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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene- merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 23 (Nuova Serie) n. 11 - Novembre 2015 - € 5,00 C’È FUTURO PER LA NOSTRA LINGUA? di Domenico Defelice N poco più di sessant’anni, l’Italia ha perso ben due treni in fatto di lingua ed entrambi a causa di una politica dissennata e di governanti miopi, che hanno privilegiato il contin- gente e la raccolta di voti, di consensi, a discapito di progetti di lungo respiro. Il primo, per non aver lottato affinché il latino - lingua viva, duttile, ca- pace di dare emozioni - venisse scelto come idioma mondiale al posto dell’artificiale, asettico e perciò nato morto Espe- ranto. Possedevamo un tesoro e i nostri politicanti, a partire dagli anni cin- quanta del secolo scorso, anziché esserne orgo- gliosi e valorizzarlo, lo hanno buttato alle orti- che, togliendolo dall’ in- segnamento nelle scuole medie e, in pratica, dalla nostra cultura. Difficil- mente un’altra nazione l’avrebbe fatto. I gover- nanti italiani hanno tradi- to il vero spirito della politica, che non è quello di guardare agli interessi I

Pomezia Notizie 2015_11

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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Page 1: Pomezia Notizie 2015_11

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA

Anno 23 (Nuova Serie) – n. 11 - Novembre 2015 - € 5,00

C’È FUTURO

PER LA NOSTRA LINGUA? di Domenico Defelice

N poco più di sessant’anni, l’Italia ha perso ben due treni in fatto di lingua ed entrambi a

causa di una politica dissennata e di governanti miopi, che hanno privilegiato il contin-

gente e la raccolta di voti, di consensi, a discapito di progetti di lungo respiro.

Il primo, per non aver

lottato affinché il latino -

lingua viva, duttile, ca-

pace di dare emozioni -

venisse scelto come

idioma mondiale al posto

dell’artificiale, asettico e

perciò nato morto Espe-

ranto.

Possedevamo un tesoro

e i nostri politicanti, a

partire dagli anni cin-

quanta del secolo scorso,

anziché esserne orgo-

gliosi e valorizzarlo, lo

hanno buttato alle orti-

che, togliendolo dall’ in-

segnamento nelle scuole

medie e, in pratica, dalla

nostra cultura. Difficil-

mente un’altra nazione

l’avrebbe fatto. I gover-

nanti italiani hanno tradi-

to il vero spirito della

politica, che non è quello

di guardare agli interessi

I

Page 2: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 2

All’interno:

Medioevo in Valle d’Aosta: visita ai castelli, di Marina Caracciolo, pag. 6

Angelo Tonelli, intervista di Ilia Pedrina, pag. 8

Rodolfo Vettorello: Lettera in versi, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 14

Luigi De Rosa, una vita in letteratura, di Corrado Pestelli, pag. 17

Domenico Adriano: Dove Goethe seminò violette, di Elio Andriuoli, pag. 19

Carlo Emilio Gadda nella “Grande Guerra”, di Luigi De Rosa, pag. 21

Maurizio Mazzetto voce dignitosa della religione della libertà, di Ilia Pedrina, pag. 23

Imperia Tognacci in un saggio di Luigi De Rosa, di Anna Aita, pag. 26

L’attualismo di Giovanni Gentile, di Leonardo Selvaggi, pag. 29

L’immortalità: viaggio nell’assurdità, di Aida Isotta Pedrina, pag. 32

I Poeti e la Natura (Vincenzo Cardarelli), di Luigi De Rosa, pag. 35

Notizie, pag. 41

Libri ricevuti, pag. 46

Tra le riviste, pag. 47

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (A Riccardo (e agli altri che verranno), di

Domenico Defelice, pag. 37); Laura Pierdicchi (Lettere, di Maria Grazia Lenisa, pag. 38);

Andrea Pugiotto (Isola di cielo, di Tito Cauchi, pag. 39).

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Tito Cauchi, Colombo Conti, Do-

menico Defelice, Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Béatrice Gandy, Adriana

Mondo, Eugenio Morelli, Teresinka Pereira, Laura Pierdicchi, Leonardo Selvaggi

meschini del momento, ma a disegni in grado

di far crescere e popoli e nazioni e la lingua è

lo strumento più consono per spianare ogni

via, è alla base di ogni progresso.

A questa perdita non vediamo rimedio.

Il secondo treno l’abbiamo perso con il mo-

do sciatto di insegnare la nostra lingua in pa-

tria (già Francesco De Sanctis denunciava:

“Non ci è unità organica nell’insegnamento,

non ci è fascio negli studi, non ci è correzione

e sincerità nell’espressione”) e, poi, con lo

scarso o non finanziamento delle nostre un

tempo rinomate scuole all’Estero: in pratica,

con la loro progressiva abolizione. Di questo

passo, nel mondo avremo sempre meno per-

sone in grado di parlare la nostra lingua.

A questa seconda perdita ci sarebbe ancora

rimedio, ma dubitiamo che gli attuali nostri

politici sappiano e vogliano renderlo concre-

to.

Attualmente, le lingue più parlate nel mon-

do sono: 1) Cinese mandarino; 2) Inglese; 3)

Hindi/urdu; 4) Spagnolo; 5) Russo; 6) Arabo;

7) Bengali; 8) Portoghese; 9) Indonesiano;

10) Giapponese; 11) Francese; 12) Tedesco;

13) Pungjabi; 14) Wu; 15) Jawa; 16) Marathi;

17) Coreano; 18) Vietnamita; 19) Cantonese;

20) Italiano. Le lingue più studiate: 1) Ingle-

se; 2) Francese; 3) Spagnolo; 4) Italiano. Le

lingue ritenute più importanti (o perché parla-

te in ogni continente; o perché ufficiali dei

paesi più influenti del mondo; o perché più

utilizzate negli affari; o perché più parlate su

Internet; o perché le più studiate): 1) Inglese;

2) Spagnolo; 3) Cinese mandarino; 4) Fran-

cese; 5) Arabo; 6) Russo; 7) Tedesco; 8)

Giapponese; 9) Portoghese; 10) Italiano.

L’Italiano nel mondo s’è diffuso nel corso

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 3

degli anni a causa: 1) dell’emigrazione; 2)

delle nostre colonie in Africa settentrionale;

3) della nostra particolare cultura e quindi del

desiderio all’estero di studiarlo. Attualmente,

esso è ancora vivo in nazioni europee come:

Albania, Bulgaria, Croazia, Francia, Macedo-

nia, Malta, Montenegro, Monaco, Serbia,

Slovenia e poi in: Argentina, Australia, Brasi-

le, Canada, Giappone, Guatemala, Somalia,

Stati Uniti, Tunisia, Libia, Venezuela eccete-

ra.

Da questi scarni dati, si può ricavare che

non tutto sarebbe definitivamente perso se in

noi ci fosse uno scatto di orgoglio e una poli-

tica decisa a ripristinare l’insegnamento dell’

Italiano nel mondo e maggiore attenzione nel-

lo studio sul nostro territorio. Si faccia, alme-

no, come in Germania, dove la Merkel ha af-

fermato che l’intero Paese si è massicciamen-

te attivato a far studiare il tedesco ai profughi

e agli stranieri in genere che si stanziano sul

proprio territorio. In Italia ciò non avviene e,

se avviene, è in modo estemporaneo, senza

impegno e senza orgoglio, né da parte degli

insegnanti, né da parte delle istituzioni, non

intervenendo con finanziamenti adeguati.

Le nostre scuole all’Estero sono ormai qua-

si tutte chiuse. Una delle più prestigiose, la

Dante Alighieri, oggi riceve risorse insignifi-

canti se paragonate a quelle messe a disposi-

zione delle proprie dagli altri Paesi. Nelle no-

stre scuole all’Estero vi hanno quasi sempre

insegnato personalità di cultura e grande

umanità; in quelle di Madrid e di Santiago del

Cile, per esempio, negli anni sessanta e set-

tanta vi ha insegnato anche un nostro indi-

menticabile amico, scrittore e poeta validis-

simo: Rocco Cambareri. Sue opere di quel

periodo sono Azzurro veliero (Santiago del

Cile, 1973), Paesaggi e profili (prose, Santia-

go del Cile, 1974) e Adiós Cile (1978).

Nei Paesi con i quali l’Italia, in passato, eb-

be rapporti significativi - Eritrea, Tunisia, Li-

bia, Albania, dove, di conseguenza, si parlava

largamente la nostra lingua -, oggi continuano

a usare il nostro idioma solamente gli anziani,

mentre i giovani lo parlano e lo studiano

sempre meno, attratti, per motivi contingenti

e vari, dalla lingua inglese.

Quasi tutti i Paesi che si affacciano sul Me-

diterraneo hanno avuto, in passato, massiccia

penetrazione delle nostre trasmissioni televi-

sive, che, assieme alle scuole, rappresentava-

no i mezzi più efficaci a veicolare e radicare

la nostra lingua.

L’Italiano continua ad essere studiato nel

mondo (4° posto) perché il nostro Paese de-

tiene, secondo l’Unesco, il 70% delle opere

d’arte e della cultura. Perciò, coloro che sono

attratti - e, per fortuna, il numero è sempre in

aumento - dall’arte, dalla musica, dalla cuci-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 4

na, dalla poesia eccetera, hanno interesse a

studiare e a parlare la nostra lingua; ma anche

costoro sono in calo - in aperta contraddizio-

ne a quanto appena affermato - e solo perché

trovano meno strutture a ciò preposte nei loro

rispettivi Paesi, costretti, quindi, a servirsi di

surrogati, come l’apprendimento e lo studio

di ciò che loro interessa attraverso le tradu-

zioni e l’inglese.

Atteggiamento assolutamente negativo alla

diffusione della nostra lingua è quello delle

nostre Istituzioni, presidenti della Repubblica

e del Consiglio dei Ministri in testa, i quali,

non solo in occasione delle loro visite all’

Estero o della partecipazione a Congressi in-

ternazionali, ma addirittura in patria, hanno la

cattiva abitudine di scimmiottare spesso un

cattivo inglese, quando dovrebbero parlare

solo un corretto italiano, così come ogni capo

di stato o di governo degli altri Paesi fa con il

proprio idioma. Tutti, insomma, sono fieri e

orgogliosi di parlare la propria lingua per raf-

forzarla, cioè, per mantenerla ed accrescerla

tra i Paesi con i quali hanno o hanno avuto

rapporti politici, economici e culturali; noi,

invece, a tutto ciò non badiamo.

Occorre affrontare con decisione il tema

della diffusione della nostra lingua nel mon-

do, aiutando tutti coloro che desiderano ap-

prenderla, rafforzando legami già esistenti e

creandone altri, custodendo come tesoro il

nostro linguaggio e assecondando tutti coloro

che già con noi questo tesoro condividono.

Alla perdita del primo treno ha concorso in

modo determinante anche la Chiesa, con l’

esclusione del latino dalle sue funzioni reli-

giose (abbandonando, per giunta, anche i can-

ti gregoriani, che infondevano pathos e miste-

ro ai diversi riti, suggestioni che, nella fede,

hanno non poca importanza).

Se noi fossimo un vero popolo - e Nazione

vera, per dirla col Manzoni: “una d’arme, di

lingua, d’altare,/di memorie, di sangue e di

cor” - , se avessimo un po’ di orgoglio (sì, ne

basterebbe solo un poco), specie se l’avessero

coloro che ci governano - che dovrebbero

darne l’esempio -, il secondo treno non sa-

rebbe del tutto perso. La nostra bella lingua

potrebbe avere ancora un futuro, avanzare più

delle altre nel parlato e nello studio, trascinata

e agevolata specialmente dal fattore arte-

cultura, che finora ha reso l’Italia il Paese più

ricco e più bello del mondo.

C’è speranza che ciò avvenga? Ne dubitia-

mo. Negli anni sessanta e settanta del secolo

scorso, una Sinistra insensata e una Demo-

crazia Cristiana ipocrita e corrotta hanno

asfaltato il nostro orgoglio di nazione e di pa-

tria, sicché, come scriveva, profetizzando, il

De Sanctis, “il nostro ideale [ma leggete or-

goglio] non è serio, è velleità, non è volontà,

e lo trovi solo sulla facciata delle scuole”. Ne

dubitiamo, perché, purtroppo, oggi, esso è

sparito pure da quelle facciate.

L’intero mondo dell’istruzione è drammati-

camente disastrato, dagli ambienti, dalle strut-

ture in muratura, al personale amministrativo

e docente. Viva ancora in noi è l’impressione

- prima ilarità e divertimento, poi tristezza e

depressione - suscitataci in gioventù (1959)

dalla lettura di Scuola sotto zero di Luigi

Volpicelli. Quella realtà in qualche modo è

peggiorata. Abbiamo avuto occasione di co-

noscere e praticare docenti universitari digiu-

ni non di sintassi, ma di grammatica spiccio-

la. “Italiani, imparate l’italiano! L’invito del

neoministro della Pubblica Istruzione Tullio

De Mauro - scriveva Claudio Quarantotto sul

quotidiano Il Tempo del 12 settembre 2000 -

non può che essere accolto con favore, oltre

che con apprensione. Perché a quasi cento-

cinquant’anni dall’Unità d’Italia, siamo an-

cora a questo punto: che molti italiani non

conoscono la loro lingua, o la conoscono ma-

le e la scrivono peggio. E non parliamo sol-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 5

tanto degli analfabeti o degli analfabeti di ri-

torno, ma anche di tanti troppi universitari

che commettono errori di grammatica e di

sintassi”.

De Mauro - che, da rappresentanti sindacali

della UIL, abbiamo conosciuto personalmen-

te, allorché ricopriva la carica di Assessore al-

la Cultura della Regione Lazio - è stato uno

dei pochi che si è battuto a favore della lingua

italiana. Ma ebbe la disgrazia di venire dopo

Luigi Berlinguer... Ci vorrebbe un colpo di

reni simultaneo di ognuno di noi a tutti i livel-

li nell’intero paese per mutare la situazione, ci

vorrebbe un miracolo. Noi crediamo ai mira-

coli, ma non ad uno di questo genere.

Pomezia, 8 ottobre 2015.

Domenico Defelice Immagini - Pag. 1: lo scrittore e poeta calabrese

Rocco Cambareri (Gerocarne 1938 - Vibo Va-

lentia 2013), che per anni ha insegnato anche all’Estero, tramite il Ministero degli Esteri e il

Consolato, a Madrid e a Santiago del Cile; Pag. 3:

Luigi Volpicelli (Siena 1900 - Roma 1983) e il suo volume Scuola sotto zero; Pag. 4: Tullio De

Mauro (Torre Annunziata 1932), linguista e pro-

fessore universitario, è stato Ministro della Pub-blica Istruzione nel Governo Amato, dal 25 aprile

2000 all’11 giugno 2001.

SETA SU SETA

E’ d’argento

il filo che tessono i bachi.

Leggiadra stoffa sarà

ad imprigionare

delle tue forme il bello.

Tintinnii di campanule

culla il mistral.

Porte scrostate d’azzurro

sulle facciate.

Voci e sussulti

nel villaggio dei pescatori.

Tra l’essenziale sei il ridondante,

il tuo profumo attira i sospiri

nello splendore del sole ormai alto.

Pigra e gattona,

sulle lenzuola

arruffate da battaglie notturne.

Ti rinfreschi alla fonte,

mentre il tuo seno si porge allo sguardo…

Di voluttuoso desio

del viandante.

Colombo Conti Albano Laziale

NON SARÒ NOCCHIERO

No, non avere paura:

non sono nei segreti

silenziosi progetti di mani

che qualsiasi marmo invidia.

Figurati se potessi vantare

una così celeste ambizione

e di essere il Virgilio

a condurti per mano

sulla via che porta

al prato di stelle,

dove la Luna vedendoti

di essa vestire

impazzirà alla visione del candore

della tua pelle,

nuda.

Salvatore D’Ambrosio Caserta

LE FUMATE

Ascolto estasiata la voce del vento

ferma come roccia.

Odoro i rampicanti da un passaggio

strettissimo, tra le fragili architetture

annerite dal tempo.

Dai camini morbide fumate

risalgono e formano

sognanti foreste vaporose,

dal picco nascosto rispondono

i soavi canti di uccelli fantasmi.

Quel vento di settentrione

ci risveglia dallo stupore

che abita in questi brandelli di natura

e ci porta ancora una volta

a custodire l'immagine perfetta dell'universo.

Adriana Mondo

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 6

MEDIOEVO IN

VALLE D’AOSTA: VISITA AI CASTELLI

DI ISSOGNE E DI VERRÈS (Domenica, 6 settembre 2015)

di Marina Caracciolo

prima vista il castello di Issogne, che

già si scorge da lontano, tra le case

del paese, dopo aver passato il ponte

sulla Dora percorrendo la strada che viene da

Verrès, non si presenta agli occhi del visitato-

re come un edificio imponente. Ben diverso,

ad esempio, dal castello di Fénis, con le sue

maestose torri e i mastii merlati, o da quello

di Saint-Pierre, che pare una dimora di fate

appollaiata su una rupe, il maniero di Issogne

ha esteriormente un aspetto semplice e mode-

sto, quasi dimesso se non fosse per il tetto

sormontato dai fumaioli turriformi. I suoi te-

sori – che ne fanno forse il più bello e meglio

conservato fra i castelli della Valle d’Aosta –

sono tutti racchiusi all’interno: a iniziare dal

cortile, affrescato con colorate e vivaci scene

di vita medioevale, in cui si vedono anche,

qua e là, curiosissime iscrizioni a graffito; al

centro si ammira la famosa fontana del melo-

grano (copiata nel Borgo Medievale di Tori-

no) sormontata dal bellissimo albero in ferro

battuto che – come ci spiega la nostra guida,

il signor Massimo V. – ha frutti di melograno

ma foglie di quercia, per simboleggiare l’

unione di forza e di prosperità. Proseguendo

nella visita si scorgono stanze finemente ar-

redate: per prima la semplice ma elegante sa-

la da pranzo, adiacente alle cucine, corredata

di tutte le suppellettili, una sala senza camino,

ma riscaldata da una grande piastra metallica

che arroventandosi emanava calore. E si con-

tinua più oltre con la cappella gotica, ricca di

pregevoli affreschi; poi l’ampia e solenne sala

delle armi, con un incantevole soffitto a cas-

settoni; e infine si sale alle stanze da letto

(ognuna con la piccola camera attigua per riti-

rarsi in preghiera davanti alle scene sacre che

ornano le pareti), in cui si vedono cassapan-

che intarsiate e letti a baldacchino con pesanti

cortine e cuscini damascati. Tutto rivela una

signorilità semplice e solenne, testimoniando

nello stesso tempo il fasto di un’epoca di pa-

ce. Il castello, un tempo dimora del vescovo

di Aosta, passò in seguito ai signori di Chal-

lant finché, nel 1480, Giorgio di Challant lo

fece ricostruire – sulle fondamenta di un edi-

ficio più antico – conferendogli l’aspetto che

oggi noi vediamo. Alle soglie del Novecento

il direttore del Museo di Arte Antica di Tori-

no, Vittorio Avondo, lo acquistò, lo fece re-

staurare e per anni raccolse pazientemente il

mobilio che doveva ricreare nelle varie stanze

l’ambiente del secolo XV. Infine, nel 1907,

ne fece munifico dono allo Stato.

Tutte queste notizie, che hanno sensibil-

mente accresciuto l’interesse e il piacere della

visita, in una fresca ma soleggiata domenica

di settembre, le dobbiamo al suddetto signor

Massimo V. – persona di grande competenza

e pure di grande simpatia – che oltretutto non

è una guida qualsiasi, come siamo venuti a

sapere, essendo nientemeno che il castellano,

attuale signore del maniero di Sarriod de La

Tour!…

Il tempo per la visita era limitato: già un al-

tro gruppo di visitatori aspettava di entrare

davanti al portone d’ingresso. Forse per que-

sto nulla si è potuto raccontare a proposito del

fantasma che, secondo la leggenda, infesta il

castello di Issogne: una bella dama vestita di

bianco, che talvolta – dicono – è stata vista ag-

girarsi al suo interno reggendo fra le mani la

sua stessa testa… La dama era Bianca Maria,

nata ai primi del ’500, unica figlia di un facol-

A

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 7

toso mercante di Casale Monferrato, la quale,

rimasta vedova a poco più di vent’anni di

Ermes Visconti di Somma, sposò in seconde

nozze il conte Renato di Challant, con cui an-

dò ad abitare a Issogne. Ma il matrimonio fal-

lì. La giovane tornò a Casale, per poi trasfe-

rirsi a Milano. Qui si dice che conducesse una

vita dissoluta finché, accusata di aver fatto as-

sassinare uno dei suoi amanti, fu condannata

a morte e il 20 ottobre 1526 decapitata nel

Castello Sforzesco di Milano. La sua triste

vicenda ispirò una delle novelle di Matteo

Bandello e, secoli dopo, il dramma La signo-

ra di Challant (1891) di Giuseppe Giacosa.

Ritornando da Issogne a Verrès (i due co-

muni distano l’uno dall’altro non più di 10

minuti a piedi) si può raggiungere la fortezza

– che già a distanza si vede dominare l’ abita-

to dall’alto con la sua rude, maschia squadra-

tura – per due strade diverse: una lunga e

asfaltata che sale a tornanti verso il castello; l’

altra, assai ripida e faticosa, tutta ciottoli e

gradini, che punta più rapidamente alla meta

attraverso il bosco.

Notevolissimo il contrasto tra il castello di

Issogne e quello di Verrès: mentre il primo è,

come abbiamo visto, un’elegante residenza,

quest’ultimo è una possente costruzione qua-

drata (di 30 mt. di altezza e di lato) quasi sen-

za aperture. Fu costruito, sempre dagli Chal-

lant, circa un secolo prima di Issogne, tra il

1360 e il 1390, con evidenti scopi difensivi e

in modo tale che fosse praticamente inespu-

gnabile. Nella sua lunga storia passò anch’

esso di mano in mano e di generazione in ge-

nerazione a diversi padroni; fu anche per lun-

go tempo disabitato e abbandonato, finché

dopo accurati restauri, divenne proprietà dello

Stato. L’interno è quanto mai severo e disa-

dorno: vi si vede un ampio scalone, vaste sale

con camino, porte e finestre ogivali, stemmi e

iscrizioni. Per la sua posizione e per la perfe-

zione della sua struttura il castello di Verrès è

un autentico capolavoro di architettura e di

ingegneria militare, e può essere considerato

forse il più bel monumento della feudalità che

sia dato trovare in tutta la Valle d’Aosta.

Marina Caracciolo

ED IO MI RITROVO

Ed io mi ritrovo

ad abbracciare il giorno

quando ognuno ancora

lì crea il proprio spazio

con gesti o con parole

o con il proprio sguardo

con tutti i suoi pensieri

del momento o di ieri.

Ed io mi ritrovo

ad odorar la notte

quando nessuno più

la può lì limitare

coi gesti o con le voci

oppure coi pensieri

anche se mai pensati

in ogni dove o qui.

Ed io mi ritrovo

a percepir la vita

in questa infinità

che appare infinita

senz'addurre un gesto

senza portare un suono

né il minimo pensiero

di tutto o di niente.

Ed io mi ritrovo

in questo mio giocare

col giorno e con la notte

ed ogni percezione

sapendo del mio Essere

anche oltre il mio creare

sapendo del mio Essere

per sempre ed infinito.

Ed io mi ritrovo

nell' essere me stesso

semplice amor potente

con tutta l'umanità

Scientology mi aiuta già.

