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LA VOCE di Limina Organo Semestrale di informazione per soci e simpatizzanti della Societá Operaia Liminese Pubblicazione Semestrale N°7 DICEMBRE 2013 Distribuzione gratuita Editorial -2 POLITICA Per Limina quale futuro? -3 Premio Fedelta’ -4 Esempio di democrazia liminese -5 La Galleria Degli Errori -6 CULTURA Il Singolare Umanista Luca Canali -7 Ricordo di terra e di acqua. Limina per me -8 Filippo Chillemi -9 Una Ristampa di Portel- larosa -10 I Portali di Limina - 11 LE NOSTRE COMUNITÀ Associazione Siciliana di Caracas - 12

Pubblicazione Semestrale N°7 DICEMBRE 2013 Distribuzione … · 2014. 11. 27. · “Gli indignati” a Limina non sono come pensate voi, cioè un gruppetto che vi sta dando fastidio

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Page 1: Pubblicazione Semestrale N°7 DICEMBRE 2013 Distribuzione … · 2014. 11. 27. · “Gli indignati” a Limina non sono come pensate voi, cioè un gruppetto che vi sta dando fastidio

LA VOCE di Limina Organo Semestrale di informazione per soci e simpatizzanti della Societá Operaia Liminese

Pubblicazione Semestrale N°7 DICEMBRE 2013 Distribuzione gratuita

Editorial -2 POLITICAPer Limina quale futuro? -3

Premio Fedelta’ -4

Esempio di democrazialiminese -5

La Galleria Degli Errori -6

CULTURA

Il Singolare UmanistaLuca Canali -7

Ricordo di terra e di acqua. Limina per me -8

Filippo Chillemi -9

Una Ristampa di Portel-larosa -10

I Portali di Limina - 11

LE NOSTRE COMUNITÀ

Associazione Siciliana di Caracas - 12

Page 2: Pubblicazione Semestrale N°7 DICEMBRE 2013 Distribuzione … · 2014. 11. 27. · “Gli indignati” a Limina non sono come pensate voi, cioè un gruppetto che vi sta dando fastidio

ell`editoriale No. 6 di luglio di quest`anno abbiamo toc-cato un tema di una grande sensibilità. Un tema di cui a Limina si parlava sottovoce, ma che ogni giorno au-

menta la sua sonorità, fino a raggiungere toni intensi, fogo-si, espressi da una maggioranza della popolazione liminese arrabbiata ed indignata. È un tema che all`inizio, la gente sopportava in silenzio, ma che oggi si ribella nei confronti di una situazione insostenibile consistente nei voti che provengono dall`Estero e che decidono le sorti politiche del paese.. L`editoriale n.6 non è stato scritto con l`intenzione di screditare, offendere o squalificare qualcuno, ma per de-scrivere un fatto politico che ha cambiato il gioco demo-cratico del paese di Limina. Come si fa a parlare di un tema politico di tanta importanza e di tanta trascendenza, senza parlare dei protagonisti e dei metodi che gli amministratori di Limina hanno utilizzato per restare nel potere per quasi un quarto di secolo? Noi democratici, signori amministratori, al contrario del vostro capo, non abbiamo nemici, abbiamo solo avversari politici, quindi quello che contrastiamo con veemenza sono i metodi che voi, attori politici, utilizzate per restare al potere, e sottomettere la popolazione a una specie di schiavitù elettorale. L`elettorato di Limina, nelle tre ultime elezione municipali, non ha avuto la libertà di sciegliere il miglior candidato, in quanto questo veniva imposto dal voto dell`Estero. Noi critichiamo e portiamo alla luce pubblica la mancanza di visione di governo per lavorare a favore del paese e dei suoi cittadini, critichiamo la sbagliata politica economica e amministrativa che il vostro gruppo politico, con una smisurata ambizione di potere, sta portando alla distruzione politica, demografica, e finan-ziaria della nostra amata Limina Ê vero che esiste una legge che contempla il diritto al voto agl`italiani all`Estero scritti nell`AIRE. Ma il nostro voto dovrebbe es-sere per eleggere i deputati della nostra circoscrizione estera che poi vanno al Parlamento italiano. Noi all`Estero, attraverso i moderni mezzi di comunicazione (RAI TV, giornali italiani on line ecc.), possiamo essere infor-mati degli avvenimenti della politica italiana e quindi farci un criterio capace di sciegliere i partiti e i candidati di nostra preferenza, ma non è per nulla vero per le elezioni munici-pali. Come fa a conoscere i problemi di Limina una persona che ogni tanto va a passare le vacanze nel paese o che da anni non è più ritornata e ritorna ogni 5 anni a votare? Di questo si parlava nell`editoriale n.6. Di come, gli amministra-tori di Limina, si sono approfittati della buona fede dei limi-nesi residenti all`Estero per mantenere il vostro gruppo po-litico al potere in questi ultimi vent`anni. E la reazione è stata violenta; smisurata. Ha portato sul terreno personale i dibat-titi politici, volendo silenziare ed intimidire l`opposizione perchè non ha argomenti di difesa civili e democratici da mostrare ai cittadini. Vuole silenziare il mezzo di comunica-zione di una Società, quella Operaia, fondata nel 1881 che è stata protagonista di grandi lotte democratiche secolari e centro di opposizione a questo vostro gruppo politico che ha governato in questi ultimi vent`anni. Vuole silenziare quelli che scrivano e denunciano le politiche sbagliate, as-surde, insensate, che hanno portato avanti in questo lungo, nefasto e insopportabile periodo. Ma prima di iniziare tali azioni dovrebbero leggersi l`Art. 21 della Costituzione Itali-ana che recita:

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pen-siero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.Poi, se pensate che gli articoli scritti sulla Voce di Limina non descrivono la verità degli argomenti analizzati, avete il diritto di rettifica sancito nell`Art. 8 della legge sulla stampa No. 47 del 1948 e dagli Art. 42-43 della llegge 416 del 1981. Ormai è arrivato il momento di finirla. Lasciate stare in pace la nostra comunità liminese in Venezuela. Una comunità che è stata sempre unita per affetti ed amicizia.. Non continu-ate a coinvolgerla nella politica del paese. “Gli indignati” a Limina non sono come pensate voi, cioè un gruppetto che vi sta dando fastidio. Sono un movimento che ogni giorno sta crescendo e sono disposti a tutto. Durante 23 anni avete pensato che nessuno a Limina era capace di avversare gli estremi delle vostre azioni. Ed avevate ragione. Ma la per-sistente volontà vostra di continuare a beffare la nobiltà dell`opposizione liminese li obbliga giustamente alla difesa per liberare il paese da questa patologia elettorale. Se per questo, dovrebbero cadere vittime innocenti, sarà della vos-tra esclusiva e unica responsabilità. Lo devono sapere i limi-nesi del Venezuela che per ben 23 anni sono stati ingannati nella loro buona fede e si era fatto credere che la loro venuta a Limina per votare voleva dire far bene al nostro paese.Ora mi voglio rivolgere alla nostra comunità liminese in Venezuela. Sapete come si sentono i liminesi residenti a Limina? Esattamente come ci sentiamo noi in questo mo-mento inVenezuela sottomessi a una politica diretta , pia-nificata ed eseguita da una piccola isola dei Caraibi che si

vuole appropiare dei sacrifici dei nostri padri ed ipotecare il futuro dei nostri figli. Ora vi voglio fare una domanda. Se aveste la possibilità di in-tramprendere un` azione per finire con questa situazione l` avreste fatto? Assolutamente si, vero? Lo stesso faranno “gli indignati” a Limina

se questi amministratori non la smettono e continuano a pensare che con il voto estero possono perpetuarsi nel po-tere e continuare con questa miope politica economica che sta portando al paese di Limina al limite della sua resistenza Vent` anni sono stati sufficienti. Una delle eccellenze della democrazia è l` alternabilità del potere e la perfettibilità che questa comporta. Avete avuto nelle mani la possibilità di realizzare il sogno dei liminesi, di vedere il loro paese continuare a crescere. Non l`avete fatto. Ve ne siete andati per la strada sbagliata. Basta, date un passo indietro. Misuratevi con la forza elet-torale che avete a Limina. Fate andare avanti ai giovani che pensano che “si può” “si se puede” “Yes we can” Riposatevi, raggruppatevi, liberatevi da “qui a tutto penso io” e formate un gruppo politico d`opposizione alla nuova amministra-zione capace di dare impulso alle nuove politiche che vanno intraprese per salvare il nostro paese. Il paese avrà bisogno anche di voi quando sarete liberi, liberi del “Io” fiduciosi di “Voi”. Dopo di che sicuramente possiamo lavorare insieme per una Limina possibile perchè nel fondo del cuore di ogni liminese esiste il desiderio di poter vedere il nostro paese av-viarsi verso il cammino di un progreso sostenibile e del ben-essere dei suoi cittadini.Un affettuoso augurio di Buon Natale e Capodanno per tutti i liminesi residenti e non residentiPer una Limina possibile

Eligio Restifo [email protected]

LA VOCE DI LIMINA EDITORIALE

N

Misuratevi con la forza elettorale che

avete a Limina.

Chi si arrabbia per le critiche,riconosce che le aveva ben

meritateTacito

LA VOCE di Limina

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POLITICA

ari concittadine e concittadini, residenti e non, colgo l’occasione

della divulgazione del nuovo numero della Voce di Limina per rivolgere a voi e alle vostre famiglie i migliori auguri di un sereno e felice Natale 2013 e di un prospero 2014 nella speranza che sia anno di pace e serenità per tutti.A Limina il semestre appena trascorso dal punto di vista politico ha riconfermato, ove esistesse dubbio, che il nostro amato paese ormai è sempre più “prigioniero”

nelle mani di un gruppo di potere che quotidianamente opera alla salvaguardia degli interessi di pochi a dispetto dell’interesse generale riguardante tutti i cittadini e tra di loro le singole persone o le intere famiglie bisognose.Non riconoscere questo stato di necessità che attanaglia la nostra comunità pone le basi per uno scollamento definitivo tra i cittadini e le istituzioni che li rappresentano.Gestire la cosa pubblica secondo

l’equivalenza più ho (denaro derivante dalla pesante tassazione dei cittadini) quindi più spendo è scelleratezza politica.Il potere politico in un virtuoso processo democratico va mantenuto attraverso il coinvolgimento dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, sapendone interpretare i sogni, le aspirazioni e soprattutto i bisogni.Limina non ha certamente bisogno di uomini inutili e dannosi né di novelli maramaldo, non ha bisogno di approfittatori rapaci o di servitori di corte. Limina ed i Liminesi hanno solo bisogno di una amministrazione corretta e saggia che permetta nel rispetto delle regole, principi generali che devono valere per tutti, una convivenza sociale pacifica, una tassazione commisurata alla reale, per qualità e quantità, somministrazione dei servizi.Limina ed i Liminesi hanno solo bisogno di una amministrazione che sappia, attraverso la ristrutturazione della macchina comunale, valorizzarne le professionalità in modo da offrire ai cittadini servizi di più alta qualità ad un costo minore.In una politica di auto sostenibilità, in cui i servizi erogati sono direttamente pagati con i soldi dei cittadini, non è più pensabile o auspicabile che si continui con la solita filosofia messa in mostra fino all’altro ieri.Nella politica del futuro, se un futuro vogliamo per il nostro paese, dobbiamo avere ben presente dei principi che siano da cardine dell’azione amministrativa.Taglio delle tasse, delle tariffe e dei canoni che ad oggi vengono riscosse da cittadini ormai esausti.Miglioramento e razionalizzazione del servizio idrico, di raccolta rifiuti, di somministrazione di servizi a domanda individuale.In una parola dobbiamo essere in grado di scommettere sulle persone che hanno scelto di vivere in questo paese; dobbiamo rendere appetibile, a chi non vi abita, l’idea di venirci ad abitare o di ritornare ad abitarci.Chiunque pensa che non ci sia alcuna speranza di salvare questo paese, senza averci prima almeno tentato, è nemico di Limina e dei suoi abitanti

