Quando Vigevano Faceva Le Scarpe

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    P&Vediz ioni

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    VIGEVANO HA SEMPRE VANTATO un artigianato le cui antiche origini si co-niugavano con una produzione quantitativamente e qualitativamente dirilievo.

    La creativit della popolazione non ha mai conosciuto limiti: le attivit la-vorative sono state esercitate in ogni settore che la fantasia possa sugge-rire: dalle attrezzature e macchine agricole alla selleria, dalle lavorazionimeccaniche non escluse armi e armature alla edilizia, dalle arti ti-pografiche alla arazzeria eccetera. per possibile affermare che per secoli avevano avuto la prevalenza lelavorazioni tessili, dapprima laniere (senza escludere una peraltro moltominore produzione coltivazione e lavorazione del lino) poi, dalle-

    t sforzesca, seriche.

    Allalba della rivoluzione industriale erano ancora lasse portante delle-conomia locale. Un poco pi tardi, prima della met dellOttocento, a es-se si aggiunse una intensa attivit cotoniera.Intanto, negli stessi decenni, in citt and affermandosi una lavorazionein assoluto non nuova per labitato ducale: quella delle calzature. Otti-mi ciabattini non erano mai mancati nellantico borgo, ma ora la lavo-razione della scarpe pass gradualmente dalle piccole produzioni indi-viduali alla organizzazione di piccoli laboratori che, grazie ai maggiori

    volumi produttivi, iniziarono a formare il primo nucleo di quella che, nelvolgere di un secolo, sarebbe diventata lattivit dominante e avrebbeconsentito a Vigevano di fregiarsi del titolo di capitale mondiale dellascarpa.

    LA NASCITA UFFICIALE della prima azienda industriale per la produzione discarpe datata 1872. In quellanno i fratelli Luigi e Pietro Bocca (ai qualisi aggiunse in un secondo tempo il cognato di Luigi, Madonini) avevano

    fondato a Vigevano il primo stabilimento industriale per la produzione e

    QUANDO VIGEVANO

    faceva le scarpe a tutti

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    il commercio allingrosso di calzature. Cinque anni dopo i tre soci si se-pararono, dando vita a tre nuove e distinte aziende.Il successo di queste prime ancora timide iniziative industriali gener il fe-

    nomeno dellemulazione.Altri imprenditori avviarono loro fabbriche; ope-rai esperti lasciarono progressivamente le aziende dove avevano impa-rato il mestiere e impiantarono personali piccoli laboratori.Piccoli e grandi opifici inziarono a sorgere un poco dovunque; ben prestola tradizionale creativit della nostra gente si rese conto che sarebbe sta-

    to un buon affare fabbricare in loco non soltanto le calzature vere e pro-prie, ma anche le attrezzature, le macchine e tutto quanto serviva per di-segnarle, produrle, finirle, imballarle e venderle.

    La meccanica, ovvero la fabbricazione di macchine per calzature, divennela seconda, per importanza, delle attivit lavorative vigevanesi. Pi tardi, nelsecondo dopoguerra, il settore si ampli con la produzione dei piccoli ac-cessori, dei prodotti chimici, di scatole e imballaggi.La citt tale titolo le era stato conferito fin dal lontano 1530, per vo-lere di Francesco II Sforza che laveva ottenuto dallimperatore e dalpontefice Clemente VII, insieme con lerezione del borgo a sede di dio-cesi divenne un fiorente centro industriale, con unalta densit lavo-

    rativa, incrementata dallinurbamento della popolazione del circondario(a danno dellagricoltura, che vedeva inesorabilmente diminuire il nu-mero degli addetti) e dai primi timidi flussi immigratori provenienti daaltre regioni della Penisola.Limmigrazione assunse dimensioni massicce dagli anni Cinquanta inpoi; labitato urbano si ingrand a dismisura e in proporzione aumentil benessere degli abitanti. Grande rilievo, in questi anni, assunse le-sportazione, sia per quanto riguarda la calzatura sia per il settore delle

    macchine.

