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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA
Anno 23 (Nuova Serie) – n. 11 - Novembre 2015 - € 5,00
C’È FUTURO
PER LA NOSTRA LINGUA? di Domenico Defelice
N poco più di sessant’anni, l’Italia ha perso ben due treni in fatto di lingua ed entrambi a
causa di una politica dissennata e di governanti miopi, che hanno privilegiato il contin-
gente e la raccolta di voti, di consensi, a discapito di progetti di lungo respiro.
Il primo, per non aver
lottato affinché il latino -
lingua viva, duttile, ca-
pace di dare emozioni -
venisse scelto come
idioma mondiale al posto
dell’artificiale, asettico e
perciò nato morto Espe-
ranto.
Possedevamo un tesoro
e i nostri politicanti, a
partire dagli anni cin-
quanta del secolo scorso,
anziché esserne orgo-
gliosi e valorizzarlo, lo
hanno buttato alle orti-
che, togliendolo dall’ in-
segnamento nelle scuole
medie e, in pratica, dalla
nostra cultura. Difficil-
mente un’altra nazione
l’avrebbe fatto. I gover-
nanti italiani hanno tradi-
to il vero spirito della
politica, che non è quello
di guardare agli interessi
I
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 2
All’interno:
Medioevo in Valle d’Aosta: visita ai castelli, di Marina Caracciolo, pag. 6
Angelo Tonelli, intervista di Ilia Pedrina, pag. 8
Rodolfo Vettorello: Lettera in versi, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 14
Luigi De Rosa, una vita in letteratura, di Corrado Pestelli, pag. 17
Domenico Adriano: Dove Goethe seminò violette, di Elio Andriuoli, pag. 19
Carlo Emilio Gadda nella “Grande Guerra”, di Luigi De Rosa, pag. 21
Maurizio Mazzetto voce dignitosa della religione della libertà, di Ilia Pedrina, pag. 23
Imperia Tognacci in un saggio di Luigi De Rosa, di Anna Aita, pag. 26
L’attualismo di Giovanni Gentile, di Leonardo Selvaggi, pag. 29
L’immortalità: viaggio nell’assurdità, di Aida Isotta Pedrina, pag. 32
I Poeti e la Natura (Vincenzo Cardarelli), di Luigi De Rosa, pag. 35
Notizie, pag. 41
Libri ricevuti, pag. 46
Tra le riviste, pag. 47
RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (A Riccardo (e agli altri che verranno), di
Domenico Defelice, pag. 37); Laura Pierdicchi (Lettere, di Maria Grazia Lenisa, pag. 38);
Andrea Pugiotto (Isola di cielo, di Tito Cauchi, pag. 39).
Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Rocco Cambareri, Tito Cauchi, Colombo Conti, Do-
menico Defelice, Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Béatrice Gandy, Adriana
Mondo, Eugenio Morelli, Teresinka Pereira, Laura Pierdicchi, Leonardo Selvaggi
meschini del momento, ma a disegni in grado
di far crescere e popoli e nazioni e la lingua è
lo strumento più consono per spianare ogni
via, è alla base di ogni progresso.
A questa perdita non vediamo rimedio.
Il secondo treno l’abbiamo perso con il mo-
do sciatto di insegnare la nostra lingua in pa-
tria (già Francesco De Sanctis denunciava:
“Non ci è unità organica nell’insegnamento,
non ci è fascio negli studi, non ci è correzione
e sincerità nell’espressione”) e, poi, con lo
scarso o non finanziamento delle nostre un
tempo rinomate scuole all’Estero: in pratica,
con la loro progressiva abolizione. Di questo
passo, nel mondo avremo sempre meno per-
sone in grado di parlare la nostra lingua.
A questa seconda perdita ci sarebbe ancora
rimedio, ma dubitiamo che gli attuali nostri
politici sappiano e vogliano renderlo concre-
to.
Attualmente, le lingue più parlate nel mon-
do sono: 1) Cinese mandarino; 2) Inglese; 3)
Hindi/urdu; 4) Spagnolo; 5) Russo; 6) Arabo;
7) Bengali; 8) Portoghese; 9) Indonesiano;
10) Giapponese; 11) Francese; 12) Tedesco;
13) Pungjabi; 14) Wu; 15) Jawa; 16) Marathi;
17) Coreano; 18) Vietnamita; 19) Cantonese;
20) Italiano. Le lingue più studiate: 1) Ingle-
se; 2) Francese; 3) Spagnolo; 4) Italiano. Le
lingue ritenute più importanti (o perché parla-
te in ogni continente; o perché ufficiali dei
paesi più influenti del mondo; o perché più
utilizzate negli affari; o perché più parlate su
Internet; o perché le più studiate): 1) Inglese;
2) Spagnolo; 3) Cinese mandarino; 4) Fran-
cese; 5) Arabo; 6) Russo; 7) Tedesco; 8)
Giapponese; 9) Portoghese; 10) Italiano.
L’Italiano nel mondo s’è diffuso nel corso
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 3
degli anni a causa: 1) dell’emigrazione; 2)
delle nostre colonie in Africa settentrionale;
3) della nostra particolare cultura e quindi del
desiderio all’estero di studiarlo. Attualmente,
esso è ancora vivo in nazioni europee come:
Albania, Bulgaria, Croazia, Francia, Macedo-
nia, Malta, Montenegro, Monaco, Serbia,
Slovenia e poi in: Argentina, Australia, Brasi-
le, Canada, Giappone, Guatemala, Somalia,
Stati Uniti, Tunisia, Libia, Venezuela eccete-
ra.
Da questi scarni dati, si può ricavare che
non tutto sarebbe definitivamente perso se in
noi ci fosse uno scatto di orgoglio e una poli-
tica decisa a ripristinare l’insegnamento dell’
Italiano nel mondo e maggiore attenzione nel-
lo studio sul nostro territorio. Si faccia, alme-
no, come in Germania, dove la Merkel ha af-
fermato che l’intero Paese si è massicciamen-
te attivato a far studiare il tedesco ai profughi
e agli stranieri in genere che si stanziano sul
proprio territorio. In Italia ciò non avviene e,
se avviene, è in modo estemporaneo, senza
impegno e senza orgoglio, né da parte degli
insegnanti, né da parte delle istituzioni, non
intervenendo con finanziamenti adeguati.
Le nostre scuole all’Estero sono ormai qua-
si tutte chiuse. Una delle più prestigiose, la
Dante Alighieri, oggi riceve risorse insignifi-
canti se paragonate a quelle messe a disposi-
zione delle proprie dagli altri Paesi. Nelle no-
stre scuole all’Estero vi hanno quasi sempre
insegnato personalità di cultura e grande
umanità; in quelle di Madrid e di Santiago del
Cile, per esempio, negli anni sessanta e set-
tanta vi ha insegnato anche un nostro indi-
menticabile amico, scrittore e poeta validis-
simo: Rocco Cambareri. Sue opere di quel
periodo sono Azzurro veliero (Santiago del
Cile, 1973), Paesaggi e profili (prose, Santia-
go del Cile, 1974) e Adiós Cile (1978).
Nei Paesi con i quali l’Italia, in passato, eb-
be rapporti significativi - Eritrea, Tunisia, Li-
bia, Albania, dove, di conseguenza, si parlava
largamente la nostra lingua -, oggi continuano
a usare il nostro idioma solamente gli anziani,
mentre i giovani lo parlano e lo studiano
sempre meno, attratti, per motivi contingenti
e vari, dalla lingua inglese.
Quasi tutti i Paesi che si affacciano sul Me-
diterraneo hanno avuto, in passato, massiccia
penetrazione delle nostre trasmissioni televi-
sive, che, assieme alle scuole, rappresentava-
no i mezzi più efficaci a veicolare e radicare
la nostra lingua.
L’Italiano continua ad essere studiato nel
mondo (4° posto) perché il nostro Paese de-
tiene, secondo l’Unesco, il 70% delle opere
d’arte e della cultura. Perciò, coloro che sono
attratti - e, per fortuna, il numero è sempre in
aumento - dall’arte, dalla musica, dalla cuci-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 4
na, dalla poesia eccetera, hanno interesse a
studiare e a parlare la nostra lingua; ma anche
costoro sono in calo - in aperta contraddizio-
ne a quanto appena affermato - e solo perché
trovano meno strutture a ciò preposte nei loro
rispettivi Paesi, costretti, quindi, a servirsi di
surrogati, come l’apprendimento e lo studio
di ciò che loro interessa attraverso le tradu-
zioni e l’inglese.
Atteggiamento assolutamente negativo alla
diffusione della nostra lingua è quello delle
nostre Istituzioni, presidenti della Repubblica
e del Consiglio dei Ministri in testa, i quali,
non solo in occasione delle loro visite all’
Estero o della partecipazione a Congressi in-
ternazionali, ma addirittura in patria, hanno la
cattiva abitudine di scimmiottare spesso un
cattivo inglese, quando dovrebbero parlare
solo un corretto italiano, così come ogni capo
di stato o di governo degli altri Paesi fa con il
proprio idioma. Tutti, insomma, sono fieri e
orgogliosi di parlare la propria lingua per raf-
forzarla, cioè, per mantenerla ed accrescerla
tra i Paesi con i quali hanno o hanno avuto
rapporti politici, economici e culturali; noi,
invece, a tutto ciò non badiamo.
Occorre affrontare con decisione il tema
della diffusione della nostra lingua nel mon-
do, aiutando tutti coloro che desiderano ap-
prenderla, rafforzando legami già esistenti e
creandone altri, custodendo come tesoro il
nostro linguaggio e assecondando tutti coloro
che già con noi questo tesoro condividono.
Alla perdita del primo treno ha concorso in
modo determinante anche la Chiesa, con l’
esclusione del latino dalle sue funzioni reli-
giose (abbandonando, per giunta, anche i can-
ti gregoriani, che infondevano pathos e miste-
ro ai diversi riti, suggestioni che, nella fede,
hanno non poca importanza).
Se noi fossimo un vero popolo - e Nazione
vera, per dirla col Manzoni: “una d’arme, di
lingua, d’altare,/di memorie, di sangue e di
cor” - , se avessimo un po’ di orgoglio (sì, ne
basterebbe solo un poco), specie se l’avessero
coloro che ci governano - che dovrebbero
darne l’esempio -, il secondo treno non sa-
rebbe del tutto perso. La nostra bella lingua
potrebbe avere ancora un futuro, avanzare più
delle altre nel parlato e nello studio, trascinata
e agevolata specialmente dal fattore arte-
cultura, che finora ha reso l’Italia il Paese più
ricco e più bello del mondo.
C’è speranza che ciò avvenga? Ne dubitia-
mo. Negli anni sessanta e settanta del secolo
scorso, una Sinistra insensata e una Demo-
crazia Cristiana ipocrita e corrotta hanno
asfaltato il nostro orgoglio di nazione e di pa-
tria, sicché, come scriveva, profetizzando, il
De Sanctis, “il nostro ideale [ma leggete or-
goglio] non è serio, è velleità, non è volontà,
e lo trovi solo sulla facciata delle scuole”. Ne
dubitiamo, perché, purtroppo, oggi, esso è
sparito pure da quelle facciate.
L’intero mondo dell’istruzione è drammati-
camente disastrato, dagli ambienti, dalle strut-
ture in muratura, al personale amministrativo
e docente. Viva ancora in noi è l’impressione
- prima ilarità e divertimento, poi tristezza e
depressione - suscitataci in gioventù (1959)
dalla lettura di Scuola sotto zero di Luigi
Volpicelli. Quella realtà in qualche modo è
peggiorata. Abbiamo avuto occasione di co-
noscere e praticare docenti universitari digiu-
ni non di sintassi, ma di grammatica spiccio-
la. “Italiani, imparate l’italiano! L’invito del
neoministro della Pubblica Istruzione Tullio
De Mauro - scriveva Claudio Quarantotto sul
quotidiano Il Tempo del 12 settembre 2000 -
non può che essere accolto con favore, oltre
che con apprensione. Perché a quasi cento-
cinquant’anni dall’Unità d’Italia, siamo an-
cora a questo punto: che molti italiani non
conoscono la loro lingua, o la conoscono ma-
le e la scrivono peggio. E non parliamo sol-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 5
tanto degli analfabeti o degli analfabeti di ri-
torno, ma anche di tanti troppi universitari
che commettono errori di grammatica e di
sintassi”.
De Mauro - che, da rappresentanti sindacali
della UIL, abbiamo conosciuto personalmen-
te, allorché ricopriva la carica di Assessore al-
la Cultura della Regione Lazio - è stato uno
dei pochi che si è battuto a favore della lingua
italiana. Ma ebbe la disgrazia di venire dopo
Luigi Berlinguer... Ci vorrebbe un colpo di
reni simultaneo di ognuno di noi a tutti i livel-
li nell’intero paese per mutare la situazione, ci
vorrebbe un miracolo. Noi crediamo ai mira-
coli, ma non ad uno di questo genere.
Pomezia, 8 ottobre 2015.
Domenico Defelice Immagini - Pag. 1: lo scrittore e poeta calabrese
Rocco Cambareri (Gerocarne 1938 - Vibo Va-
lentia 2013), che per anni ha insegnato anche all’Estero, tramite il Ministero degli Esteri e il
Consolato, a Madrid e a Santiago del Cile; Pag. 3:
Luigi Volpicelli (Siena 1900 - Roma 1983) e il suo volume Scuola sotto zero; Pag. 4: Tullio De
Mauro (Torre Annunziata 1932), linguista e pro-
fessore universitario, è stato Ministro della Pub-blica Istruzione nel Governo Amato, dal 25 aprile
2000 all’11 giugno 2001.
SETA SU SETA
E’ d’argento
il filo che tessono i bachi.
Leggiadra stoffa sarà
ad imprigionare
delle tue forme il bello.
Tintinnii di campanule
culla il mistral.
Porte scrostate d’azzurro
sulle facciate.
Voci e sussulti
nel villaggio dei pescatori.
Tra l’essenziale sei il ridondante,
il tuo profumo attira i sospiri
nello splendore del sole ormai alto.
Pigra e gattona,
sulle lenzuola
arruffate da battaglie notturne.
Ti rinfreschi alla fonte,
mentre il tuo seno si porge allo sguardo…
Di voluttuoso desio
del viandante.
Colombo Conti Albano Laziale
NON SARÒ NOCCHIERO
No, non avere paura:
non sono nei segreti
silenziosi progetti di mani
che qualsiasi marmo invidia.
Figurati se potessi vantare
una così celeste ambizione
e di essere il Virgilio
a condurti per mano
sulla via che porta
al prato di stelle,
dove la Luna vedendoti
di essa vestire
impazzirà alla visione del candore
della tua pelle,
nuda.
Salvatore D’Ambrosio Caserta
LE FUMATE
Ascolto estasiata la voce del vento
ferma come roccia.
Odoro i rampicanti da un passaggio
strettissimo, tra le fragili architetture
annerite dal tempo.
Dai camini morbide fumate
risalgono e formano
sognanti foreste vaporose,
dal picco nascosto rispondono
i soavi canti di uccelli fantasmi.
Quel vento di settentrione
ci risveglia dallo stupore
che abita in questi brandelli di natura
e ci porta ancora una volta
a custodire l'immagine perfetta dell'universo.
Adriana Mondo
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 6
MEDIOEVO IN
VALLE D’AOSTA: VISITA AI CASTELLI
DI ISSOGNE E DI VERRÈS (Domenica, 6 settembre 2015)
di Marina Caracciolo
prima vista il castello di Issogne, che
già si scorge da lontano, tra le case
del paese, dopo aver passato il ponte
sulla Dora percorrendo la strada che viene da
Verrès, non si presenta agli occhi del visitato-
re come un edificio imponente. Ben diverso,
ad esempio, dal castello di Fénis, con le sue
maestose torri e i mastii merlati, o da quello
di Saint-Pierre, che pare una dimora di fate
appollaiata su una rupe, il maniero di Issogne
ha esteriormente un aspetto semplice e mode-
sto, quasi dimesso se non fosse per il tetto
sormontato dai fumaioli turriformi. I suoi te-
sori – che ne fanno forse il più bello e meglio
conservato fra i castelli della Valle d’Aosta –
sono tutti racchiusi all’interno: a iniziare dal
cortile, affrescato con colorate e vivaci scene
di vita medioevale, in cui si vedono anche,
qua e là, curiosissime iscrizioni a graffito; al
centro si ammira la famosa fontana del melo-
grano (copiata nel Borgo Medievale di Tori-
no) sormontata dal bellissimo albero in ferro
battuto che – come ci spiega la nostra guida,
il signor Massimo V. – ha frutti di melograno
ma foglie di quercia, per simboleggiare l’
unione di forza e di prosperità. Proseguendo
nella visita si scorgono stanze finemente ar-
redate: per prima la semplice ma elegante sa-
la da pranzo, adiacente alle cucine, corredata
di tutte le suppellettili, una sala senza camino,
ma riscaldata da una grande piastra metallica
che arroventandosi emanava calore. E si con-
tinua più oltre con la cappella gotica, ricca di
pregevoli affreschi; poi l’ampia e solenne sala
delle armi, con un incantevole soffitto a cas-
settoni; e infine si sale alle stanze da letto
(ognuna con la piccola camera attigua per riti-
rarsi in preghiera davanti alle scene sacre che
ornano le pareti), in cui si vedono cassapan-
che intarsiate e letti a baldacchino con pesanti
cortine e cuscini damascati. Tutto rivela una
signorilità semplice e solenne, testimoniando
nello stesso tempo il fasto di un’epoca di pa-
ce. Il castello, un tempo dimora del vescovo
di Aosta, passò in seguito ai signori di Chal-
lant finché, nel 1480, Giorgio di Challant lo
fece ricostruire – sulle fondamenta di un edi-
ficio più antico – conferendogli l’aspetto che
oggi noi vediamo. Alle soglie del Novecento
il direttore del Museo di Arte Antica di Tori-
no, Vittorio Avondo, lo acquistò, lo fece re-
staurare e per anni raccolse pazientemente il
mobilio che doveva ricreare nelle varie stanze
l’ambiente del secolo XV. Infine, nel 1907,
ne fece munifico dono allo Stato.
Tutte queste notizie, che hanno sensibil-
mente accresciuto l’interesse e il piacere della
visita, in una fresca ma soleggiata domenica
di settembre, le dobbiamo al suddetto signor
Massimo V. – persona di grande competenza
e pure di grande simpatia – che oltretutto non
è una guida qualsiasi, come siamo venuti a
sapere, essendo nientemeno che il castellano,
attuale signore del maniero di Sarriod de La
Tour!…
Il tempo per la visita era limitato: già un al-
tro gruppo di visitatori aspettava di entrare
davanti al portone d’ingresso. Forse per que-
sto nulla si è potuto raccontare a proposito del
fantasma che, secondo la leggenda, infesta il
castello di Issogne: una bella dama vestita di
bianco, che talvolta – dicono – è stata vista ag-
girarsi al suo interno reggendo fra le mani la
sua stessa testa… La dama era Bianca Maria,
nata ai primi del ’500, unica figlia di un facol-
A
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 7
toso mercante di Casale Monferrato, la quale,
rimasta vedova a poco più di vent’anni di
Ermes Visconti di Somma, sposò in seconde
nozze il conte Renato di Challant, con cui an-
dò ad abitare a Issogne. Ma il matrimonio fal-
lì. La giovane tornò a Casale, per poi trasfe-
rirsi a Milano. Qui si dice che conducesse una
vita dissoluta finché, accusata di aver fatto as-
sassinare uno dei suoi amanti, fu condannata
a morte e il 20 ottobre 1526 decapitata nel
Castello Sforzesco di Milano. La sua triste
vicenda ispirò una delle novelle di Matteo
Bandello e, secoli dopo, il dramma La signo-
ra di Challant (1891) di Giuseppe Giacosa.
Ritornando da Issogne a Verrès (i due co-
muni distano l’uno dall’altro non più di 10
minuti a piedi) si può raggiungere la fortezza
– che già a distanza si vede dominare l’ abita-
to dall’alto con la sua rude, maschia squadra-
tura – per due strade diverse: una lunga e
asfaltata che sale a tornanti verso il castello; l’
altra, assai ripida e faticosa, tutta ciottoli e
gradini, che punta più rapidamente alla meta
attraverso il bosco.
Notevolissimo il contrasto tra il castello di
Issogne e quello di Verrès: mentre il primo è,
come abbiamo visto, un’elegante residenza,
quest’ultimo è una possente costruzione qua-
drata (di 30 mt. di altezza e di lato) quasi sen-
za aperture. Fu costruito, sempre dagli Chal-
lant, circa un secolo prima di Issogne, tra il
1360 e il 1390, con evidenti scopi difensivi e
in modo tale che fosse praticamente inespu-
gnabile. Nella sua lunga storia passò anch’
esso di mano in mano e di generazione in ge-
nerazione a diversi padroni; fu anche per lun-
go tempo disabitato e abbandonato, finché
dopo accurati restauri, divenne proprietà dello
Stato. L’interno è quanto mai severo e disa-
dorno: vi si vede un ampio scalone, vaste sale
con camino, porte e finestre ogivali, stemmi e
iscrizioni. Per la sua posizione e per la perfe-
zione della sua struttura il castello di Verrès è
un autentico capolavoro di architettura e di
ingegneria militare, e può essere considerato
forse il più bel monumento della feudalità che
sia dato trovare in tutta la Valle d’Aosta.
Marina Caracciolo
ED IO MI RITROVO
Ed io mi ritrovo
ad abbracciare il giorno
quando ognuno ancora
lì crea il proprio spazio
con gesti o con parole
o con il proprio sguardo
con tutti i suoi pensieri
del momento o di ieri.
Ed io mi ritrovo
ad odorar la notte
quando nessuno più
la può lì limitare
coi gesti o con le voci
oppure coi pensieri
anche se mai pensati
in ogni dove o qui.
Ed io mi ritrovo
a percepir la vita
in questa infinità
che appare infinita
senz'addurre un gesto
senza portare un suono
né il minimo pensiero
di tutto o di niente.
Ed io mi ritrovo
in questo mio giocare
col giorno e con la notte
ed ogni percezione
sapendo del mio Essere
anche oltre il mio creare
sapendo del mio Essere
per sempre ed infinito.
Ed io mi ritrovo
nell' essere me stesso
semplice amor potente
con tutta l'umanità
Scientology mi aiuta già.
Michele Di Candia
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 8
CON IL GRECISTA
ANGELO TONELLI, PER INDAGARE ASPETTI
ANCESTRALI DELLA
TRAGEDIA COME RITO di Ilia Pedrina
O subìto il fascino del volume
‘ESCHILO SOFOCLE EURIPIDE -
TUTTE LE TRAGEDIE, con testo
greco a fronte, a cura di Angelo Tonelli, per i
tipi della Bompiani, pubblicato nel 2011: la
Collana è certo prestigiosa, è quella diretta
dal prof. Giovanni Reale ‘IL PENSIERO
OCCIDENTALE’, ma a me non basta averlo
avuto tra le mani. L’incontro con Angelo To-
nelli è avvenuto a Lerici il 13 Giugno 2011,
presso il Golfo degli dei e dei poeti, vicino al
Castello che lo domina, al momento del tra-
monto ed io avevo in mano proprio il librone,
un condensato di ricerca, di professionalità
concreta, di esplorazione, di avventura nelle
due diverse lingue, il greco e l’italiano, ad al-
to contenuto poetico. Colgo l'occasione per
ringraziare i giovani adolescenti Nausicaa
Tecchio e Leonardo Bordin, che mi hanno
aiutato a sbobinare l'intero lavoro e a metterlo
in stampa.