Per Limina quale futuro? Sebastiano Musumeci

C

3LA VOCE di Limina LA VOCE di Limina

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POLITICA

reg.mo Direttore, come Lei ben sa da 40 anni frequento Limina ed auspico che i Liminesi conoscano il mio apprezzamento per il Loro Paese, nei confronti del quale ho

sempre rispettato tradizioni e autonomia.Da turista cronico, non di rado mi sono lasciato coinvolgere in alcune vicende locali manifestando –da puro indipendente- critiche oggettive afferenti scelte politiche motivate da modernità e farcite di promesse (puntualmente inevase), che nella sostanza hanno creato scempi paesaggistici e non solo.Consapevole della reciproca buona fede e rispetto, Le chiedo di consentirmi una critica anche nei Suoi confronti.Leggendo il Suo giornale “La Voce di Limina” ho l’impressione che l’informazione complessiva sia in parte lacunosa, nel senso che il lettore trae il convincimento che la causa del degrado di Limina sia solo dell’Amministrazione politica degli ultimi anni (che anch’io ho criticato). Per contro, sono convinto che tale degrado abbia radici di varie lunghezze –finanche molto lontane- per scelte, omissioni, sprechi e altro; con metodi largamente condivisi dai Paesani e dalle Forze politiche locali (e non solo).Veda Direttore, a differenza di molte città siciliane -quali Nicosia, Noto, Caltagirone, Cefalù, Segesta, Savoca, Taormina, Piazza Armerina, Militello in Val di Catania, ecc.- per molti decenni i Liminesi hanno scientemente violentato la propria storia e cancellato i propri tesori, fondando la propria politica economica principalmente sulle pensioni, il clientelismo, l’abusivismo, il lavoro nero, la disoccupazione redditizia, assistenzialismo cronico, ecc; non di rado rafforzando tali scelte col voto di scambio.Sicchè, anziché copiare dai Paesi nei quali amministratori lungimiranti hanno valutato le risorse dei loro Paesi ed investito sul futuro tutelando le proprie tradizioni, i propri tesori artistici e ambientali, le proprie culture e artigianato; Limina per decenni ha barattato la propria storia con lotte intestine tra partiti, che di fatto non apprezzavano il bagaglio culturale e i valori ereditati –né pensavano al futuro- preoccupati come erano di vincere le elezioni e di prevalere sugli avversari politici.Forze politiche miopi che non hanno saputo dare a Limina uno sviluppo economico adeguato ed in armonia con le proprie risorse, finalizzato a soddisfare un turismo intelligente in grado di apprezzare i prodotti e l’ambiente locale, nel reciproco rispetto.E’ evidente che ciò sarà ancora possibile se si elimineranno i metodi sopra ricordati, se vi sarà collaborazione tra i partiti locali, se vi sarà intesa tra pubblico e privato, se la legge sarà rispettata da tutti, se il patrimonio paesaggistico sarà tutelato e migliorato, se l’assistenzialismo cronico sarà un ricordo, se ……… .Se tutto questo avverrà, Limina non sarà un Paese improduttivo, abbandonato e farcito di ricordi, composto di soli anziani e di badanti stranieri, con tradizioni e dialetti sempre più imbastarditi fino alla loro cancellazione definitiva.

Peraltro, il dato più sconcertante è rappresentato dal fatto che i Liminesi sono consapevoli del lento ed inesorabile declino del Paese; ma ben pochi si oppongono senza neppure ottenere il minimo riconoscimento pubblico.L’Amministrazione milanese incensa ogni anno i cittadini benemeriti con il c.d. “Ambrogino d’oro”. Sappiamo che quasi sempre sono premi di natura politica e/o clientelare; ma per la dimensione di Limina ciò si può evitare istituendo ogni anno una giuria indipendente per l’assegnazione del “Premio Fedeltà” (o altra denominazione più appropriata) al Paesano che si sia distinto per un’opera o un’azione che abbia dato lustro e prestigio al Paese.A mio giudizio tale premio può rappresentare uno fra i tanti possibili incentivi per iniziare il cambiamento di rotta di questo Paese che tanto amiamo e vogliamo migliorare.Nessuno ha la bacchetta magica per sanare i troppi errori

del passato e per cancellare la mentalità fallimentare ed egoistica che ancora persiste in molti Liminesi; nondimeno col Premio Fedeltà si può dare un segnale forte a tutta la collettività elogiando pubblicamente il Paesano che col proprio impegno sociale abbia investito soldi propri per creare lavoro, ovvero abbia dato lustro a Limina con un’azione meritevole di encomio.Non è certo questa la sede per rilevare azioni pregevoli, né porre limiti alle fantasie umane; tuttavia ritengo sia meritevole di attenzione un Liminese che doni il proprio tempo a beneficio del patrimonio comune; ovvero colui che dona al pubblico una sua

