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Planck e lo spettro del corpo nero Il 14 dicembre del 1900, durante un incontro organizzato dalla Società di F isica Tedesca, Max Planck presentò un saggio su La teoria della distribuzione dell’energia in uno spettro normale ”. Q uesto scritto, che all inizio non ricevette particolari attenzioni, prefigurava, in realtà, una rivoluzione nel campo della f isica, segnando la nascita della meccanica quantistica. L e osservazioni di P lanck traggono origine dallo stud io d elle p rop rietà d ella rad iaz ion e term ica, cioè d ella rad iaz ion e emessa ed assorb ita d a un corp o i n virtù d ella p rop ria te m peratura; p i ù precisamente, lo scienziato tedesco studiò la radiazione emessa da un particolare tipo di corpo, il cosiddettto “corpo nero”, che emette una radiazione con uno spettro di carattere universale, mentre, in generale, lo spettro dipende dalla composizione del corpo in questione. Un corpo si dice “nero” quando assorbe tutta la radiazione incidente su di esso; il nome è sicuramente appropriato perchè tali oggetti non riflettono la luce ed appaiono di colore nero quando la temperatura è suff icientemente bassa per impedire che brillino di luce propria

Planck e lo spettro del corpo nero

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Planck e lo spettro del corpo nero

Il 14 dicembre del 1900, durante un incontro organizzato dalla Società di Fisica Tedesca, MaxPlanck presentò un saggio su “La teoria della distribuzione dell’energia in uno spettro normale”.Questo scritto, che all’inizio non ricevette particolari attenzioni, prefigurava, in realtà, unarivoluzione nel campo della fisica, segnando la nascita della meccanica quantistica.

Le osservazioni di Planck traggono origine dallo studio delle proprietà della radiazionetermica, cioè della radiazione emessa ed assorbita da un corpo in virtù della propriatemperatura; più precisamente, lo scienziato tedesco studiò la radiazione emessa da unparticolare tipo di corpo, il cosiddettto “corpo nero”, che emette una radiazione con uno spettrodi carattere universale, mentre, in generale, lo spettro dipende dalla composizione del corpo inquestione.

Un corpo si dice “nero” quando assorbe tutta la radiazione incidente su di esso; il nome èsicuramente appropriato perchè tali oggetti non riflettono la luce ed appaiono di colore neroquando la temperatura è suff icientemente bassa per impedire che brillino di luce propria

La distribuzione spettrale di una radiazione di corpo nero è caratterizzatadalla quantità Rt(ν), chiamata radianza spettrale ed è definita in modo cheRt(ν)dν sia pari all’energia emessa per unità di tempo con una radiazione difrequenza compresa tra ν e ν + dν da un’unità di area di superficie ad unacerta temperatura assoluta T.

Le prime accurate misure di tale quantità furono eseguite da Lummer ePringsheim nel 1899 e misero in evidenza la dipendenza della radianzaspettrale dalla frequenza e dalla temperatura ( vedi esempio della figurasuccessiva)

.

Radianza spettraledi un corpo neroper tre diversetemperature

Integrando Rt(ν)dν su tutte le frequenze si ottiene la radianza Rt, ovverol’energia complessiva emessa per unità di tempo, per unità di area da uncorpo nero ad una fissata temperatura.Come si può vedere anche dalla figura precedente la radianza Rt crescerapidamente al crescere della temperatura T; questo risultato corrispondealla legge di Stefan-Boltzmann e fu esplicitata per la prima volta nel1879. Si ha che:

Rt = σT4

dove σ vale 5,67*10-8 W/m2 K4. La figura precedente, inoltre, ci mostracome lo spettro si muova verso frequenze pù elevate quando si abbia unincremento di temperatura; questa è la legge di Wien, che espressa intermini di lunghezza d’onda, anzichè di frequenza, afferma che

λmaxT = costante

La costante vale 2.898 * 10-3 m K.