Michele Di Candia

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 8

CON IL GRECISTA

ANGELO TONELLI, PER INDAGARE ASPETTI

ANCESTRALI DELLA

TRAGEDIA COME RITO di Ilia Pedrina

O subìto il fascino del volume

‘ESCHILO SOFOCLE EURIPIDE -

TUTTE LE TRAGEDIE, con testo

greco a fronte, a cura di Angelo Tonelli, per i

tipi della Bompiani, pubblicato nel 2011: la

Collana è certo prestigiosa, è quella diretta

dal prof. Giovanni Reale ‘IL PENSIERO

OCCIDENTALE’, ma a me non basta averlo

avuto tra le mani. L’incontro con Angelo To-

nelli è avvenuto a Lerici il 13 Giugno 2011,

presso il Golfo degli dei e dei poeti, vicino al

Castello che lo domina, al momento del tra-

monto ed io avevo in mano proprio il librone,

un condensato di ricerca, di professionalità

concreta, di esplorazione, di avventura nelle

due diverse lingue, il greco e l’italiano, ad al-

to contenuto poetico. Colgo l'occasione per

ringraziare i giovani adolescenti Nausicaa

Tecchio e Leonardo Bordin, che mi hanno

aiutato a sbobinare l'intero lavoro e a metterlo

in stampa.

I.P. Partiamo dalla Dea. Partiamo da lei,

dalla dedica 'A Madame Diane Oddbeck

Coty. Astro della mia giovinezza’. A.T. Partiamo da un punto cruciale! Diana

era una figura di donna effettiva, sicuramente

dotata di qualità particolari: insieme a Gior-

gio Colli mi vien da dire che era stata un

punto di riferimento iniziatico spirituale sa-

pienziale, perché Colli era l’aspetto maschile

di questa dimensione, collegato con il logos,

invece Diana era proprio l’aspetto legato all’

anima in termini yunghiani, quindi una figura

un po’ ai confini della realtà o come si può

dire della maga bianca che ha profondamente

segnato, come ho detto, la mia formazione

spirituale e anche sentimentale, la dedica è

principalmente proprio per questa figura di

donna al confine tra la sfera umana e quella

magica/divina in questo senso.

I.P. Ecco: da Eschilo a Euripide la figura

della donna, per una società patrilineare in

una evoluzione della rappresentazione ap-

punto per i politei, per i cittadini di quella

polis.

A.T. Parlando di Eschilo per forza viene in

mente l’Orestea e quindi si va a toccare il

femminile nella sua dimensione anche ctonia,

le Erinni nella loro metamorfosi in Eumenidi,

però accanto ad esse ci sono tutte le costella-

zioni, come dire solari del femminile: Atena,

per esempio. In questo senso Eschilo va a

toccare proprio il conflitto e anche poi l’ inte-

grazione tra il maschile e il femminile nell’

Orestea: lì c’è la potenza immaginifica, gran-

diosa di queste figure ctonie che sono le

Erinni anguicrinite che tutelano questo diritto

del sangue, del ghenos regale di appartenenza

e questa legge non scritta ma potente e che

comunque nel corso poi dell’opera giungono

alla metamorfosi come le Euminidi, le Propi-

zie, e io l’ho letta proprio come un grande

esercizio che va a toccare il profondo, quindi

a livello subliminale della polis, la possibilità

di una conversione della violenza in questo

caso legata alla sfera femminile. Certo è che

la tensione tra i sessi, presente e forte nell’

Orestea, c’è comunque e rimane un contribu-

to irrisolto all’aspetto e alla potenza del fem-

minile che è poi Clitemnestra, questa sua ri-

vendicazione di essere la portatrice dell’

Aster, del demone vendicatore che rimane

una figura, comunque una sorta di perturban-

te nell’ambito di questa riconciliazione che

evidentemente è una riconciliazione difficile,

H

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 9

visto il carattere patrilineare nella polis greca.

Però c’è, in ogni caso, a livello simbolico, la

grandezza, l’alchimia di Eschilo che è quella

di avere trasformato la dimensione della vio-

lenza in una violenza giusta per la legge del

sangue, se c’è una violenza giusta, e di averla

trasformata, attraverso un processo di logos, o

meglio di parola e di confronto, con l’ arbitra-

to di una figura come Atena.

I.P. E per Sofocle abbiamo una evoluzione

da questo livello di Dike contro Dike risolti

in una gestibilità dell’incontro sociale: in

Sofocle arriviamo ad una figura femminile,

Antigone, che porta su di sé il ‘nomos’, la

legge, vuole gestire il nomos divino rispetto

ad un nomos, quello di Creonte, che nella

legge della città vuole impedire il rapporto

con la regola ed il tributo al principio sa-

cro. E’ come se ci si fosse riappropriati di

un interrogativo portandone avanti le va-

lenze problematiche.

A.T. Si. Antigone è libera da tutte queste

connotazioni ctonie così possenti e meravi-

gliose che ci sono in Eschilo e riesce a diven-

tare paradigmatica a livello civico con questo

gesto di ribellione in nome delle ‘agrapha

dogmata’, di leggi non scritte, perché l’effetto

nella lettura ed ancor più nella messa in scena

dell’Antigone è di assoluta partecipazione da

parte dello spettatore al gesto di Antigone e

quindi lei diventa portatrice di un nuovo no-

mos che entra in conflitto con quello patrili-

neare vigente.

I.P. Per arrivare poi ad Euripide, pren-

diamo dentro Medea ed anche l’ innamo-

rata di Ippolito: Medea per una femminili-

tà lacerata e per una giustizia di sangue

contro il ghenos che ti ha violata e violenta-

ta; l’innamorata di Ippolito per un con-

fronto con una verginità efebica che ti

sfugge, rispetto al desiderio che ti doma: il

femminile domato dal desiderio, una volta

imprigionato nel bisogno dell’EROS ma-

scolino, oltraggia, si fa oltre e agisce con-

tro, nell’azione-intenzione di violare la

verginità del giovane che solo arde per la

dea Artemide. Il femminile in Euripide

cambia e diventa trasgressivo.

A.T. Si, decisamente. Con Medea è evidente:

Medea l’ho interpretata come un dramma del-

la irriducibilità a qualunque schema e a qua-

lunque cambiamento, in un personaggio che è

numinoso, essendo lei una semidea, una ma-

ga ed in questa esibizione di potenza di un

femminile che non tollera ad un certo punto l’

oltraggio.

I.P. Praticandolo?

A.T. Sì, esatto: lei si erge poi in una potenza

demoniaca e quindi lascia senza parole, alla

fine, questo trionfo della dea, Medea, portata

su nel carro del Sole e qui siamo veramente

di fronte ad una epifania di un femminile po-

tentissimo, trasgressivo ed irriducibile. Le

Baccanti: questo è l’altro aspetto potente in

Euripide, qui c’è proprio di nuovo un femmi-

nile collettivo: nella cronologia delle sue ope-

re, le Baccanti si colloca alla fine ed il fem-

minile è collettivo, c’è il ‘tiasos’, il gruppo

delle donne riunite, sono sciamane tra l’altro,

sciamane di Dioniso che diventano le porta-

trici del sovvertimento dell’intera polis per ef-

fetto del dio più femminile tra gli dei maschi,

che è Dioniso, secondo connotazioni ambiva-

lenti. Le Baccanti sono una culminazione di

questo femminile che va ad urtarsi contro le

leggi vigenti, contro chi rifiuta la presenza di

Dioniso nel culto della città. Nell’Ippolito c’è

lo stesso fenomeno, in questo caso di una ri-

volta distruttiva rispetto alla negazione di una

possibilità di realizzazione del desiderio.

I.P. Soffermiamoci ora sul Coro: portando

l’attenzione sulla modificazione che può

assumere il Coro in questi tre grandi Au-

tori tragici e studiando la sua funzione all’

interno del dramma, è possibile parlare di

evoluzione della consapevolezza attraverso

il Coro, oppure esso rimane sempre, come

dici tu, l’ ‘occhio interno’ all’evento?

A.T. Io tendo a mantenere le specificità di

ognuno, quindi a vedere ogni Autore di per

sé, compiutamente. Certo vale questa dimen-

sione del Coro come ‘occhio interno’ per tut-

ti, poi ci sono momenti in cui il coro è più o

meno partecipe, entra nell’azione, si fa giudi-

ce severo, ha mille forme di relazione con i

protagonisti, però da un punto di vista struttu-

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rale è e rimane questo ‘occhio interno’, que-

sto sguardo sulla vita all’interno della vita

stessa, a sua volta vista, contemplata dal

theomenos, dallo spettatore che è un MI-

RANS, come tendo a dire, non è uno SPEC-

TATOR, ma uno che guarda a bocca aperta,

con partecipazione, non uno che ti fa l’ ento-

mologia, con lo sguardo asettico e critico

sull’evento: lo spettatore è coinvolto comple-

tamente nell’evento e contemporaneamente

ne è distaccato, un po’ come il Coro all’ in-

terno della tragedia. Poi ci sono invece i Cori

altamente attivi e partecipi, le Baccanti stesse

ne sono un esempio, sono distaccate ma in

azione.

I.P. Dal Coro al Messaggero: ogni lavoro

ha il suo portavoce: questo riferire i fatti,

questo ‘farsi notizia’, questo farsi elemento

di una quotidianità che può essere dall’

“appena superato” ad un passato ‘medio’.

Che funzione affida ciascuno dei tre tecni-

camente al Messaggero? Perché all’interno

di ciascuna tragedia c’è un ruolo tecnico

che gli appartiene come funzione scenica?

E’ un reporter? Un annunciatore? Un

‘nunzio’? E’ colui che deve solo riferire i

fatti senza interpretarli, lasciando quindi

al Coro questo ‘dialeghein’, questo rappor-

to che non è di movimento ma di segnala-

zione, di parole, eventi narrati attraverso il

riferimento che se ne dà di essi? C’è diffe-

renza in questo fra i tre?

A.T. Su questo io non mi sono soffermato.

Nel mio lavoro ho inteso evitare di porgere

uno sguardo critico, quindi in qualche modo

‘esterno’, di meta-posizione, su tutto il mate-

riale, appunto per riuscire a cogliere l’oggetto

nella sua interezza, fare io stesso da ‘messag-

gero’ e da ‘coro’ rimanendo all’interno: ho

evitato il lavoro critico privilegiando il lavoro

pratico, ho dato loro voce senza vedere l’

aspetto sinottico, la sintesi ed ho evitato così

certi ‘topoi’ dello sguardo critico sulla trage-

dia greca. L’unica cosa che mi pare interes-

sante del Messaggero è questa: di solito sosti-

tuisce la violenza agita, viene a raccontare la

violenza e non la sciorina direttamente come

gesto, ma la comunica come parola e questo

mi sembra un lavoro molto interessante lega-

to alla violenza, alla catarsi che comunque ha

un contenitore sacro, la violenza che è il

dramma come luogo di celebrazione di Dio-

niso e anche delle forme di trasposizione che

evitano la ‘coltivazione’ della medesima, il

suo aspetto-effetto di ‘contagio’, l’esatto con-

trario di quanto sta succedendo oggi sui

mass-media, dove c’è una educazione fortis-

sima alla violenza.

I.P. E questo connota anche la nostra lon-

tananza dalla consapevolezza, da questo

‘Pathei Mathos’, dalla conoscenza attra-

verso il ‘pathos’.

A.T. Questa è la sapienza perfetta della trage-

dia: 'Pathei Mathos', patendo conoscere, co-

noscere nel senso di una conoscenza che è

consapevolezza e questa la trovo veramente il

marchio iniziatico di tutta la tragedia greca,

cioè è una via di conoscenza, non è l’ eserci-

zio di divertimento, di passa-tempo alternati-

vo , è proprio una via di sapienza: avere l’ oc-

casione di cogliere la vita nella sua violenza,

anche nella sua forza squassante, ma non ri-

manere lì, questo sarebbe un Dioniso a metà,

sarebbe un Dioniso di Nietzsche, un Dioniso

semplicemente così, un po’ scatenato, ma ab-

biamo anche il Dioniso dello specchio, il

Dioniso Orfeodionisiaco, che è la consapevo-

lezza, quindi ci sono tutti e due gli aspetti di

Dioniso, l’energia, la vita e la morte mescola-

ti e contemporaneamente la contemplazione,

il 'Pathei Mathos'. Questo è il Dioniso della

trance delle Baccanti e dello specchio, della

contemplazione, che sono suoi attributi, quelli

dei misteri, tanto che mi viene in mente che

in una delle danze dionisiache dell’ Italia me-

ridionale, la Taranta, ci sono dei passi in cui

la tarantata danza guardandosi nello specchio.

I.P. Questa è una tradizione profonda.

Profonda è allora la trasformazione attra-

verso la danza di un “te” che è pubblico e

contemporaneamente attraverso la danza

diventa privato, diventa evoluzione, meta-

morfosi e questo è grandioso perché man-

tiene nel tempo il bisogno di farsi possede-

re da forze superiore a te.

A. T. Esatto, comunque dicevo per tornare

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all’idea del messaggero e del coro, nell’ in-

sieme ho l’impressione che facciano parte di

questa dimensione dell’aspetto apollineo di

Dioniso, per intenderci, prendendo l’ermeneia

di Giorgio Colli, Dioniso ha aspetti apollinei

e Apollo ha aspetti dionisiaci.

I.P. Visto che abbiamo parlato di Colli,

Giorgio Colli chi era per te?

A.T. Colli era un grande portatore nei tempi

moderni di questa sapienza, che ha colto nel

mondo greco, principalmente. Poi soprattutto

l’ultimo Colli, quello che ho conosciuto io,

era quello che stava facendo l’edizione dei

presocratici, dei sapienti dell’età greca, e

quindi era un portatore di questo mondo. Per

questa capacità di comunicazione era un vero

maestro ed è stato appunto ciò che mi ha fatto

avvicinare a questa ricerca, che poi ha conti-

nuato, sempre tenendo fermi certi punti che

Colli ha indicato, e muovendoli per lidi anche

un po’ diversi, comunque è stato veramente

un iniziatore.

I. P. A fianco del ‘Pathei Mathos’, nel con-

testo delle tragedie greche è presente anche

il 'Dran', la decisione che taglia con tutte le

altre scelte possibili. Vediamo questo

aspetto.

A.T. Ecco, il 'Dran': io ho lasciato volutamen-

te sotto tono l’aspetto del 'Dran' perché un po’

c’era questa paraetimologia interessante di

Nietzsche che interpretava 'Drama' dall’ eti-

mologia falsa di 'Dran', inteso come “accade-

re”; è una paraetimologia, però ha il vantag-

gio di cogliere il fatto che il teatro greco non

è luogo di spiccata individualità ma è un rito

e quindi va colto nel suo insieme: ci sono sì

delle figure interamente ‘protagoniste’, ma

non bisogna dimenticare che avevano la ma-

schera quindi l’effetto doveva essere una sor-

ta di ‘Teatro del NO’. Se ci si fida solo dello

scritto che ci è rimasto, si rischia di psicolo-

gizzare la trama, di affidarci tutto quello che

non c’era. Nel 'Theatron' c’era quindi un

grande evento e lì i personaggi ‘accadono’

all’interno di un ‘accadere’. Invece chiara-

mente c’è tutta una scuola di lettura del ‘Ti

Draso?’ del ‘Che cosa farò’?’ in cui si pone la

questione dell’'Airesis', della scelta dell’

azione. Mi ricordo una vecchia lezione di De

Benedetto negli anni ’70, in cui egli sostene-

va che nell’ambito del teatro greco la scelta

effettiva dell’individuo non c’è, in realtà an-

che ciò che ci sembra scegliere è frutto di una

‘ANANKE’, di una processualità di cui si è

parte, di un’azione nel rapporto di cause ed

effetti che prende il nome di ANANKE, di

questa concatenazione rigida. C’è una testi-

monianza interessante sui misteri eleusini che

ho usata nell’ultimo spettacolo che ho fatto su

Edipo Re che parla proprio di questo, di un

passaggio di ‘KATABASIS’, di discesa nelle

tenebre e di risalita alla luce, di ‘ANABA-

SIS’. Si tratta della testimonianza di un Padre

della Chiesa sui Misteri Eleusini: ‘...anzitutto

i tremori, i sudori, gli sbigottimenti’, quindi

un percorso vertiginante e poi però subito do-

po c’è la visione della luce. La funzione di

‘KATABASIS-ANABASIS’ è vistosamente

presente in Edipo Re e in Edipo a Colono:

viene portato tra gli dei dopo aver conosciuto

se stesso ed io per questo, nella mia messa in

scena, ho fatto Edipo re cieco prima, cioè

quando ancora non sa di aver fatto quel che

ha fatto e poi gli ho fatto togliere le bende, in

realtà si acceca però ‘CONOSCE’. Qui Edipo

Re è l’esempio perfetto di ‘KATABASIS-

ANABASIS’, come percorso perché prima

scende nell’abisso, l’Edipo Re, e poi nell’

Edipo a Colono, che viene concepito come

collegato, viene chiamato tra gli dei ed è egli

stesso che comunica i misteri, credo siano

quelli eleusini al re di Atene, a Teseo, che lo

sopporta e lo sostiene. Ma è evidente ancora

ed altrettanto nell’Orestea, nel percorso cata-

batico-anabatico di discesa nel sangue, nella

violenza e poi nella metamorfosi, in questo

caso delle divinità femminili da ctonie a sola-

ri e protettrici, in una conciliazione comun-

que non violenta del conflitto, attraverso il di-

scorso, con una venatura patrilineare vistosa,

segnalata da Atena che è la più mascolina tra

le dee.

I.P. ‘THEORIA- THEOMAI’: il ‘vedere’,

da parte dello spettatore, da parte dell’ at-

tore, da parte di chi è figura su uno sfondo:

la struttura scenica quanto gioca sul ‘vede-

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re’?

A.T. Credo che sia l’essenza, la struttura stes-

sa del THEATRON, l’organizzazione mede-

sima dell’azione, il fatto che ci sia un luogo in

cui si va per ‘vedere’ e si vede un accadimen-

to fatto di corpi in azione, di parola, non è so-

lo una struttura ma è un pezzo di vita che si

ha occasione di vedere con emozioni, con una

forma di empatia ecc…La struttura stessa del

THEATRON, la struttura dello spazio, dico,

secondo me è sapienziale di per sé, cioè qua-

lunque cosa venga portata lì dentro è un gesto

conoscitivo perché è chi ha occhi, chiaramente

per intendere che porta alla possibilità di di-

staccarsi senza rimuovere dal fondo anche vio-

lento comunque perturbante dell’ esistenza:

questa è la grandezza del THEATRON proprio

nella sua architettura, quindi qualunque, anche

la più sciocca delle tragedie euripidee, ammes-

so che ce ne siano di sciocche è comunque

troppo per la struttura stessa del THEATRON,

un grande gesto conoscitivo, perché è come se

ci dicesse: 'guarda la vita!', e questo guardare

significa contemporaneamente sottrarsi alla

sua morsa istintuale, alla sua morsa pulsiona-

le, avvinghiante, quindi portare alla consape-

volezza, al 'Pathei Mathos'.

I.P. Qui c’è la possibilità di un apprendi-

mento che è profondissimo e che necessita

a ciascuno di entrare in un’evoluzione che

deve essere collettiva perché il singolo atto-

re senza spettatore non ha carattere per-

ché non viene visto dall’esterno ed attra-

verso lo spettatore lo spazio si fa sfonda-

mento, si fa quell’infinito verso il quale tu

devi tendere! Ma perché Aristotele era

contro questo tipo di funzione del teatro e

anche addirittura al ruolo del flauto all’ in-

terno del discorso recitativo, era proprio

contro la musica ditirambica, contro l’ uti-

lizzo del flauto come elemento di didattica?

Perché?

A.T. Penso che sia una sua difesa in un logos

tutto mentale. Aristotele era uno che cono-

sceva tutti i misteri Eleusini, è uno che forse è

stato anche iniziato, ci riporta testimonianze

che ci fanno capire che lui ad Eleusi c’è stato,

quando definisce l’iniziazione come il prova-

re un’emozione, essere in un certo stato,

quindi sa che la conoscenza iniziatica è un

modo di essere, non un modo di pensare, però

poi lui ha creato la conoscenza come modo di

pensare e non come modo di essere, che è

proprio il distacco tra 'sofia' e 'filo-sofia'. Il fi-

losofo è uno che ha un modo di pensare più o

meno corretto, più o meno evoluto, più o me-

no articolato, invece il sapiente è colui che si

pone come conoscenza, è uno stato di co-

scienza la sapienza, invece la filosofia è un

contenuto di pensiero e la differenza come ri-

ferimento è fra il meditante orientale e il filo-

sofo. Empedocle incarnava il sapiente, nel

senso che portava in sé, come Eraclito, co-

scienza di sapienza, qui siamo in una sfera

tutta diversa rispetto a quella aristotelica. La

filosofia poi si formerà sul logos, sui proce-

dimenti tutti dialettici, su questi anancasmi

psichici ed invece la sapienza è il modo di es-

sere del liberato, del contemplante che è mol-

to simile, almeno nella mia interpretazione

del mondo greco, alla sapienza d’Oriente.

I.P. Allora la filosofia allontanerebbe da

questa capacità della consapevolezza di

farsi trasformazione del soggetto.

A.T. Infatti! Nella mia personale visione, pa-

radossalmente è più sapiente il più stupido

degli spettatori della tragedia che non Aristo-

tele, il loghikòs, perché lo spettatore della

tragedia può sperimentare uno stato di co-

scienza, un modo di essere contemplativo ri-

spetto al ‘Patei Mathos’, mentre Aristotele fa

una grandissima arrampicata nel logos, che

poi funzionerà da ‘thèkne’, quel logos che poi

ha privato la tecnica di uno sguardo sulla tec-

nica che potesse liberarla dai rischi che si

stanno correndo.

I.P. Qui si andrebbe a toccare la capacità

degli scienziati di avere uno sguardo ‘mo-

rale’ sulla ricerca che stanno facendo,

prima ancora che questa venga messa in

atto, forse così non ci sarebbe stato Hiro-

shima…

A.T. Un’altra cosa interessante che Colli ci

diceva a lezione è che i Greci avevano sospe-

so la ricerca tecnologica ad un certo punto

perché avevano questa grandissima salva-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 13

guardia che erano i due concetti di ‘hybris’ e

di ‘phtonon’, la tracotanza e l’invidia degli

dei, che erano comunque una sorta di garan-

zia che oltre una certa soglia non si corre il ri-

schio di andare. Ora io non sono un talebano

dell’anti-tecnologia, però è evidente che uno

sguardo sapienziale, cioè contemplativo e

compassionevole, su tutto ciò che si fa ci sal-

vaguarderebbe da certi rischi.

I.P. La ‘hybris’ e il ‘brotòn’, la tracotanza

e l’essere umano mortale, sono due termini

che hanno la forza di una chiave di volta

della stesura dei testi tragici.

A.T. La ‘hybris’, la tracotanza, l’arroganza è

trattata bene nei Persiani di Eschilo: è legata

alla thèkne, al fatto che Dario abbia voluto

andare contro natura, abbia voluto creare un

ponte sull’Ellesponto per invadere la Grecia

ed è stato punito. Il messaggio è chiaro: non

bisogna andare oltre i limiti della natura al-

trimenti ci si deve fare carico delle conse-

guenze.

I.P. Ma questa natura umana ha in sé la

tracotanza? E’ una dote negativa? E’ pro-

pria di tutti i ‘brotòi’ di tutti gli esseri

umani mortali e quindi la funzione che ha

il teatro è quella di abbassare il tono

dell’arroganza sostituendolo con la consa-

pevolezza?