proprietà in stato di abbandono; chi fornisce gratuitamente idee e progetti per ripristinare le tradizioni e l’artigianato locale; per migliorare e tutelare il territorio, l’economia agricola locale, la viabilità; per incentivare il turismo; per organizzare e/o istituire associazioni sociali, cooperative di lavoro o altro.In altre parole, un premio finalizzato a stimolare nuove idee e promuovere azioni concrete per un futuro diverso, in cui Limina ritrovi l’orgoglio delle proprie tradizioni per ritornare ad essere il riferimento di tutte le Comunità della Valle d’Agrò. La crisi economica ha riportato l’Italia –specie il Sud- al periodo dell’emigrazione, risvegliando gli Italiani dall’illusione che Il tempo delle vacche grasse e dei soldi caduti dal cielo fosse perpetuo. Anche il periodo delle tessere di partito e dei metodi nepotisti deve rappresentare il passato remoto, perché oggi è necessario far lavorare il cervello e rimboccarsi le maniche per dare un futuro sereno ai propri figli in un clima di piena legalità. Ed ai giovani Liminesi io dico: il Vostro Paese si sta svuotando ed impoverendo; la scelta più errata che potete fare è quella di emigrare, di certo è la più semplice perché impegna meno, ma io sono convinto che l’America è anche qui a Limina ….. dovete solo crederci ed impegnarvi a costruirla. Sotto questo profilo, mi piace pensare che il Premio Fedeltà possa rappresentare un ottimo viatico.

Una sincera stretta di mano.

PREMIO FEDELTA’Luciano Conconi

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4LA VOCE di Limina

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Su disposizione del Sindaco sono stati coperti i manifesti affissi dal movimento Limina ai liminesi che annunciavano una manifestazione

in ricordo dei caduti per la Patria. I manifesti pur se non autorizzati, non offendevano la memoria o la sensibilità di alcuno anzi promuovevano una giornata del ricordo

come già accaduto anche l’anno scorso. Ulteriori considerazioni si lasciano al giudizio dei cittadini liminesi.

Esempio di democrazia liminese

POLITICA 5LA VOCE di Limina LA VOCE di Limina

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POLITICALa Galleria Degli Errori

Casa albergo per anziani Costo 4 miliardi di vecchie lire

La scala d`oro- progetto e costruzione €13.000

Costo dell`opera € 676.000

Area Artigianale 1o Lotto Costo dell`opera € 1.150.000

Acquistati alcuni anni fa per un importodi € 15.000 -Abbandonati

Scala costruita in una proprietà privatacon i soldi del Comune

Centro diurno per anziani da anni abbandonato

Lavori di urbanizzazione per case popolari fuori del paese in terreni coltivabili € 700.000

6LA VOCE di Limina

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CULTURA

a Politica simile a una gigantesca fogna trascorrente putrida sotto cespugli di alloro, e tuttavia la

Politica necessaria come le fogne. Senza la fogna della Politica vi sarebbero risse infinite di miriadi di aberranti schegge sociali, cui invece essa offre prospettive e parole d’ordine spesso false e retoriche ma unificanti”. Un tratto, questa citazione, di una delle opere, Nei pleniluni sereni/Autobiografia immaginaria di Tito Lucrezio Caro, a firma di Luca Canali, nato a Roma nel1925 dove vive. L’opera è stata pubblicata nel febbraio del 1995 da Longanesi. Dopo un lungo impegno politico, Canali si è dedicato con cura costante alla scrittura e all’insegnamento di Letteratura latina nelle Università di Roma e di Pisa, uscendo così, con questa grande scelta, dall’ambito di “una gigantesca fogna”. Indimenticabile, tra le altre sue numerose opere, la traduzione delle Bucoliche, delle Georgiche e dell’Eneide. La traduzione del poema è stata divulgata nel 1989 da Mondadori nella collana “I Meridiani”. Qui, l’estrema fatica di Virgilio Marone, che riteneva non conclusa nel 19 a.C., data della sua morte a Brindisi, al ritorno di un viaggio in Grecia, è partecipata da Canali con una traduzione letterale e nuova nella nostra lingua. La cura è a firma di Ettore Paratore, il docente latinista - secondo la testimonianza dello stesso Canali, suo allievo all’Università -, famoso perché “bocciava a ripetizione. Ma era un genio”.

Non importa sapere oggi quanti insegnanti di materie letterarie ricordino e leggano e facciano leggere dell’umanista Canali le traduzioni di Virgilio, di Lucrezio, di Orazio e, ad esempio, i saggi singolari Vita, sesso, morte nella letteratura latina, Potere e consenso nella Roma di Augusto.

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Il 29 settembre 2013, Antonio Gnoli, giornalista e saggista di spicco, ha firmato per il quotidiano “la Repubblica”, in nome di Canali, un suo contributo, con alcune immagini. Il contributo, dai grossi titoli su due pagine, ci dice di un “grande latinista”, che “racconta memorie, politica, incontri e ossessioni”. Gnoli, dopo una breve premessa, pone a Canali una trentina di domande che con le risposte ricevute intensificano il testo del contributo sul famoso quotidiano. Risposte che suonano come lacerti di prosa espressa da una mente vessata, ma non appannata per l’età che lambisce i novant’anni. Una delle domande di Gnoli all’umanista recita: “Perché dice che quelle malattie ancora non l’hanno abbandonata del tutto?” E, in risposta, l’umanista: “Perché ancora oggi mi sdraio sul letto, chiudo gli occhi, e desidero non risvegliarmi più. E il risveglio è orrendo. Ancora oggi ho l’ossessione che non mi fa uscire da Roma. Sono decenni che non faccio una villeggiatura”. Un’altra domanda, brevissima, recita: “Ѐ sposato?”. E Canali risponde: “Mia moglie è morta da parecchi anni. Fu un errore sposarmi. Non ero adatto. Ha molto sofferto. Mi sono occupato di quell’opera colossale che fu l’impero romano e la sua caduta e non vedevo che la decadenza era in casa”. E di qui, un uomo che esprime viva e toccante la sua carenza di marito rapito dal gorgo del passato remoto con i suoi bagliori ed i suoi bui; di qui, l’emersione del dolore, forse tanto covato e, come tale, più incisivo, per la memoria della moglie morta “da parecchi anni”, che “ha molto sofferto”.