Una ottima approssimazione per un corpo nero è costituita da una cavità collegataall’esterno da un foro alquanto piccolo; la radiazione incidente sul foro dall’esterno entranella cavità ed è riflessa dalle pareti, venendo anche assorbita da queste ultime. Se lasuperficie di tale foro è molto piccola rispetto a quella della cavità soltanto una quantitàtrascurabile di radiazione sarà riflessa oltre il foro all’esterno, e la maggior parte dellaradiazione incidente sarà assorbita; molti corpi neri usati negli esperimenti di laboratoriosono costruiti in base a questi parametri.

Ulteriore precisazione; finora abbiamo sempre parlato di radianza spettrale, ovvero dienergia. E’ opportuno introdurre una nuova quantità, e cioè la densità di energia ρt(ν),che è definita come l’energia contenuta in una unità di volume della cavità allatemperatura T in un intervallo di frequenza compreso tra ν e ν + dν; è evidente che ladensità di energia è proporzionale alla radianza.

All’inizio del secolo scorso Rayleigh e Jeans effettuarono alcuni calcoli sulla densità dienergia della radiazione in una cavità (corpo nero) che condussero a vistose discrepanzetra evidenze sperimentali e previsioni teoriche.

Consideriamo, innanzitutto, una cavità con pareti metalliche riscaldate uniformemente aduna temperatura T; le pareti emettono, ovviamente, radiazione elettromagnetica.Assumiamo per semplicità che la cavità riempita di radiazione elettromagnetica abbia laforma di un cubo di lato a, come mostrato nella prossima figura.

Cavità metallica cubica con radiazione elettromagnetica.

La radiazione che si riflette sulle pareti può essere analizzata in tre componenti lungo letre direzioni mutuamente perpendicolari definite dai bordi della cavità. Poichè le paretiopposte sono tra loro parallele le tre componenti della radiazione non si mescolano e noipossiamo trattarle separatamente.

Si può vedere, in base a considerazioni geometriche e di elettromagnetismo, che le ondestazionarie associate alle varie componenti della radiazione debbano avere nodi (ampiezzazero) a x = 0 e x = a, a y = 0 e y = a, a z = 0 e z = a.

Queste condizioni pongono una limitazione alle possibili lunghezze d’onda, e quindi allepossibili frequenze, della radiazione elettromagnetica nella cavità.

Passiamo, ora, a considerare la questione di contare il numero di onde stazionarie connodi alla superficie della cavità, la cui lunghezza d’onda giace in un intervallo λ e λ +dλ, ovvero in un intervallo di frequenze ν e ν + dν. Per focalizzare meglio l’attenzionesulle idee coinvolte nel calcolo limitiamoci a trattare una sola componente, quella lungol’asse x.

Il campo elettrico per onde elettromagnetiche stazionarie ad unadimensione può essere descritto matematicamente dall’equazione

E(x,t) = Eo sen(2πx/λ)sen(2πνt)

Poichè l’ampiezza è comunque zero, per qualunque tempo t, perposizioni soddisfacenti la relazione 2x/λ= 0,1,2,3,.. l’onda ha dei nodif issi, è, cioè, un’onda stazionaria.

Per soddisfare alla richiesta che le onde abbiano nodi ad entrambe leestremità di una cavità mono-dimensionale, scegliamo l’origine dell’assex ad un estremo (x = 0) e richiediamo che all’altro 2x/λ = n per x = a e n= 1,2,3, ...

Questa condizione determina un insieme di valori consentiti per λ equindi anche per la frequenza ν=c/ λ. Infatti si ha che ν = cn/2a.

I modi permessi che hanno lunghezza d’onda nell’intervallo λ, λ + ∆λ si calcolano a partiredalla condizione 2a/λ = n, da cui: 2a /(λ +∆ λ)=n - ∆ n.

Se ∆λ << λ la differenza tra le due quantità risulta essere:

∆n/ a =2 ∆ λ / λ 2

e quindi ∆ n/∆ λ = 4a/ λ 2

Abbiamo moltiplicato 2a/λ2 per un fattore 2 dal momento che, per ognuna delle frequenzeconsentite, ci sono in realtà due onde indipendenti corrispondenti ai due possibili stati dipolarizzazione delle onde elettromagnetiche.

