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Publius Per un’Alternativa Europea Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 19 - Ottobre/Novembre 2014 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani Le regioni che circondano l’Europa stanno sprofon dando nel caos e le popo lazioni sono sottoposte ad una sofferenza indicibile. I teatri di guerra intorno a noi continuano a moltipli carsi: guerra civile in Li bia, instabilità nella peni sola del Sinai e in tutta l’area del Medio oriente, terza guerra di Gaza, guer ra civile in Siria e ascesa dell’ISIS, nuova guerra in Iraq, e da ultimo la guerra “ibrida” in Ucraina. Di fronte a tanta violenza l’Europa è impotente. Non perché manchi la volontà dei nostri governi, ma perché manca il potere in grado di intervenire e di reggere lo sforzo enor me necessario per riporta re la stabilità nelle aree dilaniate dai conJlitti. Basti pensare che la politi ca estera europea, così come è strutturata secon do il Trattato di Lisbona, è una pura illusione: Mister PESC, o Alto rappresen tante per la politica estera europea, è solo una voce senza una mente e senza un corpo. Un aneddoto descrive meglio la situa zione: quando Putin si ri volge telefonicamente agli Stati Uniti chiama alla Ca sa Bianca il presidente Obama, invece quando si rivolge all’Europa il suo interlocutore è la Cancel liera Merkel, ossia la per sona che rappresenta il più forte e autorevole go verno nazionale. E se la politica estera tace (perché inesistente), l’as senza di politiche dell’im migrazione, umanitarie e di accoglienza, è ancor più deplorevole. Con migliaia di persone bisognose d’aiuto, l’Unione europea non ha gli strumenti per intervenire perché anche in questo campo ciascun paese membro agisce di propria iniziativa, lascian do così gli Stati ai conJini dell’Europa a sopportare la maggior parte del peso di questa marea umana in cerca di speranza. Insom ma, si continua solamente a subire la catastrofe che >> pag.2 Chi fermerà il massacro? pag.1 Editoriale Publius pag.2 La questione dell’immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto Paolo Filippi pag.4 Il No all’indipendenza scozzese: l’inizio di una rivoluzione britannica? Francesco Violi pag.6 Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia Giovanni Salpietro pag.8 Le fatiche del gigante americano Romina Savioni Indice

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- Editoriale, Publius - La questione dell'immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto, Paolo Filippi - Il No all'indipendenza scozzese: l'inizio di una rivoluzione britannica?, Francesco Violi - Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia, Giovanni Salpietro - Le fatiche del gigante americano, Romina Savioni

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PubliusPer un’Alternativa Europea

Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 19 - Ottobre/Novembre 2014

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

Le   regioni   che   circondano  l’Europa   stanno   sprofon-­‐dando  nel   caos  e   le   popo-­‐lazioni   sono  sottoposte  ad  una   sofferenza  indicibile.   I  teatri   di   guerra   intorno   a  noi   continuano   a   moltipli-­‐carsi:   guerra   civile   in   Li-­‐bia,   instabilità   nella   peni-­‐sola   del   Sinai   e   in   tutta  l’area   del   Medio   oriente,  terza  guerra  di  Gaza,  guer-­‐ra   civile   in   Siria   e   ascesa  dell’ISIS,   nuova   guerra   in  Iraq,  e   da  ultimo  la  guerra  “ibrida”  in  Ucraina.  Di   fronte   a   tanta   violenza  l’Europa   è   impotente.  Non  perché   manchi   la   volontà  dei   nostri   governi,   ma  perché   manca   il   potere  in  grado  di   intervenire   e  di   reggere   lo   sforzo   enor-­‐

me  necessario  per  riporta-­‐re   la   stabilità   nelle   aree  dilaniate  dai  conJlitti.Basti  pensare  che  la  politi-­‐ca   estera   europea,   così  come   è   strutturata   secon-­‐do  il  Trattato  di  Lisbona,  è  una   pura   illusione:   Mister  PESC,   o   Alto   rappresen-­‐tante  per  la  politica   estera  europea,   è   solo   una   voce  senza   una   mente   e   senza  un   corpo.   Un   aneddoto  descrive   meglio   la   situa-­‐zione:   quando   Putin   si   ri-­‐volge   telefonicamente   agli  Stati   Uniti   chiama   alla   Ca-­‐sa   Bianca   il   presidente  Obama,   invece   quando   si  rivolge   all’Europa   il   suo  interlocutore   è   la   Cancel-­‐liera   Merkel,   ossia   la   per-­‐sona   che   rappresenta   il  

più   forte   e   autorevole   go-­‐verno  nazionale.  E   se   la  politica   estera   tace  (perché   inesistente),   l’as-­‐senza   di   politiche   dell’im-­‐migrazione,   umanitarie   e  di  accoglienza,  è   ancor  più  deplorevole.   Con   migliaia  di   persone   bisognose  d’aiuto,   l’Unione   europea  non   ha   gli   strumenti   per  intervenire   perché   anche  in   questo   campo   ciascun  paese   membro   agisce   di  propria   iniziativa,   lascian-­‐do   così   gli   Stati   ai   conJini  dell’Europa   a   sopportare  la   maggior  parte   del   peso  di  questa  marea   umana   in  cerca   di   speranza.   Insom-­‐ma,   si   continua   solamente  a   subire   la   catastrofe   che  

>>  pag.2

Chi fermerà il massacro?

pag.1  Editoriale Publius

pag.2  La  questione  dell’immigrazione:  Europa  ed  euroscettici  a  confronto

Paolo Filippi

pag.4  Il  No  all’indipendenza  scozzese:  l’inizio  di  una  rivoluzione  britannica?

