Piron Silvain (2006) -Paradossi Teoria Dell'Usura Nel Medioevo

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    SYLVAIN PIRON

    I PARADOSSI DELLA TEORIA

    DELLUSURA NEL MEDIOEVO

    Introduzione di

    GIUSEPPE VIGORELLI

    Ciclo di conferenze e seminariLUomo e il denaro

    Milano 3 aprile 2006

    Associazione

    per lo Sviluppo

    degli Studi di

    Banca e Borsa

    Universit Cattolica

    del Sacro Cuore

    Facolt di

    Scienze Bancarie

    Finanziarie e Assicurative

    QUADERNO N. 11

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    SYLVAIN PIRON

    I PARADOSSI DELLA TEORIADELLUSURA NEL MEDIOEVO

    Introduzione di

    GIUSEPPE VIGORELLI

    Ciclo di conferenze e seminariLUomo e il denaro

    Milano 3 aprile 2006

    Associazione

    per lo Sviluppo

    degli Studi di

    Banca e Borsa

    Universit Cattolica

    del Sacro Cuore

    Facolt di

    Scienze Bancarie

    Finanziarie e Assicurative

    Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si pu rivolgere alla Segreteria

    dellAssociazione - tel. 02/62.755.252 - E-mail: [email protected]

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    Giuseppe VIGORELLI,Presidente Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa

    Introduzione

    Nella mia qualit di Presidente dellAssociazione per loSviluppo degli Studi di Banca e Borsa mi pregio aprire que-sta conferenza nellambito del nostro ciclo dedicato al rap-porto dellUomo col denaro.

    Mio compito solo passo dopo passo seguire questo per-corso nella storia delle vicende umane.

    Il relatore ufficiale, lesimio professore Sylvain Piron,docente di scienze sociali a Parigi sar presentato del prof.Potest e come annunciato tratter il tema: I paradossi dellateoria dellusura nel medioevo.

    Per quanto mi riguarda, proseguendo dallultima intro-duzione il filo del discorso in cui avevamo affrontato la cultu-

    ra romana in relazione al denaro,vengo brevemente al merito:Roma era nata con una missione, laveva assolta, e con essafin. Questa missione fu di raccogliere le civilt che lavevanoprecedute (la greca, lorientale, legiziana, la cartaginese), di fonderle e di diffonderle in tutta lEuropa e il bacino delMediterraneo.

    Essa non invent granch n nella filosofia, n nellarte,n nella scienza. Ma forn le strade alla loro circolazione, gli

    eserciti per difenderle, un formidabile complesso di leggi pergarantirne lo sviluppo nellordine, e una lingua per renderleuniversali. Non invent nemmeno delle forme politiche cheerano gi state sperimentate (monarchia e repubblica, aristo-crazia e democrazia, liberalismo e dispotismo); ma essa nefece dei modelli, e in ognuno di essi brill per il suo genio pra-tico e organizzativo.

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    Non pi come centro politico di un Impero, ma come cervellodirettivo della Cristianit,Roma si prepar a ridiventare caputmundi, e lo rimase almeno fino alla Riforma protestante.

    Nel Medioevo abbiamo gi visto, dopo il periodo feuda-le, nel sec. XIII lapparizione della nuova figura del mercan-te, poi quella del banchiere, cio la nascita di unEuropacommerciale accanto a quella intellettuale. La citt, accelera-ta nel suo sviluppo dallesodo dalle campagne, dovetteampliare la cinta delle sue mura e adeguare i servizi allenuove esigenze. I mercanti divennero quindi il ceto cittadinodominante.

    Il mondo era affamato di beni di consumo. Lindustriatessile assunse fin dallinizio una struttura semicapitalistica. Imercanti, che disponevano di liquido, acquistavano la materiaprima, la distribuivano a lavoranti a domicilio e poi rivende-vano i manufatti. Il mercante medievale era audace e intra-prendente, e le sue iniziative non conoscevano confini. Ma iviaggi erano lunghi, scomodi e pericolosi: anche i trasferi-

    menti da citt a citt erano pieni di incognite. Le strade bat-tute dai briganti e i mari infestati dai pirati obbligavano aviaggiare in carovane o in convoglio. Allora vigeva la cosid-detta propriet di relitto che attribuiva al signore del luogoil carico della nave che colava a picco o il bagaglio che acci-dentalmente cadeva dal carro. Cera chi, per provocare i nau-fragi, inventava stratagemmi.

    Comunque leconomia comunale rilanci la circolazio-ne monetaria che sostitu il baratto in natura, tipico delletfeudale, donde lo sviluppo del credito che divent monopoliodegli ebreie dei toscani. Con la compagna nacque il cre-dito commerciale vero e proprio: era unassociazione di fami-glie che affidavano il loro denaro a un mercante in cambio diuna partecipazione agli utili: era insomma ci che oggi sichiama Societ anonima. Per eludere il divieto dellusura,

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    i banchieri sostenevano che lusura peccato se praticata dasingoli individui, che possono macchiarsene lanima; ma unaditta lanima non lha, e quindi non pu andare allinferno.Molti teologi convalidarono questa tesi, eInnocenza IIIdisseche a scomunicare gli usurai si sarebbero vuotate le chiesenon solo del gregge, ma anche dei pastori. Laristocrazia deldenaro soppiant laristocrazia del sangue e gett le basi del-leconomia capitalistica1.