A.T. Certo, essa è legata alla sfera della vo-

lontà di potenza ed è alla base anche del tra-

gico: nell’Antigone per esempio c’è lo scon-

tro tra Creonte e Antigone sotto forma di po-

tenza da esibire, riporta sempre alla distruzio-

ne di uno dei due termini ed è comunque an-

che la legge dell’esistenza secondo Anassi-

mandro. C’è quel frammento bellissimo che

dice: “Le cose dalle quali è nascimento alle

cose che sono, sono anche quelle dalle quali

si sviluppa la rovina secondo il decreto del

Tempo”. E infatti le cose si legano l’una all’

altra in questa distruzione, per la legge che

vuole che ritornino all’unità originaria dalla

quale sono sorte ed allora il conflitto è questo

modo per tornare al momento che precede il

principio di individuazione, al quale poi si

collega, come estremo, alla ‘hybris’.

L’incantamento continua, a lungo, e molto

troverò ancora da dire con lui, interrogandolo

con qualche sosta, per lasciarlo respirare. In

un futuro dilatato ed approssimante.

Ilia Pedrina

IL CANTO DEL TUO RESPIRO

Sento il canto del tuo respiro

che sommesso mi chiama.

Brividi caldi lungo la schiena,

avverto il tuo corpo.

Non ti lascerò sola

in questa landa di ghiaccio

che tormenta la mente.

Il tremore che senti

scomparirà con l’abbraccio.

Nervi sensibili

tesi come corde di violino

allenteranno la presa.

Sopraggiungerà la calma

poi la felicità

di sentirti mia

in questo dolce giaciglio.

Mai ti allontanerò…

Te lo prometto

come promisi l’amore

al mio primo sentimento.

Farai parte di me…

Ed io di te…

Fino a che il tramonto

risorgerà con l’alba.

Colombo Conti Albano Laziale

STRANE SENSAZIONI

L'ordito del giorno

dipingeva di verde la fredda mattina.

Le ombre velanti, le boschine secche

ordivano trame, fra cimase fitte,

dove ogni colore si spegneva.

Fra i picchi dei monti,

covavano fuochi e la luce sanguinava

nella radura, stregati flagelli

diffondevano una forsennata paura.

Sotto il grigio sipario del cielo.

Adriana Mondo

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 14

RODOLFO VETTORELLO:

LETTERA IN VERSI di Liliana Porro Andriuoli

ELLE Edizioni Helicon è apparso

nell’aprile del 2015 un libro dal titolo

LETTERA in VERSI dedicata a Ro-

dolfo Vettorello, a cura di Rosa Elisa Gian-

goia. Si tratta della pubblicazione in volume

del n. 51 (numero del Settembre 2014, dedi-

cato appunto al poeta Rodolfo Vettorello)

della rivista on-line “Lettera in Versi”.

Mi sembra importante prima di passare ad

analizzare questa pregevole pubblicazione,

dire due parole di presentazione di “Lettera in

Versi”, una newsletter di poesia che, pun-

tualmente, ogni tre mesi, presenta un poeta e

la sua opera. L’ultimo numero, il 55mo, dedi-

cato a Bruno Bartoletti di Sogliano al Rubi-

cone (Cesena-Forlì), è uscito proprio pochi

giorni fa; ed è per noi un piacere e un orgo-

glio aver dato un non piccolo contribuito a

divulgare e far conoscere le poesie di ben 55

poeti che, a parere nostro, possono “meritare

questo nome a pieno titolo”, come ben dice

Rosa Elisa Giangoia1.

La “LiV”, come affettuosamente viene

chiamata “Lettera in versi” in Redazione,

nacque a Genova, quindici anni fa, “tra alcuni

amici”, che gravitavano intorno allo splendi-

do salotto dei coniugi Giangoia-Tealdi, dove

da tempo si tenevano vari incontri per condi-

videre esperienze letterarie, in particolare “di

lettura e produzione di testi poetici”. E fu

proprio per “tenere memoria” di alcuni di

questi incontri (o forse meglio per poter “al-

largare a più persone possibili il piacere e il

senso del valore della parola poetica”2), che

fu varato, nell’ottobre del 2001, il primo nu-

mero di “Lettera in versi”, dedicato a Mar-

gherita Faustini, la poetessa genovese che, in-

sieme a Rosa Elisa Giangoia, ebbe la felice

1Editoriale, LETTERA in VERSI dedicata a Ro-

dolfo Vettorello, Edizioni Helicon, Arezzo 2015. 2 Dal Sito https://bombacarta.com/le-

attivita/lettera-in-versi/.

idea del progetto. Dal 2003, e precisamente

con il n. 6, dedicato ad un altro poeta genove-

se, l’ing. Aldo G.B. Rossi, iniziò anche la mia

collaborazione a questa coinvolgente iniziati-

va. Oggi, dopo la morte di Margherita, avve-

nuta nel gennaio 2009, siamo rimaste Rosa

Elisa (che la dirige) ed io a portare avanti, con

lo stesso entusiasmo di allora, la “LiV”, che

ottiene sempre nuovi consensi e la cui realiz-

zazione è per noi sempre più stimolante.

Lo schema della rivista è rimasto immutato:

suddivisa in cinque sezioni, inizia con un Edi-

toriale3, a firma della Direttrice, con il quale

si cerca di meglio collocare il poeta presenta-

to nel quadro più generale della nostra poesia

italiana. Seguono nell’ordine un Profilo Bio-

bibliografico, in cui, oltre a qualche cenno

sulla vita, viene esposta l’attività letteraria

svolta dal poeta sino a quel momento e l’ An-

tologia poetica, che contiene una nutrita scel-

ta di poesie operata, ovviamente sempre in

accordo con il poeta presentato, alternativa-

mente dalla Direttrice o da me, a seconda di

chi rediga quel particolare numero della rivi-

sta. Si conclude con un’Intervista, in cui il

poeta risponde ad alcune domande, pertinenti

per lo più alla sua opera, rivoltegli dalla re-

dattrice di turno e, con l’Antologia critica, in

cui viene riportata una serie di giudizi espres-

si dai critici che si sono occupati dell’opera

del poeta in questione.

In diversi numeri è stata inserita anche una

recensione, talora già edita, a uno dei libri più

recenti del poeta presentato.

Dal 2007 “Lettera in Versi” può vantarsi di

essere una delle attività di Bombacarta e si

trova sul Sito: https://bombacarta.com/le-

attivita/lettera-in-versi/.

Ma veniamo al n. 51 di “Lettera in versi”,

quello dedicato a Rodolfo Vettorello che, con

l’elegante volumetto di cui stiamo per parlare,

ha avuto l’onore della stampa.

Inizia ovviamente con l’Editoriale, in cui

3 Una parte degli editoriali è già uscita nel volu-

me: Rosa Elisa Giangoia, Appunti di poesia – Vademecum per chi la ama (Fara Editore, Rimini,

2011, € 11,00).

N

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 15

Rosa Elisa Giangoia, dopo una riflessione

sull’enorme quantità di poesia che si scrive ai

nostri giorni (moltissima parte della quale

circola in Rete), perviene alla conclusione che

tale fenomeno non fa altro che confermare la

necessità, avvertita specie dall’uomo moder-

no, di «evidenziare ed affermare la sua indi-

vidualità, soprattutto emotiva e sentimentale

… per privilegiare il proprio “io”, esprimerlo

e comunicarlo, in un’ansia di preservare il

“sé” dalla marea montante di “tutti gli altri”».

D’altra parte, leggiamo ancora poco oltre che,

proprio diffondendo la poesia, scopo primario

delle “Lettere in versi”, si aiutano i lettori «a

crescere nella loro consapevolezza di essere

uomini» e si indicano «dei percorsi per rea-

lizzare quella pienezza di umanità a cui cia-

scuno deve tendere».

Nel Profilo bio-bibliografico dopo alcune

succinte informazioni sulla vita e sulle opere

di Rodolfo Vettorello (nato a Castelbardo -

PD - e residente a Milano, dove, dopo la lau-

rea in Architettura, esercita la libera Profes-

sione), segue una sintesi della sua attività let-

teraria e dei riconoscimenti da lui ricevuti in

vari Premi. Completa il Profilo la riproduzio-

ne delle copertine delle sue 15 sillogi poeti-

che.

Un’ampia selezione dell’opera in versi di

Vettorello è offerta dall’Antologia poetica,

che permette di farci un’idea abbastanza

compiuta della sua poesia. Emergono infatti,

da tale scelta antologica, subito nette sia la

limpidità del dettato, di questo autore, im-

mediatamente comunicativo, sia l’assidua

presenza del metro da lui preferito, che è

essenzialmente l’endecasillabo. Emerge

inoltre dalla lettura di questa Antologia che

quella di Rodolfo Vettorello è una poesia di

diversa ispirazione, nascente da mille “occa-

sioni”, che possono essere date dall’ evoca-

zione di un poeta come Camillo Sbarbaro (p.

23), nel quale si identifica o da quella di un

poeta come Montale, del quale ricorda le Let-

tere a Clizia (p. 26) o ancora da quella di un

poeta come Giovanni Pascoli, di cui ricorda

la casa di Castelvecchio, da lui visitata (p.

28). Ma anche la natura è fonte assidua d’

ispirazione per il nostro poeta, come mostra-

no poesie quali Settembre, Crete senesi e La

conchiglia. Ciò che però maggiormente conta

in lui è la riflessione sulla contemplazione

del mondo esterno oppure sul ricordo di

un momento sereno di vita, colto con im-

mediatezza e verità, come: “Pedali avanti a

me, / piegata un poco, / come i fuscelli d’erba

/ dal vento fresco e teso. / Troppo dolce è non

dire una parola / ma sorriderti quando ti rigi-

ri” (Settembre, p. 29). Ed immediate sono in-

vero le sue notazioni, fermate in versi inci-

sivi e computi, quali: “La casa è come un ni-

do di pensieri” (“Non recidere forbice…”, p.

31); “Ma il tempo ormai mi ruba le parole”

(Come un miraggio, p. 37); “Un uomo è so-

lamente la sua storia” (La memoria che ci re-

sta, p. 56); ecc.

Talvolta più intensa si fa in lui la parola,

come avviene in Crete senesi: “Vorrei sve-

gliarmi / e che fosse ancora / col rumore dei

tram della mia strada…” (p. 35) o in Al fon-

do: “Io sono stato a margine da sempre, / la

vita ch’è passata / io l’ho vista passare sola-

mente” (p. 42). Per ciò che concerne la con-

templazione del mondo esterno, sempre su-

scitatrice di immagini e pensieri, cui sopra si

è fatto cenno, si veda ad esempio La lucerto-

la: “Mi piace restare abbagliato nel caldo / di

un raggio di sole su questa panchina / affac-

ciata sul bordo del fiume / di traffico come /

la mite lucertola viva sul sasso” (p. 40) o an-

che Quattro lucciole; “Porto Levante e le sue

case mute / sono la spiaggia dove muore il

fiume” (p. 41).

Talora è invece un soprassalto che coglie

Vettorello nel vento dei suoi pensieri: “Temo

la malattia, la sofferenza, / l’arrivo della sera,

/ la sete che fa male / e questo andare senza

meta” (Io temo, p. 46) o lo prende un moto

affettuoso dell’animo verso colei che ama:

“Le tue mani da stringere nel buio / e sentire

che sai molto di più / del poco che conosco

dell’amore” (Beatrice, p. 50). Talaltra a ra-

pirlo sono delle città come L’Aquila: “L’ ac-

qua che scorre dalle tue fontane / gorgoglia

come polla di sorgiva / e disseta la gola nell’

arsura” (p. 51) oppure l’assedia il pensiero

Page 16: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 16

della morte: “Io la corteggiavo da tempo / la

morte, così che se viene / non posso che dire:

aspettavo” (p. 61, L’amante spietata).

A sedurlo è poi talora anche la nostalgia di

un paese dell’anima: “… non so trovare un

senso / per questa voglia assurda di tornare”

(Itaca, p. 75); mentre lo spaventa il pensiero

del male che lo lega: “Il Male esiste, / io so-

no un testimone” (L’altra faccia della luna, p.

77). Sempre comunque dalle sue poesie

emerge netta la personalità di questo poe-

ta, con la sua cifra e la sua meraviglia di

fronte alle epifanie del Creato e con la sua

capacità di autoanalisi; ma soprattutto con

la sua capacità di espressione.

Quello che è il modo di concepire la poesia

di Vettorello emerge chiaramente dall’ Inter-

vista fattagli da Rosa Elisa Giangoia, durante

la quale afferma che per lui la prima regola

della poesia è quella della concisione: “La

ricchezza dell’aggettivazione [egli dice]

nuoce sicuramente alla poesia che trae

vantaggio invece dalla sintesi. È infatti luo-

go comune dire che la poesia è «l’arte del

togliere»”.

Necessario è inoltre per Vettorello che la

poesia abbia un suo ritmo, che nel suo caso

personale si traduce essenzialmente nel ritmo

endecasillabico, con tutta la varietà di accen-

tuazioni che questo verso contiene. Ed insiste

molto, il nostro poeta, sul fatto che la poesia

debba avere un ritmo ben preciso, anche

quando non è strutturata in endecasillabi,

ma in versi liberi, perché è proprio dal

ritmo che essa trae senso e valore. Così

come molto insiste sulle ragioni della sua

scelta metrica che poggiano essenzialmente

sull’armonia e sull’efficacia della resa espres-

siva. La poesia, secondo Vettorello la si rico-

nosce inoltre per la sua forza di sintesi e per

le sue immagini. Egli conclude dicendo che

ciò che meglio lo rappresenta è “la dinami-

ca dell’inquietudine” o meglio ancora, tout

court, “l’Inquietudine” stessa.

L’Antologia critica pone in rilievo molti

degli aspetti e delle caratteristiche della poe-

sia del nostro autore, fra i quali vorrei ricor-

dare: la tematica del quotidiano messa in

luce da Enzo d’Urbano e Paolo Ruffilli; il

“nitore descrittivo” segnalato da Fabio Ma-

ria Serpilli; “la pena esistenziale del vivere

quotidiano che accompagna la vita dell’

uomo moderno”, evidenziata da Leopoldo

Saraceni; “le modulazioni foniche” e “la

preziosità tonale lievemente di evocazione” lodate da Marina Pratici; “le scelte lessicali

pregnanti” ammirate da Anna Gertrude Pes-

sina; ed infine la definizione, da molti condi-

visa, di “una poesia che guarda più al sen-

timento che alla ragione”, fornitaci da Na-

zario Pardini; ecc.

Una poesia ricca di motivi e ben articolata,

dunque, quella di Rodolfo Vettorello, che

questo libro egregiamente evidenzia nella va-

rietà del suo nascere e del suo svilupparsi e fa

sì che il suo autore degnamente figuri nella

compagine dei poeti da noi presentati.

Liliana Porro Andriuoli RODOLFO VETTORELLO: LETTERA IN

VERSI - (Edizioni Helicon Arezzo, 2015, € 11,00)

BAMBINI LAVORATORI

I bambini lavorano

nel fango, nell’acqua stagnante

nella spazzatura, pulendo la città,

sono bambini lavoratori

o bambini soldati di una guerra

che non capiscono...

Anche le bambine lavorano

come netturbini

o nella prostituzione

o nell’orrore del matrimonio prematuro...

Fino a quando la morte

deve porre fine alla miseria della vita,

e l’essere umano andare a completare

il suo destino secondo la norma naturale

dell’umanità?

Le creature hanno il diritto di mangiare,

di crescere, di imparare

e di cercare l’allegria di vivere.

Teresinka Pereira USA, 19 settembre 2014, traduzione dalla spa-

gnolo di Tito Cauchi

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 17

LUIGI DE ROSA, UNA VITA

IN LETTERATURA di Corrado Pestelli

ER Luigi De Rosa si può ben parlare

di “una vita”, perché ha cominciato a

pubblicare poesie e prose nel 1952, a

circa 17 anni, su suggerimento del presiden-

te della sua Commissione di maturità classi-

ca, grazie a una rivista mensile de “La Scuo-

la Editrice” di Brescia.

De Rosa, figlio di genitori partenopei, ha

vissuto tra la Liguria, terra d'elezione dove

si è laureato, e altre Regioni del Nord Italia

(a Trieste, Alessandria, Torino e Bergamo è

stato Provveditore agli studi; quindi il ritor-

no a Genova come Sovrintendente scolasti-

co regionale per la Liguria).

Autore di vasta produzione e di ampio ri-

conoscimento critico, ha scritto liriche, rac-

conti, recensioni, saggi, articoli giornalistici

(iscritto a lungo all'Ordine, ha collaborato,

fra le altre testate, al “Il Gazzettino”, di Ve-

nezia e “Il Secolo XIX”, di Genova ). Ha

collaborato anche a molte riviste letterarie,

facendo parte, per alcune, del comitato di

redazione. E' stato, ed è, membro di Giuria

di Premi Letterari. Notevole il numero di

Premi, a sua volta, vinti come Autore. Basta

citare, negli ultimi anni, nella Sezione Poe-

sia, i Premi “Teramo” e “Crotone”, nel

2005, “Maestrale”- Sestri Levante 2006,

“Mario Soldati”, Torino 2006, “Montecassi-

no-Paidèia (2008), “Città di Pomezia-

Pomezia Notizie” (2010), “Terre di Liguria”

e “Portus Lunae” (2012), “I Murazzi-Torino

(2013). Tra i suoi libri di poesia, Risveglio

veneziano ed altri versi, con lettera autogra-

fa di Diego Valeri; Il volto di lei durante,

due edizioni, con prefazioni di Giorgio Bàr-

beri Squarotti, dell'Università di Torino, e di

Sandro Gros Pietro, Gènesi, Torino 1990 e

2005; Approdo in Liguria, con prefazione di

Maria Luisa Spaziani, ibidem 2006; Lo

specchio e la vita, con un saggio introdutti-

vo di Graziella Corsinovi, dell'Università di

Genova; Fuga del tempo, con prefazione di

Sandro Gros Pietro. Ha scritto anche libri di

storia e di saggistica, tra cui uno su Antonio

Angelone (Edizioni Accademia, Isernia) ed

uno sull'opera letteraria di Imperia Tognacci

(Giuseppe Laterza Editore, Bari).

Numerosi i suoi testi critici su Ungaretti,

Pascoli, Montale, Saba, Sbarbaro, Caproni,

Giovanni Giudici ed altri poeti e scrittori.

Motivi e paesaggi, temi, sentimenti, riso-

nanze ed atmosfere presenti nelle liriche di

Luigi De Rosa non rendono errato il concet-

to di una sua fondamentale appartenenza al-

la “scuola ligure”, ad una delle linee illustri

per eccellenza della poesia italiana del No-

vecento. Ma non per questo si tratta d'un

poeta epigono: tutt'altro. Forme e significati,

nei componimenti di De Rosa, nella sua ci-

fra creativa, sono, e si pongono, come riela-

borazione del tutto personale di sollecitazio-

ni liriche e di singola interpretazione del

reale e del vissuto, ma anche dell'esperienza

in atto di un'originale concezione di poetica.

D'altronde, la sua appartenenza, già notata

dalla critica, “ al versante ermetico dell'at-

tuale idea di poesia” è confermata, e insie-

me arricchita, dalla molteplicità di registri

lirici nei quali prende voce la parola dell'au-

tore. Ne offrono ampia prova poesie come

Il volto di lei durante, Fino a quando le

rondini, Luoghi, Approdo in Liguria, Verso

la foce.

Non mancano davvero i luoghi di riferi-

mento, materiale e mentale; ma, scrive si-

P

Page 18: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 18

gnificativamente De Rosa “ i luoghi che mi

sembra/ di meglio conoscere/ e amare/ sono

i luoghi nei quali/ non sono mai stato.”

Corrado Pestelli (Professore ricercatore presso il Dipartimento di

Italianistica dell'Università di Firenze)

(Da Letteratura italiana contemporanea – Anto-logia del Nuovo Millennio – Edizioni Helicon –

Arezzo 2015 – a cura di Neuro Bonifazi, Andrea

Pellegrini, Corrado Pestelli, Cristiana Vettori).

CARPE DIEM ...

Perché rimpiangere il passato

e così rattristarsi

quando bello fu il viverlo?

Meglio è nel ricordo riviverlo

e rallegrarsi di ciò che fu

e che avrebbe potuto

non essere stato mai.

E perché immaginare

un avverso futuro ed anzi tempo

addolorarsene?

Solo il presente ci può dare

veramente il dolore

e quindi

solo per il presente è giusto

e ragionevole

addolorarsi quando è triste.

Ma è anche giusto

e doveroso

sperare nel futuro perché il tempo

sa guarire i dolori dell’anima

e smorzandoli

renderceli quasi dolci.

Mariagina Bonciani Milano

SABBIA

Dove si arrende

il mare lì

lascia scritta la sua prepotenza

in bocche aperte

e in vuotate orbite

affamate solo di cielo.

Neoplasie del confine, dove

la forza d’acqua porta

il pacifico sacrificio

di vittime offerte alla natura

dalla natura

nel suo moto,

così,

casuale,

tale da rendere

quelle cose organiche arse,

nel luogo mangiato dal sole,

rappresentazione

di un naufragio del tempo,

di un luogo abulico

dove la morte grida:

“dilago sulla luce”.

Inutile divagazione,

spaventosa difficoltà d’apprendimento

che il tempo

nulla distrugge,

ma ricrea quanto basta

a fare anche del vuoto

e del silenzio di polvere silicea,

prova di resistenza alla morte:

creando all’infinito

altra

-seppure invisibile-

sconosciuta vita.

Salvatore D’Ambrosio

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

23/9/2015

Si riapre il can can sull’intercettazione tele-

fonica, continuando a fare straccio dell’art.

15 della Costituzione, che sancisce la libertà

e la segretezza della corrispondenza e di

ogni altra forma di comunicazione. L’ auto-

rità giudiziaria può autorizzare l’ intercetta-

zione, ma non darla in pasto a chicchessia;

deve, anche se presente nei fascicoli proces-

suali, rimanere segreta. È la magistratura

che si è arrogato il diritto della diffusione

del suo contenuto, palesemente violando la

Carta.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 19

DOMENICO ADRIANO:

DOVE GOETHE

SEMINÒ VIOLETTE di Elio Andriuoli

ON un andamento narrativo, ma ca-

pace di improvvise illuminazioni,

Domenico Adriano ha scritto il suo

nuovo libro di poesie, Dove Goethe seminò

violette, una raccolta che si presenta come

degna di attenzione non soltanto per la sa-

pienza stilistica che la regge, ma anche per i

contenuti umani di cui è portatrice e per i rife-

rimenti culturali che vi traspaiono.

Qui infatti si avverte subito che l’autore ha

un suo ritmo, che fa tutt’uno con l’intuizione

poetica e da essa scaturisce; un ritmo nel qua-

le s’incanala l’emozione con immediatezza e

verità. Si leggano, ad esempio, questi incipit:

“Lo feci scoprire a mia figlia, un giorno, /

quello scabro fico che se ne sta / tra due muri,

in un dito di giardino” (Lo feci scoprire); op-

pure: “Ma gli uccelli dove vanno a morire? /

Nessuno lo sa, non me lo sa dire / mio padre

che li ha amati” (Ma gli uccelli dove vanno a

morire) e si avrà un’idea, per quanto appros-

simativa, del modo di far poesia di questo au-

tore.