    LA SMISURATA ESPANSIONE produttiva, economica e abitativa di Vige-vano aveva per in s i germi dellautodistruzione.I risultati dellampliamento delle attivit nella direzione di una copertura

    totale della produzione diretta e dellindotto furono la creazione di unastruttura economico-produttiva detta area-sistema. Oltre tre quarti del-la popolazione erano impegnati nellmbito calzaturiero.Allorch il setto-

    re, verso la fine degli anni Sessanta, diede segni di flessione, tutta larea vi-

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    gevanasca entr in crisi. Le difficolt divennero tangibili nel decennio suc-cessivo; la recessione fu inevitabile e inarrestabile.Fabbriche piccole e grandi, nomi storici e marchi gi assurti a fama inter-

    nazionale via via chiusero i battenti.Vigevano divenne un abitato grigio, in crisi di lavoro, di finanze e di iden-

    tit. Lombra della capitale della scarpa di soltanto pochi lustri prima.Le vicissitudini che hanno caratterizzato la vita della citt negli ultimi tredecenni son ben note e non necessario ripercorrerle in questa sede.Per ritrovare un trendeconomico positivo sono occorsi molti anni e una

    trasformazione quasi totale della mentalit cittadina. Oggi la situazione bench non sia il caso di lasciarsi andare a eccessivi entusiasmi lascia

    spazio a moderato ottimismo, ancorch rintuzzato dalla recente, e nonancora superata, crisi internazionale.

    CHE COSA RIMANE, OGGI, a Vigevano, di cotanto passato? Poco o nulla.Da quando la produzione calzaturiera, che era stata il fiore allocchiellodelleconomia cittadina, andata tramontando, si ripetutamente tenta-

    to di fare di Vigevano una citt turistica, cercando di destare, intorno aessa, un interesse pi approfondito per quanto di bello in grado di pro-

    porre. Peccato che, per quasi un secolo, si sia perseguito un obiettivo an-titetico. Per troppo tempo il tessuto storico cittadino stato progressi-vamente distrutto, prima per erigere fabbriche fabbrichette e fabbriconi,poi per costruire nuovi e migliori complessi abitativi che fossero il segnoevidente di un raggiunto benessere.Il risultato sotto gli occhi di tutti: il centro storico, a eccezione di qual-che angolo miracolosamente sfuggito alla furia rinnovatrice degli anni delboom, stato irrimediabilmente guastato e gran parte del patrimonio ar-

    chitettonico stato inopinatamente alterato. Per contro, ci che sembra-va costituire la maggiore ricchiezza del borgo i complessi produttivi, lefabbriche, le ciminiere eccetera nel frattempo in gran parte scom-parso, ingoiato da una situazione economica che andava sempre pi de-

    teriorandosi. Ci si cos ritrovati una citt che non n carne n pesce.Non pi una citt industriale (e, per fortuna, i maggiori complessi indu-striali oggi esistenti sono stati nel frattempo decentrati e spinti sempre piverso lestrema periferia), ma non pu nemmeno essere definita una cit-

    t darte poich, eccettuato larcinoto complesso Piazza Ducale-Duomo-

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    Castello, il pur rilevante residuo patrimonio storico-architettonico-artisti-co troppo sparso e quasi nascosto nella citt per poter costituire un ve-ro polo dinteresse turistico.

    Ben diversa era la situazione che, dagli inizi del secolo xx, si protrasse fi-no agli avanzati anni Sessanta.Vigevano era un coacervo di strutture produttive di ogni genere. Stabili-menti, fabbriche, manifatture, capannoni, opifici di ogni genere sorgevanoovunque, in pieno centro storico e ai margini dellabitato. Le foto depo-ca mostrano un tessuto urbano, forse eccessivamente grigio e poco at-

    traente, su cui le ciminiere regnavano sovrane, sentinelle avanzate di unprogresso pi apparente che reale, ma sufficientre a illudere i vigevanesi

    che il secolo in corso fosse quello che avrebbe definitivamente confer-mato la positiva evoluzione della citt verso il benessere e la ricchezzamateriale.

    DOVEROSO RIVOLGERE UN RICORDO alle maestranze, che dei fasti dellaVigevano industriale sono stati i veri protagonisti. inutile chiedersi se fossero migliori gli operai di un tempo o gli attuali;probabilmente, come avviene in tutte le cose che riguardano la vita uma-na, oggi come ieri ci sono i buoni operai e i cattivi operai. Certo, un tem-po erano ben diversi i rapporti che intercorrevano tra operai e datori dilavoro e anche tra gli operai stessi. Ma forse anche questa unafferma-zione discutibile. Erano diversi i valori che ispiravano le relazioni umane,perch erano diversi i tempi, era diverso il mondo.Che, a sua volta, era diverso da quello di oggi perch erano diversi i rap-porti interpersonali, dai quali erano inscindibili i rapporti tra i popoli e leculture. O, forse, tutto i tempi, il mondo, le ralazioni umane ugua-le, sempre; cambiano soltanto le sfumature di colore secondo langolazio-