Francesco Violi

pag.6 Le  conseguenze  della  crisi  ucraina  sulle  strategie  economiche  della  Russia

Giovanni Salpietro

pag.8 Le  fatiche  del  gigante  americano

Romina Savioni

Indice

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Nonostante   i   risultati   delle   ultime  elezioni   europee   abbiano   dato   la  maggioranza   dei   seggi   alle   forze   eu-­‐ropeiste,   abbiamo   assistito   in   molti  Stati   ad   un   incremento   dei   consensi  dei   partiti  euroscettici  e   nazionalisti.  Nel   Parlamento   europeo   detengono  circa   il   30%  dei   seggi,   anche   se   non  sono  da   considerare   come   un   corpo  unico  poiché  tra  un  partito  e  l'altro  ci  sono  delle  divergenze.   Un   tema  mol-­‐to   importante   sembra   però   accomu-­‐narli:  l'immigrazione.  Noi   italiani   siamo  abituati   a   pensare  al   problema   dell’immigrazione   come  ad   un  problema  solo  dei  paesi  medi-­‐terranei.   In   realtà   la   maggior   parte  delle  ondate  migratorie  che  giungono  in  Europa  provengono  dall’Est  Euro-­‐pa   (i   paesi   con  più   richieste   di  asilo   sono   Ger-­‐mania  e   Svezia)  e  coinvolge   tutti   i  paesi  europei.  L a   c amp a g n a  elettorale   di   que-­‐sti   partiti   è   stata  condotta   calcan-­‐do  molto  la  mano  su   come   l'Unione  europea   gestisce  il   problema   del-­‐l ' immigrazione  clandestina   e   in  particolare   sui  pericoli   che   que-­‐s to   f enomeno  

comporta.   Esiste,   secondo   loro,   un  rischio  per  la   sicurezza   pubblica,  do-­‐vuto   all'aumento   della   criminalità  causata   sia   dagli   immi-­‐grati   stessi   (rapine,   omi-­‐cidi,   violenze   sessuali,  terrorismo),   sia   dalle   or-­‐ganizzazioni   malavitose  che   sfruttano   i   clandesti-­‐ni  che,  non  essendo  rego-­‐lari,   non  possono  entrare  nel   mondo   del   lavoro   e  quindi   Jiniscono   nella  rete   di   queste   organizza-­‐zioni   (spaccio,   prostituzione,   ecc).   I  partiti   euroscettici   più   nazionalisti  vedono   nella   Jigura   dell'immigrato  un   invasore   che  mina   la   stabilità   et-­‐nica  e  culturale  del  paese   in  cui   emi-­‐

gra,   creando  un  pericolo  per  l'identi-­‐tà  nazionale.  Esiste  poi  un  pericolo  di  natura   socio-­‐economica   legato   alla  

crisi   che   stiamo  attraver-­‐sando:   nella   visione   di  questi   partiti   l'immigrato  ruba   il   lavoro   ai   cittadini  e   troppe   volte   beneJicia  delle   misure   di   welfare  adottate   dallo   Stato   nei  suoi  confronti.  Il  cittadino  ha   la   sensazione   che   i  soldi  spesi  per  il  recupero  e   il   soccorso   degli   immi-­‐

grati  siano  soldi  spesi  male  poiché  si  incoraggia   l'immigrazione   e   si   va   ad  aumentare   la   disponibilità   di   mano-­‐dopera  a    basso  costo.L'incremento   del   consenso   raccolto  

da   queste   tesi   è  legato   all'aggra-­‐varsi   della   crisi  economica.   I   cit-­‐tadini,   impauriti  dalle   condizioni  precarie   in   cui  vivono,   sfogano  la   propria   rabbia  i n d i v i d u a ndo  nello   straniero,   e  quindi   in   ciò  che  non   conoscono,  la   causa   di   tutti   i  l o r o   ma l i .   E '  chiaro   come   la  diminuzione   dei  posti   di   lavoro  sia   dovuta   sem-­‐

La questione dell’immigrazione: Europa ed euroscettici a confronto

avviene  alle  periferie  d’Europa  senza  possibilità  d’intervento.Intanto   l’economia   europea   sta   ine-­‐sorabilmente   scivolando   da   crescita  anemica   a   stagnazione,   con  il   rischio  della   deJlazione   e   delle   sue   conse-­‐guenze   anche   a   livello  globale:   e   ciò  perché  nessun  paese   europeo,   anche  il   più   forte   come   la   Germania,   ha   la  forza  sufJiciente  per  affrontare   le  sJi-­‐de  del  XXI  secolo,  sia   in  politica  este-­‐ra,  sia  a  livello  sociale  ed  economico.  Tutti  questi  problemi  possono  essere  risolti   solamente   creando   un   nuovo  

potere   in   Europa:   un   potere   genui-­‐namente   sovranazionale,   a   partire  dal   potere   Jiscale   a   livello   dei   paesi  euro,   per   creare   subito   un   bilancio  federale   dell’eurozona.   Questa   è   la  base   indispensabile   per   Jinanziare  piani   di   sviluppo   e   dell’occupazione  nei   settori   strategici,   per   Jinanziare  in  futuro  una  difesa   comune  europea  al   posto   di   tanti   eserciti   nazionali,   e  quindi  per  tornare  ad  avere  un   ruolo  in  politica  estera.Ma   per  realizzare  questo  obiettivo  è  necessario   costruire   la   Jiducia   tra   i  paesi   europei   che   si   è   andata   per-­‐

dendo  nel  tempo.  E  proprio  in  questo  delicato   punto  che   l’Italia  può  (e   de-­‐ve)   essere   determinante.   In   primo  luogo   perché   è   la   seconda   economia  manifatturiera   dell’area   euro.   In   se-­‐condo   luogo   perché   proprio   la   crisi  del   nostro  paese   (e   il  nostro  enorme  debito)   sono  un  buco   nero  per   il  re-­‐sto  dell’eurozona.  Per  questo  motivo  l’attuale   governo   deve   attuare   serie  riforme   strutturali  interne  con  il  pre-­‐ciso   scopo   di   ricreare   quel   clima   di  Jiducia   e   di   chiedere   di   fare   l’Europa  insieme.