I.P. Partiamo dalla Dea. Partiamo da lei,
dalla dedica 'A Madame Diane Oddbeck
Coty. Astro della mia giovinezza’. A.T. Partiamo da un punto cruciale! Diana
era una figura di donna effettiva, sicuramente
dotata di qualità particolari: insieme a Gior-
gio Colli mi vien da dire che era stata un
punto di riferimento iniziatico spirituale sa-
pienziale, perché Colli era l’aspetto maschile
di questa dimensione, collegato con il logos,
invece Diana era proprio l’aspetto legato all’
anima in termini yunghiani, quindi una figura
un po’ ai confini della realtà o come si può
dire della maga bianca che ha profondamente
segnato, come ho detto, la mia formazione
spirituale e anche sentimentale, la dedica è
principalmente proprio per questa figura di
donna al confine tra la sfera umana e quella
magica/divina in questo senso.
I.P. Ecco: da Eschilo a Euripide la figura
della donna, per una società patrilineare in
una evoluzione della rappresentazione ap-
punto per i politei, per i cittadini di quella
polis.
A.T. Parlando di Eschilo per forza viene in
mente l’Orestea e quindi si va a toccare il
femminile nella sua dimensione anche ctonia,
le Erinni nella loro metamorfosi in Eumenidi,
però accanto ad esse ci sono tutte le costella-
zioni, come dire solari del femminile: Atena,
per esempio. In questo senso Eschilo va a
toccare proprio il conflitto e anche poi l’ inte-
grazione tra il maschile e il femminile nell’
Orestea: lì c’è la potenza immaginifica, gran-
diosa di queste figure ctonie che sono le
Erinni anguicrinite che tutelano questo diritto
del sangue, del ghenos regale di appartenenza
e questa legge non scritta ma potente e che
comunque nel corso poi dell’opera giungono
alla metamorfosi come le Euminidi, le Propi-
zie, e io l’ho letta proprio come un grande
esercizio che va a toccare il profondo, quindi
a livello subliminale della polis, la possibilità
di una conversione della violenza in questo
caso legata alla sfera femminile. Certo è che
la tensione tra i sessi, presente e forte nell’
Orestea, c’è comunque e rimane un contribu-
to irrisolto all’aspetto e alla potenza del fem-
minile che è poi Clitemnestra, questa sua ri-
vendicazione di essere la portatrice dell’
Aster, del demone vendicatore che rimane
una figura, comunque una sorta di perturban-
te nell’ambito di questa riconciliazione che
evidentemente è una riconciliazione difficile,
H
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 9
visto il carattere patrilineare nella polis greca.
Però c’è, in ogni caso, a livello simbolico, la
grandezza, l’alchimia di Eschilo che è quella
di avere trasformato la dimensione della vio-
lenza in una violenza giusta per la legge del
sangue, se c’è una violenza giusta, e di averla
trasformata, attraverso un processo di logos, o
meglio di parola e di confronto, con l’ arbitra-
to di una figura come Atena.
I.P. E per Sofocle abbiamo una evoluzione
da questo livello di Dike contro Dike risolti
in una gestibilità dell’incontro sociale: in
Sofocle arriviamo ad una figura femminile,
Antigone, che porta su di sé il ‘nomos’, la
legge, vuole gestire il nomos divino rispetto
ad un nomos, quello di Creonte, che nella
legge della città vuole impedire il rapporto
con la regola ed il tributo al principio sa-
cro. E’ come se ci si fosse riappropriati di
un interrogativo portandone avanti le va-
lenze problematiche.
A.T. Si. Antigone è libera da tutte queste
connotazioni ctonie così possenti e meravi-
gliose che ci sono in Eschilo e riesce a diven-
tare paradigmatica a livello civico con questo
gesto di ribellione in nome delle ‘agrapha
dogmata’, di leggi non scritte, perché l’effetto
nella lettura ed ancor più nella messa in scena
dell’Antigone è di assoluta partecipazione da
parte dello spettatore al gesto di Antigone e
quindi lei diventa portatrice di un nuovo no-
mos che entra in conflitto con quello patrili-
neare vigente.
I.P. Per arrivare poi ad Euripide, pren-
diamo dentro Medea ed anche l’ innamo-
rata di Ippolito: Medea per una femminili-
tà lacerata e per una giustizia di sangue
contro il ghenos che ti ha violata e violenta-
ta; l’innamorata di Ippolito per un con-
fronto con una verginità efebica che ti
sfugge, rispetto al desiderio che ti doma: il
femminile domato dal desiderio, una volta
imprigionato nel bisogno dell’EROS ma-
scolino, oltraggia, si fa oltre e agisce con-
tro, nell’azione-intenzione di violare la
verginità del giovane che solo arde per la
dea Artemide. Il femminile in Euripide
cambia e diventa trasgressivo.
A.T. Si, decisamente. Con Medea è evidente:
Medea l’ho interpretata come un dramma del-
la irriducibilità a qualunque schema e a qua-
lunque cambiamento, in un personaggio che è
numinoso, essendo lei una semidea, una ma-
ga ed in questa esibizione di potenza di un
femminile che non tollera ad un certo punto l’
oltraggio.
I.P. Praticandolo?
A.T. Sì, esatto: lei si erge poi in una potenza
demoniaca e quindi lascia senza parole, alla
fine, questo trionfo della dea, Medea, portata
su nel carro del Sole e qui siamo veramente
di fronte ad una epifania di un femminile po-
tentissimo, trasgressivo ed irriducibile. Le
Baccanti: questo è l’altro aspetto potente in
Euripide, qui c’è proprio di nuovo un femmi-
nile collettivo: nella cronologia delle sue ope-
re, le Baccanti si colloca alla fine ed il fem-
minile è collettivo, c’è il ‘tiasos’, il gruppo
delle donne riunite, sono sciamane tra l’altro,
sciamane di Dioniso che diventano le porta-
trici del sovvertimento dell’intera polis per ef-
fetto del dio più femminile tra gli dei maschi,
che è Dioniso, secondo connotazioni ambiva-
lenti. Le Baccanti sono una culminazione di
questo femminile che va ad urtarsi contro le
leggi vigenti, contro chi rifiuta la presenza di
Dioniso nel culto della città. Nell’Ippolito c’è
lo stesso fenomeno, in questo caso di una ri-
volta distruttiva rispetto alla negazione di una
possibilità di realizzazione del desiderio.
I.P. Soffermiamoci ora sul Coro: portando
l’attenzione sulla modificazione che può
assumere il Coro in questi tre grandi Au-
tori tragici e studiando la sua funzione all’
interno del dramma, è possibile parlare di
evoluzione della consapevolezza attraverso
il Coro, oppure esso rimane sempre, come
dici tu, l’ ‘occhio interno’ all’evento?
A.T. Io tendo a mantenere le specificità di
ognuno, quindi a vedere ogni Autore di per
sé, compiutamente. Certo vale questa dimen-
sione del Coro come ‘occhio interno’ per tut-
ti, poi ci sono momenti in cui il coro è più o
meno partecipe, entra nell’azione, si fa giudi-
ce severo, ha mille forme di relazione con i
protagonisti, però da un punto di vista struttu-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 10
rale è e rimane questo ‘occhio interno’, que-
sto sguardo sulla vita all’interno della vita
stessa, a sua volta vista, contemplata dal
theomenos, dallo spettatore che è un MI-
RANS, come tendo a dire, non è uno SPEC-
TATOR, ma uno che guarda a bocca aperta,
con partecipazione, non uno che ti fa l’ ento-
mologia, con lo sguardo asettico e critico
sull’evento: lo spettatore è coinvolto comple-
tamente nell’evento e contemporaneamente
ne è distaccato, un po’ come il Coro all’ in-
terno della tragedia. Poi ci sono invece i Cori
altamente attivi e partecipi, le Baccanti stesse
ne sono un esempio, sono distaccate ma in
azione.
I.P. Dal Coro al Messaggero: ogni lavoro
ha il suo portavoce: questo riferire i fatti,
questo ‘farsi notizia’, questo farsi elemento
di una quotidianità che può essere dall’
“appena superato” ad un passato ‘medio’.
Che funzione affida ciascuno dei tre tecni-
camente al Messaggero? Perché all’interno
di ciascuna tragedia c’è un ruolo tecnico
che gli appartiene come funzione scenica?
E’ un reporter? Un annunciatore? Un
‘nunzio’? E’ colui che deve solo riferire i
fatti senza interpretarli, lasciando quindi
al Coro questo ‘dialeghein’, questo rappor-
to che non è di movimento ma di segnala-
zione, di parole, eventi narrati attraverso il
riferimento che se ne dà di essi? C’è diffe-
renza in questo fra i tre?
A.T. Su questo io non mi sono soffermato.
Nel mio lavoro ho inteso evitare di porgere
uno sguardo critico, quindi in qualche modo
‘esterno’, di meta-posizione, su tutto il mate-
riale, appunto per riuscire a cogliere l’oggetto
nella sua interezza, fare io stesso da ‘messag-
gero’ e da ‘coro’ rimanendo all’interno: ho
evitato il lavoro critico privilegiando il lavoro
pratico, ho dato loro voce senza vedere l’
aspetto sinottico, la sintesi ed ho evitato così
certi ‘topoi’ dello sguardo critico sulla trage-
dia greca. L’unica cosa che mi pare interes-
sante del Messaggero è questa: di solito sosti-
tuisce la violenza agita, viene a raccontare la
violenza e non la sciorina direttamente come
gesto, ma la comunica come parola e questo
mi sembra un lavoro molto interessante lega-
to alla violenza, alla catarsi che comunque ha
un contenitore sacro, la violenza che è il
dramma come luogo di celebrazione di Dio-
niso e anche delle forme di trasposizione che
evitano la ‘coltivazione’ della medesima, il
suo aspetto-effetto di ‘contagio’, l’esatto con-
trario di quanto sta succedendo oggi sui
mass-media, dove c’è una educazione fortis-
sima alla violenza.
I.P. E questo connota anche la nostra lon-
tananza dalla consapevolezza, da questo
‘Pathei Mathos’, dalla conoscenza attra-
verso il ‘pathos’.
A.T. Questa è la sapienza perfetta della trage-
dia: 'Pathei Mathos', patendo conoscere, co-
noscere nel senso di una conoscenza che è
consapevolezza e questa la trovo veramente il
marchio iniziatico di tutta la tragedia greca,
cioè è una via di conoscenza, non è l’ eserci-
zio di divertimento, di passa-tempo alternati-
vo , è proprio una via di sapienza: avere l’ oc-
casione di cogliere la vita nella sua violenza,
anche nella sua forza squassante, ma non ri-
manere lì, questo sarebbe un Dioniso a metà,
sarebbe un Dioniso di Nietzsche, un Dioniso
semplicemente così, un po’ scatenato, ma ab-
biamo anche il Dioniso dello specchio, il
Dioniso Orfeodionisiaco, che è la consapevo-
lezza, quindi ci sono tutti e due gli aspetti di
Dioniso, l’energia, la vita e la morte mescola-
ti e contemporaneamente la contemplazione,
il 'Pathei Mathos'. Questo è il Dioniso della
trance delle Baccanti e dello specchio, della
contemplazione, che sono suoi attributi, quelli
dei misteri, tanto che mi viene in mente che
in una delle danze dionisiache dell’ Italia me-
ridionale, la Taranta, ci sono dei passi in cui
la tarantata danza guardandosi nello specchio.
I.P. Questa è una tradizione profonda.
Profonda è allora la trasformazione attra-
verso la danza di un “te” che è pubblico e
contemporaneamente attraverso la danza
diventa privato, diventa evoluzione, meta-
morfosi e questo è grandioso perché man-
tiene nel tempo il bisogno di farsi possede-
re da forze superiore a te.
A. T. Esatto, comunque dicevo per tornare
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 11
all’idea del messaggero e del coro, nell’ in-
sieme ho l’impressione che facciano parte di
questa dimensione dell’aspetto apollineo di
Dioniso, per intenderci, prendendo l’ermeneia
di Giorgio Colli, Dioniso ha aspetti apollinei
e Apollo ha aspetti dionisiaci.
I.P. Visto che abbiamo parlato di Colli,
Giorgio Colli chi era per te?
A.T. Colli era un grande portatore nei tempi
moderni di questa sapienza, che ha colto nel
mondo greco, principalmente. Poi soprattutto
l’ultimo Colli, quello che ho conosciuto io,
era quello che stava facendo l’edizione dei
presocratici, dei sapienti dell’età greca, e
quindi era un portatore di questo mondo. Per
questa capacità di comunicazione era un vero
maestro ed è stato appunto ciò che mi ha fatto
avvicinare a questa ricerca, che poi ha conti-
nuato, sempre tenendo fermi certi punti che
Colli ha indicato, e muovendoli per lidi anche
un po’ diversi, comunque è stato veramente
un iniziatore.
I. P. A fianco del ‘Pathei Mathos’, nel con-
testo delle tragedie greche è presente anche
il 'Dran', la decisione che taglia con tutte le
altre scelte possibili. Vediamo questo
aspetto.
A.T. Ecco, il 'Dran': io ho lasciato volutamen-
te sotto tono l’aspetto del 'Dran' perché un po’
c’era questa paraetimologia interessante di
Nietzsche che interpretava 'Drama' dall’ eti-
mologia falsa di 'Dran', inteso come “accade-
re”; è una paraetimologia, però ha il vantag-
gio di cogliere il fatto che il teatro greco non
è luogo di spiccata individualità ma è un rito
e quindi va colto nel suo insieme: ci sono sì
delle figure interamente ‘protagoniste’, ma
non bisogna dimenticare che avevano la ma-
schera quindi l’effetto doveva essere una sor-
ta di ‘Teatro del NO’. Se ci si fida solo dello
scritto che ci è rimasto, si rischia di psicolo-
gizzare la trama, di affidarci tutto quello che
non c’era. Nel 'Theatron' c’era quindi un
grande evento e lì i personaggi ‘accadono’
all’interno di un ‘accadere’. Invece chiara-
mente c’è tutta una scuola di lettura del ‘Ti
Draso?’ del ‘Che cosa farò’?’ in cui si pone la
questione dell’'Airesis', della scelta dell’
azione. Mi ricordo una vecchia lezione di De
Benedetto negli anni ’70, in cui egli sostene-
va che nell’ambito del teatro greco la scelta
effettiva dell’individuo non c’è, in realtà an-
che ciò che ci sembra scegliere è frutto di una
‘ANANKE’, di una processualità di cui si è
parte, di un’azione nel rapporto di cause ed
effetti che prende il nome di ANANKE, di
questa concatenazione rigida. C’è una testi-
monianza interessante sui misteri eleusini che
ho usata nell’ultimo spettacolo che ho fatto su
Edipo Re che parla proprio di questo, di un
passaggio di ‘KATABASIS’, di discesa nelle
tenebre e di risalita alla luce, di ‘ANABA-
SIS’. Si tratta della testimonianza di un Padre
della Chiesa sui Misteri Eleusini: ‘...anzitutto
i tremori, i sudori, gli sbigottimenti’, quindi
un percorso vertiginante e poi però subito do-
po c’è la visione della luce. La funzione di
‘KATABASIS-ANABASIS’ è vistosamente
presente in Edipo Re e in Edipo a Colono:
viene portato tra gli dei dopo aver conosciuto
se stesso ed io per questo, nella mia messa in
scena, ho fatto Edipo re cieco prima, cioè
quando ancora non sa di aver fatto quel che
ha fatto e poi gli ho fatto togliere le bende, in
realtà si acceca però ‘CONOSCE’. Qui Edipo
Re è l’esempio perfetto di ‘KATABASIS-
ANABASIS’, come percorso perché prima
scende nell’abisso, l’Edipo Re, e poi nell’
Edipo a Colono, che viene concepito come
collegato, viene chiamato tra gli dei ed è egli
stesso che comunica i misteri, credo siano
quelli eleusini al re di Atene, a Teseo, che lo
sopporta e lo sostiene. Ma è evidente ancora
ed altrettanto nell’Orestea, nel percorso cata-
batico-anabatico di discesa nel sangue, nella
violenza e poi nella metamorfosi, in questo
caso delle divinità femminili da ctonie a sola-
ri e protettrici, in una conciliazione comun-
que non violenta del conflitto, attraverso il di-
scorso, con una venatura patrilineare vistosa,
segnalata da Atena che è la più mascolina tra
le dee.
I.P. ‘THEORIA- THEOMAI’: il ‘vedere’,
da parte dello spettatore, da parte dell’ at-
tore, da parte di chi è figura su uno sfondo:
la struttura scenica quanto gioca sul ‘vede-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 12
re’?
A.T. Credo che sia l’essenza, la struttura stes-
sa del THEATRON, l’organizzazione mede-
sima dell’azione, il fatto che ci sia un luogo in
cui si va per ‘vedere’ e si vede un accadimen-
to fatto di corpi in azione, di parola, non è so-
lo una struttura ma è un pezzo di vita che si
ha occasione di vedere con emozioni, con una
forma di empatia ecc…La struttura stessa del
THEATRON, la struttura dello spazio, dico,
secondo me è sapienziale di per sé, cioè qua-
lunque cosa venga portata lì dentro è un gesto
conoscitivo perché è chi ha occhi, chiaramente
per intendere che porta alla possibilità di di-
staccarsi senza rimuovere dal fondo anche vio-
lento comunque perturbante dell’ esistenza:
questa è la grandezza del THEATRON proprio
nella sua architettura, quindi qualunque, anche
la più sciocca delle tragedie euripidee, ammes-
so che ce ne siano di sciocche è comunque
troppo per la struttura stessa del THEATRON,
un grande gesto conoscitivo, perché è come se
ci dicesse: 'guarda la vita!', e questo guardare
significa contemporaneamente sottrarsi alla
sua morsa istintuale, alla sua morsa pulsiona-
le, avvinghiante, quindi portare alla consape-
volezza, al 'Pathei Mathos'.
I.P. Qui c’è la possibilità di un apprendi-
mento che è profondissimo e che necessita
a ciascuno di entrare in un’evoluzione che
deve essere collettiva perché il singolo atto-
re senza spettatore non ha carattere per-
ché non viene visto dall’esterno ed attra-
verso lo spettatore lo spazio si fa sfonda-
mento, si fa quell’infinito verso il quale tu
devi tendere! Ma perché Aristotele era
contro questo tipo di funzione del teatro e
anche addirittura al ruolo del flauto all’ in-
terno del discorso recitativo, era proprio
contro la musica ditirambica, contro l’ uti-
lizzo del flauto come elemento di didattica?
Perché?
A.T. Penso che sia una sua difesa in un logos
tutto mentale. Aristotele era uno che cono-
sceva tutti i misteri Eleusini, è uno che forse è
stato anche iniziato, ci riporta testimonianze
che ci fanno capire che lui ad Eleusi c’è stato,
quando definisce l’iniziazione come il prova-
re un’emozione, essere in un certo stato,
quindi sa che la conoscenza iniziatica è un
modo di essere, non un modo di pensare, però
poi lui ha creato la conoscenza come modo di
pensare e non come modo di essere, che è
proprio il distacco tra 'sofia' e 'filo-sofia'. Il fi-
losofo è uno che ha un modo di pensare più o
meno corretto, più o meno evoluto, più o me-
no articolato, invece il sapiente è colui che si
pone come conoscenza, è uno stato di co-
scienza la sapienza, invece la filosofia è un
contenuto di pensiero e la differenza come ri-
ferimento è fra il meditante orientale e il filo-
sofo. Empedocle incarnava il sapiente, nel
senso che portava in sé, come Eraclito, co-
scienza di sapienza, qui siamo in una sfera
tutta diversa rispetto a quella aristotelica. La
filosofia poi si formerà sul logos, sui proce-
dimenti tutti dialettici, su questi anancasmi
psichici ed invece la sapienza è il modo di es-
sere del liberato, del contemplante che è mol-
to simile, almeno nella mia interpretazione
del mondo greco, alla sapienza d’Oriente.
I.P. Allora la filosofia allontanerebbe da
questa capacità della consapevolezza di
farsi trasformazione del soggetto.
A.T. Infatti! Nella mia personale visione, pa-
radossalmente è più sapiente il più stupido
degli spettatori della tragedia che non Aristo-
tele, il loghikòs, perché lo spettatore della
tragedia può sperimentare uno stato di co-
scienza, un modo di essere contemplativo ri-
spetto al ‘Patei Mathos’, mentre Aristotele fa
una grandissima arrampicata nel logos, che
poi funzionerà da ‘thèkne’, quel logos che poi
ha privato la tecnica di uno sguardo sulla tec-
nica che potesse liberarla dai rischi che si
stanno correndo.
I.P. Qui si andrebbe a toccare la capacità
degli scienziati di avere uno sguardo ‘mo-
rale’ sulla ricerca che stanno facendo,
prima ancora che questa venga messa in
atto, forse così non ci sarebbe stato Hiro-
shima…
A.T. Un’altra cosa interessante che Colli ci
diceva a lezione è che i Greci avevano sospe-
so la ricerca tecnologica ad un certo punto
perché avevano questa grandissima salva-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 13
guardia che erano i due concetti di ‘hybris’ e
di ‘phtonon’, la tracotanza e l’invidia degli
dei, che erano comunque una sorta di garan-
zia che oltre una certa soglia non si corre il ri-
schio di andare. Ora io non sono un talebano
dell’anti-tecnologia, però è evidente che uno
sguardo sapienziale, cioè contemplativo e
compassionevole, su tutto ciò che si fa ci sal-
vaguarderebbe da certi rischi.
I.P. La ‘hybris’ e il ‘brotòn’, la tracotanza
e l’essere umano mortale, sono due termini
che hanno la forza di una chiave di volta
della stesura dei testi tragici.
A.T. La ‘hybris’, la tracotanza, l’arroganza è
trattata bene nei Persiani di Eschilo: è legata
alla thèkne, al fatto che Dario abbia voluto
andare contro natura, abbia voluto creare un
ponte sull’Ellesponto per invadere la Grecia
ed è stato punito. Il messaggio è chiaro: non
bisogna andare oltre i limiti della natura al-
trimenti ci si deve fare carico delle conse-
guenze.
I.P. Ma questa natura umana ha in sé la
tracotanza? E’ una dote negativa? E’ pro-
pria di tutti i ‘brotòi’ di tutti gli esseri
umani mortali e quindi la funzione che ha
il teatro è quella di abbassare il tono
dell’arroganza sostituendolo con la consa-
pevolezza?
A.T. Certo, essa è legata alla sfera della vo-
lontà di potenza ed è alla base anche del tra-
gico: nell’Antigone per esempio c’è lo scon-
tro tra Creonte e Antigone sotto forma di po-
tenza da esibire, riporta sempre alla distruzio-
ne di uno dei due termini ed è comunque an-
che la legge dell’esistenza secondo Anassi-
mandro. C’è quel frammento bellissimo che
dice: “Le cose dalle quali è nascimento alle
cose che sono, sono anche quelle dalle quali
si sviluppa la rovina secondo il decreto del
Tempo”. E infatti le cose si legano l’una all’
altra in questa distruzione, per la legge che
vuole che ritornino all’unità originaria dalla
quale sono sorte ed allora il conflitto è questo
modo per tornare al momento che precede il
principio di individuazione, al quale poi si
collega, come estremo, alla ‘hybris’.
L’incantamento continua, a lungo, e molto
troverò ancora da dire con lui, interrogandolo
con qualche sosta, per lasciarlo respirare. In
un futuro dilatato ed approssimante.
Ilia Pedrina
IL CANTO DEL TUO RESPIRO
Sento il canto del tuo respiro
che sommesso mi chiama.
Brividi caldi lungo la schiena,
avverto il tuo corpo.
Non ti lascerò sola
in questa landa di ghiaccio
che tormenta la mente.