Quindi avremo che il numero di modi ∆ n nell’intervallo di frequenze ν, ν+ ∆ν (o di lunghezzad’onda (λ, λ +∆ λ) sarà:

∆ n =N(λ)∆λ= N(ν)∆ν = 4a ∆λ /λ 2=(4a/c) ∆ν

Estendendo il calcolo al caso tridimensionale si otterrà che

N(ν) ∆ν = (8πV/c3)ν2 ∆ν

dove V = a3, il volume della cavità.

Calcolo dell’energia totale media contenuta in ogni onda stazionaria difrequenza ν.

Per un sistema contenente un numero elevato di entità fisiche dello stesso genere che si trovanoin condizioni di equilibrio reciproco alla temperatura T, la fisica classica fa delle ben preciseprevisioni circa i valori medi delle energie di tali grandezze.

Nella situazione da noi considerata tutte queste condizioni sono verificate e, quindi, dobbiamoapplicare i dettami della teoria classica e cioè la legge di equipartizione dell’energia.

Pertanto, ogni onda avrebbe una energia totale media <E> pari a kT, con k costante diBoltzmann, cioè un valore indipendente dalla f requenza delle onde stesse. Moltiplicando talevalore per il numero di onde nell’intervallo in frequenza e dividendo per il volume otteniamo

ρt(ν)dν =N(ν) dν <E>= (8πν2kT/c3)dν

Questa è la formula di Rayleigh-Jeans per la radiazione di corpo nero.

Nella figura della pagina seguente osserveremo come, nel limite delle basse frequenze, ci siaaccordo tra previsioni teoriche e risultati sperimentali, mentre ciò non accade per le altefrequenze, dove la formula di Rayleigh-Jeans prevede di giungere addirittura ad energieinfinite!, -> “catastrofe ultravioletta”;

Le evidenze sperimentali mostrano, invece, una energia tendente a zero per una frequenza che

tende a valori sempre più grandi.

Previsioni di Rayleigh-Jeans confrontatecon i risultati sperimentali.

TEORIA DI PLANCK DELLA RADIAZIONE DA CORPO NERO

Per tentare di risolvere la contraddizione esistente tra previsioni teoriche e risultatisperimentali, Planck prese in considerazione l’ipotesi di una violazione della legge diequipartizione dell’energia.

Si rendeva necessario trovare una formula per l’energia che la facesse tendere a zeromentre la frequenza tende all’infinito; la legge di equipartizione dell’energia assegna,invece, all’energia media un valore indipendente dalla frequenza.

Andiamo, per un attimo, alle origini di questa legge di equipartizione; essa trae forma daun risultato più generale della meccanica statistica classica chiamata distribuzione diBoltzmann, che dice che P(E) = e-E/kT/kT, dove P(E) è la probabilità di trovare una dataentità del sistema in un intervallo compreso tra E e E+dE, quando il numero degli statienergetici per un’entità in quell’intervallo è indipendente da E.

Per trovare l’energia media basta eseguire

Emedia= ∫0∞ E P(E) dE / ∫0∞ P(E) dE

Il risultato è proprio quel kT che abbiamo visto nei paragrafi precedenti

Il grande contributo di Planck fu quello di rendersi conto di poter ottenere una energia tendente azero per altissime frequenze se avesse modificato il calcolo per arrivare all’Emedia, trattandol’energia come una variabile discreta anzichè continua.

Quantitativamente, questo può essere fatto sostituendo, nella formula precedente, l’integrale conuna sommatoria. Planck postulò, quindi, che l’energia potesse assumere solo quantità discrete; inparticolare che

E = nhν con n = 0,1,2,3,..

Il valore numerico della costante h, ottenuto confrontando le sue previsione teoriche con i datisperimentali, era molto vicino a quello oggi riconosciuto e cioè h = 6.63*10-34 J*s

Il valore dell’energia media utilizzando la formula di Planck per l’energia è dunque

E(ν) = hν/(ehν/kT-1)

e, corrispondentemente, il valore della densità di energia è

ρt(ν)dν = (8πhν3/c3(ehν/kT-1))dν

Questa è la formula di Planck per uno spettro di corpo nero, in completo accordo con i risultatisperimentali.( Il valore di h è oggi 6.57*10-34 J*s)

Previsioni di Planck (linea continua) confrontate con i datisperimentali (cerchi) per la densità di energia.