Sempre comunque le poesie di Domenico

Adriano scaturiscono da fatti concreti di vita

che l’autore coglie ed anima col suo senti-

mento. Esse posseggono perciò le caratteristi-

che dell’evidenza e del contatto diretto con la

realtà. Si legga, ad esempio: “Le parole del

padre saettavano / insieme a una miriade / di

rondini verso i due nidi / della casa di fronte,

guizzavano / con le loro ombre sul muro” (Le

parole del padre saettavano), dove quel volo

di rondini saettanti nel cielo è colto con una

particolare immediatezza visiva.

Lo stesso può dirsi di una poesia dedicata

da Adriano alla madre, che affiora come una

donna molto attiva e tuttora dedita alle in-

combenze domestiche, non ostante l’età:

“Non riesce a stare ferma mia madre: / un al-

bero può stare fermo? / Tra le fronde dei suoi

ottantacinque / anni, all’imbrunire / nuvole d’

uccelli cercano un appoggio” (Non riesce a

stare ferma mia madre). Ed è significativa l’

immagine dell’albero che con la sua chioma

ospita gli uccelli, assimilato alla madre, la

quale ancora sorregge e aiuta chi le sta vicino.

Ma il contatto diretto con il mondo esterno

s’incontra ad ogni passo in questo libro, nel

quale tutto diviene oggetto di poesia, scatu-

rendo essa dalle più diverse occasioni. Si ve-

da, ad esempio, questo incipit: “Come piog-

gia battente / veniva giù per il vicolo un pian-

to / allegro di organetto, si spandeva / per l’

aria” (Come pioggia battente), dove subito

balza agli occhi il contrasto insito nell’

espressione “pianto allegro di organetto”, che

genera un’immagine molto efficace.

Anche altrove però troviamo in questo libro

delle immagini compiute, quali: “… le fine-

strette colme di tramonto” (Si rammaricava

Baldacci); “… la bocca / spalancata di una

casa” (Andavo e venivo); “dentro il fuoco del

ghiaccio” (Non per la trasparenza); “sveglia-

re le violette” (Non ho fatto in tempo); ecc.

Tra le poesie maggiormente significative di

questa raccolta vi è quella che inizia: “Non ho

mai conosciuto / la madre di mio padre”, nel-

la quale il pensiero della nonna s’affaccia ca-

C

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 20

rico di sofferenza, per quello che il poeta ha

poi saputo di lei. La poesia infatti così prose-

gue: “Ma il dolore / più grande fu del figlio /

che non la ritrovò / uscendo dalla prigionia.

Morì / - raccontano - di fame / dentro ad un

campo profughi / divorata dai pidocchi. Poi, /

stretta ad altri corpi, gettata / in una fossa

(Non ho mai conosciuta).

Echi del tempo di guerra s’incontrano inve-

ro anche in altre poesie di questa raccolta,

nella quale si leggono versi quali: “Com’è ve-

loce il tempo / prigioniero / a Norimberga

erano lunghe / le ore” (Com’è veloce il tem-

po) e “… io non ero ancora nato ma vidi /

all’orizzonte quel che restava, la pietraia /

dell’Abbazia di Montecassino” (Me lo rac-

contò mio padre). E’ questo il ricordo di un

luogo in cui si svolse una furiosa battaglia tra

le truppe tedesche in ritirata e quelle degli an-

glo-americani. E si veda anche “… il soldato

/ tedesco sporco e stanco / a cavallo verso

Montecassino / che canta Lilì Marleen”, nella

poesia Prima che me lo dicesse un libro.

Sovente in questa silloge compaiono degli

animali, specie degli uccelli (cardellini, pas-

seri, rondini, pettirossi, trampolieri); ma vi fi-

gura anche “un asino lento” (Mi venivano

agli occhi); delle “lucertole a mirarsi pigre”

(Non diventate mai vecchi!) e un’ape che

“volava tra noi” (Ivi). Una metafora è invece

quella di questo incipit: “Due piccoli cerbiatti

i tuoi seni”.

Caratteristica di questa raccolta è poi il ri-

cordo di molti poeti ben noti, come Umberto

Saba, che compare in una delle prime poesie,

la quale inizia: “A chi posso mia madre as-

somigliare?” (eco di una celebre poesia sa-

biana).

Si vedano inoltre Ugo Reale, emergente da

Poi la bambina mi ha consegnato due / lette-

re; Rodolfo Di Biasio, del quale è ricordato

un libro, Patmos, (“Erano tornati dalla pre-

sentazione / del libro in versi Patmos); Corra-

do Govoni, riaffiorante da “«Ti ho portato /

una poesia!...» / E’ di Govoni, / vi volano far-

falle” (E ora se ne sta qui sulla soglia); Pier

Paolo Pasolini, la cui immagine s’affaccia da

“E’ ricomparsa, o era / un sogno la lucciola

dell’infanzia. / Ho pensato a te Pier Paolo /

che ne avresti gioito” (E’ ricomparsa, o era);

Dario Bellezza, che affiora da Andavo e veni-

vo: “Andavo e venivo / sul Lungotevere…”;

Patrizia Cavalli, emergente da Le finestre di

Palazzo Farnese; Tommaso e Rodolfo Lisi,

da Le persone stavano assiepate; Elio Fiore,

da Dopo che il mare se ne andò; ecc.

Un libro ricco dunque di contenuti umani,

questo di Domenico Adriano, emergenti non

soltanto dal suo affetto per i familiari, ma an-

che dai sentimenti verso persone con le quali

egli ha instaurato un rapporto di pura amici-

zia.

Un’ultima figura emerge da queste pagine,

quella di Maria Obolensky, morta a soli di-

ciassette anni e sepolta ne cimitero acattolico

di Roma, non lontano da Shelley e Keats. Ella

“vive / al giardino dei poeti / dove Goethe

seminò violette” dice Adriano, riferendosi al

fatto che in questo cimitero è sepolto anche

August Goethe, l’unico figlio del grande poe-

ta tedesco Johan Wolfgang Goethe.

Da qui il titolo della raccolta, che si presen-

ta come un’ulteriore prova riuscita di questo

autore, il quale dal suo primo libro, La polve-

re e il miele, molti altri di pregio ha pubblica-

ti.

Elio Andriuoli DOMENICO ADRIANO: DOVE GOETHE

SEMINO’ VIOLETTE (Edizioni Il Labirinto,

Roma, 2015, € 12,00)

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

7/10/2015

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino - detto

anche Marziano e Sottomarino -, s’è dimes-

so dopo aver raggiunto il primato mondiale

del ridicolo. Il Papa non l’ha invitato negli

Stati Uniti d’America e l’ambasciatore del

Vietnam smentisce di essere stato a cena

con lui. Alleluia! Alleluia! Panda rossa, Ca-

samonica, millantati inviti, cene conviviali...

Nessuno l’ha toccato o scaricato: è stato lui

soltanto a farsi male.

Domenico Defelice

Page 21: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 21

In occasione del Centenario 1915-2015

CARLO EMILIO GADDA

NELLA

“GRANDE GUERRA”

LA DELUSIONE DI UN

INTERVENTISTA di Luigi De Rosa

ENTO anni fa, nel 1915, l'Italia era

“intervenuta” nella Prima Guerra

Mondiale, contro l'Austria-Ungheria

e la Germania. Per perseguire l'obiettivo di

liberare le “terre irredente” (Trento, Trieste,

Fiume) l'Italia era passata dalla Triplice Al-

leanza (patto difensivo firmato già nel 1882

con l'Austria e la Germania di Bismarck) al

campo delle potenze della Triplice Intesa

(Gran Bretagna, Francia e Russia).

Tra i giovani interventisti più convinti ed

entusiasti c'era anche il futuro scrittore Carlo

Emilio Gadda, che aveva tralasciato il Poli-

tecnico e la Facoltà di Ingegneria, per andare

a combattere come sottotenente degli Alpini

una guerra ritenuta “giusta e santa”, ma poi

aveva vissuto con consapevolezza critica gli

aspetti deludenti di certa disorganizzazione e

di errori tattici e strategici dovuti a coman-

danti incompetenti o non ancora pronti, e co-

munque scarsamente solleciti delle condizioni

materiali e morali delle truppe.

Gadda aveva vissuto, soprattutto, come psi-

cologicamente distruttiva l'esperienza di pri-

gioniero di guerra, essendo stato catturato da-

gli Austriaci dopo la rotta di Caporetto. (Si

veda, in proposito, il suo Giornale di guerra e

di prigionia).

Il futuro, “allucinato” autore di libri come

La cognizione del dolore (ma molti lo ricor-

dano più per quella specie di giallo di Quer

pasticciaccio brutto de via Merulana) era

nato a Milano il 14 novembre 1893, da fa-

miglia facoltosa (padre industriale, villa a

Longone in Brianza, etc.). Però gli investi-

menti sbagliati del padre, anche nell'alleva-

mento dei bachi da seta, e poi la morte dello

stesso, precipitarono una famiglia ricca sull'

orlo della miseria. Solo la madre, col pro-

prio lavoro e coi suoi sacrifici, salvò il fi-

glio. Comunque Carlo Emilio, pur in pos-

sesso della maturità classica, ripudiò le pro-

prie inclinazioni letterarie per iscriversi alla

Facoltà di Ingegneria del Politecnico (da

scrittore maturo si sarebbe poi pentito ama-

ramente di tale scelta).

Nel 1915 il ventitreenne aspirante ingegne-

re elettrotecnico partì quindi volontario, ar-

ruolandosi negli Alpini. Non fu inviato, però,

in prima linea, venendo assegnato al fronte

dell'Adamello e delle alture del Vicentino.

Nella disastrosa rotta di Caporetto, come ri-

cordato, fu fatto prigioniero dagli Austriaci e

deportato ad Hannover, in Germania, dove

strinse amicizia con Ugo Betti e Bonaventura

Tecchi.

Il suo amarissimo Giornale di guerra e di

prigionia fu tenuto segreto per sua volontà.

Sarebbe stato pubblicato solo nel 1955, da

Sansoni, Firenze, e ripubblicato, con delle

aggiunte, da Garzanti, dieci anni dopo.

Nel 1920, tornato a Milano, si laureò al Po-

litecnico in ingegneria elettrotecnica, e andò a

lavorare, con tale laurea, in Lombardia e in

Sardegna, in Belgio e in Argentina.

Nel 1924 si iscrisse alla Facoltà di Filosofia

per dare finalmente soddisfazione alla propria

passione per le scienze umane e la letteratura.

Ma pur avendo superato tutti gli esami, non si

C

Page 22: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 22

laureò mai, perché non discusse mai la tesi. Il

che non gli impedì di iniziare a collaborare

dal 1926 a riviste come la fiorentina Solaria,

e a pubblicare due libri di racconti, La Ma-

donna dei filosofi e Il castello di Udine (Pre-

mio Bagutta). Poi avrebbe abbandonato la

professione di ingegnere, collaborato alla

RAI, scritto i suoi romanzi più famosi.

Ma torniamo brevemente al suo Giornale di

guerra e di prigionia.

Qui Gadda si rivela un mazziniano infiam-

mato di ideali e di virtù morali.

Non può non vedere con disgusto che a

poca distanza dai luoghi in cui tanti giovani,

magari contadini strappati alla terra, si spa-

rano e si infilzano con pugnali e baionette,

la gente cammina tranquillamente, prende l'

aperitivo in Galleria, fa sesso, pensa ai pro-

pri affari economico-finanziari. Lo scrittore

vede belle calzature passare e pensa alle

suole mezze marce delle scarpe dei suoi sol-

dati. Suole e tomaie fasulle che sicuramente

hanno fatto arricchire alcuni a scapito di al-

tri... Ammira l'attacco e il coraggio (inco-

scienza?) della fanteria allo scoperto ma poi

nota con delusione che l'attacco non viene

portato fino in fondo. Applaude allo slancio

generoso di alcuni soldati ma non può non

disprezzare la pigrizia e l'ignavia di quelli

che non amano “lavorare” per munire e for-

tificare le posizioni occupate a rischio della

vita.

Dice a un certo punto: “Le nostre fanterie

sono buone: il soldato italiano è pigro, specie

il meridionale: è sporchetto per necessità,

come il nemico, ma anche per incuria: prov-

vede ai bisogni del corpo nelle vicinanze del-

la trincea, riempiendo di merda tutto il terre-

no: non si cura di creare un unico cesso; ma

fa della linea tutto un cesso; tiene male il fu-

cile che è sporco e talora arrugginito; di sperde le munizioni e gli strumenti da zappa-

tore...dormicchia durante il giorno mentre

potrebbe rafforzare la linea; in compenso pe-

rò è paziente, sobrio, generoso, buono, soc-

correvole, coraggioso, e impetuoso all'attac-

co...”

Ma non si capirebbero appieno certe insof-

ferenze infastidite, certe critiche “feroci” di

Gadda sottotenente se non si ripensasse anche

alla amara infelicità da lui sofferta durante l'

infanzia e l'adolescenza. Se non si sapesse

delle ombrosità del suo carattere, della sua

personalità da heautontimorùmenos (punitore

di se stesso, nella commedia omonima di Te-

renzio) sempre scontento, soprattutto di sé.

Sempre dolorosamente nostalgico della ma-

dre che, quand'era viva, osteggiava sistemati-

camente. Sempre affezionatissimo al fratello

Enrico, aviatore, morto in guerra nel 1918,

che avrebbe voluto continuasse a vivere al

posto suo ( perché lui sì, che la meritava, la

felicità...)

Nel Diario di Caporetto, che Garzanti ha

pubblicato insieme al citato Giornale, Carlo

Emilio Gadda arriverà a scrivere, a Milano, l'

ultimo giorno dell'anno 1919:

“ (Ore 22. In casa).

La mia vita è inutile, è quella di un automa

sopravvissuto a se stesso, che fa per inerzia

alcune cose materiali, senza amore né fede.

Lavorerò mediocremente e farò alcune altre

bestialità. Sarò ancora cattivo per debolezza,

ancora egoista per stanchezza e bruto per

abulìa, e finirò la mia torbida vita nell'antica

e odiosa palude dell'indolenza che ha avvele-

nato il mio crescere mutando la possibilità

dell'azione in vani, sterili sogni.. Non noterò

più nulla, perché nulla di me è degno di ri-

cordo anche davanti a me solo. Finisco così

questo libro di note.”

Ma dal 1920 fino alla morte, avvenuta a

Roma il 21 maggio 1973, avrebbe avuto mo-

do di scrivere Novelle dal Ducato in fiamme

(Vallecchi 1953, Premio Viareggio, un attac-

co a una certa Italia del Ventennio guidata da

un Dux o Duca) e diversi altri libri originalis-

simi, tra cui La cognizione del dolore (Einau-

di 1963, Torino).

Opere scritte con un linguaggio del tutto

personale, tra il saporoso e il provocatorio,

dovuto a un impasto unico di lingua corrente

e di gergo, di termini tecnici e di neologismi,

in un arruffìo gomitolesco unico nella lettera-

tura italiana.

Luigi De Rosa

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 23

MAURIZIO MAZZETTO

VOCE DIGNITOSA

DELLA RELIGIONE

DELLA LIBERTÀ di Ilia Pedrina

I fa compagno e guida nelle riflessioni

sui grandi pensatori del nostro tempo e

non solo, da San Francesco d'Assisi a

Etty Hillesum, da Hanna Arendt a Primo

Mazzolari, da Mario Rigoni Stern ad Antonio

Giuriolo, Maestro dei 'Piccoli Maestri, tra cui

Luigi Meneghello, dai pensieri alle parole

scritte di molti altri ancora; ci accoglie ospita-

le nella sua dimora a Vigardolo, con la

Mamma Armida, a suo tempo staffetta parti-

giana, per condividere alla sera le gioie della

mensa ed ognuno porta sempre qualcosa,

mentre il pane è quello di Margherita e del

suo sposo, di San Germano dei Berici; ci fa

da tempo scoprire i lati nascosti e problemati-

ci di una città come Vicenza, interrogando le

nostre coscienze e proponendo riflessioni

semplici ma incisive, perché i suoi 'Percorsi',

sempre interrogativi sono dedicati, come

scrive lui, ai disobbedienti, ai partigiani, agli

uomini liberi. Maurizio Mazzetto, classe

1956, ama la Parola e se ne è fatto da tempo

interprete, trasferendone la potenza e la luce

nei suoi pensieri, nei suoi gesti, nei suoi passi:

da questa scelta discende il suo modo di esse-

re protagonista pieno nella storia di tutti noi,

perché ci si difenda contro ogni sopruso che

impedisca la realizzazione etico-politica della

nostra dignità, nella creatività d'elezione che

ci appartiene. Intende la spiritualità come di-

mensione vastissima, quasi infinita del nostro

modo di essere al mondo e ne tiene conto

aprendo le sue braccia a chi ne senta il fluire

in sé, silente o manifesto che sia: che questa

abbia o meno il volto della religione rivelata,

poco importa, perché ciò che ha valore è pro-

prio la religione della libertà, quella stessa ra-

gione viva per la quale Antonio Giuriolo è

stato ucciso a Lizzano di Belvedere il 12 di-

cembre 1944. Dalla strada di Via Riale, in

pieno centro, ci fa notare la lapide posta

all'interno della Biblioteca Bertoliana e ci

legge:

'In tempi servili

qui cercava rifugio

nella storia e nella poesia

qui nell'attesa

insegnava la dignità del cittadino

Antonio Giuriolo

partigiano medaglia d'oro

cresciuto e caduto per la religione

della libertà'.

Arzignano, 12.2.1912 - Lizzano di Belvedere,

12.12.1944 - Medaglia d'oro

(M. Mazzetto, Dai colli al centro città: 'Ora e

sempre, resistenza!- Da Antonio Giuriolo fino

ai Sinti', documento in fotocopia).

Ama camminare anche in alta montagna, da

solo o in compagnia di amici dalle gambe

predisposte alla bisogna e conosce le zone di

guerra della nostra storia tra i monti ed i vali-

chi alpini, teatro di azioni militari della Prima

e della Seconda Guerra d'Europa e del Mon-

do. Resiste ed insegna a resistere: i suoi passi

l'hanno portato in Perù, in Palestina, e que-

st'estate su al Nord, in Svezia, nell'Isola di

Gottland. Scrive racconti, poesie, diari di

viaggio ed in Internet, al sito 'BoccheScucite'

si possono leggere i lavori che testimoniano il

suo impegno in lotta contro il sistema che as-

sume facce differenti ma sempre tende ad an-

nientare, nel sopruso, il più debole, singolo

individuo o popolo che sia: da questo sito al-

lora traggo alcune testimonianze concrete del

suo modo di essere a questo mondo.

“Mi guardavo le scarpe, nei giorni scorsi.

S

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 24

Le vedevo, leggermente, impolverate. Della

polvere della Palestina. Si, della Palestina,

non della 'Terra Santa'. Smettiamola di chia-

marla 'terra santa'. È il contrario di essa. È ter-

ra di violenza e di sangue, di divisione e di

emarginazione, di sofferenza e di dolore. È

terra peccatrice, non santa. Il fatto che sia sta-

to il luogo geografico dove sia vissuto Gesù

di Nazareth, non la priva dell'impegno di pu-

rificarsi e di convertirsi 'dalla sua condotta

malvagia e dalla violenza che è nelle sue ma-

ni' (Giona, 3-8). Anzi. Dovrebbe darne l'e-

sempio, esserne il modello, la 'terra promessa'

per tutti i popoli, per tutte le persone. Ed in-

vece... C'è una pace armata, che non è mai

pace (Ger. 6, 14). C'è una sicurezza armata -

rafforzata con la costruzione del 'muro'. Che

non è mai sicurezza (Is. 32, 17b). C'è, soprat-

tutto, una terra rubata (ai palestinesi) che non

può più essere, allora, la terra promessa e ri-

cevuta in dono (da Dio), C'è, in fondo, una

tensione e una tristezza che aleggia su tutto e

ovunque (insieme alla sofferenza e alla umi-

liazione per molti), al posto di regnarvi la

gioia e la pace, ossia i frutti dello Spirito

(Gal. 5, 22), che sono il segno di una vita

buona, benedetta da Dio. Allora, tornato a ca-

sa, mi chiedevo se avrei dovuto togliere - in

quanto Pellegrino di pace e di giustizia - quel-

la polvere, seguendo l'invito di Gesù (Mt.

10,14). No, non l'ho fatto. Voglio ancora cre-

dere che sia possibile il ravvedimento, e l'ac-

coglienza della Parola da parte di tutti. Che

sia ancora possibile sperare, nonostante tutte

le smentite, e proprio perché, come diceva

molti anni fa il Sindaco di Firenze, Giorgio la

Pira: 'La pace nel mondo si risolve nel Medio

Oriente e passa attraverso la pacificazione fra

le tre religioni che si riconoscono in Abramo:

l'Islam, l'Ebraismo e il Cristianesimo. Fino a

che queste tre religioni non si riconoscono

con fraternità e con rispetto, la pace nel Me-

dio Oriente, anzi la pace nel mondo non ci sa-

rà.'” (Maurizio Mazzetto, sito 'BoccheScucite

- voce dai territori occupati', pubblicato da

Francesco Penzo il 15/3/2013, in rete).

Ora i muri si costruiscono anche qui in Eu-

ropa, in quell'Europa che doveva essere solo

dei Popoli e non più delle Nazioni perché l'

Unione doveva avvenire dal basso, dalle terre

e dai loro abitanti, dalle azioni e dai progetti

che fanno cultura e conoscenza, dalle lingue

parlate e dalle Costituzioni scritte, che avviano

alla riflessione ed al cambiamento, in maniera

flessibile. Perché si è organizzato dall' alto il

potere onnivoro del denaro e di chi lo manovra

per possederne sempre più, a costo zero, sfrut-

tando quella sottomissione che viene dalla pau-

ra? Perché con la moneta come scusa ed

espediente si mettono a segno giudizi morali

legati a vizi e virtù che appartengono a tutt'al-

tro campo? Perché amministrando la morale

senza averne né la delega dai Popoli né il di-

ritto si commette ogni sorta di azione che di-

pende da oscuri disegni devastanti anche la

natura stessa dell'ambiente in cui si vive?

Allora Maurizio Mazzetto si è fatto porta-

voce della protesta contro coloro che, fonda-

mentalmente chiusi alla ragione e all'equili-

brio dei rapporti tra persone in territorio libe-

ro e sovrano, hanno ucciso a Parigi l'11 gen-

naio 2015. Si, lo ha fatto anche dal pulpito

della Parrocchia di San Floriano e Valentino,

in Vigardolo, proprio fuori nella campagna

del Vicentino, dopo aver riportato i testi scrit-

ti per l'evento dal Direttore dell'Avvenire,

Marco Tarquinio, in risposta alla lettrice Ele-

na Fornari, da Chiara Zappa ('Ridere con

Maometto. L'umorismo nell'Islam'), da Sabri-

na Cavinato ('L'ironia che rimane'), da Gior-

gio Forti ('Solo i non razzisti spengono gli in-

cendi'), dal Movimento nonviolento ('Matite

spezzate e fucili spezzati' 8 gennaio 2015):

“... È molto interessante notare il fatto che

quando una persona scrive -come quando

parla- vien fuori ciò che ha nel cuore(oltre a

quello che ha nella testa), comprese le paure e

le angosce, le chiusure e le difficoltà ad accet-

tare le critiche e le ironie, i cambiamenti per-

sonali (a cui non vogliamo accondiscendere)

e le trasformazioni storiche (che facciamo fa-

tica a comprendere). Per quanto mi riguarda,

non mi sento offeso se uno mi prende in giro

o prende in giro Abramo o Mosè o Gesù Cri-

sto o Maometto o … Capisco e rispetto la

sensibilità altrui ma sono consapevole anche

Page 25: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 25

del cammino che dobbiamo fare insieme e

della cosa più preziosa a cui - tenendo conto

di tutte queste considerazioni che abbiamo

letto - dobbiamo giungere. Ritengo, infatti,

che la cosa più importante da analizzare è

come reagiamo alle critiche o alle satire. Al-

trimenti rischiamo, senza volerlo, di fare il

gioco degli stessi terroristi e dei guerrafondai:

arrabbiandoci (diversa dalla rabbia è la giusta

indignazione) andiamo nella stessa direzione

che conduce, all'estremo, sia agli attentati dei

terroristi che alle guerre fatte da noi. Appun-

to...” (M. M. testo inviato in e-mail il 15 gen-

naio 2015).

