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Restauri d'Arte. Opere dell'Abruzzo recuperate dopo il sisma

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Catalogo della mostra svoltasi a Sulmona nel settembre del 2012, dedicata al porgetto di recupero di alcune opere d'arte recuperate dopo il sisma del 2009.

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RESTAURI D’ARTEOpere dell’Abruzzo

recuperate dopo il sisma

A cura di LUCIA ARBACE

e LAURA BARATIN

Gabbiano editore

Catalogo AbruzzoOK_Abruzzo 23/09/12 18.28 Pagina 1

“RESTAURI D’ARTE. OPERE DELL’ABRUZZO RECUPERATE DOPO IL SISMA”

Sulmona (AQ), Abbazia di Santo Spirito al Morrone13 settembre - 30 settembre 2012

L’iniziativa è stata realizzata dalla

SOPRINTENDENZA PER BENI STORICI

ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI

DELL’ABRUZZO

In collaborazione con

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO”Corso in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali

ANCI-MARCHE ANCI-ABRUZZO

PROTEZIONE CIVILE DELLA REGIONE MARCHE

DIPARTIMENTO POLITICHE INTEGRATE DI SICUREZZA

ARTIFEX - COMUNICARE CON L’ARTE

TrasportiMontenovi s.r.l., Roma

Compagnia di AssicurazioneSAI Fondiaria

Gli interventi di restauro sono stati condotti dall’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”Corso in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali

Coordinatore tecnico organizzativoLAURA BARATIN

Responsabile scientificoBRUNO ZANARDI

Alta Sorveglianza LUCIA ARBACE

RestauratoriADRIANA ALESCIO, FABIANO FERRUCCI (affresco staccato)CRISTINA CALDI, ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS, FRANCESCA MARIANI, MICHELE PAPI (opere lignee)DAPHNE DE LUCA, ANTONIO IACCARINO IDELSON, MICHELE PAPI (dipinti su tela)RAFFAELLA MAROTTI (orologio)GRAZIA DE CESARE (progetto di restauro dei dipinti murali)

Analisi scientificheMARIA LETIZIA AMADORI, SARA BARCELLI, SABRINA BURATTINI, ELISABETTA FALCIERI, LUCA GIORGI, LUIGIA SABATINI

Documentazione graficaLAURA BARATIN, GIOVANNI CHECCUCCI, MONICA GIULIANO

Documentazione fotografica per la diagnosticaSTEFANO MARZIALI

Allievi restauratori

Secondo anno: SARA BALERCIA, ELEONORA BELARDINELLI, VALENTINA DE GREGORIO,LUISA LEMOIGNE, VIOLA MORETTI, GIULIA PAOLI, TOMMASO PAPI, CATERINA PERGOLINI

Terzo anno: PAOLA ALBA, SOFIA ANTINORI, FRANCESCO BERNESCHI, SHEILA CANUTI,LUCIA CARBONI, GIOVANNA CIOTTA, GIANNI COLLANI, FLORINDA D’ARCANGELO, GABRIELLA DE AMICIS, ESTER DI BENEDETTO, FRANCESCA DI LUZIO, ANTONELLA DI REMIGIO, BETTY FERRO, CHIARA FILIPPONE✝, SARA IACOBITTI, MARTINA PIA MARINO, MARIA RAGAZZO, ALICE TORREGGIANI

Quarto anno: ELENA ADANTI, GIULIA AGOSTINELLI, MONIA ANTONINI, BEATRICE BALBONI, CHIARA BASAGNI, DANIELE BIONDINO, CAMILLA BRIVIO, ALESSANDRA CANTARINI, GIOVANNA CORRAINE, MARTA COLANGELI, DANIELE COSTANTINI, CINZIA DELL’ONZE, MATTEO GHILARDI, SARA LA TERRA, MARIANGELA LUCIANI, CATERINA LUZI, FRANCESCA MARAMONTI, FRANCESCA MARCONI, VALERIA MENGACCI, ROBERTO MERLO, CLAUDIA NAPOLI, FEDERICA PAOLINELLI, GIULIA PAPINI, CHIARA POZZATI, ISOTTA SCARTOZZI, SERENESSE SCHIFANO, NADIA SENESI, MARGHERITA RUSSO, VALENTINA VITI

Quinto anno: IRENE CECCHI, JENNY CICOGNANI, GIORGIA NICOL DELLA ROSA, PAOLA LAUDANDO, AGNESE MALTONI, MICOL MIGANI, DANIELA PESCA, CRISTINA POLIDORI, VALENTINA RASPUGLI, LUCIA SCIENZA, SERENA VELLA

Segreteria del Dipartimento di Scienze di Base e FondamentiERIKA PIGLIAPOCO, FLAVIA UBALDI

Segreteria di Presidenza della Facoltà di Scienze e TecnologieBENILDE GUERRA, MARIA FILOMENA PIERINI

Ufficio Relazioni pubblicheTIZIANO V. MANCINI, PAOLO BIANCHI

“Natività”, Calascio (AQ) - Opera restaurata grazie al contributo offerto dall’AssociazioneInsieme per Urbino e dall’Associazione Acli frazione di Ripalta (AN)

“L'Immacolata e le anime purganti”, Carapelle Calvisio (AQ) - Opera restaurata grazie al contributo offerto dalla Nobile Accademia Aesina della Pipa Jesi, Ancona

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Catalogo a cura diLUCIA ARBACE

LAURA BARATIN

Schede storico artistiche a cura della Soprintendenza BSAE dell’Abruzzo LUCIA ARBACE (coordinamento), SERGIO CARANFA, MARIA ANTONIETTA CIANETTI,ANNA COLANGELO, MAURO CONGEDUTI, ROSELLA ROSA, MARTA VITTORINI conALESSANDRA GIANCOLA, EMILIA LUDOVICI, GIOVANNI VILLANO

Schede di restauro a cura dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” LAURA BARATIN (coordinamento), ADRIANA ALESCIO, CRISTINA CALDI, ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS, GRAZIA DE CESARE, DAPHNE DE LUCA, FABIANO FERRUCCI, ANTONIO IACCARINO IDELSON, FRANCESCA MARIANI, RAFFAELLA MAROTTI, MCHELE PAPI

BibliografiaMARTA VITTORINI

Allestimento della mostra a cura diAURELIO CIOTTI, PANFILO PORZIELLA, MARIO SALOMONE, CLAUDIO TATOLI (SBSAE, ABRUZZO)

Verifiche conservative delle opereGIOVANNI BERNARDI, GIUSEPPE DI FEBO, DOMENICO INGRIA

Segreteria del SoprintendenteGRAZIELLA MUCCIANTE, SOFIA CUCCHIELLA VITTORINI

Ufficio stampa e comunicazionePIERO COCCO (SBSAE, ABRUZZO)

Archivi della Soprintendenza BSAE dell’AbruzzoDINA PERSICHETTI, FILOMENA MACERA, JOCELYNE FERON, ROBERTO PEZZOPANE

Ufficio catalogoMAURO CONGEDUTI, ELENA GIULIANI, ALFONSINA CENTOFANTI

Ufficio fotograficoBARBARA DELL’ORSO, PATRIZIA PERNA, GIANNI SANTILLI

Alle fasi di allestimento della mostra e alla sua divulgazione didattica ha contribuito ilpersonale della Soprintendenza BSAE dell’Abruzzo in servizio presso l’Abbazia diSanto Spirito al Morrone

ALESSANDRO AMICONE, MICHELE AVOLIO, FRANCA BALASSONE, DIEGO BUCCI, RAIMONDO CARRETTA, PATRIZIA COLONICO, RITA COLONICO, SILVANA D’ALESSANDRO, MARILIA DE DOMINICIS, MARA DEL MONACO, SONIA DI GIAMBATTISTA, PASQUALE DI LORETO, GIUSEPPINA FEDERICO, DOMENICO ELIO FORGIONE, ACHILLE GIOVANNUCCI, ANNA RITA GLISENTI, TONIO IUDICIANI, MARCELLO LA CIVITA, TIZIANA LA PORTA, ORIANA LEONE, ROSALBA MARINUCCI, CLAUDIO PERROTTA, PANFILO PORZIELLA, GIUSEPPE TACCONI, CLAUDIO TATOLI, MARIA RITA VENTRESCA, LUCIA VERNACOTOLA

Si ringraziano

LUCIANO MARCHETTI, già Vice Commissario Straordinario per l’AquilaFABRIZIO MAGANI, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo

MONS. GIUSEPPE MOLINARI, Arcivescovo Metropolita dell’AquilaMONS. GIOVANNI D’ERCOLE, Vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi dell’AquilaDON ALESSANDRO BENZI, Vicario Episcopale per i Beni Culturali della Arcidiocesi dell’Aquila

MONS. ANGELO SPINA, Vescovo di Sulmona/ValvaDON MAURIZIO NANNARONE, Vicario Episcopale per i Beni Culturali della Diocesi di Sulmona/Valva e Direttore dell'Ufficio diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici e per l'edilizia di culto

MARIO ANDRENACCI, Presidente ANCI-MARCHEMARCELLO BEDESCHI, Segretario ANCI-MARCHE

ANTONIO CENTI, Presidente ANCI-ABRUZZOGIUSEPPE MANGOLINI, Segretario ANCI-ABRUZZO

ROBERTO OREFICINI, Direttore PROTEZIONE CIVILE DELLA REGIONE MARCHE

ALBERTO CECCONI, Direttore del COM6 di Navelli · PROTEZIONE CIVILE

DELLA REGIONE MARCHE

GIOVANNI MORELLO, Presidente · Artifex - COMUNICARE CON L’ARTE

PAOLO BEDESCHI, Direttore · Artifex - COMUNICARE CON L’ARTE

SOPRINTENDENZA PER BENI STORICI ARTISTICI ED ETNOANTROPOLOGICI DELLE MARCHE

COMUNE DI URBINO

SETTIMIO LANCIOTTI, Preside, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di UrbinoSTEFANO PAPA, Preside, Facoltà Scienze e Tecnologie, Università di UrbinoFLAVIO VETRANO, Direttore, DiSBEF, Università di UrbinoLUIGI BOTTEGHI, Direttore Generale, Università di UrbinoFABIO MAIORANO, studioso di araldicaGIANCATERINO GUALTIERI, sindaco di San Benedetto in PerillisSILVIA CUPPINI, ALICE DE VECCHI per l’allestimento della mostra a Urbino, Sala del Castellare, Piazza RinascimentoANDREA PARIBENI, Storico dell'Arte medievale, Università di UrbinoANGELO RUBINO, ISIA di UrbinoFRANCO BATTISTELLA, architettoCATERINA DALIA, Storico dell’Arte Soprintendenza BSAE dell’AbruzzoIVANA DI NARDO, Storico dell’Arte Soprintendenza BSAE dell’AbruzzoANTONELLA LOPARDI, Storico dell’Arte Soprintendenza BSAE dell’AbruzzoERSILIA ENRICHETTA SANTILLI, Storico dell’Arte Soprintendenza BSAE dell’Abruzzo

I sindaci e i parroci dei Comuni di Calascio, Capestrano, Caporciano, Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio, Castel del Monte, Collepietro, L’Aquila, Navelli, Ofena, Popoli, San Benedetto in Perillis, Santo Stefano di Sessanio, Villa Santa Lucia degli Abruzzi

Il personale tutto dalla Soprintendenza per Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Abruzzo e dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

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Aparagone di tante opere – dipinti, sculture, arredi, oreficerie e paramenti sacri – che il terremotodel 6 aprile 2009 ha in vario modo offeso, distrutto totalmente nei casi drammatici di crolli, dan-

neggiato in misura più o meno grave, o soltanto imposto di rimuovere dalla collocazione originaria permotivi precauzionali, temendosi ulteriori e più violente scosse nel perdurare dello sciame sismico, e ri-coverate in depositi attrezzati, queste che presentiamo possono considerarsi senza dubbio le più fortunate,assieme a numerose altre sulle quali è stato possibile intervenire o si sta procedendo grazie a risorse pub-bliche o a sponsorizzazioni più o meno generose. Si tratta purtroppo di una percentuale ancora modesta sul totale delle opere danneggiate. Le opere pie-namente recuperate e tornate al loro posto dopo il sisma sono complessivamente troppo poche rispettoa quanto si vorrebbe o si dovrebbe fare. Accarezzate con lo sguardo da un benefattore del tutto ignaro del loro valore artistico, ma ben consape-vole del significato dell’operazione che vede il suo epilogo nella riconsegna e nella stampa di questo ca-talogo, queste che proponiamo sono state scelte nei diversi comuni dall’arch. Alberto Cecconi, direttoredel COM 6. A seguito dell’azione dell’ANCI-Marche che ha raccolto fondi dai Comuni della stessa re-gione e alla convenzione stipulata con le autorità competenti le opere sono state sottoposte a restauronei laboratori dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino. A essere sinceri, in alcuni casi i danni riscontrati, cui si è posto egregiamente riparo, erano precedentiil sisma che ha colpito L’Aquila, interessando anche vari comuni delle attuali provincie abruzzesi. Ma èpacifico che le ferite si rivelano tanto più profonde proprio quando non si è posto adeguatamente riparoa situazioni di estrema fragilità e dove, con il trascorrere del tempo, il degrado è inesorabilmente avan-zato. Debolezze che riguardano non solo le architetture ma anche il patrimonio d’arte mobile, talvoltarimasto collocato al suo posto ma in condizioni di grande precarietà. Ad esempio il terremoto ha fattopeggiorare lo stato di conservazione di dipinti già allentati dai telai, magari attraversati da vecchi strappio tanto deboli da lasciar cadere strati di colore. Quelli proposti rappresentano naturalmente dei casi limite, perché non va sottaciuta l’azione di tutelaportata avanti nel tempo, invero troppo silenziosamente, dagli storici dell’arte e dai tecnici della So-printendenza nel territorio abruzzese, prevalentemente grazie ai fondi del programma ordinario del Mi-nistero per i Beni e le Attività Culturali. Oggi queste opere, dopo essere state sottoposte agli interventi conservativi presso i laboratori dell’Uni-versità degli Studi “Carlo Bo” di Urbino grazie al contributo dell’ANCI-Marche, vengono riconsegnatein condizioni di recuperata leggibilità ai legittimi proprietari, la diocesi di Sulmona/Valva - titolaredella gran parte - e l’Arcidiocesi dell’Aquila, per ritrovare al più presto la loro collocazione originarianei contesti di appartenenza, in quasi tutti i casi con una ritrovata identità grazie agli accurati studicondotti per l’occasione. Riflettendo sui piccoli, deliziosi centri dell’Appennino, qui coinvolti, un tempoassai vitali ma a partire dagli Anni Trenta in via di spopolamento, l’augurio è che questa positiva espe-rienza condivisa con tanti interlocutori diversi, in primis con Laura Baratin, infaticabile coordinatricedei corsi di restauro, possa rappresentare il viatico per rilanciare l’attenzione delle istituzioni nei confrontidi realtà che non possono essere lasciate nell’abbandono e condannate a estinguersi nel giro di qualchedecennio. In ultimo un sentito grazie a tutti.

LUCIA ARBACE

Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Abruzzo

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Il restauro delle opere d’arte abruzzesi rientra nel quadro della formazione nell’ambito della Con-servazione e Restauro dei Beni Culturali, problematica quanto mai attuale, visto l’avvio del Corso

di laurea quinquennale abilitante alla professione del restauratore. Urbino fa parte di un ambito territoriale dove è tradizionalmente radicata una forte vocazione artisticae culturale. La città è classificata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, il che comporta una mag-giore visibilità a livello internazionale, ma anche delle aspettative legate al fatto che in una cittàd’arte, con la presenza di una storica Università, ci debba essere qualcosa da offrire agli studenti sianel campo storico-artistico, che nella tutela e riqualificazione del patrimonio culturale.L’operazione di recupero, finanziata dai fondi raccolti dall’ANCI-Marche tra i comuni della nostraRegione, in collaborazione con l’ANCI-Abruzzo, attraverso una convenzione tra istituzioni ha portatoal restauro di diverse opere, sculture lignee, dipinti su tela, un orologio meccanico, un affresco e altro.L’attività è stata sviluppata nei due anni accademici 2009-2010 e 2010-2011, con la partecipazionedi più di settanta studenti, seguiti da diversi restauratori, con la collaborazione di numerosi colleghispecialisti nelle diverse attività di documentazione e diagnostica collegate agli interventi di restauroe sotto l’Alta Sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologicidell’Abruzzo.Attraverso questa iniziativa abbiamo voluto esprimere la solidarietà per i paesi terremotati contri-buendo al recupero di opere minori, ma di grande significato per la popolazione locale. Abbiamo vo-luto sottolineare che anche la cultura può essere considerata “un bene di prima necessità” da inseriretra gli impegni di prima assistenza, così come proposto, nel nostro caso, dalla Protezione Civile dellaRegione Marche.La collaborazione tra istituzioni diverse, inoltre, ha dimostrato che è possibile sviluppare delle azioniconcertate “in economia” per tutelare i beni culturali dando la possibilità di salvare anche opereinedite che inevitabilmente avrebbero seguito un destino di degrado e di abbandono.Gli studenti, infine, hanno potuto misurarsi nella didattica con un lavoro professionale esaustivo,dalle prime analisi fino alla sua esposizione finale con tutte le problematiche connesse, dimostrandoche anche nella formazione si possono raggiungere risultati eccellenti in “un concerto” di professio-nalità diverse rispettando la missione che le istituzioni di formazione debbono avere.

STEFANO PIVATO

Rettore dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

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Tra i vari gesti di solidarietà attuati dall’ANCI-Marche nell’ambito delle iniziative di aiuto or-ganizzate dal Dipartimento Nazionale di Protezione Civile della Regione, in occasione della

grave e disastrosa crisi sismica che colpì l’aquilano a cominciare dal tremendo terremoto del 6 apriledel 2009, vi è l’iniziativa di recupero conservativo e restauro di opere d’arte popolare: dipinti, scul-ture policrome lignee, affreschi e persino un orologio di torre civica.Le opere sottoposte al suddetto recupero provengono dai 14 comuni del COM 6 di Navelli (CentroOperativo Misto) affidati alla Regione Marche e appartengono all’Arcidiocesi dell’Aquila e alla Dio-cesi di Sulmona.L’idea di promuovere tale significativa operazione, a forte valenza culturale, è stata maturata nel-l’ambito del Direttivo Regionale dell’ANCI-Marche, dopo un confronto avvenuto con il Diparti-mento di P.C. della Regione Marche e con l’ANCI-Abruzzo ha permesso di stanziare i contributiversati dai Comuni marchigiani e di sottoscrivere, il 28 giugno 2010, una Convenzione con il ViceCommissario delegato per i Beni Culturali delle zone terremotate, il Direttore Regionale per i BeniCulturali e Paesaggistici dell’Abruzzo ed il Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoan-tropologici dell’Abruzzo.Le delicate operazioni logistiche sono state svolte con professionalità e apporto gratuito dalla Società“Artifex-Comunicare con l’arte” alla quale rivolgiamo un sentito ringraziamento, mentre tutti i re-stauri e la messa in sicurezza è stata effettuata dal Corso di Conservazione e Restauro dei Beni Cul-turali dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. La collaborazione con i professori e glistudenti che hanno eseguito i restauri è stata molto positiva. Tutte le operazioni conservative sonostate eseguite con un apporto veramente encomiabile volto a riportare in luce l’originale splendoredelle opere stesse. Questo esperimento di nuova forma di solidarietà è stato molto apprezzato anchedalle comunità che custodiscono le opere che fanno parte di quel ricco patrimonio di arte creatadalla devozione popolare presente in Italia. Questo catalogo sarà il documento che ricorderà quantofatto dall’ANCI-Marche, ma in particolare testimonierà l’apporto delle Amministrazioni Comunalidella nostra Regione.Dopo la Mostra dell’Abbazia di S. Spirito al Morrone di Sulmona, le opere saranno ricollocate neiluoghi d’origine e quindi alla contemplazione dei fedeli che da secoli le custodiscono.Siamo molto felici di essere riusciti a portare a termine il nostro progetto e anche di avere consolidatoulteriormente una collaborazione partita più di dieci anni fa con l’ANCI Abruzzo, nell’ambito delleiniziative di protezione civile “Codice Rosso”. Questa collaborazione, inoltre, ci ha permesso disperimentare le competenze e gli apporti professionali del Dipartimento Nazionale di ProtezioneCivile, delle Soprintendenze per i Beni Culturali e Paesaggistici nonché per i Beni storici, Artisticied Etnoantropologici dell’Abruzzo ed infine di tutte le persone che hanno operato presso il Corsodi Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.Ad Urbino abbiamo scoperto un mondo di giovani che amano l’arte e che svolgono le loro attivitàcon una grande passione che mette in luce un’indole ed un amore che non indietreggerà di fronte atragedie come quella del terremoto dell’Aquila.

MARIO ANDRENACCI

Presidente Anci-Marche

MARCELLO BEDESCHI

Segretario Anci-Marche

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Quando, a tre giorni dalla terribile scossa del 6 aprile 2009, il Capo del Dipartimento Nazionale dellaProtezione Civile mi chiese di prendermi la responsabilità di coordinare il COM 6 di Navelli, provai

due sentimenti contrapposti: da un lato la soddisfazione del riconoscimento di una professionalità; dall’altro,il timore di assumermi la grandissima responsabilità di dover “pensare” alla sicurezza e di accompagnarepoi al ritorno alle normali condizioni di vita, di circa 24.000 persone dei comuni del COM. Dopo due ore accettavo la sfida e per me iniziava una grande e significativa esperienza professionale che avràfine quando avrò concluso questo ultimo progetto: la restituzione delle opere raffigurate in questo catalogoalle comunità locali abruzzesi.Per chi non è avvezzo al vocabolario della Protezione Civile, è opportuno ricordare che il COM è una “strut-tura sovracomunale” che durante una calamità affianca le autorità locali e le assiste, molto raramente le so-stituisce, per gestire l’emergenza e aiutarle a ritornare alle normali condizioni di vita.In un primo momento ho affiancato i Sindaci nel costruire tendopoli, gestire cucine da campo, distribuirecoperte, scavare fogne, consigliandoli, sostenendo uffici tecnici, ed altro ma, quando, con il passare deltempo, dei mesi, queste esigenze primarie ed emergenziali erano man mano soddisfatte, mi sono chiestocosa potessi proporre e fare per aiutare le persone a non sradicarsi dal loro territorio devastato, come conso-lidare il loro senso di appartenenza e farle sentire di nuovo a casa loro. Stavo smontando tende convincendo le persone a tornare nelle loro case agibili, facevo il possibile anche perfar riaprire i bar dei paesi, far funzionare l’ufficio postale, e le scuole, cioè avevo finito di gestire la fase emer-genziale e cominciavo a programmare il ritorno alla “normalità”, quando mi ha telefonato il Direttore del-l’ANCI-Marche e mi chiese se avevo un’idea di un’iniziativa significativa da estendere all’intero COMaffidato alle Marche perché avevano raccolto un po’ di soldi. Al momento non avevo una risposta pronta maproprio quel pomeriggio mi trovavo nel meraviglioso centro storico di Castelvecchio Calvisio, nella zonarossa dove non ci doveva essere nessuno, invece vidi una donna anziana che spingeva la porta di una chiesa,per entrare. La porta non si aprì ed io ebbi il tempo di dire alla anziana signora che lì non poteva stare, chelì era molto pericoloso; questa mi guardò e mi disse in dialetto: “ qui c’è la statua del nostro Santo, noi dob-biamo pregare, quando la riaprite la nostra chiesa?” Tornando verso il COM riflettevo su quanto dovesse essere importante quella statua per quella anzianasignora e la sera stessa telefonai al Direttore e gli proposi di utilizzare il denaro raccolto dai comuni mar-chigiani per restaurare un’opera d’arte, “un simbolo”, di ciascuna comunità del COM: non era importanteche fosse una fontana, un quadro, un orologio, o che appartenesse al Comune o alla Chiesa, purché fosse si-gnificativo per la comunità che lo possedeva. L’idea mi è venuta dunque per caso, ma in questo periodo, passata l’emergenza, ho avuto la conferma del-l’importanza di restituire alle comunità colpite da calamità simboli, oggetti che fanno parte della loro iden-tità, della loro cultura, che li aiuta a ricominciare, a risorgere, a non sentirsi alienati da una calamità ben piùgrande di loro.Il salvataggio e la conservazione dei beni storici artistici pur non essendo il primo obiettivo di un COM, èindubbiamente uno di quelli molto importanti. Nella esperienza che abbiamo vissuto in Abruzzo, ci siamoriusciti e, grazie alla collaborazione con l’ANCI è diventata una realtà concreta che probabilmente farà scuolaall’interno del sistema nazionale di Protezione Civile. In questo caso il COM 6 di Navelli, è riuscito a farcollaborare Corpi ed Amministrazione dello Stato, Enti Locali, Istituzioni Religiose, Università, liberiprofessionisti, Esperti di Protezione Civile, rendendo possibile il recupero, la messa in sicurezza ed infineil restauro di simboli significativi delle comunità locali. Credo con questo di aver reso un buon servizio alla gente Abruzzese, alla quale io rimarrò sempre affetti-vamente legato. Oggi con la riconsegna di queste opere, considero definitivamente concluso il mio compitoin Abruzzo.

ARCH. ALBERTO CECCONI

Direttore del COM 6 di NavelliProtezione Civile della Regione Marche · Dipartimento Politiche Integrate di Sicurezza

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Sommario

12 Novità e spigolature dopo il restauroLUCIA ARBACE

18 Note su un territorioMARTA VITTORINI

23 Il terremoto dell’Aquila. Un’opportunità per riflettere su Giovanni Urbani e sulla crisi della teoria estetica del restauroBRUNO ZANARDI

37 Schede delle opere restaurate

148 La documentazione prima del restauro: una problematica apertaLAURA BARATIN

153 La documentazione diagnostica. Una riflessione sul rapporto tra la fotografia e il restauroSTEFANO MARZIALI

158 Il contributo delle indagini micro-invasive alla caratterizzazione stratigrafica delle opere abruzzesiMARIA LETIZIA AMADORI, SARA BARCELLI

164 Aspetti strutturali della conservazione dei dipinti su telaANTONIO IACCARINO IDELSON

171 Bibliografia

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Selezionate come testimonianze altamente simboliche per le comunità di appartenenza, prescindendodal valore storico artistico, le opere che sono state oggetto di restauro erano quasi tutte totalmente

sconosciute agli studi, ignorate persino dai più attenti ricercatori locali. Naturalmente prima dell’interventoconservativo una piena valutazione dell’opera era compromessa dallo stato di conservazione, in alcuni casiassai precario. Nondimeno è stato deciso di dedicare a ogni singolo reperto la massima attenzione possibile,avviando ricerche nelle biblioteche e negli archivi per reperire riferimenti storici e documentari che potes-sero far piena luce sulle committenze, sugli autori, sulle datazioni, sulla diffusione dei culti in un territoriooggi in larga parte appartenente alla Diocesi di Sulmona-Valva. Una squadra di storici dell’arte, funzionari di Soprintendenza e giovani studiosi, si è messa al lavoro pro-ducendo risultati di tutto rispetto. A rileggerle tutte di fila queste schede, si percepisce pienamente il grandeimpegno profuso dagli autori nel seguire la principale indicazione data, ossia aprire le prospettive di ricercaa trecentosessanta gradi senza tralasciare nessuna possibile traccia, da quelle fornite da un’attenta letturaiconografica alla realtà economica e sociale della località di appartenenza. Anche l’opera giudicata a prima vista rozza e modesta è stata quindi oggetto di una capillare verifica, ana-lizzata nell’ambito del contesto generale e senza preconcetti. Sicché persino la tela raffigurante L’educazionedella Vergine (cat. 15), dipinta su un lenzuolo – che certo è tutt’altro che un capolavoro, anzi è caratterizzatada quella semplificazione istintiva che generalmente connota l’arte popolare - a seguito di una riflessionesupplementare ha ritrovato il suo intrinseco valore smarrito, come testimonianza del processo di alfabe-tizzazione avviato in Abruzzo nel corso dell’Ottocento, probabilmente auspicato da qualche devoto o daqualche religioso in quella realtà allora assai prospera grazie ai commerci dei prodotti locali. Quale miglioremanifesto ‘promozionale’, per una comunità che doveva trovare nell’istruzione una leva per la propria cre-scita economica, di una pala d’altare dai tratti ingenui in cui la giovane allieva è proprio la Madonna, inqueste valli amatissima e principale icona di fede da tanti secoli?Ad esempio, in Abruzzo un culto mariano molto diffuso è rivolto alla Madonna delle Grazie, raffiguratanella tela di San Benedetto in Perillis (cat. 3) mentre apre magnanimamente il proprio mantello per acco-gliere i membri di un arciconfraternita, “trepidanti in preghiera”, assieme ai santi Celestino V e Benedetto.Questo gesto di protezione e di condivisione trasmette in maniera eloquente l’appello alla Vergine Mariaaffinché elargisca grazie legate soprattutto alla salute, come titolare di una profonda devozione che raffor-zava i benefici dell’annesso ospedale, non a caso edificato appena dopo la cruenta discesa, lungo la viadegli Abruzzi verso Roma, delle truppe pontificie e imperiali, le quali seminarono ovunque devastazionee terrore. Lo studio attento di Marta Vittorini ha messo in rapporto questa tela inedita di cui s’ignora l’ori-ginaria collocazione - un tempo ancorata al soffitto in maniera del tutto precaria - all’attività di un maestroben noto, attivo tra Roma e Napoli nei primi decenni del Seicento: Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Ar-pino, di cui la stessa autrice s’è occupata in occasione del restauro dello straordinario dipinto raffiguranteL’apparizione dell’Immacolata a San Francesco, della chiesa parrocchiale di Luco dei Marsi. Purtroppo lo statodi conservazione attuale, sebbene di gran lunga migliore in termini di leggibilità rispetto alle condizioniante restauro, non permette di dissipare qualche residuo dubbio a favore di una piena autografia, sicché siè preferito proporla prudentemente come opera realizzata all’interno della bottega. Un culto strettamente legato alle infermità è anche quello ben noto e di antica origine per Sant’AntonioAbate, se gli Ospedalieri si erano specializzati nella cura dell’Herpes zoster, il cosiddetto Fuoco di Sant’An-tonio, utilizzando proprio il lardo del maiale. Generalmente allevato in casa in ogni comunità contadinaper la varietà dei possibili utilizzi dell’intera bestia, dalle carni al crine, il porco accompagna appunto ilsanto eremita proveniente dall’Egitto. Nella lunga scheda a doppia firma dedicata della scultura di Calascioancora di impianto tardo rinascimentale (cat. 4), è narrato tra l’altro il rito purificatore, propiziatorio peril raccolto, il quale consiste nell’accensione delle farchie che segue la tradizionale benedizione dei maiali inmolti centri montani non solo abruzzesi nella ricorrenza del 19 gennaio. Un’altra interessante scultura è il San Francesco che riceve le stigmate della parrocchiale di Castelvecchio Calvisio(cat. 10) che grazie alla foto rintracciata negli archivi della Soprintendenza è possibile proporre nella suaoriginaria collocazione, quando era posizionata contro una parete rivestita da una roccia naturale e il santogià non era più in compagnia del frate Leone – andato disperso – che “assisteva ammirato” al miracolosoevento, come chiosa la Gabbrielli, unica studiosa a citare quest’insieme eccentrico e raro fino alla dettagliatascheda di Emilia Ludovici che proponiamo in questa sede. La diffusione del francescanesimo negli antichi Abruzzi è cosa ben nota e non sorprende quindi di trovare