Un contributo, il testo di Gnoli per chi ancora legge i validi quotidiani e pure un dovuto tributo di onore all’umanista Canali. Ritornando a Nei pleniluni sereni va ricordato che questo è un titolo - nel senso più elevato del termine -, nel quale nulla paia invenzione o irrealtà. Si legge con alcuni tratti del poema

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De rerum natura, che Canali volge nella nostra lingua, un’altra poesia. Non giova, pertanto, ricordare come nel tempo del grande poeta della latinità si sia generata la “congiura del silenzio”. Canali, pure poeta con le sillogi La deriva, Il naufragio, Toccata e fuga, ha costruito con Nei pleniluni sereni l’identità del misterioso Lucrezio. E, per fruire ancora del pensiero scritto di Canali, di seguito una citazione della sua Introduzione redatta per il capolavoro senecano Lettere a Lucilio, volto nel 1974 nella nostra lingua, con testo a fronte, da Giuseppe Monti per l’editore Rizzoli. Canali, pure con la perizia di uno storico, scrive di Seneca: “Malvisto da Caligola, esiliato da Claudio, richiamato da Agrippina, posto al vertice della gerarchia politica, al fianco del giovinetto imperatore Nerone, prima del dissidio con lui e infine dell’ingiunzione di morte ricevuta durante la repressione della congiura di Pisone, egli sperimentò su di sé i rovesci della sorte, riemergendone ogni volta con una ‘macchia’ e con un acquisto, un riconoscimento di fragilità, una richiesta d’indulgenza, un’esasperazione d’amore per la vita, un progressivo aumento della rassegnazione alla morte”. Questo l’umanista Canali oggi, mentre muore l’insegnamento della grande letteratura latina nelle nostre scuole, mentre non si pone, non si porrà, mano e mente a tutta quella custodita da anni in molti titoli o libri. Resta, infine, a pochi, fioriti di tempo, come il nostro umanista, la consolazione di avere inteso la nobiltà della scrittura classica.

IL SINGOLARE UMANISTA LUCA CANALI di Sebastiano Saglimbeni

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7LA VOCE di Limina LA VOCE di Limina

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CULTURA

a Sicilia è una riserva imprevedibile di meravigliosi paesaggi, di visioni sorprendenti di una bellezza autentica e antica che fa desiderare

la libertà di potersi fermare qui per sempre. Nessun viaggiatore che si trovi a passare di qua se ne parte con gli stessi sentimenti di prima e parla della sua vacanza elencando semplicemente le sue tappe. Qui si impara a misurare il tempo in un altro modo, si impara a sentire il tempo individuale: l’anima si distende e impara a riconoscere il ritmo del suo respiro, a vedere il profilo dell’orizzonte che a oriente si allontana verso la Grecia antica e a occidente e a nord si complica nelle morbide curve dei monti, che hanno un colore intenso di terra. Limina è un paese che ho scoperto per una coincidenza fortunata della mia vita, quando ho cominciato a ritornare periodicamente per conoscere della mia terra ciò che non avevo avuto il tempo di vedere quando, ancora giovanissima, me ne ero andata a lavorare al nord. E’ la distanza che ha acuito la mia percezione delle cose, che quando torno mi vengono incontro con il loro antico volto familiare, come fisionomie memorizzate nello spirito: i colori della terra e del cielo, le asperità dei monti e la vastità della pianura del mare, il cangiante profilo dell’Etna onnipresente che saluta esalando fumo nella direzione dei venti, il profumo dell’aria fresca del mattino, il profumo della terra degli orti bagnati da minimi ed eterni rivoli di acqua, la musicale dissonanza del dialetto che in ogni voce trova una sua versione, una sua età, una sua storia. A Limina si impara ad amare il vento che dalla piazza di San Filippo passa trascinando l’attenzione verso le vallate sottostanti; si impara la paziente attesa della sera, quando il ritrovo è in piazza, in strada, per l’ennesima chiacchierata tra pari, quanto tutti ci sentiamo di alzare la voce per illustrare l’ordine dei pensieri in relazione all’ordine dei fatti. A Limina ogni uomo e donna ha una sua storia da raccontare, tutti personaggi cosmici i cui destini si incrociano nella trama della storia mondiale, radicati con la memoria nella loro minuscola e disperatamente povera polis di appartenenza, e contemporaneamente intenzionati e vivere vite cosmopolite a tutte le latitudini del

pianeta: sarti illustri, cuochi sopraffini, musicisti, industriali, operai, insegnanti, funzionari pubblici, tutte le carriere sono state possibili altrove, quando qui nessuna carriera era pensabile. Ma qui si torna a sentire il rumore dei propri passi nelle strade silenziose del mattino; il prete ti aspetta fuori dalla messa per salutarti con una stretta di mano. In pizzeria ti capita di sentire i racconti epici delle fatiche di una volta, di molte vite passate nel dolore che si sono risolte senza lasciare strascichi di pianto. Persino la corriera che porta i pendolari a lavoro è animata come un salotto familiare dove si discute dei figli, della salute, del lavoro senza enfasi e senza cinismo, lasciando aperta