    Tra i Comuni prendiamo come paradigma, intorno allamet del XIV sec.,Firenze, la pi grande citt delloccidentecristiano. Si conquist questa posizione non con laiuto di

    eserciti o flotte potenti, ma solo con la laboriosit dei suoiartigiani e lintelligenza dei suoi mercanti. Ifiorentinicerca-vano affari continui e sicuri. Il tono di vita della citt era pret-tamente borghese. Anche le famiglie pi ricche si adeguava-no alle semplici usanze dei loro concittadini.

    Una discriminazione era data dalle corporazioni dellearti, fra cui eccellevano larte della lana, seguita da quelle dei

    cambiavalute e dei banchieri. Per i fiorentini il cliente, lamico in affari, era colui che in regime di libera concor-renza acquistava la merce migliore al prezzo pi basso.Bisognava che il cliente fosse contento dellacquisto; soltantosu questa base si poteva imbastire un commercio duraturo.Perci Firenze dava grande importanza al rispetto scrupolo-so di tutte le condizioni: misure, qualit, termini di consegna,moneta buona [Paga con denaro buono! ammoniva il ReSumero gi nel 2500 a. C.]. I fiorentini erano commerciantionesti e onorati.

    Di fronte al cliente bisogna essere chiari e ineccepibili.Occorre che laltra parte riponga in noi la sua piena fiducia:tutti i moti dellanimo che pu permettersi un nobile, un agri-coltore, specie un guerriero e anche un accattone, non posso-

    1I. Montanelli, Storia dItalia, vol. III.

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    no venir tollerati nel commercio. Il commerciante non devemai dimenticare che egli, in fondo, amministra soltanto benialtrui, vive della fiducia altrui, scrive un maestro di scuolafiorentina.

    Il mercante fiorentino inoltre esigeva sicurezza. In ognimomento voleva rendersi conto di ci che possedeva, con cifreesatte. A questo scopo doveva scrivere, mettere a librotutto: nel bilancio doveva riportare la consistenza di magazzi-no, la merce spedita, quanto denaro doveva ricevere dai clien-ti, quanto doveva darne. Poi doveva calcolare coscienziosa-mente i rischi e accantonare adeguate riserve. Se era stato

    eccessivamente prudente, se aveva sopravvalutato i pericolidel trasporto, il suo guadagno alla fine dellanno era maggio-re di quello previsto. Se durante i viaggi andavano perse pinavi, se i clienti non pagavano puntualmente, se i prezzi cala-vano, allora il bilancio consuntivo presentava un profittominore, forse anche una perdita.

    Gi lidea di poter calcolare un patrimonio, di poter

    esprimere in cifre i diversi valori era inconcepibile per i mer-canti veneziani e genovesi dellAlto Medioevo. Ma il piccoloartigiano di Firenze e il mercante che spediva stoffe di lanadovevano farsi conoscere dalle banche. Essi venivano vaglia-ti da capo a piedi; la prima domanda si riferiva sempre alcapitale. Questo rappresentava la fase pi sicura di ognicredito: merce, officine, case.Il credito non dipendeva dalla

    persona, ma dalla situazione patrimoniale tradotta in cifre. Il commercio perde il suo lato pittoresco, il fascino dellav-ventura, divenuta una fredda, diremmo quasi gretta, contabi-lit. Al posto di uomini che osano, sperano, temono e vagano,subentra il patrimonio, che pu essere determinato conesattezza. Il commerciante ora vale tanto.

    Il passaggio dellavventura mercantile alla fredda con-tabilit fu possibile soltanto perchFirenze vendeva i pro-dotti del suo artigianato fondandosi su solidi principi borghe-

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    si. I fiorentini erano in spietata concorrenza con gli artigianidi altre citt.

    Soltanto il prezzo e la capacit commerciale erano deci-sivi. Perci facevano i conti con tanto zelo! Ma, calcolando iprezzi con tanta esattezza era davvero possibile accumulare ipatrimoni? Valeva la pena prendere denaro in prestito dallebanche per acquistare lana in Paesi lontani e vendere ai clien-ti stranieri a credito le stoffe colorate di lana?

    Con enorme sorpresa i grandi mercanti di Venezia eGenova si resero conto che quei trafficanti fiorentini, quei

    meschini calcolatori, quei risparmiatori di centesimi, si arric-chivano. Naturalmente dovevano raggiungere un grande girodaffari, e questo lo si ottiene soltanto offrendo la merce abasso prezzo. Essi riducevano il rischio al minimo e preferiva-no rinunciare ad un affare incerto piuttosto che buttarsi allosbaraglio. Esaminavano accuratamente il credito che potevavenir concesso a un cliente e n lamicizia e la stima per ilnome di un gran signore, n le raccomandazionidi questa o

    quella persona altolocata potevano indurli ad anticiparemerce e denaro a un avventuriero. Amare esperienze avevanoloro insegnato a non fidarsi dellapparenza dei grandi signo-ri: i ricordi dei sovrani inglese e francese che avevano sospe-so i pagamenti erano un perenne ammonimento per ifiorenti-ni scottati.