Il tremore che senti
scomparirà con l’abbraccio.
Nervi sensibili
tesi come corde di violino
allenteranno la presa.
Sopraggiungerà la calma
poi la felicità
di sentirti mia
in questo dolce giaciglio.
Mai ti allontanerò…
Te lo prometto
come promisi l’amore
al mio primo sentimento.
Farai parte di me…
Ed io di te…
Fino a che il tramonto
risorgerà con l’alba.
Colombo Conti Albano Laziale
STRANE SENSAZIONI
L'ordito del giorno
dipingeva di verde la fredda mattina.
Le ombre velanti, le boschine secche
ordivano trame, fra cimase fitte,
dove ogni colore si spegneva.
Fra i picchi dei monti,
covavano fuochi e la luce sanguinava
nella radura, stregati flagelli
diffondevano una forsennata paura.
Sotto il grigio sipario del cielo.
Adriana Mondo
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 14
RODOLFO VETTORELLO:
LETTERA IN VERSI di Liliana Porro Andriuoli
ELLE Edizioni Helicon è apparso
nell’aprile del 2015 un libro dal titolo
LETTERA in VERSI dedicata a Ro-
dolfo Vettorello, a cura di Rosa Elisa Gian-
goia. Si tratta della pubblicazione in volume
del n. 51 (numero del Settembre 2014, dedi-
cato appunto al poeta Rodolfo Vettorello)
della rivista on-line “Lettera in Versi”.
Mi sembra importante prima di passare ad
analizzare questa pregevole pubblicazione,
dire due parole di presentazione di “Lettera in
Versi”, una newsletter di poesia che, pun-
tualmente, ogni tre mesi, presenta un poeta e
la sua opera. L’ultimo numero, il 55mo, dedi-
cato a Bruno Bartoletti di Sogliano al Rubi-
cone (Cesena-Forlì), è uscito proprio pochi
giorni fa; ed è per noi un piacere e un orgo-
glio aver dato un non piccolo contribuito a
divulgare e far conoscere le poesie di ben 55
poeti che, a parere nostro, possono “meritare
questo nome a pieno titolo”, come ben dice
Rosa Elisa Giangoia1.
La “LiV”, come affettuosamente viene
chiamata “Lettera in versi” in Redazione,
nacque a Genova, quindici anni fa, “tra alcuni
amici”, che gravitavano intorno allo splendi-
do salotto dei coniugi Giangoia-Tealdi, dove
da tempo si tenevano vari incontri per condi-
videre esperienze letterarie, in particolare “di
lettura e produzione di testi poetici”. E fu
proprio per “tenere memoria” di alcuni di
questi incontri (o forse meglio per poter “al-
largare a più persone possibili il piacere e il
senso del valore della parola poetica”2), che
fu varato, nell’ottobre del 2001, il primo nu-
mero di “Lettera in versi”, dedicato a Mar-
gherita Faustini, la poetessa genovese che, in-
sieme a Rosa Elisa Giangoia, ebbe la felice
1Editoriale, LETTERA in VERSI dedicata a Ro-
dolfo Vettorello, Edizioni Helicon, Arezzo 2015. 2 Dal Sito https://bombacarta.com/le-
attivita/lettera-in-versi/.
idea del progetto. Dal 2003, e precisamente
con il n. 6, dedicato ad un altro poeta genove-
se, l’ing. Aldo G.B. Rossi, iniziò anche la mia
collaborazione a questa coinvolgente iniziati-
va. Oggi, dopo la morte di Margherita, avve-
nuta nel gennaio 2009, siamo rimaste Rosa
Elisa (che la dirige) ed io a portare avanti, con
lo stesso entusiasmo di allora, la “LiV”, che
ottiene sempre nuovi consensi e la cui realiz-
zazione è per noi sempre più stimolante.
Lo schema della rivista è rimasto immutato:
suddivisa in cinque sezioni, inizia con un Edi-
toriale3, a firma della Direttrice, con il quale
si cerca di meglio collocare il poeta presenta-
to nel quadro più generale della nostra poesia
italiana. Seguono nell’ordine un Profilo Bio-
bibliografico, in cui, oltre a qualche cenno
sulla vita, viene esposta l’attività letteraria
svolta dal poeta sino a quel momento e l’ An-
tologia poetica, che contiene una nutrita scel-
ta di poesie operata, ovviamente sempre in
accordo con il poeta presentato, alternativa-
mente dalla Direttrice o da me, a seconda di
chi rediga quel particolare numero della rivi-
sta. Si conclude con un’Intervista, in cui il
poeta risponde ad alcune domande, pertinenti
per lo più alla sua opera, rivoltegli dalla re-
dattrice di turno e, con l’Antologia critica, in
cui viene riportata una serie di giudizi espres-
si dai critici che si sono occupati dell’opera
del poeta in questione.
In diversi numeri è stata inserita anche una
recensione, talora già edita, a uno dei libri più
recenti del poeta presentato.
Dal 2007 “Lettera in Versi” può vantarsi di
essere una delle attività di Bombacarta e si
trova sul Sito: https://bombacarta.com/le-
attivita/lettera-in-versi/.
Ma veniamo al n. 51 di “Lettera in versi”,
quello dedicato a Rodolfo Vettorello che, con
l’elegante volumetto di cui stiamo per parlare,
ha avuto l’onore della stampa.
Inizia ovviamente con l’Editoriale, in cui
3 Una parte degli editoriali è già uscita nel volu-
me: Rosa Elisa Giangoia, Appunti di poesia – Vademecum per chi la ama (Fara Editore, Rimini,
2011, € 11,00).
N
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 15
Rosa Elisa Giangoia, dopo una riflessione
sull’enorme quantità di poesia che si scrive ai
nostri giorni (moltissima parte della quale
circola in Rete), perviene alla conclusione che
tale fenomeno non fa altro che confermare la
necessità, avvertita specie dall’uomo moder-
no, di «evidenziare ed affermare la sua indi-
vidualità, soprattutto emotiva e sentimentale
… per privilegiare il proprio “io”, esprimerlo
e comunicarlo, in un’ansia di preservare il
“sé” dalla marea montante di “tutti gli altri”».
D’altra parte, leggiamo ancora poco oltre che,
proprio diffondendo la poesia, scopo primario
delle “Lettere in versi”, si aiutano i lettori «a
crescere nella loro consapevolezza di essere
uomini» e si indicano «dei percorsi per rea-
lizzare quella pienezza di umanità a cui cia-
scuno deve tendere».
Nel Profilo bio-bibliografico dopo alcune
succinte informazioni sulla vita e sulle opere
di Rodolfo Vettorello (nato a Castelbardo -
PD - e residente a Milano, dove, dopo la lau-
rea in Architettura, esercita la libera Profes-
sione), segue una sintesi della sua attività let-
teraria e dei riconoscimenti da lui ricevuti in
vari Premi. Completa il Profilo la riproduzio-
ne delle copertine delle sue 15 sillogi poeti-
che.
Un’ampia selezione dell’opera in versi di
Vettorello è offerta dall’Antologia poetica,
che permette di farci un’idea abbastanza
compiuta della sua poesia. Emergono infatti,
da tale scelta antologica, subito nette sia la
limpidità del dettato, di questo autore, im-
mediatamente comunicativo, sia l’assidua
presenza del metro da lui preferito, che è
essenzialmente l’endecasillabo. Emerge
inoltre dalla lettura di questa Antologia che
quella di Rodolfo Vettorello è una poesia di
diversa ispirazione, nascente da mille “occa-
sioni”, che possono essere date dall’ evoca-
zione di un poeta come Camillo Sbarbaro (p.
23), nel quale si identifica o da quella di un
poeta come Montale, del quale ricorda le Let-
tere a Clizia (p. 26) o ancora da quella di un
poeta come Giovanni Pascoli, di cui ricorda
la casa di Castelvecchio, da lui visitata (p.
28). Ma anche la natura è fonte assidua d’
ispirazione per il nostro poeta, come mostra-
no poesie quali Settembre, Crete senesi e La
conchiglia. Ciò che però maggiormente conta
in lui è la riflessione sulla contemplazione
del mondo esterno oppure sul ricordo di
un momento sereno di vita, colto con im-
mediatezza e verità, come: “Pedali avanti a
me, / piegata un poco, / come i fuscelli d’erba
/ dal vento fresco e teso. / Troppo dolce è non
dire una parola / ma sorriderti quando ti rigi-
ri” (Settembre, p. 29). Ed immediate sono in-
vero le sue notazioni, fermate in versi inci-
sivi e computi, quali: “La casa è come un ni-
do di pensieri” (“Non recidere forbice…”, p.
31); “Ma il tempo ormai mi ruba le parole”
(Come un miraggio, p. 37); “Un uomo è so-
lamente la sua storia” (La memoria che ci re-
sta, p. 56); ecc.
Talvolta più intensa si fa in lui la parola,
come avviene in Crete senesi: “Vorrei sve-
gliarmi / e che fosse ancora / col rumore dei
tram della mia strada…” (p. 35) o in Al fon-
do: “Io sono stato a margine da sempre, / la
vita ch’è passata / io l’ho vista passare sola-
mente” (p. 42). Per ciò che concerne la con-
templazione del mondo esterno, sempre su-
scitatrice di immagini e pensieri, cui sopra si
è fatto cenno, si veda ad esempio La lucerto-
la: “Mi piace restare abbagliato nel caldo / di
un raggio di sole su questa panchina / affac-
ciata sul bordo del fiume / di traffico come /
la mite lucertola viva sul sasso” (p. 40) o an-
che Quattro lucciole; “Porto Levante e le sue
case mute / sono la spiaggia dove muore il
fiume” (p. 41).
Talora è invece un soprassalto che coglie
Vettorello nel vento dei suoi pensieri: “Temo
la malattia, la sofferenza, / l’arrivo della sera,
/ la sete che fa male / e questo andare senza
meta” (Io temo, p. 46) o lo prende un moto
affettuoso dell’animo verso colei che ama:
“Le tue mani da stringere nel buio / e sentire
che sai molto di più / del poco che conosco
dell’amore” (Beatrice, p. 50). Talaltra a ra-
pirlo sono delle città come L’Aquila: “L’ ac-
qua che scorre dalle tue fontane / gorgoglia
come polla di sorgiva / e disseta la gola nell’
arsura” (p. 51) oppure l’assedia il pensiero
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 16
della morte: “Io la corteggiavo da tempo / la
morte, così che se viene / non posso che dire:
aspettavo” (p. 61, L’amante spietata).
A sedurlo è poi talora anche la nostalgia di
un paese dell’anima: “… non so trovare un
senso / per questa voglia assurda di tornare”
(Itaca, p. 75); mentre lo spaventa il pensiero
del male che lo lega: “Il Male esiste, / io so-
no un testimone” (L’altra faccia della luna, p.
77). Sempre comunque dalle sue poesie
emerge netta la personalità di questo poe-
ta, con la sua cifra e la sua meraviglia di
fronte alle epifanie del Creato e con la sua
capacità di autoanalisi; ma soprattutto con
la sua capacità di espressione.
Quello che è il modo di concepire la poesia
di Vettorello emerge chiaramente dall’ Inter-
vista fattagli da Rosa Elisa Giangoia, durante
la quale afferma che per lui la prima regola
della poesia è quella della concisione: “La
ricchezza dell’aggettivazione [egli dice]
nuoce sicuramente alla poesia che trae
vantaggio invece dalla sintesi. È infatti luo-
go comune dire che la poesia è «l’arte del
togliere»”.
Necessario è inoltre per Vettorello che la
poesia abbia un suo ritmo, che nel suo caso
personale si traduce essenzialmente nel ritmo
endecasillabico, con tutta la varietà di accen-
tuazioni che questo verso contiene. Ed insiste
molto, il nostro poeta, sul fatto che la poesia
debba avere un ritmo ben preciso, anche
quando non è strutturata in endecasillabi,
ma in versi liberi, perché è proprio dal
ritmo che essa trae senso e valore. Così
come molto insiste sulle ragioni della sua
scelta metrica che poggiano essenzialmente
sull’armonia e sull’efficacia della resa espres-
siva. La poesia, secondo Vettorello la si rico-
nosce inoltre per la sua forza di sintesi e per
le sue immagini. Egli conclude dicendo che
ciò che meglio lo rappresenta è “la dinami-
ca dell’inquietudine” o meglio ancora, tout
court, “l’Inquietudine” stessa.
L’Antologia critica pone in rilievo molti
degli aspetti e delle caratteristiche della poe-
sia del nostro autore, fra i quali vorrei ricor-
dare: la tematica del quotidiano messa in
luce da Enzo d’Urbano e Paolo Ruffilli; il
“nitore descrittivo” segnalato da Fabio Ma-
ria Serpilli; “la pena esistenziale del vivere
quotidiano che accompagna la vita dell’
uomo moderno”, evidenziata da Leopoldo
Saraceni; “le modulazioni foniche” e “la
preziosità tonale lievemente di evocazione” lodate da Marina Pratici; “le scelte lessicali
pregnanti” ammirate da Anna Gertrude Pes-
sina; ed infine la definizione, da molti condi-
visa, di “una poesia che guarda più al sen-
timento che alla ragione”, fornitaci da Na-
zario Pardini; ecc.
Una poesia ricca di motivi e ben articolata,
dunque, quella di Rodolfo Vettorello, che
questo libro egregiamente evidenzia nella va-
rietà del suo nascere e del suo svilupparsi e fa
sì che il suo autore degnamente figuri nella
compagine dei poeti da noi presentati.
Liliana Porro Andriuoli RODOLFO VETTORELLO: LETTERA IN
VERSI - (Edizioni Helicon Arezzo, 2015, € 11,00)
BAMBINI LAVORATORI
I bambini lavorano
nel fango, nell’acqua stagnante
nella spazzatura, pulendo la città,
sono bambini lavoratori
o bambini soldati di una guerra
che non capiscono...
Anche le bambine lavorano
come netturbini
o nella prostituzione
o nell’orrore del matrimonio prematuro...
Fino a quando la morte
deve porre fine alla miseria della vita,
e l’essere umano andare a completare
il suo destino secondo la norma naturale
dell’umanità?
Le creature hanno il diritto di mangiare,
di crescere, di imparare
e di cercare l’allegria di vivere.
Teresinka Pereira USA, 19 settembre 2014, traduzione dalla spa-
gnolo di Tito Cauchi
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 17
LUIGI DE ROSA, UNA VITA
IN LETTERATURA di Corrado Pestelli
ER Luigi De Rosa si può ben parlare
di “una vita”, perché ha cominciato a
pubblicare poesie e prose nel 1952, a
circa 17 anni, su suggerimento del presiden-
te della sua Commissione di maturità classi-
ca, grazie a una rivista mensile de “La Scuo-
la Editrice” di Brescia.
De Rosa, figlio di genitori partenopei, ha
vissuto tra la Liguria, terra d'elezione dove
si è laureato, e altre Regioni del Nord Italia
(a Trieste, Alessandria, Torino e Bergamo è
stato Provveditore agli studi; quindi il ritor-
no a Genova come Sovrintendente scolasti-
co regionale per la Liguria).
Autore di vasta produzione e di ampio ri-
conoscimento critico, ha scritto liriche, rac-
conti, recensioni, saggi, articoli giornalistici
(iscritto a lungo all'Ordine, ha collaborato,
fra le altre testate, al “Il Gazzettino”, di Ve-
nezia e “Il Secolo XIX”, di Genova ). Ha
collaborato anche a molte riviste letterarie,
facendo parte, per alcune, del comitato di
redazione. E' stato, ed è, membro di Giuria
di Premi Letterari. Notevole il numero di
Premi, a sua volta, vinti come Autore. Basta
citare, negli ultimi anni, nella Sezione Poe-
sia, i Premi “Teramo” e “Crotone”, nel
2005, “Maestrale”- Sestri Levante 2006,
“Mario Soldati”, Torino 2006, “Montecassi-
no-Paidèia (2008), “Città di Pomezia-
Pomezia Notizie” (2010), “Terre di Liguria”
e “Portus Lunae” (2012), “I Murazzi-Torino
(2013). Tra i suoi libri di poesia, Risveglio
veneziano ed altri versi, con lettera autogra-
fa di Diego Valeri; Il volto di lei durante,
due edizioni, con prefazioni di Giorgio Bàr-
beri Squarotti, dell'Università di Torino, e di
Sandro Gros Pietro, Gènesi, Torino 1990 e
2005; Approdo in Liguria, con prefazione di
Maria Luisa Spaziani, ibidem 2006; Lo
specchio e la vita, con un saggio introdutti-
vo di Graziella Corsinovi, dell'Università di
Genova; Fuga del tempo, con prefazione di
Sandro Gros Pietro. Ha scritto anche libri di
storia e di saggistica, tra cui uno su Antonio
Angelone (Edizioni Accademia, Isernia) ed
uno sull'opera letteraria di Imperia Tognacci
(Giuseppe Laterza Editore, Bari).
Numerosi i suoi testi critici su Ungaretti,
Pascoli, Montale, Saba, Sbarbaro, Caproni,
Giovanni Giudici ed altri poeti e scrittori.
Motivi e paesaggi, temi, sentimenti, riso-
nanze ed atmosfere presenti nelle liriche di
Luigi De Rosa non rendono errato il concet-
to di una sua fondamentale appartenenza al-
la “scuola ligure”, ad una delle linee illustri
per eccellenza della poesia italiana del No-
vecento. Ma non per questo si tratta d'un
poeta epigono: tutt'altro. Forme e significati,
nei componimenti di De Rosa, nella sua ci-
fra creativa, sono, e si pongono, come riela-
borazione del tutto personale di sollecitazio-
ni liriche e di singola interpretazione del
reale e del vissuto, ma anche dell'esperienza
in atto di un'originale concezione di poetica.
D'altronde, la sua appartenenza, già notata
dalla critica, “ al versante ermetico dell'at-
tuale idea di poesia” è confermata, e insie-
me arricchita, dalla molteplicità di registri
lirici nei quali prende voce la parola dell'au-
tore. Ne offrono ampia prova poesie come
Il volto di lei durante, Fino a quando le
rondini, Luoghi, Approdo in Liguria, Verso
la foce.
Non mancano davvero i luoghi di riferi-
mento, materiale e mentale; ma, scrive si-
P
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 18
gnificativamente De Rosa “ i luoghi che mi
sembra/ di meglio conoscere/ e amare/ sono
i luoghi nei quali/ non sono mai stato.”
Corrado Pestelli (Professore ricercatore presso il Dipartimento di
Italianistica dell'Università di Firenze)
(Da Letteratura italiana contemporanea – Anto-logia del Nuovo Millennio – Edizioni Helicon –
Arezzo 2015 – a cura di Neuro Bonifazi, Andrea
Pellegrini, Corrado Pestelli, Cristiana Vettori).
CARPE DIEM ...
Perché rimpiangere il passato
e così rattristarsi
quando bello fu il viverlo?
Meglio è nel ricordo riviverlo
e rallegrarsi di ciò che fu
e che avrebbe potuto
non essere stato mai.
E perché immaginare
un avverso futuro ed anzi tempo
addolorarsene?
Solo il presente ci può dare
veramente il dolore
e quindi
solo per il presente è giusto
e ragionevole
addolorarsi quando è triste.
Ma è anche giusto
e doveroso
sperare nel futuro perché il tempo
sa guarire i dolori dell’anima
e smorzandoli
renderceli quasi dolci.
Mariagina Bonciani Milano
SABBIA
Dove si arrende
il mare lì
lascia scritta la sua prepotenza
in bocche aperte
e in vuotate orbite
affamate solo di cielo.
Neoplasie del confine, dove
la forza d’acqua porta
il pacifico sacrificio
di vittime offerte alla natura
dalla natura
nel suo moto,
così,
casuale,
tale da rendere
quelle cose organiche arse,
nel luogo mangiato dal sole,
rappresentazione
di un naufragio del tempo,
di un luogo abulico
dove la morte grida:
“dilago sulla luce”.
Inutile divagazione,
spaventosa difficoltà d’apprendimento
che il tempo
nulla distrugge,
ma ricrea quanto basta
a fare anche del vuoto
e del silenzio di polvere silicea,
prova di resistenza alla morte:
creando all’infinito
altra
-seppure invisibile-
sconosciuta vita.
Salvatore D’Ambrosio
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
23/9/2015
Si riapre il can can sull’intercettazione tele-
fonica, continuando a fare straccio dell’art.
15 della Costituzione, che sancisce la libertà
e la segretezza della corrispondenza e di
ogni altra forma di comunicazione. L’ auto-
rità giudiziaria può autorizzare l’ intercetta-
zione, ma non darla in pasto a chicchessia;
deve, anche se presente nei fascicoli proces-
suali, rimanere segreta. È la magistratura
che si è arrogato il diritto della diffusione
del suo contenuto, palesemente violando la
Carta.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 19
DOMENICO ADRIANO:
DOVE GOETHE
SEMINÒ VIOLETTE di Elio Andriuoli
ON un andamento narrativo, ma ca-
pace di improvvise illuminazioni,
Domenico Adriano ha scritto il suo
nuovo libro di poesie, Dove Goethe seminò
violette, una raccolta che si presenta come
degna di attenzione non soltanto per la sa-
pienza stilistica che la regge, ma anche per i
contenuti umani di cui è portatrice e per i rife-
rimenti culturali che vi traspaiono.
Qui infatti si avverte subito che l’autore ha
un suo ritmo, che fa tutt’uno con l’intuizione
poetica e da essa scaturisce; un ritmo nel qua-
le s’incanala l’emozione con immediatezza e
verità. Si leggano, ad esempio, questi incipit:
“Lo feci scoprire a mia figlia, un giorno, /
quello scabro fico che se ne sta / tra due muri,
in un dito di giardino” (Lo feci scoprire); op-
pure: “Ma gli uccelli dove vanno a morire? /
Nessuno lo sa, non me lo sa dire / mio padre
che li ha amati” (Ma gli uccelli dove vanno a
morire) e si avrà un’idea, per quanto appros-
simativa, del modo di far poesia di questo au-
tore.
Sempre comunque le poesie di Domenico
Adriano scaturiscono da fatti concreti di vita
che l’autore coglie ed anima col suo senti-
mento. Esse posseggono perciò le caratteristi-
che dell’evidenza e del contatto diretto con la
realtà. Si legga, ad esempio: “Le parole del
padre saettavano / insieme a una miriade / di
rondini verso i due nidi / della casa di fronte,
guizzavano / con le loro ombre sul muro” (Le
parole del padre saettavano), dove quel volo
di rondini saettanti nel cielo è colto con una
particolare immediatezza visiva.
Lo stesso può dirsi di una poesia dedicata
da Adriano alla madre, che affiora come una
donna molto attiva e tuttora dedita alle in-
combenze domestiche, non ostante l’età:
“Non riesce a stare ferma mia madre: / un al-
bero può stare fermo? / Tra le fronde dei suoi
ottantacinque / anni, all’imbrunire / nuvole d’
uccelli cercano un appoggio” (Non riesce a
stare ferma mia madre). Ed è significativa l’
immagine dell’albero che con la sua chioma
ospita gli uccelli, assimilato alla madre, la
quale ancora sorregge e aiuta chi le sta vicino.
Ma il contatto diretto con il mondo esterno
s’incontra ad ogni passo in questo libro, nel
quale tutto diviene oggetto di poesia, scatu-
rendo essa dalle più diverse occasioni. Si ve-
da, ad esempio, questo incipit: “Come piog-
gia battente / veniva giù per il vicolo un pian-
to / allegro di organetto, si spandeva / per l’
aria” (Come pioggia battente), dove subito
balza agli occhi il contrasto insito nell’
espressione “pianto allegro di organetto”, che
genera un’immagine molto efficace.