la portiera del bus per alleggerire l’afa. In questo microcosmo la storia aulica ha lasciato i suoi cimeli, i nomi stessi dei quartieri e delle località di campagna ne danno testimonianza. Alla giudecca, in una piazza arredata per l’occasione, una sera che c’era la luna e le stelle, che l’aria era morbida come una carezza, il rito della condivisione del cibo, offerto e preparato da solerti ospiti, sedendo e chiacchierando con sconosciuti le cui storie e i cui volti sembrano appartenere ad antichi miti, si è concluso con la nenia antica dei “cantaturi”. L’insistenza ha vinto la

ritrosia di una donna dal volto timido e sfilato che ha ritrovato le parole e ha cantato. Quelle cantate ripetono come una ossessione antica le contorsioni monotonali della voce, in perfetto sincronismo con la fisarmonica. Narrano vicende d’amore, di emigrazione, di povertà, di lavoro, tutti temi che sono il background culturale della gente di una volta, della mia terra. Viene in mente, ricordate, Amarcord di Fellini e la fisarmonica di quell’allampanato musicista che ripete sempre lo stesso motivo, seduto sblilenco mentre sulla spiaggia sta per abbattersi un temporale. A Limina gli amici si scelgono per camminare insieme in mezzo alle campagne profumate dal finocchio selvatico. Quando, una curva dopo l’altra, si scende verso il mare costeggiando il greto di una immensa fiumara, sembra di lasciarsi alle spalle anche loro, gli amici, e se ne sente la mancanza, come si sente da subito la mancanza dell’oasi di pace che è Limina.

Ricordo di terra e di acqua. Limina per me. AGATA SALAMONE

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8LA VOCE di Limina

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CULTURA

l prof. Mario Bolognari nella sua Prefazione al libro “Filippo Chillemi, Difensore degli oppressi”

(Editorial Melvin, Caracas, Venezuela), scritto da una professoressa non liminese ma siciliana di origine, Agatina Salamone, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo “Sarpi” di Bergamo, definisce Chillemi “intellettuale locale capace di dare voce alle istanze di quella parte del popolo dei < nullatenenti >, ergendosi a loro < difensore >”. L’autrice, prima ancora di soffermarsi ed entrare nel personaggio Chillemi, si concede ad un lungo excursus storico traendo spunto da una “Memoria” di Filippo Chillemi che rivendicava il diritto del proletariato a non essere “espropriato” degli “usi civici”, cioè di quel minimo di sostentamento che riuscivano a ricavare nelle campagne.Prendono così corpo gli antefatti della “questione contadina”, il feudalesimo e le lunghe e “legali” battaglie sugli usi civici che, a Limina, vedevano da un lato una amministrazione comunale composta in maggioranza “dagli usurpatori, famiglie che volevano urgentemente procedere alla censuazione del demanio in modo che loro e i loro amici potessero diventare impunemente i proprietari delle terre migliori” (un pò “Fontamara” di Silone e un pò “Conversazione in Sicilia di Vittorini) e dall’altro la resistenza per impedire che i “ladri delle trazzere”, come gli stessi padroni venivano chiamati a Forza d’Agrò nello stesso periodo (inizi ‘900), allargassero ancora di più le loro proprietà. Filippo Chillemi nella sua “Memoria”, per dimostrare gli interessi strettamente familiari, non nasconde i nomi degli amministratori che presero parte alla seduta consiliare del 25 aprile 1888 nella quale venne deliberata la censuazione: “il sindaco Vincenzo Leo con i fratelli Giuseppe, Filippo, Pietro, usurpatori dei terreni comunali per quasi 93 ettari, in realtà circa 350 ettari; Giuseppe e Sebastiano Salimbeni, cugini dei consiglieri anzidetti per quasi 14 ettari, ma che detengono una quantità maggiore; Giuseppe Chillemi, cugino dei Leo e cognato dei Salimbeni per poco meno di sei ettari; Dott. Giovanni Scaldara per circa 50 ettari”. Ne viene fuori, come sottolinea il prof. Bolognari nella “Prefazione” una vicenda che “non si limita a narrare i fatti della storia di Limina, ma diventa emblema di una più ampia storia dell’Italia degli inizi del suo periodo unitario”.

E’ nel movimento dei Fasci siciliani (1891-1894) che si apre una speranza di riscatto per le classi più derelitte: proletariato urbano, braccianti agricoli, delusi principalmente dalla mancanza dei benefici promessi con l’Unità d’Italia, intraprendono le lotte contro la proprietà terriera e, quindi, anche contro lo Stato che appoggiava la classe benestante. In questo contesto si sviluppa l’azione del prof. Chillemi in difesa dei suoi concittadini, in gran parte analfabeti, e duramente maltrattati.Nel libro “Filippo Chillemi” è riportata, a comprova delle ragioni di Chillemi e delle sofferenze degli strati più diseredati, una lunga nota tratta dal capolavoro di Sebastiano Saglimbeni, scrittore originario di Limina residente a Verona, “I Domineddio”, titolo ricavato non a caso e pubblicato nel 1967. Filippo Chillemi (Limina 1851 – 1946), come ci rivela in altra nota una sua pro nipote, Deida Garigale, era figlio di un barbiere e si laureò in Matematica e Fisica grazie all’aiuto di un maestro che aveva creduto in lui. Insegnò in Piemonte nei primi anni del ‘900, poi rientrò nel suo paese e iniziò la battaglia contro la classe padronale. Socialista, fu eletto sindaco di Limina nel 1914 e riconfermato anche nel 1925. Appena eletto scrisse la lunga “Memoria” che inviò alla Magistratura ed al re per sostenere i giusti diritti dei contadini. La “Memoria” di Filippo Chillemi è interamente riportata nel testo in appendice.