Novità e spigolature dopo il restauroLUCIA ARBACE

Tav. I. Santo Stefano di Sessanio(AQ) (m 1251 s.l.m.), 2007

Tav. II. Caporciano (AQ)interno dell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco

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nell’ambito di questo ristretto gruppo di opere sottratte al degrado, oltre alle due sculture appena citate,ulteriori testimonianze legate a complessi monumentali di assoluto rilievo, eretti dai diversi rami dellagrande famiglia monastica. Una delle più interessanti facciate di monumenti francescani nella regione èsenz’altro quella della Chiesa di San Francesco a Popoli, soprattutto per l’apparato scultoreo del registroinferiore tardo gotico. L’impatto è veramente mozzafiato soprattutto per il magnifico rosone rinascimentalein cui campeggia al centro lo stemma Carafa-Cantelmo limitato da sei comparti divisi da balaustrini che li-mitano originalissime cornucopie con capitelli a fogliami, mentre la tripla cornice esterna ingloba quattrorosoni più piccoli con i simboli degli evangelisti a rilievo. Da questa chiesa, che purtroppo ha perso le suesuppellettili più preziose, provengono ben due opere. Il Trittico con la pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo(cat. 9) è un’ opera che oggi suscita commozione. Probabilmente danneggiatisi i dipinti quattrocenteschi(?) raffigurati nel comparto centrale cuspidato e nelle due valve laterali richiudibili, la struttura lignea èstata riutilizzata e nuovamente dipinta. In occasione dell’intervento conservativo è stato deciso di rispettarela redazione più tarda, vicina a Domenico Gizzonio secondo Sergio Caranfa, che peraltro propone iconedi culto caratterizzate da accenti popolari, ormai divenute assai care alla comunità. Ben più rilevante è ilCompianto di Popoli (cat. 2), un singolare gruppo in legno scolpito e dipinto in policromia strettamentecollegato a quell’eccentricità di visione che ispira e lega le esperienze artistiche lungo le due sponde del-l’Adriatico negli anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Come ha messo bene in luce Mauro Congeduti, l’Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova (cat.7) è legata ai ripetuti eventi sismici che hanno funestato la storia dell’Aquila. Nel corso dei violenti fenomenitellurici che atterrirono la popolazione tra il marzo e il giugno 1646, si registra infatti un improvviso revivaldel culto di Sant’Antonio da Padova, che trabocca clamorosamente al di fuori dei suoi tradizionali centridi diffusione, costituiti dalle principali fondazioni francescane della città, divenendo il quinto protettoredella città, amatissimo anche a causa dei prodigi, operati attraverso una sua “divina figura” dipinta da Fran-cesco Bedeschini, nell’oratorio dei Signori Cavalieri de Nardis, poi traslata in una nuova chiesa eretta perl’occasione edificio sacro e oggetto di repliche da parte dello stesso autore, tra le quali si colloca questa inesame che era stata depositata presso la Chiesa del Suffragio, prima di essere trasferita in San Flaviano. Tra i principali santi oggetto di devozione in Abruzzo è San Giovanni da Capestrano, il grande predicatorecarismatico dell’Osservanza francescana che diffuse la lezione di San Bernardino da Siena fondando nu-merosi monasteri in tutta la regione. A giudicare dagli altari a lui dedicati e alle opere d’arte che lo raffigu-rano, il santo aveva guadagnato cultori per l’intero Seicento venendo tra l’altro effigiato dai principali artistidi vaglia attivi nel Regno di Napoli, come ad esempio dal celebre Luca Giordano. L’enfasi che ispira il dipinto proveniente dal convento di Capestrano, intitolato al santo nella città natale,la Visione di San Giovanni da Capestrano (cat. 5), traduce in termini semplificati una lezione più colta, chenon sembra estranea all’intensa attività dei Bedeschini, tanto è vero che sembrerebbe plausibile pensare sitratti di una replica di bottega da un originale perduto. Avvalora questa possibilità la complessa tessituraiconografica, la quale rimanda alla fervida attività esercitata da San Giovanni da Capestrano nella lontanaBelgrado, al pari dei cicli affrescati dedicati al santo in altri conventi dell’aquilano. Un’analoga riflessionesollecita anche la Strage degli Innocenti (cat. 7) appartenente alla chiesa di san Sebastiano di Navelli, per laconcitazione della scena di gusto ancora manierista che evoca analoghe composizioni sviluppate da GiulioCesare Bedeschini e da meno noti maestri locali che, non di rado aiutandosi con stampe e disegni, ripro-ponevano i modelli di successo ideati dai più celebrati artisti. C’è il sospetto che l’autore abbia fatto ricorso a invenzioni altrui anche nel caso di almeno le prime duedelle tre tele ancora in cerca d’autore: la Natività, datata 1741 della chiesa di San Nicola di Bari a Calascio(cat. 11), e i due dipinti provenienti da Carapelle Calvisio, raffiguranti l’Immacolata con le anime purganti(cat.13) e San Carlo Borrromeo, San Filippo Neri, San Michele Arcangelo e la Trinità (cat.8). Per quest’ultima, diqualità più sostenuta, le ricerche di Anna Colangelo hanno prodotto un eccellente risultato: addirittura lascoperta dell’anno dell’intitolazione dell’altare, che fornisce un appiglio cronologico importante per l’operastessa, sicuramente realizzata dopo quella data. Se questi ultimi tre dipinti sono rimasti anonimi, le ricerche sono approdate a risultati più gratificanti inaltre circostanze. La Madonna che presenta l’effigie di San Domenico (cat. 12), è stata correttamente assegnata aTeresa Palomba (notizie 1748-1773) da Giovanni Villano. E l’autore del San Michele Arcangelo, Santa Luciae Sant’Anna (cat. 14), dopo che la pulitura ha rimesso in luce la data 1808 e la firma, ha ora una precisaidentità. Si tratta di quel Vincenzo Conti, vissuto per un mezzo secolo negli anni a cavallo tra Otto e No-vecento, assai attivo in numerose località dell’Abruzzo, come ci racconta Alessandra Giancola. L’antologia di opere qui proposte ha svariati motivi d’interesse, oltre a quelli più specificamente connessial restauro. Si scopre così la fortuna del culto per Santa Filomena - una santa poi espulsa dal calendario –a seguito degli eventi miracolosi nel 1831. Tale data illumina sull’epoca della realizzazione della interessantescultura lignea di Bussi sul Tirino (cat. 16) che conserva intatta una vivacissima policromia e l’incarnato di

Tav. III. Popoli (PE)particolare della Facciata della Chiesa di San Francesco

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porcellana. E ancora dell’esistenza di un complesso orologio a Villa Santa Maria (cat. 17) e di un Oratorioancora in attesa di un adeguato intervento conservativo, che potrebbe peraltro riportare in luce dipintimurali di non secondario interesse (cat. 18). Certo che a girare per l’Abruzzo le sorprese non mancano: una tra tutte è provocata dallo stupefacente in-terno dell’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco, adorno tra l’altro di un raro calendario e di affreschi deltutto in linea con quelli della Chiesa dei Quattro Santi Coronati a Roma. Proprio da questo gioiello d’arteproviene il piccolo affresco con l’Ecce Homo (cat. 1), staccato in occasione dei restauri degli Anni Trenta,che apre il nostro catalogo, scaturito da una serie d’atti d’amore.

LUCIA ARBACE

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Le opere esposte nella mostra Restauri d’arte: opere dell’Abruzzo recuperate dopo il sisma sono piccoli e frammentaritasselli di un territorio, testimonianze figurative di un mondo variegato e allo stesso tempo omogeneo. Vicende

storiche e condizioni attuali disegnano i comuni contorni dei paesi dell’Altopiano di Navelli, di Campo Imperatore,della Valle del Tirino: oggi borghi suggestivi, tappe di un itinerario turistico ricercato, compromesso in gran partedal terremoto del 2009; un tempo centri di una fervida attività economica agro-pastorale, posti lungo vie di comu-nicazione vitali, i tratturi. La civiltà della transumanza rappresenta il comune tratto identitario di questi luoghi: ilmovimento delle greggi verso la Puglia, lo scambio delle merci nelle fiere, l’incontro di culture e devozioni dipingonoun mondo economico e sociale fatto di grandi masserie e di semplici pastori, di rapporti familiari che si allentanonel periodo passato nel Tavoliere, di rassicurazioni offerte da una devozione genuina che trova la sua rappresenta-zione nei numerosi santuari che costellano le vie verso la Puglia1. Dietro il grande movimento delle greggi è l’attivitàdei centri monastici, dai benedettini ai Camaldolesi di San Nicola a Corno ai cistercensi di Santa Maria del Monteal nuovo ordine dei celestini; dei feudatari, che avevano in concessione ampie porzioni di territorio, e delle grandifamiglie armentizie. Le abbazie, nate tra l’VIII e il X secolo per iniziativa dell’imperatore o dei signori locali, si fanno promotrici di unavivace attività di messa a coltura e di allevamento, riuscendo nel corso del tempo a moltiplicare le loro dipendenzee ad acquisire pertinenze in luoghi strategici nei percorsi viari della transumanza. La presenza di celle e di curtes deigrandi monasteri di Montecassino, Farfa e San Vincenzo al Volturno favorisce la ripresa dell’economia, che acquistanuovo vigore dopo la parentesi longobarda, quando la dominazione normanna favorisce la riunificazione della re-gione in precedenza divisa tra i Ducati di Spoleto e di Benevento2. Le abbazie benedettine erano proprietarie di vaste estensioni di terreni, esercitando un vero e proprio potere sulterritorio in antagonismo con i feudatari. I possedimenti di San Pietro ad Oratorium, la cui esistenza è attestata giànel 752 (anno a cui risale la conferma di Stefano II ai Volturnensi), si estendevano in Capestrano, Ofena, nellaValle di Bussi, Castel del Monte. Il monastero di San Benedetto in Perillis, secondo quanto attestato in un breve diClemente III del 1118, aveva pertinenze a Popoli, Bussi, Collepietro, Navelli, Caporciano, Acciano, Molina, Civi-taretenga. In una bolla del 1264 viene nominato tra le chiese soggette a Santa Maria di Bominaco, per poi essereincorporato al Monastero di Collemaggio, diventando in tal modo una grancia dei Celestini.Ma furono i Camaldolesi di San Nicola a Corno, seguiti dai Cistercensi di Santa Maria di Casanova, a svolgere, apartire dalla seconda metà del XII secolo, una pionieristica attività pastorale sul Gran Sasso. Entrambi i centri mo-nastici non limitavano i loro possessi al territorio abruzzese, estendendoli lungo le vie della transumanza, segno diun coinvolgimento nella florida attività armentizia che avrebbe costituito il motore economico principale per oltrecinque secoli. San Nicola a Corno, in un documento del 1255, rivendica possessi a Guglionesi e Termoli, insiemeall’esenzione del diritto di dogana e di pedaggio. Santa Maria di Casanova fu dotata di vasti possedimenti dai suoifondatori, il conte Berardo e la contessa Margherita, confermati da Federico II con un diploma nel 1222 in cui sifa elenco di tutte le grance che dipendevano dal monastero medesimo, disegnando la mappatura di una vera e pro-pria “azienda” organizzata su un ampio territorio, che comprende in terra abruzzese Santa Maria del Monte Paga-nica, dove ancora oggi si possono osservare i recinti murati di stazzi per il bestiame, e lungo il percorso tratturalela Badia di Santa Maria nelle isole Tremiti (avvicendandosi ai Benedettini nel 1263) e il monastero di Santa Mariadell’Incoronata (nel 1218)3.Protagonisti altrettanto solerti nella florida economia pastorale erano i Celestini: che l’ordine fondato da Pietro delMorrone fosse dedito all’attività della transumanza è evidente da un diploma di Carlo II, indirizzato agli officialesdel regno, in cui ordinava che ai frati del Monastero di Santo Spirito del Morrone fosse concessa la libertà di con-durre gli armenti fuori dal regno senza essere soggetti a balzelli4. Sul tratturo L’Aquila - Foggia si collocano numerosimonasteri celestini, tra cui Santa Maria di Collemaggio, in cui si raccoglievano i pastori del territorio aquilano ereatino al momento della partenza per il Tavoliere, l’Abbazia di Santo Spirito al Morrone, Santo Spirito di Lanciano,Santa Maria e San Benedetto di Trivento5.Altra grande realtà che disegna le dinamiche politico-economiche del territorio è quella dei potentati locali che, apartire dall’istituto del gastaldato, verranno a configurarsi come feudi in antagonismo al potere centrale e a quelloabbaziale, per poi acquisire, nel XV secolo, sotto il dominio aragonese e poi sotto quello spagnolo, la fisionomiadi aristocrazia fondiaria e di unità amministrative dello Stato.La Baronia di Carapelle, costituita dai suffeudi di Carapelle, Castelvecchio Calvisio, Santo Stefano di Sessanio eCalascio e dal marchesato di Capestrano vedono avvicendarsi la dominazione degli Acquaviva nel XIV secolo epoi dei conti dei Marsi, con Pietro Berardo, per essere acquisiti, nel 1478, da Antonio Todeschini Piccolomini,conte di Celano. Nel 1579 sono venduti da Costanza, duchessa di Amalfi, a Ottavio Cattaneo e poi a Francesco

Note su un territorioMARTA VITTORINI

Tav. IV. Veduta diCastel del Monte (AQ)(m 1346 s.l.m.), 1992

Tav. V. Facciata della chiesa del Monastero di San Benedettoin Perillis (AQ), 2012

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dei Medici nel 1595, insieme a Castel del Monte e Ofena, acquisendo la denominazione di Principato6.A Popoli dominano i Cantelmo, venuti al seguito di Carlo d’Angiò. Restaino, nel 1377, acquisisce il Castello diBussi, che rimane sotto i Cantelmo fino al 1579, quando viene venduto da Ottavio a Pietro Pietropaoli, barone diNavelli, che, a sua volta, nel 1599, lo cede al Gran Duca di Toscana7. Questa breve e parziale presentazione mostra come il territorio in esame, se osservato dal punto di vista delle vasteconcentrazioni di possedimenti che facevano capo ai centri religiosi monastici e dei potentati che andavano a riuniresotto un unico feudatario ampi territori, si presenti meno frammentato e meno irriducibile a coordinate unitarie diquanto possa sembrare a chi ne conosca la condizione attuale. La realtà di abbandono e impoverimento, che ca-ratterizza per lo più gli ultimi due secoli, non corrisponde alla realtà territoriale che produce le opere che oggi ven-gono presentate in mostra come specchio di un territorio. La dialettica tra ordini monastici e grande feudalitàdisegna un territorio dalla vivace economia agricolo-pastorale, da cui emergono, svincolandosi dalla condizione diasservimento del periodo longobardo-carolingio, famiglie di proprietari e mercanti, dediti ad un’attività che si con-figura, nel XV secolo, come imprenditoriale, e una scala gerarchica di figure che va dai massari, che gestisconol’“azienda” per conto del padrone, ai vergari, responsabili del movimento delle greggi transumanti. Accanto all’attività economica svolta da benedettini, camaldolesi, cistercensi e celestini, non è da considerare tra-scurabile la presenza di ordini religiosi che, se non sono direttamente coinvolti nell’economia pastorale e nelle di-namiche politico-territoriali, certamente svolgono un ruolo propulsore dei centri in cui sorgono i loro conventi. Edominante a partire dal XV secolo è il proliferare di quel movimento religioso che nasce in seno al francescanesimocon intento riformatore, l’Osservanza8. Il convento di San Francesco a Capestrano e quello di Santa Maria delleGrazie a Calascio, insieme a San Francesco a Carapelle Calvisio sono esempi della presenza francescana osservantee conventuale nel territorio, che fanno seguito alle importanti fondazioni aquilane di San Giuliano e di San Ber-nardino. Gli Osservanti sono a latere di un mondo economico ormai vitale, rappresentato da un ceto mercantilecon vocazione imprenditoriale, che sostiene l’ordine e le sue fabbriche e trova nella predicazione dei nuovi france-scani un sostegno e una difesa all’attività economica mercantile. Il convento di San Francesco a Capestrano traegrande lustro dalla fama del suo fondatore, predicatore dal respiro internazionale, al servizio della Santa Sede. Epartecipa del mondo economico circostante, se non con l’attività armentizia, come anello che di quella si nutre,istallando un lanificio al proprio interno.Una feudalità che detiene il dominio su un territorio per generazioni, ricche famiglie armentizie, un solido cetomercantile, ordini religiosi attivi nell’economia territoriale, universitates eredi dei castelli di fondazione medievale ren-dono la committenza artistica variegata. Il Principato dei Medici (oltre alla parentela con la famiglia Bedeschini)promuove l’attività di Bernardino Monaldi a Carapelle e a Castel del Monte e altre commissioni in Abruzzo, mentrepiù generalmente la presenza di ricche famiglie armentizie dà ragione della commissione di opere di alta qualitàper ornare altari e cappelle9. A questo proposito occorre menzionare il ruolo delle confraternite, nel cui inventariodi beni figurano spesso armenti, a riprova del potere economico che detenevano nel contesto dell’economia pa-storale e della capacità di finanziare ristrutturazioni e opere d’arte.A Castel del Monte esistevano anticamente due confraternite, quella del SS. Sacramento e quella della Concezione,poi scomparse; nel 1685 fu fondata la “Compagnia delle Anime del Suffragio di Castel del Monte”, trasformata inCongregazione nel 1825, e nel 1791, ad iniziativa dei pastori, la confraternita di Santa Maria Annunziata di Picciano,nella chiesa di Santa Caterina Martire10. A Calascio, all’inizio del 1700, la confraternita della cappella del Rosariopossedeva armenti praticando la transumanza con cospicui utili11. Confraternite del Suffragio vengono istituite nelXVII secolo, oltre che a Castel del Monte, a Capestrano, Ofena, Castelvecchio Calvisio, Carapelle, Santo Stefanodi Sessanio. Alla presenza di queste associazioni laicali è legato il prevalere nelle committenze artistiche di contenutie tendenze stilistiche di stampo controriformista e la presenza di soggetti legati alle finalità delle confraternite,come la salvezza delle anime attraverso i sacramenti e le preghiere. Nelle sacre immagini troviamo personaggi in-cappucciati accanto a figure in adorazione, evidente allusione alla confraternita che, a scopo devozionale o cate-chetico, e per proprio lustro, ha commissionato l’opera. Non stupisce allora di vedere, in una tela in deposito aSanta Maria delle Grazie in San Benedetto in Perillis, la Madonna che accoglie sotto il suo mantello Celestino V eSan Benedetto, insieme ai membri della confraternita che aveva commissionato l’opera, celebrando i due ordinimonastici che si erano avvicendati nel monastero dedicato a San Benedetto, e lasciando traccia di sé e della devo-zione alla Madonna delle Grazie, che dal 1530 era venerata ed esercitava la propria protezione in quei luoghi, rap-presentata nella veste iconografia della Madonna della Misericordia.

Tav. VI. Navelli, (AQ)particolare, 1987

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Note:1 - Sul fenomeno della transumanza vedi: CAPEZZALI 1982; PAOLINI,in L’Abruzzo 2002, pp. 41-54. Sulle fiere vedi MILLEMACI, in L’Abruzzo2002, pp. 55-74.2 - CLEMENTI, in Celestino V 1988, pp. 240-242; ID., in La civiltà 1999,pp. 429-432.3 - Santa Maria del Monte di Paganica era una grancia di Santo Spiritod’Ocre, monastero fondato nel 1222 dal Beato Placido da Roio su unterreno donato da Bernardo, conte di Ocre, e passato all’osservanzacistercense alla morte del fondatore. Dal cenobio di Ocre dipendevaanche San Benedetto alle Cafasse (l’attuale convento francescano diSan Nicola ad Arischia). Vedi CLEMENTI, in Civiltà medioevale 1990, pp.241-250. Sui Camaldolesi vedi SIMARI, in Omaggio 1975, p. 281; GIU-STIZIA 2005, pp. 260-273. Sui Cistercensi vedi CLEMENTI, in CelestinoV 1988, pp. 244-248; ID. 1991, pp. 111-118; ID., in La civiltà 1999, pp.432-436; VALERI 2000, p. 185. 4 - CLEMENTI, in Celestino V 1988, p. 25; ID., in La civiltà 1999, pp. 438-440.5 - GRÉGOIRE, in I Celestini 1996, pp. 11-20; DI VIRGILIO, in DELTEN-SEMBLE 2008, pp 191-228.6 - CLEMENTI 1991, pp. 103-104.7 - LATTANZIO 1979, pp. 18-20.8 - Conventi dell’Osservanza, a partire da quello di San Giuliano, fon-dato nel 1415, si diffondo a macchia d’olio lungo il secolo XV e il XVIin tutto il territorio abruzzese, occupando monasteri benedettini, comeè il caso di Santa Maria delle Grazie a Teramo (1448) o Santa Mariadei Lumi a Civitella del Tronto, primo insediamento francescano della

città (1466), Sant’Angelo d’Ocre (1479 o 1480), Santa Maria del Cro-gnale a Propezzano (1583), o cistercensi, come San Nicola ad Arischiao Santa Maria di Frisa a Lanciano (1424), o insediandosi con nuovecostruzioni: è questo il caso, tra gli altri, di San Bernardino a L’Aquila(1454), San Francesco a Capestrano (1447), Santa Maria della Pace adOrtona (1440), San Bernardino a Campli, Santa Maria delle Grazie aOrsogna, San Francesco di Caramanico (1448) e, sul finire del XVI se-colo, Santa Maria del Paradiso a Pizzoli (1575), Sant’Antonio Abate aRapino (1589), la Santa Concezione a Pacentro (1589), San Francescoa Barrea (1590), Santa Maria delle Grazie a Calascio (1594), raggiun-gendo in territorio abruzzese il numero di 46. Fenomeno di rilievo ap-pare anche quello delle fondazioni conventuali, tra cui San Francescodi Carapelle Calvisio (1459) e Sant’Antonio di Padova a Civitaretenga(1489). Vedi SALIMBENI 1993, pp. 100-108.9 - A Castel del Monte realizza nella chiesa di San Giovanni Battista,in un altare laterale, un dipinto raffigurante il Santo, su commissionedel Principe Francesco Antonio dei Medici, nel 1585. Leosini menzionauna Nascita di Cristo in San Massimo e una Nascita della Vergine nellachiesa di Santa Maria della Consolazione di Poggio Picenze (datata1595). E’ firmata e datata al 1598 la pala con la Pentecoste della chiesadell’Annunziata di Sulmona. Vedi LEOSINI 1848, pp. 143, 280; SULLI1979, p. 74.10 - Vedi SULLI 1979, pp. 91-98.11 - GIUSTIZIA 1982, p. 270. Vedi Arch. Com. di Calascio, busta 7, cat.II, cl. I, fasc. 12, Libro della Venerabile Cappella del Rosario di Calascio(1696-1709).

Tav. VII. Veduta di Calascio (AQ), 2012

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Il 20 giugno del 1964 Giovanni Urbani pubblica sul settimanale «Il Punto» un articolo dal titolo «Perun’archeologia del presente»1. È il testo con cui egli conclude la sua meditazione sul rapporto tra «arte

del passato e arte d’oggi», iniziata nella metà degli anni ’50, quando viene chiamato a scrivere d’arte con-temporanea su quello stesso settimanale2. Al fondo dell’interrogarsi di Urbani, cioè la figura che con maggiorspessore di pensiero ha varcato l’orizzonte di restauro, conservazione e tutela del patrimonio storico e ar-tistico nell’ultimo mezzo secolo, pur se da tutti inascoltato, è però sotteso un altro e ben più decisivo quesito.Se il vaticinio hegeliano della morte dell’arte sia giunto al punto d’arrivo, quindi se l’arte rappresenti defi-nitivamente un passato senza più collegamenti con la produzione artistica del presente. In caso affermativo– questa la conclusione di Urbani, – la conservazione dell’arte del passato diviene heideggeriano destino,cui gli uomini d’oggi non possono in alcun modo sottrarsi, pena la perdita della possibilità stessa del loroaccesso a quel manifestarsi della verità in opera che è l’arte. Inappellabile il giudizio negativo sulla produzione artistica contemporanea formulato in quell’articolo, omeglio breve saggio, che una volta di più conferma il debito di pensiero con Heidegger, del quale Urbanifu precocissimo cultore in Italia, già negli anni ’50 se non prima ancora3. Ma che anche appare in indipen-dente sintonia con l’interrogarsi sulla storia dal punto di vista di «una archeologia delle scienze umane»,che condurrà due anni dopo il Michel Foucault di Le parole e le cose a voler ‘scavare’ lo strato storico in cui«le cose [iniziano] a non richiedere al loro divenire che il principio dell’intelligibilità, abbandonando lospazio della rappresentazione»4. Due punti di vista tra loro, torno a dire, indipendenti, ma omogenei, chetrovano sintesi in Giorgio Agamben, allievo in qualche modo di Urbani, come subito sotto attesto, e cheda Foucault, come lui stesso afferma, «ho avuto modo di apprendere molto», il quale così scrive nel 2008,presentando il suo Signatura rerum5:

Ogni ricerca nelle scienze umane (…) dovrebbe implicare una cautela archeologica, cioè regredire nel proprio percorso finoal punto in cui qualcosa è rimasto oscuro e non tematizzato. Solo un pensiero che non nasconde il proprio non-detto, ma in-cessantemente lo riprende e lo svolge, può, eventualmente, pretendere all’originalità.

Ed è forse è il caso anche di sottolineare come Urbani, sostanzialmente privo di allievi (nei fatti, nessunfunzionario dell’ICR lo fu, con la sola eccezione, per certi versi, di Michele Cordaro, sperando che questovero e proprio vulnus nelle cultura della tutela in Italia sarà presto risarcito dall’Università di Urbino), propriosul pensiero di Heidegger trova seguito nell’incontro, avvenuto per caso, nel 1963, in casa di comuni amici,con un giovanissimo Giorgio Agamben, allora poco più che ventenne, ma nel 1964 «Apostolo Filippo» inIl Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (con lui, Enzo Siciliano, J. Rodolfo Wilcock, Natalia Ginzburg,Alfonso Gatto, Mario Socrate e pochi altri), nel 1966 e nel 1968 presente ai seminari di Heidegger a LeThor, Agamben, che nel 1969 dedica – a stampa – «A Giovanni Urbani come testimonianza di amicizia edi riconoscenza» il suo primo saggio in volume, L’uomo senza contenuto, e che così, nel 2009, ricorda quelloro antico sodalizio6:

Ho conosciuto Giovanni Urbani a Roma nel 1963. Avevo allora ventun anni e Giovanni, se ben ricordo, trentotto. Lonta-nissima, quasi prestorica, la Roma di quegli anni, così dolce, reticente e povera, mi appare ora nella memoria come divisa indue mondi, ciascuno dei quali era retto da un implacabile snobismo. (…). Fu nel secondo [di quei mondi], per me decisamentemeno familiare, che una sera incontrai per caso Giovanni. La sua ascetica, leggendaria eleganza, la sua sprezzatura curiosa-mente segnata da una nota di irriducibile estraneità non ebbero difficoltà a conquistarmi. Malgrado la sua esigente mondanità,compresi subito che il suo daimon non era Swann, ma, come del resto seppi più tardi da lui stesso, Lord Jim, cioè un uomola cui vita è stata per sempre adombrata da una colpa non veramente commessa.

Come ogni vero snobismo («nessun animale può essere snob»), lo snobismo di Giovanni era innanzitutto un’acutissima per-cezione del carattere storico – e quindi anche frivolo, cioè friabile e caduco – di ogni fenomeno umano e, conseguentemente,un’altrettanto scontrosa intolleranza per chi non sa leggere le segnature storiche dell’accadere. Nella Roma, nell’Italia diallora (come in quella di oggi) le persone in grado di leggere queste segnature erano rare ed erratiche e lo snobismo di Gio-vanni aveva molte e non certo liete occasioni di esercitarsi. E ho sempre pensato che non poteva essere un caso che unuomo dotato di un tale particolare snobismo dovesse per mestiere occuparsi dei segni che il tempo lascia sulle cose (…).Comunque sia, Heidegger divenne il “nostro” autore, una sorta di talismano esoterico la cui amara esclusività era garantita

Il terremoto dell’Aquila. Un’opportunità per riflettere su Giovanni Urbani e sulla crisi della teoria estetica del restauroBRUNO ZANARDI

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dal fatto che quasi nessuno nella cultura romana (e, forse, italiana) di allora era in grado di condividerlo con noi.

Mentre così sono l’inizio e la chiusa dell’addio dato da Urbani all’arte d’oggi nel suo saggio pubblicato su«Il Punto» nel 1964, quarantotto anni fa7:

Le montagne partoriscono spesso dei topolini. Non ci sarebbe da meravigliarsi se tutto ciò che nell’evoluzione dell’arte con-temporanea sembra avere peso e sostanza d’evento storico, dovesse un giorno risultare esattamente il contrario della storia:un informe canovaccio di azioni irrilevanti e senza peso, una cronaca incolore intessuta di fatti minimi e sempre uguali (…).