Deriviamo, ora, matematicamente la f ormula di Planck per l’energia media.Sappiamo che dobbiamo utilizzare le sommatorie, anzichè gli integrali, pertanto risulta

Emedia = ∑∞EP(E) / ∑∞P(E)

Ricorrendo alla distribuzione di Boltzmann, P(E) = e-E/kT/kT, considerando E = nhν e α = hν/kT

Emedia= kT∑∞nαe-nα/∑∞e-nα

Questo può essre valutato più facilmente notando che

-α dln(∑∞e-nα) = -α d(∑∞e-nα)/∑∞e-nα = -∑∞α d(e-nα)/∑∞e-nα = ∑∞nαe-nα/∑∞e-nα

per cui Emedia = kT(-αdln∑∞e-nα) = -hνdln∑∞e-nα

Ora, ∑∞e-nα = 1+e-α + e-2α + e-3α +....= 1 + X + X2 + X3 +.... con X = e-α

ma (1-X)-1 = 1 + X + X2 +.....

cosicchè Emedia = -hνd ln(1-e-α)-1 = hνe-α/(1-e-α) = hν/(eα-1) = hν/(ehν/kT-1)

Moltiplicando questa formula per il numero di onde N(ν) e dividendo per il volume della cavitàotteniamo l’espressione di Planck per lo spettro del corpo nero.

IL POSTULATO DI PLANCK E LE SUE IMPLICAZIONI

Il contributo di Planck può essere espresso sotto forma di postulato:Qualsiasi grandezza fisica con un grado di libertà la cui “coordinata” è una funzionesinusoidale del tempo può possedere solo energie totali E tali che sia soddisfatta larelazione

E = nhν

dove ν è la frequenza dell’oscillazione e h una costante universale

La parola coordinata è utilizzata nel suo significato generale per indicare qualunquequantità che descrive le condizioni in quell’istante della grandezza fisica in questione.

Un diagramma dei livelli energetici come quello illustrato nella prossima figura cimostra il comportamento di una grandezza governata da questo postulato, ed èistruttivo confrontarlo con il comportamento atteso sulle basi della fisica classica.Il diagramma sulla sinistra presente presenta una continuità di linee da zero finoall’infinito, in accordo con le leggi della fisica classica; il diagramma sulla destrapossiede un numero finito, discreto, di linee, indicanti i vari livelli energetici.L’energia di una grandezza che obbedisce al postulato di Planck si dice quantizzata, glistati energetici permessi sono denominati stati quantici e il numero intero n è chiamatonumero quantico.

Energie consentite in un sistema “classico” ed in unoche segue il postulato di Planck.

Ci sono dei sistemi fisici il cui comportamento sembra comunque essere in disaccordocon il postulato di Planck; è il caso di un normale pendolo che compie semplicioscillazioni armoniche, e tuttavia tale sistema sembra in grado di possedere un intervallocontinuo di valori energetici.

Prendiamo, per esempio, un pendolo di massa m = 0.01 Kg con un braccio di lunghezza0.1 m e dotato di una oscillazione massima di 0.1 rad con la verticale.La frequenza di oscillazione del pendolo è ν = √(g/l) = 1.6 s-1, l’energia massima è mgh= mgl(1-cosθ) = 5 * 10-5 j. L’energia del pendolo è quantizzata cosicchè le variazioni inenergia si manifestano con salti di grandezza ∆E = hν = 10-33 j. Il rapporto ∆E/E = 2* 10-

29, per cui per misurare la quantizzazione nella riduzione di energia è necessario misurarel’energia con percentuali inferiori a 2 su 1029; è evidente che anche l’apparatosperimentale più sensibile è completamente incapace di ottenere tali risoluzioni.

Ovviamente lo stesso discorso vale per altri esperimenti meccanici; la causa di tuttoquesto risiede chiaramente nel valore estremamente piccolo della costante di Planck.Infatti, è possibile ridurre formule quantistiche al loro limite classico facendo tendere h a0 in tali formule.

