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1 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Viale Pasubio 5, Milano | www.fondazionefeltrinelli.it Approfondimenti | kit didattico “Europa. La storia fa le rime” Materiale: Scheda PDF PRIMO BLOCCO | I profughi ebrei e la conferenza di Evian 1. La conferenza di Evian Dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, nel 1938 il presidente americano Roosevelt decise di indire una conferenza internazionale con l’obiettivo di discutere del problema dei profughi ebrei che fuggivano (o erano costretti a fuggire) dalla Germania e dall’Austria, dove vigevano le leggi razziali. La Conferenza di Evian prese il nome dal luogo in cui si tenne: un paesino sulle rive francesi del lago di Ginevra. La Svizzera si era rifiutata di ospitarla temendo che questo avrebbe compromesso la sua strategia di rappresentare un paese solo e unicamente di transito per i profughi e non di permanenza. Alla conferenza parteciparono i rappresentanti di 32 paesi: sebbene tutti esprimessero simpatia e solidarietà nei confronti dei profughi ebrei, nessuno di questi paesi decise di aumentare le quote di ingressi predefinite dalle legislazioni interne. Il delegato australiano, colonnello Thomas White dichiarò: “...poiché noi non abbiamo problemi reali razziali, non desideriamo importarne uno tramite l’incoraggiamento di qualsiasi piano di immigrazione straniera su larga scala. Il delegato francese, invece, affermò che la Francia aveva raggiunto il punto estremo di saturazione riguardo all’accoglienza di rifugiati. Un rappresentante del Canada a cui era stato chiesto quanti ebrei avrebbero potuto rifugiarsi in Canada, sembra avesse affermato: “None, is too many” [trad. nessuno è già troppo]. La Conferenza evidenziò come fosse grave il problema dei profughi, e di conseguenza la paura spinse alcuni paesi a rendere più rigide le regole di ammissione e/o limitarono il numero delle persone che potevano entrare. Il Messico, ad esempio, stabilì che potevano entrare solo 100 persone all’anno. La Svizzera e la Svezia chiesero alle autorità tedesche di stampare una J (Jude) sui passaporti degli ebrei per meglio identificarli e respingerli se privi di visto di ingresso per altri paesi. Soltanto la Danimarca, la Repubblica Dominicana e l’Olanda acconsentirono ad accogliere qualche migliaio di profughi. La Conferenza portò alla creazione del Comitato Intergovernativo per i rifugiati(IGC). Il Comitato si riunì tre volte prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e condusse, senza successo e senza grande impegno, negoziati con potenziali paesi d’accoglienza e con la Germania. Nessuno intendeva accogliere le masse di profughi ebrei che volevano lasciare la Germania. I nazisti ebbero così la prova che le nazioni non intendevano schierarsi contro di loro sulla sorte degli

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PRIMO BLOCCO | I profughi ebrei e la conferenza di Evian

1. La conferenza di Evian

Dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, nel 1938 il presidente americano Roosevelt decise di indire una conferenza internazionale con l’obiettivo di discutere del problema dei profughi ebrei che fuggivano (o erano costretti a fuggire) dalla Germania e dall’Austria, dove vigevano le leggi razziali. La Conferenza di Evian prese il nome dal luogo in cui si tenne: un paesino sulle rive francesi del lago di Ginevra. La Svizzera si era rifiutata di ospitarla temendo che questo avrebbe compromesso la sua strategia di rappresentare un paese solo e unicamente di transito per i profughi e non di permanenza. Alla conferenza parteciparono i rappresentanti di 32 paesi: sebbene tutti esprimessero simpatia e solidarietà nei confronti dei profughi ebrei, nessuno di questi paesi decise di aumentare le quote di ingressi predefinite dalle legislazioni interne.

Il delegato australiano, colonnello Thomas White dichiarò: “...poiché noi non abbiamo problemi reali razziali, non desideriamo importarne uno tramite l’incoraggiamento di qualsiasi piano di immigrazione straniera su larga scala. Il delegato francese, invece, affermò che la Francia aveva raggiunto il punto estremo di saturazione riguardo all’accoglienza di rifugiati. Un rappresentante del Canada a cui era stato chiesto quanti ebrei avrebbero potuto rifugiarsi in Canada, sembra avesse affermato: “None, is too many” [trad. nessuno è già troppo]. La Conferenza evidenziò come fosse grave il problema dei profughi, e di conseguenza la paura spinse alcuni paesi a rendere più rigide le regole di ammissione e/o limitarono il numero delle persone che potevano entrare. Il Messico, ad esempio, stabilì che potevano entrare solo 100 persone all’anno. La Svizzera e la Svezia chiesero alle autorità tedesche di stampare una J (Jude) sui passaporti degli ebrei per meglio identificarli e respingerli se privi di visto di ingresso per altri paesi. Soltanto la Danimarca, la Repubblica Dominicana e l’Olanda acconsentirono ad accogliere qualche migliaio di profughi. La Conferenza portò alla creazione del Comitato Intergovernativo per i rifugiati(IGC). Il Comitato si riunì tre volte prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e condusse, senza successo e senza grande impegno, negoziati con potenziali paesi d’accoglienza e con la Germania. Nessuno intendeva accogliere le masse di profughi ebrei che volevano lasciare la Germania. I nazisti ebbero così la prova che le nazioni non intendevano schierarsi contro di loro sulla sorte degli