Anche altrove però troviamo in questo libro
delle immagini compiute, quali: “… le fine-
strette colme di tramonto” (Si rammaricava
Baldacci); “… la bocca / spalancata di una
casa” (Andavo e venivo); “dentro il fuoco del
ghiaccio” (Non per la trasparenza); “sveglia-
re le violette” (Non ho fatto in tempo); ecc.
Tra le poesie maggiormente significative di
questa raccolta vi è quella che inizia: “Non ho
mai conosciuto / la madre di mio padre”, nel-
la quale il pensiero della nonna s’affaccia ca-
C
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 20
rico di sofferenza, per quello che il poeta ha
poi saputo di lei. La poesia infatti così prose-
gue: “Ma il dolore / più grande fu del figlio /
che non la ritrovò / uscendo dalla prigionia.
Morì / - raccontano - di fame / dentro ad un
campo profughi / divorata dai pidocchi. Poi, /
stretta ad altri corpi, gettata / in una fossa
(Non ho mai conosciuta).
Echi del tempo di guerra s’incontrano inve-
ro anche in altre poesie di questa raccolta,
nella quale si leggono versi quali: “Com’è ve-
loce il tempo / prigioniero / a Norimberga
erano lunghe / le ore” (Com’è veloce il tem-
po) e “… io non ero ancora nato ma vidi /
all’orizzonte quel che restava, la pietraia /
dell’Abbazia di Montecassino” (Me lo rac-
contò mio padre). E’ questo il ricordo di un
luogo in cui si svolse una furiosa battaglia tra
le truppe tedesche in ritirata e quelle degli an-
glo-americani. E si veda anche “… il soldato
/ tedesco sporco e stanco / a cavallo verso
Montecassino / che canta Lilì Marleen”, nella
poesia Prima che me lo dicesse un libro.
Sovente in questa silloge compaiono degli
animali, specie degli uccelli (cardellini, pas-
seri, rondini, pettirossi, trampolieri); ma vi fi-
gura anche “un asino lento” (Mi venivano
agli occhi); delle “lucertole a mirarsi pigre”
(Non diventate mai vecchi!) e un’ape che
“volava tra noi” (Ivi). Una metafora è invece
quella di questo incipit: “Due piccoli cerbiatti
i tuoi seni”.
Caratteristica di questa raccolta è poi il ri-
cordo di molti poeti ben noti, come Umberto
Saba, che compare in una delle prime poesie,
la quale inizia: “A chi posso mia madre as-
somigliare?” (eco di una celebre poesia sa-
biana).
Si vedano inoltre Ugo Reale, emergente da
Poi la bambina mi ha consegnato due / lette-
re; Rodolfo Di Biasio, del quale è ricordato
un libro, Patmos, (“Erano tornati dalla pre-
sentazione / del libro in versi Patmos); Corra-
do Govoni, riaffiorante da “«Ti ho portato /
una poesia!...» / E’ di Govoni, / vi volano far-
falle” (E ora se ne sta qui sulla soglia); Pier
Paolo Pasolini, la cui immagine s’affaccia da
“E’ ricomparsa, o era / un sogno la lucciola
dell’infanzia. / Ho pensato a te Pier Paolo /
che ne avresti gioito” (E’ ricomparsa, o era);
Dario Bellezza, che affiora da Andavo e veni-
vo: “Andavo e venivo / sul Lungotevere…”;
Patrizia Cavalli, emergente da Le finestre di
Palazzo Farnese; Tommaso e Rodolfo Lisi,
da Le persone stavano assiepate; Elio Fiore,
da Dopo che il mare se ne andò; ecc.
Un libro ricco dunque di contenuti umani,
questo di Domenico Adriano, emergenti non
soltanto dal suo affetto per i familiari, ma an-
che dai sentimenti verso persone con le quali
egli ha instaurato un rapporto di pura amici-
zia.
Un’ultima figura emerge da queste pagine,
quella di Maria Obolensky, morta a soli di-
ciassette anni e sepolta ne cimitero acattolico
di Roma, non lontano da Shelley e Keats. Ella
“vive / al giardino dei poeti / dove Goethe
seminò violette” dice Adriano, riferendosi al
fatto che in questo cimitero è sepolto anche
August Goethe, l’unico figlio del grande poe-
ta tedesco Johan Wolfgang Goethe.
Da qui il titolo della raccolta, che si presen-
ta come un’ulteriore prova riuscita di questo
autore, il quale dal suo primo libro, La polve-
re e il miele, molti altri di pregio ha pubblica-
ti.
Elio Andriuoli DOMENICO ADRIANO: DOVE GOETHE
SEMINO’ VIOLETTE (Edizioni Il Labirinto,
Roma, 2015, € 12,00)
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
7/10/2015
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino - detto
anche Marziano e Sottomarino -, s’è dimes-
so dopo aver raggiunto il primato mondiale
del ridicolo. Il Papa non l’ha invitato negli
Stati Uniti d’America e l’ambasciatore del
Vietnam smentisce di essere stato a cena
con lui. Alleluia! Alleluia! Panda rossa, Ca-
samonica, millantati inviti, cene conviviali...
Nessuno l’ha toccato o scaricato: è stato lui
soltanto a farsi male.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 21
In occasione del Centenario 1915-2015
CARLO EMILIO GADDA
NELLA
“GRANDE GUERRA”
LA DELUSIONE DI UN
INTERVENTISTA di Luigi De Rosa
ENTO anni fa, nel 1915, l'Italia era
“intervenuta” nella Prima Guerra
Mondiale, contro l'Austria-Ungheria
e la Germania. Per perseguire l'obiettivo di
liberare le “terre irredente” (Trento, Trieste,
Fiume) l'Italia era passata dalla Triplice Al-
leanza (patto difensivo firmato già nel 1882
con l'Austria e la Germania di Bismarck) al
campo delle potenze della Triplice Intesa
(Gran Bretagna, Francia e Russia).
Tra i giovani interventisti più convinti ed
entusiasti c'era anche il futuro scrittore Carlo
Emilio Gadda, che aveva tralasciato il Poli-
tecnico e la Facoltà di Ingegneria, per andare
a combattere come sottotenente degli Alpini
una guerra ritenuta “giusta e santa”, ma poi
aveva vissuto con consapevolezza critica gli
aspetti deludenti di certa disorganizzazione e
di errori tattici e strategici dovuti a coman-
danti incompetenti o non ancora pronti, e co-
munque scarsamente solleciti delle condizioni
materiali e morali delle truppe.
Gadda aveva vissuto, soprattutto, come psi-
cologicamente distruttiva l'esperienza di pri-
gioniero di guerra, essendo stato catturato da-
gli Austriaci dopo la rotta di Caporetto. (Si
veda, in proposito, il suo Giornale di guerra e
di prigionia).
Il futuro, “allucinato” autore di libri come
La cognizione del dolore (ma molti lo ricor-
dano più per quella specie di giallo di Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana) era
nato a Milano il 14 novembre 1893, da fa-
miglia facoltosa (padre industriale, villa a
Longone in Brianza, etc.). Però gli investi-
menti sbagliati del padre, anche nell'alleva-
mento dei bachi da seta, e poi la morte dello
stesso, precipitarono una famiglia ricca sull'
orlo della miseria. Solo la madre, col pro-
prio lavoro e coi suoi sacrifici, salvò il fi-
glio. Comunque Carlo Emilio, pur in pos-
sesso della maturità classica, ripudiò le pro-
prie inclinazioni letterarie per iscriversi alla
Facoltà di Ingegneria del Politecnico (da
scrittore maturo si sarebbe poi pentito ama-
ramente di tale scelta).
Nel 1915 il ventitreenne aspirante ingegne-
re elettrotecnico partì quindi volontario, ar-
ruolandosi negli Alpini. Non fu inviato, però,
in prima linea, venendo assegnato al fronte
dell'Adamello e delle alture del Vicentino.
Nella disastrosa rotta di Caporetto, come ri-
cordato, fu fatto prigioniero dagli Austriaci e
deportato ad Hannover, in Germania, dove
strinse amicizia con Ugo Betti e Bonaventura
Tecchi.
Il suo amarissimo Giornale di guerra e di
prigionia fu tenuto segreto per sua volontà.
Sarebbe stato pubblicato solo nel 1955, da
Sansoni, Firenze, e ripubblicato, con delle
aggiunte, da Garzanti, dieci anni dopo.
Nel 1920, tornato a Milano, si laureò al Po-
litecnico in ingegneria elettrotecnica, e andò a
lavorare, con tale laurea, in Lombardia e in
Sardegna, in Belgio e in Argentina.
Nel 1924 si iscrisse alla Facoltà di Filosofia
per dare finalmente soddisfazione alla propria
passione per le scienze umane e la letteratura.
Ma pur avendo superato tutti gli esami, non si
C
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 22
laureò mai, perché non discusse mai la tesi. Il
che non gli impedì di iniziare a collaborare
dal 1926 a riviste come la fiorentina Solaria,
e a pubblicare due libri di racconti, La Ma-
donna dei filosofi e Il castello di Udine (Pre-
mio Bagutta). Poi avrebbe abbandonato la
professione di ingegnere, collaborato alla
RAI, scritto i suoi romanzi più famosi.
Ma torniamo brevemente al suo Giornale di
guerra e di prigionia.
Qui Gadda si rivela un mazziniano infiam-
mato di ideali e di virtù morali.
Non può non vedere con disgusto che a
poca distanza dai luoghi in cui tanti giovani,
magari contadini strappati alla terra, si spa-
rano e si infilzano con pugnali e baionette,
la gente cammina tranquillamente, prende l'
aperitivo in Galleria, fa sesso, pensa ai pro-
pri affari economico-finanziari. Lo scrittore
vede belle calzature passare e pensa alle
suole mezze marce delle scarpe dei suoi sol-
dati. Suole e tomaie fasulle che sicuramente
hanno fatto arricchire alcuni a scapito di al-
tri... Ammira l'attacco e il coraggio (inco-
scienza?) della fanteria allo scoperto ma poi
nota con delusione che l'attacco non viene
portato fino in fondo. Applaude allo slancio
generoso di alcuni soldati ma non può non
disprezzare la pigrizia e l'ignavia di quelli
che non amano “lavorare” per munire e for-
tificare le posizioni occupate a rischio della
vita.
Dice a un certo punto: “Le nostre fanterie
sono buone: il soldato italiano è pigro, specie
il meridionale: è sporchetto per necessità,
come il nemico, ma anche per incuria: prov-
vede ai bisogni del corpo nelle vicinanze del-
la trincea, riempiendo di merda tutto il terre-
no: non si cura di creare un unico cesso; ma
fa della linea tutto un cesso; tiene male il fu-
cile che è sporco e talora arrugginito; di sperde le munizioni e gli strumenti da zappa-
tore...dormicchia durante il giorno mentre
potrebbe rafforzare la linea; in compenso pe-
rò è paziente, sobrio, generoso, buono, soc-
correvole, coraggioso, e impetuoso all'attac-
co...”
Ma non si capirebbero appieno certe insof-
ferenze infastidite, certe critiche “feroci” di
Gadda sottotenente se non si ripensasse anche
alla amara infelicità da lui sofferta durante l'
infanzia e l'adolescenza. Se non si sapesse
delle ombrosità del suo carattere, della sua
personalità da heautontimorùmenos (punitore
di se stesso, nella commedia omonima di Te-
renzio) sempre scontento, soprattutto di sé.
Sempre dolorosamente nostalgico della ma-
dre che, quand'era viva, osteggiava sistemati-
camente. Sempre affezionatissimo al fratello
Enrico, aviatore, morto in guerra nel 1918,
che avrebbe voluto continuasse a vivere al
posto suo ( perché lui sì, che la meritava, la
felicità...)
Nel Diario di Caporetto, che Garzanti ha
pubblicato insieme al citato Giornale, Carlo
Emilio Gadda arriverà a scrivere, a Milano, l'
ultimo giorno dell'anno 1919:
“ (Ore 22. In casa).
La mia vita è inutile, è quella di un automa
sopravvissuto a se stesso, che fa per inerzia
alcune cose materiali, senza amore né fede.
Lavorerò mediocremente e farò alcune altre
bestialità. Sarò ancora cattivo per debolezza,
ancora egoista per stanchezza e bruto per
abulìa, e finirò la mia torbida vita nell'antica
e odiosa palude dell'indolenza che ha avvele-
nato il mio crescere mutando la possibilità
dell'azione in vani, sterili sogni.. Non noterò
più nulla, perché nulla di me è degno di ri-
cordo anche davanti a me solo. Finisco così
questo libro di note.”
Ma dal 1920 fino alla morte, avvenuta a
Roma il 21 maggio 1973, avrebbe avuto mo-
do di scrivere Novelle dal Ducato in fiamme
(Vallecchi 1953, Premio Viareggio, un attac-
co a una certa Italia del Ventennio guidata da
un Dux o Duca) e diversi altri libri originalis-
simi, tra cui La cognizione del dolore (Einau-
di 1963, Torino).
Opere scritte con un linguaggio del tutto
personale, tra il saporoso e il provocatorio,
dovuto a un impasto unico di lingua corrente
e di gergo, di termini tecnici e di neologismi,
in un arruffìo gomitolesco unico nella lettera-
tura italiana.
Luigi De Rosa
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 23
MAURIZIO MAZZETTO
VOCE DIGNITOSA
DELLA RELIGIONE
DELLA LIBERTÀ di Ilia Pedrina
I fa compagno e guida nelle riflessioni
sui grandi pensatori del nostro tempo e
non solo, da San Francesco d'Assisi a
Etty Hillesum, da Hanna Arendt a Primo
Mazzolari, da Mario Rigoni Stern ad Antonio
Giuriolo, Maestro dei 'Piccoli Maestri, tra cui
Luigi Meneghello, dai pensieri alle parole
scritte di molti altri ancora; ci accoglie ospita-
le nella sua dimora a Vigardolo, con la
Mamma Armida, a suo tempo staffetta parti-
giana, per condividere alla sera le gioie della
mensa ed ognuno porta sempre qualcosa,
mentre il pane è quello di Margherita e del
suo sposo, di San Germano dei Berici; ci fa
da tempo scoprire i lati nascosti e problemati-
ci di una città come Vicenza, interrogando le
nostre coscienze e proponendo riflessioni
semplici ma incisive, perché i suoi 'Percorsi',
sempre interrogativi sono dedicati, come
scrive lui, ai disobbedienti, ai partigiani, agli
uomini liberi. Maurizio Mazzetto, classe
1956, ama la Parola e se ne è fatto da tempo
interprete, trasferendone la potenza e la luce
nei suoi pensieri, nei suoi gesti, nei suoi passi:
da questa scelta discende il suo modo di esse-
re protagonista pieno nella storia di tutti noi,
perché ci si difenda contro ogni sopruso che
impedisca la realizzazione etico-politica della
nostra dignità, nella creatività d'elezione che
ci appartiene. Intende la spiritualità come di-
mensione vastissima, quasi infinita del nostro
modo di essere al mondo e ne tiene conto
aprendo le sue braccia a chi ne senta il fluire
in sé, silente o manifesto che sia: che questa
abbia o meno il volto della religione rivelata,
poco importa, perché ciò che ha valore è pro-
prio la religione della libertà, quella stessa ra-
gione viva per la quale Antonio Giuriolo è
stato ucciso a Lizzano di Belvedere il 12 di-
cembre 1944. Dalla strada di Via Riale, in
pieno centro, ci fa notare la lapide posta
all'interno della Biblioteca Bertoliana e ci
legge:
'In tempi servili
qui cercava rifugio
nella storia e nella poesia
qui nell'attesa
insegnava la dignità del cittadino
Antonio Giuriolo
partigiano medaglia d'oro
cresciuto e caduto per la religione
della libertà'.
Arzignano, 12.2.1912 - Lizzano di Belvedere,
12.12.1944 - Medaglia d'oro
(M. Mazzetto, Dai colli al centro città: 'Ora e
sempre, resistenza!- Da Antonio Giuriolo fino
ai Sinti', documento in fotocopia).
Ama camminare anche in alta montagna, da
solo o in compagnia di amici dalle gambe
predisposte alla bisogna e conosce le zone di
guerra della nostra storia tra i monti ed i vali-
chi alpini, teatro di azioni militari della Prima
e della Seconda Guerra d'Europa e del Mon-
do. Resiste ed insegna a resistere: i suoi passi
l'hanno portato in Perù, in Palestina, e que-
st'estate su al Nord, in Svezia, nell'Isola di
Gottland. Scrive racconti, poesie, diari di
viaggio ed in Internet, al sito 'BoccheScucite'
si possono leggere i lavori che testimoniano il
suo impegno in lotta contro il sistema che as-
sume facce differenti ma sempre tende ad an-
nientare, nel sopruso, il più debole, singolo
individuo o popolo che sia: da questo sito al-
lora traggo alcune testimonianze concrete del
suo modo di essere a questo mondo.
“Mi guardavo le scarpe, nei giorni scorsi.
S
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 24
Le vedevo, leggermente, impolverate. Della
polvere della Palestina. Si, della Palestina,
non della 'Terra Santa'. Smettiamola di chia-
marla 'terra santa'. È il contrario di essa. È ter-
ra di violenza e di sangue, di divisione e di
emarginazione, di sofferenza e di dolore. È
terra peccatrice, non santa. Il fatto che sia sta-
to il luogo geografico dove sia vissuto Gesù
di Nazareth, non la priva dell'impegno di pu-
rificarsi e di convertirsi 'dalla sua condotta
malvagia e dalla violenza che è nelle sue ma-
ni' (Giona, 3-8). Anzi. Dovrebbe darne l'e-
sempio, esserne il modello, la 'terra promessa'
per tutti i popoli, per tutte le persone. Ed in-
vece... C'è una pace armata, che non è mai
pace (Ger. 6, 14). C'è una sicurezza armata -
rafforzata con la costruzione del 'muro'. Che
non è mai sicurezza (Is. 32, 17b). C'è, soprat-
tutto, una terra rubata (ai palestinesi) che non
può più essere, allora, la terra promessa e ri-
cevuta in dono (da Dio), C'è, in fondo, una
tensione e una tristezza che aleggia su tutto e
ovunque (insieme alla sofferenza e alla umi-
liazione per molti), al posto di regnarvi la
gioia e la pace, ossia i frutti dello Spirito
(Gal. 5, 22), che sono il segno di una vita
buona, benedetta da Dio. Allora, tornato a ca-
sa, mi chiedevo se avrei dovuto togliere - in
quanto Pellegrino di pace e di giustizia - quel-
la polvere, seguendo l'invito di Gesù (Mt.
10,14). No, non l'ho fatto. Voglio ancora cre-
dere che sia possibile il ravvedimento, e l'ac-
coglienza della Parola da parte di tutti. Che
sia ancora possibile sperare, nonostante tutte
le smentite, e proprio perché, come diceva
molti anni fa il Sindaco di Firenze, Giorgio la
Pira: 'La pace nel mondo si risolve nel Medio
Oriente e passa attraverso la pacificazione fra
le tre religioni che si riconoscono in Abramo:
l'Islam, l'Ebraismo e il Cristianesimo. Fino a
che queste tre religioni non si riconoscono
con fraternità e con rispetto, la pace nel Me-
dio Oriente, anzi la pace nel mondo non ci sa-
rà.'” (Maurizio Mazzetto, sito 'BoccheScucite
- voce dai territori occupati', pubblicato da
Francesco Penzo il 15/3/2013, in rete).
Ora i muri si costruiscono anche qui in Eu-
ropa, in quell'Europa che doveva essere solo
dei Popoli e non più delle Nazioni perché l'
Unione doveva avvenire dal basso, dalle terre
e dai loro abitanti, dalle azioni e dai progetti
che fanno cultura e conoscenza, dalle lingue
parlate e dalle Costituzioni scritte, che avviano
alla riflessione ed al cambiamento, in maniera
flessibile. Perché si è organizzato dall' alto il
potere onnivoro del denaro e di chi lo manovra
per possederne sempre più, a costo zero, sfrut-
tando quella sottomissione che viene dalla pau-
ra? Perché con la moneta come scusa ed
espediente si mettono a segno giudizi morali
legati a vizi e virtù che appartengono a tutt'al-
tro campo? Perché amministrando la morale
senza averne né la delega dai Popoli né il di-
ritto si commette ogni sorta di azione che di-
pende da oscuri disegni devastanti anche la
natura stessa dell'ambiente in cui si vive?
Allora Maurizio Mazzetto si è fatto porta-
voce della protesta contro coloro che, fonda-
mentalmente chiusi alla ragione e all'equili-
brio dei rapporti tra persone in territorio libe-
ro e sovrano, hanno ucciso a Parigi l'11 gen-
naio 2015. Si, lo ha fatto anche dal pulpito
della Parrocchia di San Floriano e Valentino,
in Vigardolo, proprio fuori nella campagna
del Vicentino, dopo aver riportato i testi scrit-
ti per l'evento dal Direttore dell'Avvenire,
Marco Tarquinio, in risposta alla lettrice Ele-
na Fornari, da Chiara Zappa ('Ridere con
Maometto. L'umorismo nell'Islam'), da Sabri-
na Cavinato ('L'ironia che rimane'), da Gior-
gio Forti ('Solo i non razzisti spengono gli in-
cendi'), dal Movimento nonviolento ('Matite
spezzate e fucili spezzati' 8 gennaio 2015):
“... È molto interessante notare il fatto che
quando una persona scrive -come quando
parla- vien fuori ciò che ha nel cuore(oltre a
quello che ha nella testa), comprese le paure e
le angosce, le chiusure e le difficoltà ad accet-
tare le critiche e le ironie, i cambiamenti per-
sonali (a cui non vogliamo accondiscendere)
e le trasformazioni storiche (che facciamo fa-
tica a comprendere). Per quanto mi riguarda,
non mi sento offeso se uno mi prende in giro
o prende in giro Abramo o Mosè o Gesù Cri-
sto o Maometto o … Capisco e rispetto la
sensibilità altrui ma sono consapevole anche
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 25
del cammino che dobbiamo fare insieme e
della cosa più preziosa a cui - tenendo conto
di tutte queste considerazioni che abbiamo
letto - dobbiamo giungere. Ritengo, infatti,
che la cosa più importante da analizzare è
come reagiamo alle critiche o alle satire. Al-
trimenti rischiamo, senza volerlo, di fare il
gioco degli stessi terroristi e dei guerrafondai:
arrabbiandoci (diversa dalla rabbia è la giusta
indignazione) andiamo nella stessa direzione
che conduce, all'estremo, sia agli attentati dei
terroristi che alle guerre fatte da noi. Appun-
to...” (M. M. testo inviato in e-mail il 15 gen-
naio 2015).
A chi lo segue nei cammini domenicali den-
tro e fuori la città di Vicenza percorre in lettu-
ra e libera comunicazione pensieri e riflessio-
ni meditati e scelti con pacata, illuminata
consapevolezza: per 'Vicenza città dell'am-
biente?' lo accompagna Emilio Bagarella,
coinvolto in tante parti del mondo, dal Koso-
vo alla Palestina, all'Afghanistan ed in tanti
altri luoghi ancora, chiamato con organizza-
zioni onlus per rispondere ai bisogni della
gente, donne, bambini, uomini profughi dalle
zone di guerra ed in fuga dalla morte. Dalla
Basilica di Monte Berico, centro del potere
spirituale, all'esterno del Piazzale della Vitto-
ria il nostro sguardo viene orientato ad osser-
vare la Basilica Palladiana della Piazza dei
Signori, antica sede del governo della città, e
poi, oltre ancora, la costruzione della base mi-
litare americana, un paese forse, per vastità di
dimensioni: manca quasi il fiato, perché ora
le risorse delle falde acquifere, sulle quali
poggia la costruzione straniera, sono irrepa-
rabilmente inquinate di trielina e questo pre-
ziosissimo bene ci è stato sottratto con vio-
lenza. Don Maurizio Mazzetto con tanti altri
sacerdoti ha lottato strenuamente perché que-
sta base non venisse costruita: ora, con questi
percorsi illuminati si impegna a tener desta la
coscienza e la capacità di lotta che ne salva-
guarda il libero respiro. Ha scelto di seguire
le tracce di Dietrich Bonhoeffer e ne dà te-
stimonianza quando ci accompagna a vedere
dall'alto del Monte Crocetta, appena fuori dal
centro, tutto il complesso della base, per poi
discendere la collina e trovare le sorgenti del
piccolo torrente Seriola, circondate da alberi:
qui, come in un bosco sacro dove si svolge un
rito dalla forza propiziatoria, egli ci legge,
emozionato: “... La grande mascherata del
male ha scompaginato tutti i concetti etici.