Possiamo verificare la validità del postulato di Planck solo per quei sistemi in cui lafrequenza è così alta e/o E piccola in modo che l’ordine di grandezza di ∆E sia ilmedesimo di E.

Da Raileigh-Jeans aPlanck: analisi dellospettro del corponero.

La statistica classica prevede che il calore specifico di un solido si uguale a3R, un risultato verificato da Dulong e Petit per diversi elementi ad altetemperature.

Applicando il teorema di equipartizione dell'energia a un solido in cuiciascun atomo è trattato come una particella con 3 gradi di libertàtraslazionali a ciascuno dei quali compete un termine di energia potenziale eun termine di energia cinetica si può stimare l'energia totale U relativa a unamole di una determinata sostanza:

dove NA è il numero di Avogadro e k la costante di Boltzmann.Per ladefinizione di calore specifico a volume costante:

+= kT

2

1kT

2

13NU A

R3kN3dT

dUC Av ===

I dati sperimentali mostrano, tuttavia, una deviazione dal valore3R per le basse temperature.

Ipotesi di Einstein (1907):- ciascun atomo del solido è trattato come oscillatore indipendente,tridimensionale, che vibra attorno alla sua posizione di equilibriocon una frequenza propria ν.- l'energia classica kT dell'oscillatore è sostituita dalla energia ε,ricavata dalla formula di Planck:

Pertanto l'energia U diventa:

e quindi il calore specifico risulta:

( )1e

hkT/h −ν=ε ν

( )1e

hN3U kT/hA −

ν= ν

( )2

2kT/h

kT/h

AV kTh

1e

eN3U

dTd

C

ν

−==

ν

ν

L’espressione ricavata da Einstein riproduce l’andamento delcalore specifico anche a basse temperature.

Si verifica inoltre che a temperature sufficientemente alte,quando cioè kT>>hν, questa espressione tende al valorecostante 3R della teoria classica.

Tuttavia, a temperature estremamente basse la formula di Einstein noninterpola i dati in modo soddisfacente. Per avere un risultato più vicinoall’andamento sperimentale bisonga considerare che gli oscillatori (ioni delcristallo) non hanno una sola frequenza di vibrazione ma presentano unospettro di frequenze.

La formula di Einstein deve essere moltiplicata per una funzione didistribuzione delle frequenze e integrata su tutto lo spettro di frequenze.

Si dimostra che Cv dipende da T3 alle basse temperature.

http://www.aip.org/history/

Sito dell’ “American Institute of Physics” conriproduzione di lavori originali della fisica dei primidel 900 e percorsi tematici

http://hyperphysics.phy-astr.gsu.edu

Ipertesto sulla fisica con ampia trattazione delleprobelmatiche di fisica moderna e quantisitca

L’effetto fotoelettricoe i quanti di luce

L’effetto fotoelettrico

1887: Prime osservazionidell’effetto fotoelettrico adopera di Hertz

1888: W. Hallwachs studiò leleggi che regolano l’emissionedi elettroni da superficimetalliche illuminate

1905: A. Einstein interpretal’effetto fotoelettrico

Sperimentalmente si verifica che una superficiemetallica illuminata può emettere elettroni.

(a) I=I(ν)

Esiste unafrequenza disoglia νlim

(c)

Vmax = Vmax (ν )

Vmax dipende dalla

frequenza ν

(d) Isat=Isat(P)

Isat dipendelinearmente da P

(b) I=I(V)

Vmax (cioé l’energiacinetica massima)non dipende dallapotenza incidente P;

La corrente disaturazione Isat

cresce con P

Il problema della intensitàLa corrente di saturazione é proporzionale alla intensità

luminosa incidente PMA

l ’energia cinetica massima KEmax non dipende da P.

Il problema della frequenzaGli esperimenti indicano che ogni superficie é caratterizzata

da una frequenza di taglio vmin

Il problema del tempo di emissioneQuesto scarto di tempo non é mai stato misurato

Luce: natura ondulatoria o corpuscolare?