Publius                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

da  pag.  1

I pericoli descritti dai partiti euro-

scettici e nazionali-sti sono legati ad un ottica ancora incentrata sullo

stato nazionale e la sua sicurezza

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plicemente   alla   situazione   di   crisi  mentre   la   criminalità   è   purtroppo  sempre   esistita,   soprattutto   dove   ci  sono  situazioni   di   disagio  sociale   (in  cui   rientrano   anche   gli   immigrati);  mentre   le  stesse  misure  adottate   per  cercare   di   arginare   il   fenomeno,   co-­‐me   il   reato  di   clandestinità,   ottengo-­‐no   spesso   l’effetto   contrario,   obbli-­‐gando  l’immigrato  a  evitare   di  cerca-­‐re  un  lavoro  in  regola  per  non  essere  scoperto.Il  punto,   però,   che   è   importante   evi-­‐denziare,   nel   cercare   di   capire   la  questione   dell’immigrazione,   è   che   i  pericoli   paventati   dai   partiti   euro-­‐scettici   e   nazionalisti   sono   legati   ad  un’ottica   ancora   incentrata   sullo  sta-­‐to   nazionale,   che   identiJica   la   sicu-­‐rezza   con   la   chiusura   rispetto   al-­‐l’esterno.   Senza   ricordare,   però,   che  nella   storia  il  nazionalismo  esacerba-­‐to  ha  portato  a  conJlitti  anche  di  enti-­‐tà   mondiale.   La   paura   che   gli   immi-­‐grati  possano  distruggere  una   nazio-­‐ne   è   infondata.   Da   sempre   il   mesco-­‐larsi  di  diverse   popolazioni  ha  giova-­‐to  alle  civiltà,  arricchendole  di  nuove  conoscenze  e   favorendo  il  progresso;  mentre   l'atteggiamento   di   chiusura  verso  il  mondo  ha  fatto  nascere  l'odio  tra   le  nazioni  e  la  guerra.  I  partiti  na-­‐zionalisti   propongono   come   soluzio-­‐ne   all'immigrazione   clandestina   il  respingimento  alle  frontiere.  Oltre  ad  essere   una  misura   impraticabile,   da-­‐to   che   per   poterli   respingere   si   do-­‐vrebbe   prima   intercettarli,   e   questo  non   sempre   è   fattibile,   è   anche   una  misura   inapplicabile,   perché   viola   i  diritti   dell'uomo.  Molti   immigrati  ar-­‐rivano   in   Europa   e   chiedono   diritto  di   asilo   perché   nei   loro   paesi  di   ori-­‐gine   sono   perseguitati   a   causa   della  loro  religione,  razza  o  idea  politica;  in  questo   caso   il   paese   a   cui   è   stato  chiesto  asilo  deve  ospitare  la  persona  sul   proprio   territorio   e,   accertatosi  che   l'immigrato   è   in   reale   pericolo,  deve   concedere   lo   status  di  rifugiato  e  quindi  ospitarlo  e  proteggerlo.    L'idea   di   Europa   è   basata   sulla   soli-­‐darietà  e  sulla  multietnicità  oltre   che  sulla   “non   violenza”.   Il   modo   in   cui  l'UE   agisce   deve   sempre   rispettare   i  valori  sui  quali  è   stata   fondata   e  per-­‐ciò  non   può  voltare   le   spalle   a   chi   le  chiede   aiuto  e   ritornare   alle   idee  na-­‐zionaliste.  E'  perciò  ovvio  che   la  stra-­‐tegia   da   portare   avanti   sia   quella   di  accogliere   nel   proprio   territorio   chi  

deve  essere  aiutato.Ma  come  agisce  ad  oggi  l’UE  per  fron-­‐teggiare   le   ondate   sempre   maggiori  di  immigrati?Dato   che   il   problema   dell’immigra-­‐zione   è   di   livello   europeo   sarebbe  auspicabile   che   gli   interventi   siano  guidati   da   una   regia   europea,   ma   in  realtà,   purtroppo,  non  è   così.   Infatti,  nonostante   l’UE   abbia   tentato   più  volte   di   prendersi   carico  della   situa-­‐zione,   la   ricerca   e   il   salvataggio   dei  migranti   sono   ad   oggi   di  competenza   degli   Stati  nazionali.  Questo  è  in  gran  arte   dovuto   al   fatto   che  l’immigrazione   è   da   sem-­‐pre   un   tema   molto   caldo  durante   le  campagne   elet-­‐torali;   i   politici   nazionali  non   vogliono   perdere   il  controllo  di  un  tema  che  spinge  molti  cittadini   a   votare   per   uno   piuttosto  che   un   altro   partito.   Ogni   volta   che  però  avviene  una  strage   nel  Mar  Me-­‐diterraneo,   i   politici   nazionali   incol-­‐pano  l’UE  di  non   fare  nulla  per  aiuta-­‐re  gli  stati  impegnati  nel  fronteggiare  le   ondate   di  migranti.   Queste   accuse  sono   infondate   visto   che   l’Europa   è  stata  esclusa  proprio  dagli  Stati  stessi  nella  gestione  di  tali  interventi.  L’UE   ha   comunque   istituito  nel  mag-­‐gio  del  2005   l’Agenzia  europea  per  la    gestione   della   cooperazione   interna-­‐zionale   alle   frontiere   esterne   degli  Stati  membri  dell’Unione  europea  det-­‐ta  FRONTEX.   Insediata  a  Varsavia,   in  Polonia,   questa  agenzia  ha  il  compito  di   coordinare   il  pattugliamento  delle  frontiere   esterne   (aeree   marittime   e  

terrestri)   degli   stati   dell’UE   e   di   im-­‐plementare   gli   accordi   con   i   paesi  conJinanti  con  l’UE.  Non  potendo  ge-­‐stire   direttamente   l’immigrazione,  l’UE   tramite   questa   agenzia   tenta   al-­‐meno  di   far  cooperare   tra   loro   i  vari  Stati   nazionali.   Un   esempio  è   la   mis-­‐sione   Frontex   Plus:   per   fronteggiare  l’emergenza   nel   tratto   di   mare   tra  Libia,  Tunisia,  Malta  e  Italia,  l’UE,  sot-­‐to   richiesta   dello   Stato   italiano,   ha  deciso  di  avviare  una  nuova  missione  

in   questo   tratto   di   mare,  ma   per   poter   rendere   at-­‐tuabile  questo  progetto  ha  bisogno  di  chiedere   il  con-­‐senso   ai   vari   Stati   nazio-­‐nali.   Quindi   Frontex   non  può   agire   da   sola   ma,   di  volta   in   volta,   le   missioni  che   vuole   attuare   devono  

essere   approvate   da   tutti   gli   Stati  membri.  Un   ulteriore   strumento   messo   in  campo  dall’UE  è  EUROSUR  ovvero  un  sistema   che   mette   in   rete   gli   Stati  membri   dell’area   Schengen  tra  di   lo-­‐ro  e  con  l’agenzia  Frontex,   favorendo  lo   scambio  di   informazioni   e   quindi  la   conoscenza  dettagliata   della  situa-­‐zione   alle   frontiere   esterne.   Ciò   au-­‐menta   la   capacità   di   previsione   dei  Jlussi  migratori  e  la  capacità  di   inter-­‐vento  in  caso  di  necessità.    E’  ovvio  che  tutto  ciò  non  può  bastare  a   risolvere   il   problema  dell’immigra-­‐zione.   Come   già   detto   le   dimensioni  di   questo   problema   sono   di   livello  europeo   mentre   chi   è   chiamato   ad  