    A Firenze, pi che gli artigiani, divennero ricchi i ban-chieri, i cui affari commerciali non si distinguevano tuttaviada quelli puramente bancari.Le banche concedevano creditiagli artigiani, affinch questi potessero ordinare ai mercantila lana inglese da pagare sulle piazze di Firenze quando lamerce era accettata senza obiezioni. Le banche concedevanoagli acquirenti sulle piazze diLondra,Bruges oBarcellona ildenaro di cui avevano bisogno. Per trasmettere il denarofacilmente e senza intralci, i fiorentini crearono la cambia-le, che acquist il valore di denaro liquido.

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    Firenze non possedeva forze armate, eppure i pagamentiaffidati alle sue banche avvenivano con sicurezza in tutta Europa. I suoi mercanti diffusero ovunque il positivo sensodegli affari, la precisa contabilit commerciale e la fiducia.Soprattutto in quei Paesi dai quali acquistavano la lana: nelle

    Fiandre e inInghilterra.

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    Prof. Sylvain PIRON,Matre de confrences presso lEcoles des hautes tudes en sciencessociales di Parigi

    I paradossi della teoria dellusura nel Medioevo

    Se presti denaro al mio popolo, al povero che abita conte, non lo vesserai come un esattore, n lopprimerai con leusure (Esodo, 22, 25)

    Non darai il tuo denaro ad usura al tuo fratello, e non esi-gerai un sovrappi di frutti (Levitico, 25, 37)

    Queste formule bibliche, tradotte in latino da sanGerolamo, risuonarono con forza attraverso tutto ilMedioevo. Il divieto di prestare ad usura non veniva intesocome oggi, nel senso di un tasso dinteresse eccessivo.Significava il divieto di esigere qualsiasi cosa che eccedessequanto era stato prestato. Una tale proibizione rappresentaprobabilmente laspetto pi noto e meglio conosciuto dell'at-teggiamento della Chiesa medievale nei confronti dei feno-meni economici. La proibizione sembra chiara e netta.Tuttavia, appena si comincia ad analizzare le cause di taledivieto nella teologia cristiana, appare evidente una grandevariet di posizioni e di riflessioni.

    Il percorso che vorrei proporvi in questa sede consistenellinterrogarsi sulle diverse giustificazioni fornite dai teolo-gi dei secoli XII e XIII. I versetti che ho appena citato sono

    tratti dalle leggi mosaiche. Il Vangelo non aggiunge molto allecitazioni dellAntico Testamento e ci pu rendere tale que-stione problematica per la teologia cristiana. Lunico versettorilevante il famoso precetto di Cristo: Date mutuum, nihilinde sperantes, Concedete prestiti senza sperarne nulla(Luca 6, 35). Sono parole poco esplicite, che richiedono unaspiegazione: cosa significa per un cristiano tale precetto?Vedremo che non del tutto chiaro.

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    Ma prima di affrontare pi direttamente il discorso checi interessa, necessario soffermarsi brevemente sul conte-sto sociale. Il divieto del prestito usurario presente nel cri-stianesimo fin dalle origini. Tuttavia nella seconda met deldodicesimo secolo esso assume una nuova importanza.Ovviamente, la crescita del mondo urbano, dellattivit eco-nomica e degli scambi monetari forniscono una prima spie-gazione di tale importanza. Appare in quel periodo, accantoalla tradizionale attivit di prestito riservata agli ebrei, quel-la dei mercanti cristiani che prestano ad usura; emergonoanche nuove forme contrattuali che suscitano un certainquietudine, riguardante la legittimit stessa di tali attivit.

    E proprio tale inquietudine rivela laltra faccia del fenome-no. In questa prospettiva, la novit proviene anche da unapreoccupazione nuova della chiesa nei confronti del mondosociale. A partire dagli anni 1160, viene usata la nozione diteologia morale, che va intesa anche nel quadro di un piampio progetto di cristianizzazione della vita sociale. Glistrumenti utilizzati a tal fine sono, da un lato, la predicazio-ne al popolo cristiano, che a volte gi fa uso della lingue vol-

    gari; dallaltro, la confessione dei peccati confessione cheviene resa obbligatoria, almeno una volta lanno, dal IV con-cilio Lateranense, nel 1215. Accanto ai temi legati al matri-monio e alla sua disciplina, lusura uno dei punti centrali diquesto programma di riforma morale.

    In un certo senso, gli usurai rappresentano i capriespiatori di questo progetto e ad essi viene riservata unat-tenzione maggiore della loro reale importanza. Ma la stes-sa presa di coscienza si rivela anche dalla loro parte. A par-tire dagli anni 1180, alcuni casi ben testimoniati mostranomercanti o prestatori cristiani, che, sul punto di morire,chiedono nel loro testamento la restituzione di tutti i beniacquisiti a torto tramite pratiche usurarie. Tali restituzioniin articulo mortis sono un esplicito riconoscimento dicolpa da parte degli attori stessi, suscitato dalla paura del-linferno.