Assumiamo che la luce sia composta da onde elettromagnetiche, e che queste ondetrasportino energia. Quindi, se un'onda luminosa colpisce un elettrone in uno degliatomi del metallo, può trasferirgli sufficiente energia per lasciare l'atomo e schizzarefuori dalla superficie.

Intensità luminosa: I ~ |E|2 con E = campo elettrico

Forza agente sull’elettrone: F ~ -eE

A patto che E , e quindi l’intensità I, sia sufficientemente grande è possibile strapparel’elettrone del solido.

Perché “assumiamo” che la luce sia composta di onde"? C'è qualche altra possibilità?Storicamente, la luce è stata di tanto in tanto considerata come una particella piuttostoche un'onda; Newton, per esempio, la pensava in questo modo. Il punto di vistacorpuscolare venne molto screditato dall'esperimento della doppia fenditura diYoung, che convinse tutti che la luce dovesse essere un'onda. All'inizio del XXsecolo, tuttavia, alcuni fisici - Einstein, per dirne uno - tornarono ad esaminare il puntodi vista corpuscolare. Einstein notò che esperimenti accurati sull'effetto fotoelettricoavrebbero potuto mostrare se la luce consiste di particelle o di onde.

Intuitivamente si potrebbe pensare che l'effetto fotoelettrico possa manifestarsiindipendentemente da quale dei due punti di vista è corretto. In un modo onell'altro, la luce trasporta energia, ed è in grado di espellere gli elettroni dalmetallo.

Tuttavia i dettagli dell'effetto fotoelettrico risultano diversi a seconda che laluce consista di particelle o di onde.

Se si tratta di onde, l'energia contenuta nell'onda dovrebbe dipendere solodall'ampiezza--cioè dall'intensità della luce. Altri fattori, come la frequenza,non dovrebbero essere influenti.

Quindi, ad esempio, a parità di intensità la luce rossa e quella ultraviolettadovrebbero espellere lo stesso numero di elettroni, e l'energia cineticamassima dei due insiemi di particelle dovrebbe essere la stessa.

Decrescendo l'intensità si dovrebbero ottenere meno elettroni, che si muovonocon velocità minore (cioé l’energia cinetica degli elettroni dipende dallaintensità); se la luce è troppo debole, non si dovrebbe ottenere alcun elettrone,qualunque sia la frequenza della luce.

Ipotesi corpuscolare

Che cosa cambierebbe se supponessimo che la luce fosse costituita daparticelle? Saremmo in grado di spiegare i risultati degli esperimentibasati sull’effetto fotoelettrico?

La spiegazione che Einstein diede é basata sugli studi di Planck relativialla radiazione di corpo nero.

Nel 1900, Max Planck stava lavorando sul problema di come laradiazione emessa da un oggetto è legata alla sua temperatura. Ottenneuna formula che era in buonissimo accordo con i dati sperimentali; laformula però aveva senso solo se si accettava che l'energia di unamolecola oscillante fosse quantizzata--cioè, che potesse assumere solodeterminati valori. L'energia avrebbe dovuto essere proporzionale allafrequenza di oscillazione, e risultava propagarsi in piccoli "pacchetti",multipli del prodotto della frequenza per una certa costante. Questacostante divenne nota come costante di Planck, o h, ed ha il valore di6.63x10-34 Joule s.

L’idea che l'energia potesse trasmettersi solo in "pacchetti" discreti (per quantomolto piccoli) era assolutamente rivoluzionaria. Planck in realtà non si reseconto sul momento della novità radicale del suo lavoro; egli pensava di aversolo giocato un po' con la matematica per arrivare alla "riposta giusta", ed eraconvinto che qualcun altro avrebbe trovato una spiegazione migliore per la suaformula.

Basandosi sul lavoro di Planck, Einstein propose che anche la luce trasportassela sua energia in pacchetti; essa consisterebbe dunque di piccole particelle, oquanti, chiamate in seguito fotoni (G. N. Lewis, A. H. Compton), ognuna conun'energia E uguale alla costante di Planck, h, moltiplicata per la frequenza ν.

