supportate da scaglie a cuneo, inserite a forza e con l’uso di scarsissimi leganti) costituisce

ancor oggi fonte inesauribile di operatività fattiva e funzionale. Nel Savonese alcune di queste strutture resistono al tempo. A Legino, quartiere del capoluogo, ne è stata ristrutturata una, che ora dimostra la “magnifi cenza” di un’epoca che non c’è più (scorci nelle due foto). Un atto d’amore, forse, per scusarsi dell’abbandono

di moltissime altre sul territorio locale. Per riattivare la memoria, si è ri-usciti a preservarne una nel giar-dino di una scuola cittadina. Alla media inferiore “B. Guidobono” di Via Machiavelli, gli studenti a volte fanno anche lezione di fron-te ad essa. Conoscere le pietre, la fatica dell’uomo, le storie delle ra-dici tradizionali, i termini dialet-tali di associazione. E le domande dei piccoli “fi occano”. Curiosità culturale ingenua e spontanea, che ravviva lo scenario vicino. Nostalgia, gelosia subdola? Sta di fatto che il nostro patrimonio interiore non può fare a meno di quelle piccole e strette viuzze, retaggio di un passato che ci apparterrà per sempre. Almeno nel cuore!

Mauro Teresio Ciarlo

to per il cibo della selva, ad esem-pio ghiande, frutti del faggio (le faggiole) o di altre piante selvati-che. Per antonomasia le ghiande sono il cibo dei maiali, anche se un tempo erano diffuse nell’ali-mentazione umana e da loro si estraeva una farina non so quan-to gradevole.I maiali della selva savonese si nu-trivano esclusivamente di quanto vi trovavano; probabilmente si incrociavano di frequente con i cinghiali e, forse, non differivano molto dai porcastri che oggi vi sono così bene ambientati. I maia-li bradi hanno lasciato tracce con-sistenti tra le nostre colline: oltre a numerose citazioni nelle fonti storiche (a partire dal XII secolo) di un luogo chiamato Porcaria tra Cadibona ed Altare, ricordiamo anche l’attuale monte Porcheria, subito alle spalle del Santuario di Savona, una delle maggiori emer-genze tra i boschi dell’alta valle.

Nel documento citato si afferma che la selva deve essere mantenu-ta vergine: i contraenti l’atto recla-mano solamente ricoveri tempo-ranei per le greggi e per i pastori e noi, malati di mondo classico, ricordiamo subito Eumeo, guar-diano dei porci che accoglie Ulis-se nella sua capanna all’arrivo ad Itaca, una situazione precedente di quasi duemila anni.Ma un luogo così isolato creava problemi notevoli di ordine pub-blico, amplifi cati dalla vicinanza di una città come Savona. Il ve-scovo e gli intervenuti si accorda-rono allora per una sorta di aiuto reciproco per reprimere eventuali malintenzionati che vi si fossero rifugiati. I malfattori ed i banditi che si infrattano, oltre ad essere una costante della letteratura, ri-specchiano fatti veri e di frequen-te avvenuti.A pochi chilometri da Savona, esisteva nell’XI secolo una fore-

sta “vergine”, popolata di quer-ce e faggi di alto fusto, abitata quasi unicamente da porcari ed a rischio rapine per coloro che la frequentavano. Tale situazione durerà ancora per qualche secolo. Ma le parole e la terminologia dei documenti successivi ci permet-tono di avvertirne i cambiamenti e quando questi siano avvenuti.Ancora alla fi ne del XII secolo quei luoghi sono ancora chiama-ti selva: tale è nel 1191, quando il marchese di Savona Enrico cede al Comune i suoi ultimi diritti su quella parte del territorio. Ma alla metà del successivo XIII secolo, progressivamente, si incomincia a citare il bosco di Savona anzi, detto alla latina, nemus Saonense.La differenza tra selva e bosco/nemus è che nel primo caso si tratta di un ambiente pressoché incontaminato, mentre nel secon-do se ne è avviato lo sfruttamento economico. A partire dalla fi ne del

Medioevo, nasceranno nel nemus Saonense alcune decine di masse-rie, aziende agricolo - pastorali di dimensioni anche cospicue che sono, ancora oggi, tra le uniche presenze insediative nell’area bo-scosa tra Savona e Cairo, pur se la maggiore parte di esse ormai in abbandono.Ancora nel nostro XXI secolo, il bosco di Savona dell’alta val-le del Letimbro presenta ampie zone che sembrano selva e che rappresentano per la città una preziosa risorsa. Una parte di questa area - la Foresta Demania-le di Cadibona – è statale e de-stinata a tutelarne le peculiarità, un’area salvaguardata da qua-si mille anni, tanti e tanti secoli prima che nascesse il più antico parco nazionale del mondo – Yel-lowstone - fondato negli Stati Uniti nel 1872.

Furio Ciciliot