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    Il tema dellusura rimane centrale nella discussioneteologica e nellazione politica per pi di un secolo, primadi perdere la propria importanza a partire dagli anni 1310-1320. La convergenza di una serie di fenomeni comportauna stabilizzazione della problematica che suscita ormaimeno discussione. Il cuore del divieto viene affermatosenza nessuna ambiguit dal Concilio di Vienne (1311-12),il cui canone Ex gravi dichiara eretica laffermazionesecondo cui lusura non sarebbe un peccato. Nello stessomomento, le condizioni economiche peggiorano; le grandicarestie degli anni intorno al 1310 sono infatti consideratedagli storici delleconomia come una svolta di un ciclo

    secolare e linizio di un lungo periodo di depressione.Lemergere di tale difficolt incita i poteri politici a tollera-re di fatto un tasso dinteresse minimale. Da parte sua, lateoria elaborata dagli scolastici ormai in grado di diffe-renziare una situazione chiaramente usuraria da numerosepratiche finanziarie che sfuggono legittimamente al divie-to. Le discussioni ulteriori si svolgono precisamente intor-no a nuove situazioni, quali la commerciabilit dei titoli del

    debito pubblico delle grandi citt italiane. In questi dibatti-ti la discussione sul significato esatto del divieto dellusu-ra si , per cosi dire, fossilizzato.

    Un tale cambiamento globale di ambiente pu giustifica-re il fatto che diamo unattenzione maggiore alle discussionisvoltesi nellarco di tempo che va dalla fine del dodicesimosecolo allinizio del Trecento. Possiamo in questo periodoosservare un processo di distillazione degli argomenti,lungo il quale le ragioni pi deboli vengono poco a poco riget-tate. Questi temi secondari hanno un grande interesse storico;rendono percepibili tutte le connotazioni e le implicazionidella questione. Tuttavia, devono essere lasciate da parte, se sivuol privilegiare il punto di vista analitico allo scopo di affer-rare lessenza della problematica. Ci che ne risulter, allafine di tale processo storico e dottrinale, mette in luce il nodocentrale della questione.

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    I) Largomento deuteronomico

    Il saggio pi importante che sia stato dedicato al temadellusura stato scritto subito dopo la seconda guerra mon-diale dal sociologo americano Benjamin Nelson. Sulla sciadegli scritti di sociologia economica di Max Weber, Nelsonpropone di spiegare il significato dellidea dellusura in unaformula concisa: dalla fraternit tribale all'alterit universa-le. Il divieto ebraico di prestare ad usura al fratello o allo-spite si accompagna, infatti, al permesso di chiedere interessiagli stranieri (Deut. 23, 21), cio a quelli che non fanno partedel gruppo comunitario. A buon diritto, il comandamento

    divino pu essere interpretato come una solidariet frater-na. Allaltro capo del percorso, la concezione economicamoderna nella quale ciascuno come uno straniero per glialtri, in competizione per gli stessi beni privati pu esseredescritta come un situazione di alterit universale. Tra que-sti due poli opposti, il cristianesimo medievale rappresentauna situazione intermedia, con il suo ideale di fraternit uni-versale. Questo modello mi sembra perfettamente corretto.

    Vorrei mostrare ci ampliando lindagine punti che Nelsonnon tratta direttamente.

    Nel suo libro, Nelson si concentra sullinterpretazione delpermesso deuteronomico di prestare ad interesse agli stranie-ri. Questangolo visuale consente di mettere in luce il cuoredelluniversalismo medievale. Per il cristiano tutti gli uominisono da considerarsi come fratelli. Ci che era permesso agliebrei nei confronti degli estranei alla propria trib non ha pimotivo di essere mantenuto. Cosi, lo stesso messaggio univer-sale di Cristo sufficiente a universalizzare il divieto dellu-sura. Una tale argomentazione era gi stata espressa en passantda san Gerolamo nel suo commento ad Ezechiele; nel periodoche prendiamo in considerazione essa diviene un argomentobase per tutti.

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    II) Argomenti metaforici

    Molti altri temi sono mobilitati nella trattatistica e nellapredicazione. Il processo di distillazione della teoria mostraanche che alcuni temi utilizzati sono in realt delle metafore,di grande utilit per il predicatore, con risonanze fortinellimmaginario dellepoca, ma sprovviste di valore argo-mentativo.

    Uno dei temi pi famosi quello del furto di tempo.Jacques Le Goff ha insistito molto su questimmagine,costruita alla fine del dodicesimo secolo, sulla base di un

    brano del VI secolo, attribuito ad uno pseudo-Crisostomo (inrealt, un anonimo ariano). Lusuraio realizza un profittoingiusto vendendo una cosa che non gli appartiene, cio iltempo, che appartiene a Dio solo. Limmagine imponente. rimasta radicata nella retorica attraverso i secoli. Il presidentefrancese, Franois Mitterrand, faceva ancora ricorso ad essaquando fustigava, meno di venti anni fa, gli speculatori finan-ziari che si arricchiscono mentre dormono. La formula era

    una citazione letterale, trasmessa attraverso decine di interme-diari, da Pietro Cantore, maestro parigino della fine del dodi-cesimo secolo.