L'idea di Europa è basata sulla

solidarietà e sulla multietnicità oltre

che sulla “non violenza”

>>  pag.4

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intervenire   in   prima   linea   sono   gli  Sati   nazionali   che   non   hanno   abba-­‐stanza   strumenti  per  essere   efJicien-­‐ti.   Questa   situazione   crea   quindi   un  malcontento   generale   che   si   traduce  nelle   posizioni   prese   dai   partiti   na-­‐zionalisti  ed  euroscettici.  Finché   l’Europa   rimarrà   una   confe-­‐derazione   di   Stati,   l’immigrazione  non  potrà  mai  essere  gestita  in  modo  efJiciente.  Un  passaggio  invece   ad  un  Europa   federale   garantirebbe   gli  

strumenti   necessari   alla   gestione  del  problema.   Tramite   un   unico  bilancio  europeo   si   troverebbero   fondi   per  costruire   una   rete   di   intercettazione  e   salvataggio   dei   migranti   più   efJi-­‐ciente   dell’odierna   Frontex,   soprat-­‐tutto  nel  Mar  Mediterraneo  dove  av-­‐vengono  più  morti   (essendo  un  viag-­‐gio   via  mare   e   non   via   terra).   I   costi  di  tutte  le  infrastrutture  come  i  centri  di   accoglienza   e   i   mezzi   adoperati  non   peserebbero   più   sulle   casse   di  quegli  Stati  che   per  ragioni   geograJi-­‐

che  sono  i  più  colpiti  ma  sarebbe  una  spesa   equamente   sostenuta  all’inter-­‐no  della   federazione.   Inoltre,   tramite  una   vera   politica   estera   europea   (e  quindi  non  più  con  le  28  deboli  e  im-­‐potenti   politiche   estere   nazionali)   si  potrebbe   iniziare   un   reale   processo  di   stabilizzazione   dei   paesi   dai   quali  provengono   gli   immigrati   in   modo  tale   da   evitare   che   questi   siano   co-­‐stretti  a  scappare.

Paolo  Filippi

L'esito  del  referendum  scozzese,  con  il  quale   il  55,3%  dei  votanti  ha  riJiu-­‐tato   l'indipendenza   della   nazione,  rischia  paradossalmente  di  aprire  un  vero   e   proprio   “Vaso   di   Pandora”  istituzionale,  i  cui  esiti,  ancora  aperti,  contemplano   anche   la   possibilità   di  una   federalizzazione   del   Regno  Uni-­‐to.  La  promessa  di  Cameron  e  di  tut-­‐to   lo   schieramento   unionista   di   una  maggiore   devoluzione   verso   Holy-­‐rood  in  caso  di  vittoria   del  No  è  con-­‐siderata   da   molti   commentatori   e  politologi   come   decisiva   per   l’esito  Jinale   della   consultazone,   sebbene  non   risulti   essere   molto   gradita   al  resto   dei   sudditi   di   Sua   Maestà.   Il  Galles  e   l'Irlanda  del  Nord   comincia-­‐no   a   chiedere   gli   stessi   trattamenti  riservati   alla   Scozia   (oltre   all'upgra-­‐de   delle   loro   assemblee   nazionali   a  parlamento,   come   quello   scozzese)  mentre    i  più  irritati  da  questa  situa-­‐zione   risultano   essere   proprio   i   cit-­‐tadini   dell'Inghilterra.   Alla   stragran-­‐de   maggioranza   dei   cittadini   inglesi  non   piace   l'idea   di   una   semplice  maggiore  devoluzione  per  gli  scozze-­‐si   senza   che   questa   implichi   una   ri-­‐forma  istituzionale  interna.  Il   punto   centrale   è   proprio   la  West  Lothian  Question   (West  Lothian   è  un  collegio  elettorale  scozzese):  l'Inghil-­‐terra   non   ha   un  proprio  parlamento  nazionale,   in   quanto   è   Westminster  che  svolge  quella   funzione,  il  quale  è  al   tempo  stesso   parlamento  di   tutto  il   Regno   Unito.   I   deputati   scozzesi  eletti  ai  Comuni  possono  votare  leggi  

riguardanti   l'Inghilterra,   mentre   i  parlamentari   inglesi   non   possono  votare   sulle   questioni   scozzesi,   dal  momento   che   non   è   prevista,   né   è  prevedibile   una   rappresentanza   in-­‐glese   al   parlamento   di   Edimburgo.  Ciò   risulta   inaccettabile   a   molti   in-­‐glesi,  dal  momento  che  i  MP  scozzesi  possono  votare   su  questioni  che  non  riguardano   i   loro   collegi   elettorali.  Qualora   dovesse   realizzarsi   una  maggiore   devoluzione   verso   la   Sco-­‐zia   in   assenza   di   una   soluzione   alla  West  Lothian   Question,   è   prevedibile  che  gli  screzi   tra  Scozia  e   Inghilterra  siano  destinati  a   crescere,   così   come  

nel  caso   di   una   maggiore   devoluzio-­‐ne  verso  Galles  e   Irlanda  del  Nord.  A  quel   punto   si  avrebbe  un'estensione  del   problema   anche   alle   altre   due  nazioni.La   proposta  meno  rivoluzionaria   sa-­‐rebbe   quella   di   vietare   ai   parlamen-­‐tari  scozzesi  di  votare  sulle  questioni  riguardanti  l'Inghilterra  al  parlamen-­‐to  di  Westminster,   in   cambio  di  una  maggiore  devoluzione.  Lo  stesso  ver-­‐rebbe   imposto   ai   deputati   gallesi   e  nord-­‐irlandesi   nel   momento   in   cui  dovesse   aumentare   la   devoluzione  verso   le   loro   assemblee   nazionali.  Tuttavia,   sebbene   questa   soluzione  

Il No all’indipendenza scozzese: l’inizio di una rivoluzione britannica?