    ne con cui si osserva linsieme o il particolare.Coloro che linesorabilit del tempo ha costretto a vivere altri tempi, al-

    tre et, altre situazioni avranno, in virt dellesperienza diretta, una visionedel passato diversa, se non antitetica, di quella focalizzabile da chi quellostesso tempo non ha vissuto. Questo potrebbe spiegare la nostalgia mo-strata dai sopravvissuti di epoche ormai lontane nel tempo.Ai loro occhile immagini riprodotte in ingiallite fotografie acquisiscono un rilievo parti-colare che, nella visione di oggi, appare tridimensionale, quasi facendo as-

    surgere i personaggi e le situazioni a nuova vita, sradicandoli dalla piatta e

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    ristretta collocazione cartacea per permettere loro di ripresentarsi vividie attivi al cospetto dellosservatore.Il fenomeno si evidenzia maggiormente quando si tratta di immagini di la-

    voro o di situazioni analoghe; in questo caso altri fattori intervengono adalimentare il meccanismo ideale: non soltanto la giovent perduta, maanche una forza fisica che non c pi, sono gli amici scomparsi, i luoghinon pi riconoscibili, il ricordo di eventi. Sono le associazioni mentali cheportano alla ricostruzione di frammenti di vita dimenticata, tessere pic-cole ma non trascurabili di quel grande mosaico che lesistenza umana.Losservatore di oggi non pu avvalersi che di questi ricordi, di questo ri-vivere il vissuto delle generazioni a lui precedenti, nelle cui testimonianze

    la realt lavorativa di un tempo, bench dura, spesso durissima, era im-prontata a serenit e distensione molto maggiori di quanto avvenga ora.La conflittualit era alta, le condizioni di lavoro, nonostante gli indubbi mi-glioramenti sociali intervenuti nel corso dei decenni, ancora pesanti e pre-carie. Gli atteggiamenti dei datori di lavoro nei confronti del personaleerano paternalistici, di sufficienza, con unarroganza di fondo mascheratada pelosa partecipazione alla misera esistenza e ai problemi vitali dei di-pendenti.Ma, a quanto sembra, lapparenza bastava a creare, tra padroni e ope-

    rai, e tra operai e operai, un rapporto armonico quanto bastava perchle fabbriche funzionassero e il lavoro avesse un corso fluido e regolare.

    NOTA

    la sequenza delle immagini suddivisa pur in assenzadi confini rigorosi per argomenti, rappresentati, nellordine, da:

    strutture operative, personale e maestranze,

    luoghi di lavoro, la Mostra delle Calzature,

    la pubblicit, i sopravvissuti.

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    Manifesto per la seconda edizione della Settimana Vigevanese.La rassegna espositiva era stata organizzata per la prima volta

    lanno precedente, 1931.

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    Il maggiore tra i simboli dellattivit calzaturiera vigevanese:lUrsus Gomma. Il grande complesso produttivo, affacciato

    su via San Giacomo, era stato completato nel 1931.

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    Il pi classico complesso a sviluppo verticaledel calzaturifico Argo, in via Madonna degli Angeli.

    Gli stabilimenti lineari, con tetti a shed del calzaturificioRossanigo, costruito nel 1930 in via Eleonora Duse.

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    Laspetto originario del calzaturificio Mainardi, in corso Novara.Si osservino, nellangolo in basso a sinistra, le rotaie del tramway.

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    La elegante facciata tardo libertydel calzaturificio Ursus Cuoio, in via Mulini.

    Il calzaturificio Fontana, in via del Carmine,in una foto dei tardi anni Venti.

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    Abitazione civile con annesso stabilimento calzaturieroin corso Cavour. Una situazione molto comune in citt

    fino agli anni Sessanta.

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    Ancora un efficiente connubbio tra casa dabitazionee complesso produttivo in angolo tra via Camilla Rodolfi

    e via Lucrezia De Bastici.

    Abitazione civile (casa Ottobrini) con annesso opificioin via Andrea de Bussi.

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    La elegante cancellata in ferro battutoe la portineria degli stabilimenti ILCE Gomma in corso Genova.