Per chi proviene dal mondo concettuale della
nostra etica tradizionale il fatto che il male si
presenti nella figura della luce, del ben opera-
re, della necessità storica, di ciò che è giusto
socialmente, ha un effetto semplicemente
sconcertante; ma per il cristiano, che vive del-
la Bibbia, è appunto la conferma della abissa-
le malvagità del male... Chi resta saldo? Solo
colui che non ha come criterio ultimo la pro-
pria ragione, il proprio principio, la propria
coscienza, la propria libertà, la propria virtù
ma che è pronto a sacrificare tutto questo
quando sia chiamato all'azione ubbidiente e
responsabile, nella fede e nel vincolo esclusi-
vo a Dio: l'uomo responsabile, la cui vita non
vuole essere altro che una risposta alla do-
manda e alla chiamata di Dio. Dove sono
questi uomini responsabili?” (Dietrich Bon-
hoeffer, Resistenza e resa. Lettere ed altri
scritti dal carcere, ed. Queriniana, Brescia,
2002, pag. 25, riportato in Maurizio Mazzet-
to, Sul Monte Crocetta, 2° Percorso a Vicen-
za tra natura, storia, arte e pace, 2014-2015).
Da queste e da altre parole alla scelta per-
sonale di vita, Maurizio Mazzetto incoraggia a
resistere, a guardare in faccia i lineamenti sfi-
gurati degli iniqui, simulati dietro un accatti-
vante perbenismo: egli ci invita in semplicità a
non avere paura ed allora, nelle parole e nei
fatti, riesce ad essere convincente. Perché tutti
possano godere e capire il suo modo di essere
nella Scrittura, ci offre il pensiero più bello che
ha ricevuto : “Il Gesù che conosco io è certo il
Figlio di Dio, ma in questi giorni è soprattutto
per me il Re che si è lasciato oltraggiare fino
alla morte. In modo che al disonore è stato
tolto il suo potere”. Queste parole sono di
Ann-Christin Kristiansson, pastora luterana
svedese che Maurizio ha incontrato su su, in
Svezia. Ha promesso di condividere ricordi,
emozioni, immagini e segnali di luce.
Ilia Pedrina
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 26
Una interessante monografia per la
Poetessa tra le più intense e vere
della seconda metà del Secolo XX
IMPERIA TOGNACCI IN UN SAGGIO DI
LUIGI DE ROSA di Anna Aita
l’ottima penna del noto critico Luigi
De Rosa ad offrirci il meraviglioso
percorso letterario di Imperia Tognac-
ci.
Incomincia la scrittura, il nostro saggista,
dalle primissime creazioni di questo perso-
naggio, dimostrando, con la sua scrittura,
come e quando ella sia nata mirabile lette-
rata e continui ad esserlo fino ad oggi.
Luigi De Rosa recensisce, uno dietro, l’
altro i suoi lavori. Nel capitolo primo ci
racconta della silloge “Traiettoria di uno
stelo", principiando dai lavori che lo hanno
preceduto (che non furono mai pubblicati},
e che si identificarono, secondo il suo pare-
re, come preparazione alla prima importan-
te raccolta poetica. L'Esegeta afferma che,
sebbene questi lavori presentassero, fin d'
allora, una non comune maturità, il grande
divenire della letterata era iniziato proprio
dall'opera suddetta, lavoro al quale furono
assegnati diversi premi.
I versi raccolti in questa pubblicazione
sono dedicati al ricordo dei suoi genitori, a
sua sorella Diva e alla terra che, oltre a dar-
le i natali, è stata da sempre fonte di ispira-
zioni. Molte poesie della Tognacci sono,
infatti, impregnate della cultura, delle tradi-
zioni e soprattutto dei sentimenti ispirati al-
la sua Romagna.
A questa prima silloge, segue l’opera "La
notte di Getsemani", intrisa di fede. La par-
tecipazione al Cristo sofferente è palpitante
e reale. In questa poesia, Luigi De Rosa ri-
scontra e sottolinea due particolari interpre-
tazioni della Tognacci di fronte all'evento
nell'orto degli ulivi, fino alla tragica fine:
un Cristo umanissimo combattuto tra l’
istinto di conservazione e la volontà precisa
di assolvere al compito affidatogli da Dio,
e cioè riscattare con la propria vita i pecca-
ti dell'umanità; e la partecipazione sofferta,
resa molto bene, da parte della natura e degli
animali, al terribile momento della crocifis-
sione.
Il coinvolgente lavoro di Luigi De Rosa
continua sfiorando le toccanti tematiche di
"Natale a Zollara" che riportano Imperia
nel suo paesino per le festività natalizie,
immergendola, nostalgica e trepidante, nel-
le sue memorie di fanciulla: la madre e i
suoi romantici merletti, i nonni, la sorella,
la Fiera di Santa Lucia...
E, mentre "Odissea Pascoliana" ripercor-
re e accompagna le vicende del Pascoli,
"La porta socchiusa" è un poemetto religio-
so che esprime il desiderio di varcare la
soglia dell'Arcano: il Mistero di Dio, della
Creazione e l’eterno dilemma: chi siamo,
da dove veniamo, dove andiamo.
"Il tutto", scrive il De Rosa, “in una ricer-
ca piena di dubbi e di esitazioni, incertezze,
È
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 27
affermazioni e improvvise negazioni: il tutto
reso ancor più difficile dalla solitudine inte-
riore, dove l'anima sembra soffocata dal buio
e a malapena riesce, di tanto in tanto, a in-
travedere un fioco raggio di luce, nella spe-
ranza, spesso frustrata, di vedersi immergere
nel possente, unico, pacificatore raggio di
luce della Verità".
Segue "Il prigioniero di Ushuaia". Questo
paese, che come precisa il nostro critico, è
la località più meridionale del globo, è sede
di una prigione destinata a detenuti con-
dannati per delitti di sangue e la poetessa,
già affascinata "dalla singolare atmosfera
del paesaggio antartico, dalla tragica e
grandiosa "bellezza" degli elementi natura-
li", rimane colpita dal dramma di uno dei
prigionieri. Non potendone sopportare la
sofferenza, si ribella respingendo in cuor
suo lo stile di vita degli europei.
Lungo la sua disamina, l'Autore sottoli-
nea un'importante componente della poeti-
ca di Imperia: il vento. Tale elemento, ri-
flette e denuncia, meriterebbe uno studio a
parte, fatto "strofa per strofa, verso per
verso".
E giungiamo al commento su "Il lago e il
tempo", "due coordinate immateriali", con-
sidera il De Rosa, "una nello spazio, e una
nel fluire invisibile del tutto".
Le composizioni di questo poema non
hanno titolo ma sono agganciate l'una all'al-
tra: versi sentiti, amorosi a ripercorrere il
tempo passato: un canto d'amore tenero e
nostalgico in una poesia, rileva il nostro
critico, che matura sempre più.
Il lago cui allude la Tognacci, chiarisce an-
cora Luigi De Rosa, non è la nota distesa
d'acqua ma un "contenitore'' di memorie, di
sentimenti, di pensieri.
Su "ll richiamo di Orfeo", mi piace riportare
delle righe molto significative dell'Autore
che, dopo aver scritto sulla modalità di siste-
mazione delle quarantacinque parti o mega-
strofe che compongono il poema, così si
esprime: "... la forza lirica unitaria di questo
poema è tale che il linguaggio utilizzato, pla-
stico e duttile al contempo, preciso e poliva-
lente, è talmente acceso e incalzante da ren-
dere non essenziali queste pur utili indicazio-
ni pratiche ". E mi pare che queste righe sia-
no pienamente esplicative dell'importanza e
della bellezza del poemetto.
Nell'aprile 2012, ecco un nuovo lavoro:
"Nel bosco sulle orme del pastore", che il De
Rosa giudica "perfettamente riuscito e di alto
valore letterario ".
Domina nella scrittura la figura del pastore
Aristeo che, scrive l'Autore, richiama simbo-
licamente quella del Buon Pastore.
I messaggi di speranza, in essa contenuti,
sono molteplici: ricostituire, ad esempio, il
perduto rapporto d'amore tra l’uomo e la
natura; ridare vita alle tradizioni e soprat-
tutto riportarle agli antichi valori spirituali;
riequilibrare l’importanza dell'ossessiva ri-
cerca del benessere materiale a vantaggio
di benefici comunitari come la fratellanza.
Il tutto in una mirabile poetica.
Siamo giunti così, velocemente, al recente
lavoro di Imperia Tognacci: "Là dove piove-
va la manna" che il nostro Autore, preceden-
doci, ha letto inedito: "Imperia", scrive il
De Rosa, "non finisce mai di meravigliarmi
per la sua prolificità poetica, ma, soprattutto,
la qualità letteraria di questa nuova silloge
mi appare di livello ancora più elevato dei
poemetti precedenti ".
Quest'opera, relaziona l'Esegeta, scaturi-
sce da un viaggio in Giordania, durante il
quale la protagonista vive diverse impor-
tanti esperienze come l’attraversamento del
deserto a dorso di cammello alla ricerca di
beni spirituali, onde alleggerire la sua ani-
ma e i suoi tormenti.
Questa, finora rivisitata, è la prima par-
te del libro in oggetto. La seconda, com-
menta i libri in prosa della letterata.
Per ciascuno dei lavori che si susseguono
in tutto il volume, l’Autore offre una rasse-
gna dei grandi critici che hanno analizzato
le pubblicazioni della nostra Autrice, espo-
nendo il loro pensiero con efficacia e lar-
ghezza di particolari.
Nelle ultime pagine, cenni biografici dell'
Autrice e dell'Autore della monografia.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 28
Nel rileggere questo lavoro, mi rendo
conto che il mio è un commento che non
rende giustizia alla bellezza del testo. il la-
voro di Luigi De Rosa è perfetto e, soprat-
tutto, completo, lineare e piacevole alla let-
tura. Offre importanti testimonianze, non
solo nella disposizione a configurare l’ esi-
stenza dell'Autrice come una lotta contro le
avversità del mondo esterno, ma soprattutto
contro l’assenza di fede in Dio e la comu-
nione tra i fratelli, l’incomprensione, l’ in-
differenza, l'ostilità, le quotidiane difficoltà
del vivere. In quanto ad Imperia Tognacci
riesce in queste pagine in tutta la sua su-
perba misura poetica, elevandosi alla pari e,
forse, al di sopra dei più grandi del nostro
tempo.
Anna Aita
FREMITI
Oltre la cappa asfittica della città
con dentro l’umido intriso di fumo.
La patina di metallo
sulle forme meccaniche
costringe la vita:
avvinto alle radici mi trasporto
nel primitivo spazio
degli anni passati.
Muore il sentimento
nelle abitudini di ogni giorno,
con forte morsa la ruggine
s’incrosta sul proprio io.
Senza la maschera che offende l’amico
per palesare le piaghe
che tutti abbiamo;
il tempo è infinito
quando si dà la mano al prossimo
diventato nostro fratello:
il giorno non diviso
si unisce alla notte
per gli uomini uguali.
Le frasche d’ulivo sono divorate
sullo sfondo opaco;
divampa magico il fuoco,
ristoro per le mani.
Oltrepassare le spine
per tenere il mio dono.
Perfette le parole
che intatte rimangono
con le ferite.
Rivedo nei giorni solenni
la mia esistenza.
Leonardo Selvaggi Torino
IL SENTIRE SERPEGGIA
TRA LE PIETRE
Il sentire serpeggia tra le pietre
s’intreccia con le foglie
vibra nell’aria e nella luce
si fa parola.
Un petalo sfiora il gesto
l’occhio comprende
così diviso
il corpo è spazio aperto –
lo spirito serpeggia tra le vene.
Laura Pierdicchi Mestre, Venezia
Dalla raccolta inedita OLTRE.
DIETRO IL CAMPANILE
Dietro il campanile
del nostro paese-presepio
la luna rischiara ancora
la prima stella si accende
tutte le sere
l’acqua del mare
gorgoglia sotto la chiglia.
Manchiamo solo noi
nella nostra cabina
a rimirare dal vetro
l’ultimo paradiso.
Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 29
L’ATTUALISMO DI
GIOVANNI GENTILE (Castelvetrano 1875 – Firenze
1944) di Leonardo Selvaggi
I
ISCEPOLO di Donato Jaja, alla
Scuola Normale di Pisa, amico di
Sebastiano Maturi, vicinissimo cioè
ai più fedeli eredi del pensiero di Beltrando
Spaventa, di cui continua i principi filosofici
in molti lavori storici, quali “Rosmini e Gio-
berti”, l’edizione dei Dialoghi italiani del
Bruno, il commento all’Etica di Spinosa, il
volume su Telesio, la traduzione di parte del-
la Critica della ragion pura di Kant. Dopo
un’attiva preparazione storica, Giovanni Gen-
tile matura i germi del suo pensiero, presenti,
tra l’altro, già nel tempo dei suoi primi lavori,
quali le “Ricerche storiche” dal Genovesi al
Galluppi, e l’ampio saggio premesso all’ edi-
zione in volume degli “Scritti filosofici” dello
Spaventa. Dal 1896 al 1924 si lega d’amicizia
a Benedetto Croce. Collabora alla fondazione
de “La critica”. Ogni fascicolo della rivista,
per circa venti anni, ha recato un articolo del
Gentile accanto ad uno del Croce. Professore
di Storia della filosofia all’Università di Pa-
lermo (1906), nel 1914 succede al suo mae-
stro Jaja a Pisa e dal 1917 all’Università di
Roma. Nel 1920 fonda il “Giornale critico
della filosofia italiana” che dirige fino alla
morte. Nominato senatore nel 1922, si avvi-
cina al fascismo, divenendone il filosofo uffi ciale. Ministro della pubblica istruzione (ot-
tobre 1922), attua nel ’23 la riforma della
scuola italiana, nota come “Riforma Gentile”.
II
La fama del grande filosofo, oltre alla sua
ricchissima produzione di opere e alla sua
estesa attività culturale, è certamente legata
alla soprannominata riforma, la più organica
dopo quella “Casati” (1859). I principi di ba-
se attraverso gli anni sono stati considerati
sempre di efficiente validità. Giovanni Genti-
le riorganizza la scuola materna (“Scuola del
grado preparatorio”) ed elementare, portando
l’obbligo scolastico a 14 anni, istituendo, a tal
scopo, corsi complementari, detti, poi, “Scuo-
le di avviamento professionale”. Pur istituen-
do il nuovo liceo scientifico, privilegia gli
studi classici che, soli, consentono l’accesso a
tutte le facoltà universitarie. Reintroduce nel-
la scuola l’istruzione religiosa. Istituisce
scuole private, parificate e sussidiate sotto il
controllo statale mediante l’esame di stato. La
scuola ritenuta come elemento essenziale per
la formazione sociale degli individui, ha co-
me principio la libertà nell’insegnamento. La
Riforma Gentile rispetto all’istruzione di tipo
tradizionale consente un più immediato e
formativo strumento di allargamento dei con-
tatti della scuola classica con la vita moderna.
Giovanni Gentile dirige la Scuola Normale di
Pisa e l’Istituto fascista di cultura. Sempre più
legato al regime approva il Concordato con la
Chiesa cattolica. Nel 1925 Direttore dell’ Isti-
tuto Treccani per L’Enciclopedia Italiana. Nel
’30 accetta la cattolicizzazione della Cultura
ufficiale, mentre viene abbandonato dai suoi
allievi di principi liberali. Nel 1943 non si
stacca dal fascismo, aderisce alla Repubblica
di Salò. Questo senza dubbio costituisce un
atto di fedeltà al regime di cui è stato il leader
culturale, e, oltretutto, un atto di coerenza
D
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 30
morale. Nel 1944 viene ucciso da mano parti-
giana, davanti alla sua casa di Firenze.
III
Il pensiero di Giovanni Gentile rappresenta
una delle due tendenze del neoidealismo ita-
liano, l’altra è quella di Croce. Definito attua-
lismo o idealismo attuale, in quanto risolve
nell’atto pensante del soggetto, inteso come
universale, ogni aspetto della realtà. L’ attua-
lismo gentiliano, espresso nel saggio “L’atto
di pensare come atto puro” (1911), trova la
completa espressione nella “Riforma della
dialettica hegeliana” (1913). Fra le tante nu-
merose pubblicazioni: I problemi della Scola-
stica e il pensiero italiano (1913), I fonda-
menti della filosofia del diritto (1916), Siste-
ma di logica come teoria del conoscere (1917
-22), Discorsi di religione (1920), La riforma
dell’educazione (1920), G. Capponi e la cul-
tura toscana del sec. XIX (1922), Le origini
della filosofia contemporanea in Italia ( 1917-
23), I Profeti del Risorgimento (1923), Filo-
sofia dell’arte (1931), La riforma della scuola
in Italia (1932), il Pensiero italiano del Rina-
scimento (1940), La mia religione (1943),
Genesi e struttura della società (postuma
1946), Storia della filosofia italiana (postuma
1969). Giovanni Gentile si collega da Hegel,
tenendo presente l’interpretazione che ne ha
dato lo Spaventa. Per Hegel la realtà origina-
ria è l’idea che comprende in sé tanto la natu-
ra quanto lo spirito, come due momenti di-
stinti del suo sviluppo dialettico, la mente è
solo il punto di arrivo di questo sviluppo. La
realtà in Hegel è identificata con il sistema
delle categorie: esse sono oggetto della men-
te, non la mente stessa. Così il nesso tra esse-
re e non essere è per il Gentile incomprensibi-
le, finché essere, non essere e divenire sono
considerati come concetti in sé, nella loro lo-
gica oggettività. Tutto diventa intelligibile,
invece se l’essere, di cui si parla, è l’essere
del pensiero pensante, che nello stesso atto, in
cui si afferma, nega, perché attività in peren-
ne divenire. Gentile oppone alla logica statica
del pensato la logica del concreto. All’origine
di tutto è dunque l’atto del pensiero pensante,
che è il costituirsi della verità nell’atto stesso
del pensiero che pensa. L’attività dello spirito
si svolge con un ritmo dialettico: soggettività
immediata (tesi), oggettivazione di sé (antite-
si) e sintesi di questi due momenti. In rappor-
to a questi tre momenti si hanno le tre forme
assolute dello spirito: l’arte, la religione e la
filosofia. Gentile ha considerato l’arte anche
come interprete e critico in volumi, quali:
Dante e Manzoni (1923), L’eredità di Vittorio
Alfieri (1926), Manzoni e Leopardi (1928).
L’arte esprime il momento della soggettività,
la religione è l’antitesi dell’arte, è il momento
dell’oggettività. Arte e religione non possono
sussistere se non in quanto l’una e l’altra si ri-
solvono nella filosofia, è la sintesi che rende
possibile la tesi e l’antitesi. Pertanto arte e re-
ligione debbono venire assorbite dalla filoso-
fia. La storia dello spirito sarà storia della fi-
losofia. La storia della filosofia sussiste nell’
atto del pensare, se è vero che a quest’ atto,
che è filosofia, tutto si riduce. Perciò filosofia
e storia della filosofia sono tutt’uno nel pro-
cesso dello spirito. Giovanni Gentile ha inter-
pretato la storia della filosofia e della cultura
come preparazione all’attualismo.
IV
Giovanni Gentile nei confronti con la filo-
sofia crociata rifiuta il procedere per distin-
zione fra teoria e pratica, cioè la separazione
tra un conoscere empirico, privo di valore
teoretico, e un conoscere filosofico, puro da
ogni empiria. Per Gentile conoscere è agire.
Tra un momento teoretico e un momento pra-
tico non c’è nessuna scissione. Le scienze
empiriche non appartengono al dominio della
pratica né sono escluse da quelle del conosce-
re teoretico. Non c’è un’empiria fuori della fi-
losofia né una filosofia fuori dall’empiria.
Viene accettata l’esigenza kantiana che la ca-
tegoria sia presente nell’esperienza. Non è
ammissibile, pertanto, né un’empiria priva di
categorie né una filosofia vuota di esperienza.
Per Gentile si identificano filosofia e storia,
categorizzando l’oggetto lo si definisce, viene
individuato storicamente. Questi motivi di
pensiero comunicati nel Sommario di peda-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 31
gogia (1913) ed elaborati organicamente in
un corso tenuto nell’Università di Pisa nel
1915-16 e pubblicato in un volume intitolato
Teoria generale dello spirito come atto puro
(1916). Viene negata qualsiasi realtà in sé,
presupposta al conoscere, concependo lo spi-
rito come assoluta posizione di se stesso. Lo
spirito è atto che non presuppone alcuna ma-
teria avanti a sé, è atto puro. Viene definito Io
trascendentale o soggetto trascendentale.
Unica categoria è l’atto di pensiero da cui so-
no poste le infinite determinazioni. Indivi-
duando l’oggetto, il pensiero pone di contro a
sé una realtà, una natura che prende nel suo
atto di conoscenza, nel contempo rimane a sé
e contrapposta. Con il porre l’oggetto e assu-
merlo si esplica la dialettica dell’atto spiritua-
le. Lo spirito supera l’oggetto, risolvendolo in
sé. La dialettica è conciliazione degli opposti.
Ogni oggetto, ogni pensato contraddistinto
nell’atto di pensiero. Ogni pensato è contrap-
posto ad ogni altro, il mondo pensato, la natu-
ra è un’infinita molteplicità inscritta nell’ uni-
tà assoluta dell’atto di pensiero.
Leonardo Selvaggi
EPIFANIA D’AMORE
Il nostro smarrimento
è simile a schianto
di passero che picchia
contro vetro per azzurro.
Travalicare per Bene
intravisto è pure a noi
scacco di pena.
Non altro redime
che il quotidiano ferirci
per tendere oltre;
il premere verso strato
di cielo che ci sfiora;
il vivere i giorni
come epifania d’amore
Rocco Cambareri Dalla silloge Da lontano - Edizioni Le Petit moi-neau, Roma 1970.
SONO FARFALLE I MORTI
Le ali asciuga la farfalla
uscita appena dalla crisalide.
Memoria non ha, non ha contezza
d'essere stata bruco.
Leggera svolerà fra qualche istante
sul mare lucente profumato
e fresco delle corolle.
Crisalidi noi siamo per l'Eterno,
celesti praterie ci attendono.
Se i morti non si struggono per noi
è che sono farfalle,
cognizione non hanno della terra.
Domenico Defelice
BUTTERFLIES ARE DEAD
The wings dry the butterfly
Having recently emerged from its chrysalis.
It does not have a memmory, it does not have
awareness of having been a caterpillar.
Lighly it will unravel in a few moments
Upon the shiny scented sea
of fresh blooms.
Nymphs we are eternal
celestial prairies which lie ahead.
If the dead do not yearn for us
that they are butterflies,
who do do not hold memories the land.