da  pag.  3

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sia   la   “meno   costosa”   in   termini   di  riforme   costituzionali   richieste,   è  tutto   da   stabilire   se   ci   siano  effetti-­‐vamente   i  margini  costituzionali  per  farlo   e   soprattutto  se   ci   sia   una   vo-­‐lontà  politica  effettiva,  dal  momento  che   la   Scozia,   come   il  Galles,   è   da   anni   un  serbatoio  di   voti   per   il  Labour.In   tale   prospettiva,   si  sta   facendo   strada  l'idea   di   creare  un  par-­‐lamento   inglese,   diver-­‐so  e   separato  di  quello  di  Westminster.   Il  Par-­‐liament  of  England  (che  non   sarebbe   da   esclu-­‐dere   che   potrebbe   risiedere   in   una  città   diversa   da  Londra)   avrebbe   lo  stesso  tipo  di  competenze  di  Cardiff  o   di   Edimburgo,   mentre   Westmin-­‐ster  in  quest'ottica  diventerebbe  un  parlamento   sovrano   sulle   questioni  tipiche   di  uno   Stato   federale:   infra-­‐strutture,   Jiscalità   federale,  moneta,  difesa  e  politica  estera.  Tuttavia  una  simile   proposta   rischierebbe   di  creare   diversi   problemi:   primo   tra  tutti   il   fatto  che   il   parlamento   d'In-­‐ghilterra   sarebbe   con   molta   proba-­‐bilità  un  contraltare  di  Westminster  su  una   vasta   gamma  di  aree  d'inter-­‐vento,   dal   momento   che   sarebbe   il  parlamento  di  circa   l'84%  della   po-­‐polazione   dell'intero   Regno   Unito.  Inoltre,   porrebbe   le   basi   per   un   fe-­‐deralismo  enormemente   asimmetri-­‐co,  dal  momento  che  l'Inghilterra  da  sola   avrebbe   di   fatto   un   potere   di  veto   fortissimo.   Sarebbe   una   situa-­‐zione   per  certi   versi  molto   simile  al  secondo   impero   tedesco,   dove   la  Prussia   esercitava   un   pote-­‐re   immensamente   maggio-­‐re   rispetto   agli   altri   Stati   e  esercitava  un  potere  di  veto  schiacciante   all'interno   del  Reich.Un'altra   proposta   prevede  una   forma   di   federalismo  basata   sulla   regionalizza-­‐zione   dell'Inghilterra,   che  anziché  avere  un  unico  par-­‐lamento  inglese  avrebbe  tra  i   sette   e   i   nove   parlamenti  locali.  In  tal  modo,  si  avreb-­‐bero  delle  unità  federali  più  o   meno   tutte   delle   stesse  dimensioni   e   con   compe-­‐

tenze   analoghe   e   simmetriche.   La  Gran  Bretagna  così  divisa  eviterebbe  dei  conJlitti  tra  un  singolo  parlamen-­‐to  nazionale  e  il  parlamento  federale  di   Westminster,   in   quanto   nessuno  di   questi   avrebbe  una  massa   critica  

tale  da  poter  “sJidare”  Westminster   o   porre  veti  insormontabili.  Questa   proposta   di  federalismo   attraver-­‐so   la   regionalizzazio-­‐ne   dell'Inghilterra,  Jino   a   qualche   tempo  fa    non   sembrava  tro-­‐vare   molto   consenso  tra   i   cittadini   inglesi.  Le  regioni  infatti  sono  

sempre  state  delle  entità  più  simbo-­‐liche  che  effettive.  I  tradizionali  “en-­‐ti  locali”  britannici  sono  sempre  sta-­‐te   le   contee   (Counties)   e   le   parroc-­‐chie   (Parishes),   mentre   in   un   perio-­‐do  più  recente  sono  stati  introdotti  i  distretti   (Districts).   Le   regioni   sono  state   introdotte   solo   recentemente,  a  partire  dal  1994,  per  scopi  statisti-­‐ci   e   per  adempiere   ad   alcuni   obbli-­‐ghi   legati   all’appartenenza   alla   UE.  Un  tentativo  di  devolution  regionale  fu   fatto   circa   dieci   anni   fa   da   Tony  Blair,  che   a   seguito  della   devolution  verso   le   altre   tre   nazioni   del  Regno  Unito   si   impegnò   alla   creazione   di  assemblee   regionali,   per   avviare   la  devolution   anche   verso   le   regioni  inglesi.   Tuttavia,   tale   proposta   ven-­‐ne   bocciata   nel   2004   proprio   dagli  elettori   della   regione   del   Nord-­‐Est,  regione   che   era   stata   scelta   dal   go-­‐verno   Blair   per   la   sperimentazione  del   nuovo  assetto.  Alla   proposta   re-­‐ferendaria   di   creazione   di   un   vero  

parlamento  regionale  con  poteri  au-­‐tonomi,   il   77%   circa   del   49%  degli  aventi   diritto   rispose   con   un   “No,  thanks”,  mortiJicando  così   il  tentati-­‐vo   blairiano.   Il   governo   Brown,   as-­‐sieme   al   governo  di   coalizione   Lib-­‐Con  ha  inoltre  contribuito  non  poco  a   indebolire   gli   enti   regionali,   abo-­‐lendo  i  nuclei  di  assemblee  regionali  costituiti   Jino  ad  allora,   lasciando   le  regioni  solo  ed  esclusivamente  come  unità   statistiche.   Ciò   nonostante   è  vero   che   le   condizioni   cambiano  molto   velocemente   e   oggigiorno,  complice  la  crisi,  anche  tra   le  Jila  dei  più   conservatori   si   fa   strada   l'idea  che   il   Regno  Unito  sia   troppo  “Lon-­‐don-­‐centred”   e   che   una   qualche  forma   di   ridistribuzione   sia   auspi-­‐cabile,  anche  per  dare  ad  altri  centri  locali  delle  possibilità  in  più  rispetto  alla  capitale.  Il  dibattito  è  completamente  aperto.  Molti   costituzionalisti   sostengono  che  nella  storia  britannica  non  ci  sia  mai  stato  qualcosa   di   analogo  e   che  quindi  una  simile   riforma  debba  ne-­‐cessariamente   implicare   l'introdu-­‐zione   di   una   costituzione   scritta   -­‐  nella   quale   Jissare   le   competenze  di  ogni   livello  di  governo  -­‐  e   la  riforma  della   camera   dei   Lords,   che   nello  scenario  di   una   federalizzazione   di-­‐venterebbe   una   sorta   di   Senato   fe-­‐derale,  con  i  Lord  trasformati  in  Civil  Servants   scelti  dai  parlamenti  nazio-­‐nali  o  regionali.Nonostante   il   federalismo  sia   un'in-­‐venzione   della   cultura   britannica,   i  cittadini   britannici   non   sono   mai  stati  storicamente   dei   sostenitori   di  questa   forma  di  organizzazione  del-­‐lo   Stato,   non   solo  a   livello  europeo,  