    Nonostante ci, la validit argomentativa dellimmagine davvero debole. Dopo la met del Duecento viene utilizzatasempre meno. Finch, alla fine del secolo, il grande teologofrancescano Pietro di Giovanni Olivi spiega che basata suuna contraddizione tra due concetti diversi. Il tempo universa-le, comune a tutte le cose, una condizione della loro esisten-za. Non lo si deve confondere con la durata propria di ognicosa creata, esistente nel tempo. Ora, il diritto di propriet suqualsiasi bene include un diritto sulla durata del bene. Il prez-zo che si paga per la locazione di un bene non altro che ilprezzo della durata nella quale concesso luso del bene. ,esattamente, il prezzo di un certo tempo; cio, il tempo propriodi una cosa propria, e non la condizione generale di esistenza

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    riprodursi. Lo dice per sottolineare con forza linnaturalitdella crematistica, attivit definita come larte di arricchirsicon laiuto dei soldi. Un tale tipo di attivit contraddice il fon-damento stesso della vita civile, perch prende come fine ildenaro, che deve essere soltanto il mezzo della comunicazionesociale. In questo discorso, la sterilit del denaro, letteralmen-te presentata come la sua incapacit di riprodursi, non altroche una figura retorica. Tommaso dAquino, grande lettore diAristotele, non ne fa mai uso. Lidea stessa viene contestata ginella prima generazione di lettori della Politica. Sebbene ildenaro da solo non produca niente, si deve tenere conto dellat-tivit umana efficace, ci che gli scolastici chiamano indu-

    stria. In quanto rende possibile lesercizio di una tale indu-stria, il denaro pu essere compreso come uno strumento cheporta lecitamente frutti. Per rimanere sempre alle formulazionelimpide di Olivi: Bench il denaro da se stesso non valga dipi di se stesso, tramite le capacit e lindustria di colui che nefa uso pu acquistare un qualche valore supplementare.

    III) Argomenti razionaliIl grande progetto della scolastica del Duecento mirava a

    costruire una teologia razionale, capace di ritrovare con lusodella ragione umana le regole del mondo voluto da Dio. Sulpiano morale, significava che la legge divina pu essere avvi-cinata attraverso lidentificazione di una legge naturale. Unatale prospettiva impone anche di trovare una fondazione razio-nale al divieto dellusura.

    Largomento centrale, costruito da Tommaso dAquino, sifonda sulla definizione giuridica di mutuo. Secondo il dirit-to romano, il mutuo produce un trasferimento integrale di pro-priet dal prestatore al debitore, con la sola condizione di unrimborso esatto al termine. Questa particolarit del mutuoderiva dal fatto che esso riguarda soltanto oggetti nei quali nonsi pu separare luso dalla propriet. Sono beni che si consu-

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    mano nel loro uso. Ad esempio, luso del vino di esserebevuto; una volta bevuto, non ne rimane pi niente. Nello stes-so modo, luso del denaro di essere speso; non si pu farealtro col denaro, in quanto denaro, che spenderlo (in quantooggetto di decorazione pu avere altri usi, ma non sono pi usimonetari). Nel caso di un prestito, significa che fino al termi-ne il debitore ne ha la propriet totale. In una tale situazione,dice Tommaso, non si pu chiedere un prezzo per la conces-sione delluso della somma prestata a chi ne il proprietariotemporaneo: Se qualcuno volesse vendere separatamente ilvino e luso del vino, venderebbe la stessa cosa due volte, ovenderebbe ci che non esiste. Manifestamente, commettereb-

    be un peccato dingiustizia. Per la stessa ragione, si commetteuningiustizia quando si vende vino o grano chiedendo duericompense, una per la restituzione di una cosa eguale, e lal-tra come prezzo delluso, che viene chiamato usura.2

    Largomento stato sviluppato, raffinato, dagli altri sco-lastici. Ad esempio, Olivi raddoppia la dimostrazione, facen-do uso della nozione di industria. Chiedere un prezzo per

    luso di una somma prestata in mutuo significherebbe vende-re al debitore ci che sar il frutto della sua industria, che gliappartiene gi.

    Nondimeno, una tale linea argomentativa si trova sottopo-sta ad una critica radicale, da parte di un francescano del primoTrecento, Guiral Odone. Se ognuno pu ricavare profitto a par-tire dal suo denaro, con la sua industria, anche il prestatoreavrebbe potuto trarre un profitto a partire dalla somma che eglipresta ad altri. Pu dunque legittimamente chiedere una com-pensazione del guadagno mancato. Qui, Guiral accorda unvalore generale ad uneccezione che era accettata da alcuni tra cui Olivi cio quella del caso particolare di un mercanteche rinuncia ad unoperazione commerciale per fare un taleprestito. In questo caso sarebbe legittimo chiedere un compen-2 Tommaso dAquino, Somma di teologia, seconda parte della seconda parte, que-stione 78.

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    so del danno nel quale si incorre da un lato, e del profitto pro-babile delloperazione dallaltro. La riflessione intorno a que-sti temi risale ancora una volta alle fine del dodicesimo secolo.Arriva a maturit con Olivi ed altri autori della fine delDuecento, per cui le applicazioni di tali principi sono semprelegate allattivit sociale dei prestatori; soltanto colui cherinuncia a unoperazione lucrativa per dare un prestito pureclamare un compenso di questo genere. Sulla scia di taliriflessioni che tendono a legittimare il profitto del ceto mercan-tile, bench in un modo insolito, Guiral riconosce un caratteregenerale alla capacit di generare profitto da parte dellusomonetario. Un tale atteggiamento gli permette di rispondere

    allargomento di Tommaso raffinato da Olivi: Non ti vendo latua industria, ma ti vendo la cessazione della mia industria, ilche per me un danno e per te utile. In effetti, non possiamoambedue utilizzare allo stesso tempo lo stesso denaro.3

    Le critiche portate da Guiral contro Tommaso o Olivi nonsono tutte insormontabili; ci che importa il significato delsuo intervento. Il suo obiettivo di ostacolare tutti i tentativi

    di fondare razionalmente il divieto dellusura. La sua conclu-sione che lusura condannata dalla legge divina, senzaessere ovviamente contraria alla legge naturale. Per capire lasua ispirazione si deve ricordare che Guiral scrive il suo trat-tato pochi anni dopo il Concilio di Vienne e la sua decisionedi chiamare eretica la negazione che lusura fosse un peccato.Una dichiarazione cos radicale pu avere scoraggiato la ricer-ca di argomenti sofisticati. Oppure, per dirla altrimenti, hapotuto liberare alcuni autori dal peso di mantenere una regolagi indebolita da troppe eccezioni.