Domenico Defelice Traduzione di Giovanna Li Volti Guzzardi
Sogno la casa dai cani
dai gatti dai conigli dalla chiocciole
dalle galline dai ragni dai grilli
dai bagliori di gladioli e di garofani
di digitali e di moneta del papa
odorosa di legno e di erba fresca
di cipollina e di lavanda
nei belati delle pecore
e il passo indolente delle mucche
Sogno la casa di una volta
spalancata sulla vita.
Béatrice Gaudy Parigi, Francia
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 32
L’IMMORTALTÀ: VIAGGIO NELL’ ASSURDITÀ
di Aida Isotta Pedrina
RA le intricate e complesse ramifica-
zioni dei nostri concetti e delle nostre
convinzioni religiose, questa idea dell’
immortalità è di gran lunga, non solo la più
assurda, ma anche la più cara e reale agli es-
seri umani. Raramente ci avviciniamo a que-
sto concetto con idee chiare e a mente aperta:
o siamo timorosi e ingenui, o speranzosi, e
quasi irrazionali; infatti, siamo spesso pronti a
negare la nostra ragione perché non riusciamo
a staccarci dal desiderio di una vita eterna.
Sarebbe facile pensare che per eliminare i
risultati negativi di certe illusioni e di tanti
precetti religiosi, basterebbe un’armoniosa
combinazione d’intelligenza, chiarezza di
pensiero, saggezza, e profonda conoscenza
della natura umana; in realtà, questa combi-
nazione è assai difficile e rara se consideria-
mo il fatto che il concetto dell’immortalità
esiste da millenni, e che molti dei più illustri
personaggi di tutti i tempi, dotati di straordi-
naria intelligenza e conoscenza, non sono riu-
sciti ad essere totalmente liberi da paure, spe-
ranze e dubbi e dalle imposizioni religiose; e
chissà, anche da quel senso d’incertezza, vul-
nerabilità, e impotenza proprie della natura
umana quando confronta il mistero dell’ im-
mortalità.
Or bene, i misteri dell’universo, i misteri
della vita, i misteri dell’energia cosmica e
dell’ordine perfetto sorto dal caos, che fino ad
oggi, le ricerche scientifiche non sono riuscite
a chiarificare completamente, dovrebbero es-
sere da noi semplicemente ACCETTATI co-
me meravigliosi misteri al di sopra dell’ intel-
ligenza umana, e LASCIATI STARE. E in-
vece no: il nostro feroce — ma alquanto pate-
tico — attaccamento all’idea di essere supe-
riori a qualsiasi altra creazione della natura, ci
fa schiavi della nostra presunzione e natural-
mente, di tanti concetti assurdi come appunto
questo dell’immortalità.
D’accordo con le misteriose leggi della na-
tura, l’essere umano nasce, è nutrito e si nutre
per poi morire; una conclusione irrevocabile,
un semplice fatto con irrefutabili prove gior-
naliere che noi rifiutiamo di ammettere per
proteggere le nostre illusioni. Questo della vi-
ta dopo la morte è una supposizione logica-
mente incorretta: perché ha per noi una così
grande importanza e significato? Perché que-
sta insistenza di accettare l’idea della vita
eterna come una futura realtà?
Si potrebbe dire che la nostra primordiale
paura della morte e il nostro istinto di conser-
vazione, e chissà, anche il nostro fascino per
il “magico”, sono le ragioni più ovvie; ma
un’altra ragione, e forse la più forte, è che l’
idea dell’immortalità, anche se completamen-
te assurda, è assai comoda al nostro modo di
pensare: non parliamo dell’immortalità come
se fossimo le uniche creature degne della vita
eterna? Non ci mettiamo al centro dell’ uni-
verso pretendendo di conoscere il mistero co-
smico? Non siamo assolutamente sicuri del
nostro progresso e del nostro potere sopra la
natura? Ciononostante, davanti a qualsiasi
violento fenomeno terrestre, siamo immedia-
tamente trasformati in esseri impotenti so-
praffatti dal terrore. Inoltre, basta solo uno di
questi cataclismi della natura per distruggere
in pochi minuti il più illustre genio, le più
grandi opere d’Arte di tutti tempi, e le più
trionfanti imprese umane; riflettendo su que-
sto, come si fa a non sentire, con una consa-
pevolezza che va al di là delle illusioni e della
presunzione, la nostra fragilità e caducità? Ed
è qui che subentra un’altra fatale illusione a
cui è difficilissimo rinunciare: anche se siamo
caduchi, noi possediamo un’ANIMA IM-
MORTALE, con tutta la spiritualità e supe-
riorità che questo concetto implica; che pos-
sente rinforzo per la nostra presunzione! An-
che quando non avremo più una penna per
volare, sarà sempre nostro desiderio raggiun-
gere le più alte vette sulle “ali dorate” del no-
stro io. L’idea di esser degni, per virtù di
quest’anima immortale, alla vita eterna, tra-
scende nella sua assurdità le più bizzarre di-
vagazioni della mente.
E c’è di più: non solo possediamo un’anima
F
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 33
immortale, ma in un lontano futuro i nostri
corpi risorgeranno per riunirsi con le nostre
anime; dopo di che potremo vivere eterna-
mente felici in Paradiso. E la religione conti-
nua a incoraggiare e approvare questa nostra
infinita stoltezza; sembrerebbe, infatti, che “Il
faut s’abetir” è una delle condizioni più im-
portanti per meritarci il paradiso. E qui’ biso-
gna ammettere che la nobile idea dell’ im-
mortalità, collegata a un paradiso presentato
come una specie di grandioso Resort cosmi-
co, risulta alquanto ridotta; e ancor più ridotta
quando la usiamo per mitigare la nostra paura
e incoraggiare la nostra speranza di una vita
felice nell’Aldilà. Paura e speranza: emozioni
naturali ma potenzialmente pericolose che,
nondimeno, sono state inculcate e coltivate a
tal punto, che hanno finito per offuscare e de-
turpare la nostra mente e la nostra gioia di vi-
vere.
Invece di perder tempo con assurdi concetti,
sarebbe meglio sforzarci per ottenere saggez-
za e distacco che ci permetterebbero di vedere
— come attraverso le limpide acque di un ru-
scello — cosa c’è nel fondo della nostra men-
te: i depositi fangosi dei precetti religiosi e
delle convenzioni sociali, i ciottoli grandi e
piccoli delle nostre illusioni e delusioni, il
muschio verdognolo delle nostre meschinità,
e vedere tutti questi detriti per ciò che sono, e
LASCIARLI STARE e DIMENTICARLI. E
invece no: passiamo gran parte della nostra
vita agitando le limpide acque della nostra
mente, mescolando alla rifusa tutto ciò che
c’è al fondo, e offuscando, spesso irrimedia-
bilmente la chiarezza del nostro pensare e
sentire.
Naturalmente, da questo pantano mentale
s’innalza — sconcertante e insistente —
l’idea dell’immortalità. Ma anche se esistesse,
chi siamo noi per ridurre un concetto d’ infi-
nita magnitudine a una piccola cosa adattata
ai nostri desideri e bisogni, e, ancor più as-
surdamente, adattata alle irrazionali descri-
zioni religiose? Finora, non abbiamo ricevuto
prova né di anime immortali né di una vita
beata ed eterna nel “Regno dei cieli”; al con-
trario, abbiamo innumerevoli prove scientifi-
che che il nostro bellissimo cielo, in tutto il
suo splendore azzurro, non è altro che
un’illusione atmosferica; quello che c’è real-
mente al di là dell’azzurro è oscurità, e silen-
zio, e gelo.
Supponiamo per un momento, che siamo la
nostra anima immortale che dopo aver lascia-
to il corpo, s’innalza verso il cielo e, se siamo
stati buoni, verso il paradiso. Senonché, arri-
vati a destinazione, non troviamo altro che
buio pesto e gelido silenzio. Di tutti gli altri
miliardi di felici anime immortali e del para-
diso non c’è traccia. E se la nostra anima, con
un residuo di umana abitudine, incomincia a
percepire, a sentire? Allora sarà qui, in questa
oscura, gelida, e silenziosa eternità che la no-
stra anima vagherà senza sosta; sarà questa la
tanto agognata immortalità? Solo un tocco di
science-finction tanto per ‘alleggerire le cose,
però a questo punto, non sentiamo il desiderio
di ammettere che la nostra caducità e l’ im-
mortalità è una combinazione altamente irra-
zionale? Perché non ristabilire la nostra ra-
gione e coltivare una sana indifferenza per ciò
che ci aspetta dopo la morte?
Come già si è detto, sarebbe più saggio ac-
cettare il mistero, e vedere l’immortalità sem-
plicemente come un’altra illusione da intrat-
tenere con benevola ironia e non da accettare
come una futura realtà. Se possediamo una
consapevolezza critica delle nostre illusioni e
le riconosciamo come tali, potremo vedere —
e con assoluta chiarezza — tutti i nostri limiti.
Ed è appunto nel cieco desiderio di negare i
nostri limiti che diventiamo schiavi delle as-
surdità. Se abbiamo conservato la nostra
mente aperta all’ispirazione, alla bellezza, al-
la poesia e all’Arte, conservando intatto il no-
stro entusiasmo e amore per la vita, nonostan-
te tutte le miserie, le sofferenze e gli orrori
della realtà, sarà facile renderci conto che non
c’è poi questo gran bisogno dell’immortalità.
Nell’antica Grecia, l’idea dell’immortalità
— particolarmente con tutte le implicazioni
religiose e non dei nostri tempi — non sareb-
be certo stata presa in considerazione; infatti,
gli epicurei e gli stoici la negarono categori-
camente e pressappoco, con parole come que-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 34
ste: “….Andar dove dopo la morte? Ma non
c’è d’aver paura; torneremo da dove siamo
venuti, torneremo a ciò che è uguale a noi ,
agli elementi basici dell’universo: fuoco, ter-
ra, acqua e aria…” Senza dubbio, avranno
voluto dire che ciò che c’è in noi di fuoco si
riunirà al calore del sole, ciò che c’è di terra
tornerà a far parte della natura, ciò che c’è d’
acqua arricchirà gli oceani, ciò che c’è d’aria
volerà col vento….
Davanti a questa gloriosa razionalità, biso-
gna dire che tutte le nostre povere illusioni,
supposizioni, convinzioni, interpretazioni e
superstizioni, perdono quasi del tutto il loro
significato; ma non dobbiamo perderci d’
animo perché ci sono varie consolazioni: ve-
dere l’immortalità come espressione poetica e
come il più possente e misterioso dei miti;
poetico è anche vedere l’immortalità come il
perenne movimento degli atomi: nel nostro
universo non esiste il nulla; esiste invece l’
infinita energia cosmica che tutto combina e
trasmuta; tutte le cose passano, si disperdono
e spariscono, ma non si perdono; è consolante
pensare che, dopo la morte, nessun atomo del
nostro corpo cesserà di essere; sarà sempli-
cemente trasformato in altre cose, in altre
forme.
Più realisticamente, si potrebbe anche limi-
tare il concetto dell’immortalità alle grandi
opere d’Arte e di Letteratura e a tutte le fa-
mose imprese umane e scientifiche; natural-
mente, i personaggi illustri saranno immorta-
lati attraverso le loro opere; e qui verrà di
chiedere: “Ma ci sarà qualcosa dopo la morte
per noi comuni mortali? ” Una “consolazio-
ne” alquanto cinica ma efficace, sarebbe quel-
la di ammettere che se non abbiamo lasciato
nulla di sublime e importante ai posteri — e
questa è forse l’unica e razionale forma
d’immortalità possibile agli umani — allora
dovremo rassegnarci, e con nobile dignità, a
diventare dopo la morte, il concime del futu-
ro. E come “consolazione” di aver perso le
nostre belle illusioni, potremo pensare che il
concime sarà sempre molto utile e che da es-
so nasceranno pur sempre cose belle come i
fiori, gli alberi e l’erba….
Altra possibilità sarebbe “consolarci” con
almeno due delle recenti predizioni astrono-
miche: non si sa quando, ma il sole perderà a
poco a poco tutta la sua energia e calore e il
nostro pianeta si raffredderà fino ad essere in-
teramente sepolto sotto migliaia di chilometri
di ghiaccio; oppure, e non si sa quando, il so-
le si allargherà fino a coprire gran parte del
cielo per poi scoppiare come una Super Nova
e l’immenso calore scioglierà tutto il nostro
pianeta. In tutti e due i casi, noi non esistere-
mo più e così pure l’idea dell’ immortalità.
Fatali cataclismi, “consolazioni” e ironie a
parte, esiste una facoltà umana che, se colti-
vata in giusta misura, potrebbe liberarci da il-
lusioni e paure: l’orgoglio, cioè, dignità e ri-
spetto di noi stessi. Una facoltà preziosissima
questa che nondimeno, è stata soffocata, cal-
pestata e condannata dalla religione e da tutti
coloro in potere; sappiamo bene che per man-
tenere il potere e il controllo, di qualsiasi or-
ganizzazione, sia religiosa che sociale, ha bi-
sogno di schiavi; e cosa rende più schiavi
dell’assenza del nostro orgoglio e dignità? Se
abbiamo nutrito e preservato il nostro orgo-
glio, sarà impossibile inchinarci a qualsiasi
potere, e nessuno riuscirà a farci credere, e
ubbidire, a forza o per paura, a modi di pensa-
re e agire che vanno contro la ragione e la di-
gnità umana. Inoltre, sarà molto difficile esse-
re ingannati da false ideologie e da tutti le
ipocrisie sociali e religiose. L’orgoglio per-
sonale sarà anche il modo migliore per neu-
tralizzare e alleviare le innumerevoli ingiusti-
zie, dolori e offese che riceviamo.
Ritornando all’idea dell’immortalità, ren-
dersi conto che una vita felice dopo la morte
non esiste, non dovrebbe causare tristezza e
paura, al contrario, dovrebbe profondamente
intensificare il nostro amore per la vita. Se
riusciamo a pensare che l’immortalità, come
tanti altri sogni e desideri che anticipiamo
non si realizzerà, allora potremo provare un’
incredibile libertà della mente e dell’anima,
quest’ anima che morirà con noi ma che fin-
ché viviamo, si riempirà, anzi, traboccherà di
energia, di gioia e d’ispirazione.
Aida Isotta Pedrina
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 35
I POETI E LA NATURA – 49 -
di Luigi De Rosa
Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)
L' “Autunno” di
Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli nacque il 1° maggio
1887 a Carneto Tarquinia, in provincia di Vi-
terbo. Non riconosciuto dal padre, prese il
cognome della madre, una modesta venditrice
di frutta e verdura (Caldarelli, poi modificato
in Cardarelli). Della mancanza dell'affetto pa-
terno soffrì drammaticamente per tutta la vita,
sentendosi un isolato e un infelice, a volte dif-
fidente e permaloso, trovando parziale con-
forto nella Poesia e nel giornalismo. A dicias-
sette anni, con sole sette lire in tasca, scappò
di casa e arrivò a Roma. Si mantenne errando
e vagando, e facendo vari mestieri. Finché
riuscì ad entrare, a ventun anni, nella redazio-
ne de L'Avanti. Maturò in quegli anni duris-
simi, tra le fatiche tenaci dell'autodidatta, la
sua formazione portata alla ribellione e alla
depressione. Occultata, quest'ultima, proprio
dalla intensa collaborazione a riviste letterarie
come “Il Marzocco” e “La Voce”, o a giorna-
li come “Il resto del Carlino”.
In seguito fonderà una propria rivista, La
Ronda, che vivrà dall'aprile 1919 al novem-
bre 1922. Arriverà a dirigere, per alcuni anni,
La Fiera Letteraria.
La sua misantropia venne ad accrescersi
anche a causa di uno sfortunato amore per la
passionale Sibilla Aleramo. La storia dei due
amanti, trasformatasi in una convivenza ne-
vrotica ed usurante, si rivelò esiziale per il
poeta, che alla fine rinunciò a comprendere il
mondo femminile, anzi, l'intero genere uma-
no...
Ho già commentato, di questo poeta, in una
precedente puntata, una poesia sui gabbiani.
A proposito di quest'ultima, mi permetto di
ricordare che i gabbiani simboleggiano l'ani-
mo vagabondo di Cardarelli, fortemente desi-
deroso di un ubi consistam ma impossibilitato
a trovarlo. Come non richiamare quei bellis-
simi versi:
“Non so dove
i gabbiani abbiano il nido
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete
la gran quiete marina
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.”
Oggi, però, mi soffermo su un'altra signifi-
cativa composizione, quella dedicata all'Au-
tunno. Una poesia che ritengo centrale, nella
visione umana e poetica di Cardarelli:
“ Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 36
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.”
E' patente la metafora sulla vita dell'uomo
che si rispecchia nei fenomeni della Natura,
nel susseguirsi delle stagioni e nel trascorrere
impassibile del Tempo.
La Natura viene “umanizzata”. Non si spie-
gherebbe adeguatamente, altrimenti, il fatto
che le piogge “piangano”, che la terra sia per-
corsa da un “brivido” e si senta nuda e triste.
Mentre il sole, addirittura, si senta “smarrito”.
Sentimenti che, in pari tempo, prova il poeta,
alla pari di ogni uomo che avverte, con sgo-
mento più o meno intenso, il passaggio del
suo corpo e della sua anima dal vigore dell'e-
state agostana ai primi freddi dell'autunno in-
cipiente, come un presagio dell'inizio della fi-
ne della propria vita, destinata ad inoltrarsi
nell'inverno. In questo caso, tra uomo e Natu-
ra c'è un avvicinamento fin nelle fibre più in-
time di una personalità, pur senza arrivare
agli estremi metamorfici dell'efficace logo di
questa rubrica mensile, disegnato a suo tempo
da Domenico Defelice.
In questa poesia sono concentrati i temi più
importanti e ricorrenti della poetica di Carda-
relli, come la precarietà del destino umano e
la solitudine dell'individuo, la mancanza della
felicità (anzi, della serenità) e l'inutilità di una
vita senza scopo e, soprattutto, senza il con-
forto della bellezza e della dolcezza.
Il poeta morì a 72 anni, il 18 giugno 1959,
dopo un mese di degenza, al Policlinico di
Roma.
Luigi De Rosa
IL RICHIAMO DEL FLAUTO
E’ il flauto che chiama
oltre i tormenti della mente,
suoni tenui, lunghe onde
catturano gli uditi.
Attenzioni si generano
tra la gente indaffarata,
un canto soave ti spinge lontano,
attratto da irrefrenabili impulsi.
La libertà si manifesta
tra gli schemi della prigionia.
Crescono ali su spalle dolenti,
la fantasia ruba i sogni.
È così che ora voli
attraverso la pace,
il silenzio interiore
diventa consapevole certezza,
mentre perfori le nubi
che credevi calde.
Brina la faccia,
gli occhi son vigili,
Finalmente appare il sole…
È un nuovo giorno,
gioia di esistere s’impossessa dell’anima.
Con te c’è Dio…
Non sei più solo.
Colombo Conti
ANIMA E CORPO
Bellissimo corpo
con magnifico seno
e fantastiche labbra,
sei forse specchio
di un’anima gagliarda
che i sensi nascondono?
Mostra
la tua bellezza interiore
che non intravedo
stordito dal piacere sensuale
e dal bello apparente.
Eugenio Morelli Da Il buio e la luce (The Dark and the Light) -
Streetlib, 2015.
AALLELUIA! AALLELUIA!
ALLELUUIAAA!
23/9/2015
Riforma del Senato: Calderoli presenta 85
milioni di emendamenti! Alleluia! Alleluia!
Più modifiche delle stesse parole del testo di
riforma.
Domenico Defelice
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 37
Recensioni
DOMENICO DEFELICE
A RICCARDO
(e agli altri che verranno)
Edizioni “ Il Convivio “, 2015, € 10,00, pagg.64
Il prodigio di un afflato poetico più incontami-nato, più condiscendente, educativo, proteso ad
esprimere soprattutto amore, si è verificato quel
giorno che non sarà mai tanto lontano; un giorno che è stato deciso dal destino tutti sapevano che
sarebbe arrivato, anzi avevano pronosticato che
sarebbe accaduto nel periodo del Segno della Bi-lancia, ma sei nato scorpione. Il 26 ottobre 2009 a
Roma, presso il “Sandro Pertini”, è nato Riccar-
do, il primo nipotino del Direttore Poeta Giornali-sta Scrittore Domenico Defelice. La sua mamma è
Gabriella Defelice, la figlia dell’autore di questo
florilegio non convenzionale, fuori da ogni cosa che sia stata già detta. In quel momento, o meglio
da quel momento è scaturita la meravigliosa vo-
glia di versificare per lui – e per quelli che ver-ranno –, perché con la poesia si possono spiegare
le ragioni della vita, i veri affetti, anche la tecno-
logia di questo nostro tempo che accorcia ogni di-stanza, le battaglie vinte o perse per restare in sua
compagnia, anche se lui, Riccardo, mette a soq-
quadro la scrivania del nonno che poi la sera: « (…) quando con mamma e papà/ t’allontani verso
casa;/ barelliere pietoso,/ sopra il campo raccol-
go ed accarezzo/ libri feriti./ Ho già nostalgia del nemico! » (A pag.27).
Se abbiamo apprezzato, prima di questo eclatan-
te evento, il poeta scrittore saggista Domenico
Defelice artefice di libri-inchiesta, libri-denuncia,
saggi d’ arte, poemi satirici di sapore politico ed
anche di un corpus poetico riguardante la condi-zione umana a contatto col dolore, dalla via crucis
di una malattia alla « “Resurrectio” di un riscatto
giustamente tutto umano, perché la vita, gli affetti sono un dono. » (Dall’Introduzione al libro di
Domenico Defelice “ Resurrectio “ di Maria Gra-
zia Lenisa, a pag.13). Ebbene, ora tutto è cambia-to, il suo orizzonte adesso ha mutato fondale e il
motivo è lui, Riccardo, somigliante molto negli
occhi alla trasparenza materna. Se prima di questo libro sapevamo poco o niente del circolo parentale
del Nostro Direttore, al presente siamo informa-
tissimi e coinvolti negli affetti suoi personali: an-che noi amiamo Riccardo e vorremmo stare al suo
posto, perché cresce e crescerà sui consigli impa-
reggiabili del nonno, il suo straordinario nonno che ogni giorno lo aiuterà a salire un gradino alla
volta la faticosa scala dell’ esistenza. Lo aiuterà a
capire, con o senza gli strumenti tecnologici, le contraddizioni, i diversi pesi e altrettante misure
che ci sono in questo mondo, lo illuminerà sul
concetto altissimo e cristiano della condivisione. «
È mio!/ L’affermi con forza,/ quasi con cipiglio./
Del possesso hai un concetto assoluto./ Tuo il ba-locco di chi ti sta accanto,/ che con te gioca e con
gli altri bambini;/ tue le strade anche, le case;/
tuo il cavalluccio nel parco/ sul quale dondoli;/ tua l’intera pubblica giostra./ Tuoi, naturalmente,
mamma e papà,/ la nonna e il nonno:/ se stai con
l’uno, gli altri scacci, escludi./ Come farti capire che mio/ sta bene insieme a tuo/ suo nostro vostro
loro?/ Gioia piena, ricchezza?/ Nessuna cosa è
bella nella vita,/ la vita stessa se non condivisa. »
(A pag.37).