ma   neanche   al   proprio   in-­‐terno;   diverse   fasce   della  popolazione   lo   vedono   co-­‐me   una   complicazione   del-­‐l'assetto   costituzionale   bri-­‐tannico   e   come   un   sistema  potenzialmente   distruttivo.  Tuttavia   l'esito  del  referen-­‐dum   scozzese,   per   quanto  positivo   per   l'unità   del   re-­‐gno,   è   il   campanello   d'al-­‐larme   di   un   malessere   in-­‐terno   molto   forte   che   ne-­‐cessita   di   essere   affrontato  e   di   una   società   che   sta   di-­‐

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L’esito del referendum scozzese rischia di aprire un “Vaso di

Pandora” istituzionale, i cui esiti contemplano

la possibilità di una federalizzazione del

Regno Unito

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ventando   più   complessa   e   sta   cam-­‐biando  nelle   esigenze   di   rappresen-­‐tanza   e   nella   richiesta   di   centri   di  potere  più  forti  e   più  vicini  alla  pro-­‐pria   dimensione   quotidiana.   In   que-­‐sto   senso   il   referendum   riapre   la  questione   della   ripartizione   delle  competenze   e   del   potere   ai   diversi  livelli  di  governo;  e  in  questo  quadro,  non   solo   il   federalismo   britannico  merita   un'occasione   per   la   costru-­‐zione  una  Gran  Bretagna  più  stabile,  

ma   diventa   centrale   anche   la   que-­‐stione  di  una  ripartizione  complessi-­‐va   di   competenze   dal   livello   di   go-­‐verno  europeo  a  quello  locale  e  vice-­‐versa,   secondo   dei   criteri   di   scala   e  di  razionalità  sia  economica,  sia  poli-­‐tica.   In   modo   forse   imprevisto,   la  questione   scozzese  porta   con   sé   an-­‐che   la   necessità   di   ragionare   sul   fu-­‐turo   dell’assetto   europeo,   ed  in   par-­‐ticolare,  per  il  Regno  Unito  di  chiari-­‐re   come   vuole   porsi   nei   confronti  della   creazione   di   un   potere   genui-­‐

namente   federale   a   livello  dell'euro-­‐zona:   un  passaggio   ineludibile   per   i  paesi  euro   per  garantire   la   stabilità,  il  ritorno  della   Jiducia  nelle  istituzio-­‐ni  democratiche  e   il  ritorno  alla  cre-­‐scita  economica;  ed  un  passaggio  con  cui   la   UK   dovrà   fare   i   conti   sia   per  deJinire   i   rapporti   che   intende   svi-­‐luppare   con  questa   nuova  realtà  po-­‐litica,   sia   per  riorganizzarsi   interna-­‐mente   tenendo   conto   del   nuovo  quadro  europeo.

Francesco  Violi

Le conseguenze della crisi ucraina sulle strategie economiche della Russia

da  pag.  5

Nel   novembre   del   2013   il   governo  ucraino  guidato  da  Viktor   Janukovyč  annunciò   di   aver   riJiutato   l’accordo  di  associazione  con  l’Unione  europea  lasciando   intendere   che   l’Ucraina  avrebbe  aderito  alla  proposta   di  Vla-­‐dimir  Putin  di  entrare  a  far  parte  del-­‐l’Unione   eurasiatica.   La   scelta   di   Ja-­‐nukovyč  diede   il   via   ad   una   serie   di  manifestazioni   di   piazza   che   porta-­‐rono  alla   caduta   del   suo   governo   e  allo   scoppiare  del   conJlitto  che   vede  l’Ucraina  divisa  tra   l’attuale  governo,  guidato  da  Petro  Porošenko,  e  i  sepa-­‐ratisti  russofoni.    Nonostante   Porošenko   abbia   scelto  di  non  aderire   al  progetto  di  Putin,  il  29   maggio   è   stato   Jirmato   l’accordo  tra   Russia,   Bielorussia   e   Kazakistan  che   darà   vita   a   partire   dal   2015   al-­‐l’Unione  eurasiatica;  si   trat-­‐ta   di   un   faraonico   progetto  di   cooperazione   economica  che   ha   come   scopo     quello  di   creare   un   “ponte   com-­‐merciale”  (così  è   stato  deJi-­‐nito   da   Putin   stesso)   tra  Oriente  e  Occidente.   Il  valo-­‐re   degli   scambi   tra   questi  paesi  non   è   da   sottovaluta-­‐re;   l’unione   doganale   tra   i  tre   paesi,   in   atto   dal   2010,  ha   visto   crescere   del   50%  gli   scambi   commerciali   in  tre   anni   e   arrivando   ad   un  valore   di   circa   66   miliardi  di   dollari   nel   2013.   Al-­‐

l’Unione   si   uniranno   presto   anche  l’Armenia,   il   Kirghizistan   e   il   Tagiki-­‐stan.  I   tre   paesi   fondatori   detengono   im-­‐portanti   risorse   soprat-­‐tutto   dal   punto   di   vista  energetico:   circa   il   20   %  delle   riserve   di   gas   e   il  15%  del  petrolio  si  trova-­‐no   infatti   all’interno   del  territorio   dell’Unione   eu-­‐rasiatica.   Saranno   queste  risorse   a   garantire   uno  sviluppo  solido   e   duratu-­‐ro   dei   paesi   membri,   ri-­‐uscendo   ad   attirare   in-­‐genti  capitali  dall’estero.Oltre   all’Unione   eurasiatica   Putin  ha  ottenuto  un  altro  importante   risulta-­‐to:   il   25   maggio   è   stato   Jirmato   a  

Shangai  un  accordo  sulla  fornitura  di  gas  tra  Russia  e  Cina.  Da  circa  10  an-­‐ni   la   compagnia   russa  Gazprom  cer-­‐cava   di   raggiungere   un   accordo   col  

governo   di   Pechino   per  vendere   il  gas,  ma  è   stato  l’inasprirsi   dei   rapporti  tra  Russia  e  Occidente  per  via   della   crisi   ucraina   ad  aver   accelerato   le   nego-­‐ziazioni.   L’accordo,  molto  vantaggioso   per   i   cinesi,  partirà   dal   2018   e   vale  circa   400  miliardi   di   dol-­‐lari   in   30   anni.   Resta   an-­‐cora   da   costruire   il   gas-­‐dotto   che   collegherà   la  