Resta quello che si diceva da principio: la possibilità che questa finta storia così rapida e zelante nel seguire passo passo il suofinto percorso, arrivi all’ultima tappa e riesca a vedersi come sicuramente apparirà un giorno: un’immensa pagina grigia, unalunghissima parentesi in cui lo strepito e il furore dei suoi mille finti eventi si ricompongono nella compattezza sorda e indif-ferenziata d’uno strato archelogico. Questo strato che è il presente; umano e vero solo se si riuscirà a «scavarlo», se si riusciràcioè a fare terra delle sue illusioni e a disseppellirne gli stupidi idoli come povere suppellettili da cui, caduto il mito, resti con

la polvere e indistruttibile come essa, la traccia di ciò che realmente siamo.

Il breve viaggio di Urbani nell’arte d’oggi, a cercare le ragioni per la conservazione dell’arte del passato,trova nel 1960 il suo anno più fecondo. Nel marzo, egli tiene infatti alla Galleria Nazionale d’Arte Modernadi Roma una conferenza in cui porta a forma compiuta la sua meditazione sul senso dell’arte d’oggi, in par-ticolare sulle ragioni della completa autonomia formale dell’astrattistismo. Titolo della conferenza, ma giàun giudizio, La parte del caso nell’arte d’oggi8. Né per lo storico dell’arte romano «il caso» è esito dell’inconsciocome per il surrealismo, «le hasard, divinité plus obscure que les autres» del Manifesto di Breton9. Nemmenoè dato formale già storicamente presente nella «invenzione degli spazi che da Caravaggio, attraverso Rem-brandt e Turner, conduce fino all’‘Informale’», come sosterrà qualche anno dopo Francesco Arcangeli, conun’iperbole suggestiva, ma più letteraria e fantasiosa, che critica10. Per Urbani «il caso» irrompe nella pro-duzione artistica d’oggi come portato del destino, inevitabile conseguenza del modo di oggettivare il realeindotto dalla tecnica moderna. Il che conduce l’arte astratta a «sfondare ‘il muro del visibile’» e a assemblare,inevitabilmente a caso, ciò che di là da quel muro trova. Un ragionare che, di nuovo, appare in stretta ade-renza al pensare di Heidegger11:

A cancellare le apparenze del mondo dalla pittura [d’oggi] non sono state la teoria della relatività o quella dei quanta, ma ciòche ha reso possibili anche queste scoperte scientifiche: ossia, semplicemente, il modo che ognuno di noi ha di porsi di fronteal reale. Questo modo, che è anche detto della rappresentazione oggettivante, può essere sintetizzato nella formula più ele-mentare del nostro sapere: il mondo è composto di oggetti, e questi oggetti fanno parte della realtà in quanto possiamo rap-presentarceli in maniera oggettiva, coi loro requisiti propri di peso misura forma colore eccetera, e non perché li vediamo. Rappresentare in maniera oggettiva gli oggetti, significa darsene una spiegazione (Heidegger). Pensare la realtà oggettivamente,cioè al di là delle semplici apparenze con cui ci si mostra, è di fatto l’unico modo in cui ci è oggi possibile concepire la realtà.Oggi; e perciò oggi l’artista fa della pittura astratta: perché, come chiunque altro, è preso nella rete dell’oggettività, e l’oggettivitàci fa ineluttabilmente sfondare il «muro del visibile», cioè ci mette al cospetto delle proprietà effettive degli oggetti, ma nondegli oggetti in quanto cose: cose presenti, semplicemente offerte alla vista.

Ma, una volta passato «il muro del visibile», dove troverà il pittore astratto «gli elementi esatti, ovvero i mo-delli tangibili a cui riferirsi per la trasfigurazione di codesta realtà oggettiva?». Li troverà, risponde Urbani,nell’estetica. Cioè nel modo in cui il pensiero scientifico moderno, dall’Illuminismo in poi, ha oggettivatol’arte12:

Quando parliamo dell’estetica, ovvero del pensiero che oggettiva l’arte, non intendiamo naturalmente solo l’estetica dei filosofima anche, se non soprattutto, il modo oggettivo in cui l’umanità d’oggi si rappresenta l’arte. Questo modo non è stato semprelo stesso. I Greci, ad esempio, pensavano così poco oggettivamente l’arte, che erano costretti a chiamarla téchne, cioè con unaparola la cui traduzione letterale sarebbe «produzione», e che allora aveva un significato certamente più nobile, ma quasi al-trettanto generico di quello attuale. Oggi, invece, siamo riuniti in questa sala [della Galleria Nazionale d’Arte Moderna dovesi tiene la conferenza], e in questa sala celebriamo un rito che avrebbe fatto trasecolare i saggi della Grecia antica. Parliamoin maniera astratta, ma non per questo meno oggettiva, dell’arte. E più ne parliamo astrattamente, più la oggettiviamo. Ce larappresentiamo in termini di valore, di forma, di qualità. E questi attributi astratti, ma che pure le sono pertinenti, ci servonoa collocarla nel nostro mondo reale, assieme agli oggetti di cui, come oggetti, sappiamo tutto o quasi tutto, ma che ignoriamo

nel loro essere di semplici cose.

Tutto ciò provoca l’oggetto-arte a non rappresentare più sé stesso, ma a divenire «una macchia, uno strappo,

Tav. VIII. Rocca Calascio (AQ)(m 1400 s.l.m.), 1987

Tav. IX. Carapelle Calvisio (AQ)Chiesa parrocchiale di Santa Maria, 2012

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Tav. X. L’Aquila, la chiesa di San Flaviano, parrocchiale

intra moeniadel castello della Torre,

2012

un buco». Tutte provocazioni che però potrebbero rientrare in valori costituiti quali «la novità o la libertàdel fare artistico». Ma c’è un momento che azzera questi valori, rendendoli non più tali. Il momento in cuil’artista decide che il dipinto, ormai libero da ogni vincolo formale, sia divenuto opera, perciò da licenziarecome tale, facendolo in tal modo cadere «sulla nuda terra del mondo». Ebbene, quel momento è affidatoal caso: «Non si intende ciò che oggi la pittura cerca di dirci, se non si riconosce che essa parla il linguaggiodel caso»13:

Invece di partirsi dagli oggetti reali [l’astrattismo] muove da qualcosa che ha costituzione non meno oggettiva di essi: e cioèdall’arte, pensata oggettivamente, dal quadro che è fatto per il museo, dal quadro che è – secondo una celebre definizioneche blocca da quasi tre quarti di secolo il cammino dell’arte – «una superficie piana con forme e colori disposti in un certoordine». Muove da questo oggetto e in un certo modo lo provoca a uscire, a cadere dall’oggettività propria, cioè dal sistemadi valori formalistici, ideali o meramente psicologici, che lo costituiscono in quanto oggetto. Lo provoca con tutti i mezzi:ma per iconoclastici e antitradizionali che questi possano essere (macchie, strappi, buchi eccetera) finirebbero sempre colrientrare nell’ordine dell’oggettività, in quanto possibili nuove determinazioni di vecchissimi valori: quali l’originalità, adesempio, o la novità o la libertà del fare artistico. Però c’è un momento in cui queste provocazioni sembrano arrivare asegno, e l’orizzonte dell’oggettività incrinarsi, e la pittura cadere dalla ribalta della propria auto-rappresentazione oggettivasulla nuda terra del mondo, farsi cosa tra le cose. Questo momento è affidato al caso. Non si intende ciò che oggi la pittura cerca di dirci, se non si riconosce che essa parla il linguaggio del caso. Ed è veramenteun mistero come, in questi anni di furore critico, nessuno abbia osato interrogarsi su ciò che la pittura attuale cura meno di

nascondere, ovvero sul fatto che essa è governata dal caso, si esprime in forme casuali.

Un ragionare sull’estetica e sull’arte d’oggi, questo di Urbani, che con ogni evidenza può essere posto allabase della radicale critica da lui svolta in tutti i suoi scritti sul restauro alla «teoria estetica del restauro», edè chiarissima, pur se non esplicita, chiamata in causa della Teoria di Brandi14. In particolare è a partire dal1967 del suo diretto ingresso nell’agone teorico del restauro con Il restauro e la storia dell’arte, il primo d’unaserie di saggi poi raccolti nel suo Intorno al restauro, che Urbani va evidenziando una lunga filza di problemidi teoria e di pratica che aleggiavano – e ancora aleggiano, irrisolti – su restauro, conservazione e tutela15.La gran parte di loro ha all’orizzonte, torno a dire, la Teoria del restauro di Brandi, pubblicata quattro anniprima, nel 1963, dei cui fondamenti di pensiero (e risultati applicativi) Urbani aveva avuto modo di giudicaresulla base dell’ininterrotta presenza all’ICR a partire dal 1945, quando entra in quella già gloriosa istituzionecome allievo restauratore; altro pregio e singolarità del suo cursus honorum, oltre che ragione essenziale del-l’originalità di pensiero e della sicurezza di giudizio in materia di conservazione e restauro, segnando lafondamentale differenza, quasi un’anomalia, della sua figura rispetto a quelle di chiunque altro si sia avvi-cinato ai problemi di tutela nel Novecento.Saggi, quelli raccolti dallo stesso Urbani nel suo Intorno al restauro, pubblicato poi nel 2000 chi scrive, checoprono uno spazio di tempo che va dal 1967 al 199016. Né vale evidenziare una disorganicità del volumeperché costituito da interventi usciti in tempi e luoghi diversi. Uguale genesi ebbe la Teoria di Brandi, pre-ceduta da una prima teoria del restauro in sé conclusa, come lo stesso teorico senese scrive nel 195317:

Nei nn. 1, 2, 11-12 [del «Bollettino» dell’ICR] sono stati pubblicati rispettivamente i capitoli 1, 4, 2 della Teoria del Restauro;

quello che ora si pubblica [«Il restauro secondo l’istanza estetica o dell’artisticità»] è il 3 e ultimo.

Una prima Teoria del restauro in quattro capitoli di cui il primo, «Il fondamento teorico del restauro»(1948/50), è di base al primo capitolo della versione finale della Teoria, «Il concetto di restauro», mentre altritre capitoli – «Il ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte» (1950), «Il restauro dell’opera d’artesecondo l’istanza di storicità» (1952), «Il restauro secondo l’istanza estetica o dell’artisticità» (1953) – vi con-fluiscono più o meno uguali; quel che vale anche per un altro capitolo, «Il restauro preventivo», pubblicatonel 1956 sempre sul «Bollettino» dell’ICR18. E ribadisce altresì il tono «miscellaneo» del volume del 1963 l’ag-giunta d’una «Appendice» in sette capitoli, sei di loro già variamente editi a partire dal 1949, sia sul «Bollettino»dell’ICR, che in altre sedi. Del resto è lo stesso Brandi a porre in alea di casualità la resa in volume della Teoria per le «Edizioni di Storiae Letteratura» fondate da don Giuseppe De Luca. Lo fa nelle commosse parole con cui ricorda la figura delsacerdote lucano scomparso prematuramente nel 1962. Parole che chiariscono la ragione della dedica astampa della Teoria: «alla memoria di don Giuseppe De Luca / che questo libro volle né poté vedere stam-pato»; ma anche parole che non si capirebbero a pieno senza ricordare come l’abbandono dell’ICR nel 1961sia stato per Brandi evento doloroso, causato da ragioni indipendenti dalla sua volontà19:

Non dimenticherò che quando, nominato [nel 1961] all’Università [di Palermo, Cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Mo-

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derna], dovetti lasciare l’Istituto Centrale del Restauro per una sorda opposizione del Ministro, egli [don De Luca], di sua spon-tanea volontà, andò con Manzù da Fanfani, Presidente anche allora del Consiglio, per scongiurare quello che a lui prima ditutto pareva – bontà sua – una perdita per la tutela del patrimonio artistico. Non ottenne quello che chiese, e volle allora ri-mediare come poteva. Le mie lezioni di teoria del restauro che appariranno nelle sue Edizioni di Storia e Letteratura, furonorichieste perentoriamente da lui, perché rappresentassero, scadendo i vent’anni della Fondazione dell’Istituto, il consuntivo el’epilogo di quei vent’anni; gli anni della nostra amicizia.

Anche il moderno restauro estetico (preteso critico) nasce dalla scissione tra arte e scienza, cioè dal destinoheideggerianamente imposto all’uomo d’oggi dalla tecnica moderna a pensare oggettivamente tutto quantoci circonda. Cosa più del restauro estetico conduce a «sfondare il muro del visibile», cioè a «sfondare», conla pulitura, l’immagine dell’opera così come arrivata a noi. Ma quel che si trova ‘al di là del muro del visibile’,sciogliendo vernici alterate, ridipinture e quant’altro, non è più l’opera come opera, ma l’opera come oggettod’una indagine scientifica. Quindi, quasi sempre resa in un’immagine con ‘buchi’ e ‘strappi’, cioè frammentatada lacune di profondità, cadute della pellicola pittorica, colori alterati e qualunque altra ‘autentica’ formad’irreversibile modificazione materiale avvenuta, in forma di danno, nel tempo. Perciò un manufatto, chenel porre in evidenza la propria «struttura fisica», finisce per corrispondere al «gusto dell’oggettualità spintadi tanta arte d’oggi», quasi divenendo esso stesso una speciale opera d’arte contemporanea, e certamenteun’opera che in quella forma non è mai esistita20. Ma ancora. Se il moderno restauro scientifico oggettiva le opere, perciò le restituisce in stretto rapporto conil gusto dell’arte d’oggi, come ci si comporterà nel concreto della loro restituzione estetica? E cioè: in qualemomento il restauro farà cadere dalla loro oggettività le opere su si esercita per farle tornare sulla terra, ren-dendole così di nuovo «cose tra le cose»? Come per «l’arte d’oggi», affidandosi al «caso». Infatti del tuttosoggettive, perciò inevitabilmente governate dal caso, sono – e restano, al di là di ogni teoria – le decisionicritiche e estetiche nel procedere del moderno restauro scientifico. Se pulire più o meno l’opera, addiritturaritenendo legittimo farlo in modo «differenziato»21. Quali siano, in un viso, un manto, un paesaggio e cosìvia, le lacune ‘interpretabili’ «in base alla speciale metalogica che l’immagine possiede e il contesto dell’im-magine consente», come scrive Brandi, quindi lacune che, appunto perché ‘interpretabili’, è possibile reinte-grare (inoltre come, a tratteggio? con pennellate incrociate? con un pointillisme? a tono? ovvero com’altro)22?Quali invece siano le lacune ‘non interpretabili’, perciò da trattare con una «tinta neutra» (calda? fredda?chiara? scura?), o con un «abbassamento di tono» (caldo? freddo? chiaro? scuro?), ovvero lasciando in vistacome tale intonaco, pietra, tela, legno, cioè la materia del supporto originale, (stuccata? non stuccata? inscu-rita? schiarita? al naturale?) e così via. Tutto ciò dimostra, per Urbani, che le basi con cui il restauro estetico pretende di ristabilire in modo scien-tifico l’autenticità d’un testo figurativo sono solo una mascheratura ideologica di interventi che fanno ricadereil problema di quella stessa autenticità sotto il dominio della critica come momento d’una individuale (e cro-ciana) ricreazione artistica delle opere, ricreazione inevitabilmente condotta ‘nel gusto dell’arte d’oggi’. Daqui il comune spirito che aleggia su molte opere restaurate e su molti testi figurativi dell’arte contemporanea,addirittura in alcuni casi consentendo l’ipotesi che talvolta siano stati i risultati estetici delle prime a aver in-fluenzato (e a influenzare) i secondi23. Né da meno è il problema posto dal fatto che, per il restauro estetico,inevitabilmente ogni restauro è «un caso a parte», come per primo riconosce lo stesso Brandi nella suaTeoria24; ed è elementare verità di scienza che mai sapere ragiona su casi singoli, bensì per insiemi. Da qui l’epiteto di dilettantismo dato da Urbani della ‘Carta del restauro’ del 1970, in cui Brandi si prova adare contenuti tecnici alla sua Teoria, epiteto cui accoda una valutazione ancor più negativa dell’organizza-zione del ministero di Giovanni Spadolini, figura verso la quale Urbani ebbe sempre una profonda disistima,accusandolo d’aver voluto a tutti i costi, per puri interessi carriera, che infatti ebbe, assai importante, metterein piedi un ministero senza avere alcuna idea di come farlo, creando in tal modo tutte le difficoltà che oggirischiano di farlo chiudere. Né fu il solo Urbani a avere una simile opinione. Così infatti scrisse SabinoCassese del Mibac nel 1975, cioè nello stesso anno in cui lo stesso Mibac fu fondato25:

Il Ministero è una scatola vuota: il provvedimento [della sua costituzione] non indica una politica nuova, non contiene una ri-forma della legislazione di tutela; consiste in un mero trasferimento di uffici da una struttura all’altra e non si vede perchéuffici che non funzionano dovrebbero funzionare riuniti in un unico Ministero.

Tornando invece al dilettantismo in cui Urbani confinò la carta del restauro di Brandi, aggiungendo ungiudizio ancora più tranchant sul ministero spadoliniano26:

Lasci stare questa benedetta Carta [del restauro del 1972], che magari, come dichiarazione di intenti storico-critici, ha unasua dignità culturale, ma che quanto a contenuti tecnici se la batte con i precetti di Frate indovino. Qui si tratta di uscire dal

Tav. XI. Tetti di Castel Del Monte (AQ)

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Tav. XII. Castelvecchio Calvisio (AQ)

visto da Carapelle, 2012

circolo perverso che da un Ministero, non solo sordo, ma ferocemente ostile a ogni istanza di progresso tecnico, conduce adegli organi tecnici periferici, le Soprintendenze, che lo ripagano con una totale mancanza di fiducia e quindi con un impegnolimitato a quel tanto che basta per farlo fesso e contento. Aggiunga la dissennata demagogia assistenzialista che ha portatoa intasare gli organici delle Soprintendenze con personale il più delle volte privo di qualsiasi qualifica professionale, come èsostanzialmente quello della legge sulla disoccupazione giovanile 285/77, e avrà completato il quadro del disastro.

E da qui altre due questioni, entrambe pesanti come macigni, poste da Urbani nel 1967 agli attori dellatutela, storici dell’arte, restauratori e esperti scientifici in Il restauro e la storia dell’arte, quindi quasi mezzo se-colo fa, senza che in mai in tutto questo tempo vi sia stato almeno un accenno di risposta da parte di So-printendenze e Università. Così la prima27:

Il nostro conservare e restaurare, se dipendenti da questa ideologia, manterrebbero allora il carattere d’una produzione arti-gianale o al meglio artistica, che si servirebbe di scienza e tecnica unicamente per attardarsi ancora nella dimensione medievaledella recta ratio factibilium, cioè nella dimensione di quell’unità tra arte scienza e tecnica che nel mondo moderno non ha piùcorso. E allora, potremmo ancora pretendere di non star restaurando come si è sempre restaurato: cioè alterando o mano-mettendo?

Così la seconda:

La storia dell’arte, che è appunto conoscenza dell’arte nella totalità della sua storia, sa che nessuna delle sue acquisizioni par-ticolari ha valore se non sul piano dell’insieme; e perciò non può non sapere che il perseguimento dell’autenticità nelle singoleopere resta un’impresa marginale e aleatoria, se non porta alla determinazione d’un criterio che abbia effetto sull’insieme,che cioè sia valido per la totalità delle opere d’arte. Pensare che questo effetto si potrebbe forse ottenere restaurando, neimodi d’oggi, una ad una tutte le opere esistenti, significa non solo porsi davanti ad una impresa imperseguibile perché smi-surata, ma anche impostare il problema esattamente all’inverso di come andrebbe impostato: perché non è con un’infinitàdi risultati marginali e aleatori come quelli attuali, che si può comporre un insieme essenziale, certo e necessario. D’altraparte, è solo sul piano dell’insieme e della totalità che la scienza può venirci incontro: perché quello è il piano su cui essa simuove già per suo conto. A meno di non credere che la scienza serva a far meglio i ritocchi, e non a mettere i dipinti nellecondizioni per cui abbiano sempre meno bisogno di ritocchi.

Né mai si dovrà vedere in tutto questo un abbandono polemico chiesto da Urbani dei principi critici e este-tici del restauro formulati Brandi (e da Argan), bensì una loro ben meditata storicizzazione28. Così da passarea un’azione di tutela che non faccia più di ogni restauro ‘un caso a parte’ di natura estetica, da risolvere coninterventi che «che quanto a contenuti tecnici se la batte con i precetti di Frate indovino», bensì abbiano,appunto, «effetto sull’insieme, cioè sia valida per la totalità delle opere d’arte», come la scienza vuole29.Questa il progetto al centro della rifondazione dell’Icr che Urbani, voleva realizzare. Un progetto mai in-fedele a Brandi, lo ripeto, perché basato in partenza sulla lezione dello stesso storico dell’arte senese, nonmai in sua opposizione, e progetto cui subito aderisce Pasquale Rotondi, direttore dell’Icr dal 1961 al 197330.Rotondi, che immediatamente entrerà in uno strettissimo rapporto di stima e amicizia con Urbani, portandoun decisivo contributo al progetto della conservazione programmata e preventiva del patrimonio artisticoin rapporto all’ambiente elaborato dallo stesso Urbani. Il progetto che avrebbe potuto essere la chiave divolta per una tutela finalmente efficace di quello stesso patrimonio, il progetto incentrato sulla fondazionedi una inedita «ecologia culturale» aperta a una ricerca scientifica e tecnologica tanto innovativa quantoevolutiva, il progetto in grado di dare un’occupazione importante e interessante e utile alle giovani genera-zioni, anche a salvaguardia della loro identità storica e culturale e di quella delle generazioni a loro future.Il progetto, cioè, benissimo fondato e definito nei particolari, tuttavia chiuso nei cassetti della burocraziaministeriale e da lì mai più uscito. Ma questa è una vicenda di cui si parlerà alla prossima mostra. Quandoci sarà.

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Note:1 - G.URBANI [d’ora innanzi, G.U.], Per una archeologia del presente, «Il Punto» IX.26(20 giu. 1964), p. 21. (= in ID., Per un’archeologia del presente, Intr. e a c. di B. Za-nardi, Prem. di G. Agamben («Attualità di Giovanni Urbani»), Postfaz. di T.Montanari, Milano, Skira 2000, pp. 205-207), bibliografia gen. degli scritti diG,.U, di B. Zanardi (pp. 253.270). Su Urbani, figura di cui si sta finalmente ri-sarcendo il ruolo di maggior teorico (con Brandi) del restauro nel secolo appenachiuso, producendo però Urbani (a differenza di Brandi) un pensiero anche at-tento (a differenza di Brandi) a darsi «corpo di azione tecnica attraverso l’ela-borazione dei suoi piani per la conservazione preventiva e programmata delpatrimonio artistico in rapporto all’ambiente, cfr., B. ZANARDI, Il restauro. Gio-vanni Urbani e Cesare Brandi due teorie a confronto, intr. di S. Settis, Skira, Milano,2009; ID., Per un’archeologia, cit.; in part. in Il restauro, cit, v. R. LA CAPRIA, Il mioamico Giovanni, ivi, pp. 191-197; G. AGAMBEN, Il daimon di Giovanni, ivi, pp. 199-202); J. RASPI SERRA, La genesi della Teoria del restauro, ivi, pp. 203-210. Si parlainoltre di inoltre Urbani in C. BON, Restauro made in Italy, Electa, Milano, 2006,pp. 97-144 («Giovanni Urbani e la trasformazione dell’Icr (1973-1983)»; in unamia convers. con Giorgio Torraca, B.Z. & G.T., Uno sguardo sul restauro dagli anni‘50 del Novecento a oggi, «Il Ponte». 10 (2011), pp. 92-116 (= in «Atti della ‘Giornatadi studi in onore di Giorgio Torraca’», Città del Vaticano, 3 dic. 2012, c. st.); ein una mia convers. con Walter Conti e Enzo Tassinari, B.Z., Giovanni Urbani ela fondazione delle moderne foderature. Una conversazione con Walter Conti e Enzo Tassi-nari, «Bollettino dell’Istituto [centrale] del restauro», c.so st.. Ha studiato la figuradi Urbani, parlandone nel solito modo intelligente e affettuoso, come lei è, SilviaCecchini nella sua ‘tesi di dottorato’ discussa nell’a. acc. 2007-2008 (Storie di ma-nutenzione del patrimonio culturale. Uso, valore, affezione, tutor il prof. Massimo Mon-tella) e in La ‘apertura sul futuro’ della Teoria del restauro. La lezione di Brandi letta daGiovanni Urbani, in Arte e memoria dell’arte, Atti delle Giornate di studio (Viterbo,Università degli Studi della Tuscia, 1-2 luglio 2009) a cura di Maria Ida Catalanoe Patrizia Mania, Gli Ori, Pistoia 2011, pp. 235-248. Racconta Giovanni Urbaninella vita il suo amico di sempre Raffaele La Capria, in L’estro quotidiano, Milano,Mondadori, 2005; Id., America 1957, a sentimental journey, Nottetempo, Roma,febb. 2009; Id., Un amore al tempo della Dolce Vita, Gransasso, Roma, ott. 2009(gli ultimi due vol. sono dedicati, a stampa a Urbani: in part, nel secondo: «aGiovanni che ho cercato di far rivivere per non vederlo scomparire nel neroabisso dove finiscono tutte le stelle che brillarono, una volta», come La Capriascrive nel secondo dei due libri di ‘nottetempo’, p 7). Di passaggio cito infinela tesi di laurea discussa nel novembre del 2004 da Alfonsina Perrotta (GiovanniUrbani storico dell’arte, direttore dell’Istituto centrale del restauro. Un profilo biografico e bi-bliografico, anno acc. 2003/2004, Seconda Università di Napoli, Facoltà di Lettere,Corso di laurea in Conservazione dei beni culturali, Rel. R. Lattuada, Corr. R.Cioffi, [voll. I-II]).2 - Una antologia degli scritti di ‘Urbani critico dell’arte d’oggi’, con annessauna bibliografia generale dei suoi scritti, in Per un’archeologia, cit.3 - Su Urbani e Heidegger, cfr. B.Z., Il restauro, cit., in part. p. 25 ss.; G. AGAM-BEN; Il Daimon, cit.; ID., Premessa. Attualità di Giovanni Urbani, in G.U. Per un’ar-cheologia, cit., pp. 9-21, Per un’archeologia, cit., pp. 10-21; B.Z., Introduzione, ivi,23-89: 33 ss.; G. TRAVAGLINI, Giovanni Urbani: pensare l’esperienza dell’arte indialogo con Martin Heidegger, c.s. st. 4 - M. FOUCAULT, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane [1966], conun saggio critico di G. Canguilhem, trad. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano, 1967,p. 13; ma v. anche, sempre di Foucault, L’archeologia del sapere [1969], trad. di G.Bogliolo, Rizzoli, Milano, 1971.5 - G. AGAMBEN, Signatura rerum. Sul metodo, Bollati Boringhieri, Torino, 2008,pp. 7-8 («Avvertenza»): p. 7 (la dichiarazione sul ‘debito’ da Foucault), p. 8 (lacitaz. in infratesto).6 - ID., L’uomo senza contenuto (1970), Quodlibet, Macerata 20055, p. 7.7 - G.U., Per una archeologia, cit, p. 21.8 - ID., G.U., La parte del caso nell’arte d’oggi (1960), «Tempo presente», 7 (1961),pp. 491-499 (= in, ID., Per un’archeologia, cit., pp. 93-107. Il saggio ebbe ancheuna edizione francese, Le rôle du hasard dans l’art d’aujourd’hui, «Diogène» 38 (Avril-Juin 1962), pp. 116-133) e una inglese, The Role of Chance in Today’s Art, «Dioge-nes» 38 (1962), pp. 112-130.9 - La trad. in it. di questo ‘Manifesto’, si legge in M. DE MICHELI, Le avanguardieartistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1986, pp. 322-343 («Primo manifestodel surrealismo»[1924]): 33010 - La citaz. in F. ARCANGELI, Lo spazio romantico, «Paragone» 271 (1972), pp.3-26: 9 (= in ID., Dal Romanticismo, cit., (vol. I), pp. 3-22: 8).11 - G.U., La parte del caso cit., p. 492; (= in Per un’archeologia, p. 95). Il ragionaredi Urbani appare in sintonia piena con la celebre conferenza di sulal tecnica te-nuta da Heideggr a Monaco nel 1953, La questione della tecnica (1953), in ID., Saggie discorsi (1954), a c. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp. 5-27.12 - G.U., La parte del caso cit., p. 493 (= in Per un’archeologia, p. 96).13 - Ivi, p. 495 (= in Per un’archeologia, p. 100 s.).14 - Tratto l’arg. anche nel mio Il restauro, cit., p. 146 ss.; su Brandi e l’estetica,cfr., ad es., E. GARRONI, Arte e vita. Note in margine all’estetica di C. Brandi, «Gior-nale Critico della Filosofia Italiana» 1 (1959), pp. 123-137; Brandi e l’estetica, «Sup-plemento degli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università diPalermo», a c. di L. Russo, Luxograf, Palermo 1986; M. CARBONI, Cesare Brandi.Teoria e esperienza dell’arte (1992), Jaca Book, Milano 20042; M. CORDARO, Intro-