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ebrei e si sentirono legittimati nella loro politica di oppressione. Le reazioni scatenanti a seguito della conferenza di Evian crearono volontariamente un alibi in primo luogo ai paesi partecipanti e all’IGC; in secondo luogo permisero a molti paesi di rendersi conto della dimensione dell’esodo dei profughi, il che indusse le nazioni a inasprire le loro legislazioni in materia di immigrazione; e in terzo luogo consentirono a chi era al potere nella Germania nazionalsocialista di constatare che, a livello mondiale, mancava la disponibilità a salvare gli ebrei perseguitati in Germania e Austria e più tardi in tutta l’Europa

(tratto da: www.amnesty.it/flex/files/7/f/9/D.094fa14f9e3b4bf3cfe8/Amnesty_Antisemitismo_Guida_ins.pdf)

SECONDO BLOCCO | Lilliana Segre e il destino degli ebrei d’Europa”

1. La storia di Liliana Segre

Testimonianza di Liliana Segre Avevo otto anni al momento delle leggi razziali e mi ricordo come una netta cesura nella mia vita quella fine estate del 1938 quando mio papà cercò di spiegarmi che, poiché ero una bambina ebrea, non avrei più potuto continuare ad andare a scuola. Non posso dire di aver capito allora quello che stava succedendo, però mi sono sempre ricordata, dopo, come mi ero sentita quel giorno che ha diviso la mia vita in un prima e in un dopo. La mia era sempre stata una famiglia laica e io non mi ero mai posta il problema di che cosa volesse dire essere una bambina ebrea. Lo avrei ben capito in seguito, anno dopo anno, giorno dopo giorno, man mano che la persecuzione si è fatta più dura, quando è scoppiata la guerra e i nazisti sono diventati i padroni dell'Italia del Nord. Nel 1943 ero una ragazzina ormai tredicenne, molto consapevole di quello che avveniva intorno a lei. Falliti altri tentativi di sfuggire alla persecuzione, nel corso dei quali dovetti abbandonare la mia casa e dire addio ai miei nonni, poco prima che venissero deportati e uccisi ad Auschwitz, prima che ci arrivassi io, anche per me e per mio papà venne il momento di tentare la fuga in Svizzera. Anche per noi le cose andarono male, non trovammo però, come Goti, dei contrabbandieri che ci vendettero per quattro soldi, ma un ufficiale svizzero, di una piccola stazione di polizia di frontiera del Canton Ticino, che ci riconsegnò alle autorità italiane dopo che eravamo già riusciti a espatriare. Entrai così, a 13 anni, nel carcere femminile di Varese ed ero da sola nell’umiliante trafila della fotografia e delle impronte digitali, da sola a camminare in quei corridoi dietro a una secondina e a chiedermi per quale colpa mi trovassi lì. Io le prigioni le avevo viste solo al cinema, non sapevo come erano fatte, non sapevo che all'ora del tramonto le guardie venivano a picchiare sulle sbarre per controllare che non fossero state segate da me o dalle altre poverette prese come me sul confine! Fu

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così a Varese, fu così a Como, fu così a San Vittore, dove rimasi per 40 giorni. Ma lì ero contenta, perché le famiglie erano state riunite e io ero in cella con il mio papà. Due o tre volte alla settimana gli agenti della GESTAPO portavano via tutti gli uomini del raggio degli ebrei per interrogarli. Io sapevo che erano interrogatori terribili, in cui si torturava e si picchiava, e ci pensavo quando rimanevo sola nella cella aspettando che tornasse mio padre. Aspettavo un'ora, due ore, tre ore; diventavo vecchia leggendo le scritte di quelli che erano passati prima di noi: maledizioni, addii, benedizioni, nomi, "ricordatevi di me". Poi lui tornava: era pallido, la barba lunga, gli occhi segnati, non mi raccontava niente, ci abbracciavamo. Mi svegliavo qualche volta di notte nella branda che era quasi rasoterra, una brandina di ferro, e lo trovavo qualche volta inginocchiato vicino a me che mi chiedeva scusa per avermi messo al mondo. Lui che avrebbe voluto darmi il massimo. Alla fine di gennaio, nell'implacabile appello dei 650 nomi circa compresi nel successivo trasporto, furono pronunciati anche i nostri. Un vecchio cugino di mio padre, che a gran fatica, da Ravenna, aveva raggiunto la Svizzera e da là era stato respinto, a sentire il suo nome si uccise buttandosi giù dall'ultimo piano del raggio. Quel corpo scomposto, grottesco, quel fagotto buttato sul pavimento del carcere, fu il primo morto che vidi nella mia vita. Ci misero in fila e ci caricarono sui camion per portarci alla stazione centrale. Da lì cominciò il nostro viaggio verso il nulla. Un viaggio di gente che era alla vigilia della morte, un viaggio in cui non c'era più niente da dire, un viaggio in cui tutti, dopo aver pianto e i più fortunati pregato, stavano in silenzio. Arrivammo ad Auschwitz in pieno inverno.