E=hv

Einstein basò le sue conclusioni sullo studio delle fluttuazioni dell’energiaelettromagnetica nella cavità (corpo nero):- esse seguono la stessa legge che si ha per un gas di particelle- quindi la propagazione e.m. ha un carattere corpuscolare

(c) se la frequenza è sufficientemente bassa, nessun fotone avrà abbastanza energia perespellere un elettrone dall'atomo. Quindi, se si usa luce a frequenza molto bassa, non sidovrebbe ottenere nessun elettrone, indipendentemente da qual è l'intensità della luce.Viceversa, se si usa luce a frequenza molto alta, si dovrebbe riuscire ad espellerequalche elettrone anche se l'intensità è molto bassa.

In questo caso, la frequenza della lucesarebbe importante per l'effetto fotoelettrico.

(a) fotoni con maggiore frequenza hanno piùenergia, quindi dovrebbero espellere glielettroni con una velocità maggiore; perciò,scegliendo una luce della stessa intensità madi frequenza maggiore, l'energia cineticamassima degli elettroni emessi dovrebbeaumentare.

(b) se si lascia invariata la frequenza e siaumenta l'intensità, dovrebbero essere emessipiù elettroni (poichè ci sono più fotoni che licolpiscono), ma non con maggiore velocità,poichè ogni singolo fotone ha ancora la stessaenergia.

Effetto fotoelettrico con radiazionevisibile di diversa lunghezza d’onda:700 nm (rosso), 500 nm (verde) e 400nm (violetto)

1. Sulla base dell’intuizione di Planck, Einstein considerò che l’energia della radiazioneelettromagnetica é localizzata in pacchetti o “quanti”, ciascuno con energia:

E = hνdove h é la costante di Planck e ν la frequenza della luce.

2. Tutta l’energia di una pacchetto é ceduta all’elettrone di in atomo. Per fotoni di bassafrequenza, l’energia di un singolo fotone non é sufficiente a causare l’emissione di unelettrone. Tuttavia, per frequenze sufficientemente alte (maggiori di una frequenza disoglia νmin), l’energia del fotone é superiore a una certa soglia di energia W necessaria astrappare l’elettrone dell’atomo.

3. Per il principio di conservazione dell’energia:hν = KE + W

dove KE é l’energia che l’elettrone possiede in eccesso rispetto a quella del fotoneincidente. Pertanto l’energia cinetica dell’elettrone emesso risulta:

KE = hν - WPer gli elettroni di valenza in un metallo, W é la cosiddetta “funzione lavoro” cheindicheremo con φ. Questi elettroni saranno quelli con la massima energia cinetica KE,secondo la formula:

KEmax = h ν - φ

4. Dal punto di vista sperimentale é conveniente misurare il potenziale Vmax

richiesto per ridurre a zero la corrente I di elettroni che giunge all’anodo. Quandola corrente é nulla, possiamo stabilire una relazione tra V e Kemax

eVmax = KEmax = 1/2 mvmax2 = hν - φ

5. Pertanto, un grafico del potenziale V in funzione della frequenza ν é una linearetta con pendenza h/e e intercetta νmin, corrispondente al valore V=0.

TEORIA CLASSICA TEORIA QUANTISTICA

Classicamente: I∝E2. Poiché F=-eE,all’aumentare di I aumenta il campo E e diconseguenza aumentano la f orza agentesull’elettrone e la sua energia cinetica

Se raddoppiamo P, raddoppia il numero di fotonie quindi la corrente fotoelettrica. Il processo diemissione rimane inalterato poiché non varia inquesto caso l’energia dei f otoni o i singoliprocessi fotoelettrici

Secondo la teoria classica l’effetto fotoelettricodovrebbe aver luogo ad ogni frequenza a pattoche la luce sia sufficientemente intensa dafornire l’energia necessaria ad emettere unfotoelettrone

Se KEmax=0 => hν=φ=hνmin. Quindi se ν=νmin =>la corrente I all’anodo é nulla.

La teoria classica prevede che per intensità Psufficientemente deboli vi sia uno scarto ditempo misurabile tra il processo di assorbimentodella luce e quello di emissione dell’elettrone

L’energia viene ceduta in pacchetti, non éprogressivamente assorbita dall’onda