    Il calzaturificio Sibilia, in angolo tra le vie Egidio Sacchettie Casimiro Ottone.

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    Casa dabitazione in elegante stile liberty, con annesso opificio,in corso Genova.

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    Ancora savatal lavoro intorno al bancht, il caratteristico deschettoquadrato, basso, con la superficie suddivisa in tanti compartimenti

    adatti a contenere i chiodi (le semenze).

    Una immagine famosa, ascrivibile a fine Ottocentoe assurta a simbolo dellantica tradizione dellartigianato calzaturiero

    vigevanese: i savat a bancht.

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    Con lavanzare della bella stagione,il personale delle piccole aziende artigiane si trasferiva,armi e bagagli, allaperto, in cerca di aria fresca e pulita.Ma anche per risparmiare sui costi dellilluminazione

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    Le maestranze del calzaturificio Bertolini nel 1909.Si osservi, in questa cos come nellimmagine precedente,

    il numeroso personale in et minore.

    Maestranze di un non identificato calzaturificio vigevanese nel 1900.

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    Un altro sconosciuto gruppo di maestranze di un calzaturificio,questa volta nel primo Novecento.

    Un non identificato calzaturificio vigevanese di fine Ottocento.Tutti i soggetti sono in posa, immobili. Sembrano finti

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    Titolari, famiglie e maestranzedel calzaturificio Fratelli Dondi nel 1933.

    Il titolare, la sua famiglia e i dipendenti del calzaturificio Sacchiin una fotografia del 1911.

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    1935. Il personale dellUrsus Gomma riunito in occasionedella inaugurazione (come duso allepoca) del gagliardetto

    del Dopolavoro dellazienda.

    Titolari e maestranze del calzaturificio Santo Morone nel primoNovecento. Si osservino le ricercate pettinature femminili,

    accuratamente realizzate per la posa fotografica.

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    Maestranze e rappresentanti di aziende lomellineriunite in Piazza Ducale a Vigevano in occasione di una visita

    delle autorit fasciste provinciali, nei tardi anni Trenta.

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    Operai al lavoro in un calzaturificio industriale vigevanesenegli anni Trenta. In piedi, al centro, il capo fabbrica.

    Il personale dellUrsus Gomma durante il pasto di mezzogiornonel funzionale refettorio allestito allinterno del Dopolavoro.

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    Siamo ancora negli anni Trenta e di nuovo alla Ursus.

    In alto, il reparto orlatura, con i giuntrsolo per un istante distratte

    dal loro lavoro; in basso, il reparto tagliatura.

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    Scarpe, carrelli e macchine nel calzaturificio Bonomi nei primidecenni del secolo scorso. Si osservino le cinghie di collegamento

    allalbero centrale di trasmissione dellenergia motrice.

    Il calzaturificio Pampuri nei primi decenni del secolo scorso.Si noti la sfilata dei carrelli, troppo ordinata per essere casuale,

    e probabilmente sistemata a bella posta per la fotografia.

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    1935 Il calzaturificio Ursus era, nel settore, unazienda allavanguardianellintera Penisola e si distingueva per la modernit e la funzionalit

    dei suoi ambienti di lavoro e delle sue attrezzature.

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    Ancora Ursus Gomma: il reparto tranceria.Gran parte del personale impiegato nellazienda vigevanese

    era femminile.

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    Il reparto modellismo dellUrsus Cuoio.La copertura dei tetti a shed consentiva grande luminosit

    agli ambienti di lavoro.

    Un altro reparto dellUrsus Gomma e ancora unalta percentualedi personale femminile.Vigevano era allavanguardia anche

    nel campo dellemancipazione della donna, nel lavoro e non solo.

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    Un calzaturificio industriale negli anni Sessanta.Si osservi la manovia, specie di piccola ferrovia con piccoli carrelli

    metallici che venivano fatti scorrere manualmente.

    Limperativo sembrava essere funzionalit.Anche nelle strutture accessorie.

    Qui il parcheggio sotterraneo dellUrsus.

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    I titolari e il personale di un finissaggiovigevanese intorno alla fine degli anni Cinquanta.

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    Primi anni Ottanta. Le donne continuano a vantare una presenzamolto rilevante allinterno delle aziende produttrici anche quandola meccanizzazione interessa ormai gran parte delle lavorazioni.

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    Reparti inguarnitura e finitura in calzaturifici contemporanei,nei tardi anni Settanta.