Siberia  alla  Cina   orientale,   tuttavia  è  chiaro  che   il  mercato  cinese  potreb-­‐be   persino  superare   quello  europeo,  

che   Jinora   era   il  principale  “cliente”   di   Mosca.   Lo  stesso   Barroso   ha   inviato  a  Mosca   una   lettera   in  cui  chiedeva   rassicurazioni  sulle  forniture  di  gas  verso  l’UE.L’Unione   eurasiatica   e  l’accordo   con   la   Cina   non  esauriscono   gli   interessi  commerciali   della   Russia.  Mosca   sta   infatti   stringen-­‐do   delle   relazioni   anche  con   paesi   fuori   dalla   sua  ex   area   di   inJluenza  sovie-­‐tica;  tra   questi  vi  è   la  Nor-­‐vegia   con  cui  nel  2010  si  è  

Il 25 e il 29 mag-gio la Russia ha firmato accordi

con la Cina, sulla fornitura di gas, e con la Bielorussia e il Kazakistan, per dare vita dal 2015 all’Unione

eurasiatica

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trovato  un  accordo   sulla   spartizione  delle   risorse  nel  Mar  di  Barents  cui  è  seguito   un   accordo   di   cooperazione  economica   e   militare.   Anche   la   Sviz-­‐zera   ha   rilevanti   interessi   verso   la  Russia,  dato  che  rappresenta  già  oggi  uno  dei  principali  investitori  stranie-­‐ri   e   che   ha   agevolato   l’entrata   della  Russia   nell’Organizzazione  mondiale  del  commercio  (WTO).  E’   chiaro  come   la  Russia   stia   cercan-­‐do   di   svincolarsi   dalla   dipendenza  nei   rapporti   commerciali   con   l’UE.  Resta  dunque  da  chiedersi  se   la  poli-­‐

tica   delle   attuali   sanzioni   commer-­‐ciali  verso  la  Federazione  russa  volu-­‐te  dagli  Stati  Uniti  e  dall’UE   siano   la  giusta   risposta  verso  una   Russia   che  sembra  puntare  verso  Oriente.  L’UE,   priva   di   una   vera   ed   efJicace  politica   estera,   non   solo   non   è   stata  in   grado  di   proporre   delle   soluzioni  per  la  crisi  in  Ucraina,  ma  si  è  limita-­‐ta   all’imposizione   di   sanzioni   eco-­‐nomiche   alla   Russia   senza   pensare  alle   possibili   conseguenze   di   tale  scelta.   Mentre   la   Russia   infatti   getta  le  basi  per  una  strategia   commercia-­‐

le  a  livello  globale,  cercando  alterna-­‐tive   al   mercato   europeo,   l’Europa  manca  di  una  visione  di   lungo  perio-­‐do,  soprattutto  per  le  politiche   ener-­‐getiche.   Le   sanzioni   non   solo   costi-­‐tuiscono  un  danno  economico  per  le  esportazioni  europee  verso  la  Russia,  ma   non   si   inseriscono   in   un   quadro  strategico  di  ricerca  di  nuovi  mercati  e  nuovi  partner  commerciali.  Da  non  sottovalutare   è   il   rischio   che   l’ina-­‐sprimento  dei   rapporti  con   la  Russia  comprometta   le   forniture   di   gas   nei  prossimi   anni,   soprattutto  ora   che   è  stato   raggiunto   l ’accordo   tra  Gazprom  e  Pechino.E’  evidente  che   i  rapporti  con  la  Rus-­‐sia  entro  pochi  anni  rappresenteran-­‐no   una   questione   importante   per  l’Europa;  tuttavia  un’Europa  divisa  in  stati   nazionali   incapaci   di   adottare  una   politica  estera   e   di   difesa  comu-­‐ne  (e   troppo  dipendente  dagli  USA  in  politica  estera)  e  priva   di  un’alterna-­‐tiva  valida  alla  fornitura  di  gas  russo,  non   sarà   in   grado  di   vincere   la   sJida  di   una   globalizzazione   che   vede  emergere   nuovi   attori   e   nuove   po-­‐tenze.

Giovanni  Salpietro

La Russia sta cercando di svin-colarsi dalla dipendenza nei

rapporti commerciali con l’UE

Scheda personaggio - Aristide Briand

Nato  a  Nantes  il  28  marzo  1862,  Ari-­‐stide   Briand   fu   un  politico   e   diplo-­‐matico   francese   considerato   come  personaggio   chiave   della   storia   eu-­‐ropea  tra  le  due  guerre  mondiali.  Fu  uno   dei   principali   sostenitori   della  nascita   della   Società  delle  Nazioni  e    si   schierò   in   opposizione   alle   dure  condizioni   poste   alla   Germania   col  Trattato  di  Versailles.  Tra  i  suoi  suc-­‐cessi   diplomatici   troviamo   il  Tratta-­‐to   di   Locarno   del   ‘25   e   il   Patto  Briand-­‐Kellogg  del   ’28  che  ripudiava  la   guerra   come   mezzo   di   soluzione   delle   contro-­‐versie.

Il   suo   impegno   per   la   pace   venne  riconosciuto   con  la  consegna  del  No-­‐bel   nel   ’26.  Briand  può   essere  consi-­‐derato   come   precursore   dell’inte-­‐grazione  europea;   nel   ’29  pronunciò  un  discorso   alla  SdN   proponendo   la  costruzione   di   un’Europa   federale  ma   tale   progetto   purtroppo   non   ri-­‐cevette   il   sostegno   delle  altri   gover-­‐ni.  Morì  a  Parigi,  il  7  marzo  1932.

Tra   le   sue   frasi   più   celebri:   “Unirsi  per   vivere   e   prosperare:   questa   è   la  stretta   necessità   davanti   la   quale   si  

trovano  ormai  le  nazioni  d’Europa.”

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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 19 - Ottobre/Novembre 2014

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Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Paolo Filippi, Giacomo Ganzu, Maria Vittoria Lochi, Francesco Pericu, Elena Passerella, Giovanni Salpietro, Giulio Saputo, Romina Savioni, Bianca Viscardi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l

Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.