A chi lo segue nei cammini domenicali den-

tro e fuori la città di Vicenza percorre in lettu-

ra e libera comunicazione pensieri e riflessio-

ni meditati e scelti con pacata, illuminata

consapevolezza: per 'Vicenza città dell'am-

biente?' lo accompagna Emilio Bagarella,

coinvolto in tante parti del mondo, dal Koso-

vo alla Palestina, all'Afghanistan ed in tanti

altri luoghi ancora, chiamato con organizza-

zioni onlus per rispondere ai bisogni della

gente, donne, bambini, uomini profughi dalle

zone di guerra ed in fuga dalla morte. Dalla

Basilica di Monte Berico, centro del potere

spirituale, all'esterno del Piazzale della Vitto-

ria il nostro sguardo viene orientato ad osser-

vare la Basilica Palladiana della Piazza dei

Signori, antica sede del governo della città, e

poi, oltre ancora, la costruzione della base mi-

litare americana, un paese forse, per vastità di

dimensioni: manca quasi il fiato, perché ora

le risorse delle falde acquifere, sulle quali

poggia la costruzione straniera, sono irrepa-

rabilmente inquinate di trielina e questo pre-

ziosissimo bene ci è stato sottratto con vio-

lenza. Don Maurizio Mazzetto con tanti altri

sacerdoti ha lottato strenuamente perché que-

sta base non venisse costruita: ora, con questi

percorsi illuminati si impegna a tener desta la

coscienza e la capacità di lotta che ne salva-

guarda il libero respiro. Ha scelto di seguire

le tracce di Dietrich Bonhoeffer e ne dà te-

stimonianza quando ci accompagna a vedere

dall'alto del Monte Crocetta, appena fuori dal

centro, tutto il complesso della base, per poi

discendere la collina e trovare le sorgenti del

piccolo torrente Seriola, circondate da alberi:

qui, come in un bosco sacro dove si svolge un

rito dalla forza propiziatoria, egli ci legge,

emozionato: “... La grande mascherata del

male ha scompaginato tutti i concetti etici.

Per chi proviene dal mondo concettuale della

nostra etica tradizionale il fatto che il male si

presenti nella figura della luce, del ben opera-

re, della necessità storica, di ciò che è giusto

socialmente, ha un effetto semplicemente

sconcertante; ma per il cristiano, che vive del-

la Bibbia, è appunto la conferma della abissa-

le malvagità del male... Chi resta saldo? Solo

colui che non ha come criterio ultimo la pro-

pria ragione, il proprio principio, la propria

coscienza, la propria libertà, la propria virtù

ma che è pronto a sacrificare tutto questo

quando sia chiamato all'azione ubbidiente e

responsabile, nella fede e nel vincolo esclusi-

vo a Dio: l'uomo responsabile, la cui vita non

vuole essere altro che una risposta alla do-

manda e alla chiamata di Dio. Dove sono

questi uomini responsabili?” (Dietrich Bon-

hoeffer, Resistenza e resa. Lettere ed altri

scritti dal carcere, ed. Queriniana, Brescia,

2002, pag. 25, riportato in Maurizio Mazzet-

to, Sul Monte Crocetta, 2° Percorso a Vicen-

za tra natura, storia, arte e pace, 2014-2015).

Da queste e da altre parole alla scelta per-

sonale di vita, Maurizio Mazzetto incoraggia a

resistere, a guardare in faccia i lineamenti sfi-

gurati degli iniqui, simulati dietro un accatti-

vante perbenismo: egli ci invita in semplicità a

non avere paura ed allora, nelle parole e nei

fatti, riesce ad essere convincente. Perché tutti

possano godere e capire il suo modo di essere

nella Scrittura, ci offre il pensiero più bello che

ha ricevuto : “Il Gesù che conosco io è certo il

Figlio di Dio, ma in questi giorni è soprattutto

per me il Re che si è lasciato oltraggiare fino

alla morte. In modo che al disonore è stato

tolto il suo potere”. Queste parole sono di

Ann-Christin Kristiansson, pastora luterana

svedese che Maurizio ha incontrato su su, in

Svezia. Ha promesso di condividere ricordi,

emozioni, immagini e segnali di luce.

Ilia Pedrina

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 26

Una interessante monografia per la

Poetessa tra le più intense e vere

della seconda metà del Secolo XX

IMPERIA TOGNACCI IN UN SAGGIO DI

LUIGI DE ROSA di Anna Aita

l’ottima penna del noto critico Luigi

De Rosa ad offrirci il meraviglioso

percorso letterario di Imperia Tognac-

ci.

Incomincia la scrittura, il nostro saggista,

dalle primissime creazioni di questo perso-

naggio, dimostrando, con la sua scrittura,

come e quando ella sia nata mirabile lette-

rata e continui ad esserlo fino ad oggi.

Luigi De Rosa recensisce, uno dietro, l’

altro i suoi lavori. Nel capitolo primo ci

racconta della silloge “Traiettoria di uno

stelo", principiando dai lavori che lo hanno

preceduto (che non furono mai pubblicati},

e che si identificarono, secondo il suo pare-

re, come preparazione alla prima importan-

te raccolta poetica. L'Esegeta afferma che,

sebbene questi lavori presentassero, fin d'

allora, una non comune maturità, il grande

divenire della letterata era iniziato proprio

dall'opera suddetta, lavoro al quale furono

assegnati diversi premi.

I versi raccolti in questa pubblicazione

sono dedicati al ricordo dei suoi genitori, a

sua sorella Diva e alla terra che, oltre a dar-

le i natali, è stata da sempre fonte di ispira-

zioni. Molte poesie della Tognacci sono,

infatti, impregnate della cultura, delle tradi-

zioni e soprattutto dei sentimenti ispirati al-

la sua Romagna.

A questa prima silloge, segue l’opera "La

notte di Getsemani", intrisa di fede. La par-

tecipazione al Cristo sofferente è palpitante

e reale. In questa poesia, Luigi De Rosa ri-

scontra e sottolinea due particolari interpre-

tazioni della Tognacci di fronte all'evento

nell'orto degli ulivi, fino alla tragica fine:

un Cristo umanissimo combattuto tra l’

istinto di conservazione e la volontà precisa

di assolvere al compito affidatogli da Dio,

e cioè riscattare con la propria vita i pecca-

ti dell'umanità; e la partecipazione sofferta,

resa molto bene, da parte della natura e degli

animali, al terribile momento della crocifis-

sione.

Il coinvolgente lavoro di Luigi De Rosa

continua sfiorando le toccanti tematiche di

"Natale a Zollara" che riportano Imperia

nel suo paesino per le festività natalizie,

immergendola, nostalgica e trepidante, nel-

le sue memorie di fanciulla: la madre e i

suoi romantici merletti, i nonni, la sorella,

la Fiera di Santa Lucia...

E, mentre "Odissea Pascoliana" ripercor-

re e accompagna le vicende del Pascoli,

"La porta socchiusa" è un poemetto religio-

so che esprime il desiderio di varcare la

soglia dell'Arcano: il Mistero di Dio, della

Creazione e l’eterno dilemma: chi siamo,

da dove veniamo, dove andiamo.

"Il tutto", scrive il De Rosa, “in una ricer-

ca piena di dubbi e di esitazioni, incertezze,

È

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 27

affermazioni e improvvise negazioni: il tutto

reso ancor più difficile dalla solitudine inte-

riore, dove l'anima sembra soffocata dal buio

e a malapena riesce, di tanto in tanto, a in-

travedere un fioco raggio di luce, nella spe-

ranza, spesso frustrata, di vedersi immergere

nel possente, unico, pacificatore raggio di

luce della Verità".

Segue "Il prigioniero di Ushuaia". Questo

paese, che come precisa il nostro critico, è

la località più meridionale del globo, è sede

di una prigione destinata a detenuti con-

dannati per delitti di sangue e la poetessa,

già affascinata "dalla singolare atmosfera

del paesaggio antartico, dalla tragica e

grandiosa "bellezza" degli elementi natura-

li", rimane colpita dal dramma di uno dei

prigionieri. Non potendone sopportare la

sofferenza, si ribella respingendo in cuor

suo lo stile di vita degli europei.

Lungo la sua disamina, l'Autore sottoli-

nea un'importante componente della poeti-

ca di Imperia: il vento. Tale elemento, ri-

flette e denuncia, meriterebbe uno studio a

parte, fatto "strofa per strofa, verso per

verso".

E giungiamo al commento su "Il lago e il

tempo", "due coordinate immateriali", con-

sidera il De Rosa, "una nello spazio, e una

nel fluire invisibile del tutto".

Le composizioni di questo poema non

hanno titolo ma sono agganciate l'una all'al-

tra: versi sentiti, amorosi a ripercorrere il

tempo passato: un canto d'amore tenero e

nostalgico in una poesia, rileva il nostro

critico, che matura sempre più.

Il lago cui allude la Tognacci, chiarisce an-

cora Luigi De Rosa, non è la nota distesa

d'acqua ma un "contenitore'' di memorie, di

sentimenti, di pensieri.

Su "ll richiamo di Orfeo", mi piace riportare

delle righe molto significative dell'Autore

che, dopo aver scritto sulla modalità di siste-

mazione delle quarantacinque parti o mega-

strofe che compongono il poema, così si

esprime: "... la forza lirica unitaria di questo

poema è tale che il linguaggio utilizzato, pla-

stico e duttile al contempo, preciso e poliva-

lente, è talmente acceso e incalzante da ren-

dere non essenziali queste pur utili indicazio-

ni pratiche ". E mi pare che queste righe sia-

no pienamente esplicative dell'importanza e

della bellezza del poemetto.

Nell'aprile 2012, ecco un nuovo lavoro:

"Nel bosco sulle orme del pastore", che il De

Rosa giudica "perfettamente riuscito e di alto

valore letterario ".

Domina nella scrittura la figura del pastore

Aristeo che, scrive l'Autore, richiama simbo-

licamente quella del Buon Pastore.

I messaggi di speranza, in essa contenuti,

sono molteplici: ricostituire, ad esempio, il

perduto rapporto d'amore tra l’uomo e la

natura; ridare vita alle tradizioni e soprat-

tutto riportarle agli antichi valori spirituali;

riequilibrare l’importanza dell'ossessiva ri-

cerca del benessere materiale a vantaggio

di benefici comunitari come la fratellanza.

Il tutto in una mirabile poetica.

Siamo giunti così, velocemente, al recente

lavoro di Imperia Tognacci: "Là dove piove-

va la manna" che il nostro Autore, preceden-

doci, ha letto inedito: "Imperia", scrive il

De Rosa, "non finisce mai di meravigliarmi

per la sua prolificità poetica, ma, soprattutto,

la qualità letteraria di questa nuova silloge

mi appare di livello ancora più elevato dei

poemetti precedenti ".

Quest'opera, relaziona l'Esegeta, scaturi-

sce da un viaggio in Giordania, durante il

quale la protagonista vive diverse impor-

tanti esperienze come l’attraversamento del

deserto a dorso di cammello alla ricerca di

beni spirituali, onde alleggerire la sua ani-

ma e i suoi tormenti.

Questa, finora rivisitata, è la prima par-

te del libro in oggetto. La seconda, com-

menta i libri in prosa della letterata.

Per ciascuno dei lavori che si susseguono

in tutto il volume, l’Autore offre una rasse-

gna dei grandi critici che hanno analizzato

le pubblicazioni della nostra Autrice, espo-

nendo il loro pensiero con efficacia e lar-

ghezza di particolari.

Nelle ultime pagine, cenni biografici dell'

Autrice e dell'Autore della monografia.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 28

Nel rileggere questo lavoro, mi rendo

conto che il mio è un commento che non

rende giustizia alla bellezza del testo. il la-

voro di Luigi De Rosa è perfetto e, soprat-

tutto, completo, lineare e piacevole alla let-

tura. Offre importanti testimonianze, non

solo nella disposizione a configurare l’ esi-

stenza dell'Autrice come una lotta contro le

avversità del mondo esterno, ma soprattutto

contro l’assenza di fede in Dio e la comu-

nione tra i fratelli, l’incomprensione, l’ in-

differenza, l'ostilità, le quotidiane difficoltà

del vivere. In quanto ad Imperia Tognacci

riesce in queste pagine in tutta la sua su-

perba misura poetica, elevandosi alla pari e,

forse, al di sopra dei più grandi del nostro

tempo.

Anna Aita

FREMITI

Oltre la cappa asfittica della città

con dentro l’umido intriso di fumo.

La patina di metallo

sulle forme meccaniche

costringe la vita:

avvinto alle radici mi trasporto

nel primitivo spazio

degli anni passati.

Muore il sentimento

nelle abitudini di ogni giorno,

con forte morsa la ruggine

s’incrosta sul proprio io.

Senza la maschera che offende l’amico

per palesare le piaghe

che tutti abbiamo;

il tempo è infinito

quando si dà la mano al prossimo

diventato nostro fratello:

il giorno non diviso

si unisce alla notte

per gli uomini uguali.

Le frasche d’ulivo sono divorate

sullo sfondo opaco;

divampa magico il fuoco,

ristoro per le mani.

Oltrepassare le spine

per tenere il mio dono.

Perfette le parole

che intatte rimangono

con le ferite.

Rivedo nei giorni solenni

la mia esistenza.

Leonardo Selvaggi Torino

IL SENTIRE SERPEGGIA

TRA LE PIETRE

Il sentire serpeggia tra le pietre

s’intreccia con le foglie

vibra nell’aria e nella luce

si fa parola.

Un petalo sfiora il gesto

l’occhio comprende

così diviso

il corpo è spazio aperto –

lo spirito serpeggia tra le vene.

Laura Pierdicchi Mestre, Venezia

Dalla raccolta inedita OLTRE.

DIETRO IL CAMPANILE

Dietro il campanile

del nostro paese-presepio

la luna rischiara ancora

la prima stella si accende

tutte le sere

l’acqua del mare

gorgoglia sotto la chiglia.

Manchiamo solo noi

nella nostra cabina

a rimirare dal vetro

l’ultimo paradiso.

Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 29

L’ATTUALISMO DI

GIOVANNI GENTILE (Castelvetrano 1875 – Firenze

1944) di Leonardo Selvaggi

I

ISCEPOLO di Donato Jaja, alla

Scuola Normale di Pisa, amico di

Sebastiano Maturi, vicinissimo cioè

ai più fedeli eredi del pensiero di Beltrando

Spaventa, di cui continua i principi filosofici

in molti lavori storici, quali “Rosmini e Gio-

berti”, l’edizione dei Dialoghi italiani del

Bruno, il commento all’Etica di Spinosa, il

volume su Telesio, la traduzione di parte del-

la Critica della ragion pura di Kant. Dopo

un’attiva preparazione storica, Giovanni Gen-

tile matura i germi del suo pensiero, presenti,

tra l’altro, già nel tempo dei suoi primi lavori,

quali le “Ricerche storiche” dal Genovesi al

Galluppi, e l’ampio saggio premesso all’ edi-

zione in volume degli “Scritti filosofici” dello

Spaventa. Dal 1896 al 1924 si lega d’amicizia

a Benedetto Croce. Collabora alla fondazione

de “La critica”. Ogni fascicolo della rivista,

per circa venti anni, ha recato un articolo del

Gentile accanto ad uno del Croce. Professore

di Storia della filosofia all’Università di Pa-

lermo (1906), nel 1914 succede al suo mae-

stro Jaja a Pisa e dal 1917 all’Università di

Roma. Nel 1920 fonda il “Giornale critico

della filosofia italiana” che dirige fino alla

morte. Nominato senatore nel 1922, si avvi-

cina al fascismo, divenendone il filosofo uffi ciale. Ministro della pubblica istruzione (ot-

tobre 1922), attua nel ’23 la riforma della

scuola italiana, nota come “Riforma Gentile”.

II

La fama del grande filosofo, oltre alla sua

ricchissima produzione di opere e alla sua

estesa attività culturale, è certamente legata

alla soprannominata riforma, la più organica

dopo quella “Casati” (1859). I principi di ba-

se attraverso gli anni sono stati considerati

sempre di efficiente validità. Giovanni Genti-

le riorganizza la scuola materna (“Scuola del

grado preparatorio”) ed elementare, portando

l’obbligo scolastico a 14 anni, istituendo, a tal

scopo, corsi complementari, detti, poi, “Scuo-

le di avviamento professionale”. Pur istituen-

do il nuovo liceo scientifico, privilegia gli

studi classici che, soli, consentono l’accesso a

tutte le facoltà universitarie. Reintroduce nel-

la scuola l’istruzione religiosa. Istituisce

scuole private, parificate e sussidiate sotto il

controllo statale mediante l’esame di stato. La

scuola ritenuta come elemento essenziale per

la formazione sociale degli individui, ha co-

me principio la libertà nell’insegnamento. La

Riforma Gentile rispetto all’istruzione di tipo

tradizionale consente un più immediato e

formativo strumento di allargamento dei con-

tatti della scuola classica con la vita moderna.

Giovanni Gentile dirige la Scuola Normale di

Pisa e l’Istituto fascista di cultura. Sempre più

legato al regime approva il Concordato con la

Chiesa cattolica. Nel 1925 Direttore dell’ Isti-

tuto Treccani per L’Enciclopedia Italiana. Nel

’30 accetta la cattolicizzazione della Cultura

ufficiale, mentre viene abbandonato dai suoi

allievi di principi liberali. Nel 1943 non si

stacca dal fascismo, aderisce alla Repubblica

di Salò. Questo senza dubbio costituisce un

atto di fedeltà al regime di cui è stato il leader

culturale, e, oltretutto, un atto di coerenza

D

Page 30: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 30

morale. Nel 1944 viene ucciso da mano parti-

giana, davanti alla sua casa di Firenze.

III

Il pensiero di Giovanni Gentile rappresenta

una delle due tendenze del neoidealismo ita-

liano, l’altra è quella di Croce. Definito attua-

lismo o idealismo attuale, in quanto risolve

nell’atto pensante del soggetto, inteso come

universale, ogni aspetto della realtà. L’ attua-

lismo gentiliano, espresso nel saggio “L’atto

di pensare come atto puro” (1911), trova la

completa espressione nella “Riforma della

dialettica hegeliana” (1913). Fra le tante nu-

merose pubblicazioni: I problemi della Scola-

stica e il pensiero italiano (1913), I fonda-

menti della filosofia del diritto (1916), Siste-

ma di logica come teoria del conoscere (1917

-22), Discorsi di religione (1920), La riforma

dell’educazione (1920), G. Capponi e la cul-

tura toscana del sec. XIX (1922), Le origini

della filosofia contemporanea in Italia ( 1917-

23), I Profeti del Risorgimento (1923), Filo-

sofia dell’arte (1931), La riforma della scuola

in Italia (1932), il Pensiero italiano del Rina-

scimento (1940), La mia religione (1943),

Genesi e struttura della società (postuma

1946), Storia della filosofia italiana (postuma

1969). Giovanni Gentile si collega da Hegel,

tenendo presente l’interpretazione che ne ha

dato lo Spaventa. Per Hegel la realtà origina-

ria è l’idea che comprende in sé tanto la natu-

ra quanto lo spirito, come due momenti di-

stinti del suo sviluppo dialettico, la mente è

solo il punto di arrivo di questo sviluppo. La

realtà in Hegel è identificata con il sistema

delle categorie: esse sono oggetto della men-

te, non la mente stessa. Così il nesso tra esse-

re e non essere è per il Gentile incomprensibi-

le, finché essere, non essere e divenire sono

considerati come concetti in sé, nella loro lo-

gica oggettività. Tutto diventa intelligibile,

invece se l’essere, di cui si parla, è l’essere

del pensiero pensante, che nello stesso atto, in

cui si afferma, nega, perché attività in peren-

ne divenire. Gentile oppone alla logica statica

del pensato la logica del concreto. All’origine

di tutto è dunque l’atto del pensiero pensante,

che è il costituirsi della verità nell’atto stesso

del pensiero che pensa. L’attività dello spirito

si svolge con un ritmo dialettico: soggettività

immediata (tesi), oggettivazione di sé (antite-

si) e sintesi di questi due momenti. In rappor-

to a questi tre momenti si hanno le tre forme

assolute dello spirito: l’arte, la religione e la

filosofia. Gentile ha considerato l’arte anche

come interprete e critico in volumi, quali:

Dante e Manzoni (1923), L’eredità di Vittorio

Alfieri (1926), Manzoni e Leopardi (1928).

L’arte esprime il momento della soggettività,

la religione è l’antitesi dell’arte, è il momento

dell’oggettività. Arte e religione non possono

sussistere se non in quanto l’una e l’altra si ri-

solvono nella filosofia, è la sintesi che rende

possibile la tesi e l’antitesi. Pertanto arte e re-

ligione debbono venire assorbite dalla filoso-

fia. La storia dello spirito sarà storia della fi-

losofia. La storia della filosofia sussiste nell’

atto del pensare, se è vero che a quest’ atto,

che è filosofia, tutto si riduce. Perciò filosofia

e storia della filosofia sono tutt’uno nel pro-

cesso dello spirito. Giovanni Gentile ha inter-

pretato la storia della filosofia e della cultura

come preparazione all’attualismo.

IV

Giovanni Gentile nei confronti con la filo-

sofia crociata rifiuta il procedere per distin-

zione fra teoria e pratica, cioè la separazione

tra un conoscere empirico, privo di valore

teoretico, e un conoscere filosofico, puro da

ogni empiria. Per Gentile conoscere è agire.

Tra un momento teoretico e un momento pra-

tico non c’è nessuna scissione. Le scienze

empiriche non appartengono al dominio della

pratica né sono escluse da quelle del conosce-

re teoretico. Non c’è un’empiria fuori della fi-

losofia né una filosofia fuori dall’empiria.

Viene accettata l’esigenza kantiana che la ca-

tegoria sia presente nell’esperienza. Non è

ammissibile, pertanto, né un’empiria priva di

categorie né una filosofia vuota di esperienza.

Per Gentile si identificano filosofia e storia,

categorizzando l’oggetto lo si definisce, viene

individuato storicamente. Questi motivi di

pensiero comunicati nel Sommario di peda-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 31

gogia (1913) ed elaborati organicamente in

un corso tenuto nell’Università di Pisa nel

1915-16 e pubblicato in un volume intitolato

Teoria generale dello spirito come atto puro

(1916). Viene negata qualsiasi realtà in sé,

presupposta al conoscere, concependo lo spi-

rito come assoluta posizione di se stesso. Lo

spirito è atto che non presuppone alcuna ma-

teria avanti a sé, è atto puro. Viene definito Io

trascendentale o soggetto trascendentale.

Unica categoria è l’atto di pensiero da cui so-

no poste le infinite determinazioni. Indivi-

duando l’oggetto, il pensiero pone di contro a

sé una realtà, una natura che prende nel suo

atto di conoscenza, nel contempo rimane a sé

e contrapposta. Con il porre l’oggetto e assu-

merlo si esplica la dialettica dell’atto spiritua-

le. Lo spirito supera l’oggetto, risolvendolo in

sé. La dialettica è conciliazione degli opposti.