FILIPPO CHILLEMI Carmelo Duro

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CULTURA

uando nel 1967, Sebastiano Saglimbeni pubblicò sul periodico “Mondo Nuovissimo” i racconti dal titolo Portellarossa era ancora assai viva la lezione

antirondista del suo corregionale Elio Vittorini, riferibile all’allure, insieme picaresca e tragica, di Conversazione in Sicilia. Di recente, l’editrice Melvin di Caracas ce ne propone una ristampa, con nuovi racconti aggiunti, tradotta in inglese da Sebastiano Calabrò e in spagnolo da Eligio Restifo.Protagonisti, il padre, Sonnino, la madre del narratore e la Sicilia. Nei nuovi racconti aggiunti, protagonisti alcuni Caffè storici d’ Italia e gente di varia estrazione sociale e culturale. Sonnino è un grande invalido della Prima Guerra Mondiale, privo di gambe: oggetto d’invidia, all’interno di quella società povera per la quale un vitalizio, barattato con una menomazione, appare come un segno, quasi, di privilegio divino che genera invidia e scherno crudele nel volgo. Il padre Sonnino, buono e amorevole, che alza la voce e, talora, il bastone non già per offendere e colpire, ma per rimarcare, attraverso un rituale innocuo e scherzoso, il rispetto familiare nei confronti di responsabilità anticamente afferenti alla figura maschile. Simbolo e incarnazione di antiche virtù: sobrietà, schiettezza, dedizione, fedeltà, impegno, sacrificio. La madre, saggia e provvidenziale, che vede (e prevede), spesso, quel che il marito forse vede anche lui, lotta perché suo figlio non resti analfabeta e studi sino all’Università. Conseguentemente, non da avarizia o sfiducia nascono le perplessità paterne, bensì dal dubbio che il gravame economico conseguente non abbia a defraudare altre persone della famiglia (quelle sorelle che, senza il possesso di una casa, potrebbero non trovare marito). La madre, che, alla fine, la spunta, come d’uso in molte famiglie meridionali, su una fittizia

superiorità maritale. Superstiziosa e incolta quanto basta, ma dotata d’intelligenza allo stato puro, di quella sagacia e di quel buon senso che non fanno difetto a molte donne del Sud, addirittura virile nei ruvidi consigli dati al figlio affinché egli sappia salvaguardare la propria dignità di fanciullo tra i fanciulli e difendere se stesso e le sorelle dalle maldicenze degli “scalzacani”. Insieme leonessa e donna, che ama e difende, con accanita convinzione, il suo uomo e la sua famiglia.Il figlio. Biondissimo (aveva preso dalla madre) ed esile, eppur energico e pieno di vita, come lo sono i monelli del Sud; attore di scorribande e infantili ribalderie, eppure riflessivo, razionale perfino, nel vendicarsi del suo (oggi si direbbe, ma la piaga è antica, specie nei paesi). Infallibile lanciatore di sassi, motivato a sottrarsi, attraverso lo studio, a un destino d’irredimibile fissità ambientale e culturale.Sullo sfondo rustico di Portellarossa e Mandrazzi: favole d’altri tempi; il lavoro nei campi, faticoso per uomini e bestie; la presenza, in sottofondo, del fascismo; gli emigrati alla Merica, che tornano al paese; gli incanti e i rigogli di una natura non contaminata dal progresso; le canzoni del dopoguerra; la povertà dignitosa; l’apparire fascinoso al paese di Carmelo, già capraio fanciullo ed emigrato oltre oceano, di una pacchiana eleganza. Quindi, nei racconti aggiunti, l’evocazione, felliniana, di un vitellone, Carmelo Settembre - detto, in morte, “il Principe” - circonfuso dall’aura fascinosa dell’assiduo frequentatore di casini aristocratici, distrutto dagli eccessi e, per questo, compianto a Messina. Non v’è, nel libro, traccia di bozzettismo. Prevale, invece, nei racconti nuovi aggiunti, un’austerità acconcia alla Bildung del narratore, il cui itinerario si conclude, a Verona, città nella quale egli, stimato professore di lettere, ha insegnato a lungo, mentre si aspetta, malinconicamente, una pioggia da fine dell’estate e si riflette, con una mestizia solo un poco attenuata da un’ironia amara circa i poteri salvifici del Papa, in visita alla città, sui tempi difficili che attendono i nostri giovani.Ed infine, ci sono perle stilistiche che vale la pena di riportare: “terra gibbosa”, “espropriavo nespole tardive”, l’energica madre fattasi “pugno di nervi”, acini d’uva “grossi come occhi di bambini”, “batteva… forte il sole sugli angoli dei nostri sogni, sui nostri giocattoli di pietra, sui peri invernali…”, “assiduo calpestio di asini e muli”, la pubertà che fa “entrare nella malizia”, “un ombelico di terra”, una “terra avara e pietrosa, scomunicata e bruciata”, “l’asina beveva l’acqua a singhiozzi”, “mi riverso dentro un tempo morto e sotterrato”, “servilismo redditizio”, “bianche, rossastre le ciliege”, “… con stipendi magri e quasi tormentati, per avere un vestito, un cappotto, da carte bollate in scadenza. Perché in città, come ti vedevano, ti trattavano”, la “nostra collina diversa”.