Le fatiche del gigante americano"Ma  se  dobbiamo  usarla  è  perché  noi  siamo   l'America,   noi  siamo   la  nazione  indispensabile.  Stiamo   in  alto,   vediamo   più  lontano   nel  fu-­‐turo  di  quanto   vedano   altri  paesi,  vediamo   il   pericolo   da   cui  siamo  minacciati."  Così  commentava  nel  febbraio   del   1998   Madaleine   Al-­‐bright   parlando   dell'uso   della  forza  come  mezzo  necessario   alla  diplomazia.   Ma   sono   stati  davve-­‐ro   così   numerosi   i   pericoli   che  minacciavano   la   sicurezza   e  l'equilibrio   mondiale   nel   Nove-­‐cento   da   richiedere   l'intervento  dell'esercito  americano?  Se,  infat-­‐ti,   il  XX  secolo  è  stato  sicuramente  attraversato  da  profonde  tensioni  e  con-­‐Jlitti   drammatici,   dalle  due  guerre  mon-­‐diali,  alla  guerra  fredda  con  l’Unione  So-­‐vietica,   ai   conJlitti  in  Medio  Oriente,  alle  dittature  in  America  Latina  e  alle  tensio-­‐ni  nel   Sud-­‐est   asiatico,   d’altro   lato   è   in-­‐negabile   che   l'intervento   americano   è  stato  spesso  dettato   anche  da  una  logica  imperiale  in  cui  si  sono  mescolate  ragio-­‐ni   economiche   e   di   consolidamento   del  potere.   Questi   interventi   sono   spesso  stati   mascherati   dal   nobile   intento   di  portare   la   democrazia   nel   mondo   o   di  contrastare   il   terrorismo,   piuttosto   che  scongiurare   l'uso   o   la  creazione  di  armi  di   distruzione   di   massa.   Ne   sono   un  esempio   le  due   guerre   lampo   in  Iraq,   o  quella  in  Afghanistan,  dove  l’obiettivo,  in  realtà,   era   quello   di   ridisegnare   a   van-­‐taggio   degli   USA   la   geograJia   politica  della  regione.Spesso,   un   ulteriore   fattore   che   ha   raf-­‐forzato   la  tendenza  americana  ad  eserci-­‐tare   la  propria  egemonia  a   livello  globa-­‐le,   è  stata   proprio   l’assenza   dell’Europa  come  potenza   regionale  responsabile,   in  grado  di  farsi  carico  della  paciJicazione  e  

della   stabilità   delle   aree   contigue.   Un  caso   eclatante   è   stato   quello   dell’inter-­‐vento   americano   nella   ex-­‐Jugoslavia,  deciso  proprio   per   supplire  all’impoten-­‐za  europea.Logorata   dai   costi   imposti   dal   ruolo   di  “gendarme  del  mondo”,   sJidata  dalla  na-­‐scita   di   nuove   potenze   regionali   e   dal-­‐l’ascesa   di   un   colosso   come   la   Cina,  l’America  sta  ormai  cercando  di  ripensa-­‐re   gli  strumenti  per   esercitare   in  modo  diverso   e   su  scala   differente   la   propria  egemonia.  Le  vicende  in  Iraq   e,   in  gene-­‐re,  nella  regione  mediorientale  sono  sta-­‐te   una   sconJitta   clamorosa   per   gli   USA.  Come   commenta   Sergio   Romano   nel   li-­‐bro   Il   declino   dell'Impero   americano,  "quando   sopravvive   ai   duri   colpi   di   un  nemico   potente,   un  piccolo   Stato   o   una  banda   di   guerriglieri   può   vantare   una  vittoria  morale.   Quando   distrugge   il   re-­‐gime  di  una  Stato  ostile  ma  non  riesce  a  raggiungere   gli   obiettivi   che  si  era   pre-­‐Jisso,   un   grande   Stato   è   politicamente  sconJitto".   E,  scrive  sempre  Romano,   “la  crisi  dell’impero  americano  è  cominciata  a  Kabul  e  a  Baghdad,  ma  diviene  ancora  più  evidente  quando   i  più  vecchi  e  fedeli  

alleati   degli   Stati   Uniti   –   l’Arabia  Saudita,   Israele,   la   Turchia,   il  Giappone,   alcuni   paesi   europei   e  latino-­‐americani  –  lanciano  segna-­‐li   di   fastidio   e   cominciano   a   fare  scelte   politiche   che   danno   per  scontato   il   declino   della   potenza  americana”  Non  c'è  da   stupirsi  allora   che  alla  domanda  di  Condoleeza  Rice  "Che  cosa   posso   fare   per   lei?"   in   una  conversazione  nel  2007  con  Nico-­‐las   Sarkozy   egli   rispose   "   Miglio-­‐rare   la  vostra   immagine  nel  mon-­‐do.   È   una   cosa   un   po'   difJicile  quando  il  paese  più  potente,  quel-­‐lo   di   maggiore   successo   –   quello  

che,   necessariamente,   è   il   leader   della  nostra  parte  –  è  uno  dei  paesi  più  impo-­‐polari  del  mondo."In   questo   quadro   l’assenza   dell'Europa  sullo   scenario   internazionale   diventa  drammatica.  Escludendo  esigui  interven-­‐ti  per  missioni  di  pace  e  di  sostegno  alle  popolazioni   interessate   dai   conJlitti,   gli  Stati  europei,  divisi  e  incapaci  di  costrui-­‐re  una  politica  estera  unica  ed  autorevo-­‐le,  non  sono   in  grado   di   sostenere   posi-­‐zioni   alternative  rispetto   a   quelle   di   un  alleato  tanto  potente  come  gli  USA.E  proprio   la  crescente  debolezza  di  que-­‐sto   grande   alleato-­‐padrone,   e   la   sua   in-­‐capacità   di   farsi   carico   dell’instabilità  delle   aree   che   sono   strategiche   per   gli  europei,   è   destinato   ad   avere   ripercus-­‐sioni   gravissime   sul   nostro   continente,  già   indebolito   e   reso   fragile   dalla   crisi  economica.   Per   gli   europei   è   tempo   di  prendere   in   mano   il   proprio   destino,  completando   il   processo   di   uniJicazione  e  dotandosi  Jinalmente  di  una  vera  poli-­‐tica  estera:  prima  che  sia  troppo  tardi.

Romina  Savioni