Ogni oggetto, ogni pensato contraddistinto

nell’atto di pensiero. Ogni pensato è contrap-

posto ad ogni altro, il mondo pensato, la natu-

ra è un’infinita molteplicità inscritta nell’ uni-

tà assoluta dell’atto di pensiero.

Leonardo Selvaggi

EPIFANIA D’AMORE

Il nostro smarrimento

è simile a schianto

di passero che picchia

contro vetro per azzurro.

Travalicare per Bene

intravisto è pure a noi

scacco di pena.

Non altro redime

che il quotidiano ferirci

per tendere oltre;

il premere verso strato

di cielo che ci sfiora;

il vivere i giorni

come epifania d’amore

Rocco Cambareri Dalla silloge Da lontano - Edizioni Le Petit moi-neau, Roma 1970.

SONO FARFALLE I MORTI

Le ali asciuga la farfalla

uscita appena dalla crisalide.

Memoria non ha, non ha contezza

d'essere stata bruco.

Leggera svolerà fra qualche istante

sul mare lucente profumato

e fresco delle corolle.

Crisalidi noi siamo per l'Eterno,

celesti praterie ci attendono.

Se i morti non si struggono per noi

è che sono farfalle,

cognizione non hanno della terra.

Domenico Defelice

BUTTERFLIES ARE DEAD

The wings dry the butterfly

Having recently emerged from its chrysalis.

It does not have a memmory, it does not have

awareness of having been a caterpillar.

Lighly it will unravel in a few moments

Upon the shiny scented sea

of fresh blooms.

Nymphs we are eternal

celestial prairies which lie ahead.

If the dead do not yearn for us

that they are butterflies,

who do do not hold memories the land.

Domenico Defelice Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi

Sogno la casa dai cani

dai gatti dai conigli dalla chiocciole

dalle galline dai ragni dai grilli

dai bagliori di gladioli e di garofani

di digitali e di moneta del papa

odorosa di legno e di erba fresca

di cipollina e di lavanda

nei belati delle pecore

e il passo indolente delle mucche

Sogno la casa di una volta

spalancata sulla vita.

Béatrice Gaudy Parigi, Francia

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 32

L’IMMORTALTÀ: VIAGGIO NELL’ ASSURDITÀ

di Aida Isotta Pedrina

RA le intricate e complesse ramifica-

zioni dei nostri concetti e delle nostre

convinzioni religiose, questa idea dell’

immortalità è di gran lunga, non solo la più

assurda, ma anche la più cara e reale agli es-

seri umani. Raramente ci avviciniamo a que-

sto concetto con idee chiare e a mente aperta:

o siamo timorosi e ingenui, o speranzosi, e

quasi irrazionali; infatti, siamo spesso pronti a

negare la nostra ragione perché non riusciamo

a staccarci dal desiderio di una vita eterna.

Sarebbe facile pensare che per eliminare i

risultati negativi di certe illusioni e di tanti

precetti religiosi, basterebbe un’armoniosa

combinazione d’intelligenza, chiarezza di

pensiero, saggezza, e profonda conoscenza

della natura umana; in realtà, questa combi-

nazione è assai difficile e rara se consideria-

mo il fatto che il concetto dell’immortalità

esiste da millenni, e che molti dei più illustri

personaggi di tutti i tempi, dotati di straordi-

naria intelligenza e conoscenza, non sono riu-

sciti ad essere totalmente liberi da paure, spe-

ranze e dubbi e dalle imposizioni religiose; e

chissà, anche da quel senso d’incertezza, vul-

nerabilità, e impotenza proprie della natura

umana quando confronta il mistero dell’ im-

mortalità.

Or bene, i misteri dell’universo, i misteri

della vita, i misteri dell’energia cosmica e

dell’ordine perfetto sorto dal caos, che fino ad

oggi, le ricerche scientifiche non sono riuscite

a chiarificare completamente, dovrebbero es-

sere da noi semplicemente ACCETTATI co-

me meravigliosi misteri al di sopra dell’ intel-

ligenza umana, e LASCIATI STARE. E in-

vece no: il nostro feroce — ma alquanto pate-

tico — attaccamento all’idea di essere supe-

riori a qualsiasi altra creazione della natura, ci

fa schiavi della nostra presunzione e natural-

mente, di tanti concetti assurdi come appunto

questo dell’immortalità.

D’accordo con le misteriose leggi della na-

tura, l’essere umano nasce, è nutrito e si nutre

per poi morire; una conclusione irrevocabile,

un semplice fatto con irrefutabili prove gior-

naliere che noi rifiutiamo di ammettere per

proteggere le nostre illusioni. Questo della vi-

ta dopo la morte è una supposizione logica-

mente incorretta: perché ha per noi una così

grande importanza e significato? Perché que-

sta insistenza di accettare l’idea della vita

eterna come una futura realtà?

Si potrebbe dire che la nostra primordiale

paura della morte e il nostro istinto di conser-

vazione, e chissà, anche il nostro fascino per

il “magico”, sono le ragioni più ovvie; ma

un’altra ragione, e forse la più forte, è che l’

idea dell’immortalità, anche se completamen-

te assurda, è assai comoda al nostro modo di

pensare: non parliamo dell’immortalità come

se fossimo le uniche creature degne della vita

eterna? Non ci mettiamo al centro dell’ uni-

verso pretendendo di conoscere il mistero co-

smico? Non siamo assolutamente sicuri del

nostro progresso e del nostro potere sopra la

natura? Ciononostante, davanti a qualsiasi

violento fenomeno terrestre, siamo immedia-

tamente trasformati in esseri impotenti so-

praffatti dal terrore. Inoltre, basta solo uno di

questi cataclismi della natura per distruggere

in pochi minuti il più illustre genio, le più

grandi opere d’Arte di tutti tempi, e le più

trionfanti imprese umane; riflettendo su que-

sto, come si fa a non sentire, con una consa-

pevolezza che va al di là delle illusioni e della

presunzione, la nostra fragilità e caducità? Ed

è qui che subentra un’altra fatale illusione a

cui è difficilissimo rinunciare: anche se siamo

caduchi, noi possediamo un’ANIMA IM-

MORTALE, con tutta la spiritualità e supe-

riorità che questo concetto implica; che pos-

sente rinforzo per la nostra presunzione! An-

che quando non avremo più una penna per

volare, sarà sempre nostro desiderio raggiun-

gere le più alte vette sulle “ali dorate” del no-

stro io. L’idea di esser degni, per virtù di

quest’anima immortale, alla vita eterna, tra-

scende nella sua assurdità le più bizzarre di-

vagazioni della mente.

E c’è di più: non solo possediamo un’anima

F

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 33

immortale, ma in un lontano futuro i nostri

corpi risorgeranno per riunirsi con le nostre

anime; dopo di che potremo vivere eterna-

mente felici in Paradiso. E la religione conti-

nua a incoraggiare e approvare questa nostra

infinita stoltezza; sembrerebbe, infatti, che “Il

faut s’abetir” è una delle condizioni più im-

portanti per meritarci il paradiso. E qui’ biso-

gna ammettere che la nobile idea dell’ im-

mortalità, collegata a un paradiso presentato

come una specie di grandioso Resort cosmi-

co, risulta alquanto ridotta; e ancor più ridotta

quando la usiamo per mitigare la nostra paura

e incoraggiare la nostra speranza di una vita

felice nell’Aldilà. Paura e speranza: emozioni

naturali ma potenzialmente pericolose che,

nondimeno, sono state inculcate e coltivate a

tal punto, che hanno finito per offuscare e de-

turpare la nostra mente e la nostra gioia di vi-

vere.

Invece di perder tempo con assurdi concetti,

sarebbe meglio sforzarci per ottenere saggez-

za e distacco che ci permetterebbero di vedere

— come attraverso le limpide acque di un ru-

scello — cosa c’è nel fondo della nostra men-

te: i depositi fangosi dei precetti religiosi e

delle convenzioni sociali, i ciottoli grandi e

piccoli delle nostre illusioni e delusioni, il

muschio verdognolo delle nostre meschinità,

e vedere tutti questi detriti per ciò che sono, e

LASCIARLI STARE e DIMENTICARLI. E

invece no: passiamo gran parte della nostra

vita agitando le limpide acque della nostra

mente, mescolando alla rifusa tutto ciò che

c’è al fondo, e offuscando, spesso irrimedia-

bilmente la chiarezza del nostro pensare e

sentire.

Naturalmente, da questo pantano mentale

s’innalza — sconcertante e insistente —

l’idea dell’immortalità. Ma anche se esistesse,

chi siamo noi per ridurre un concetto d’ infi-

nita magnitudine a una piccola cosa adattata

ai nostri desideri e bisogni, e, ancor più as-

surdamente, adattata alle irrazionali descri-

zioni religiose? Finora, non abbiamo ricevuto

prova né di anime immortali né di una vita

beata ed eterna nel “Regno dei cieli”; al con-

trario, abbiamo innumerevoli prove scientifi-

che che il nostro bellissimo cielo, in tutto il

suo splendore azzurro, non è altro che

un’illusione atmosferica; quello che c’è real-

mente al di là dell’azzurro è oscurità, e silen-

zio, e gelo.

Supponiamo per un momento, che siamo la

nostra anima immortale che dopo aver lascia-

to il corpo, s’innalza verso il cielo e, se siamo

stati buoni, verso il paradiso. Senonché, arri-

vati a destinazione, non troviamo altro che

buio pesto e gelido silenzio. Di tutti gli altri

miliardi di felici anime immortali e del para-

diso non c’è traccia. E se la nostra anima, con

un residuo di umana abitudine, incomincia a

percepire, a sentire? Allora sarà qui, in questa

oscura, gelida, e silenziosa eternità che la no-

stra anima vagherà senza sosta; sarà questa la

tanto agognata immortalità? Solo un tocco di

science-finction tanto per ‘alleggerire le cose,

però a questo punto, non sentiamo il desiderio

di ammettere che la nostra caducità e l’ im-

mortalità è una combinazione altamente irra-

zionale? Perché non ristabilire la nostra ra-

gione e coltivare una sana indifferenza per ciò

che ci aspetta dopo la morte?

Come già si è detto, sarebbe più saggio ac-

cettare il mistero, e vedere l’immortalità sem-

plicemente come un’altra illusione da intrat-

tenere con benevola ironia e non da accettare

come una futura realtà. Se possediamo una

consapevolezza critica delle nostre illusioni e

le riconosciamo come tali, potremo vedere —

e con assoluta chiarezza — tutti i nostri limiti.

Ed è appunto nel cieco desiderio di negare i

nostri limiti che diventiamo schiavi delle as-

surdità. Se abbiamo conservato la nostra

mente aperta all’ispirazione, alla bellezza, al-

la poesia e all’Arte, conservando intatto il no-

stro entusiasmo e amore per la vita, nonostan-

te tutte le miserie, le sofferenze e gli orrori

della realtà, sarà facile renderci conto che non

c’è poi questo gran bisogno dell’immortalità.

Nell’antica Grecia, l’idea dell’immortalità

— particolarmente con tutte le implicazioni

religiose e non dei nostri tempi — non sareb-

be certo stata presa in considerazione; infatti,

gli epicurei e gli stoici la negarono categori-

camente e pressappoco, con parole come que-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 34

ste: “….Andar dove dopo la morte? Ma non

c’è d’aver paura; torneremo da dove siamo

venuti, torneremo a ciò che è uguale a noi ,

agli elementi basici dell’universo: fuoco, ter-

ra, acqua e aria…” Senza dubbio, avranno

voluto dire che ciò che c’è in noi di fuoco si

riunirà al calore del sole, ciò che c’è di terra

tornerà a far parte della natura, ciò che c’è d’

acqua arricchirà gli oceani, ciò che c’è d’aria

volerà col vento….

Davanti a questa gloriosa razionalità, biso-

gna dire che tutte le nostre povere illusioni,

supposizioni, convinzioni, interpretazioni e

superstizioni, perdono quasi del tutto il loro

significato; ma non dobbiamo perderci d’

animo perché ci sono varie consolazioni: ve-

dere l’immortalità come espressione poetica e

come il più possente e misterioso dei miti;

poetico è anche vedere l’immortalità come il

perenne movimento degli atomi: nel nostro

universo non esiste il nulla; esiste invece l’

infinita energia cosmica che tutto combina e

trasmuta; tutte le cose passano, si disperdono

e spariscono, ma non si perdono; è consolante

pensare che, dopo la morte, nessun atomo del

nostro corpo cesserà di essere; sarà sempli-

cemente trasformato in altre cose, in altre

forme.

Più realisticamente, si potrebbe anche limi-

tare il concetto dell’immortalità alle grandi

opere d’Arte e di Letteratura e a tutte le fa-

mose imprese umane e scientifiche; natural-

mente, i personaggi illustri saranno immorta-

lati attraverso le loro opere; e qui verrà di

chiedere: “Ma ci sarà qualcosa dopo la morte

per noi comuni mortali? ” Una “consolazio-

ne” alquanto cinica ma efficace, sarebbe quel-

la di ammettere che se non abbiamo lasciato

nulla di sublime e importante ai posteri — e

questa è forse l’unica e razionale forma

d’immortalità possibile agli umani — allora

dovremo rassegnarci, e con nobile dignità, a

diventare dopo la morte, il concime del futu-

ro. E come “consolazione” di aver perso le

nostre belle illusioni, potremo pensare che il

concime sarà sempre molto utile e che da es-

so nasceranno pur sempre cose belle come i

fiori, gli alberi e l’erba….

Altra possibilità sarebbe “consolarci” con

almeno due delle recenti predizioni astrono-

miche: non si sa quando, ma il sole perderà a

poco a poco tutta la sua energia e calore e il

nostro pianeta si raffredderà fino ad essere in-

teramente sepolto sotto migliaia di chilometri

di ghiaccio; oppure, e non si sa quando, il so-

le si allargherà fino a coprire gran parte del

cielo per poi scoppiare come una Super Nova

e l’immenso calore scioglierà tutto il nostro

pianeta. In tutti e due i casi, noi non esistere-

mo più e così pure l’idea dell’ immortalità.

Fatali cataclismi, “consolazioni” e ironie a

parte, esiste una facoltà umana che, se colti-

vata in giusta misura, potrebbe liberarci da il-

lusioni e paure: l’orgoglio, cioè, dignità e ri-

spetto di noi stessi. Una facoltà preziosissima

questa che nondimeno, è stata soffocata, cal-

pestata e condannata dalla religione e da tutti

coloro in potere; sappiamo bene che per man-

tenere il potere e il controllo, di qualsiasi or-

ganizzazione, sia religiosa che sociale, ha bi-

sogno di schiavi; e cosa rende più schiavi

dell’assenza del nostro orgoglio e dignità? Se

abbiamo nutrito e preservato il nostro orgo-

glio, sarà impossibile inchinarci a qualsiasi

potere, e nessuno riuscirà a farci credere, e

ubbidire, a forza o per paura, a modi di pensa-

re e agire che vanno contro la ragione e la di-

gnità umana. Inoltre, sarà molto difficile esse-

re ingannati da false ideologie e da tutti le

ipocrisie sociali e religiose. L’orgoglio per-

sonale sarà anche il modo migliore per neu-

tralizzare e alleviare le innumerevoli ingiusti-

zie, dolori e offese che riceviamo.

Ritornando all’idea dell’immortalità, ren-

dersi conto che una vita felice dopo la morte

non esiste, non dovrebbe causare tristezza e

paura, al contrario, dovrebbe profondamente

intensificare il nostro amore per la vita. Se

riusciamo a pensare che l’immortalità, come

tanti altri sogni e desideri che anticipiamo

non si realizzerà, allora potremo provare un’

incredibile libertà della mente e dell’anima,

quest’ anima che morirà con noi ma che fin-

ché viviamo, si riempirà, anzi, traboccherà di

energia, di gioia e d’ispirazione.

Aida Isotta Pedrina

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 35

I POETI E LA NATURA – 49 -

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

L' “Autunno” di

Vincenzo Cardarelli

Vincenzo Cardarelli nacque il 1° maggio

1887 a Carneto Tarquinia, in provincia di Vi-

terbo. Non riconosciuto dal padre, prese il

cognome della madre, una modesta venditrice

di frutta e verdura (Caldarelli, poi modificato

in Cardarelli). Della mancanza dell'affetto pa-

terno soffrì drammaticamente per tutta la vita,

sentendosi un isolato e un infelice, a volte dif-

fidente e permaloso, trovando parziale con-

forto nella Poesia e nel giornalismo. A dicias-

sette anni, con sole sette lire in tasca, scappò

di casa e arrivò a Roma. Si mantenne errando

e vagando, e facendo vari mestieri. Finché

riuscì ad entrare, a ventun anni, nella redazio-

ne de L'Avanti. Maturò in quegli anni duris-

simi, tra le fatiche tenaci dell'autodidatta, la

sua formazione portata alla ribellione e alla

depressione. Occultata, quest'ultima, proprio

dalla intensa collaborazione a riviste letterarie

come “Il Marzocco” e “La Voce”, o a giorna-

li come “Il resto del Carlino”.

In seguito fonderà una propria rivista, La

Ronda, che vivrà dall'aprile 1919 al novem-

bre 1922. Arriverà a dirigere, per alcuni anni,

La Fiera Letteraria.

La sua misantropia venne ad accrescersi

anche a causa di uno sfortunato amore per la

passionale Sibilla Aleramo. La storia dei due

amanti, trasformatasi in una convivenza ne-

vrotica ed usurante, si rivelò esiziale per il

poeta, che alla fine rinunciò a comprendere il

mondo femminile, anzi, l'intero genere uma-

no...

Ho già commentato, di questo poeta, in una

precedente puntata, una poesia sui gabbiani.

A proposito di quest'ultima, mi permetto di

ricordare che i gabbiani simboleggiano l'ani-

mo vagabondo di Cardarelli, fortemente desi-

deroso di un ubi consistam ma impossibilitato

a trovarlo. Come non richiamare quei bellis-

simi versi:

“Non so dove

i gabbiani abbiano il nido

ove trovino pace.

Io son come loro

in perpetuo volo.

La vita la sfioro

com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.

E come forse anch'essi amo la quiete

la gran quiete marina

ma il mio destino è vivere

balenando in burrasca.”

Oggi, però, mi soffermo su un'altra signifi-

cativa composizione, quella dedicata all'Au-

tunno. Una poesia che ritengo centrale, nella

visione umana e poetica di Cardarelli:

“ Autunno. Già lo sentimmo venire

nel vento d'agosto,

nelle piogge di settembre

torrenziali e piangenti

e un brivido percorse la terra

che ora, nuda e triste,

accoglie un sole smarrito.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 36

Ora passa e declina,

in quest'autunno che incede

con lentezza indicibile,

il miglior tempo della nostra vita

e lungamente ci dice addio.”

E' patente la metafora sulla vita dell'uomo

che si rispecchia nei fenomeni della Natura,

nel susseguirsi delle stagioni e nel trascorrere

impassibile del Tempo.

La Natura viene “umanizzata”. Non si spie-

gherebbe adeguatamente, altrimenti, il fatto

che le piogge “piangano”, che la terra sia per-

corsa da un “brivido” e si senta nuda e triste.

Mentre il sole, addirittura, si senta “smarrito”.

Sentimenti che, in pari tempo, prova il poeta,

alla pari di ogni uomo che avverte, con sgo-

mento più o meno intenso, il passaggio del

suo corpo e della sua anima dal vigore dell'e-

state agostana ai primi freddi dell'autunno in-

cipiente, come un presagio dell'inizio della fi-

ne della propria vita, destinata ad inoltrarsi

nell'inverno. In questo caso, tra uomo e Natu-

ra c'è un avvicinamento fin nelle fibre più in-

time di una personalità, pur senza arrivare

agli estremi metamorfici dell'efficace logo di

questa rubrica mensile, disegnato a suo tempo

da Domenico Defelice.

In questa poesia sono concentrati i temi più

importanti e ricorrenti della poetica di Carda-

relli, come la precarietà del destino umano e

la solitudine dell'individuo, la mancanza della

felicità (anzi, della serenità) e l'inutilità di una

vita senza scopo e, soprattutto, senza il con-

forto della bellezza e della dolcezza.

Il poeta morì a 72 anni, il 18 giugno 1959,

dopo un mese di degenza, al Policlinico di

Roma.

Luigi De Rosa

IL RICHIAMO DEL FLAUTO

E’ il flauto che chiama

oltre i tormenti della mente,

suoni tenui, lunghe onde

catturano gli uditi.

Attenzioni si generano

tra la gente indaffarata,

un canto soave ti spinge lontano,

attratto da irrefrenabili impulsi.

La libertà si manifesta

tra gli schemi della prigionia.

Crescono ali su spalle dolenti,

la fantasia ruba i sogni.

È così che ora voli

attraverso la pace,

il silenzio interiore

diventa consapevole certezza,

mentre perfori le nubi

che credevi calde.

Brina la faccia,

gli occhi son vigili,

Finalmente appare il sole…

È un nuovo giorno,

gioia di esistere s’impossessa dell’anima.

Con te c’è Dio…

Non sei più solo.

Colombo Conti

ANIMA E CORPO

Bellissimo corpo

con magnifico seno

e fantastiche labbra,

sei forse specchio

di un’anima gagliarda

che i sensi nascondono?

Mostra

la tua bellezza interiore

che non intravedo

stordito dal piacere sensuale

e dal bello apparente.

Eugenio Morelli Da Il buio e la luce (The Dark and the Light) -

Streetlib, 2015.

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

23/9/2015

Riforma del Senato: Calderoli presenta 85

milioni di emendamenti! Alleluia! Alleluia!

Più modifiche delle stesse parole del testo di

riforma.

Domenico Defelice

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Recensioni

DOMENICO DEFELICE

A RICCARDO

(e agli altri che verranno)

Edizioni “ Il Convivio “, 2015, € 10,00, pagg.64

Il prodigio di un afflato poetico più incontami-nato, più condiscendente, educativo, proteso ad

esprimere soprattutto amore, si è verificato quel

giorno che non sarà mai tanto lontano; un giorno che è stato deciso dal destino tutti sapevano che

sarebbe arrivato, anzi avevano pronosticato che

sarebbe accaduto nel periodo del Segno della Bi-lancia, ma sei nato scorpione. Il 26 ottobre 2009 a

Roma, presso il “Sandro Pertini”, è nato Riccar-

do, il primo nipotino del Direttore Poeta Giornali-sta Scrittore Domenico Defelice. La sua mamma è

Gabriella Defelice, la figlia dell’autore di questo

florilegio non convenzionale, fuori da ogni cosa che sia stata già detta. In quel momento, o meglio

da quel momento è scaturita la meravigliosa vo-

glia di versificare per lui – e per quelli che ver-ranno –, perché con la poesia si possono spiegare

le ragioni della vita, i veri affetti, anche la tecno-

logia di questo nostro tempo che accorcia ogni di-stanza, le battaglie vinte o perse per restare in sua

compagnia, anche se lui, Riccardo, mette a soq-

quadro la scrivania del nonno che poi la sera: « (…) quando con mamma e papà/ t’allontani verso

casa;/ barelliere pietoso,/ sopra il campo raccol-

go ed accarezzo/ libri feriti./ Ho già nostalgia del nemico! » (A pag.27).