Ogni poesia del florilegio riporta la data del suo
concepimento letterario e da ciò si misura il cammino interiore che c’è stato nell’autore, il
quale lo ha compiuto non da solo, ma grazie alla
preziosa presenza di Riccardo, che ricambia la dedizione del nonno con la sua naturalezza di
bambino, i suoi gesti spontanei e imprecisati che
catturano inevitabilmente chi gli sta accanto. In ogni poesia c’è un momento affettivo, un percorso
di vita, la quotidianità che si snocciola tra un ba-
locco e l’altro, le vacanze, il primo dentino im-
mortalato per sempre in una lirica che ne racconta
la storia. « Sei mesi e il primo dente,/ una bianca
piccolissima perla/ sull’ arco roseo della gengi-va./ Ti tormenti, metti tutto in bocca,/ osservi i ci-
bi quasi con voluttà,/ tu che costretto sei/ ad in-
goiare liquide pappine./ Nella vita, Riccardo,/ son poche le delizie,/ tanti i dolori e le rinunce./ Oggi
non te lo spieghi/ e ridi o piangi solo per istinto./
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 38
Per poco ancora. In bocca la corona/ neppure in-
tera brillerà/ che avrai compreso già tanti perché.
» (a pag.23). Poi ci sono le foto a corredare le parole poetiche
e nel contempo narrative del nonno, che segue at-
tento la crescita di Riccardo da quando quel gior-no gli ha cambiato la vita con la sua nascita. Foto
in bianco-nero che raccontano di un bimbo il
giorno del suo battesimo, avvenuto il 23 gennaio 2010; poi Riccardo al mare nella sua privata pi-
scina gonfiabile; in braccio alla mamma Gabriella
raggiante; Riccardo che emula il nonno irrorando in campagna col suo innaffiatoio, in formato ri-
dotto rispetto all’ innaffiatoio di molti più litri del
nonno. Una complementarietà che si sostiene da sola, si alimenta da sola giacché il nonno ha biso-
gno di Riccardo per continuare a credere; e Ric-
cardo ha bisogno del nonno per iniziare a credere in questa vita così difficile per tutti; così come è
cosa ardua la saggezza che si raggiunge solo in
tarda età. « (…) Come farti capire/ che non è giu-sto/ tu l’abbia sempre vinta,/ che tutto non è bene
qual che chiedi,/ che l’ orgoglio sfrenato anneb-bia/ e la vita amareggia ed anche uccide./ Ancora
non distingui/ il giusto dall’ ingiusto,/ il bene e il
male./ Tocca a noi moderare le tue brame./ A co-sto anche di vederti piangere,/ a lungo lacrimare.
» (A pag.47). La seconda parte del libro è dedica-
ta all’altra coppia di sposi formata da Emanuela e Stefano (un altro figlio del direttore Defelice).
Dalla loro unione avvenuta nel settembre 2013 è
nato poi Valerio, nell’aprile di quest’anno 2015, la cui foto è apparsa nel numero di maggio del
mensile Pomezia-Notizie, ed anche la foto a colori
del primo incontro dei due bambini. Il cuginetto
di Riccardo quindi, e i due cresceranno insieme
sugli insegnamenti alti del loro incomparabile
nonno, che in loro vede il suo prosieguo. C’è stata un’occasione in cui nonno Domenico si è trovato
a spiegare per caso a Riccardo, la metamorfosi del
nuvolame. È stata un’occasione imperdibile e uti-lissima, in cui le nuvole sono servite come prete-
sto per tessere una metafora, più di una metafora;
un argomento importante per plasmare l’animo di Riccardo, per fargli amare il sole soprattutto
quando c’ è il bigio annuvolamento sinonimo an-
che di oscuramento intimo, e soprattutto per scor-
gere nelle nuvole il volto di chi abbiamo amato di
più in questa vita: « (…) È vero, io con la nuvola
ci parlo,/ ma è natura libera, Riccardo,/ e non conosce il potere dell’uomo./ Amale anche tu le
nuvole./ Un giorno, forse, tra le fàsmate/ scorge-
rai il mio volto. Pomezia, 29 marzo 2013 » (A pag.40).
Isabella Michela Affinito
RECITARSI UNA POESIA
Armonie
o vibrazioni
di parole
accarezzano
l'anima
eppure il corpo
e portano
anche sol per un momento
a sentire
percepire
pur serenità
e pace.
Il messaggio
che deve
arriva
con l'emozione
mano nella mano.
Che bello
recitarsi
e recitare
una poesia.
Michele Di Candia Inghilterra
MARIA GRAZIA LENISA
LETTERE
IL CROCO/ Pomezia Notizie – Luglio 2015
L’omaggio che Domenico Defelice ha dedicato a
Maria Grazia Lenisa pubblicando l’epistolario che
ha suggellato un rapporto trentennale di collabora-
zione e sincera amicizia, è un’ulteriore prova del suo voler testimoniare l’importanza di chi ha segna-
to la vita artistico/letteraria del nostro paese.
Maria Grazia Lenisa è stata uno dei personaggi più conosciuti nel campo poetico/letterario e ci ha
lasciato opere di grande rilievo che determinano la
sua capacità creativa e il suo imporsi con temi a volte ardui, ma che hanno dato una scossa alla poetica del
tempo. Una voce determinata, chiara, sincera, che il
maledetto cancro non ha saputo far tacere, anzi, Ma-
ria Grazia ci ha donato dei versi che insegnano a
giocare con l’ironia anche nei momenti più oscuri.
L’amore per la poesia si può dedurre dalle lettere spedite a Domenico Defelice, dapprima referenziali
e poi sempre più amichevoli e complici di un inte-
resse che li accomunava. E’ un epistolario corposo, dal quale emerge la
personalità della Lenisa (che si concede senza pa-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 39
raventi) e che denota la differenza tra la donna e la
poetessa. Infatti, con la relazione di amicizia è più
aperta e socievole, mentre per la materia poetica il suo giudizio è ben più severo. Essendo addentro al
mondo letterario Maria Grazia poteva evidenziarne
i molti aspetti negativi. La condizione del poeta è sempre stata particolare
ma nella società odierna, sovraccarica di materiali-
smo, assume un ruolo che rasenta l’utopia. Maria Grazia Lenisa sa quanta delusione e amarezza si ri-
scontrino nel cammino, ma non può fare altrimenti
perché la passione non si può spegnere e scrivere diventa vitale.
Nelle ultime lettere appare l’ombra della malattia
ma la sua vena creatrice è più forte e con tenacia e coraggio Maria Grazia affronta anni di cure e di
sofferenza. Sino all’ultimo ha pensato ai suoi libri:
“Sta battendo Francesca il mio primo romanzo. Cerco di fare in fretta.”, e con la poesia A TE ci la-
scia dei versi indimenticabili.
Laura Pierdicchi
TITO CAUCHI
ISOLA DI CIELO U.M.E. edizioni, 2005, 58 pagg., € 7,00
La pagina più difficile in assoluto di un libro,
qualsiasi ne sia il contenuto, è sempre la prima: la copertina col titolo.
È un concetto da me già espresso in altre occasio-
ni, recensendo, e intendo ribadire il concetto perché è davvero importante.
Il titolo non deve essere né banale né oscuro. De-
ve poter suggerire una parte del contenuto, ma sen-
za svelare il finale, suscitando la curiosità del letto-
re.
La canzone diceva e non diceva, cantava Paolo Conte in Boogie boogie, forse la canzone più spu-
dorata del celebre autore del Il Cielo in una stanza.
Eppure Conte aveva ragione. Questo testo, ennesima silloge poetica di Tito
Cauchi, è forse l’opera migliore di questo Poeta
coevo, che pure tanto ha già detto – e non in modo banale!
Isola di cielo è il titolo di una delle tante (52, per
l’esattezza) liriche qui contenute. E, nonostante il
titolo, è una poesia terra terra e molto pedestre.
Non in senso negativo, però.
Gli angeli/ sono milioni di milioni/ sono i più po-veri e i più soli (Lucio Dalla).
L’immenso Dalla, scomparso di recente, ha sapu-
to rendere con questi pochi versi un’idea estrema-mente corretta e corrispondente all’attuale realtà in
cui siamo costretti a vivere.
Isola di Cielo, come silloge, ci parla appunto dei
più poveri e più soli, dei milioni di Fratelli Minori
che nessuno vede mai ( ma solo in apparenza) di sé e di ciò che gli capita o di chi gli sta accanto… ma
con la mente rivolta sempre a qualche altra cosa
che pure esiste, anche se è fisicamente lontana dall’Autore.
Come sarà possibile rompere/ le barriere, quan-
do non si è/ capaci di tendersi due mani? (da: Compagno camerata, pag. 46).
Questi tre versi non necessitano certo commenti.
Cauchi, lo si voglia ammettere o no, è, come Poeta, epigone di Gandhi e di Socrate. Vede e riflette,
pensa a tre dimensioni. Pare sia uno sciocco o un
distratto, ma intanto usa occhi e cervello e prende nota.
Di sillogi poetiche ne ho lette e recensite tante,
ma questa merita di stare in cima alla lista. Un po-sto altissimo e che non sono disposto a concedere al
primo che passa perché, come lettore, sono esigen-
tissimo, e come recensore non guardo in faccia a nessuno.
Da leggerla con molta attenzione ed una buona
scorta di fazzoletti a portata di mano. Non è affatto
detto che la lettura strappalacrime sia roba risibile e
scontata!
Andrea Pugiotto
IL TEMPIO, AIUTAMI A SPAZZARLO
Mi dici che sono il Tuo Tempio.
Una topaia l’ho ridotto, un porcile.
Aiutami a spazzarlo
nel lasso di tempo che mi resta,
a spargerci cedrina e lavanda.
L’anima ha ferite sanguinanti
e la veste sdrucita,
ma le medaglie opache
che il mondo mi ha donato
risplenderanno come e più del sole
se ci passi le dita.
Domenico Defelice
RESPIRAR-MI
Per vasti vivi silenziosi spazi
di questi tempi vado
a ritrovare il canto
del pensiero mio
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 40
in materia smarrito
e liberar la voce mia
con tutta la luce che c’è
respirando di più
con L’Anima.
Michele Di Candia Inghilterra
TERESA TIERRA YERMA
Cuando el amor
não me sonríe,
mi corazón
no canta.
Ni yo, ni tu veremos
Este cielo Teresa
Mi querida, cuando
Seremos tierra yerma.
Tito Cauchi Tradução feita por Teresinka Pereira USA
Primo Maggio, Festa del Lavoro 2014
GIORNO DEI LAVORATORI
Alzare il salario minimo
non accadrà
senza sciopero.
Primo Maggio è la Festa del Lavoro
in tutto il mondo,
tranne negli USA.
In altri paesi la gente
andrà ad applaudire
i lavoratori sfilano per le strade
mentre le fabbriche e gli uffici
sono chiusi per la festa.
Non vi è una domanda di
un aumento del salario minimo.
Il sindacato fornisce la forza.
Lo sciopero insieme con il
sostegno pubblico che costringerà
le aziende a pagare di più.
Lavoratori: Io voto per te
il Primo Maggio 2014!
Teresinka Pereira USA - Trad. dall’inglese di Giovanna Li Volti
Guzzardi, Australia.
HAZAÑAS DE CUPLEAÑOS
Para Domenico Defelice
3 de octubre, 2015
Al derecho y al revés
tenemos que equlibrar
los añelos y las ilusiones.
Los cumpleaños
son realidad legítima
de celebrar con orgullo
por lo que ya cumplimos
y de determinación
a los que debemos enfrentar.
Que en ese día especial
haya mucha alegría
para ensartar
la esperanza.
Teresinka Pereira USA
AVREI VOLUTO SCEGLIERE
Avrei voluto scegliere
il giusto momento
tra me e te
per lasciare che la mia mano
lasciasse la tua
Avrei voluto darti il mio fiato
per aggiungere un altro respiro
al tuo momento
Avrei voluto
che il mio tempo si fermasse
allo scadere del tuo attimo.
Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.
CONCEPIRE IL PASSATO
Concepire il passato
nei frammenti colorati
che nell’insieme riunivano
il nostro esistere
è riassorbire il denso
calore del contatto
al di fuori del tuo
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 41
e del mio fiato
che nell’insieme erano
inizio e fine
di un unico sentire.
Laura Pierdicchi Dalla raccolta inedita OLTRE.
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE ESPERANTO E INTERLINGUISTICA - Espe-
ranto e interlinguistica: conferenza-dibattito di
notevole interesse - Importante evento culturale a
Frosinone martedì 29 settembre 2015. Con il patro-
cinio dell’Amministrazione Provinciale e sotto l’
egida dell’Accademia Teretina di Frosinone, il prof.
Amerigo Iannacone ha parlato dei seguenti temi: •
Che cos’è l’Esperanto; • Quando viene usato; • Formazione della parole; • Fonetica, Lessico e Nu-
meri. Oltre ai saluti del Presidente dell’Accademia
Teretina, Preside Prof. Lino Di Stefano e il Segreta-rio dell’Accademia Teretina, Prof. Umberto Caper-
na – c’è stato l’intervento della D.ssa Michela Lipa-
ri, Presidente della FEI, Federazione Esperantista Italiana. È seguito un dibattito. La conferenza si è
svolta alle ore 16:30, nel Salone della Provincia,
Piazza Antonio Gramsci. L’incontro, aperto a tutti,
ha costituito un’occasione per riflettere sulla comu-
nicazione in generale e sulla comunicazione inter-
nazionale in particolare, sui codici linguistici e su ciò che li regola, e per saperne di più sull’esperanto,
una lingua bella e al tempo stesso razionale, estre-
mamente facile anche per persone di cultura limita-ta o che abbiano poca predisposizione per le lingue
o poco tempo per studiare. Una lingua, derivante
per più del sessanta per cento dal latino, che riesce
più di ogni altra a esprimere in modo semplice ogni sfumatura di significato. Nato più di un secolo fa
dall’intuizione del polacco Ludwik Lejzer Zamen-
hof, l’esperanto è oggi conosciuto da milioni di per-sone nei cinque continenti e può vantare una vasta
letteratura originale e tradotta. Corsi gratuiti si pos-
sono trovare anche su Internet. ***
GILDA ANTONELLI - Da anni non avevamo più
notizie della poetessa molisana (di Venafro) Gilda
Antonelli. Così è stata una sorpresa, il 9 ottobre
scorso, ricevere una sua lettera (spedita il 20 agosto
2015), come per il passato quasi indecifrabile, pa-sticciata, come sono state sempre le sue missive,
vergate d’impeto, d’istino, nella quale ci ricorda gli
amici Saverio Scutellà (Delianova 1910 - Roma 1992) - “Come è bello sto Tamburino! Molto Bel-
lo!!!!” -, Ada Capuana (Catania 1908 - Roma
1999) - “Vedo spesso pure le foto di Ricordo men-tre ritiravo il premio POMEZIA NOTIZIE dalle
mani della Signora ADA CAPUANA!!!” -, l’Editore
Vincenzo Lo Faro eccetera, accennando a una sua
venuta a Pomezia, in occasione di una cerimonia
del Premio Internazionale Letterario della nostra Città. In allegato, ci fa avere, attaccate con l’ adesi-
vo, fotocopie di foto, un disegno di Scutellà, una
poesia dello stesso, una sua dedicata alla memoria del pittore calabrese e una dedicata a lei da Sara De
Vento. Ma le è proprio difficile inviarci quello che
vuole senza pasticciare i fogli, tagliarli e incollarli con l’adesivo, senza scrivere, addirittura, sulle stes-
se foto, senza, cioè, rendere il tutto come se fosse
raccattato dalla pattumiera? Ecco, comunque, di se-
guito, le poesie e il disegno allegati.
IL TAMBURINO
Il rullo del tamburo è tutto a festa,
saluto per chi lascia le frontiere, delizia per chi ama e per chi resta:
qui danzano leggiadre le chimere.
Rulla, o giovinetto, al tuo stromento
per ridestar le gioie a le vestali;
fuggan dai petti l’ira ed il tormento:
torni la pace ai lidi floreali!
Si spiegan salmi e danze sui sagrati, le strade si pavesino a bandiere:
si faccia d’ogni nome apologia.
Issate i gonfaloni, in signoria,
le Muse del Parnaso messaggere
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 42
nei loro versi esprimono gli afflati.
Rulla, mio tamburino, in re maggiore, qui stanno i vati, figli del Signore.
Saverio Scutellà
A SAVERIO SCUTELLÀ
Alla cara memoria
E guardo ancora i tuoi dipinti
“Il Tamburino” che suona sorridendo.
“I cavalli al galoppo” nella pianura. “Gli alberi” nel trionfo della fioritura.
“Il contadino” che zappa la terra.
E tu riposi adagio sugli allori
che circondano il recinto del camposanto.
Ora pare che quei cavalli non hanno più il loro padrone.
Quel contadino non ha più vigore per zappare le sue terre.
Quel tamburino ha perso la gioia
e più non suona, più non sorride. I tuoi personaggi, immortali sulle tele,
parlano di te e piangono
per il tuo destino.
Saverio Scutellà, Maestro d’arte
di pittura, poesia e di tutte
le cose belle che creavi sei sempre in mezzo a noi
e tu dal cielo insegnaci
la via per il cammino con le muse.
Gilda Antonelli
Venafro, Is
A GILDA
Quando fiorivano le giacarande Tu appartenevi al vento.
Il dolore dell’esistenza
Non conoscevi ancora... Era soltanto un pensiero
Nella mente feconda.
Poi arrivò la furia devastante Come un inverno incoerente
E fasciò di gelo i sogni.
Cercasti invano te stessa
Nello specchio, interrogando la luna
Offuscata dalla tristezza. Sai? Anche i fiori talvolta
Appassiscono per la bufera
E non sanno capire il dolore che fa reclinare lo stelo.
Ma arrivò la piena del tempo
Per sbiadire le violenze dell’anima. Ed ora le tue giacarande
Sono fiorite a dispetto del gelo.
Tu sei come una coccinella tenace
Che conquista decisa
La cima della quiete e
La vetta delle muse.
Sara Del Vento
***
PREMIO NAZIONALE “HISTONIUM” POE-
SIA-NARRATIVA XXX EDIZIONE 2015
PRIMO PREMIO ASSOLUTO – SEZIONE E
ad IMPERIA TOGNACCI di Roma per libro edi-to di poesie “Là, dove pioveva la manna” (Edi-
zioni G. Laterza) Con la seguente motivazione:
“Poesia come occasione per spostare il visibile in
una sfera di elevazione che riconcilia il soggetto
con il suo io, permettendogli una risalita verso spazi
d’infinito, un viaggio dell’anima che, nella compo-sizione armonica di elementi reali e spirituali, libe-
rati nel transito da scorie di vissuto, assurgono a so-
stanza valoriale che si rappresentano in un misto di saggezza orientaleggiante e di cultura come base
acquisita per sfiorare a tratti l’Assoluto. La rievoca-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 43
zione lineare, la parola ferma e l’attenzione posta al
profondo delle cose fanno di questa raccolta un’ opera strutturalmente matura ed organica, secondo
un dettato tenuto insieme da connessioni formali e
tematiche, mai soggette a interruzioni, in una pro-gettazione raffinata di toni, di rimandi, di pregevoli
effetti lirici e di spunti formativi che si aprono alla
meditazione”. ***
Premio “Antonio Filoteo Omodei” 2016, Sca-
denza: 15 febbraio 2016 - L’Accademia Interna-
zionale “Il Convivio”, in collaborazione con il
Museo Valle Alcantara e la rivista internaziona-
le Il Convivio, bandisce la quattordicesima edi-
zione del premio “Antonio Filoteo Omodei”
2016, cui possono partecipare autori sia italiani
che stranieri nella propria lingua o nel proprio
dialetto. Il premio si articola: 1) Poesia inedita a
tema libero in lingua italiana (cinque copie). 2)
Poesia inedita a tema libero in lingua dialettale -
con traduzione (cinque copie). 3) Silloge di poesie
senza limiti di versi, ma che comprenda almeno
30 liriche, ordinate in 5 fascicoli, pena l’ esclu-
sione (cinque copie). 4) Libro edito in lingua ita-
liana o in dialetto: poesia, romanzo o raccolta di
racconti, saggio (tre copie, di cui una con gene-
ralità). 5) Pittura e scultura (si partecipa inviando
due foto chiare e leggibili di un’opera pittorica o
scultorea). 6) Poesia inedita in lingua italiana o
dialettale a tema religioso (cinque copie).7) Rac-
conto inedito, max 6 cartelle corpo 12 formato a4
(cinque copie). 8) romanzo, raccolta di poesie o di
racconti inediti per e-mail (inviare una copia cor-
redata di generalità e recapiti all’indirizzo e-
mail: [email protected], enzaconti@ ilcon-
vivio.org). Premiazione: Verzella, in provincia di
Catania, nel mese di giugno 2016. Gli elaborati
vanno inviati alla Redazione de “Il Convivio”:
Premio “Antonio Filoteo Omodei”, Via Pietramari-
na–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia (CT) - Italia. Ai vincitori e ai partecipanti sarà data
comunicazione personale dell’esito del premio. I
premi devono essere ritirati personalmente. La
partecipazione al concorso è gratuita per i soci*
dell’Accademia Il Convivio. È richiesto invece
da parte dei non soci, per spese di segreteria, un
contributo complessivo per partecipare a tutte le se-
zioni di euro 10,00 (o moneta estera corrispon-
dente) da inviare in contanti. Per bando completo
e informazioni: tel. 0942-986036, cell. 333-
1794694, e-mail: [email protected]; an-
[email protected]; sito: www.ilconvivio.org ***
Premio per silloge inedita “Pietro Carrera”
2016, Scadenza: 30 dicembre 2015 - L’ Accade-
mia Internazionale Il Convivio, al fine di divulga-
re la poesia italiana, bandisce il Premio “Pietro
Carrera” per la silloge inedita. Il concorso si arti-cola in una sezione unica. Si partecipa con una sil-
loge inedita composta da un minimo di 32 poesie
ad un massimo di 80 poesie. Si ammette al concor-so anche la forma del poema, lungo o breve. Posso-
no partecipare anche sillogi nei vari dialetti d’Italia
purché rechino una traduzione in lingua italiana. Esclusivamente per le opere in dialetto l’opera deve
essere composta da un minimo di 32 a un massimo
di 40 poesie (escluse le traduzioni). La silloge deve
rimanere inedita sino alla premiazione, pena l’
esclusione e revoca del premio. Modalità di par-
tecipazione: l’opera deve pervenire alla segreteria
in 4 copie delle quali 3 anonime e una recante dati e
recapiti dell’autore. Ogni autore può partecipare con una sola silloge. Ogni copia deve essere punti-
nata o fascicolata. Chi è impedito a spedire le co-
pie cartacee può inviare la silloge per e-mail a
[email protected] oppure a enza-
[email protected] allegando un curriculum,
copia dell’avvenuto versamento. La partecipazione
al concorso è gratuita per i soci dell’Accademia Il
Convivio. È richiesto invece da parte dei non soci,
per spese di segreteria, un contributo di euro
10,00 da inviare in contanti oppure da versare
sul Conto corrente postale n. 93035210, intestato
Accademia Internazionale Il Convivio, Via Pietra-marina, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia Iban IT 30
M 07601 16500 000093035210. Premiazione:
primavera 2016. Premi: per il primo premiato ver-
rà pubblicata gratuitamente la silloge conse-
gnando all’autore un numero di 50 copie in
omaggio. Gli elaborati vanno inviati a: “Il Convi-
vio” Premio “Pietro Carrera”, Via Pietramari-
na–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia
(CT) - Italia. Per bando completo e informazioni: tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: enza-
[email protected]; giuseppemanitta@ ilconvi-
vio. ***
ELENA MILESI CI HA LASCIATO - Ricevia-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 44
mo, dalla poetessa Paola Insola di Torino, notizia
che il 9 ottobre, a Bergamo, è morta la poetessa
Elena Milesi. Era nata a Villa d’Adda. Socia del Cenacolo Orobico di poesia (Bergamo), Accademia
dell’Ateneo di Bergamo per la classe di Lettere ed
Arti, cofondatrice dell’Associazione culturale Ro-sella Mancini (Roma), Presidente dell’ Associazio-
ne Amici Pittore Giuseppe Milesi, in versi ha pub-
blicato: “Silloge per Neri” (1983), “Quando na-sciamo un’altra volta” (1984), “Ragazze/i nel qua-
derno” (1985), “La notte, l’albicocca e altro”
(1986), “In fa” (1986), “Paggio Regale” (1989), “Svoli di semi” (1990), “Paggio in viaggio” (1991),
“Ebdomada” (1991), “Natale/Noël” (1992), “Tris”
(1993), “Dicembre/Décembre” (1993), “Il poemet-to del funaio” (1994), “Viene il vento” (1995),
“Acqua di cascata” (1997), “Le semainier” (1998),
“NeroRossoOro” (1999), “Textum” (1999), “Ordi-nario 2000” (2001), “Che si chiamava Cloto”
(2003), “Alla riva” (2005), “Il carro di Amore”
(2006), “Introìbo ad 2007” (2007), “E popoli miti” (2007), “Il tempo abissale” (2009), “Come dicono a
Parigi “C’est la Vie!” “ (2010), “Il quaderno della
sfida” (2014). Confortata da consensi critici, ampia
bibliografia e numerosi premi letterari, tra i quali
amava ricordare: il Premio della Critica a Penne (Pescara), il Premio Les Amis de la poesie a Berge-
rac, e i premi-pubblicazione a Vercelli, Marina di
Carrara, Palermo; il Premio del quinquennale de “Il Lago Verde” Casazza (Bergamo). Per “Paggio Re-
gale”, “Paggio in viaggio”, “Tris”, tre volte segna-
lata e finalista al San Pellegrino Terme. Paola Inso-
la ha promesso di ricordarla con una sua nota:
“Quanto prima - scrive in una e-mail del 18 ottobre
scorso - ti invierò due belle fotografie, una degli
anni "giovani" e l'ultima, scattata in occasione del-
la mia ultima visita a Bergamo. Elena aveva in
mano il "quaderno" che è poi stato stampato come il suo ultimo libro IL QUADERNO DELLA SFIDA,
recensito da personaggi molto più autorevoli di me,
sul tuo giornale. Comunque farò la mia parte criti-ca, ma non subito: sono molto occupata nelle bi-
blioteche di Torino per il lavoro sui Poeti nella
prima guerra mondiale. Ti manderò quindi le foto-grafie tramite la fotografa, in modo da renderle
pubblicabili in modo ottimale. Invece, con la noti-
zia del decesso, se ancora sono in tempo, ti invio una poesia, scritta negli anni '80. Si tratta di un
gioco linguistico e affettivo che coglie attimi, suoni
e parole, titoli e contenuti dei libri della poetessa Elena Milesi.”