duzione, in C.B., Il restauro. Teoria e pratica, Ed. Riun., Roma, 1994, pp. XI-XXXVI;P. D’ANGELO, Cesare Brandi. Critica d’arte e filosofia, Quodlibet, Macerata 2006. 15 - G.U., Il restauro e la storia dell’arte, «Bullettin du Ciha», II [avr.-ju.-sept. 1967[‘Actes du XVIIIime Congrès International d’Histoire de l’Art (nr. spécial)], pp.7-8; G.U., Intorno al restauro, a c. di B. Zanardi, Skira, Milano, 2000 (Il restauro e lastoria dell’arte è qui alle pp. 15-18).16 - G.U., Intorno, cit. Circa il mio ruolo di curatore del vol., fu lo stesso Urbania affidarmelo negli ultimi tempi della sua vita. 17 - C.B., Il restauro dell’opera d’arte secondo l’istanza estetica o dell’artisticità, «Bollettinodell’Istituto centrale del restauro» 13 (1953), pp. 3-8: 3 (n.); l’ed. maior, C.BRANDI, Teoria del Restauro. Lezioni raccolte da L. Vlad Borrelli, J. Raspi Serra, G.Urbani, con una bibliografia generale dell’autore, Ed. di Storia e Letteratura, Roma1963. Testimonianza diretta del farsi della Teoria rende Joselita Raspi Serra, chelo stesso Brandi chiamò per farsi aiutare nella redazione del volume, nel mio, Ilrestauro, cit., pp. 215-225.18 - ID., C.B., Cosa debba intendersi per restauro preventivo, «Bollettino dell’IstitutoCentrale del Restauro», 27-28 (1956), pp. 87-92. Perché citata subito sotto, neltesto, giudico ridondante indicare la collocazione dei 4 capp. di quella primaTeoria del restauro.19 - ID., C.B., Una amicizia vera, pugnace, in Don Giuseppe de Luca. Ricordi e testimo-nianze, a c. di M. Picchi, Morcelliana, Brescia 1963, pp. 66-68: 67 sg. Come miraccontò Urbani, il forzato abbandono dell’ICR da parte di Brandi fu causatodalla scoperta di alcuni ammanchi amministrativi con cui Brandi ovviamentenulla aveva a che fare: e non entro in ulteriori dettagli, ad es., i costi umani, al-tissimi, di contorno a questa vicenda. Sulla figura di Don De Luca, L. MAN-GONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italianadel Novecento, Einaudi, Torino 1989. 20 - G.U. Il restauro, cit., p. 16. «Restaurare un edificio non è conservarlo, ripararloo rifarlo, è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esi-stito in un dato tempo», in Eugéne Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l’archi-tecture française du XIe au XVIe siècle, VIII (1866), pp. 14-34 (s.v. «Restauration»],ed. ant. a c. di 15; l’intera voce, in italiano, in Id., L’architettura ragionata. Estrattidal Dizionario, intr. e a c. di M.A. Crippa, Jaca Book, Milano 20022, pp. 247-272:248.21 - E. BUZZEGOLI, Relazione sul restauro del dipinto, in Il tondo Doni di Michelangeloe il suo restauro, Cat. della mostra, Firenze, Galleria degli Uffizi, dal 7 dic. 1985,Centro Di, Firenze, 1985, [«Gli Uffizi. Studi e Ricerche. 2» (1985)], pp. 57-70:66.22 - BRANDI, Teoria, cit., p, 102.23 - Nel merito dell’influenza dei risultati estetici dei restauri sull’arte contem-poranea, riferisco un aneddoto che devo all’amica Diana De Feo. Le raccontòanni fa l’attuale proprietario della «Malcontenta», l’architetto Antonio Foscari,che il definitivo passaggio dall’arte formale all’arte astratta di Mark Rothko sidovette a una permanenza dell’artista nella villa di Palladio subito dopo la se-conda guerra mondiale. Rothko vi trovò le pareti orfane dell’originaria decora-zione a fresco di Giovan Battista Franco e Giovan Battista Zelotti, perchéstrappata dai ladri nel periodo in cui la villa rimase abbandonata durante laguerra. Come sempre accade dopo uno strappo, sulle pareti erano tuttavia ri-maste, le pallide impronte dei colori originali: nel caso quelli ancora sontuosa-mente caldi degli affreschi manieristi rubati. Ciò che, sottolinea Diana De Feo,rende non più misterioso il titolo dato nel 1947 da Rothko al suo primo quadrotonale: «Muro».24 - Ivi, p. 57.25 - S. CASSESE: I beni culturali da Bottai a Spadolini (1975), in L’Amministrazionedello Stato, a c. di S.C., Giuffrè, Milano, 1976, pp. 153-183:173); ma cfr. ancheM.S. GIANNINI, La legge di tutela e il Ministero dei beni culturali (1990), in B.Z., Con-servazione, restauro e tutela, Skira, Milano, 1999, pp. 81-86: 82; ID., La mancata tuteladel patrimonio artistico, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2 (2011), pp. 431-472: 450 ss. 26 - G.U., Restauro, conservazione, e tutela del patrimonio artistico (1989/90), in B.Z.,Conservazione, restauro, cit., pp. 53-62: 61; ha posto Brandi la sua Carta del restaurodel 1972 in appendice alla ristampa della Teoria del restauro realizzata da Einaudinel 1977, pp. 131-154.27 - ID., Il restauro e la storia, cit., p. 16. 28 - G.C. ARGAN, Restauro delle opere d’arte. Progettata istituzione di un Gabinetto cen-trale del restauro (1938), in MIBAC. UFF. STUDI, Istituzioni e politiche culturali in Italianegli anni trenta, a cura di V. Cazzato, introduzione di S. Cassese, Roma, ISPZ,2001, (I), pp. 264-270; ma su questa vicenda cfr. anche B.Z., La La mancata, cit.,p. 440 ss. 29 - Ivi, p. 18.30 - Ho sottolineato spesso l’importanza del ruolo svolto da Rotondi all’Icre del suo rapporto professionale e d’amicizia con Urbani, in part. v. la mia In-troduzione, in G.U., Per un’archeologia, pp. 30 ss.; ma cfr. anche C. BON, Restauromade in Italy, Electa, Milano, 2006, pp. 59-96 («Varianti in corso d’opera: ladirezione di Pasquale Rotondi [1961-1973]»).. Per un’ulteriore bibliografia suRotondi, B.Z., Come nascosi in guerra per 5 anni, 3 mesi e 8 giorni 13 Tiziano, 17Tintoretto, 4 Piero della Francesca e oltre 500 capolavori dei musei italiani, «Il Giornaledell’Arte» IX, 86 (febb. 1991). pp. 36-37; G. Di Ludovico, Urbino e PasqualeRotondi (1939-1949), QuattroVenti, Urbino, 2009.

Tav. XIII. Capestrano (AQ) cortile del Castello

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·36·Egnazio Danti, Aprutium, affresco, 1581. Vaticano, Galleria delle Carte Geografiche

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L’affresco, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Assunta a Bo-minaco, raffigura un Ecce Homo. Il Cristo è rappresentato fron-

talmente, sollevato dall'avello. Il capo reclinato e le chiome biondeche scendono sulle spalle sottolineano il pathos del momento. I trattidel viso, purtroppo, sono seriamente compromessi da una lacuna.E' possibile notare il tentativo della resa anatomica del corpo, nellecostole, nel ventre e nelle mani incrociate. Le stigmate e la ferita alcostato sono ben rappresentate, in primo piano. L'evocazione dellasofferenza è ribadita dalla corda annodata al collo del Cristo, un ele-mento ricorrente in molte rappresentazioni del medesimo tema ico-nografico, anche cronologicamente posteriori. Il riferimento è allacrocifissione, in particolare alla salita al Calvario. Infatti, nell'esecu-zione della pena i condannati venivano legati tra loro con una cordastretta attorno al collo e alle mani. L'anonimo aguzzino, con il capocoperto da un elmo, stringe tra le mani l'estremità della corda ed ècolto nell'atto di sollevare il flagello. E' disegnato con dimensioni ri-dotte rispetto alle altre due figure, in secondo piano, dietro il sarco-fago, probabilmente per creare una sorta di resa prospettica a piùpiani, ingenua ed insicura. Tuttavia l'idea della terza dimensione èpresente nella composizione del sepolcro: lo spazio è suggerito dallaforma trapezoidale della tomba, concepita con un'ardita visione fron-tale. La superficie del sarcofago è trattata con cura dall'artista: sui latilunghi sono raffigurati racemi vegetali, sul coperchio sono visibilidegli elementi decorativi geometrici, che, nella parte frontale del co-perchio, suggeriscono la rappresentazione dei tre chiodi. I simbolidella Passione, nella tradizione iconografica dell'Ecce Homo, sonoconsiderati gli strumenti con cui Cristo ha sconfitto il male e hannoquindi un senso apotropaico. Di difficile riconoscimento è il santo con la spada, colto nell'atto diindicare Cristo. Si tratta di una figura, in primo piano, dalla veste apieghe, con la capigliatura rifinita. La giovane età parrebbe escludereSan Paolo e la mancanza di ulteriori attributi iconografici allontane-rebbe anche l'ipotesi di un San Martino. Se, in definitiva, non abbiamoelementi sufficienti per restituire un'identità certa al personaggio, po-tremmo azzardare e considerare ipotesi plausibile quella dell'Arcan-gelo Michele. Egli suggerirebbe la figura di Cristo come “Salvatoredelle anime”attraverso la Passione. In effetti ciò potrebbe trovare ri-scontro nel significato precipuo dell'iconografia dell'Ecce Homo, ov-vero un'immagine legata all'ottenimento dell'indulgenza. Peraltro, SanMichele, festeggiato tutt'oggi a Bominaco il 13 maggio ed eponimodi un eremo poco distante dal complesso abbaziale, è raffigurato, nel-l'atto di pesare le anime dopo la morte, anche negli straordinari af-freschi dell' oratorio di San Pellegrino. Questo piccolo e preziosoedificio è, insieme alla Chiesa di Santa Maria Assunta, quanto restadell'intero complesso abbaziale di Bominaco. Sebbene il livello pittorico dell'affresco in oggetto non può essereparagonato a quello della più celebre decorazione pittorica dell'ora-torio, è evidente una vivacità culturale e una varietà iconograficatale da confermare il ruolo primario che l'abbazia doveva rivestire. Nel 1937 alcuni affreschi furono staccati da San Pellegrino al finedi riportare alla luce la stupefacente decorazione duecentesca. In

«Ecce Homo»XIII-XIV SECOLO

Affresco staccato, cm 135 x 105,5 x 2Caporciano (AQ), Chiesa di Santa Maria Assunta, già nell’oratorio di San Pellegrino

Fig. 1. Affresco prima dell’intervento

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questa occasione, i lacerti vennero posti nella Chiesa di SantaMaria Assunta e tutt'oggi qui conservati. Anche l'Ecce Homo èstato posizionato in questa splendida Chiesa romanica dell’ XIsecolo che rappresenta un esempio eccezionale di architettura earte benedettina. Ne sono testimonianza inoltre lo straordinariopulpito in marmo datato 1180, l'elegante cattedra vescovile e ilciborio che s’affiancano a lacerti d’affresco di varie epoche a con-

ferma di una vitalità continuata in tutto il Medioevo.Inedito

ALESSANDRA GIANCOLA

Bibliografia consultataDANDER 1979; BASCHET 1991; LUCHERINI 2000; DELLA VALLE 2006;Bominaco 2012.

«Ecce Homo»

INTERVENTO DI RESTAURO

Il dipinto fu staccato da una parete dell’oratorio di S. Pellegrinoper mettere in luce lo strato pittorico sottostante1. Era collocato

su malta cementizia armata con rete in metallo, con telaio peri-metrale in legno e traverse in ferro. Degli originari strati prepa-ratori il dipinto conserva l’intonaco e intonachino. Lo strato diintonaco ancora presente è spesso circa un centimetro, ha colora-zione grigia e composizione a base di calce e sabbia silicea. Lostrato superficiale, che accoglie la cromia (intonachino), si pre-senta molto liscio e compatto, ha granulometria estremamentefine e colorazione tendente al rosato-giallastro. Non si notano so-vrapposizioni di “giornate”. L’intonachino sembrerebbe quindisteso e dipinto in un unico tempo. Il dipinto mostra i caratteridistintivi della tecnica dell’affresco. Le finiture a secco sono ormaiquasi del tutto perse. I colori principalmente utilizzati sono: giallo, rosso, rosa, blu,verde, bianco, marrone e grigio. In alcuni punti, al di sotto dellacromia, traspaiono impronte di cordino imbevuto di ocra rossa,utilizzato per tracciare alcune linee rette (si veda ad esempio lacornice colorata in rosso, bianco e giallo). Queste linee costitui-scono i primi elementi di organizzazione dello spazio realizzatidal pittore. Anche la spada e il sarcofago sono stati eseguiti bat-tendo prima il cordino imbevuto di ocra rossa.Il disegno preparatorio è visibile solo in alcune zone molto abrase(gambe e piedi del santo). In corrispondenza della mano sinistradel Santo si può osservare un pentimento dell’autore: il pollice,

in origine dipinto rivolto in alto è stato poi ridisegnato piegatoall’interno del palmo.Per tracciare la circonferenza delle aureole è stato utilizzato uncompasso, con il quale sono stati tracciati due solchi parallelisull’intonaco. Non sembrano presenti lamine metalliche.Sul fronte del sarcofago, sono stati rilevati alcuni tratti incisi (pro-babilmente un monogramma), che non sembra comunque perti-nente alla fase di realizzazione dell’opera.Interessante la tecnica a spruzzo utilizzata per schizzare macchieblu scuro, rosse e bianche sul fondo grigio-blu del piano di basedella composizione, in modo da suggerire un pavimento in por-fido o forse un semplice acciottolato. Gli incarnati sono realizzati tramite campiture fluide di tonalitàrosata di differente intensità, stese in modo da omogenizzare ilpassaggio di tono. In ultimo, con pennelli sottili e colori più densisono stati tracciati contorni e dettagli delle figure e degli elementidella composizione, in nero, marrone, rosso, grigio e bianco. Ilsarcofago, di colore rosa antico e rosso purpureo è stato eseguitoin ultimo. La geometria descrittiva dell’oggetto mostra ancorauna costruzione per piani di proiezione giustapposti.Il supporto era costituito da un telaio ligneo perimetrale provvistodi due traverse in ferro. Su questa struttura era fissata, con chiodie filo di ferro, una rete a maglia esagonale in ferro zincato, im-mersa per circa un centimetro di profondità nella malta cementi-zia applicata sul retro dell’opera. Probabilmente, quando all’opera

Fig. 2. Particolari dell’affresco prima dell’intervento

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distaccata dal muro venne applicato il supporto descritto, l’into-naco originale fu assottigliato e consolidato dal retro. Sul recto,una stuccatura in cemento grigio colmava lo spazio tra i bordidell’affresco e la cornice lignea. Le traverse in ferro manifestavanoun’avanzata ossidazione che aveva in parte macchiato la malta li-mitrofa.Gli strati preparatori mostravano una fitta e diffusa rete di frat-ture, ben evidenziate nelle fotografie a luce radente. Le aree peri-metrali del dipinto e quelle in corrispondenza delle principalilacune mostravano anche fenomeni di microfratturazione e ridu-zione dell’intonaco in piccole isole poco adese al substrato.Con ogni probabilità la fratturazione così estesa degli strati pre-paratori è da imputare al trauma meccanico subito dall’affresco almomento del distacco dalla parete. La tecnica di stacco prevedevainfatti l’inserimento di lame metalliche (dette anche “lance”) tramuro e dipinto, appena dietro l’intonaco, che venivano usate comeleve per separare l’intonaco dal muro.Assenti invece fenomeni di decoesione della struttura cristallinadegli strati preparatori o distacchi dell’intonaco dal supporto ap-posto nel vecchio intervento.Numerosissime le stuccature presenti, di differenti tipologie. Lecrepe e le microlacune erano stuccate con gesso, ben lisciate e in-tegrate a tempera. Alcune lacune di maggiore ampiezza (ad esem-pio quelle sui volti del Cristo e del Santo) erano invece stuccatecon una malta grossolana a base di calce e sabbia (e anch’esse ri-toccate a tempera); va poi annoverata la stuccatura perimetrale con

malta a base cementizia, liscia e di colore grigio. In molti tratti lestuccature sbordavano sull’intonaco coprendo la cromia originale.Uno strato diffuso di polvere e depositi incoerenti ottundeva lesuperfici. Al di sotto di questo strato superficiale, sono state evi-denziate aree coperte da veli di carbonati. Lacune di pellicola pit-torica, più o meno ampie, erano dislocate su tutta la superficie e,in molti casi, lasciavano trasparire il colore giallo-rosato dell’in-tonachino integro. I rossi e i gialli mostravano lievi fenomeni di decoesione, frequentinei pigmenti a base di ossido di ferro come le ocre. Per il resto lapellicola pittorica si presentava coerente, anche se opacizzata.Numerose le abrasioni e le cadute di pellicola pittorica. Alcunicolori, quale ad esempio il verde del risvolto interno dell’abito delsanto, sono in parte persi e traspare la stesura sottostante. Parti-colarmente abrasa è anche la cornice dipinta, il manto e i calzaridel Santo, il fondo e la pavimentazione. Sul volto e sulle mani del flagellatore sono osservabili incisioni in-tenzionali volte a deturparne la figura.La pellicola pittorica era diffusamente ritoccata in modo mimeticocon colori a tempera, stesi sia sulle zone stuccate che direttamentesull’intonaco, come ben evidenziano le foto ai raggi UV ante ope-ram. Molte ridipinture erano anche facilmente individuabili a lucevisibile, poiché alterate nei toni.La sostituzione del supporto è stata dettata principalmente dal-l’esigenza di eliminare le sbarre di armatura e la rete metallica,che avevano prodotto ossidi di ferro. In questa fase è stata anche

«Ecce Homo»

Fig. 4. Opera a luce radenteFig. 3. Retro del telaio

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rimossa la malta cementizia di restauro in modo da eliminare unafonte di sali solubili pericolosa per l’opera. Dopo una pulitura preliminare, la pellicola pittorica è stata protettacon garza di cotone adesa con polimer acrilico, in modo da poterribaltare il dipinto sul piano da lavoro e operare in sicurezza sulretro2. Sono state rimosse quindi: le sbarre in ferro ormai ossidate, il telaioperimetrale in legno, la malta di restauro posta sul retro e la retemetallica di armatura. Raggiunto il retro dell’intonaco originale è stata applicata unagarza in cotone e una malta livellante a base calce, sabbia e vermi-culite3. Per il nuovo supporto è stato scelto un materiale composito a basedi alluminio e vetroresina4. E’ stato inoltre creato uno “strato diintervento” tra il nuovo supporto e la materia originale in mododa garantire il principio di reversibilità e facilitare eventuali futuriinterventi. La storia del restauro infatti insegna che nessun inter-vento può considerarsi definitivo. Per lo strato di intervento è statoutilizzato un polimero espanso in fogli5. L’affresco è stato anche dotato di un listello “salvabordo” (spesso

circa un centimetro), quale precauzione doverosa, al fine di evitaredurante la movimentazione il danneggiamento dei bordi in malta.Al termine di questa fase il dipinto è stato ribaltato e gli strati divelinatura sono stati rimossi con solvente6. La rimozione dei prodotti di degrado, delle stuccature e dei ritocchiè stata effettuata in parte prima della velinatura (prepulitura) edin parte dopo (rifinitura della pulitura). Nella prima fase l’intonacoe intonachino sono stati liberati, tramite bisturi, da tutte le stuc-cature realizzate nei precedenti restauri con gesso, cemento o calce,eliminando così anche le vecchie ridipinture. Lungo i bordi sonostate effettuate infiltrazioni di resina acrilica in dispersione acquosa,al fine di evitare la perdita di frammenti di intonachino7. Dopo il rifacimento del supporto sono stati rimossi tutti i residuidi malta cementizia ancora presente sui bordi, che coprivano partedella pellicola pittorica.Le zone interessate da veli carbonatici sono state pulite utilizzandoresine a scambio ionico8 e impacchi di sali solubili9. La pulituradegli strati carbonatici è stata rifinita puntualmente tramite bisturie matita in fibra di vetro. Dopo la pulitura, la cromia e la leggibilità generale dell’opera ènotevolmente migliorata. Rimangono alcuni veli di carbonati, inparticolare sui fondi blu e rossi, che attutiscono un po’ i toni ori-ginali. Si tratta di strati di qualche micron di carbonato calcio cheabbiamo assottigliato, ma non totalmente rimosso, poiché tale velosottilissimo di carbonati collabora alla stabilità della pellicola pit-torica, che come noto nella tecnica ad affresco è essa stessa costituitada un reticolo di carbonato di calcio che ingloba i pigmenti.La fascia perimetrale priva di intonaco originale e la ampie lacuneche interessano i volti del Cristo e del Santo sono state reintegratecon una malta a base di calce aerea ed inerti di granulometria e co-lore simile agli strati preparatori originali10. Per la lacune di minorentità è stata utilizzata una malta a base di grassello e inerti sot-tili11. Queste ultime sono state integrate negli strati pittorici conla tecnica del tratteggio verticale, in modo da rendere riconoscibilel’intervento. Le numerose abrasioni sono state trattate con leggerevelature di colore12.

FABIANO FERRUCCI

ADRIANA ALESCIO

Fig. 5. Particolare del volto del Santo in fluorescenza

Note tecniche:1 - Tecnicamente si tratta di uno stacco. Infatti, in relazione alla profondità in cui si operala separazione tra la pittura e il supporto si distinguono tre tecniche di intervento moltoin uso in passato:

• stacco a massello, consiste nel rimuovere la pittura con la totalità dell’intonaco etutto o in parte il supporto;• stacco, ovvero la rimozione della pittura con gli strati d’intonaco immediatamentesottostanti;• strappo, permette la rimozione della sola pellicola pittorica.

2 - La velinatura è stata realizzata sovrapponendo due strati di tela: un primo strato divelatino in cotone a trama larga applicato a rettangoli di 20x30 cm mediante un adesivoacrilico (Paraloid B-72 in dimetiletilchetone al 20%); un secondo strato di tessuto in co-tone a trama fitta, applicato in bende di 40x30 cm, adese con il medesimo prodotto.L’operazione è stata eseguita previo lavaggio e stiratura dei tessuti impiegati. 3 - La vermiculite è un materiale derivante da una mica idrata che viene estratta da mi-niere e viene successivamente espansa mediante procedimento termico. I micropori dannoalla vermiculite espansa un basso peso specifico.La composizione della malta è: calce idraulica, sabbia grigia a granulometria fine, ver-miculite in rapporto 1:1:2, con aggiunta di 1% di polimero acrilico in emulsione.4 - Il nuovo supporto è un pannello con queste caratteristiche: il rivestimenti esterno èin tessuto in fibra di vetro bidirezionale del peso di 500 g/m²; il tessuto ha uno spessoredi 0,5 mm ed è impregnato con un adesivo epossidico autoestinguente; la struttura in-

terna è alveolare a nido d’ape in alluminio con celle da 9,52 mm. Le proprietà principaliche ne rendono ottimale l’utilizzo come supporto per dipinti murali staccati sono: pla-narità e leggerezza, l’elevata resistenza agli sforzi di taglio e di flessione; ottima resistenzaalla compressione; ottima stabilità e resistenza agli agenti atmosferici.5 - Il materiale, denominato cadorite, è un pannello in cloruro di polivinile espanso acellule chiuse, stabile e non infiammabile. Per l’adesione è stata utilizzata Resina Epos-sidica bicomponente Epo 121 e specifico indurente K 122 rapporto in peso 20%.6 - Dimetiletilchetone.7 - E’ stato utilizzata resina acrilica in dispersione acquosa Primal B60 A al 10% v/v inacqua.8 - Resine a scambio ionico di tipo cationico con azione decarbonatante.9 - Composizione miscela: 30 g Carbonato d’Ammonio, 25 g E.D.T.A. (sale bisodicodell’acido etilendiamminotetracetico), in 1lt di acqua supportato da polpa di cellulosacon tempi di contatto di 15 minuti. 10 - Composizione della malta: sabbia grigia, marmo Botticino, marmo giallo e calceidraulica in rapporto 1:1,5:0,5:1 con l’aggiunta di emulsione di polimero acrilico al 2%in soluzione acquosa.11 - Malta per le stuccature: Carbonato di Calcio, marmo Botticino e grassello in rapporto1,5:1,5:1.12 - Sono stati utilizzati colori ad acquerello Windsor&Newton nella gamma dei coloristabili per restauro.

«Ecce Homo»

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Fig. 6. Particolare del flagellatore prima e dopo il restauro

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Le tre sculture appartengono allo stesso gruppo raffiguranteil Compianto ai piedi della Croce, collocato nel terzo ‘cap-

pellone’ del lato sinistro, dove ancora tra il 1829 e il 1836 risultaattestato un altare dedicato al Crocifisso sotto il patronato diDon Domenico Carusi. Le prime due propongono la VergineAddolorata e San Giovanni Evangelista, colti di tre quarti e ri-volti verso il Cristo Crocifisso che è collocato al centro, appenapiù in alto. Realizzate ciascuna da unico segmento di tronco,appaiono piuttosto esili e allungate, e scolpite con una punti-gliosa cura dei dettagli, come ad esempio le capigliature. Ec-centriche rispetto al panorama della scultura lignea non soloabruzzese tra Gotico e Rinascimento, evidenziano nei corpi unlinearismo deciso, elegante e tormentato, quasi ascetico, la-sciando affiorare nelle fisionomie aspre, determinate da unacerta durezza dei lineamenti, di Maria dolente e di San Gio-vanni Evangelista, accenti cupi e severi i quali ben trasmettonola dimensione tragica del dolore, bloccata tra disincanto e sof-ferenza. Ciò sembra come contrastare con la posizione deipiedi che in entrambe le figure è restituita in termini dinamicie sembrerebbe quasi accennare passi di danza. Con enfasi piùnaturalistica è invece definita l’anatomia del Cristo in croce,caratterizzato da solchi bluastri che simulano le piaghe del fla-gello. Pervenuto in cattivo stato di conservazione, cui il restauro (cfr.infra) ha posto rimedio, il gruppo scultoreo, già profonda-mente alterato a causa delle pesanti vernici brune che lo rico-privano, ha goduto una modesta attenzione da parte dellacritica fino a tempi molto recenti. La scarna bibliografia,spesso limitata a sintetiche osservazioni, parte dai cenni, brevie alquanto generici, forniti dalla storiografia locale, che qui ri-propongo a beneficio del lettore, attingendo al testo compilatoin occasione della mostra Il Rinascimento danzante Michele GrecoFig. 1. Cristo in Croce prima del restauro

«Compianto ai piedi della Croce»

Madonna dolenteFINE DEL XV SECOLO

SCULTORE ATTIVO IN AMBITO ADRIATICO

Legno di pioppo scolpito e dipinto, cm 36 x 50 x 172 Popoli (AQ), chiesa di San Francesco

San Giovanni EvangelistaFINE DEL XV SECOLO

SCULTORE ATTIVO IN AMBITO ADRIATICO

Legno di pioppo scolpito e dipinto, cm 36 x 50 x 177 Popoli (AQ), chiesa di San Francesco

Cristo in croceFINE DEL XV SECOLO

SCULTORE ATTIVO IN AMBITO ADRIATICO

Legno di pioppo scolpito e dipinto, 145.5 x 217 cmPopoli (AQ), chiesa di San Francesco

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da Valona e gli artisti dell’Adriatico tra Abruzzo e Molise (2011). Inquella esposizione, presso il Castello Piccolomini di Celano, ledue sculture laterali sono state collocate a fianco al più tardodei due polittici eseguiti da Pietro Alamanno per Valle Castel-lana (Giancola 2011, pp. 50-51, con bibl. precedente), contri-buendo a confermare la datazione sul cadere del Quattrocento,per le stringenti analogie di gusto e di stile. In pittura e sculturale stesse pieghe segmentate che s’intersecano descrivendo geo-metrie, lo stesso sentimento contrito nei confronti della rap-presentazione di un tema sacro, sembrerebbero confermareun’ipotesi già abbastanza accreditata, che in Abruzzo tende adascrivere in questi anni opere d’arte di tecniche diverse a unastessa bottega. Il Compianto è citato per la prima volta nelle Memorie storichedi Popoli fino all’abolizione dei feudi di Alfonso Colarossi Mancini,che peraltro rivela di non essere a digiuno di storia dell’arte nelcommentare la facciata della Chiesa di San Francesco, impre-ziosita da uno straordinario rosone e da notevoli sculture inmarmo. Come “degno di nota” in questa chiesa, lo studiosoindica il “gruppo di tre statue in legno, pregevole lavoro, ese-guito probabilmente ai principi del XVI secolo (1911, p. 230).A sua volta Zaccaria Setta (1926 p. 92) segnala nella Cappelladel Crocifisso le tre figure datandole alla fine del 1400. “L’at-teggiamento di esse, pieno di misticismo, la cura scrupolosadei più minuti particolari, dalle pieghe e dagli svolazzi dei pan-neggi, alle crespe dei visi dolenti, ai rilievi dei muscoli tesi nellospasimo, fanno testimonianza che l’autore, a noi ignoto, ebbemolta perizia della sua arte”. Non si discosta Fernando Da-miani (1957, p.161), che chiosa: “La composizione di tale mi-rabile opera si fa risalire alla fine del XV secolo, ed è di valoreincalcolabile. Ignoto rimane l’autore, il quale ha curato il ca-polavoro in ogni particolare che vanno dall’atteggiamento piodelle figure, alle pieghe delle vesti; dall’espressione dei volti alrilievo dei muscoli tesi nello spasimo”. Le prime sintetiche osservazioni sull’opera in una pubblica-zione non di carattere prettamente locale si devono a MariaLaura Ajmola, la quale sottolinea innanzitutto come, nellaguida rossa del Touring Club Italiano, unica bibliografia pre-cedente da lei citata, il San Giovanni Evangelista sia erronea-mente identificato con la Maddalena. A suo avviso ilCompianto di Popoli è estraneo alla produzione abruzzese,mentre può essere utilmente messo al confronto con la Ma-donna adorante conservata al Bargello a Firenze, ma provenienteda S. Genesio presso Macerata (Carli 1960, p. 104, fig. CXIX),e quindi riconducibile alle esperienze umbro-marchigiane. Asuo dire in “quest’opera ritroviamo, con le stesse forzature im-pressionistiche … lo stesso modulo elegantemente allungatodel volto, l’alta fronte bombata e la minuziosa cura posta neldelineare la capigliatura”. Di parere diverso è Stefano Galloche collega l’opera alla cultura veneta. Il gruppo “rinvia ad unallievo di Antonio Rizzo per l’impostazione dinamica delle fi-gure e il panneggio a nervature tese che aderendo al corpo necaricano d’energia l’articolazione. Il San Giovanni, in partico-lare, ripete le soluzioni di Rizzo anche nel modo disuguale diimpostare i piedi a terra per farne risultare lo sviluppo dei mo-