    Siamo cos giunti alla fine del processo di distillazione dicui parlavamo allinizio: inutile o impossibile trovare nellaragione, nel quadro di una riflessione sulla giustizia dei con-tratti umani, una regola generale che giustificherebbe il divie-3 Guiral Odone, De contractibus, a cura di G. Ceccarelli e S. Piron, in corso distampa.

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    to dellusura. Per fondarlo basta il precetto divino. Di conse-guenza, il contratto di mutuo non costituisce la norma di tuttii contratti, ma piuttosto uneccezione.

    IV) Largomento evangelico

    Lunica fonte allegata da Guiral Odone per giustificare ildivieto dunque il famoso versetto di Luca 6, 35: Concedeteprestiti senza sperarne nulla. Formula ripetuta mille volte nelperiodo che ci interessa, era spesso interpretata nel senso diuna condanna di qualsiasi speranza di profitto. Una tale inter-

    pretazione ha dato un grande peso alle considerazioni riguar-danti laspetto temporale dei contratti. infatti ci che espri-me la metafora del furto di tempo.

    Pietro di Giovanni Olivi, seguito da Guiral, lunico teolo-go del periodo a proporre una distillazione radicale di questobrano evangelico. Secondo lui, infatti, questo precetto non unaformulazione del divieto dellusura. Una tale lettura non

    nuova: era gi quella di santAmbrogio o di san Gerolamo. Olivilo spiega nel suo Commento al Vangelo di Luca. Il Discorsodella Montagna il passo principale nel quale Cristo d agli apo-stoli consigli di perfezione. Non inculca le regole della moralecomune che ogni cristiano deve seguire, ma offre consigli eroga-torii, cio richieste supplementari che vanno al di l dei precetticomuni. In questo senso, limperativo concedete prestiti senzasperarne niente non pu essere lordine di non praticare lusu-ra. una richiesta molto pi impegnativa: chiede di prestaresenza avere la speranza di essere rimborsato. Il francescano lospiega in tal modo: con queste parole, Cristo non dice niente diineguale o niente di usurario; dice niente in senso assoluto.Egli vuole dunque che non speriamo niente, neanche una cosaeguale. Il divieto dellusura sottinteso: a fortiori sarebbeingiusto chiedere una qualsiasi eccedenza; coloro che voglionoseguire la vita evangelica, come i frati francescani, devono faredi pi e prestare senza sperare nel rimborso.

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    Una tale lettura restituisce meglio laspetto positivo delcomandamento evangelico. Alla fine delle pagine che dedica aquesto versetto, lOlivi aggiunge una modesta precisazione: que-sta domanda riguarda gli indigenti, e quelli che chiedono, ragio-nevolmente, allo scopo di sostenere una vita. La formulazionedel consiglio di perfezione fa saltare fuori un precetto, valido perogni cristiano, di prestare a coloro che ne hanno bisogno.

    Olivi pu sembrare innovativo o isolato nella sua inter-pretazione. In realt, lacutezza della sua analisi ci porta alcuore della dottrina cristiana dellusura. Lusura un peccatodi particolare importanza, perch contraddice una domanda di

    carit. Questo il punto centrale per i cristiani. Consentire unprestito caritatevole unazione di grazia; chiedere un prezzoper questa grazia un peccato abominevole.4

    V) Il paradosso della gratitudine

    In un certo senso, siamo giunti al nostro punto di parten-

    za. Il risultato della distillazione non altro che una traduzionenel vocabolario cristiano delluniversalizzazione del divietoebraico, di cui parlava Nelson. Tuttavia, il percorso argomen-tativo non stato inutile. Come abbiamo visto, diversi livelli diargomenti sono stati affrontati: argomenti biblici, giuridici,morali. Forse, il risultato pi importante del dibattito consistenella distinzione dei diversi registri che ne esce. Guiral Odoneha messo in risalto un divergenza tra il diritto naturale, sulquale si fonda la giustizia umana, e la legge divina. Una taleopposizione non ha niente di nuovo; era gi al cuore dei primidibattiti sullusura dalla fine dellundicesimo secolo.

    Molto presto, infatti, sia i teologi che i canonisti hannomesso il dito su un punto sensibile. Il divieto dellusura con-traddice espressamente una richiesta della legge naturale,4 Cfr. Pietro di Giovanni Olivi, Super Lucam, manoscritto, Firenze, BibliotecaMedicea-Laurenziana, Plut. X dext. 4 ;De contractibus, op. cit.