Se abbiamo apprezzato, prima di questo eclatan-

te evento, il poeta scrittore saggista Domenico

Defelice artefice di libri-inchiesta, libri-denuncia,

saggi d’ arte, poemi satirici di sapore politico ed

anche di un corpus poetico riguardante la condi-zione umana a contatto col dolore, dalla via crucis

di una malattia alla « “Resurrectio” di un riscatto

giustamente tutto umano, perché la vita, gli affetti sono un dono. » (Dall’Introduzione al libro di

Domenico Defelice “ Resurrectio “ di Maria Gra-

zia Lenisa, a pag.13). Ebbene, ora tutto è cambia-to, il suo orizzonte adesso ha mutato fondale e il

motivo è lui, Riccardo, somigliante molto negli

occhi alla trasparenza materna. Se prima di questo libro sapevamo poco o niente del circolo parentale

del Nostro Direttore, al presente siamo informa-

tissimi e coinvolti negli affetti suoi personali: an-che noi amiamo Riccardo e vorremmo stare al suo

posto, perché cresce e crescerà sui consigli impa-

reggiabili del nonno, il suo straordinario nonno che ogni giorno lo aiuterà a salire un gradino alla

volta la faticosa scala dell’ esistenza. Lo aiuterà a

capire, con o senza gli strumenti tecnologici, le contraddizioni, i diversi pesi e altrettante misure

che ci sono in questo mondo, lo illuminerà sul

concetto altissimo e cristiano della condivisione. «

È mio!/ L’affermi con forza,/ quasi con cipiglio./

Del possesso hai un concetto assoluto./ Tuo il ba-locco di chi ti sta accanto,/ che con te gioca e con

gli altri bambini;/ tue le strade anche, le case;/

tuo il cavalluccio nel parco/ sul quale dondoli;/ tua l’intera pubblica giostra./ Tuoi, naturalmente,

mamma e papà,/ la nonna e il nonno:/ se stai con

l’uno, gli altri scacci, escludi./ Come farti capire che mio/ sta bene insieme a tuo/ suo nostro vostro

loro?/ Gioia piena, ricchezza?/ Nessuna cosa è

bella nella vita,/ la vita stessa se non condivisa. »

(A pag.37).

Ogni poesia del florilegio riporta la data del suo

concepimento letterario e da ciò si misura il cammino interiore che c’è stato nell’autore, il

quale lo ha compiuto non da solo, ma grazie alla

preziosa presenza di Riccardo, che ricambia la dedizione del nonno con la sua naturalezza di

bambino, i suoi gesti spontanei e imprecisati che

catturano inevitabilmente chi gli sta accanto. In ogni poesia c’è un momento affettivo, un percorso

di vita, la quotidianità che si snocciola tra un ba-

locco e l’altro, le vacanze, il primo dentino im-

mortalato per sempre in una lirica che ne racconta

la storia. « Sei mesi e il primo dente,/ una bianca

piccolissima perla/ sull’ arco roseo della gengi-va./ Ti tormenti, metti tutto in bocca,/ osservi i ci-

bi quasi con voluttà,/ tu che costretto sei/ ad in-

goiare liquide pappine./ Nella vita, Riccardo,/ son poche le delizie,/ tanti i dolori e le rinunce./ Oggi

non te lo spieghi/ e ridi o piangi solo per istinto./

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Per poco ancora. In bocca la corona/ neppure in-

tera brillerà/ che avrai compreso già tanti perché.

» (a pag.23). Poi ci sono le foto a corredare le parole poetiche

e nel contempo narrative del nonno, che segue at-

tento la crescita di Riccardo da quando quel gior-no gli ha cambiato la vita con la sua nascita. Foto

in bianco-nero che raccontano di un bimbo il

giorno del suo battesimo, avvenuto il 23 gennaio 2010; poi Riccardo al mare nella sua privata pi-

scina gonfiabile; in braccio alla mamma Gabriella

raggiante; Riccardo che emula il nonno irrorando in campagna col suo innaffiatoio, in formato ri-

dotto rispetto all’ innaffiatoio di molti più litri del

nonno. Una complementarietà che si sostiene da sola, si alimenta da sola giacché il nonno ha biso-

gno di Riccardo per continuare a credere; e Ric-

cardo ha bisogno del nonno per iniziare a credere in questa vita così difficile per tutti; così come è

cosa ardua la saggezza che si raggiunge solo in

tarda età. « (…) Come farti capire/ che non è giu-sto/ tu l’abbia sempre vinta,/ che tutto non è bene

qual che chiedi,/ che l’ orgoglio sfrenato anneb-bia/ e la vita amareggia ed anche uccide./ Ancora

non distingui/ il giusto dall’ ingiusto,/ il bene e il

male./ Tocca a noi moderare le tue brame./ A co-sto anche di vederti piangere,/ a lungo lacrimare.

» (A pag.47). La seconda parte del libro è dedica-

ta all’altra coppia di sposi formata da Emanuela e Stefano (un altro figlio del direttore Defelice).

Dalla loro unione avvenuta nel settembre 2013 è

nato poi Valerio, nell’aprile di quest’anno 2015, la cui foto è apparsa nel numero di maggio del

mensile Pomezia-Notizie, ed anche la foto a colori

del primo incontro dei due bambini. Il cuginetto

di Riccardo quindi, e i due cresceranno insieme

sugli insegnamenti alti del loro incomparabile

nonno, che in loro vede il suo prosieguo. C’è stata un’occasione in cui nonno Domenico si è trovato

a spiegare per caso a Riccardo, la metamorfosi del

nuvolame. È stata un’occasione imperdibile e uti-lissima, in cui le nuvole sono servite come prete-

sto per tessere una metafora, più di una metafora;

un argomento importante per plasmare l’animo di Riccardo, per fargli amare il sole soprattutto

quando c’ è il bigio annuvolamento sinonimo an-

che di oscuramento intimo, e soprattutto per scor-

gere nelle nuvole il volto di chi abbiamo amato di

più in questa vita: « (…) È vero, io con la nuvola

ci parlo,/ ma è natura libera, Riccardo,/ e non conosce il potere dell’uomo./ Amale anche tu le

nuvole./ Un giorno, forse, tra le fàsmate/ scorge-

rai il mio volto. Pomezia, 29 marzo 2013 » (A pag.40).

Isabella Michela Affinito

RECITARSI UNA POESIA

Armonie

o vibrazioni

di parole

accarezzano

l'anima

eppure il corpo

e portano

anche sol per un momento

a sentire

percepire

pur serenità

e pace.

Il messaggio

che deve

arriva

con l'emozione

mano nella mano.

Che bello

recitarsi

e recitare

una poesia.

Michele Di Candia Inghilterra

MARIA GRAZIA LENISA

LETTERE

IL CROCO/ Pomezia Notizie – Luglio 2015

L’omaggio che Domenico Defelice ha dedicato a

Maria Grazia Lenisa pubblicando l’epistolario che

ha suggellato un rapporto trentennale di collabora-

zione e sincera amicizia, è un’ulteriore prova del suo voler testimoniare l’importanza di chi ha segna-

to la vita artistico/letteraria del nostro paese.

Maria Grazia Lenisa è stata uno dei personaggi più conosciuti nel campo poetico/letterario e ci ha

lasciato opere di grande rilievo che determinano la

sua capacità creativa e il suo imporsi con temi a volte ardui, ma che hanno dato una scossa alla poetica del

tempo. Una voce determinata, chiara, sincera, che il

maledetto cancro non ha saputo far tacere, anzi, Ma-

ria Grazia ci ha donato dei versi che insegnano a

giocare con l’ironia anche nei momenti più oscuri.

L’amore per la poesia si può dedurre dalle lettere spedite a Domenico Defelice, dapprima referenziali

e poi sempre più amichevoli e complici di un inte-

resse che li accomunava. E’ un epistolario corposo, dal quale emerge la

personalità della Lenisa (che si concede senza pa-

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raventi) e che denota la differenza tra la donna e la

poetessa. Infatti, con la relazione di amicizia è più

aperta e socievole, mentre per la materia poetica il suo giudizio è ben più severo. Essendo addentro al

mondo letterario Maria Grazia poteva evidenziarne

i molti aspetti negativi. La condizione del poeta è sempre stata particolare

ma nella società odierna, sovraccarica di materiali-

smo, assume un ruolo che rasenta l’utopia. Maria Grazia Lenisa sa quanta delusione e amarezza si ri-

scontrino nel cammino, ma non può fare altrimenti

perché la passione non si può spegnere e scrivere diventa vitale.

Nelle ultime lettere appare l’ombra della malattia

ma la sua vena creatrice è più forte e con tenacia e coraggio Maria Grazia affronta anni di cure e di

sofferenza. Sino all’ultimo ha pensato ai suoi libri:

“Sta battendo Francesca il mio primo romanzo. Cerco di fare in fretta.”, e con la poesia A TE ci la-

scia dei versi indimenticabili.

Laura Pierdicchi

TITO CAUCHI

ISOLA DI CIELO U.M.E. edizioni, 2005, 58 pagg., € 7,00

La pagina più difficile in assoluto di un libro,

qualsiasi ne sia il contenuto, è sempre la prima: la copertina col titolo.

È un concetto da me già espresso in altre occasio-

ni, recensendo, e intendo ribadire il concetto perché è davvero importante.

Il titolo non deve essere né banale né oscuro. De-

ve poter suggerire una parte del contenuto, ma sen-

za svelare il finale, suscitando la curiosità del letto-

re.

La canzone diceva e non diceva, cantava Paolo Conte in Boogie boogie, forse la canzone più spu-

dorata del celebre autore del Il Cielo in una stanza.

Eppure Conte aveva ragione. Questo testo, ennesima silloge poetica di Tito

Cauchi, è forse l’opera migliore di questo Poeta

coevo, che pure tanto ha già detto – e non in modo banale!

Isola di cielo è il titolo di una delle tante (52, per

l’esattezza) liriche qui contenute. E, nonostante il

titolo, è una poesia terra terra e molto pedestre.

Non in senso negativo, però.

Gli angeli/ sono milioni di milioni/ sono i più po-veri e i più soli (Lucio Dalla).

L’immenso Dalla, scomparso di recente, ha sapu-

to rendere con questi pochi versi un’idea estrema-mente corretta e corrispondente all’attuale realtà in

cui siamo costretti a vivere.

Isola di Cielo, come silloge, ci parla appunto dei

più poveri e più soli, dei milioni di Fratelli Minori

che nessuno vede mai ( ma solo in apparenza) di sé e di ciò che gli capita o di chi gli sta accanto… ma

con la mente rivolta sempre a qualche altra cosa

che pure esiste, anche se è fisicamente lontana dall’Autore.

Come sarà possibile rompere/ le barriere, quan-

do non si è/ capaci di tendersi due mani? (da: Compagno camerata, pag. 46).

Questi tre versi non necessitano certo commenti.

Cauchi, lo si voglia ammettere o no, è, come Poeta, epigone di Gandhi e di Socrate. Vede e riflette,

pensa a tre dimensioni. Pare sia uno sciocco o un

distratto, ma intanto usa occhi e cervello e prende nota.

Di sillogi poetiche ne ho lette e recensite tante,

ma questa merita di stare in cima alla lista. Un po-sto altissimo e che non sono disposto a concedere al

primo che passa perché, come lettore, sono esigen-

tissimo, e come recensore non guardo in faccia a nessuno.

Da leggerla con molta attenzione ed una buona

scorta di fazzoletti a portata di mano. Non è affatto

detto che la lettura strappalacrime sia roba risibile e

scontata!

Andrea Pugiotto

IL TEMPIO, AIUTAMI A SPAZZARLO

Mi dici che sono il Tuo Tempio.

Una topaia l’ho ridotto, un porcile.

Aiutami a spazzarlo

nel lasso di tempo che mi resta,

a spargerci cedrina e lavanda.

L’anima ha ferite sanguinanti

e la veste sdrucita,

ma le medaglie opache

che il mondo mi ha donato

risplenderanno come e più del sole

se ci passi le dita.

Domenico Defelice

RESPIRAR-MI

Per vasti vivi silenziosi spazi

di questi tempi vado

a ritrovare il canto

del pensiero mio

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in materia smarrito

e liberar la voce mia

con tutta la luce che c’è

respirando di più

con L’Anima.

Michele Di Candia Inghilterra

TERESA TIERRA YERMA

Cuando el amor

não me sonríe,

mi corazón

no canta.

Ni yo, ni tu veremos

Este cielo Teresa

Mi querida, cuando

Seremos tierra yerma.

Tito Cauchi Tradução feita por Teresinka Pereira USA

Primo Maggio, Festa del Lavoro 2014

GIORNO DEI LAVORATORI

Alzare il salario minimo

non accadrà

senza sciopero.

Primo Maggio è la Festa del Lavoro

in tutto il mondo,

tranne negli USA.

In altri paesi la gente

andrà ad applaudire

i lavoratori sfilano per le strade

mentre le fabbriche e gli uffici

sono chiusi per la festa.

Non vi è una domanda di

un aumento del salario minimo.

Il sindacato fornisce la forza.

Lo sciopero insieme con il

sostegno pubblico che costringerà

le aziende a pagare di più.

Lavoratori: Io voto per te

il Primo Maggio 2014!

Teresinka Pereira USA - Trad. dall’inglese di Giovanna Li Volti

Guzzardi, Australia.

HAZAÑAS DE CUPLEAÑOS

Para Domenico Defelice

3 de octubre, 2015

Al derecho y al revés

tenemos que equlibrar

los añelos y las ilusiones.

Los cumpleaños

son realidad legítima

de celebrar con orgullo

por lo que ya cumplimos

y de determinación

a los que debemos enfrentar.

Que en ese día especial

haya mucha alegría

para ensartar

la esperanza.

Teresinka Pereira USA

AVREI VOLUTO SCEGLIERE

Avrei voluto scegliere

il giusto momento

tra me e te

per lasciare che la mia mano

lasciasse la tua

Avrei voluto darti il mio fiato

per aggiungere un altro respiro

al tuo momento

Avrei voluto

che il mio tempo si fermasse

allo scadere del tuo attimo.

Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.

CONCEPIRE IL PASSATO

Concepire il passato

nei frammenti colorati

che nell’insieme riunivano

il nostro esistere

è riassorbire il denso

calore del contatto

al di fuori del tuo

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e del mio fiato

che nell’insieme erano

inizio e fine

di un unico sentire.

Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE ESPERANTO E INTERLINGUISTICA - Espe-

ranto e interlinguistica: conferenza-dibattito di

notevole interesse - Importante evento culturale a

Frosinone martedì 29 settembre 2015. Con il patro-

cinio dell’Amministrazione Provinciale e sotto l’

egida dell’Accademia Teretina di Frosinone, il prof.

Amerigo Iannacone ha parlato dei seguenti temi: •

Che cos’è l’Esperanto; • Quando viene usato; • Formazione della parole; • Fonetica, Lessico e Nu-

meri. Oltre ai saluti del Presidente dell’Accademia

Teretina, Preside Prof. Lino Di Stefano e il Segreta-rio dell’Accademia Teretina, Prof. Umberto Caper-

na – c’è stato l’intervento della D.ssa Michela Lipa-

ri, Presidente della FEI, Federazione Esperantista Italiana. È seguito un dibattito. La conferenza si è

svolta alle ore 16:30, nel Salone della Provincia,

Piazza Antonio Gramsci. L’incontro, aperto a tutti,

ha costituito un’occasione per riflettere sulla comu-

nicazione in generale e sulla comunicazione inter-

nazionale in particolare, sui codici linguistici e su ciò che li regola, e per saperne di più sull’esperanto,

una lingua bella e al tempo stesso razionale, estre-

mamente facile anche per persone di cultura limita-ta o che abbiano poca predisposizione per le lingue

o poco tempo per studiare. Una lingua, derivante

per più del sessanta per cento dal latino, che riesce

più di ogni altra a esprimere in modo semplice ogni sfumatura di significato. Nato più di un secolo fa

dall’intuizione del polacco Ludwik Lejzer Zamen-

hof, l’esperanto è oggi conosciuto da milioni di per-sone nei cinque continenti e può vantare una vasta

letteratura originale e tradotta. Corsi gratuiti si pos-

sono trovare anche su Internet. ***

GILDA ANTONELLI - Da anni non avevamo più

notizie della poetessa molisana (di Venafro) Gilda

Antonelli. Così è stata una sorpresa, il 9 ottobre

scorso, ricevere una sua lettera (spedita il 20 agosto

2015), come per il passato quasi indecifrabile, pa-sticciata, come sono state sempre le sue missive,

vergate d’impeto, d’istino, nella quale ci ricorda gli

amici Saverio Scutellà (Delianova 1910 - Roma 1992) - “Come è bello sto Tamburino! Molto Bel-

lo!!!!” -, Ada Capuana (Catania 1908 - Roma

1999) - “Vedo spesso pure le foto di Ricordo men-tre ritiravo il premio POMEZIA NOTIZIE dalle

mani della Signora ADA CAPUANA!!!” -, l’Editore

Vincenzo Lo Faro eccetera, accennando a una sua

venuta a Pomezia, in occasione di una cerimonia

del Premio Internazionale Letterario della nostra Città. In allegato, ci fa avere, attaccate con l’ adesi-

vo, fotocopie di foto, un disegno di Scutellà, una

poesia dello stesso, una sua dedicata alla memoria del pittore calabrese e una dedicata a lei da Sara De

Vento. Ma le è proprio difficile inviarci quello che

vuole senza pasticciare i fogli, tagliarli e incollarli con l’adesivo, senza scrivere, addirittura, sulle stes-

se foto, senza, cioè, rendere il tutto come se fosse

raccattato dalla pattumiera? Ecco, comunque, di se-

guito, le poesie e il disegno allegati.

IL TAMBURINO

Il rullo del tamburo è tutto a festa,

saluto per chi lascia le frontiere, delizia per chi ama e per chi resta:

qui danzano leggiadre le chimere.

Rulla, o giovinetto, al tuo stromento

per ridestar le gioie a le vestali;

fuggan dai petti l’ira ed il tormento:

torni la pace ai lidi floreali!

Si spiegan salmi e danze sui sagrati, le strade si pavesino a bandiere:

si faccia d’ogni nome apologia.

Issate i gonfaloni, in signoria,

le Muse del Parnaso messaggere

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nei loro versi esprimono gli afflati.

Rulla, mio tamburino, in re maggiore, qui stanno i vati, figli del Signore.

Saverio Scutellà

A SAVERIO SCUTELLÀ

Alla cara memoria

E guardo ancora i tuoi dipinti

“Il Tamburino” che suona sorridendo.

“I cavalli al galoppo” nella pianura. “Gli alberi” nel trionfo della fioritura.

“Il contadino” che zappa la terra.

E tu riposi adagio sugli allori

che circondano il recinto del camposanto.

Ora pare che quei cavalli non hanno più il loro padrone.

Quel contadino non ha più vigore per zappare le sue terre.

Quel tamburino ha perso la gioia

e più non suona, più non sorride. I tuoi personaggi, immortali sulle tele,

parlano di te e piangono

per il tuo destino.

Saverio Scutellà, Maestro d’arte

di pittura, poesia e di tutte

le cose belle che creavi sei sempre in mezzo a noi

e tu dal cielo insegnaci

la via per il cammino con le muse.

Gilda Antonelli

Venafro, Is

A GILDA

Quando fiorivano le giacarande Tu appartenevi al vento.

Il dolore dell’esistenza

Non conoscevi ancora... Era soltanto un pensiero

Nella mente feconda.

Poi arrivò la furia devastante Come un inverno incoerente

E fasciò di gelo i sogni.

Cercasti invano te stessa

Nello specchio, interrogando la luna

Offuscata dalla tristezza. Sai? Anche i fiori talvolta

Appassiscono per la bufera

E non sanno capire il dolore che fa reclinare lo stelo.

Ma arrivò la piena del tempo

Per sbiadire le violenze dell’anima. Ed ora le tue giacarande

Sono fiorite a dispetto del gelo.

Tu sei come una coccinella tenace

Che conquista decisa

La cima della quiete e

La vetta delle muse.

Sara Del Vento

***

PREMIO NAZIONALE “HISTONIUM” POE-

SIA-NARRATIVA XXX EDIZIONE 2015

PRIMO PREMIO ASSOLUTO – SEZIONE E

ad IMPERIA TOGNACCI di Roma per libro edi-to di poesie “Là, dove pioveva la manna” (Edi-

zioni G. Laterza) Con la seguente motivazione:

“Poesia come occasione per spostare il visibile in

una sfera di elevazione che riconcilia il soggetto

con il suo io, permettendogli una risalita verso spazi

d’infinito, un viaggio dell’anima che, nella compo-sizione armonica di elementi reali e spirituali, libe-

rati nel transito da scorie di vissuto, assurgono a so-

stanza valoriale che si rappresentano in un misto di saggezza orientaleggiante e di cultura come base

acquisita per sfiorare a tratti l’Assoluto. La rievoca-

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zione lineare, la parola ferma e l’attenzione posta al

profondo delle cose fanno di questa raccolta un’ opera strutturalmente matura ed organica, secondo

un dettato tenuto insieme da connessioni formali e

tematiche, mai soggette a interruzioni, in una pro-gettazione raffinata di toni, di rimandi, di pregevoli

effetti lirici e di spunti formativi che si aprono alla

meditazione”. ***

Premio “Antonio Filoteo Omodei” 2016, Sca-

denza: 15 febbraio 2016 - L’Accademia Interna-

zionale “Il Convivio”, in collaborazione con il

Museo Valle Alcantara e la rivista internaziona-

le Il Convivio, bandisce la quattordicesima edi-

zione del premio “Antonio Filoteo Omodei”

2016, cui possono partecipare autori sia italiani

che stranieri nella propria lingua o nel proprio

dialetto. Il premio si articola: 1) Poesia inedita a

tema libero in lingua italiana (cinque copie). 2)

Poesia inedita a tema libero in lingua dialettale -

con traduzione (cinque copie). 3) Silloge di poesie

senza limiti di versi, ma che comprenda almeno

30 liriche, ordinate in 5 fascicoli, pena l’ esclu-

sione (cinque copie). 4) Libro edito in lingua ita-

liana o in dialetto: poesia, romanzo o raccolta di

racconti, saggio (tre copie, di cui una con gene-

ralità). 5) Pittura e scultura (si partecipa inviando

due foto chiare e leggibili di un’opera pittorica o

scultorea). 6) Poesia inedita in lingua italiana o

dialettale a tema religioso (cinque copie).7) Rac-

conto inedito, max 6 cartelle corpo 12 formato a4

(cinque copie). 8) romanzo, raccolta di poesie o di

racconti inediti per e-mail (inviare una copia cor-

redata di generalità e recapiti all’indirizzo e-

mail: [email protected], enzaconti@ ilcon-

vivio.org). Premiazione: Verzella, in provincia di

Catania, nel mese di giugno 2016. Gli elaborati

vanno inviati alla Redazione de “Il Convivio”:

Premio “Antonio Filoteo Omodei”, Via Pietramari-

na–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Ai vincitori e ai partecipanti sarà data

comunicazione personale dell’esito del premio. I

premi devono essere ritirati personalmente. La

partecipazione al concorso è gratuita per i soci*

dell’Accademia Il Convivio. È richiesto invece

da parte dei non soci, per spese di segreteria, un

contributo complessivo per partecipare a tutte le se-

zioni di euro 10,00 (o moneta estera corrispon-

dente) da inviare in contanti. Per bando completo

e informazioni: tel. 0942-986036, cell. 333-

1794694, e-mail: [email protected]; an-

[email protected]; sito: www.ilconvivio.org ***

Premio per silloge inedita “Pietro Carrera”