    Sono gli ultimi fuochi dellattivit calzaturiera vigevanese.

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    In alto: le maestranze del calzaturificioBarbero & Biffignandi nel 1915.

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    In basso: il gi numericamente rilevantepersonale del calzaturificio Ursus nel 1924.

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    Inizia nel 1931 lavventura della Settimana Vigevanese,rassegna delle attivit produttive cittadine.

    Fino al 1938 la manifestazione si svolger nei localidelle Scuole Elementari Regina Margherita in piazza Vittorio Veneto.

    In alto: lingresso al parco espositivo nel 1933;in basso: uno scorcio dellinterno in una delle prime edizioni.

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    Grazie al successo incontrato (e al sostegno delle autorit fasciste)la Settimana Vigevanese si afferma negli anni successivi soprattuttocome rassegna della produzione vigevanese di calzature e affini.

    Nelle immagini, scorci di standdi aziende produttrici di macchine.

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    Lingresso al parco espositivo, ancora nei locali della ScuoleElementari Regina Margherita, nel 1936.

    Lo standdella Eco Gomma in una delle edizioni anteguerradella rassegna vigevanese.

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    Lo standdel calzaturificio dei fratelli Rossanigo.In origine il marchio della vivace azienda vigevanese era Smart

    (in inglese, elegante, alla moda);dopo linstaurazione del regime autarchico

    che coinvolse anche la lingua italiana il logo dovette essere italianizzato in Smarta!

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    Intorno alla fine degli anni Trenta, la situazione economica incertae il futuro precario. Ci nonostante nel piazzale antistante

    il Palazzo Esposizioni, in occasione dellaperturadella rassegna espositiva vigevanese, le automobili sono gi numerose.

    Nel 1939 viene inaugurato il nuovo Palazzo Esposizioni(popolarmente noto come palazzo dellImpero),

    eretto sul piazzale della Fiera su progetto dellingegnere magiaroEugenio Faludi, e la Settimana Vigevanese nella foto, linaugurazione della edizione dello stesso 1939

    si appresta a diventareMostra Mercato della Calzatura.

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    Manifesto per ledizione 1948 della annualerassegna calzaturiera vigevanese, che si fregia ora del titolo

    Mostra - Mercato Nazionale delle Calzature.

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    Nel 1947, dopo la forzata interruzione dovutagli eventi bellici (nel corso dei quali il Palazzo

    Esposizioni aveva anche subto qualche danno),la rassegna espositiva che i vigevanesi chiamano

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    ormai, semplicemente e affettuosamente, la Mostra riapre i battenti. Si osservi, alla estrema sinistradellimmagine, il massiccio piedistallo su cui troneggiail gigantesco stivale simbolo della Ursus Gomma.

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    In occasione dellapertura della edizione 1953 della Mostraviene inaugurato, nel piazzale antistante Palazzo Esposizioni,

    il monumento al Calzolaio dItalia, opera dello scultore vigevaneseGiovan Battista Ricci. Lo stesso piazzale acquisir in seguito

    lo stesso titolo del monumento.

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    Gli anni Cinquanta e Sessanta sono i pi vitali e vivaciper la Mostra. Numerosi sono gli ospiti, nazionali e internazionali,

    che nobilitano la rassegna vigevanese. In alto: il soprano Maria Callas,a cui fu attribuita la Scarpina doro nel 1956;

    in basso: il soprano Renata Tebaldi storica antagonista della Callas, a sua volta gratificata dallo stesso riconoscimento nel 1958.

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    In occasione della Mostra venivano organizzate numerosemanifestazioni di contorno.Tra esse, grandi seguito e successoavevano le sfilate di moda, bench di solito venissero affidate a

    indossatrici non certo di livello internazionale.

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    Linterno di una officina vigevanese per la produzione di macchineper calzaturifici negli anni Trenta.

    La Officine Meccaniche Ferrari, considerata la prima aziendaproduttrice di macchine per calzature e calzaturifici. Aveva sedenel tratto terminale di via Cairoli, presso la Stazione Ferroviaria.

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    Ancora due scorci di interni di officine per la produzionedi macchine per calzaturifici. Nella seconda immaginesi pu osservare come, sul finire degli anni Settanta,lautomazione abbia gi un ruolo molto rilevante.

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    1964. Sono gli anni del boom economico anche per Vigevano.Ma la maggior parte degli operai impiegati nelle aziende cittadine

    usa ancora, per i suoi spostamenti, le due ruote, con o senza motore.