RENDEZ - VOUS
Bolle e ribolle
pentola scarlatta folle / magico
destino
"Quando nasciamo un'altra volta"
sul tandem andremo fischiettando
incuranti della gente un motivo scoppiettante.
La bruna e la bionda
amiche per la pelle
sembreran sorelle
pedalando tra le stelle.
Bolle e ribolle
pentola scarlatta
confettura di albicocche.
Paola Insola
***
IL SAGGIO DI DI LIETO SU LEOPARDI
PRESENTATO A NAPOLI - Giovedì 29 ottobre
2015, alle ore 17, l’Istituto Italiano per gli Studi Fi-
losofici - Palazzo Serra di Cassano, via Monte di
Dio 14, Napoli - ha presentato il saggio di Carlo Di
Lieto Leopardi e il “mal di Napoli” (1833 - 1837),
una “nuova” vita in “esilio acerbissimo”, edito dalla Genesi di Torino nel 2014. L’indirizzo di sa-
luto è stato di Fabio Corvatta, Presidente del Cen-tro Nazionale Studi Leopardiani di Recanati. Con l’
Autore sono intervenuti: Alberto Folin, membro
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 45
della giunta esecutiva del Comitato scientifico del
Centro Nazionale Studi Leopardiani di Recanati;
Luigi Mazzella, scrittore, vice presidente emerito Corte Costituzionale; Giovanni Ramella, direttore
Centro Pannunzio, Torino; Sandro Gros-Pietro,
scrittore, editore Genesi, Torino; Mauro Gianca-
spro, scrittore; Antonio Filippetti, giornalista,
scrittore. Hanno dato il loro patrocinio: Comune di
Napoli, Rotaract - Rotary Club Partner Napoli Sud Ovest; Centro Nazionale di Studi Leopardiani Re-
canati; Istituto Culturale del Mezzogiorno Liberi in
poesia; Federazione Unitaria Italiana Scrittori; Lec-tura Dantis Metelliana; Biblioteca Nazionale di Na-
poli.
***
CON 'EUMENIDI' IL GESTO TEATRALE DI
VINCENZO PIRROTTA SCARDINA I PA-
RAMETRI INTERPRETATIVI DEL TESTO
DI ESCHILO - Al Teatro Olimpico di Vicenza si
è svolto, tra settembre ed ottobre 2015, il 68° ci-
clo di Spettacoli Classici 'I Fiori dell'Olimpo', sot-to la direzione artistica di Emma Dante. In cartel-
lone tanti eventi prestigiosi, singolari, problemati-
ci, come queste 'Eumenidi' di Eschilo trasportate
nell'antica lingua siciliana del 'Cunto' dal regista
Vincenzo Pirrotta, di Partinico. Non potendo pre-senziare allo spettacolo, utilizzo qui alcune parti
dell'intervista che la giornalista del settimanale on
line 'La Domenica di Vicenza' Elena De Dominicis ha intrapreso con il regista, attore in primo piano ed
autore del testo 'Eumenidi' edizione del 2015, la cui
sceneggiatura con intersezioni di ritmi di varia pro-venienza è stata elaborata in modo esclusivo per
questa occasione. Alla domanda che tocca il tema
della costante attualità delle tragedie greche, do-
manda chiara, incisiva, problematica, perché legata
in questo caso, per il tema delle 'Eumenidi', alla co-
stituzione di un tribunale di giustizia, il regista Pir-rotta sostiene: “… In genere si fa risalire la nascita
del tribunale degli uomini a questa ultima parte
dell'Orestea. Io mi sono molto interrogato, anche quando lo scrivevo e c'erano molte cose che non mi
tornavano: questa nascita della giustizia si fonda su
un compromesso. Se andiamo ad analizzare bene quello che succede (e io infatti ho cambiato il finale
apposta per provocazione su questo argomento),
Atena non decide, istituisce il tribunale degli uomi-
ni... i quali uomini decidono di non scegliere, danno
una sentenza di parità e c'è questo monologo di
Atena in cui sembra veramente di sentire un vec-chio democristiano doroteo sul senso del compro-
messo, del non inimicarsi nessuno, del patteggiare e
di comunque galleggiare su cose ambigue pur di non scontentare nessuno. Le Erinni stesse, che era-
no state create per inseguire gli assassini, nascono
dal sangue di Cronos che viene evirato, si sottrag-
gono al loro compito e accettano di diventare Eu-
menidi. Nessuno ha mai pensato a questo fatto, loro lo dicono, ad un certo punto: oggi è morta la giusti-
zia. Tuttavia accettano di diventare Eumenidi. Que-
sta analisi mi ha portato assolutamente a capovol-gere il senso che viene dato a 'Le Eumenidi', in cui
si dice che c'è il fondamento della giustizia, io in-
vece dico che, nel monologo finale a cui tu accen-navi, che questa terza parte dell'Orestea, in realtà,
rappresenta la morte della giustizia perché il tribu-
nale si fonda sul compromesso”. Alla osservazione della giornalista: “Sei partito dal documentario
'Appunti per un'Orestiade africana' di Pasolini”, il
regista risponde: “Ho preso spunto da quello ma soprattutto sono partito dalla traduzione di Pasolini
che ha fatto dell'Oreste per Vittorio Gassman al
Teatro Greco di Siracusa nel 1960. Mi piace perché era piena di rimandi alla modernità; questo per par-
lare di un mondo nostro di riferimento, di quotidia-
nità anche non apertamente detta ma che, tra le ri-ghe, vorrei ogni sera far arrivare agli spettatori. Qui
abbiamo una tragedia statica: sono soltanto le Erin-
ni che rincorrono Oreste e che lo vanno a scovare
dapprima nel tempio di Apollo a Delfi, poi nel tem-
pio di Atena. Non succede altro. Quello che mi in-teressava era mostrare agli spettatori questa ferocia
delle Erinni, questo inseguimento che arriva al suo
apice in quel coro come se fosse una tarantata, co-me dei pugni che arrivano ad Oreste che è dentro al
cubo e che sente arrivare queste parole come degli
schiaffi. Gli spettatori devono sentirsi coinvolti co-me se fossero essi stessi Oreste. Partendo da questo
ho lavorato sul recupero di alcune tradizioni svilup-
pandole...”
Importante allora risulta anche il rimando all'inter-
vista della De Dominicis al Maestro Mimmo Cu-
ticchio, che guida il teatro popolare del 'Cunto', protetto ed individuato come patrimonio e bene
immateriale dall'Unesco, ed alla cui scuola è cre-
sciuto anche il regista Pirrotta, per poi dirottare verso un'autonomia da vero sperimentatore, auda-
ce e perentorio, riflessivo e caustico, esplosivo e
deviante, nell' avventura del corpo e della voce, del gesto e delle sonorità più toccanti, onde anda-
re a sconvolgere l' assetto di sicurezze prefissate
che abita lo spettatore anche nel nostro tempo.
Non potendo assistere allo spettacolo olimpico,
mi sono guardata in rete le parti della versione di
'Eumenidi', allestita per la Biennale di Venezia nel 2004 e la sua è lingua che nasce dal ventre e si fa
storia, appropriandosi della tradizione per diven-
tare poi altra cosa, nuovo con-testo che porta la sua firma.
Ilia Pedrina
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 46
LIBRI RICEVUTI ISABELLA MICHELA AFFINITO - Insolite
composizioni - VIII° volume - In copertina, “La
moderna donna - Albero di Klimt” realizzazione grafica dell’Autrice, completamente effettuata a
mano con pennarelli di varia grandezza - Ed. Cena-
colo Accademico Europeo Poeti nella Società, 1972 - Pagg. 52, e. f. c.
**
ISABELLA MICHELA AFFINITO - Dalle radici
alle foglie alla poesia - Poesie - In copertina, a co-
lori, “Gli Alberi: La Natura con una mano li crea,
con l’altra li decora e con la mente li sviluppa” del-la stessa Autrice - Edizioni EVA, 2015 - Pagg. 112,
€ 12,00. Isabella Michela AFFINITO è nata in Cio-
ciaria nel 1967 e si sente donna del Sud. Ha fre-quentato e completato scuole artistiche anche a li-
vello universitario, quale l’ Accademia di Costume
e di Moda a Roma negli anni 1987 - 1991, al termi-ne della quale si è specializzata in Graphic Desi-
gner. Ha proseguito, poi, per suo conto, approfon-
dendo la storia e la critica d’arte, letteraria e cine-matografica, l’antiquariato, la fotografia, la storia
del teatro, la filosofia, l’egittologia, la storia in ge-
nerale, la poesia e la saggistica. Nel 1997 ha inizia-to a prendere parte ai concorsi artistico-letterari del-
le varie regioni italiane e in seguito ha partecipato
anche a quelli fuori dei confini d’ Italia, tra cui il Premio A.L.I.A.S. dell’Accademia Letteraria Italo-
Australiana Scrittori di Melbourne. Ha reso edite
quasi 50 raccolte di poesie e un volume di critiche letterarie, dove ha preso in esame opere di autori
del nostro panorama contemporaneo culturale e so-
vente si è soffermata sul tema della donna, del suo ruolo nella società odierno del passato, delle pro-
blematiche legate alla sua travagliata emancipazio-
ne. Con “Da Cassandra a Dora Maar” (2006) ripro-pone le infinite donne da lei ritratte nei versi per
continuare un omaggio ad esse e a lei stessa. Inseri-
ta in moltissime antologie, tra cui l’ “Enciclopedia degli Autori Italiani” (2003), “Cristàlia” (2003), “8
Marzo” (2004), “Felicità di parole...” (2004), “Clu-
vium” (2004), “Il suono del silenzio” (2005) ecce-tera. Sempre sul tema della donna ha scritto un sag-
gio sulla poetessa Emily Dickinson. Pluriaccademi-
ca, Senatrice dell’Accademia Internazionale dei
Micenei di Reggio Calabria, collaboratrice di molte
riviste, è presente in Internet con sue vetrine poeti-che. Tra le sue opere: “Insolite composizioni” - vol,
VIII (1972), “Viaggio interiore” (2015).
** FRANCESCO LEPRINO - Un gioco ardito -
DVD - Dodici variazioni tematiche su Domenico
Scarlatti (1685 - 1757: 250 anni nel 2007 - Film, Ita-
lia - Portogallo - Spagna, 2006 - Durata 98’ - Regia e sceneggiatura di Francesco Leprino, produzione Al
Gran Sole, Milano. Musiche di Domenico Scarlatti
reinterpretate ed elaborate da: Arrigo Cappelletti, Alfredo Casella, Azio Corghi, Giovanni Falzone,
Giorgio Caslini, Ruggero Laganà, Fabio Nieder,
Le Orme, Maurizio Pisati, Salvatore Sciarrino, Javier Torres Maldonado, Isa Traversi, Massimi-
liano Viel. Clavicembalo: Ruggero Laganà; Intervi-
ste a: Enrico Baiano, Emilia Fadini, Gustav Leon-
hardt, Roberto Pagano, Giorgio Pestelli, José Sa-
ramago, Salvatore Sciarrino. Con il patrocinio di:
Società del Quartetto, Milano - Centro di Musica An-tica, Napoli - Conservatorio San Pietro a Majella,
Napoli - Orchestra e Coro Giuseppe Verdi, Milano.
Francesco LEPRINO, musicista, musicologo, orga-nizzatore musicale, ha pubblicato dischi, volumi e
saggi musicologi. Dal 1995 si è occupato di audiovi-
sione, tenendo corsi universitari, seminari e confe-renze e soprattutto realizzando video, documentari e
film antologici e sperimentali fra i quali segnaliamo:
“L’ ascolto dell’immagine” (1995, 120’), “Clips und
Klang” (1998, 60’), “...In cento ben pugnate batta-
glie...” (2001, 100’), “In casa mia v’aspetto! Mozart a Vienna” (2005, 90’), “Sul nome B.a.c.h.” (2011,
120’), “O dolorosa gioia” (2015, 90’). Tali video
hanno avuto lusinghieri riscontri critici, sono stati se-lezionati in autorevoli festival, trasmessi da RAIl e
RAISAT Cinema e proiettati in oltre un centinaio di
prestigiose istituzioni in Italia, Germania, Danimar-ca, Canada, Belgio, Olanda, Svezia, Portogallo,
Spagna, Stati Uniti.
**
EUGENIO MORELLI - Il buio e la luce (The
Dark and the Light) - Raccolta di poesie (Collec-
tion of poems) Testo inglese a fronte (Facing-page translation) - Ed. Streetlib (senza data publicazione,
forse 2015) - Pagg. 90, € 6,50. Eugenio MORELLI
(Trieste, 29 agosto 1946) è un medico, poeta, scritto-re, saggista e critico d’arte italiano. Vive e lavora a
Conegliano (TV). Nella sua vita ha pubblicato più di
venti opere letterarie, principalmente di poesia, vin-cendo numerosi premi, tra cui il “Premio della Cultu-
ra” della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la
narrativa. Inoltre per questi suoi lavori è stato insigni-
to del titolo di Cavaliere Ordine al merito della Re-
pubblica Italiana, di Ufficiale Ordine al Merito della
Repubblica Italiana nonché dell’ Attestato di bene-merenza al merito della sanità pubblica.
**
MARIAGINA BONCIANI - Sogni - In copertina, a colori, “Sogni” (1896), di Vittorio Matteo Corcos;
Prefazione di Giuseppe Manitta - Ed. Il Convivio,
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 47
2015 - Pagg. 46, € 8,00. Mariagina BONCIANI vi-
ve a Milano dove è nata nell’aprile 1934 e si è di-
plomata in Ragioneria nel 1953, ma ha sempre pre-diletto le materie letterarie e le lingue. Conoscendo
il francese e lo spagnolo ed avendo perfezionato
soprattutto lo studio dell’ inglese, ha lavorato, dal 1953 al 1989, come segretaria di direzione, capo uf-
ficio e corrispondente presso tre diverse ditte nel
settore import-export. Ama la lettura, i viaggi e la musica classica. In pensione dal 1989, per alcuni
anni si è dedicata alla madre inferma, smettendo di
viaggiare, ma studiando pianoforte, russo e greco antico. Non si è mai sposata. Da qualche anno ha
iniziato a presentare nei concorsi letterari le sue
poesie, ottenendo sempre riconoscimenti e premia-zioni. Molte sue poesie sono state pubblicate in an-
tologie e riviste. Nel 2010 ha pubblicato nei qua-
derni “Il Croco” della rivista “Pomezia-Notizie” la silloge “Campane fiorentine”, accolta con entusia-
smo dalla critica e nel 2011, sempre per “Il Croco”,
la silloge “Canti per una mamma”. Nel 2012 è usci-ta presso le Edizioni Helicon la sua raccolta “Poe-
sie”. Sue poesie vengono regolarmente pubblicate
nella suddetta Rivista e sulla Rivista “Silarus”.
Vince il primo premio al concorso “Città di Avelli-
no - Trofeo verso il futuro” 2013 con la silloge “Poesia e musica”, edita nel 2014. E’ presente nel
volume “Poeti contemporanei - Forme e tendenze
letterarie del XXI Secolo” (2014), a cura di Giu-seppe e Angelo Manitta.
**
AA. VV. - Percorsi d’arte 2015 - Catalogo della VIII Edizione del Premio Padula 2015, dal 19 al 26
settembre ad Acri (Cs), organizzato dalla Fonda-
zione Vincenzo Padula e patrocinato dalla Città di
Acri, dal Parco Nazionale della Sila e cofinanziato
da Unione Europea, Repubblica Italiana e Regione
Calabria. Presentazione di Giuseppe Cristofaro, Presidente. Artisti: Angelo Barilari, Mariano Benve-
nuto, Anna Capalbo, Giuseppe Cassavia, Leonardo
Corina, Michele Coschignano, Patrizia De Bernardo, Giuseppe De Vincenti, Raffaele Esposito, Antonio
Giovanni Ferraro, Giacinto Ferraro, Giuliana Ferraro,
Rosaria Ferraro, Angelo Gaetano, Domenico Gallo, Giovanni Giglio, Gianfranco Groccia, Mimmo Intrie-
ri, Armando Giovanni Joram Manes, Giuseppe Man-
fredi, Fabio Marchiani, Gennaro Marchianò, Angelo
Minisci, Lucia Paese, Alice Pinto, Emilio Servolino,
Monica Siciliano, Maria Ortensia Spina, Maurizio
Stabile, Marco Zaretta. **
FORTUNATO ALOI - Questione Mafia ... e se
provassimo con la cultura... - Ed. Nuovo Domani Sud - Si tratta di un breve saggio degli anni ’80 del
secolo scorso, adesso riproposto. Pagg. 8, s. i. p.
Fortunato ALOI (conosciuto come Natino Aloi), è
stato per anni docente nei vari licei della Città di
Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della politica, da quella universitaria alla
realtà degli Enti locali. Ha percorso un lungo itine-
rario: da consigliere comunale nella sua Città ed in altri centri della provincia (Locri) a consigliere pro-
vinciale, da consigliere regionale a deputato. Come
parlamentare (per quattro legislature) ha affrontato temi di diverso genere ed in particolare si è occupa-
to, con grande impegno, di scuola, cultura e di
Mezzogiorno. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottose-gretario alla P. I.. E’ stato coordinatore regionale
della Destra calabrese, ed anche Segretario per la
Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Pre-sidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria
e la Lucania, è componente la Direzione nazionale
del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubblicista, collabora a diversi giornali ed è attual-
mente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”.
Autore di numerose pubblicazioni di storia, pedago-gia, saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto rico-
noscimenti di valore scientifico come il “Premio Ca-
labria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Cate-
rina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio letterario
“Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guerrieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvitelli”
per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio
Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile) ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004). Altri suoi la-
vori: “Cultura senza egemonia (Per un umanesimo
umano)” (1997), Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (2004), “Tra gli scogli dell’Io”
(2004), “<Neutralismo> cattolico e socialista di fron-
te all’intervento dell’Italia nella 1a guerra mondiale”
(2007), “Riflessioni politico-morali e attualità dei va-
lori cristiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio”
(2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009), “Vox clamantis... Come può morire una democra-
zia” (2014).
TRA LE RIVISTE
IL CENTRO STORICO - Il passato per il nostro
futuro, Foglio informativo per i soci dell’ Associa-
zione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testa-
grossa, direttore responsabile Massimiliano Can-
nata - via Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME), E-mail: [email protected] Riceviamo il n. 7-8
(luglio-agosto 2015), con servizi di: Massimiliano
Cannata (Generazione “y” coraggio il futuro è vo-stro”), Zigmunt Bauman (“Del pensare breve”),
Rosangela Coci, Francesco Cannatella, Salvato-
POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2015 Pag. 48
re Pettineo, Vittorio Alfieri, Maria Nivea Zaga-
rella, Francesca Scarcina, Franca Sinagra Bri-
sca, Francesco Ribaudo, Pietro Cannata, Lucio
Bartolotta eccetera.
*
IL SAGGIO - Mensile di cultura diretto da Gere-
mia Paraggio, editoriale Giuseppe Barra - via don
Paolo Vocca 13 - 84025 Eboli (SA) e-mail: ilsag-
[email protected] Riceviamo il n. 234 (settem-bre 2015), con servizi di: Giuseppe Barra (“Prigna-
no Cilento: due passi nella sua storia”), Giuseppe
Falanga, Geremia Paraggio, Paolo Saturno CSsR, Giuseppina Crescenzo, Nadia Parlante, Carmelo
Orobello, Antonio Capano eccetera. Allegato, il n.
128/234 de Il Saggio libri, poesia, arte, con centinaia di poesie e di tante valide firme.
*
NUOVO DOMANI SUD - Periodico di informa-zione politica e culturale, direttore Fortunato Aloi,
responsabile Pierfranco Bruni - via Santa Caterina
62 - 89121 Reggio Calabria. Riceviamo i numeri 4 (luglio-agosto 2015) e 5 (settembre-ottobre 2015),
ricchi di articoli, poesie, immagini. Tra le firme, ol-
tre quella di Fortunato Aloi: Orazio Raffaele Di
Landro, Domenico Ficarra, Amalia Michea,
Luigi Franzese, Francesco Cornelio, Giovanni
Praticò, Lino Di Stefano, Giuseppe Pirazzo, Ric-
cardo Carbone, Francesca Messineo, Marino
Monnalisa, Carla Spinella, Carmelo Bagnato, Giuseppe D’Acunto, Franco Mosino eccetera.
Immagine sotto a sinistra: Domenico Defelice: Dal
castagno di Aurora, biro e pennarelli, ottobre 2015
AI COLLABORATORI
Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-
dotti con i più comuni programmi di scrittura e
NON sottoposti ad impaginazione), composti
con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,
attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-
nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-
tella si intende un foglio battuto a macchina da
30 righe per 60 battute per riga, per un totale di
1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-
to è necessario un contributo volontario. Per
quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-
zione. I libri, per recensione, vanno inviati in
duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito
www.issuu.com al link:
http://issuu.com/domenicoww/docs/
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menico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071
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