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    quella di esprimere gratitudine al proprio benefattore.Questobbligazione morale descritta come proveniente da unistinto naturale. Per descriverla, gli autori del periodo in con-siderazione utilizzano una parola greca, trasmessa attraverso ildiritto romano; parlano degli antidora, cio dei contro-doniche si devono fare per ringraziare di un beneficio. Ora, ildivieto di chiedere qualsiasi cosa in eccedenza rispetto allasomma prestata sembra implicare la proibizione di tali anti-dora; in questa misura, sembra implicare un peccato, quellodellingratitudine. Crea un vero dilemma.

    Lo vediamo espresso da un personaggio molto importan-

    te dei primi anni del Duecento, legato papale in Francia e fon-datore delluniversit di Parigi, Robert de Couron. Nel suotrattatoDe usura (ca. 1210) egli introduce questa problemati-ca immaginando una situazione che non ha niente a che farecon i rapporti creditizi abituali:

    Se io fossi incarcerato a Roma e qualcuno mi facesse unmutuo, sicch mi liberasse per mezzo di esso e mi conduces-

    se a casa sano e salvo; in questo caso, non sarei forse tenutonon solo a restituire la somma prestata, ma anche ad aggiun-gere una degna ricompensa? Ora lo dimostro: sono infattitenuto agli antidora. Quelluomo avrebbe potuto ottenere unguadagno netto di cento rispetto a quanto mi aveva prestato,dopo, grazie al commercio; ed io non gli rendo altro che lasomma di partenza! Gli procuro, in tal caso, un danno dicento! Non avrebbe costui buon diritto a recriminare nei mieiconfronti? Non vorrei che, a mia volta, mi capitasse una cosadel genere. Secondo la legge naturale, perci, non devo fare alui una cosa simile. Ciononostante posso dimostrare che eglinon pu reclamare ci da me, secondo le parole del Vangelo:concedete prestiti senza sperarne nulla. Infatti, se quelluomoavesse atteso di ricevere qualche eccedenza oltre alla sommabase, avrebbe intenzionalmente commesso un contratto usura-rio. Ora, se lavesse formulato a parole, un contratto del gene-re non sarebbe valido. Di conseguenza, esso non avrebbe valo-

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    re neppure agli occhi di Dio, che scruta le intenzioni nonespresse.5

    La tensione tra richieste contraddittorie giunge qui al suomassimo, ed drammatizzata con forza. (Attraverso lepiso-dio di una carcerazione a Roma, si pu legittimamente intra-vedere un significato allegorico: il liberatore, che presta senzasperare una ricompensa terrena, limmagine del Salvatore, ilcui sacrificio salvifico non richiede altro se non un amore gra-tuito). Altri autori cercano invece di risolvere una tale tensio-ne. Sono stati i giuristi bolognesi di diritto canonico a trovarela soluzione nei primi anni del Duecento, in primo luogo nella

    persona di Johannes Teutonicus (Giovanni il Teutonico). Sideve distinguere tra lintenzione principale dei contraenti e laloro intenzione secondaria, cio accidentale. Se il prestito fatto secondo lintenzione giusta di non chiedere altro che ilsolo rimborso, non riprovevole che il prestatore si aspetti diricevere qualche segno di gratitudine da parte di colui che habeneficiato del suo prestito.

    Una tale distinzione permette di riconciliare due doman-de contraddittorie, che provengono da registri morali distinti.Il mondo degli antidora, infatti, non altro che luniversodescritto dal grande sociologo Marcel Mauss come il modellodello scambio nelle societ arcaiche. In maniera rivelatrice,una gran parte degli autori medievali fa un piccolo errore lin-guistico. Invece di usare la parola rara antidora, essi parlanodegli antidoti. Inconsapevolmente, ritrovano unambivalen-za semantica gi presente sia in greco che nelle lingue germa-niche, dove, come ha mostrato proprio Mauss, le paroledosis e gift significano simultaneamente il dono e il vele-no. Lequivalenza suggerisce che ogni regalo avvelenato,poich mette colui che riceve sotto il potere di colui che hadato; solo un regalo in contraccambio permette di liberarsi diun tale ascendente. In questo senso, il contro-dono letteral-5 Robert de Couron,De usura, G. Lefvre ed., Travaux et mmoires de l'Universitde Lille, 1902, p. 13.

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    mente un contro-veleno. Nel suo famoso Saggio sul dono,Mauss presentava la triplice obbligazione di dare, ricevere edare in cambio come il fondamento dellorganizzazione socia-le arcaica. Opponeva tali cicli di doni e contro-doni ad un fun-zionamento basato su impegni contrattuali che delimitanoobbligazioni reciproche esplicite. La comparsa del tema degliantidora allinterno delle discussioni giuridiche medievalimostra che le due logiche non sono escludenti luna dellaltra.Nel loro articolarsi, per, la natura del dono in contraccambiodiviene a sua volta una figura ambivalente. Pu trattarsi sem-plicemente di riprodurre la struttura maussiana allinternodella quale il contratto perde la sua funzione autonoma.

    Oppure, gli antidora possono assumere un valore diverso, dinatura puramente etica, esprimendo un ringraziamento che sisovrappone allobbligazione contrattuale.