Tratto da www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/liliana_segre.htm

2. La St. Louis

Il viaggio della St. Louis

Il 13 maggio del 1939 il transatlatico St. Louis salpava da Amburgo con a bordo 937 profughi, in grandissima parte ebrei tedeschi, in fuga dalle persecuzioni naziste. Settimane dopo, all’arrivo a Cuba, il governo non concesse ai passeggeri della nave il permesso di sbarco né come turisti, né come rifugiati politici, e solo 22 di loro riuscirono a scendere a L’Avana. Sperando di poter raggiungere le coste degli Stati Uniti, la St. Louis venne respinta una seconda volta, e neanche il Canada accettò di soccorrerla. Il capitano del transatlantico, il tedesco Gustav Schröder fece di tutto per proteggere i profughi. Si rifiutò di restituire la nave alla Germania e convinse gli ufficiali statunitensi a collaborare con i governi europei per trovare una soluzione. Così, quando la nave raggiunse Anversa, il 17 giugno 1939, il Regno Unito accettò di accogliere 288 passeggeri, mentre i restanti 619 finirono in Francia

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(224 persone), Belgio (214) e Paesi Bassi (181). Secondo il museo United States holocaust memorial, di questi 619 sopravvissero alla guerra in 365, mentre gli altri persero la vita (molti dopo essere stati deportati ad Auschwitz e a Sobibor). La vicenda della St. Louis è ricordata in diversi monumenti e musei del mondo, e ha ispirato libri e un film (Il viaggio dei dannati di Stuart Rosenberg, 1976). Alla fine della seconda guerra mondiale il comandante Schröder ricevette l’Ordine al merito di Germania. Tratto da: Internazionale, 13 Mag 2014 www.internazionale.it/foto/2014/05/13/il-viaggio-della-st-louis

3. Ebrei tedeschi in fuga dal regime nazista, 1938-1938

La cartina rappresenta le rotte dell’emigrazione degli ebrei in fuga dal regime nazista tra il 1938 e il 1939. A partire da questa immagine è possibile ragionare degli elementi di discontinuità con il presente: gli ebrei in fuga prima della seconda guerra mondiale erano cittadini tedeschi e austriaci a cui era stato tolto lo status di cittadinanza, arrivavano dunque dal cuore dell’Europa. È però possibile ragionare degli aspetti che accomunano i due momenti storici: cosa succede quando vengono meno i diritti o cosa può succedere alle vite delle persone in fuga da persecuzioni quando si nega l’accoglienza.

Inoltre è importante far comprendere che così come negli anni 30 riuscirono a emigrare solo le persone più benestanti, perché il viaggio costava molto, così oggi ad attraversare le coste del mediterraneo o a mettersi in cammino verso l’Europa sono coloro che dispongono di più risorse. La maggior parte delle persone restarono e restano ferme.

Informazioni tratte da: bit.ly/AnneFrankFoundationPeriodoInterBellico

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TERZO BLOCCO | Gli esempi positivi

Kurt Landauer

E' una vicenda dai risvolti tragici e dolorosi, quella di Kurt Landauer, presidente per la prima volta nel 1913 e costretto dallo scoppio della Grande Guerra a lasciare. Riprende la guida dei biancorossi al termine dell'immane conflitto, e con lui il Bayern vince il suo primo titolo, nel 1932 (ne seguiranno altri 21...). Poi, la tragedia nazista. Landauer, ebreo, è obbligato a dimettersi e poi viene arrestato. L'allenatore, Richard Dombi, ebreo anch'egli, si salva trovando rifugio in Olanda.

Landauer finisce a Dachau, viene rilasciato dopo poche settimane, grazie al suo passato di combattente e a sua volta trova rifugio in Svizzera. La sua famiglia viene però quasi interamente sterminata. Dai campi di sterminio, oltre lui, si salvò soltanto un fratello. Nel 1940 il Bayern gioca una partita amichevole a Ginevra, i giocatori riconoscono tra il pubblico il vecchio presidente e gli rendono omaggio. A fine partita la Gestapo li avvisa che simili comportamenti non sarebbero più stati tollerati. Nel 1947, per la terza volta, Landauer è presidente del Bayern e lo sarà per quattro anni.

Tratto da: ricerca.gelocal.it/altoadige/archivio/altoadige/2013/01/20/NZ_47_K.html