Compianto ai piedi della Croce

Fig. 2. San Giovanni Evangelista prima del restauro

Fig. 3. Madonna dolente prima del restauro

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vimenti contrastanti del corpo” (DAT, II, 2, p. 563). In effetti non si può negare che nella nostra opera affiori, main termini incredibilmente più schietti, quel naturalismo espres-sivo, ancora di ascendenza gotica, che sembrerebbe la cifra pe-culiare di questo magistrale interprete della scultura venezianadella seconda metà del Quattrocento. Ciò che maggiormentecolpisce nelle due figure è però la costruzione che qui non av-viene per masse alla ricerca delle corrette proporzioni, inse-guendo un’idea di rinascimentale armonia, bensì per linee checadono fluide intrecciandosi in serrate geometrie per avvolgerei corpi. Sin dal primo impatto nel laboratorio di restauro a Ur-bino, le due sculture del Compianto mi sono subito sembratetotalmente in linea con il tema di questa mostra in fase di pre-parazione, orientando verso una possibile provenienza balca-nica, da quei territori dell’altra sponda dell’Adriatico, dacollegarsi forse proprio al clima culturale di quell’Albania ‘ve-neta’ in anni appena precedenti la conclusione del sogno pro-gressista di Giorgio Castriota Scandberg nel 1479. Mentre silascia aperta questa pista di ricerca non facile da perseguire acausa della successiva furia iconoclasta, va qui sottolineato chesignificativo è stato l’esodo da quelle terre verso la sponda op-posta dopo la diaspora turca. Pertanto, se si riflette a fondo, non è neanche tanto strano tro-vare un’opera così eccentrica proprio a Popoli, dove anzi questosconosciuto maestro sembrerebbe aver esercitato la propriaarte in sintonia con il territorio stesso. Difatti il suo naturalismo,lineare e contorto, pare quasi evocare lo scorrere lento dei fiumi,l’Aterno e il neonato Pescara, che qui confluiscono correndoverso l’Adriatico, e voler restituire forme concrete a quel vento,descritto dal poeta e umanista Giovanni Pontano, che contri-buiva a creare favorevoli condizioni climatiche soffiando rego-larmente quasi ogni giorno alle stesse ore, tanto da esseredefinito marea aerea e considerato positivamente perché “ tendealla conservazione degli abitanti e alla perfezione de’ vegetali ede’ loro frutti” (Torcia, cit. da Ghisetti Giavarina, p. 25). Bat-tezzata la “Chiave dei tre Abruzzi”, la cittadina è peraltro ubi-cata in una posizione strategica, alla confluenza tra la via degliAbruzzi, che portava a Napoli o in direzione nord versoL’Aquila, Perugia e Firenze, e la via Valeria che da Roma portavaall’Adriatico. Fiorenti erano i commerci, tant’è che presso laTaverna Ducale, eretta da Giovanni I Cantelmo nel 1377 e uti-lizzata come stazione di posta, locanda e magazzino, si racco-glievano le “decime” di spettanza del feudatario e i dazi perchiunque entrasse nella Valle Peligna. L’attività imprenditoriales’avvantaggiava del fatto che il fiume Pescara, le cui sorgentisono proprio a Popoli, era un fiume navigabile. Agevolando icommerci, permetteva quindi il transito delle merci importatee scambiate con i prodotti locali, in particolare il vino della vallepeligna (Ghisetti Giavarina). Nel 1453 l’umanista Flavio Biondo(ed. 1524, p. 117) presentava Popoli come centro “nobilissimo”per la natura del luogo, per le fortificazioni e per essere frequen-tato dal popolo. Vi si trovava il primo ponte sull’Aterno, mentrele mura costruite sulle due sponde formavano una barriera uni-tissima perché posta in un territorio molto montagnoso. Soprat-tutto gli anni dal 1460 al 1487 in cui Giovanni Cantelmo è stato

conte di Popoli hanno rappresento per la cittadina, che alloracontava ben mille abitanti, un tempo di rilancio anche grazieall’ampliamento del palazzo, detto poi ducale, che sorge nellapiazza del Mercato, sul lato opposto rispetto alla chiesa di SanFrancesco. In quel periodo Popoli è visitata tra gli altri da Al-fonso, duca di Calabria, figlio del re Ferrante d’Aragona, nelcorso dei suoi viaggi in quegli Abruzzi, resi ricchi anche dallamena delle pecore. Fin dal 1474 scendevano dall’Abruzzo versole Puglie un milione e settecentomila pecore, oltre gli animaligrossi (Silla 1738, p. 34). Non è quindi un caso che a Popoli, al-cuni decenni più tardi sorse il più grande lanificio del Regno,fatto costruire da Giovannella Carafa, vedova di Restaino Can-telmo, il settimo conte di Popoli barbaramente ucciso nel 1514.A beneficio delle attività che si svolgevano nello stabilimentoerano state addirittura incanalate le acque del San Callisto, e pro-priamente il ramo sinistro del fiume detto delle Pagliare (Popoli1901, p. 11). Ben poco resta oggi del ricco patrimonio d’arte che di certo Po-poli poté vantare nella sua stagione d’oro. La stessa chiesa diSan Francesco, sgomenta per la povertà dell’interno che s’apredietro la straordinaria facciata. L’unica testimonianza artisticadegna di qualche attenzione è un altro episodio della passionedi Cristo. Il tema di Gesù deposto abbracciato dalla Madre, di-nanzi all’ingresso del sepolcro, con la Maddalena e San Gio-vanni Evangelista in preghiera, è liberamente sviluppato in unaffresco, variamente, (ma sarebbe meglio dire vanamente!) at-tribuito a Giovanni da Sulmona e a Paolo da Montereale, dai ci-tati studiosi locali. Coevo o di poco successivo al Compianto,di recente l’opera è stata oggetto di un intervento di restauro,che ne permette oggi una migliore lettura. Mentre le linee fluentie un’analoga tendenza a una semplificazione geometrica deipiani sono proprie sia di quest’affresco sia di certa produzionedi derivazione ‘crivellesca’, come ad esempio il polittico di SantaRufina di Pietro Alamanno (scheda 4), in special modo si pos-sono confrontare le stesse pieghe fitte del perizoma di Gesùcrocifisso, con quelle del panno che cinge il Cristo che accom-pagna le nostre sculture, un’opera che “colpisce per l’intensitàdel dolore che scava il volto di Cristo e per la proprietà del pan-neggio lieve … mentre l’Addolorata ha il volto assorto in un’an-goscia indicibile che si fissa nei solchi della fronte invecchiata.”(Di Donato). Curiosamente la medesima espressione ‘dura’ e imedesimi lineamenti tesi sono propri dell’angelo annunzianteraffigurato in un altro affresco, in Santa Maria di Propezzano,datato 1499 (Pavone 1986, in DAT II, 2, p. 415-430). Il ricono-scimento dell’essenza con lo schema dicotomico effettuata inoccasione del restauro ha permesso di rettificare la natura dellegno che non è ulivo, bensì pioppo.

LUCIA ARBACE

BibliografiaCOLAROSSI MANCINI 1911, p. 230; ZETTA 1926, p. 92; DAMIANI

1957, p. 161; AJMOLA 1984, pp. 53-54; GALLO in DAT II, 2 p.563; DI DONATO 2003, V; GHISETTI GIAVARINA, pp. 52-53; AR-BACE 2011, pp. 52-55.

Compianto ai piedi della Croce

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Compianto ai piedi della Croce

INTERVENTO DI RESTAURO

Le sculture sono realiz-zate in legno di pioppo,

un’essenza lignea di colorechiaro, a massa volumicanon particolarmente densa.Sul corpo centrale, ricavatoda un unico tronco e model-lato con appositi strumenti,sono innestate le braccia delCristo e le mani di entrambii dolenti. Il tronco della Ma-donna e del San GiovanniEvangelista è stato svuotatodelle parti interne, mediantel’utilizzo di un’ascia, di cuisono riconoscibili i segni la-sciati. Tale svuotamento èstato eseguito, sia per ridurreal massimo i ritiri tangenzialidel legno durante la stagio-natura, sia per alleggerire lestatue durante il trasporto,poiché la destinazione cultu-rale della maggior parte diesse poteva prevedere deglispostamenti. In corrispon-denza della calotta cranica dientrambi i dolenti è, infatti,presente un largo foro a se-zione circolare, probabilesede dell’asse di sostegno deltronco in fase di svuota-mento, tamponato poi conun inserto della stessa specielignea. Questa tampona-tura, così come diverse fen-diture del legno sono statecoperte con strisce di tela,probabilmente di lino, alfine di diminuire le varia-zioni dimensionali dovute ai cambiamenti termo igrometrici.La preparazione delle sculture è piuttosto sottile e di colore chiaro,composta da gesso di Bologna e colla di origine animale, ad esclu-sione del manto azzurro della Madonna dove è emersa la presenzadi un’ulteriore strato preparatorio di colore rosso per far probabil-mente risaltare il pigmento blu del manto. Anche la pellicola pittoricaa tempera è sottile, omogenea e ben adesa allo strato preparatorio.Particolare è la tecnica esecutiva degli incarnati bruni delle sculture,che presentano effetti di chiaroscuro, e delle vene ben visibili lungotutto il corpo del Cristo, realizzate in rilievo e dipinte con un pig-mento verde molto corposo. Su queste è stato steso il colore dell’in-carnato che conferisce per trasparenza un naturalistico effetto

bluastro. Anche i rigagnoli disangue, sempre del Cristosono stati eseguiti in rilievo erifiniti con un pigmentorosso. Sui basamenti originalidella Madonna e del SanGiovanni Evangelista sonostate individuate inoltretracce di doratura a bolo.Il supporto originale dellesculture è apparso in buonostato; l’attacco di insetti xilo-fagi visibili dai fori di sfarfal-lamento, nel complesso, è daconsiderarsi di lieve entità. E’stata riscontrata la presenzadi alcune fessurazioni, inparticolare al centro dellaparte anteriore del perizomadel Cristo e sul retro dellatesta della Madonna dolente,riconducibili a movimenti diritiro del tronco in fase distagionatura, e da una man-canza del supporto dellaparte posteriore della testadella Madonna. Il capo diSan Giovanni Evangelista èstato interessato da unasconnessura di media entitàche ha causato, alla base delcollo, un leggero dislivello. Ilbraccio destro del Cristo eramobile e sconnesso, mentreerano parzialmente o com-pletamente mancanti tutte ledita delle mani, ad eccezionedel dito indice della manodestra. La corona sul capodel Cristo inoltre conservava

ancora solo poche spine.Le mani giunte della Madonna, ricavate da un unico pezzo, eranostaccate all’altezza dei polsi e sostenute dai due perni lignei. Gli strati preparatori e la pellicola pittorica complessivamente, ri-sultavano in un discreto stato di conservazione, ad eccezione delleabrasioni della pellicola pittorica presenti prevalentemente sul corpoed il perizoma del Cristo e sul manto rosso del San Giovanni Evan-gelista e della leggera crettatura da essiccamento con andamentoreticolare, in corrispondenza del manto e dei piedi del Santo. Inoltreerano presenti dei difetti di adesione e delle lacune degli strati pre-paratori in corrispondenza della parte inferiore del manto rosso, deipiedi e del collo del San Giovanni Evangelista, del manto azzurro

Fig. 4. Madonna dolente prima e dopo il restauro

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della Madonna e della corona di spine del Cristo.Il gruppo scultoreo, nel corso dei secoli, è stato oggetto di una seriedi rimaneggiamenti che ne hanno alterato la policromia originaria.Infatti, le tre sculture risultano integralmente ridipinte, in alcunipunti a più riprese. Lo splendido e brillante azzurro originale dellaveste della Madonna era stato coperto con uno strato di colore gri-gio vagamente azzurrognolo, mentre la veste del San GiovanniEvangelista era stata ridipinta in grigio-verde e in rosso cupo su unverde-nero e su un rosso brillante. Gli incarnati di entrambi i dolentiavevano subito anch’essi due interventi di ridipintura, il più recentedi colore rosa più chiaro di quello originale. Il corpo del Cristo pre-sentava due strati di ridipintura rosa sulla pellicola pittorica originalebruna, così come il perizoma era stato anch’esso ridipinto in biancocon striature scure sul bianco uniforme originale. Sulla corona dispine è stato inoltre trovato uno strato di porporina gialla a imita-zione dell’oro. Su tutti gli elementi costituenti il Gruppo è stata in-fine stesa una vernice di finitura, volutamente scura.Le due sculture dei dolenti, pensate originariamente per una collo-cazione a parete1, sono attualmente ancorate ad un basamento nonoriginale, in nudo legno molto più largo e squadrato dei basamentiantichi, mediante tavole e chiodi, che consente alle due figure di te-nersi solidamente in piedi senza l’ausilio di altri sostegni.La Croce del Cristo, così come il sistema di ancoraggio del corpoalla Croce, non sono certamente pertinenti alla fase originaria. Que-st’ultima presenta una sottile policromia a finto legno su strato pre-paratorio bianco, facilmente riconducibile all’ultima fase diridipintura delle sculture. Il cartiglio recante la scritta INRI è inveceantico, probabilmente ricollocato sulla nuova Croce e poi ridipinto.L’intervento di restauro è stato suddiviso in diverse fasi: una fase di

risanamento del supporto e di consolidamento degli strati prepara-tori, una fase di pulitura, stuccatura e reintegrazione pittorica ed unafase di disinfestazione dagli insetti xilofagi.In seguito ad una preliminare rimozione meccanica dei depositi in-coerenti mediante pennellesse e aspiratore, si è proceduto, su tuttele sculture che necessitavano di tale operazione, al ristabilimentodell’adesione dei sollevamenti degli strati preparatori con l’utilizzodi una resina polivinilica2 per i sollevamenti di piccola entità, e conuna resina acrilica diluita in acqua3 per i distacchi di media e graveentità. Per i distacchi invece della tela dal supporto si è reso invecenecessario l’impiego di una resina acrilica in emulsione4 pura. Inoltreè stato eseguito il consolidamento delle fratture del supporto, pre-senti nella zona del collo e della spalla di San Giovanni Evangelista,mediante infiltrazioni di una resina vinilica diluita in acqua5.Successivamente si è provveduto su tutte le opere del gruppo scul-toreo alla rimozione della vernice e degli strati di ridipintura. La ver-nice scura è stata rimossa con una miscela solventi6 supportata conun’emulsione cerosa, per permettere un’azione più controllata edun contatto migliore del prodotto; gli eventuali residui sono stati ri-mossi a tampone con la stessa miscela solvente. Si è così proceduto con la rimozione degli strati di ridipintura, inseguito a diverse prove, differenziando la pulitura in base alle so-stanze da rimuovere e al loro spessore e alla sensibilità ai solventidegli strati originali. Gli strati dei depositi parzialmente coerenti,presenti sui capelli del Santo sono stati asportati con un gel chelante,mentre ridipinture sono state rimosse con solventi polari supportatiin gel con tempi di contatto che variavano in base allo spessore delleridipinture, e successivamente rifinite meccanicamente con un bi-sturi a lame intercambiabili.

Compianto ai piedi della Croce

Fig. 5. Particolare del busto del Cristo prima e dopo il restauro e nella fase di pulitura

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Compianto ai piedi della Croce

In alcune zone delle sculture si è proceduto diversamente. Sullaparte anteriore del perizoma, sul volto e le vene del Cristo, poichélo strato originale risultava essere molto sottile, si è preferito pro-cedere solamente con rimozione meccanica a bisturi, invece lostrato di porporina presente sulla corona di spine del Cristo è statorimosso con un solvente polare in gel7. Infine per la pulitura delladoratura presente sul basamento originale delle due sculture è statautilizzata un’emulsione grassa8.Per quanto riguarda la Croce si è proceduto, in accordo con la Di-rezione Lavori, alla rimozione solamente dello strato di vernicescura per mantenere lo strato pittorico non originale. E’ stata quindieffettuata solamente la rimozione meccanica degli strati di ridipin-tura del cartiglio, unico elemento originale della Croce. I ferri, an-ch’essi non originali, ma ormai pertinenti all’opera, sono stati trattati

con un prodotto antiruggine9 e protetti successivamente con unostrato di resina acrilica in soluzione10.Al termine delle operazioni di pulitura le sculture sono state trattatecon una verniciatura preliminare eseguita a pennello con una ver-nice diluita11 per proteggere ed isolare gli strati originali.Prima di procedere con la fase della reintegrazione pittorica su tuttele opere del gruppo scultoreo si è provveduto al risanamento dellasconnessura tra il braccio destro del Cristo con la rimozione deichiodini industriali e tra le mani e le braccia della Madonna ripristi-nando il sistema di imperniatura originale. Inoltre si è provvedutoal risanamento della parte mancante sul retro della testa della Ma-donna mediante l’inserimento di un tassello di risanamento. L’in-serto è stato creato utilizzando dei listelli di legno di tiglio, ponendol’attenzione a far coincidere la parte radiale del legno con l’esterno

Fig. 6. San Giovanni Evangelista prima e dopo il restauro

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della fessura, per garantire in questo modo maggiore stabilità e ri-ducendo così i movimenti causati dalle variazioni termoigrometri-che. Modellati e ben levigati, i tre tasselli sono stati incollati alsupporto con una resina vinilica12 e regolarizzati gli eventuali vuoticon una stuccatura di polvere di legno ed una resina acrilica in so-luzione.Le stuccature del supporto, presenti in diverse zone del gruppo scul-toreo e le ricostruzioni delle parti lignee mancanti, in particolare incorrispondenza della testa e del basamento del San Giovanni Evan-gelista, sono state eseguite con una resina epossidica bicomponente13

adatta per le stuccature e ricostruzioni delle parti lignee, poiché haun’ottima consistenza e una giusta plasticità e inoltre imita fedel-mente la colorazione del legno. Le lacune degli strati preparatori edella pellicola pittorica, che avrebbero influito negativamente sul-l’aspetto estetico delle opere, invece sono state risarcite con gessodi Bologna e colla animale. La reintegrazione pittorica è stata eseguita con i colori ad acquerello,

procedendo a tono mimetico sulle lacune di modeste dimensioni ead abbassamento di tono sulle zone abrase al fine di restituire l’unitàdi lettura cromatica delle opere. L’equilibratura cromatica generaleinvece è stata effettuata con i colori a vernice.La verniciatura finale delle opere è stata infine eseguita a spruzzocon una vernice semilucida14. Al termine dell’intervento è stata ef-fettuata la disinfestazione da insetti xilofagi per anossia.Il Cristo è stato fissato sulla Croce con il sistema di ancoraggio a noipervenuto e le sculture delle due dolenti sono state infine riposizio-nate sul basamento in legno non originale con un ancoraggio più sta-bile e più sicuro del precedente, per consentire una stabilità alle operedurante il periodo di esposizione alla mostra. Successivamente leopere verranno ricollocate nella chiesa di appartenenza, valutando seripristinare o meno la loro collocazione originaria a parete.

ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS

CRISTINA CALDI

FRANCESCA MARIANI

Compianto ai piedi della Croce

Note tecniche:1 - Alcuni fori presenti sulle figure dei dolenti, oltre alle esigue dimensioni del basamentooriginale, fanno pensare a una possibile collocazione originaria a parete.2 - Gelvatol diluito al 20% in acqua e alcool etilico.3 - Acril 33 diluito al 50% in acqua.4 - Acril 33 puro.5 - Vinavil diluito al 75% in acqua.6 - Metiletilchetone e Alcool isopropilico al 50%.7 - Acetone in gel.

8 - L’emulsione grassa è composta da 90 ml di solvente apolare (Ligroina), 10 ml diacqua deionizzata e 2 ml di tensioattivo (Tween 20).9 - Fertan.10 - Paraloid B72 al 5% in acetone.11 - Vernice à Retoucher della Lefranc&Bourgeois diliuta 2:1 in etere di petrolio.12 - Vinavil appilcato puro.13 - Araldite Renpaste SV427 e Ren HV 427 (1:1).14 - Vernice Mat della Lefranc&Bourgeois e Vernice à Retoucher Surfin dellaLefranc&Bourgeois diluita 2:1.

Fig. 7. Madonna dolente vista del retro

Fig. 8. Test di pulitura della veste e rimozione dello strato di vernice scuradal volto di San Giovanni Evangelista

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Fig. 1. Opera prima del restauro

La Madonna, rappresentata al centro, affiancata da due angeli,accoglie sotto il suo mantello San Benedetto e Celestino V,

insieme a membri di una confraternita. La figura, che appare so-lida e statica, mostra un viso di fanciulla, dolce nei tratti, con gliocchi rivolti in basso verso i fedeli trepidanti in preghiera. La pre-senza di San Benedetto e di Celestino V rimanda ai due ordinimonastici che si sono avvicendati nel paese: i Benedettini, giàdall’età longobarda, come si evince dai motivi decorativi a nastrointrecciato che ornano la facciata della chiesa di San Benedetto, epoi, dal 1450, i Celestini di Collemaggio. Alla presenza di questiultimi è legato il culto per la Madonna di Casaluce, icona bizantinaportata dall’Oriente da Bertrando Sanseverino, vicerè sotto ilregno di Carlo I d’Angiò, e ospitata dal 1360 nel castello di Casa-luce, acquisito dei Celestini. Con l’istituzione, nel 1604, di un no-viziato, si è affermata la consuetudine, da parte di novizi, direalizzare copie dell’icona e portarla nei loro monasteri, favorendoin tal modo la diffusione del culto: nel monastero di San Bene-detto è pertanto conservata una icona bizantina raffigurante laMadonna di Casaluce. La devozione per la Madonna delle Grazie si radica invece in unavicenda storica che coinvolge il territorio di San Benedetto in Pe-rillis: il passaggio degli eserciti pontificio e imperiale nel 1527, du-rante la guerra tra Carlo V e la lega di Cognac. E’ infatti a seguitodi un voto fatto dalla popolazione che, nel 1530, viene eretta(forse a seguito di ampliamento di un precedente edificio sacro,come mostra la mancata posizione centrale del portale), a spesedella universitas di San Benedetto, la chiesa dedicata alla Madonnadelle Grazie con annesso ospedale: la Vergine viene raffiguratasulla lunetta del portale, vestita di una corazza, allusiva alla pro-tezione che aveva esercitato sulla comunità. Il dipinto, raffigurante la Madonna delle Grazie nella veste ico-nografica di una “Madonna della Misericordia”, era conservato,prima del 2009, nel solaio della casa parrocchiale, arrotolato. Siignora l’originaria collocazione dell’opera. La campitura sul sof-fitto, dove la tela è stata alloggiata prima di venire arrotolata, po-trebbe risalire a una fase recente, quando si realizza la cantoria esi chiude la porta laterale. Questo potrebbe essere avvenuto dopoil 1893, quando l’edificio sacro viene dismesso dalla funzione dilazzaretto per i malati di colera. Certo è che dei lavori devono es-sere stati effettuati dopo il 1916, dal momento che la chiesa, as-sente nelle visite pastorali del 1913, nel 1916 viene trovata maltenuta e bisognosa di restauro. L’altare maggiore è decorato conaffresco raffigurante la Madonna tra due angeli, ritoccato nel1960, da cui risulta difficile risalire allo stato originario, appenaintuibile dalla figura dell’angelo a sinistra, che mostra movenzecompatibili con le tendenze stilistiche della prima metà del Cin-quecento. Nella visita pastorale del vescovo Mario Mirone, in data17 luglio 1842, troviamo la testimonianza che la tela non fosseapposta sul soffitto, ma fosse priva di una collocazione liturgica-mente appropriata, tanto che viene prescritto di posizionarla sul-

«Madonna delle Grazie»INIZIO XVII SECOLO (1612)attr. a GIUSEPPE CESARI, detto il CAVALIER D’ARPINO E BOTTEGA

Dipinto ad olio su tela, cm 248 x 167 San Benedetto in Perillis (AQ), chiesa di Santa Maria delle Grazie

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l’altare maggiore: «Visitavimus hanc ecclesiam pertinentem adcommunitatem S. Benedicti cum altari sub eodem titulo quod in-venimus in bono statu, et adprobabimus: verum sacra icona ipsiusbeatissime virginis in tela depicta collocetur in eodem altari quamcitius». Nella successiva visita del 13 settembre 1850 non si fa piùmenzione della tela, il che permette di ritenere che fosse stata ef-fettivamente posta all’interno della nicchia dell’altare maggiore, oche avesse trovato collocazione sul soffitto. Il confronto tra le mi-sure dell’altare e quelle della tela non esclude una eventuale ap-posizione sull’altare o una primitiva intenzione da parte deicommittenti di collocarla in tale posizione di rilievo. La formacentinata del riquadro sul soffitto sembra essere stata realizzataper una tela già esistente, che non aveva nella chiesa una adeguatacollocazione.La rappresentazione di incappucciati accolti sotto il mantello dellaVergine suggerisce che il dipinto sia stato commissionato da unaconfraternita legata alla Madonna delle Grazie e all’ospedale an-nesso alla chiesa, forse la stessa la Confraternita del Sacramento,che nel 1612 ottiene l’aggregazione all’Arciconfraternita dellaSanta Sede. La maniera pittorica sembra vicina ai modi del Cava-lier d’Arpino, il cui stile poliedrico assume una veste multiformea seconda delle committenze e dei soggetti. L’artista lavora a Ca-lascio nel 1600, lasciando una tela raffigurante la Madonna con ilBambino datata e firmata, e in varie località abruzzesi, tra cuiL’Aquila, Sulmona, Tagliacozzo, Luco dei Marsi, coadiuvato dauna bottega molto attiva. Accanto alle grandi imprese decorativein cui prevalgono temi mitologici e biblici, come quelle del Pa-lazzo dei Conservatori e della villa Aldobrandini a Frascati, e alleimportanti commissioni romane nella cappella Contarelli in SanLuigi dei Francesci, nella cappella Olgiati in Santa Prassede, neltransetto di San Giovanni in Laterano non mancano soggetti de-vozionali rappresentati con uno stile asciutto e rigoroso, in cui sirespira un’atmosfera di solennità e pacatezza. E’ il caso del dipintodi Calascio, a cui quello di San Benedetto in Perillis può essereaccostato per l’atmosfera silenziosa e composta e per lo stagliarsimonumentale della figura della Vergine. Alcuni dettagli, qualil’aspetto infantile del volto dagli occhi rivolti verso il basso e ilcadere verticale delle pieghe dell’abito, rimandano ad esempi at-testati nella produzione del Cesari, dalla Madonna di Santa Mariadella Scala a Roma (Röttgen 2002, 178), a Santa Maria Salomé diVeroli (Röttgen, 214), a Maria con Gesù di Calascio (Röttgen 2002,90), all’Immacolata di Madrid (Röttgen, 107). La tipologia fisiono-mica trova riscontro in figure come il San Giovanni Evangelista diArpino (Röttgen, 216), la Madonna nell’Annunciazione di Taglia-cozzo (Röttgen, 256), e similmente quella degli angeli rimanda atipi facciali ricorrenti nella produzione del Cesari, nei cartoni perla cupola di San Pietro (Röttgen, 115.6, 115.8, 115.15), nel SanMichele della Collezione Barberini-Sciarra (Röttgen, 179), nel SanMichele di Agriano (Röttgen, 257), nell’angelo della Cappella Ca-farelli di Santa Maria sopra Minerva (Röttgen, 192), in quello (asinistra) del Cristo morto Aldobrandini (Röttgen, 86); allo stessomodo le orbite profonde dei fedeli astanti rimandano a una ma-niera ricorrente nella rappresentazione di figure in preghiera(Röttgen, 173, 174). I dati raccolti, se non possono fondare un’at-

tribuzione certa al Cesari, stabiliscono una parentela così strettacon la sua produzione pittorica da suggerire l’attribuzione perlo-meno alla sua bottega.La staticità e la composizione simmetrica dell’opera non esclu-dono una datazione all’inizio del Seicento (forse proprio intornoal 1612, anno dell’aggregazione della Confraternita del Sacra-mento all’Arciconfraternita di Roma), ipotizzabile per i dati stili-stici che rivelano una cultura artistica matura, che da premesse distampo manierista si muove verso modelli aggiornati interpretatialla luce di una concezione personale dell’immagine pittorica.

MARTA VITTORINI

Bibliografia consultataArchivio Diocesano di Sulmona, Visite Pastorali; CIRILLO 1570,p 178; ANTINORI, sec. XVIII, vol. XXXIX; RÖTTGEN 2002;GUALTIERI c.so st.

Madonna delle Grazie

Fig. 2. Giuseppe Cesari, Maria con Gesù, dipinto firmato e datato 1600. Calascio (AQ), Chiesa di Santa Maria delle Grazie

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Madonna delle Grazie

Il manufatto, sprovvisto di struttura di sostegno, è realizzato sudi un supporto in lino1 costituito da tre teli cuciti a sopraggitto

con ripiegamento dei lembi sul verso, due verticali e uno orizzontale,ed è caratterizzato da un’imprimitura di medio spessore e di colorescuro ottenuta con una miscela di pigmenti mischiati con olio.Anche la pellicola pittorica è ottenuta con pigmenti legati con olio.Il dipinto, proveniente dai deposti della Casa parrocchiale di SanBenedetto in Perillis, versava in un precario stato conservativo: benvisibili erano i segni di piegature dovute all’arrotolamento e il sup-porto tessile appariva fragile e sfibrato con numerose piccole lacunee alcune lacerazioni risarcite in un precedente intervento di manu-tenzione con rattoppature dal verso. Gli strati preparatori e pittoricipresentavano vaste zone caratterizzate da una mancanza di ade-sione, nonché abrasioni e cadute macroscopiche di colore. La pel-licola pittorica appariva interamente offuscata da sostanzesoprammesse quali polvere sedimentata e strati di finitura alterati,verosimilmente a base di sostanze proteiche quali colle animali obianco d’uovo. Il velo dell’angelo a sinistra della Madonna e l’interno del mantodella Vergine presentano una ridipintura con ocra rossa stesa soprauno strato di lacca rossa originale. Tale rifacimento è probabilmenteda imputare a un restauro precedente, durante il quale la lacca ap-plicata come preziosa finitura del colore è stata asportata medianteuna pulitura troppo invasiva.