2016, Scadenza: 30 dicembre 2015 - L’ Accade-

mia Internazionale Il Convivio, al fine di divulga-

re la poesia italiana, bandisce il Premio “Pietro

Carrera” per la silloge inedita. Il concorso si arti-cola in una sezione unica. Si partecipa con una sil-

loge inedita composta da un minimo di 32 poesie

ad un massimo di 80 poesie. Si ammette al concor-so anche la forma del poema, lungo o breve. Posso-

no partecipare anche sillogi nei vari dialetti d’Italia

purché rechino una traduzione in lingua italiana. Esclusivamente per le opere in dialetto l’opera deve

essere composta da un minimo di 32 a un massimo

di 40 poesie (escluse le traduzioni). La silloge deve

rimanere inedita sino alla premiazione, pena l’

esclusione e revoca del premio. Modalità di par-

tecipazione: l’opera deve pervenire alla segreteria

in 4 copie delle quali 3 anonime e una recante dati e

recapiti dell’autore. Ogni autore può partecipare con una sola silloge. Ogni copia deve essere punti-

nata o fascicolata. Chi è impedito a spedire le co-

pie cartacee può inviare la silloge per e-mail a

[email protected] oppure a enza-

[email protected] allegando un curriculum,

copia dell’avvenuto versamento. La partecipazione

al concorso è gratuita per i soci dell’Accademia Il

Convivio. È richiesto invece da parte dei non soci,

per spese di segreteria, un contributo di euro

10,00 da inviare in contanti oppure da versare

sul Conto corrente postale n. 93035210, intestato

Accademia Internazionale Il Convivio, Via Pietra-marina, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia Iban IT 30

M 07601 16500 000093035210. Premiazione:

primavera 2016. Premi: per il primo premiato ver-

rà pubblicata gratuitamente la silloge conse-

gnando all’autore un numero di 50 copie in

omaggio. Gli elaborati vanno inviati a: “Il Convi-

vio” Premio “Pietro Carrera”, Via Pietramari-

na–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia

(CT) - Italia. Per bando completo e informazioni: tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: enza-

[email protected]; giuseppemanitta@ ilconvi-

vio. ***

ELENA MILESI CI HA LASCIATO - Ricevia-

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mo, dalla poetessa Paola Insola di Torino, notizia

che il 9 ottobre, a Bergamo, è morta la poetessa

Elena Milesi. Era nata a Villa d’Adda. Socia del Cenacolo Orobico di poesia (Bergamo), Accademia

dell’Ateneo di Bergamo per la classe di Lettere ed

Arti, cofondatrice dell’Associazione culturale Ro-sella Mancini (Roma), Presidente dell’ Associazio-

ne Amici Pittore Giuseppe Milesi, in versi ha pub-

blicato: “Silloge per Neri” (1983), “Quando na-sciamo un’altra volta” (1984), “Ragazze/i nel qua-

derno” (1985), “La notte, l’albicocca e altro”

(1986), “In fa” (1986), “Paggio Regale” (1989), “Svoli di semi” (1990), “Paggio in viaggio” (1991),

“Ebdomada” (1991), “Natale/Noël” (1992), “Tris”

(1993), “Dicembre/Décembre” (1993), “Il poemet-to del funaio” (1994), “Viene il vento” (1995),

“Acqua di cascata” (1997), “Le semainier” (1998),

“NeroRossoOro” (1999), “Textum” (1999), “Ordi-nario 2000” (2001), “Che si chiamava Cloto”

(2003), “Alla riva” (2005), “Il carro di Amore”

(2006), “Introìbo ad 2007” (2007), “E popoli miti” (2007), “Il tempo abissale” (2009), “Come dicono a

Parigi “C’est la Vie!” “ (2010), “Il quaderno della

sfida” (2014). Confortata da consensi critici, ampia

bibliografia e numerosi premi letterari, tra i quali

amava ricordare: il Premio della Critica a Penne (Pescara), il Premio Les Amis de la poesie a Berge-

rac, e i premi-pubblicazione a Vercelli, Marina di

Carrara, Palermo; il Premio del quinquennale de “Il Lago Verde” Casazza (Bergamo). Per “Paggio Re-

gale”, “Paggio in viaggio”, “Tris”, tre volte segna-

lata e finalista al San Pellegrino Terme. Paola Inso-

la ha promesso di ricordarla con una sua nota:

“Quanto prima - scrive in una e-mail del 18 ottobre

scorso - ti invierò due belle fotografie, una degli

anni "giovani" e l'ultima, scattata in occasione del-

la mia ultima visita a Bergamo. Elena aveva in

mano il "quaderno" che è poi stato stampato come il suo ultimo libro IL QUADERNO DELLA SFIDA,

recensito da personaggi molto più autorevoli di me,

sul tuo giornale. Comunque farò la mia parte criti-ca, ma non subito: sono molto occupata nelle bi-

blioteche di Torino per il lavoro sui Poeti nella

prima guerra mondiale. Ti manderò quindi le foto-grafie tramite la fotografa, in modo da renderle

pubblicabili in modo ottimale. Invece, con la noti-

zia del decesso, se ancora sono in tempo, ti invio una poesia, scritta negli anni '80. Si tratta di un

gioco linguistico e affettivo che coglie attimi, suoni

e parole, titoli e contenuti dei libri della poetessa Elena Milesi.”

RENDEZ - VOUS

Bolle e ribolle

pentola scarlatta folle / magico

destino

"Quando nasciamo un'altra volta"

sul tandem andremo fischiettando

incuranti della gente un motivo scoppiettante.

La bruna e la bionda

amiche per la pelle

sembreran sorelle

pedalando tra le stelle.

Bolle e ribolle

pentola scarlatta

confettura di albicocche.

Paola Insola

***

IL SAGGIO DI DI LIETO SU LEOPARDI

PRESENTATO A NAPOLI - Giovedì 29 ottobre

2015, alle ore 17, l’Istituto Italiano per gli Studi Fi-

losofici - Palazzo Serra di Cassano, via Monte di

Dio 14, Napoli - ha presentato il saggio di Carlo Di

Lieto Leopardi e il “mal di Napoli” (1833 - 1837),

una “nuova” vita in “esilio acerbissimo”, edito dalla Genesi di Torino nel 2014. L’indirizzo di sa-

luto è stato di Fabio Corvatta, Presidente del Cen-tro Nazionale Studi Leopardiani di Recanati. Con l’

Autore sono intervenuti: Alberto Folin, membro

Page 45: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 45

della giunta esecutiva del Comitato scientifico del

Centro Nazionale Studi Leopardiani di Recanati;

Luigi Mazzella, scrittore, vice presidente emerito Corte Costituzionale; Giovanni Ramella, direttore

Centro Pannunzio, Torino; Sandro Gros-Pietro,

scrittore, editore Genesi, Torino; Mauro Gianca-

spro, scrittore; Antonio Filippetti, giornalista,

scrittore. Hanno dato il loro patrocinio: Comune di

Napoli, Rotaract - Rotary Club Partner Napoli Sud Ovest; Centro Nazionale di Studi Leopardiani Re-

canati; Istituto Culturale del Mezzogiorno Liberi in

poesia; Federazione Unitaria Italiana Scrittori; Lec-tura Dantis Metelliana; Biblioteca Nazionale di Na-

poli.

***

CON 'EUMENIDI' IL GESTO TEATRALE DI

VINCENZO PIRROTTA SCARDINA I PA-

RAMETRI INTERPRETATIVI DEL TESTO

DI ESCHILO - Al Teatro Olimpico di Vicenza si

è svolto, tra settembre ed ottobre 2015, il 68° ci-

clo di Spettacoli Classici 'I Fiori dell'Olimpo', sot-to la direzione artistica di Emma Dante. In cartel-

lone tanti eventi prestigiosi, singolari, problemati-

ci, come queste 'Eumenidi' di Eschilo trasportate

nell'antica lingua siciliana del 'Cunto' dal regista

Vincenzo Pirrotta, di Partinico. Non potendo pre-senziare allo spettacolo, utilizzo qui alcune parti

dell'intervista che la giornalista del settimanale on

line 'La Domenica di Vicenza' Elena De Dominicis ha intrapreso con il regista, attore in primo piano ed

autore del testo 'Eumenidi' edizione del 2015, la cui

sceneggiatura con intersezioni di ritmi di varia pro-venienza è stata elaborata in modo esclusivo per

questa occasione. Alla domanda che tocca il tema

della costante attualità delle tragedie greche, do-

manda chiara, incisiva, problematica, perché legata

in questo caso, per il tema delle 'Eumenidi', alla co-

stituzione di un tribunale di giustizia, il regista Pir-rotta sostiene: “… In genere si fa risalire la nascita

del tribunale degli uomini a questa ultima parte

dell'Orestea. Io mi sono molto interrogato, anche quando lo scrivevo e c'erano molte cose che non mi

tornavano: questa nascita della giustizia si fonda su

un compromesso. Se andiamo ad analizzare bene quello che succede (e io infatti ho cambiato il finale

apposta per provocazione su questo argomento),

Atena non decide, istituisce il tribunale degli uomi-

ni... i quali uomini decidono di non scegliere, danno

una sentenza di parità e c'è questo monologo di

Atena in cui sembra veramente di sentire un vec-chio democristiano doroteo sul senso del compro-

messo, del non inimicarsi nessuno, del patteggiare e

di comunque galleggiare su cose ambigue pur di non scontentare nessuno. Le Erinni stesse, che era-

no state create per inseguire gli assassini, nascono

dal sangue di Cronos che viene evirato, si sottrag-

gono al loro compito e accettano di diventare Eu-

menidi. Nessuno ha mai pensato a questo fatto, loro lo dicono, ad un certo punto: oggi è morta la giusti-

zia. Tuttavia accettano di diventare Eumenidi. Que-

sta analisi mi ha portato assolutamente a capovol-gere il senso che viene dato a 'Le Eumenidi', in cui

si dice che c'è il fondamento della giustizia, io in-

vece dico che, nel monologo finale a cui tu accen-navi, che questa terza parte dell'Orestea, in realtà,

rappresenta la morte della giustizia perché il tribu-

nale si fonda sul compromesso”. Alla osservazione della giornalista: “Sei partito dal documentario

'Appunti per un'Orestiade africana' di Pasolini”, il

regista risponde: “Ho preso spunto da quello ma soprattutto sono partito dalla traduzione di Pasolini

che ha fatto dell'Oreste per Vittorio Gassman al

Teatro Greco di Siracusa nel 1960. Mi piace perché era piena di rimandi alla modernità; questo per par-

lare di un mondo nostro di riferimento, di quotidia-

nità anche non apertamente detta ma che, tra le ri-ghe, vorrei ogni sera far arrivare agli spettatori. Qui

abbiamo una tragedia statica: sono soltanto le Erin-

ni che rincorrono Oreste e che lo vanno a scovare

dapprima nel tempio di Apollo a Delfi, poi nel tem-

pio di Atena. Non succede altro. Quello che mi in-teressava era mostrare agli spettatori questa ferocia

delle Erinni, questo inseguimento che arriva al suo

apice in quel coro come se fosse una tarantata, co-me dei pugni che arrivano ad Oreste che è dentro al

cubo e che sente arrivare queste parole come degli

schiaffi. Gli spettatori devono sentirsi coinvolti co-me se fossero essi stessi Oreste. Partendo da questo

ho lavorato sul recupero di alcune tradizioni svilup-

pandole...”

Importante allora risulta anche il rimando all'inter-

vista della De Dominicis al Maestro Mimmo Cu-

ticchio, che guida il teatro popolare del 'Cunto', protetto ed individuato come patrimonio e bene

immateriale dall'Unesco, ed alla cui scuola è cre-

sciuto anche il regista Pirrotta, per poi dirottare verso un'autonomia da vero sperimentatore, auda-

ce e perentorio, riflessivo e caustico, esplosivo e

deviante, nell' avventura del corpo e della voce, del gesto e delle sonorità più toccanti, onde anda-

re a sconvolgere l' assetto di sicurezze prefissate

che abita lo spettatore anche nel nostro tempo.

Non potendo assistere allo spettacolo olimpico,

mi sono guardata in rete le parti della versione di

'Eumenidi', allestita per la Biennale di Venezia nel 2004 e la sua è lingua che nasce dal ventre e si fa

storia, appropriandosi della tradizione per diven-

tare poi altra cosa, nuovo con-testo che porta la sua firma.

Ilia Pedrina

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 46

LIBRI RICEVUTI ISABELLA MICHELA AFFINITO - Insolite

composizioni - VIII° volume - In copertina, “La

moderna donna - Albero di Klimt” realizzazione grafica dell’Autrice, completamente effettuata a

mano con pennarelli di varia grandezza - Ed. Cena-

colo Accademico Europeo Poeti nella Società, 1972 - Pagg. 52, e. f. c.

**

ISABELLA MICHELA AFFINITO - Dalle radici

alle foglie alla poesia - Poesie - In copertina, a co-

lori, “Gli Alberi: La Natura con una mano li crea,

con l’altra li decora e con la mente li sviluppa” del-la stessa Autrice - Edizioni EVA, 2015 - Pagg. 112,

€ 12,00. Isabella Michela AFFINITO è nata in Cio-

ciaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha fre-quentato e completato scuole artistiche anche a li-

vello universitario, quale l’ Accademia di Costume

e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termi-ne della quale si è specializzata in Graphic Desi-

gner. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfon-

dendo la storia e la critica d’arte, letteraria e cine-matografica, l’antiquariato, la fotografia, la storia

del teatro, la filosofia, l’egittologia, la storia in ge-

nerale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha inizia-to a prendere parte ai concorsi artistico-letterari del-

le varie regioni italiane e in seguito ha partecipato

anche a quelli fuori dei confini d’ Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Letteraria Italo-

Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite

quasi 50 raccolte di poesie e un volume di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori

del nostro panorama contemporaneo culturale e so-

vente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierno del passato, delle pro-

blematiche legate alla sua travagliata emancipazio-

ne. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripro-pone le infinite donne da lei ritratte nei versi per

continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inseri-

ta in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8

Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Clu-

vium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) ecce-tera. Sempre sul tema della donna ha scritto un sag-

gio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademi-

ca, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei

Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte

riviste, è presente in Internet con sue vetrine poeti-che. Tra le sue opere: “Insolite composizioni” - vol,

VIII (1972), “Viaggio interiore” (2015).

** FRANCESCO LEPRINO - Un gioco ardito -

DVD - Dodici variazioni tematiche su Domenico

Scarlatti (1685 - 1757: 250 anni nel 2007 - Film, Ita-

lia - Portogallo - Spagna, 2006 - Durata 98’ - Regia e sceneggiatura di Francesco Leprino, produzione Al

Gran Sole, Milano. Musiche di Domenico Scarlatti

reinterpretate ed elaborate da: Arrigo Cappelletti, Alfredo Casella, Azio Corghi, Giovanni Falzone,

Giorgio Caslini, Ruggero Laganà, Fabio Nieder,

Le Orme, Maurizio Pisati, Salvatore Sciarrino, Javier Torres Maldonado, Isa Traversi, Massimi-

liano Viel. Clavicembalo: Ruggero Laganà; Intervi-

ste a: Enrico Baiano, Emilia Fadini, Gustav Leon-

hardt, Roberto Pagano, Giorgio Pestelli, José Sa-

ramago, Salvatore Sciarrino. Con il patrocinio di:

Società del Quartetto, Milano - Centro di Musica An-tica, Napoli - Conservatorio San Pietro a Majella,

Napoli - Orchestra e Coro Giuseppe Verdi, Milano.

Francesco LEPRINO, musicista, musicologo, orga-nizzatore musicale, ha pubblicato dischi, volumi e

saggi musicologi. Dal 1995 si è occupato di audiovi-

sione, tenendo corsi universitari, seminari e confe-renze e soprattutto realizzando video, documentari e

film antologici e sperimentali fra i quali segnaliamo:

“L’ ascolto dell’immagine” (1995, 120’), “Clips und

Klang” (1998, 60’), “...In cento ben pugnate batta-

glie...” (2001, 100’), “In casa mia v’aspetto! Mozart a Vienna” (2005, 90’), “Sul nome B.a.c.h.” (2011,

120’), “O dolorosa gioia” (2015, 90’). Tali video

hanno avuto lusinghieri riscontri critici, sono stati se-lezionati in autorevoli festival, trasmessi da RAIl e

RAISAT Cinema e proiettati in oltre un centinaio di

prestigiose istituzioni in Italia, Germania, Danimar-ca, Canada, Belgio, Olanda, Svezia, Portogallo,

Spagna, Stati Uniti.

**

EUGENIO MORELLI - Il buio e la luce (The

Dark and the Light) - Raccolta di poesie (Collec-

tion of poems) Testo inglese a fronte (Facing-page translation) - Ed. Streetlib (senza data publicazione,

forse 2015) - Pagg. 90, € 6,50. Eugenio MORELLI

(Trieste, 29 agosto 1946) è un medico, poeta, scritto-re, saggista e critico d’arte italiano. Vive e lavora a

Conegliano (TV). Nella sua vita ha pubblicato più di

venti opere letterarie, principalmente di poesia, vin-cendo numerosi premi, tra cui il “Premio della Cultu-

ra” della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la

narrativa. Inoltre per questi suoi lavori è stato insigni-

to del titolo di Cavaliere Ordine al merito della Re-

pubblica Italiana, di Ufficiale Ordine al Merito della

Repubblica Italiana nonché dell’ Attestato di bene-merenza al merito della sanità pubblica.

**

MARIAGINA BONCIANI - Sogni - In copertina, a colori, “Sogni” (1896), di Vittorio Matteo Corcos;

Prefazione di Giuseppe Manitta - Ed. Il Convivio,

Page 47: Pomezia Notizie 2015_11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 47

2015 - Pagg. 46, € 8,00. Mariagina BONCIANI vi-

ve a Milano dove è nata nell’aprile 1934 e si è di-

plomata in Ragioneria nel 1953, ma ha sempre pre-diletto le materie letterarie e le lingue. Conoscendo

il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato

soprattutto lo studio dell’ inglese, ha lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di direzione, capo uf-

ficio e corrispondente presso tre diverse ditte nel

settore import-export. Ama la lettura, i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989, per alcuni

anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di

viaggiare, ma studiando pianoforte, russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qualche anno ha

iniziato a presentare nei concorsi letterari le sue

poesie, ottenendo sempre riconoscimenti e premia-zioni. Molte sue poesie sono state pubblicate in an-

tologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei qua-

derni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusia-

smo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”,

la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è usci-ta presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poe-

sie”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate

nella suddetta Rivista e sulla Rivista “Silarus”.

Vince il primo premio al concorso “Città di Avelli-

no - Trofeo verso il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”, edita nel 2014. E’ presente nel

volume “Poeti contemporanei - Forme e tendenze

letterarie del XXI Secolo” (2014), a cura di Giu-seppe e Angelo Manitta.

**

AA. VV. - Percorsi d’arte 2015 - Catalogo della VIII Edizione del Premio Padula 2015, dal 19 al 26

settembre ad Acri (Cs), organizzato dalla Fonda-

zione Vincenzo Padula e patrocinato dalla Città di

Acri, dal Parco Nazionale della Sila e cofinanziato

da Unione Europea, Repubblica Italiana e Regione

Calabria. Presentazione di Giuseppe Cristofaro, Presidente. Artisti: Angelo Barilari, Mariano Benve-

nuto, Anna Capalbo, Giuseppe Cassavia, Leonardo

Corina, Michele Coschignano, Patrizia De Bernardo, Giuseppe De Vincenti, Raffaele Esposito, Antonio

Giovanni Ferraro, Giacinto Ferraro, Giuliana Ferraro,

Rosaria Ferraro, Angelo Gaetano, Domenico Gallo, Giovanni Giglio, Gianfranco Groccia, Mimmo Intrie-

ri, Armando Giovanni Joram Manes, Giuseppe Man-

fredi, Fabio Marchiani, Gennaro Marchianò, Angelo

Minisci, Lucia Paese, Alice Pinto, Emilio Servolino,

Monica Siciliano, Maria Ortensia Spina, Maurizio

Stabile, Marco Zaretta. **

FORTUNATO ALOI - Questione Mafia ... e se

provassimo con la cultura... - Ed. Nuovo Domani Sud - Si tratta di un breve saggio degli anni ’80 del

secolo scorso, adesso riproposto. Pagg. 8, s. i. p.

Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è

stato per anni docente nei vari licei della Città di

Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla

realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itine-

rario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere pro-

vinciale, da consigliere regionale a deputato. Come

parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupa-

to, con grande impegno, di scuola, cultura e di

Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottose-gretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale

della Destra calabrese, ed anche Segretario per la

Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Pre-sidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria

e la Lucania, è componente la Direzione nazionale

del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attual-

mente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”.

Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedago-gia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto rico-

noscimenti di valore scientifico come il “Premio Ca-

labria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Cate-

rina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario

“Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli”

per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio

Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi la-

vori: “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo

umano)” (1997), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io”

(2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fron-

te all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale”

(2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei va-

lori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio”

(2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democra-

zia” (2014).

TRA LE RIVISTE

IL CENTRO STORICO - Il passato per il nostro

futuro, Foglio informativo per i soci dell’ Associa-

zione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testa-

grossa, direttore responsabile Massimiliano Can-

nata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME), E-mail: [email protected] Riceviamo il n. 7-8

(luglio-agosto 2015), con servizi di: Massimiliano

Cannata (Generazione “y” coraggio il futuro è vo-stro”), Zigmunt Bauman (“Del pensare breve”),

Rosangela Coci, Francesco Cannatella, Salvato-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 48

re Pettineo, Vittorio Alfieri, Maria Nivea Zaga-

rella, Francesca Scarcina, Franca Sinagra Bri-

sca, Francesco Ribaudo, Pietro Cannata, Lucio

Bartolotta eccetera.

*

IL SAGGIO - Mensile di cultura diretto da Gere-

mia Paraggio, editoriale Giuseppe Barra - via don

Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA) e-mail: ilsag-

[email protected] Riceviamo il n. 234 (settem-bre 2015), con servizi di: Giuseppe Barra (“Prigna-

no Cilento: due passi nella sua storia”), Giuseppe

Falanga, Geremia Paraggio, Paolo Saturno CSsR, Giuseppina Crescenzo, Nadia Parlante, Carmelo

Orobello, Antonio Capano eccetera. Allegato, il n.

128/234 de Il Saggio libri, poesia, arte, con centinaia di poesie e di tante valide firme.

*

NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informa-zione politica e culturale, direttore Fortunato Aloi,

responsabile Pierfranco Bruni - via Santa Caterina

62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo i numeri 4 (luglio-agosto 2015) e 5 (settembre-ottobre 2015),

ricchi di articoli, poesie, immagini. Tra le firme, ol-

tre quella di Fortunato Aloi: Orazio Raffaele Di

Landro, Domenico Ficarra, Amalia Michea,

Luigi Franzese, Francesco Cornelio, Giovanni

Praticò, Lino Di Stefano, Giuseppe Pirazzo, Ric-

cardo Carbone, Francesca Messineo, Marino

Monnalisa, Carla Spinella, Carmelo Bagnato, Giuseppe D’Acunto, Franco Mosino eccetera.

Immagine sotto a sinistra: Domenico Defelice: Dal

castagno di Aurora, biro e pennarelli, ottobre 2015

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione), composti

con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,

attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-

nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

30 righe per 60 battute per riga, per un totale di

1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-

to è necessario un contributo volontario. Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito

www.issuu.com al link:

http://issuu.com/domenicoww/docs/

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Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Do-

menico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071

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