UNA RISTAMPA DI PORTELLAROSSA di Michele A. Nigro

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I PORTALI DI LIMINAANGELO SALIMBENE

el 1990 in occasione del premio di poesia dialettale Bizzeffi curato dall’amico e collega Giuseppe

Cavarra ho allestito come manifestazione collaterale una mostra fotografica sui “ Portali di Limina”. Erano esposti 25 ingrandimenti in bianco e nero e a colori, che oggi assumono grande importanza: sono l’unico documento che testimonia la laboriosità e le doti artistiche degli scalpellini di Limina. Testimonianze d’arte, passione, creatività della gente del nostro paese sono state cancellate per sempre. Che fine hanno fatto il portale risalente al 1744 sito in via S. Domenica e l’antica finestra della chiesa di Santa Caterina in via Nino Bixio datata 1612 ed ora ricoperta di cemento ? Gli angoli di Limina caratteristici nella loro semplicità e le pietre centenarie testimonianza di un passato glorioso si può dire che non esistono più. La pietra arenaria duttile veniva estratta dalla cava sita in contrada “ficari niuri” e il manufatto realizzato in loco veniva trasportato in paese tramite asini, muli,a spalla e dalle donne sulla testa. Dove sono finiti i mascheroni, le chiavi di volta, le conchiglie, i balconcini a mezza luna settecenteschi e le mensole( cagnoli) che sostenevano i balconi ? Dove sono finite le pietre usate per costruire decine e decine di palmenti antichissimi e di pregevole fattura? Si sta perdendo o già si è perso un patrimonio insostituibile

della nostra storia e della nostra cultura che rivive invece in ogni fotografia esistente unico documento e testimonianza. Tutti i nostri manufatti in pietra non erano solo forme da ammirare e inghiottite con gli occhi; ma bisogna legarli all’anima di un uomo, quello che li ha costruiti che li maneggiati, oppure quello che li ha conservati nel tempo inconsapevole custode di reliquie. Sarebbe stato quanto mai lodevole e opportuno che i nostri emigranti sparsi nelle varie parti del mondo ma soprattutto i loro figli nati lontano potessero vedere e ammirare il paese dei loro padri allo stato autentico e primitivo. Altrove le testimonianze antiche vengono tutelate e protette. A Limina chiunque ha potuto ristrutturare e costruire le case a proprio piacimento e senza regole. La mostra del 1990 era un invito ad apprezzare e conservare l’arte autoctona, la maestria dei nostri scalpellini l’armonia delle loro creazioni di pietra.

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ASSOCIAZIONE SICILIANA DI CARACASEligio Restifo

abato 23 novembre nel salone Italia del Centro Italiano Venezolano si è svolto un evento culturale organizzato dall`Associazione Siciliana

di Caracas al fine di raccogliere fondi destinati ai siciliani bisognosi che non hanno avuto, terminato il loro rapporto lavorativo, un trattamento economico con il quale poter vivere dignitosamente in un Paese con una struttura sociale sanitaria scadente.L`evento organizzato dal vicepresidente dell`Associazione, Piero Lo Monaco, un parlemitano dotato di una stupenda voce, assieme a molti suoi amici cantanti, e come invitato speciale al tenore Victor Lòpez hanno deliziato un numeroso publico. Ha dato inizio l`evento, l`Orchestra Sinfonica di Vargas diretta dal maestro Domenico Lombardi, italo-venezolano.La sceneggiatura, con lo sfondo di un`immagine gigante del Teatro greco di Taormina, i costumi tipici sicialiani utilizzati e la caraterizzazione delle canzoni eseguite, hanno entusiasmato gli spettatori che hanno ricambiato con sentissime ovazioni. L`Associazione Siciliana di Caracas, diretta per moltissimi anni dalla nostra caraRosita Bel Giovane, e attualmente presieduta dal liminese Filippo Saglimbeni, sucessore del sottoscritto per due cariche consecutivi. Con continuità dei principii di solidarietà verso i corregionali bisognosi, la nostra Associazione, sino ad oggi, ha potuto aiutare 50 siciliani con consegne mensili di medicine che non avrebbero potuto acquistare, date le loro condizionidi economiche assai precarie e, conseguentemente, non si sarebbero potuti curare. Tutti gli anni, da quando si è fondata l`Associazione, si sono organizzati

degli eventi per raccogliere fondi necessari e per far fronte alle necessità di questi bisognosi. Non solo si sono organizzati eventi musicali, ma anche manifestazioni culturali come presentazioni di libri. Abbiamo presentato il libro del professore Michele Castelli La maravigliosa vita di Corrado Galzio, un grande musicista siciliano premiato dal più alto grado del governo venezuelano, non solo per il suo straordinario percorso artistico, ma per la sua azione educativa estesa a tutto percorrendo il territorio il Paese venezuelano. Il maestro Corrado Galzio ha fondato nella sua città di provenienza, Noto, il Festival Internazionale di musica. A questo Festival ha invitato tutti gli anni artisti di fama internazionale; tra questi, il

nostro caro Direttore d`Orchestra, Rodolfo Saglimbeni Un`altro libro, Il lungo viaggio, è stato presentato dalla nostra Associazione. Il libro racconta la vita reale di un intraprendente e tenace siciliano, che dalla sua città Siracusa, in qualità marinaio dell` Armata italiana, arriva in Cina occupata

dai giapponesi. Qui, destino volle, conosce una bella giovane, un`avvocatessa giapponesa, figlia del generale Nakayama comandante dell`esercito giapponese di occupazione. Durante i loro incontri cortesi s`innamorano e in poco tempo, contro la volontà del generale, che non vedeva di buon occhio un siciliano come genero, si sposano. Formano un`invidiabile famiglia e creano una solida posizione economica fino all`arrivo di Mao Tse-tung. I coniugi sono costretti ad abbandonare la Cina. Dopo non poche avventure arrivano in Venezuela e si stabiliscono nella città di Barquisimeto

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