Infine, su entrambi i versi del manufatto è stato riscontrato un at-tacco biologico sotto forma di macchie biancastre2.Il ristabilimento dell’adesione dei materiali costitutivi al supportotessile è stato effettuato dal recto mediante applicazione localizzatadi prodotto consolidante sintetico in soluzione a spruzzo3. L’attacco biologico è stato rimosso con un biocida4 applicato aspruzzo sia sul recto sia sul verso. Le deformazioni della tela sonostate risanate umidificando il supporto tessile e apportando unaleggera pressione, mentre le lacerazioni sono state risarcite me-diante incollaggio puntuale dei fili e applicazione di inserti di telanelle lacune più ampie per ricostituire l’unità strutturale del sup-porto e per impedire il rilassamento della zona circostante la lace-razione5.La pulitura della tela è consistita nella rimozione sul verso di depositicoerenti e aderenti alla tela con pennellesse, pani di gomma6 e pic-coli aspiratori, mentre l’asportazione degli strati soprammessi allapellicola pittorica è avvenuta mediante applicazione a pennello sullasuperficie dipinta di un gel rigido di agar potenziato con sostanzebasiche7 successivamente risciacquato per asportarne i residui non-ché lo sporco rigonfiato.Data la fragilità del supporto e il grado di depolimerizzazione dellefibre, il manufatto è stato sottoposto a un intervento di foderaturatotale con applicazione di una nuova tela sintetica8 fatta aderire conuna resina sintetica termoplastica9, previa rinforzatura delle cu-

INTERVENTO DI RESTAURO

Fig. 3. Particolare della mano destra della Madonna prima e dopo il restauro

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Fig. 4. Particolare del volto di Papa Celestino V prima del restauro e dopo l’intervento di pulitura

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citure dei teli10.Dopo aver eseguito la verniciatura del manufatto a pennello conresine sintetiche in soluzione11, con finalità di protezione dellapellicola pittorica, le lacune reintegrabili per localizzazione e perestensione sono state colmate con stucco12, successivamente ra-sate a livello e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazionepittorica delle abrasioni e delle lacune di piccole dimensioni èstata eseguita a velatura con tecnica mimetica mediante applica-zione per stesure successive di colori ad acquarello13 e a vernice14.La protezione finale superficiale del manufatto è stata ottenutacon l’applicazione a spruzzo di resine sintetiche in soluzione15.

Il dipinto è stato montato su un nuovo telaio in alluminio16 ca-landrato secondo la misura della centina, con un bordo di scor-rimento di legno rivestito di teflon.Il manufatto è stato vincolato al sistema elastico montato usandoil perimetro eccedente della tela di foderatura, in cui è stato al-loggiato un tondino in acciaio inox da 5 mm di diametro per di-stribuire omogeneamente sul perimetro la forza esercitata dallemolle17. La forza di tensionamento scelta è di 1,8 N/cm18. Si èproceduto successivamente all’applicazione di una nuova cornicelignea.

DAPHNE DE LUCA

Fig. 5. Immagine in falso colore Fig. 6. Riflettografia IR

Madonna delle Grazie

Note tecniche:1 - Il supporto originale in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 8 x11 (trama e ordito). Per individuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotchdi carbone biadesivo, su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sput-tering e osservati al microscopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisisono state eseguite dalla prof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini,Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), SezioneMorfologia e Tecnologie per la Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Universitàdegli Studi di Urbino “Carlo Bo”.2 - Le analisi biologiche eseguite presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolaridell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, hanno confermato la presenza dimiceti, in particolare di Penicillium chrysogenum e Ulocladium cartharum. 3 - BEVA O.F all’8% in benzina rettificata 80-100°C.4 - New Des 50 al 2% in acqua demineralizzata.5 - Il risarcimento filo a filo è stato ottenuto impiegando l’adesivo Tylose MH300all’8%. Nel caso di ampie lacerazioni o di mancanze nel supporto sono stati realizzatidegli inserti con tela di lino antica, con trama e riduzione simile all’originale, facendoaderire testa-testa le fibre della tela lungo i tagli con polvere poliammidica Textile5060. 6 - Spugne Wishab di varie morbidezze.7 - Il gel di Agar-agar è stato preparato aggiungendo poche gocce di TEA (Trietano-lammina) fino al tamponamento del pH a 8,75-9. L’impasto è stato così composto:190g di acqua demineralizzata + 10g di Agarart + 6g di Tween 20 + 6g di TEA. Larimozione dello sporco rigonfiato e dei residui di TEA è avvenuta con Tween 20 al2% in acqua demineralizzata.

8 - E’ stata scelta una tela sintetica in poliestere Trevira CS ISPRA precedentementeapprettata con Plexisol al 10% in White spirit.9 - Beva film OF.10 - Le giunzioni dei teli sono state rinforzate con velatino di garza applicato con Ple-xisol al 12% in White spirit.11 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acri-liche Retoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.12 - Lo stucco è stato ottenuto mischiando 2 parti di gesso di Bologna con 1 parte diAquazol P200, precedentemente diluito in acqua demineralizzata al 10-15% e lasciatorigonfiare per 24 ore, omogeneizzando poi il tutto con l’aiuto dell’agitatore magneticoper 15-30 minuti. 13 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton14 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 15 - Per la protezione finale è stata scelta la vernice a base di resine alifatiche Regalrez1094 caratterizzata da ottime proprietà di trasparenza, reversibilità, resistenza all’in-giallimento e all’invecchiamento in generale.16 - Il telaio è stato saldato e verniciato a forno con polveri epossidiche. Il lavoro èstato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelson e Carlo Se-rino.17 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.18 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

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Il volto barbato ed espressivo, il saio che reca sulla spalla ilsegno tau, le dita della mano strette a tenere un bastone, oggi

mancante, contraddistinguono il santo come l’eremita Antonio,vissuto in Egitto nel III secolo. Gli attributi che convenzional-mente lo identificano poggiano da un lato sul racconto della suavita, tramandata dal vescovo Atanasio di Alessandria, a luicoevo, dall’altro su stratificazioni posteriori che aggiungono va-lenze fondate sull’operato dell’ordine degli Ospitalieri di San-t’Antonio e a lui attribuite dalla religiosità popolare vicina almondo agricolo pastorale e ai cicli stagionali. Se dunque l’im-magine del Santo come eremita, in età avanzata, col bastone dalmanico a forma di tau trae la sua ispirazione dalla narrazionebiografica che lo vede intraprendere in Egitto un monachesimoanacoretico e resistere alle tentazioni del demonio, l’associa-zione con gli animali (in particolare con il maiale) e con il fuocorimanda all’acquisizione occidentale della sua immagine apertaa una molteplicità di letture che lo legano al contesto socio-eco-nomico delle comunità che ne accolgono il culto e all’immagi-nario popolare che ne arricchisce la leggenda. Il maiale chetalvolta lo accompagna potrebbe alludere al diavolo vinto daAntonio nel deserto, ma anche, e forse più opportunatamente,all’assistenza che gli Ospitalieri di Sant’Antonio esercitavano afavore degli ammalati di “herpes zoster” (il fuoco di Sant’An-tonio) alleviando le piaghe con un balsamo emolliente preparatocon il lardo dell’animale: a questo scopo era stata fatta licenzaagli Antoniani di allevare i maiali nei centri abitati, segnalandonel’appartenenza mediante una campanella. Da questo episodioche vede protagonista l’ordine fondato nell’XI secolo sembratrarre origine nella tradizione iconografica la campanella, chetalvolta figura appesa al suo bastone, evocativa del ruolo attri-buito al santo di cacciare il demonio. Il fuoco, che può compa-rire accanto alla figura dell’eremita o in mano, alludendo allacapacità di guarire l’“herpes zoster”, ben si sposa con i riti diinizio anno. La cadenza della morte del santo il 17 gennaio,coincidendo con le “ferie contadine”, nel momento di chiusuradell’anno vecchio e di apertura di quello nuovo, inteso comeanno agricolo inaugurato dalla stagione primaverile, comportache al fuoco vengano attribuite valenze purificatorie: le farchie,preparate con il concorso di tutta la comunità, hanno una fun-zione propiziatoria per il raccolto della nuova stagione. La con-comitanza della festa con l’apertura del carnevale spiega ladiffusione di una tradizione burlesca di gusto popolare che siispira al racconto delle tentazioni subite da Sant’Antonio e dellatradizione dei canti di questua, risultato della trasformazione dicomponimenti agiografici.Da questi brevi linee ben si evince l’importanza del culto perSant’Antonio abate in un territorio di montagna che natural-mente presenta una vocazione eremitica e in cui l’economia èstrettamente legata ai cicli stagionali. Due sono i principali “riti”che accompagnano la festa di Sant’Antonio nei paesi abruzzesi:

«Sant’Antonio Abate»FINE XVI – INIZIO XVII SECOLO

SCULTORE ABRUZZESE

Legno intagliato e dipinto, cm 219 x 70Calascio (AQ), convento di Santa Maria delle Grazie, già chiesa di Sant’Antonio Abate

Fig. 1. Opera prima del restauro

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la benedizione degli animali, di cui l’eremita è considerato pro-tettore, e l’accensione dei fuochi, entrambi espressione di unasocietà a economia agricolo-pastorale. Si spiega pertanto come,nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, ai santi ricorrenti inambito francescano si aggiunga l’eremita egiziano. Il convento di Santa Maria delle Grazie è stato fondato nel 1594dai Frati Minori Osservanti. L’importanza del complesso con-ventuale è legata, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Sei-cento, alla figura di Padre Mario da Calascio, famoso ebraista eautore di concordanze ebreo-latine, che si trasferì a Roma neiconventi di San Pietro in Montorio e di Aracoeli, divenendo fa-miliare e confessore di Paolo V Borghese da cui fu nominatoMaestro Generale della lingua ebraica. La chiesa conosce nelprimo quarto del Seicento un momento di un grande fervoreartistico, con la realizzazione di preziosi altari barocchi arricchitidi sculture poste all’interno di nicchie inquadrate da colonnetortili. L’altare maggiore offre una collocazione di rilievo alleimmagini scultoree di San Francesco d’Assisi e di San Bernar-dino, santi fondatori del Francescanesimo e dell’Osservanza inAbruzzo, posti ai lati della scultura raffigurante la Madonnadelle Grazie, insieme a San Bonaventura e a San Nicola di Bari,mentre Sant’Antonio da Padova, altrettanto ricorrente tra i sog-getti privilegiati dall’ordine, San Leonardo e san Pasquale Bay-ron sono esposti in altari minori. Estranea a questa concezioneunitaria è la scultura raffigurante Sant’Antonio Abate, fino al al-cuni anni fa collocata in una nicchia del porticato antistante lachiesa e trasferita all’interno su indirizzo della Soprintendenza

per ragioni conservative. La devozione per il santo eremita è attestata dalla presenza diuna chiesa a lui dedicata, che reca sulla facciata l’iscrizione “tem-plum ad honorem et gloriam Sancti Antonii dicatum Anno Do-mini 1641”. Sembra assai probabile che la scultura provenisseproprio da lì, prima di trovare collocazione all’esterno dellachiesa conventuale. Questa ricostruzione è avvalorata dalla te-stimonianza di una visita pastorale del 22 agosto 1907, in cui siattesta che nella chiesa recentemente restaurata mancano alcunestatue, e trova un elemento di chiarificazione nel legame dellachiesa con il convento osservante, evidente dalla presenza delmonogramma bernardiniano sulla facciata di gusto tardo-rina-scimentale, e documentato da una successiva visita pastorale del1911, da cui emerge il dato che nella chiesa di Sant’Antonioaveva la sua sede la Confraternita dell’Annunziata, retta proprioda un minorita del convento di Santa Maria delle Grazie.La caratterizzazione realistica del Santo, con il volto segnato darughe, la trattazione a ciocche dei capelli e della barba, il solcoscavato che gira intorno agli occhi e le gote disegnate plastica-mente sul viso smunto consentono di collocare la scultura trala fine del XVI secolo e l’inizio del XVII.

ROSELLA ROSA

MARTA VITTORINI

Bibliografia consultataArchivio Diocesano di Sulmona, Visite pastorali; ANTINORI, Coro-grafia, XXVIII; GIANCRISTOFARO 1995, pp. 183-194.

INTERVENTO DI RESTAURO

La statua è stata realizzata in legno di pioppo (Popolus L.), ri-conosciuto con analisi macroscopica delle fibre che con-

sente l’esame della tecnica di assemblaggio: tre blocchi checostituiscono il corpus centrale e la testa sono trattenuti conl’ausilio di chiodi metallici e perni di legno. Su questi sono in-nestate le braccia. Il retro dell’elemento centrale, il tronco piùvoluminoso, si presenta scavato; sono visibili i colpi di scalpelloe di sgorbia utilizzati per lo svuotamento. La parte posterioredella statua, concepita per una visione unicamente frontale, èlasciata a uno stadio di lavorazione iniziale.Un pannello piatto funge da copertura di tale cavità. Rimuo-vendo il pannello è possibile notare l’accentuata nodosità dellegno. Sulla testa della statua è posta l’aureola dorata, trattenutacon perno metallico. Le asperità e le connessure degli elementilignei sono state uniformate e rinforzate con strisce di telaspessa di cui non è possibile osservare esattamente la tessitura.L’intera superficie lignea è stata trattata prima di ricevere lostrato pittorico con applicazioni di gesso e colla animale, in piùstrati di colore grigio chiaro. La presenza di lacune nella zona

delle pieghe della tunica bianca del santo e laterale del mantelloha messo in luce come lo spessore degli strati preparatori rag-giunge spessori considerevoli, concorrendo a realizzare il mo-dellato dei panneggi. La pellicola pittorica, realizzata a tempera,ha pennellata sottile e continua sulle vesti; nonostante il pes-simo stato di conservazione degli incarnati, sono ancora visibilile velature che sottolineano il modellato delle palpebre e dellelabbra. L’aspetto austero della composizione è addolcito dai ri-lievi morbidi della barba e dei capelli, dalla cura con cui è rica-vato il modellato del volto e dei piedi. La statua è stata oggettodi interventi precedenti di pulitura e successiva ridipintura.Al momento del restauro l’opera esposta a inadeguate condi-zioni microclimatiche presentava morfologie di degrado dovuteall’elevata nodosità del supporto ligneo, che impedisce i movi-menti naturali del legno dovuti alle variazioni termoigrometri-che, creando tensioni differenziali nel supporto con conseguentifessurazioni. Lesioni stese lungo l’asse longitudinale delle fibreerano visibili nel retro in corrispondenza della nuca e dei capellidel santo. Tali fenomeni si riscontravano anche in corrispon-

Sant’Antonio Abate

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denza dei giunti assemblati con mobilità e distacchi delle parti. Il degrado legato all’attività di insetti xilofagi risultava diffusoin tutti i volumi e su tutta la superficie erano visibili fori di sfar-fallamento con rosume. In corrispondenza delle mani e alcuneparti del volto erano riscontrabile le tracce di un attacco funginoinattivo. Sono parzialmente mancanti le dita di entrambe lemani. In corrispondenza della parte inferiore sinistra della vestebianca erano presenti tracce di combustione da candele e cerivotivi.Le zone più spesse degli strati preparatori presentavano decoe-sione e mancanza di adesione al supporto. Tutta la superficie

era interessata da cadute di materiale costitutivo e si presentavalacunosa a varie profondità.La pellicola pittorica si presentava abrasa e arida, con fenomenidi decoesione superficiale.L’intera superficie era interessata da depositi incoerenti e par-zialmente coerenti in aggiunta ad uno strato di protettivo ap-plicato a pennello non continuo ed alterato.Gli interventi diretti sull’opera sono stati preceduti inizialmenteda una campagna fotografica finalizzata all’elaborazione del ri-lievo grafico e della documentazione necessaria alla compren-sione del manufatto, dallo stato di conservazione, alle tecniche

Sant’Antonio Abate

Fig. 2. Statua vista dal retro prima e dopo il restauro

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esecutive, differenziando le fasi del restauro dedicate ai tratta-menti del supporto e della pellicola pittorica.Come operazione preliminare, è stato necessario intervenire sullaparte inferiore della veste, eseguendo una prima riadesione dellescaglie di pellicola pittorica distaccatesi dal supporto, e dunquemaggiormente a rischio di caduta, mediante iniezioni di alcol po-livinico, con pressione della spatola per agevolare la distensione.Ove i sollevamenti erano di spessore maggiore si è reso neces-sario l’utilizzo di resina acrilica in emulsione.Successivamente l’opera è stata pulita con pennelli a setole mor-bide e aspiratore così da rimuovere la maggior parte del parti-colato incoerente con polvere, ragnatele e detriti di piccoledimensioni.In seguito sono state effettuate le operazioni di risarcimentodelle lesioni della struttura lignea mediante inserimento di tassellie riempimento con polvere di legno e colla vinilica. L’impanna-tura distaccata è stata fatta riaderire con infiltrazione di resinaacrilica in emulsione e pressione esercitata da pesetti. Per il trat-tamento della decoesione degli strati è stata utilizzata resina acri-lica in soluzione a bassa percentuale. Al momento della pulituradel viso, sono stati effettuati diversi tasselli di pulitura per indi-viduare il metodo che consentisse un’ottimale rimozione dellostrato soprammesso senza alterare la cromia originale e la sen-

sibilità degli strati preparatori.Si è deciso di rimuovere meccanicamente a bisturi la strato di ri-dipintura applicato in un intervento precedente, riportando cosìin luce l’incarnato originale.Lo strato di ridipintura monocromo sul mantello è stato rimossocon solventi aprotici al di fuori delle attività di laboratorio. In se-guito, i residui rimasti sono stati solubilizzati con solventi polaria bassa tossicità. Una volta ultimata la pulitura della superficiel’opera è stata sottoposta ad una prima applicazione di verniceacrilica. Le lacune degli strati pittorici sono state risarcite con stuc-cature a base di gesso e colla animale e rasate a livello delle su-perfici originali.Il trattamento dei perni metallici è stato effettuato asportando laparte più superficiale ossidata con microtrapano; successivamentela superficie è stata trattata con convertitore di ruggine. La rein-tegrazione pittorica è stata eseguita con la sovrapposizione di ve-lature leggere fino al raggiungimento della coprenza desiderata,con colori ad acquerello e vernice. L’ultima fase di intervento haprevisto la disinfestazione da insetti xilofagi per anossia.

FRANCESCA MARIANI

ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS

CRISTINA CALDI

Fig. 3. Immagine dell'opera in fluorescenza Fig. 4. Particolare di un chiodo nella veste del Santo

Sant’Antonio Abate

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Nel convento di San Francesco a Capestrano sono conservatiquattro dipinti su tela raffiguranti episodi della vita di San

Giovanni. Il genere, inaugurato dal noto polittico del Museo Na-zionale d’Abruzzo, viene replicato nello stesso convento nelle lu-nette del chiostro. Gli episodi rappresentati (l’incontro a Mantovacon papa Martino V, il guado del fiume con i confratelli, la visioneche ebbe durante una messa celebrata a Peterwarden, la morte) di-pingono il santo nella sua attività di difensore della fede e dell’or-todossia, a fianco del papato, contro il dilagare delle eresie e laminaccia musulmana. L’incontro con il papa è emblematico dellostretto rapporto che ebbe con l’autorità pontificia, da cui fu incari-cato di svolgere la sua opera di difesa dell’ortodossia e della reli-gione cristiana. Più volte il Santo fu ricevuto dai pontefici: nel 1418da Martino V, che lo nominò Inquisitore ed elaborò le CostituzioniMartiniane che avrebbero dovuto fondare l’unità all’interno dell’or-dine francescano; dopo la morte di San Bernardino da Eugenio IVpresso cui Giovanni sollecitava la canonizzazione del confratellosenese. Ma è soprattutto il suo impegno nel promuovere la crociatae nel partecipare in prima linea alle operazioni militari che apparecome il tratto più ricorrente nelle storie del Santo, tanto da con-traddistinguerne l’iconografia con il vessillo segnato dalla croce.Se il polittico quattrocentesco coglie Giovanni nel momento dellabattaglia dove, nel nome di Gesù spronava i crociati a combattere,nel dipinto in esame è il momento che precede le operazioni diguerra a essere raccontato, quando, durante una messa che cele-brava a Peterwarden, secondo la testimonianza dei biografi “cele-brando gli parve di vedere una saetta, mandata dal cielo, e in unattimo apparve sull’altare con la scritta a lettere d’oro: «Non temere,Giovanni, ma con sicurezza discendi e sii coraggioso, perché ripor-terai vittoria sui turchi in virtù della croce»” (Giovanni da Taglia-cozzo, Cristoforo da Varese). Questa visione incoraggiò il Santonella risoluzione a marciare verso Belgrado portando aiuto alla cittàminacciata di assedio, e a combattere contro l’offensiva turca no-nostante l’invito a desistere del governatore János Hunyadi.San Giovanni è rappresentato nel momento della celebrazione, in-tento a leggere il messale; la sua rappresentazione sembra ispiratanon tanto a modelli convenzionali che assimilano i membri dell’Or-dine alla fisionomia di San Bernardino, quanto rispondere a una ri-cerca ritrattistica basata su fonti iconografiche vicine al Santo; inalto tra due angeli appoggiati sulle nuvole, contornata di cherubini,la freccia indirizzata verso il basso a indicare le parole “non tem:gio:”. Intorno al Santo, disposti a corona, personaggi ben indivi-duati nelle pose e nelle caratterizzazioni fisionomiche. Due figure,in posizione frontale ai lati di Giovanni, delineate con l’accuratezzadel ritratto, devono alludere a finanziatori dell’opera o a protagonistidelle vicende ungheresi, come suggeriscono la lancia accanto aquello di sinistra e l’armatura indossata dal più giovane a destra.Tra coloro che hanno condiviso gli ultimi episodi della crociata con-tro i musulmani si possono menzionare János Hunyadi e suo figlioMátyás (Mattia Corvino) o il fratellastro di János, Mihály Szilágyi,e suo figlio László, questi ultimi improbabili perché non figuranonelle fonti biografiche. Gli altri personaggi sembrano seguire la

«Visione di San Giovanni da Capestrano»PRIMO QUARTO DEL XVII SECOLO (ca. 1625)Dipinto ad olio su tela, cm 210 x 158 x 3Capestrano (AQ), convento di San Francesco e Giovanni

Fig. 1. Opera prima del restauro

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celebrazione mentre un frate, inginocchiato davanti all’altare ac-canto a una figura di spalle che tiene il vessillo con il nome di Cri-sto mostra nella posa e nel gesto della mano una concitazione,come se fosse consapevole del segno divino apparso tra gli angeli.L’artista mostra una formazione ampia, di respiro europeo. La ca-ratterizzazione fisionomica dei personaggi rimanda a quell’atten-zione per il ritratto individuale e di gruppo che si era affermata inambito olandese e aveva trovato tra i primi esponenti Franz Hals.Le cromie, la costruzione delle scene sembrano discendere daespressioni pittoriche che si sviluppavano in Spagna tra il finire delXVI e l’inizio del XVII, pur con una caratterizzazione stilistica chetrae spunti dagli esempi della pittura controriformista di ascen-denza bedeschiniana, caratterizzati da una presentazione compostadella scena insieme ad una connotazione realistica.Si riscontra un’identità di mano con i tre dipinti che descrivono lavita del Santo nell’impianto delle scene e in tipologie fisionomichericorrenti a caratterizzare alcuni personaggi. Prendendo in esamel’episodio della morte del Santo, tra i tratti comuni si segnala losfondo disegnato da architetture e la presenza di dettagli realisticiche descrivono l’ambiente, gli angeli in alto, la posizione orizzon-tale e frontale di alcune figure e quella “di taglio” di altre. La cor-rispondenza di tipi fisionomici crea un parallelismo tra le scene,che sembrano costruite come se i medesimi attori assumano divolta in volta un ruolo in ogni episodio. Si riscontra inoltre un’assonanza con alcuni episodi del chiostrodel convento di San Giuliano a L’Aquila, prima fondazione del-l’Osservanza a L’Aquila. Questi risultano opera di più mani, traloro molto eterogenee nell’identità stilistica e nella scelta delle cro-mie, tra cui si ritiene di poter rintracciare, oltre a una comunanzadi ambito, alcuni moduli fiosonomici ricorrenti nei dipinti di Ca-pestrano.Il convento di San Francesco fu fondato da San Giovanni nel 1447nella località del “vecchio castello”, appena fuori le mura di Cape-strano, dove ruderi di un fortilizio che un’antica tradizione ascri-veva al re longobardo Desiderio erano diventati ritiro di piccionitanto da originare l’ulteriore toponimo di “Palombara”. Il terrenofu donato da Giacomo Amico Consobrino a seguito di una per-muta con Giovanni di Zaino. La contessa di Celano Covella, ter-ziaria francescana e devota al santo, con privilegio emanato il 1dicembre 1447 ratificò l’avvenuta cessione e concesse l’esenzioneda “qualunque prestazione di censo, di adoa, o di altro servizio, dicolletta, o di pagamento”. Alla prima consacrazione avvenuta nel 1625 seguì una seconda nel1799, a suggellare l’ampliamento e ammodernamento dell’edificioterminato nel 1751: la primitiva chiesa fu alzata di alcuni metri,dotata di un nuovo pavimento, voltata, decorata con stucchi, unnuovo coro aveva sostituito il precedente, ritenuto troppo angustoper ospitare i numerosi chierici. Nel 1925, in occasione di un re-stauro, la facciata è stata rivisitata in chiave moderna, la volta èstata arricchita con quattro tele di padre Colombo Cordeschi daLucoli.Quanto alla chiesa primitiva l’affresco della Vergine e San France-sco sulla lunetta del portale dell’attuale facciata, recante la data1488, fa ritenere che in questo anno i lavori fossero terminati eche l’edificio, di dimensioni ridotte, si estendesse dall’attuale fronte

fino al presbiterio, privo dei corpi aggiunti occupati dal coro. L’al-tare maggiore era dedicato a San Francesco e già dal 1457, annoin cui i libri e gli oggetti personali di Giovanni furono portati daisuoi confratelli dall’Ungheria, una cappella doveva essere riservataal beato. Questa nel 1648 fu adornata nelle pareti laterali di pittureeseguite da Antonio Biordi, Paolo Coccetta e Paolo Damiano diPoggio Picenze, che furono ben presto coperte, verosimilmentequando si procedette a dare un nuovo assetto alla cappella dotan-dola di un monumentale altare in legno, commissionato al milaneseGiovanni Battista del Frate, che fu indorato nel 1690 in occasionedella canonizzazione di Giovanni, e adornato, all’inizio del Sette-cento, di una scultura in terracotta raffigurante il santo. Al 1620risale la decorazione del chiostro con scene della vita di Giovanni,a cui sono state sovrapposte nel secolo successivo altre più recenti.La datazione, fornita da Antinori, trova un supporto nello stemmaaffrescato nel chiostro stesso, “d’oro al tasso levato, al naturale”,appartenente ad Alessandro Tassoni, governatore generale inviatoa Capestrano nel 1613 da Francesco II de’ Medici. Questo periodocoincide con quello immediatamente precedente la consacrazionedel 1625. E’ facilmente ipotizzabile che la cappella dedicata a SanGiovanni, in questa fase ancora priva della decorazione pittorica edell’altare ligneo, dovette essere preparata per l’avvenimento, forsearricchita proprio con le quattro tele che prima del sisma del 2009erano collocate nella settecentesca scala regia. Le affinità ravvisatecon i dipinti del chiostro di San Giuliano suggeriscono l’ipotesiche maestranze chiamate a decorare i conventi dell’Ordine potes-sero occasionalmente essersi impegnate nella realizzazione dellequattro tele per ornare la cappella del Santo. La collocazione lungola scala regia potrebbe risalire a una fase successiva, quando, dopoil 1709, si mette mano di nuovo al convento, realizzando nel 1750la scala e, anzi, la mobilità con cui altari e decorazioni vengonorealizzate e rimosse per dare posto a nuove in occasione di impor-tanti celebrazioni che coinvolgono il Santo fa ipotizzare che la lorocollocazione sia stata modificata più volte nel corso del tempo.

MARTA VITTORINI

BibliografiaInventario manoscritto; MARINUCCI, BALASSONE e TROPEA, schedaOA n. 13/00034351, 2002

Bibliografia consultataGIOVANNI DA TAGLIACOZZO, sec. XV; GIROLAMO DA UDINE 1457;NICOLA DA FARA 1462; CRISTOFORO DA VARESE 1489; ANTINORI

sec. XVIII, vol. XXVIII; MASCI 1906; CHIAPPINI 1925; PICCIOLI

s.d., s.n.p.; MASCI 1939, pp. 73-81; SONSINI 1856; HOFER 1955; VA-LERIANI 1977, s.n.p.; CONTI 1978, pp. 25-34; Storia 1978; ANTI-NORI, in Capestrano 1986, pp. 33-34; BONMANN 1986, pp. 5-20;CAMPAGNOLA 1986, pp. 43.54; Omaggio 1986; OTTAVIANI 1986; SanGiovanni 1986; SARTORELLI 1986; TODESCHINI 1986, pp. 21-42; ZA-VALLONI 1986, pp. 55-76; ESPOSITO 1989; San Giovanni 1990; CA-PEZZALI, in Santità 1991, pp. 75-93; BOSCO, in San Giovanni 1999,pp.13-24; SOLVI, in San Giovanni 1999, pp. 25-46; KOVÁCS, in SanGiovanni 1999, pp. 147-156; CORONA 2005; DI VIRGILIO 2006; SanBernardino 2006; PEZZUTO 2010(a); PEZZUTO 2010(b).