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    Una elegante bench non priva di retorica imperiale pubblicit del calzaturificio Aquila,

    apparsa su una pubblicazione del 1935.

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    Altre pubblicit del settore calzaturiero pubblicate su unaGuida di Vigevano del 1935. Si osservino i numeri di telefono

    ove indicati, costituiti da tre sole cifre.

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    Ancora una inserzione pubblicitaria di un calzaturificio, datata 1935.In questo simpatico bozzetto, invece dellindirizzo segnalata

    lintera topografia della zona in cui ha sede lazienda.

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    Sono trascorsi alcuni decenni e la pubblicit ha ormai una presenzamassiccia nella vita quotidiana. Qui si osservano alcune inserzioni

    pubblicitarie di aziende vigevanesi negli anni Cinquanta.

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    Unaltra serie di trafiletti pubblicitari di aziende vigevanesi operantinel settore calzaturiero. Come si pu osservare, in citt viene

    prodotto tutto quanto alle scarpe pertinente: macchine, scatole,tacchi e suole, forme, stampi, prodotti chimici eccetera.

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    Vigevano, in questi anni, meritava ampiamenteil titolo di capitale della scarpa. La citt primeggiava non solo

    per la produzione dal punto di vista quantitativo e qualitativo delle calzature vere e proprie, ma anche per la grande professionalitdelle aziende dellindotto. Prima al mondo era anche la produzione

    di macchine e accessori.

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    Ovviamente, anche gli stilisti ma ancora si chiamavanopi semplicemente modellisti vigevanesi erano allavanguardia;

    le loro realizzazioni dettavano le linee della moda calzaturierain tutto il mondo.

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    La produzione di macchine per calzature e per calzaturificinon copriva solo il fabbisogno locale ma veniva ampiamenteesportata. Anzi, quando il mercato internazionale della scarpa

    inizi a contrarsi, il settore meccanico conserv a lungoun trendpositivo.

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    Arrivano gli anni Ottanta. Per la ex capitale della scarpa giunto il tramonto. Il settore in profonda crisi,

    n riuscir pi a rialzarsi. Le grandi aziende di un temposcompaiono una a una. Sopravvive qualche nostalgico artigiano,

    deciso pi che mai a non lasciare morire la tradizione vigevanesedel savat a bancht.

  • 7/21/2019 Quando Vigevano Faceva Le Scarpe

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    Anche in tempi di esasperate meccanizzazione e automazionequali sono i giorni nostri alcune operazioni dovevano

    devono essere eseguite ancora a mano.

  • 7/21/2019 Quando Vigevano Faceva Le Scarpe

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    Unaltra tradizione vigevanese sopravvissuta a lungo:la presenza del personale femminile in tutte le fasi

    della lavorazione calzaturiera.

  • 7/21/2019 Quando Vigevano Faceva Le Scarpe

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    Una bellissima immagine che insieme simbolo e documentodi un mondo ormai scomparso.Vi si riconoscono il ciabattino,il suo caratteristico banchetto, il martello dalla forma curiosa,

    il fornello per sciogliere le cere, i treppiedi, le forme rigorosamente in legno, lattrezzo per applicare borchie

    e occhielli, lisse e lissotti e tutta la serie di strumentinecessari alla produzione artigianale delle calzature.

  • 7/21/2019 Quando Vigevano Faceva Le Scarpe

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    Nel secondo dopoguerra grande rilievo assunse la produzionedi calzature sportive in gomma. Al tempo erano genericamentechiamate scarpe da tennis; tale produzione era stata introdotta

    a Vigevano per la prima volta negli anni Ventidal calzaturificio Rossanigo. Nellimmagine, un manifesto del 1948.

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    Un gradevole manifesto pubblicitario del 1950,che non manca di riflettere il clima politico e sociale dellepoca.

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    Il Palazzo Esposizioni e il monumento al Calzolaio dItaliain una cartolina della met degli anni Cinquanta.

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    Consigli per gli acquisti

    La pubblicit dalle origini agli anni Venti

    Vigevano nelle cartoline depoca

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    I proverbi dei nostri nonniVigevano e Lomellina a tavola

    Vigevano in divisa

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    Modi di dire vigevanesi daltri tempi

    Guida di Vigevano 1935

    Vocabolarietto Pavese Lomellino 1923

    Quando Vigevano faceva le scarpe a tutti

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