    A causa di un tale ambiguit, alcuni autori preferisconoevitare luso della parola stessa, per fermarsi meglio sullulti-mo livello. proprio Tommaso d'Aquino a spiegare, nel modopi chiaro, il significato della distinzione. Sviluppando un

    tema gi presente nella morale dei filosofi stoici, e abbondan-temente espresso da Seneca nel suo De beneficio, Tommasoscrive nella Somma di teologia (IIa IIae, q. 78):

    La ricompensa di un beneficio pu essere fatta in duemaniere. In un modo, come un debito di giustizia, al qualequalcuno si obbliga con un patto espresso. In un altro modo,qualcuno tenuto a ricompensare un beneficio attraverso undovere di amicizia, nel quale si considera laffezione con laquale il beneficio stato concesso, piuttosto che la quantit delbeneficio. Un tale dovere non deriva dallobbligazione civile.

    Insomma, ci sono due livelli di moralit diversi: quellodella giustizia che deve essere osservata nei contratti civili, equello della morale che regola i rapporti umani, al di fuoridalle obbligazioni legali. Il livello dei comandamenti divini,tanto i precetti comuni che i consigli di perfezione, aggiunge

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    un piano ulteriore. Non si pu sottovalutare limportanza diuna tale differenziazione. Essa costituisce lorigine diretta diuna divisione degli aspetti della vita sociale che conosciamoancora oggi: da un lato, la sfera dei fenomeni economici, basa-ta su rapporti contrattuali; dallaltro, la sfera dei rapportiumani, che non pu essere regolata altrimenti che dalla mora-le personale. Nel quotidiano, sappiamo che queste sfere nonsono realmente separabili. Anche nella vita economica essesono intrecciate. Sicch il mondo degli antidora, dei regaliche si aggiungono alla precisione contrattuale, pu ancheessere quello della corruzione. Non dunque senza ragioneche Tommaso preferiva dire, per conto suo:

    Qui non si deve esigere o aspettare altro che laffezionedi benevolenza, che non pu essere misurata da una valutazio-ne monetaria.

    Conclusione

    A mo di conclusione, possiamo brevemente ricapitolarele diverse tematiche che abbiamo attraversato, quasi fosseroaltrettanti paradossi.

    In primo luogo, sembrava che il divieto dellusurapotesse essere identificato con un aspetto fondamentaledel pensiero cristiano medievale; abbiamo visto peraltroche esso non riceve la sua forza dal Vangelo: piuttosto unprecetto ebraico che prende un nuovo rilievo nel quadrodella cristianit occidentale, a causa di contesti sociali edecclesiastici.

    Secondo paradosso: lintensa attivit dottrinale intorno aquesto tema non sfocia affatto in unelaborazione concettualeirreprensibile. Al termine del percorso, il divieto dellusura risul-ta un caso eccezionale allinterno delletica economica formula-ta dagli scolastici, e la sua fondazione razionale non stabilita.

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    Terzo paradosso: la questione dellusura sembrava rap-presentare la parte pi conservatrice della Chiesa medievalenei confronti dello sviluppo economico dellOccidente medie-vale. Al contrario, essa si rivela come un laboratorio fruttuo-so. Non stato soltanto uno stimolo di grande importanza perlo sviluppo di una riflessione morale sui fenomeni economici. stato, proprio, il nodo problematico a partire del quale lasfera economica ha preso la sua, relativa, autonomia.

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    QUADERNI PUBBLICATI

    N. 1 Dionigi Card. TettamanziORIENTAMENTI MORALI DELLOPERARENEL CREDITO E NELLA FINANZA

    Introduzione di G. Vigorelli - F. Cesarini - novembre 2003

    N. 2 G. Rumi - G. Andreotti - M. R. De GasperiUN TESTIMONE DELLAPPLICAZIONE DELLETICAALLA PROFESSIONE: ALCIDE DE GASPERIIntroduzione di G. Vigorelli - dicembre 2004

    N. 3 P. BarucciETICA ED ECONOMIA NELLA BIBBIA DEL CAPITALISMOIntroduzione di G. Vigorelli - aprile 2005

    N. 4 A. GhisalbertiIL GUADAGNO OLTRE IL NECESSARIO: LEZIONI

    DALLECONOMIA MONASTICAIntroduzione di G. Vigorelli - maggio 2005

    N. 5 G.L. PotestDOMINIO O USO DEI BENI NEL GIARDINO DELLEDEN?UN DIBATTITO MEDIEVALE FRA DIRITTO E TEOLOGIAIntroduzione di G. Vigorelli - giugno 2005

    N. 6 E. ComelliIL RUOLO DELLA DONNA NELLECONOMIA:LA TRADIZIONE EBRAICAIntroduzione di G. Vigorelli - giugno 2005

    N. 7 A. ProfumoLIMPRENDITORE TRA PROFITTO, REGOLE E VALORIIntroduzione di G. Vigorelli - ottobre 2005

    N. 8 S. GerbiRAFFAELE MATTIOLI E LINTERESSE GENERALEIntroduzione di G. Vigorelli - novembre 2005

    N. 9 A. BazzariASPETTI ECONOMICI DELLA CARIT ORGANIZZATAIntroduzione di G. Vigorelli - dicembre 2005

    N. 10 L. SacconiPU LIMPRESA FARE AMENO DI UN CODICE MORALE?Introduzione di G. Vigorelli - febbraio 2006

    Per ogni informazione circa le pubblicazioni ci si pu rivolgere alla Segreteria

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    Finito di stampare Maggio 2006