Visione di San Giovanni da Capestrano

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Il dipinto su tela è ancorato a un telaio ligneo rettangolare fisso,composto di quattro elementi uniti con sovrapposizione a metà

dello spessore e vincolati con chiodi metallici e da una traversaorizzontale molto sottile probabilmente non originale inchiodataai regoli laterali tramite elementi metallici.L’opera è eseguita su un supporto in lino1 costituito da due teliverticali uniti mediante cucitura a sopraggitto “antico”. La tela èincollata al telaio e ancorata in modo puntuale sul fronte dei regolicon grappette e chiodi metallici: l’ancoraggio è da considerarsicoevo alla realizzazione del dipinto, poiché gli strati pittorici con-tinuano sul fronte dei regoli del telaio.Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di colore brunoscuro e di spessore sottile costituita da olio e pigmenti. Anche ipigmenti sono mischiati con olio, formando una pellicola pittoricaomogenea dallo spessore sottile.Il telaio versava in un pessimo stato conservativo: le maggiori ma-

nifestazioni del degrado consistevano nei danni causati dagli in-setti xilofagi e nelle numerose fratture e sconnessure dei regolisoprattutto in corrispondenza degli angoli inferiori. Inoltre, il te-laio era tenuto in forma dalla presenza di una cornice (posizionatain un intervento successivo) avvitata direttamente sul fronte deglielementi costitutivi attraverso la pellicola pittorica. La traversacentrale era imbarcata e fratturata al centro e tenuta insieme daun’assicella fissata in modo precario.Gli strati preparatori e pittorici presentavano vaste zone caratteriz-zate da una mancanza di adesione e sollevamenti, nonché abrasionie cadute macroscopiche di colore, soprattutto in corrispondenzadei colori scuri quali le terre. La pellicola pittorica appariva intera-mente offuscata da sostanze soprammesse quali polvere sedimen-tata e strati di finitura alterati e ingrigiti.Il ristabilimento dell’adesione dei materiali costitutivi al supportotessile è stato eseguito in due fasi: la prima, eseguita a pennello

Fig. 2. Particolare a luce radente Fig. 3. Particolare in falso colore

Visione di San Giovanni da Capestrano

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 4. Lo stato di conservazione del regolo inferiore destro e in basso gli inserti lignei realizzati negli incastri angolari dei regoli dopo il restauro

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con infiltrazioni localizzate di adesivo2 attraverso il cretto, è ser-vita a mettere in sicurezza le parti sollevate prima della pulituradel supporto tessile, mentre la seconda fase è stata eseguita dopoil ristabilimento della continuità del telaio, parallelamente alla ri-duzione delle deformazioni degli strati preparatori e pittorici. Siè proseguito con lo stesso adesivo alle stesse concentrazioni, con-sentendo di migliorare la tensione del dipinto, che non poteva es-sere smontato dal telaio. La pulitura del retro della tela è consistita nella rimozione sul versodi depositi coerenti e aderenti alla tela con pennellesse e piccoliaspiratori, mentre l’asportazione degli strati soprammessi alla pel-licola pittorica è avvenuta con gel rigido di agar potenziato consostanze basiche3 successivamente risciacquato per asportarne iresidui nonché lo sporco rigonfiato.La pulitura è stata rifinita mediante applicazione a pennello sullasuperficie dipinta di una miscela solvente supportata in Laponite4. Dopo aver eseguito la verniciatura del manufatto a pennello conresine sintetiche in soluzione5, con finalità di protezione della pel-licola pittorica, le lacune reintegrabili per localizzazione e perestensione sono state colmate con stucco6, successivamente rasatea livello e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazione pitto-rica delle abrasioni e delle lacune di piccole dimensioni è stata

eseguita a velatura con tecnica mimetica mediante applicazioneper stesure successive di colori ad acquarello7 e a vernice8. La pro-tezione finale superficiale del manufatto è stata ottenuta con l’ap-plicazione a spruzzo di resine sintetiche in soluzione9. Si è dunque proceduto al restauro del telaio10, dopo la pulituradel legno e il suo trattamento contro l’attacco da agenti xilofagicon prodotto biocida adeguato11. Le fenditure dovute a difetti dellegno sono state pulite e incollate con adesivo vinilico, riacco-stando le parti con morsetti e piccole sverzature. La traversa èstata ricomposta inserendo nello spessore del legno un elementodi pioppo, costruito in lamellare a tre strati. Anche gli angoli in-feriori sono stati ricostruiti con elementi in legno di pioppo (sem-pre stratificato per aumentarne la stabilità). Tale operazione èstata eseguita tenendo conto della necessità di migliorare il posi-zionamento dei regoli durante l’incollaggio finale, per cui gli ele-menti ricostruiti sono stati conservati aperti fino all’ultima fase.La superficie degli inserti è stata lavorata in modo da ottenere uncorretto inserimento nella struttura originale, e patinata con mor-dente color noce.

DAPHNE DE LUCA

MICHELE PAPI

Note tecniche:1 - Il supporto in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 7x8 (telo di sini-stra) e più rada di 5x5 (telo di destra). Per individuarne la tipologia, i filati sono statimontati con scotch di carbone biadesivo, su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oromediante sputtering e osservati al microscopio elettronico a scansione SEM Philips 515.Le analisi sono state eseguite dalla prof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa SabrinaBurattini, Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA),Sezione Morfologia e Tecnologie per la Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”,Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.2 - Colla di storione diluita in acqua al 5%.3 - Il gel di Agar-agar è stato preparato aggiungendo poche gocce di TEA (Trietano-lammina) fino al tamponamento del pH a 8,75-9. L’impasto è stato così composto: 190gdi acqua demineralizzata + 10g di Agarart + 6g di Tween 20 + 6g di TEA. Il gel di agarè stato applicato in forma fluida a pennello, in modo da seguire il ductus pittorico. I tempidi contatto del gel sono variati dai 2 ai 3 minuti a seconda dello spessore della sostanzada rimuovere. Una volta solidificato, l’impacco è stato rimosso agevolmente asportandola pellicola di gel formata con l’ausilio di bastoncini di bambù. La rimozione dello sporcorigonfiato e dei residui di TEA è avvenuta con Tween 20 al 2% in acqua demineralizzata4 - La miscela solvente supportata in Laponite RD è stata così composta: 70% MEK +30% etanolo + poche gocce di TEA fino al tamponamento del pH a 8 (tempo di con-

tatto 1 minuto). Lo sporco rigonfiato è stato rimosso mediante tamponi di ovatta imbi-biti nella miscela solvente. Un’ulteriore rifinitura della pulitura è stata ottenuta a tamponecon una miscela sostitutiva agli acidi: così composta: 12% n-Butilacetato + 11% acetone+ 77% alcool etilico + 5 g di acido citrico.5 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.6 - Lo stucco è stato ottenuto mischiando 2 parti di gesso di Bologna con 1 parte diAquazol P200, precedentemente diluito in acqua demineralizzata al 10-15% e lasciatorigonfiare per 24 ore, omogeneizzando poi il tutto con l’aiuto dell’agitatore magneticoper 15-30 minuti. 7 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton8 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 9 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da una parte di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois, al fine di ottenere un effetto satinato non lucido.10 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.11 - E’ stato impiegato il Per-Xil 10.

Visione di San Giovanni da Capestrano

Fig. 5. Particolare di San Giovanni prima e dopo l’intervento di restauro

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La grande pala, raffigura l’episodio riportato dal Vangelo secondoMatteo (2,1-16) in cui Erode il Grande, re della Giudea, ordina

un massacro di bambini allo scopo di uccidere Gesù della cui na-scita, a Betlemme, era stato informato dai Magi. L’episodio non hariscontro negli altri Vangeli canonici né nelle opere di GiuseppeFlavio (37-103 c.a), fonte principale della storia giudaica del I se-colo e grande avversario di Erode. I piccoli martiri sono veneraticome “Santi innocenti” e ricordati nella liturgia cristiana il 28 Di-cembre. La scena si svolge in un’atmosfera dai toni cupi ed è coltain un momento della giornata in cui la luce, appena percettibile,traspare dalle nubi diradate accentuando la drammaticità dellascena. Sullo sfondo si stagliano edifici classicheggianti ed archiemblemi di una sovranità pronta a macchiarsi anche di atrocitàpur di salvaguardare il potere. Lo stesso concetto è rafforzato dalla figura del re Erode, seduto suun trono con baldacchino, che con lo scettro nella mano destra è inatto di ordinare l’esecuzione della strage. In primo piano campeggiala figura di un soldato mentre scavalca una donna dallo sguardo ri-volto al cielo, brandisce la spada con la mano destra mentre con lasinistra afferra per i capelli una giovane madre con l’intento distrapparle il bambino che stringe tra le braccia. Il pathos narrativoè evidenziato dai gesti impietosi dei carnefici e dagli sguardi im-ploranti delle madri che cercano di sottrarre alla furia omicida ipropri figlioletti.Nella parte inferiore del dipinto sono raffigurate due scene parti-colarmente cruente: al centro un armigero con elmo è ripreso nel-l’atto di trafiggere un innocente con la spada mentre più in bassoa destra una donna stringe al seno un corpicino mutilo, la cui testasi intravede poco più in là.La costruzione, che mostra più eventi racchiusi in uno spazio li-mitato, è caratterizzata da un grande movimento senza che questosfoci però in confusione.Da un’attenta analisi è possibile ravvisare assonanze con la manierapittorica di Giulio Cesare Bedeschini (notizie ultimo quarto sec.XVI – prima metà sec.XVII), attivo a L’Aquila nei primi decennidel 1600, allievo di Ludovico Cardi detto il Cigoli e giunto in cittàal seguito di Margherita d’Austria. Il particolare della donna affer-rata per i capelli da un aguzzino trova un perfetto parallelismo nellatela raffigurante lo stesso soggetto, di Guido Reni (1575 – 1642),risalente al 1611 e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Bo-logna. Alla luce di quanto suddetto, si può ipotizzare pertanto unadatazione del dipinto in questione, intorno alla metà del XVII se-colo.La tela, originariamente collocata sul secondo altare di destra de-dicato ai Santissimi Innocenti, di Jus patronatus della famiglia Pic-cioli, proviene dalla chiesa parrocchiale di S Sebastiano di Navelli(AQ), uno dei castelli più antichi della Diocesi valvense. La chiesarisale al 1631 come si legge su una pietra, che reca scolpito un ca-lice con sopra l’ostia, visibile sul breve tratto di muro che la unisceall’imponente palazzo baronale che domina il paese. Ha caratteritardo barocchi con contaminazioni neoclassiche. Si sviluppa su tre

«La strage degli innocenti»PRIMA METÀ DEL XVII SECOLO

Dipinto a olio su tela, cm 260 x 140Navelli (AQ), chiesa parrocchiale di San Sebastiano

Fig. 1. Opera prima del restauro

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Fig. 2. Telaio prima e dopo l’intervento di restauro

navate; quella centrale con copertura a padiglione ribassato, men-tre quelle laterali presentano volte a crociera. Il campanile risalenteal medioevo era originariamente una torre d’avvistamento dell’an-tica fortezza, costruita dagli abitanti nella parte più alta del borgo.

MARIA ANTONIETTA CIANETTI

Bibliografia consultataMORETTI 1968, p. 150; PORTOGHESI, scheda OA n. 13/00020119,1981; Pinacoteca 2011.

La strage degli innocenti

INTERVENTO DI RESTAURO

Il dipinto è ancorato a una struttura di sostegno costituita daun telaio ligneo rettangolare centinato fisso, composto da tre

regoli con unione angolare a mezzo legno e da un regolo superioreancorato ai precedenti per mezzo di quattro chiodi per parte. Laparte centinata consiste di due mezze lune in legno di circa 2,5cm di spessore, sulle quali sono ancora visibili i segni di lavora-zione per mezzo di asce. Queste sono ancorate con incastro amezzo legno nella parte inferiore e unite nella parte superiore daun elemento di raccordo.L’opera è eseguita su un supporto tessile vegetale in lino1 costi-tuito da tre teli verticali e uno orizzontale uniti mediante cucitura

a sopraggitto con ripiegamento dei lembi sul verso, con uno stratopreparatorio di colore marrone scuro realizzato con una mesticadi olii siccativi e pigmenti. La pellicola pittorica, composta dapigmenti legati con olio, è caratterizzata da spessori di colore di-somogenei, ovvero con una stesura fluida nei colori scuri e piùcorposa nei colori chiari. L’ancoraggio della tela al telaio è puntuale, tramite chiodi metal-lici, distanziati in maniera irregolare l’uno dall’altro, inseriti dalverso e ribattuti. Questi risultano nascosti dalla presenza di unacornice modanata ancorata al telaio per mezzo di ventuno chiodimetallici. Il regolo inferiore è con ogni probabilità non coevo alla

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realizzazione del dipinto, dato l’impiego della diversa chiodaturautilizzata per l’ancoraggio.Il telaio presentava un leggero imbarcamento nel regolo superioredovuto a una scorretta esecuzione tecnica dell’incastro della mez-zaluna destra con il regolo verticale destro e alcune sconnessuredegli incastri dei regoli e della centina. Sulla cornice e sul telaio èstato riscontrato un attacco biologico in corso da parte di insettixilofagi che avevano causato numerosi fori di sfarfallamento, par-ticolarmente evidenti nei regoli laterali e nella traversa alla basedella centina.La cornice originale, realizzata in legno di noce modanato, era in-chiodata direttamente sul telaio attraverso dipinto. Sui regoli lateralie sulla centina vi erano numerose lacune. La tela presentava un tensionamento molto debole, imborsamentie grinze nella parte inferiore e una vistosa impressione dei regolidel telaio. In corrispondenza delle cuciture, il supporto tessile eramolto ondulato, con conseguenti sollevamenti e cadute del colore.Gli strati preparatori e la pellicola pittorica erano interessati da unaleggera crettatura di origine meccanica con andamento reticolarein corrispondenza della centina, degli angoli e soprattutto delle cu-citure, da imputare agli stress meccanici subiti dalla tela, e da cret-tature da essiccamento di lieve entità con andamento reticolareirregolare su tutta la superficie.L’intera superficie dipinta appariva coperta da depositi coerenti eincoerenti quali particolato atmosferico sedimentato, cera e sgoc-ciolature di calce. Inoltre, la pellicola pittorica era fortemente im-brunita per via dell’alterazione di uno strato di finitura. Il manufatto ha subito un precedente intervento di restauro o dimanutenzione, consistente probabilmente nella sostituzione di unregolo del telaio2 e nell’applicazione di una sostanza ravvivante3,la quale ha conferito al filato una colorazione più scura, nonchédi una rattoppatura sul retro della tela fatta aderire con un adesivodi origine animale. Su tutta la superficie e in particolare nella metàsinistra del manufatto in corrispondenza degli incarnati dei per-sonaggi, sono state riscontrate numerose stuccature a base gessosareintegrate a tempera e ridipinture cromaticamente alterate debor-danti sulla pellicola pittorica originale.Il verso della tela è stato pulito con pennellesse, gomme Wishab epiccoli aspiratori, mentre per la rimozione degli strati soprammessialla pellicola pittorica è stata effettuata una pulitura mediante mezzichimici, ovvero impiegando una miscela sostitutiva delle sostanzebasiche4 supportata con Laponite5, per permettere un’azione piùcontrollata e un contatto migliore del prodotto sulla superficie.La miscela è stata applicata a pennello in modo da seguire megliol’andamento delle pennellate e lasciata agire, massaggiando la su-perficie, per tempi di contatto di 2-4 minuti e successivamente ri-mossa con la stessa miscela per rimuovere le sostanzesoprammesse. Le stuccature sono state asportate meccanicamentecon l’ausilio di bisturi, mentre per la rimozione delle ridipinture èstato impiegato un solvente dipolare aprotico6 applicato a tam-pone.Il ristabilimento dell’adesione dei materiali costitutivi al supportotessile è stato effettuato dal verso mediante applicazione localizzatadi prodotto consolidante sintetico in soluzione a pennello7.

La strage degli innocenti

Fig. 3. Particolare prima del restauro

Fig. 4. Particolare di due figure dopo la rimozione delle sostanze soprammesse e delle stuccature con le ridipinture debordanti sulla pellicola pittorica originale

Fig. 5. Particolare dopo l’intervento di restauro

Fig. 6. Il manufatto fotografato a luce radente

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Dopo aver eseguito la verniciatura del manufatto a pennello conresine sintetiche in soluzione8, con finalità di protezione della pel-licola pittorica, le lacune reintegrabili per localizzazione e per esten-sione sono state colmate con stucco9, successivamente rasate alivello e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazione pittoricadelle abrasioni e delle lacune di piccole dimensioni è stata eseguitaa velatura con tecnica mimetica mediante applicazione per stesuresuccessive di colori ad acquarello10 e a vernice11. La protezione fi-nale superficiale del manufatto è stata ottenuta con l’applicazionea spruzzo di resine sintetiche in soluzione12. Il legno del telaio è stato pulito e consolidato con ripetute impre-gnazioni di prodotto consolidante13. Il montante destro è stato so-stituito con un elemento ligneo della stessa forma e specie legnosa(pioppo) poiché non è stato possibile restituirgli adeguata funzio-nalità. Per dare solidità alla traversa, è stato applicato un elementoin legno di rovere di 12 mm di spessore incollato sul fronte.In seguito, si è proceduto con l’inserimento delle tre connessionidella centina (chiave e imposte) in una struttura a sandwich che per-mettesse di scaricare le forze dal nucleo di legno danneggiato a so-lidi strati esterni14. Essendo realizzata con un elemento originalesovrapposto sul retro in corrispondenza della chiave, la centinaavrebbe impedito un corretto scorrimento della tela: per questomotivo, è stato necessario livellarne l’altezza aggiungendo uno spes-sore in legno (pioppo), su cui montare i meccanismi del sistemaelastico. Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico attraverso lefasce di foderatura dei bordi in cui è stato alloggiato un tondino inacciaio inox da 5 mm di diametro per distribuire omogeneamentesul perimetro la forza esercitata dalle molle15. La forza di tensiona-mento scelta è di 1,6 N/cm16. La cornice è stata integrata riproducendo manualmente le partimancanti in legno di noce, con una tecnica analoga e quella origi-nale17 ed infine fissata al telaio con appositi ponticelli per non bloc-care il libero scorrimento della tela sul perimetro del telaio18.

DAPHNE DE LUCA

La strage degli innocenti

Note tecniche:1 - Il supporto originale in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 13 x 11(trama e ordito). Per individuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di car-bone biadesivo, su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering eosservati al microscopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono stateeseguite dalla prof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimentodi Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tec-nologie per la Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Ur-bino “Carlo Bo”.2 - Da un’attenta valutazione del regolo inferiore del telaio, caratterizzato da uno statodi conservazione migliore rispetto alla restante struttura e da un ancoraggio realizzatocon chiodi industriali3, si può ipotizzare una sua sostituzione in una fase non coeva allarealizzazione dell’opera.3 - La sostanza non è stata analizzata, ma si potrebbe trattare del cosiddetto “beverone”(mistura di olii, grassi animali, sostanze resinose e bituminose).4 - La miscela basica è composta da 5% di Etanolo , 95% di n-Butilacetato e 1% diTEA.5 - Il supportante è ottenuto aggiungendo ad 1 litro di acqua deionizzata 60 g di Lapo-nite. 6 - Il DMSO in Acetato d’etile (25:75), successivamente sciacquato con Acetato d’etilepuro.7 - BEVA O.F all’8% in benzina rettificata 80-100°C.8 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.9 - Lo stucco è stato ottenuto mischiando 2 parti di gesso di Bologna con 1 parte diAquazol P200, precedentemente diluito in acqua demineralizzata al 10-15% e lasciatorigonfiare per 24 ore, omogeneizzando poi il tutto con l’aiuto dell’agitatore magnetico

per 15-30 minuti. 10 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton11 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 12 - Per la protezione finale è stata scelta la vernice a base di resine alifatiche Regalrez1094 caratterizzata da ottime proprietà di trasparenza, reversibilità, resistenza all’ingial-limento e all’invecchiamento in generale.13 - E’ stato impiegato il Paraloid B72 in acetone a concentrazioni crescenti. 14 - E’ stato realizzato il calco in gomma siliconica delle connessioni stesse (dopo averlefissate temporaneamente nella posizione corretta), al fine di costruire sottovuoto deglielementi in composito carbonio/epossidica di 4 mm di spessore da accoppiare con vitiin acciaio inox e dadi autobloccanti. Si è scelto di usare questo materiale perché moltoleggero e dotato di una conducibilità termica sufficientemente simile a quella del legnoda rendere improbabile qualsiasi fenomeno di condensa in presenza di sbalzi termici inambienti umidi.15 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.16 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.17 - Per la piegatura della cornice, si è ricorso a umidificazioni successive forzando illegno su una apposita controforma. Una volta stabilizzato il pezzo nella forma definitiva,lo si è bloccato annegandovi con resina epossidica un tondino in acciaio inox da 12 de-cimi di mm in uno scasso appositamente realizzato nella faccia posteriore. Successiva-mente, la cornice è stata assemblata su una sagoma in piattina di acciaio inox da 3 mmdi spessore.18 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.

Fig. 7. Opera in falso colore

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La tela fa parte del ristretto numero di dipinti, per altro di qualitàdisuguale, tradizionalmente attribuiti a Francesco Bedeschini

(MONINI, 2006, p. 265), artista poliedrico, capace di adempiere, conuna multiforme attività di pittore, disegnatore, architetto, decora-tore, scenografo ed estroso ideatore di feste e cerimonie, “ad unruolo egemonico di moderatore e ‘modernatore’ del gusto citta-dino”, che aggiornò, ispirandosi a “modelli soprattutto romani”,alla nuova sensibilità barocca (COLAPIETRA, 1984, pp. 462-463). La vicenda del dipinto è stata segnata, fin dal momento della rea-lizzazione, dai ripetuti eventi sismici che hanno funestato la storiadell’Aquila. Nel corso dei violenti fenomeni tellurici che atterrironola popolazione, pur senza provocare vittime o gravi danni, tra ilmarzo e il giugno 1646, si registrò infatti un improvviso revival delculto di Sant’Antonio da Padova, che traboccò clamorosamente aldi fuori dei suoi tradizionali centri di diffusione, costituiti dalle prin-cipali fondazioni francescane della città. Dopo una serie di spetta-colari manifestazioni penitenziali, di cui una cronaca coeva haconservato l’impressionante resoconto, “si stabilì … ricevere perquinto protettore della città Sant’Antonio da Padova, Santo vera-mente degli miracoli, acciò unito con gli altri più antichi, … impe-trasse dal Signore il perdono e non più con sì spaventosismovimenti di terra seguitasse ad intimorirli”. E il santo cominciòpresto a operare prodigi, attraverso una sua “divina figura” dipintada Francesco Bedeschini, “in un oratorio dei Signori Cavalieri deNardis… onde si stabilì… di edificare… una Chiesa in honore diSanto tanto miracoloso, con trasportarvi la meravigliosa figura”. Il4 luglio 1646, con gran concorso di popolo, fu posta solennementela prima pietra del nuovo edificio sacro, e il 7 giugno dell’anno suc-cessivo, fatta la traslazione della miracolosa immagine, il vescovoClemente del Pezzo vi cantò la prima messa (CIURCI, cc. 266-267;BALDINUCCI, pp. 379-380; ANTINORI, XXII, cc. 620-621). Un’altrafonte attesta che essendo la venerata effigie dipinta su parete, latraslazione avvenne “staccandola dal muro” e informa anche cheessa era stata dipinta nel 1643, tempo in cui Francesco Bedeschini“principiava a colorire” (MARIANI, c. 326). In seguito al fervoredevozionale suscitato dall’affresco, ne furono commissionate al-l’artista delle repliche su tela. Una di esse, probabilmente realizzata,in sostituzione del dipinto murale traslato nella nuova chiesa, perl’oratorio privato de Nardis, fa tuttora parte della collezione d’artedella famiglia. La replica oggetto della presente scheda fu eseguitainvece, con ogni probabilità, per la Confraternita del Suffragio, uf-ficialmente istituita nel 1645, che annoverava tra gli affiliati dellaprim’ora, rispettivamente nel ruolo di sindaco e in quello di guar-diano, i cavalieri Ludovico e Ottavio de Nardis, cioè gli stessi mu-nifici promotori del culto del Santo (Venerabilis Confraternitas, p. 99).Per l’oratorio del pio sodalizio, sorto nelle adiacenze della chiesadi San Biagio di Amiternum, sull’attuale via Roio, il Bedeschini,oltre a dipingere la pala d’altare raffigurante la Madonna che intercedeper le anime del purgatorio presso la Trinità, avrebbe fornito anche ilprogetto dell’aula e il disegno degli altari (LUCANTONI, 2004, pp.

«Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova»METÀ DEL SECOLO XVIIFRANCESCO BEDESCHINI (L’Aquila, 1626-1695)Dipinto a olio su tela, cm 184 x 104L’Aquila, Chiesa di San Flaviano

Fig. 1. Opera prima del restauro

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927-928). Dopo il terremoto del 2 febbraio 1703, rimasta grave-mente danneggiata e inagibile la sede originaria, i due dipinti delBedeschini furono trasferiti nella “chiesa baraccale” edificata dallaconfraternita sul lato meridionale della piazza del mercato, e in se-guito andarono ad arricchire il nuovo e sontuoso tempio baroccodi Santa Maria del Suffragio, la cui costruzione iniziò, sul sito me-desimo in cui sorgeva l’edificio provvisorio in legno, nel 1713. Nonè stato possibile per il momento accertare data e motivazione deltrasferimento del Sant’Antonio da Padova in San Flaviano; fonti ot-tocentesche ne registrano ancora la presenza nella chiesa del Suf-fragio, all’epoca più comunemente detta del Purgatorio o delleAnime Sante (BONANNI, 1874, p. 70; BINDI, 1883, pp. 67-68). Èprobabile tuttavia che l’opera sia stata rimossa in occasione dei re-stauri eseguiti nel 1897 sotto la direzione del pittore Teofilo Patini(“L’Aquila”, 3 ottobre 1897; LANCIA, 2010, p. 125). Il Sant’Antonioda Padova realizzato nell’occasione dal Patini prese probabilmenteil posto, sull’altare della prima cappella di sinistra, dell’opera di ana-logo soggetto dipinta da Francesco Bedeschini due secoli e mezzoprima.Di iconografia convenzionale, l’opera mostra l’immagine di San-t’Antonio più diffusa, ispirata al più noto e toccante degli episoditramandati dal Liber Miraculorum: l’apparizione del Bambino Gesùricevuta dal santo nel romitorio di Camposampietro pochi giorniprima della morte. Secondo uno schema desunto dalla ritrattisticaufficiale dell’epoca, il santo è raffigurato a figura intera, in posizioneeretta e frontale, e inquadrato all’interno di uno scenario di gustoclassico, costituito da un arco illusionisticamente aperto su un pae-saggio soffuso di luce crepuscolare. L’abbigliamento e gli attributidel santo sono quelli consacrati dalla tradizione: il lungo saio,stretto alla vita dal cordone, e i piedi scalzi indicano l’adesione alla

regola di San Francesco; il giglio tenuto nella sinistra allude alla suacastità, mentre il libro sorretto con la destra lo qualifica come dottoteologo. Il capo, cinto d’aureola, è leggermente chino verso il Bam-bino, il quale, in piedi sul libro, regge con la sinistra il globo cruci-gero, simbolo di sovranità sul mondo, e benedice con la destra. Undrappo rosso, segno di regalità e allusione al sangue versato sullacroce, cinge le spalle del divino infante, mettendo per contrasto inrilievo l’incarnato del nudo ben tornito. È questa l’unica nota dicolore acceso della composizione, per il resto caratterizzata dai tonispenti, tra il bruno e il grigio, del saio, degli elementi architettoniciche fanno da cornice alla scena, del cielo nuvoloso che ne costitui-sce lo sfondo. La luce avvolgente e la delicata modulazione chiaroscurale costi-tuiscono un retaggio della pittura fiorentina tra la fine del secoloXVI e gli inizi del XVII, alla quale rimandano anche l’attenta curadei particolari e la monumentalità della figura, esaltata dalla sceltadel punto di vista, localizzato decisamente al di sotto della lineadello sguardo dei personaggi, e dall’orizzonte basso sullo sfondo.L’adesione al linguaggio controriformistico toscano deriva dallaformazione dell’artista, avvenuta certamente nella bottega delpadre Giulio Cesare (L’Aquila, 1582-1627), pittore affermato e al-lievo a Roma del Cigoli, anche se non sotto il suo diretto magistero,avendolo questi lasciato orfano all’età di appena un anno. Su questodato di origine s’innestano più aggiornati riferimenti culturali allacorrente classicista romana, riscontrabili principalmente nell’am-bientazione. L’orientamento “in direzione della cultura figurativabarocca romana”, particolarmente evidente nella produzione gra-fica e nell’attività di progettazione architettonica del Bedeschini, èstato messo in relazione con la presenza all’Aquila, per oltre unanno, di Ercole Ferrata, uno dei principali collaboratori del Bernini,

Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova

Fig. 2. Particolare prima del restauro

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che fu attivo nel cantiere di Sant’Antonio de Nardis, realizzandola statua per la facciata della chiesa (MONINI, 2006, pp. 265-266). La misurata espressività del volto del santo, che sembra assortonella meditazione piuttosto che coinvolto in un’esperienza esta-tica, e l’assenza delle vistose manifestazioni di affettività gene-ralmente associate allo specifico tema agiografico, caratterizzanoquesta prova bedeschiniana, che appare perciò improntata a raf-finato e aristocratico intellettualismo. Ciononostante l’immagine,nelle sue varie redazioni, fu oggetto, come si è visto, di fervidemanifestazioni di devozionismo popolare e modello di copie finoall’Ottocento.

MAURO CONGEDUTI

Bibliografia MOSCARDELLI, scheda OA n. 13/00036329, 1992.

Bibliografia consultataCIURCI, cc. 266-267; Venerabilis Confraternitas…, pp. 99-10; BALDI-NUCCI 1728, vol. V, pp. 379-380; ANTINORI, vol. XXII, cc. 620-621,vol. XXIII, c. 286; MARIANI, vol. M, c. 326; LEOSINI 1848, pp. 28-31,148 e 170; BONANNI 1874, pp. 70 e 75; BINDI 1883, pp. 67-68; I lavoriin Santa Maria del Suffragio…, 1897; CHIERICI 1965, pp. 518-520; DI

GIOVANNI 1970, pp. 9-14; COLAPIETRA 1978, vol. I, pp. 215-216 (873-874), 385 (1059) nota 372, 397-401 (1071-1075), 404-405 (1078-1079), 421 (1095), 437 (1111) nota 550, 450 (1124), 455 (1129); ID.,1984, pp. 355, 437-441, 444-445, 451, 464, 490; ID., 1986, p. 159-160;COUTTS, 1987, pp. 401-403; COLAPIETRA 1987, p. 16; LOPEZ 1988,p. 192; COUTTS 1991, pp. 183 e 186; ARBACE 2002, pp. 129-144; AN-TONINI 2004, pp. 70-81; LUCANTONI 2004, pp. 895-943; Grove Ency-clopedia …, 2006, p. 92; MONINI 2006, pp. 265-270; GIULIANI 2008,pp. 125-132; MACCHERINI 2009, p. 117; LANCIA 2010, pp. 120-125.

Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova

INTERVENTO DI RESTAURO

L’opera è eseguita su supporto tessile vegetale1 ancorato a una strut-tura di sostegno consistente in un telaio ligneo rettangolare fisso,

costituito da quattro regoli con incastri a tenone e mortasa del tipo “acapitello” e da una traversa orizzontale unita ai regoli laterali per so-vrapposizione a metà dello spessore. L’ancoraggio della tela è effet-tuato sul fronte del telaio, tramite chiodi metallici distanziati in manieraregolare l’uno dall’altro. La preparazione del dipinto, di medio spes-sore, è formata da un impasto di colore bianco-avorio sul quale è statoriscontrato un secondo strato preparatorio di colore bruno, costituitoda una miscela di pigmenti legati con olio. La pellicola pittorica è com-posta da olio e pigmenti e presenta una stesura fluida con alcune pen-nellate piuttosto materiche.E’ stato riscontrato un pentimento in corrispondenza del pollice dellamano sinistra del Santo portante il giglio, originariamente più spostatoverso il corpo, e della mano benedicente di Gesù Bambino, in originepiù aperta e più spostata verso lo sfondo architettonico. Inoltre, ilfondo di colore azzurro è stato dipinto per ultimo, come dimostranole ampie pennellate che scontornano le figure, gli elementi architetto-nici e il giglio. I regoli laterali e la traversa del telaio, sui quali sono stati riscontratinumerosi fori di sfarfallamento e mancanze di materiale dovuti all’at-tacco di insetti xilofagi, presentavano un imbarcamento piuttosto evi-dente e alcune fessure. Il supporto tessile, particolarmente sottile edelicato e caratterizzato da un tensionamento piuttosto debole, appa-riva molto fragile e sfibrato: vi erano infatti numerosi strappi e alcunelacerazioni in corrispondenza dei bordi risarciti in un precedente in-tervento di restauro, e la tela presentava una leggera imborsatura nellaparte inferiore, nonché i segni della traversa centrale del telaio causatidel generale rilassamento del tessuto. La pellicola pittorica e gli strati preparatori erano interessati da unacrettatura da essiccamento e di origine meccanica accentuata in cor-

rispondenza dello sfondo, da numerose lacune di piccola e media en-tità presenti su tutto il dipinto, nonché da sollevamenti localizzati sututta la superficie ed in particolare in corrispondenza dei colori scuri.La superficie era interamente coperta da particellato atmosferico in-coerente e da uno strato di finitura leggermente imbrunito, con sgoc-ciolature di colore marrone scuro localizzate soprattutto incorrispondenza dei volti delle figure.Per procedere con la rimozione delle sostanze soprammesse all’origi-nale, è stato effettuato un intervento di pre-consolidamento tempo-raneo con applicazione di ciclododecano2. Si è così proceduto con lapulitura meccanica del retro attraverso l’impiego di pani di gomma3 epiccoli aspiratori, con la rimozione delle vecchie rattoppature in cor-rispondenza dei tagli e degli strappi e con la pulitura della superficiedipinta, resa idrorepellente dal ciclododecano, con gel rigido di agarpotenziato con sostanze basiche4 successivamente risciacquato perasportarne i residui nonché lo sporco rigonfiato.Avvenuta la completa sublimazione del ciclododecano5, il ristabili-mento dell’adesione dei materiali costitutivi al supporto tessile è stataeffettuata dal verso mediante applicazione a pennello di prodotto con-solidante sintetico in soluzione6. Le deformazioni del supporto tessile sono state risanate durante lariattivazione della resina termoplastica impiegata per il consolida-mento, apportando una leggera pressione tramite posizionamento neltavolo ad alta pressione7, mentre le lacerazioni sono state risarcite me-diante incollaggio puntuale dei fili e applicazione di inserti di tela nellelacune più ampie per ricostituire l’unità strutturale del supporto e perimpedire il rilassamento della zona circostante la lacerazione8.Data la fragilità del supporto e il grado di depolimerizzazione dellefibre, il manufatto è stato sottoposto a un intervento di foderatura to-tale con applicazione di una nuova tela sintetica9 fatta aderire con unaresina sintetica termoplastica10.

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Fig. 3. Particolare del volto del Santo e di Gesù Bambino prima e dopo il restauro

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Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova

Dato il pessimo stato di conservazione del telaio11, si è proceduto altensionamento del dipinto su di un nuovo telaio in alluminio con si-stema di espansione elastica, saldato negli angoli e verniciato a fornocon polveri epossidiche, con un bordo di scorrimento di legno rive-stito di teflon. Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico montatousando il perimetro eccedente della tela di foderatura, in cui è statoalloggiato un tondino in acciaio inox da 5 mm di diametro per distri-buire omogeneamente sul perimetro la forza esercitata dalle molle12.La forza di tensionamento scelta è di 1,8 N/cm13.Dopo aver eseguito una verniciatura molto leggera del manufatto con

resine sintetiche in soluzione14, le lacune reintegrabili per localizzazionee per estensione sono state colmate con stucco15, successivamente ra-sate a livello e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazione pittoricadelle abrasioni e delle lacune di piccole dimensioni è stata eseguita avelatura con tecnica mimetica mediante applicazione per stesure suc-cessive di colori ad acquarello16 e a vernice17. La protezione finale su-perficiale del manufatto è stata ottenuta con l’applicazione a spruzzodi resine sintetiche in soluzione18. Successivamente si è proceduto al-l’applicazione di una nuova cornice lignea.

DAPHNE DE LUCA

Note tecniche:1 - Il supporto originale in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 8 x 11(trama e ordito). Per individuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di car-bone biadesivo, su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering e os-servati al microscopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono stateeseguite dalla prof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimentodi Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tec-nologie per la Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Ur-bino “Carlo Bo”.2 - Ciclododecano spray della ditta Hans Michael Hangleiter Gmbh. Il prodotto è statoapplicato a spray in modo omogeneo su tutta la superficie dipinta e successivamente por-tato a fusione per garantirne la penetrazione e l’effetto consolidante degli strati pittorici,con una pressione costante di 350 millibar e una temperatura di 60°C. E’ stato scelto ilciclododecano in spray al fine di ridurre l’apporto di solvente che un’applicazione delprodotto in soluzione avrebbe invece comportato. Tuttavia, in corrispondenza dei bordidel manufatto, caratterizzati da un degrado maggiore rispetto al resto del dipinto, è statoapplicato il ciclododecano in forma solida diluito al 60% in ligroina.3 - Spugne Wishab di varie morbidezze.4 - Il gel di Agar-agar è stato preparato aggiungendo poche gocce di TEA (Trietanolam-mina) fino al tamponamento del pH a 8,75-9. L’impasto è stato così composto: 190g diacqua demineralizzata + 10g di Agarart + 6g di Tween 20 + 6g di TEA. Il gel di agar èstato applicato in forma fluida a pennello, in modo da seguire il ductus pittorico. I tempidi contatto del gel sono variati dai 3 ai 4 minuti a seconda dello spessore della sostanzada rimuovere. Una volta solidificato, l’impacco è stato rimosso agevolmente asportandola pellicola di gel formata con l’ausilio di bastoncini di bambù. La rimozione dello sporcorigonfiato e dei residui di TEA è avvenuta con Tween 20 al 2% in acqua demineralizzatamediante tamponi di ovatta.5 - L’applicazione di prodotto consolidante è avvenuta dopo la completa sublimazione

del ciclododecano accelerata attraverso l’attivazione del tavolo caldo a una temperaturadi 60°C. 6 - BEVA O.F all’8% in benzina rettificata 80-100°C.7 - 250 millibar di pressione e 65-70° C.8 - Il risarcimento filo a filo è stato ottenuto impiegando l’adesivo Tylose MH300 all’8%.Nel caso di ampie lacerazioni o di mancanze nel supporto sono stati realizzati degli inserticon tela di lino antica, con trama e riduzione simile all’originale, facendo aderire testa-testa le fibre della tela lungo i tagli con polvere poliammidica Textile 5060. 9 - E’ stata scelta una tela sintetica in poliestere Trevira CS ISPRA precedentemente ap-prettata con Plexisol al 10% in White spirit.10 - Beva film OF.11 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelson eCarlo Serino.12 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo 1,1mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico: 8 N.13 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.14 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.15 - Lo stucco è stato ottenuto mischiando 2 parti di gesso di Bologna con 1 parte diAquazol P200, precedentemente diluito in acqua demineralizzata al 10-15% e lasciato ri-gonfiare per 24 ore, omogeneizzando poi il tutto con l’aiuto dell’agitatore magnetico per15-30 minuti. 16 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton17 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 18 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da una parte di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois, al fine di ottenere un effetto satinato non lucido.

Fig. 4. Il telaio prima e dopo l’intervento di restauro

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Quis ut Deus, colui che come Dio combatte le forze del Male,campeggia al centro del dipinto, sullo scudo del San Michele

Arcangelo, equivalente latino del Mika’ el ebraico, principe degliangeli e protettore del popolo d’Israele. La studiata e complessaiconografia della tela sembra prendere le mosse da questa scritta:in alto la SS.ma Trinità, dogma fondamentale della religione cri-stiana, nel mezzo San Michele Arcangelo che sconfigge il demonioaffiancato da San Carlo Borromeo e San Filippo Neri, tutti e trestrenui difensori della fede, in lotta perenne contro tutte le forze ele forme del male che insidiano l’uomo e che nelle varie epochestoriche si configurano nel peccato, nelle malattie e negli eventi ca-lamitosi.Il culto micaelico, uno dei più vivi tra le popolazioni della monta-gna abruzzese particolarmente legate al mondo della pastorizia edella transumanza, si diffonde in Italia meridionale dalla fine delV secolo fortemente influenzato anche dalla vicinanza della celebregrotta del Gargano dove sarebbe apparso l’Angelo, la cui venera-zione si sostituì a culti pagani preesistenti. La tradizione vuole chepresso il santuario cominciasse a scorrere una sorgente di acquamiracolosa che produsse numerose guarigioni per cui vengono dasempre evidenziati gli aspetti del santo risanatore e purificatore chesconfigge il male, nell’iconografia rappresentato dal demonio o daldrago trafitto dalla spada o dalla lancia di Michele. Nel corso delXVII secolo la devozione verso San Michele Arcangelo conobbeuna stagione di rinnovato fervore, nel clima di rinascita spiritualeche la Chiesa stava vivendo con l’applicazione delle disposizionipost-tridentine, in concomitanza con una serie di eventi luttuosiche decimarono le popolazioni. Nel meridione fu la pestilenza del1656 a rinsaldare il legame tra le comunità e il Santo che, secondola tradizione, apparve in sogno all’allora arcivescovo di Siponto ri-velandogli di aver ottenuto, per intercessione della SS.ma Trinità,presente anche nel nostro dipinto, una speciale protezione controla peste per tutti i fedeli che avessero riutilizzato, nelle loro città, isassi della sua basilica. In Abruzzo, soprattutto nel seicento e nelsettecento, si registra una vasta produzione di dipinti su tela e scul-ture lignee, alcune di notevole qualità, la gran parte collocate lungoil percorso della transumanza, spesso in chiese dedicate esse stessea San Michele Arcangelo. La terribile epidemia aveva mietuto ungran numero di vittime anche a Carapelle Calvisio, come si ricavada una scritta tuttora leggibile nella sagrestia della chiesa di SanFrancesco: “A lì 1656 fu la peste in Carapelle se ne morsero 400 ene remasero vivi 151” (Mattiocco, 1988, p. 106).San Filippo Neri (1515 – 1595), è figura dal grande trasporto spi-rituale. Fiorentino di origine, si trasferì a Roma dove decise di de-dicarsi alla propria missione evangelica, in una città corrotta epericolosa anche per la formazione delle nuove generazioni cheaccoglieva nel suo oratorio, tanto da ricevere l’appellativo di “se-condo apostolo di Roma”. A lui la tradizione vuole che la Verginesia apparsa in sogno raccomandandogli di ricostruire la Sua chiesa

«San Michele Arcangelo sconfigge il demonio tra San Carlo Borrromeo e San Filippo Neri»FINE DEL XVII – INIZIO DEL XVIII SECOLO

AMBITO NAPOLETANO (fronda solimenesca)Dipinto ad olio su tela, cm 248 x 167 Carapelle Calvisio (AQ), chiesa di San Francesco, già chiesa parrocchiale di Santa Maria

Fig. 1. Opera prima del restauro

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e a tal proposito va richiamata la sua funzione di protettore dai ter-remoti in una terra funestata dagli eventi sismici.Accanto a San Filippo Neri viene effigiato uno dei suoi più convintie fedeli seguaci, il cardinale Federico Borromeo (1538 – 1584), in-viato in giovane età al Concilio di Trento ed eletto vescovo di Mi-lano, una diocesi vastissima che curò prodigandosi in ogni modoper incoraggiare la crescita della vita cristiana. Preoccupato dellaformazione del clero, fondò seminari ed impose ordine all’internodelle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei po-tenti locali. Edificò ospedali e ospizi, utilizzò le ricchezze di fami-glia in favore dei poveri e durante la peste del 1576 si dedicò adassistere direttamente i malati. E’ chiaro, nella committenza, l’intento di restituire fiducia e sicu-rezza alle popolazioni locali stremate dai flagelli della peste e delterremoto, facendo ricorso a tre baluardi della fede fortemente im-pegnati nel contrastare il male e le calamità, una committenza chemolto verosimilmente doveva far parte di quella “operosissimaborghesia di montagna che per circa sei secoli fece fiorire l’econo-mia della regione, cercando ai suoi prodotti sbocchi sulle piazzecommerciali di gran parte d’Italia e tenne alto il proprio livello cul-turale stabilendo fitti contatti con i grandi centri degli studi e del-l’arte” (Sabatini, 2004, p. 24). Testimonianza eloquente di questofenomeno è senz’altro la presenza non solo nelle maggiori citta-dine, ma anche in tanti altri centri minori, di palazzi e di chiese ta-lora monumentali: a Carapelle Calvisio nel tessuto edilizio antico,malgrado gli effetti nefasti dei ricorrenti terremoti, tra cui quelloparticolarmente violento del 1703, emergono, oltre a numerosechiese, due dimore gentilizie appartenenti ai casati dei Piccioli e deiDe Lauretis e, nella chiesa di San Francesco, ancora oggi si con-servano pregevoli affreschi assegnati a Francesco da Montereale

(1466 ca. – 1541) e una delle tele che Bernardino di Lorenzo diMonaldo (1568 ca – 1620), pittore fiorentino, promise di realizzareper l’altare maggiore, tutti elementi che ci rimandano ai periodi incui l’economia del borgo era florida grazie, soprattutto, alla riccaindustria armentizia.Il nostro dipinto era stato ricoverato, almeno da diversi decenni,nella chiesa conventuale di San Francesco, l’unica agibile ed apertaal culto dopo il terremoto dell’aprile 2009; proveniva, invece,molto verisimilmente, dalla parrocchiale della Beata VergineMaria, edificata nel XV secolo, situata lungo la cinta muraria, inprossimità di una delle antiche porte di accesso al paese denomi-nata appunto “Porta della Chiesa”. Per il vero, nel paese, è tuttorapresente anche la chiesa di Sant’Angelo, documentata già dal 1356e oggi completamente trasformata, ma in un documento del 1719,rinvenuto a seguito di una attenta ricerca di archivio da Marta Vit-torini, risulta che nella parrocchiale sia stato dedicato un altareproprio a San Michele Arcangelo, San Carlo Borromeo e San Fi-lippo Neri, pertinente alla cappellania dei de Leonardis, fondatanel 1683. Queste le circostanze storiche con le quali è opportuno intrecciarei dati stilistici che emergono da una prima analisi del dipinto.Molto verosimilmente la tela viene commissionata intorno aglianni in cui viene dedicato l’altare ai tre baluardi della fede, tantopiù che al dato archivistico fa riscontro il risultato dell’indaginestorico-artistica. Riprendendo l’iconografia più comune, San Mi-chele Arcangelo è vestito della consueta lorica, in qualità di guer-riero celeste, con elmo sormontato da un monumentalepennacchio agitato e scomposto dal vento, scudo agganciato albraccio sinistro e spada sguainata nella mano destra. Il principedegli angeli, dal viso soave e dalla capigliatura mossa con i biondi

San Michele Arcangelo sconfigge il demonio tra San Carlo Borrromeo e San Filippo Neri

Fig. 2. Particolare del giglio prima del restauro con le cadute di pellicola pittorica

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Il dipinto su tela è ancorato a un telaio ligneo rettangolare fisso,composto di quattro elementi uniti a tenone e mortasa e da due

traverse orizzontali unite con sovrapposizione a metà dello spes-sore e inchiodate ai regoli laterali tramite elementi metallici.L’opera è eseguita su un supporto in lino1 costituito da due teliorizzontali uniti mediante cucitura a sopraggitto con ripiegamentodei lembi. L’ancoraggio della tela al telaio è puntuale, tramitechiodi metallici distanziati in maniera regolare l’uno dall’altro. Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di colorazionerosso scuro di spessore sottile costituita da olio e pigmenti. Anchei pigmenti sono mischiati con olio, formando una pellicola pitto-rica omogenea dallo spessore sottile con alcune pennellate piùcorpose soprattutto in corrispondenza dei colori chiari.I regoli del telaio erano leggermente imbarcati e la tela presentavaun tensionamento mediocre: erano evidenti i segni delle due tra-verse orizzontali e dei regoli del telaio dovuti al generale rilassa-

mento del supporto tessile. Sul supporto tessile vi erano alcunepiccole lacune e due lacerazioni in corrispondenza del panneggiodi San Carlo Borromeo e dell’armatura dell’Arcangelo Michele.La pellicola pittorica e gli strati preparatori erano interessati dacrettature di origine meccanica e da essiccamento e da macrosco-piche cadute e abrasioni di colore. La superficie era coperta daparticellato atmosferico incoerente e da uno strato di finitura in-giallito. Infine, il perimetro del dipinto era coperto da una ridipin-tura di colore violaceo eseguita con colori a olio debordante inpiù punti sulla pellicola pittorica originale.Le deformazioni della tela sono state risanate ponendo il manu-fatto nel tavolo caldo, umidificando il supporto tessile e appor-tando una leggera pressione2. Il ristabilimento dell’adesione deimateriali costitutivi al supporto tessile è stato eseguito dal versomediante applicazione localizzata di prodotto consolidante in so-luzione a pennello3.

riccioli che escono dal cimiero, irrompe sulla scena dominandola:in volo trionfante su Satana, è colto nell’attimo in cui sta atterrandosul corpo di un demonio antropomorfo che si dibatte, sfiguratodall’ira. Come di consueto, San Filippo è raffigurato di scorcio, conindosso la pianeta, inginocchiato e con lo sguardo rivolto versol’alto, con tra le mani il giglio, simbolo di purezza, mentre San CarloBorromeo compare in abiti vescovili.L’opera, contrassegnata da eleganza formale e da una formulazionericca di finezze espressive e di preziosità cromatiche, si inseriscenelle vicende della cultura figurativa napoletana tra Seicento e Set-tecento legate alla cosiddetta “fronda solimenesca”, volta a superare

soluzioni di tradizionale inclinazione barocca per aspirare ad espe-rienze più libere ed innovative di impronta rocaille.

ANNA COLANGELO

Bibliografia MOSCARDELLI, scheda n. 13/000184474, 1998.

Bibliografia consultataANTINORI, Corografia, vol. XXIX; BOLOGNA 1958; CAUSA 1961; SPI-NOSA 1979; MATTIOCCO 1988, p. 106; La pittura 1989; La pittura1990; SABATINI 2004, p. 24.

San Michele Arcangelo sconfigge il demonio tra San Carlo Borrromeo e San Filippo Neri

Fig. 3. Particolare del San Filippo Neri prima e dopo l’intervento di restauro

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 4. Particolare dell’Arcangelo Michele prima e dopo il restauro

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Le lacerazioni e le lacune del supporto sono state risarcite me-diante incollaggio puntuale dei fili per ricostituire l’unità struttu-rale del supporto e per impedire il rilassamento della zonacircostante la lacerazione4. Data la fragilità del supporto in corri-spondenza dei bordi, il manufatto è stato sottoposto a un inter-vento di foderatura parziale con applicazione di nuove fasceperimetrali fatte aderire alla tela originale con una resina sinteticatermoplastica5.La pulitura della tela è consistita nella rimozione sul verso di depo-siti coerenti e aderenti alla tela con pennellesse e piccoli aspiratori,mentre l’asportazione degli strati soprammessi alla pellicola pit-torica è avvenuta mediante applicazione a pennello sulla superficiedipinta di un solvente supportato in emulsione cerosa6 con suc-cessiva rimozione dello sporco con Tween 20 al 2% in acqua de-mineralizzata e asportazione dei residui di cera mediante etere dipetrolio a tampone.Dopo aver eseguito la verniciatura del manufatto a pennello conresine sintetiche in soluzione7, con finalità di protezione della pel-licola pittorica, le lacune reintegrabili per localizzazione e perestensione sono state colmate con uno stucco ottenuto con gessodi Bologna e colla di coniglio, successivamente rasate a livello ereintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazione pittorica delleabrasioni e delle lacune di piccole dimensioni è stata eseguita a ve-latura con tecnica mimetica mediante applicazione per stesure suc-cessive di colori ad acquarello8 e a vernice9. La protezione finalesuperficiale del manufatto è stata ottenuta con l’applicazione aspruzzo di resine sintetiche in soluzione10. Il telaio è stato pulito, trattato contro l’attacco di insetti xilofagi11

e rifunzionalizzato, montando sul perimetro un bordo di scorri-mento in legno rivestito di teflon e fissando i meccanismi del si-stema di tensionamento elastico direttamente sulla facciaposteriore del telaio, visto che le sue dimensioni sono sufficientiallo scopo. Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico attraversole fasce di foderatura dei bordi in cui è stato alloggiato un tondinoin acciaio inox da 5 mm di diametro per distribuire omogenea-mente sul perimetro la forza esercitata dalle molle12. La forza ditensionamento scelta è di 1,6 N/cm13. Infine, si è proceduto conl’applicazione di una nuova cornice lignea.

DAPHNE DE LUCA

MICHELE PAPI

Note tecniche:1 - Il supporto in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 8x9. Per indivi-duarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di carbone biadesivo, su particolarisupporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering e osservati al microscopio elet-tronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono state eseguite dalla prof.ssa Elisa-betta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimento di Scienze della Terra, dellaVita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tecnologie per la Salute, CampusScientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.2 - Le deformazioni della tela e degli strati pittorici sono state ridotte gradualmente concicli di umidificazione a UR 85% e trattamento sul tavolo caldo fino a un massimo di50°C, con pressione di ca. 250 mbar.3 - Plexisol all’8% in White spirit. 4 - Il risarcimento filo a filo è stato ottenuto impiegando una miscela di Paraloid B72 eAquazol 200 (10% p/p) in acetone. Le lacune del tessuto sono state ricostruite con lostesso principio, utilizzando fili di lino di titolo e torsione simili, tessuti nella lacuna se-guendo l’andamento dei fili interrotti. 5 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto naturale in lino (tela pattina) ad armaturatela apprettato con Plexisol P550 al 10% in acetone, e applicazione di Beva film OF.

6 - La pulitura è stata realizzata con Trietannolammina TEA in emulsione cerosa, ovvero0,25 ml di TEA in10g di emulsione cerosa. L’aggiunta di TEA è avvenuta fino al tam-ponamento del pH a 8 (tempo di contatto: 2 minuti circa a seconda dello stato di con-servazione).7 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.8 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton.9 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 10 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da una parte di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois, al fine di ottenere un effetto satinato non lucido.11 - E’ stato impiegato il prodotto con Per-Xil 10.12 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N. Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.13 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

San Michele Arcangelo sconfigge il demonio tra San Carlo Borrromeo e San Filippo Neri

Fig. 5. Opera in falso colore infrarosso

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Il trittico, di forma cuspidata, presenta nel pannello centrale laMadonna in tunica giallastra e manto blu che sorregge sulle gi-

nocchia il corpo esanime del Figlio davanti ad una capanna che al-lude al sepolcro e che reca sul tetto una chiesa in miniatura. Asinistra si staglia contro il cielo azzurro una croce. Negli sportellilaterali sono raffigurati rispettivamente San Sebastiano, coperto daun perizoma e legato ad un albero frondoso, nella consueta icono-grafia con il corpo trafitto da frecce e le ferite sanguinanti, e SanCristoforo, vestito di tunica e con in mano un bastone fiorito, cheporta sulla spalla il Bambino Gesù, il quale regge nella mano sinistrail globo sormontato da una croce mentre con la destra stringe af-fettuosamente una ciocca dei capelli del Santo. Le teste della Ver-gine, del Cristo e di S. Sebastiano sono cinte da nimbi dorati, quelledi S. Cristoforo e di Gesù Bambino da sottili aureole anch’esse do-rate.Praticamente sprovvisto di bibliografia scientifica, il trittico venivaricordato più di un secolo fa dallo studioso abruzzese Antonio DeNino (DE NINO 1904) che riassume i dati contenuti nella schedainventariale da lui redatta per la Soprintendenza alle Antichità eBelle Arti dell’Aquila e consegnata il 19 aprile 1898, dando testi-monianza della sua collocazione nella chiesa parrocchiale di S. Lo-renzo, che sorge a fianco di quella della SS. Trinità sulla sommitàdi una scenografica scalinata, a breve distanza dalla piazza principaledi Popoli e dalla chiesa di S. Francesco, dove venne poi trasferitoin epoca imprecisata. La notizia trova riscontro nella seguente iscri-zione dipinta sul verso della tavola centrale: “Trittico a tempera, LaPietà, S. Cristoforo e S. Sebastiano, Chiesa di S. Lorenzo, Popoli”.Ulteriori dati sull’opera provengono da una scheda storica conser-vata nell’Archivio della Soprintendenza, datata 18 maggio 1908, incui si conferma la provenienza dalla già citata chiesa parrocchiale,nella Cappella della Madonna di Costantinopoli, e si accenna allatradizione secondo la quale essa era in origine conservata nellaChiesa della Madonna della Pietà che sorgeva lungo la strada cheda Popoli conduce a Vittorito.Il De Nino data l’opera al sec. XV, ed in effetti la struttura a tritticocuspidato con pannelli incernierati e richiudibili fa pensare adun’epoca piuttosto antica, ipotesi che potrebbe trovare una con-ferma nella presenza, riscontrata nel corso dell’intervento di re-stauro, di strati pittorici sottostanti, di cui tuttavia è ignota laperiodizzazione.In realtà i connotati stilistici delle pitture oggi visibili, di qualità in-vero non eccelsa e di tono popolareggiante, rimandano ai secoliposteriori, ed in particolare ad un periodo compreso tra la fine delsec. XVII e i primi decenni del successivo. Con uno sforzo notevole per far uscire l’autore dall’anonimato, sipotrebbe chiamare in causa il pittore Domenico Gizzonio, perso-naggio ormai ben noto dopo che una serie di recenti restauri di sueopere firmate (L’arte svelata 2007) ha permesso di puntualizzare ipochi e fuggevoli accenni forniti dalla letteratura locale. Nativo diRoccacasale (L’Aquila), paese alle pendici del Morrone distante solo

«La Pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo»FINE DEL XVII - INIZIO DEL XVIII SECOLO

IGNOTO (Domenico Gizzonio? – notizie dal 1720 al 1750)Trittico a tempera su tavola, cm 130 x 160 x 3 caPopoli (PE), chiesa di San Francesco d’Assisi

Fig. 1. Opera prima del restauro

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pochi chilometri da Popoli, il Gizzonio fu attivo nella prima metàdel Settecento in un ristretto ambito locale che abbraccia la partemeridionale della provincia di Pescara e la conca peligna, spingen-dosi con la sua opera più lontana fino a S. Stefano di Sessanio, sulversante aquilano del Gran Sasso. A titolo esemplificativo del pos-sibile accostamento al Gizzonio, si confronti, per l’impostazionegenerale, la Pietà nel pannello centrale del trittico di Popoli con l’af-fresco di analogo soggetto, firmato e datato 1737, sull’altare dellaCappella della Maddalena nell’Eremo di S. Spirito a Maiella, pressoRoccamorice (Pescara), oppure il volto del San Cristoforo conquello di Sant’ Andrea apostolo nella tela con la Madonna col Bam-bino e i Santi Pietro e Andrea della chiesa di Santo Stefano di Cugnoli(Pescara), anch’essa firmata e datata 1748, che però appartiene al-l’ultima fase dell’attività del Gizzonio, laddove il trittico di Popoliandrà collocato agli esordi della sua modesta carriera di pittore. “Mal’arte non gli fruttò gran che. C’è tradizione che, alcune volte, fucostretto a metter da parte i pennelli e prendere la zappa!”. CosìAntonio De Nino, dopo aver ricordato le origini contadine del Giz-zonio, argutamente conclude il breve profilo dedicato all’artista (DE

NINO 1887).SERGIO CARANFA

BibliografiaDE NINO 1904, p. 59; scheda storica 1908; MARINUCCI, scheda OAn. 13/00215474, 2000.

Bibliografia consultataDE NINO 1887, ad vocem “Domenico Gizzonio”; L’arte svelata 2007,pp. 130 ss. Fig. 2. Particolare del volto di San Sebastiano prima del restauro

La Pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo

INTERVENTO DI RESTAURO

Il trittico di Popoli è stato integralmente ridipinto in tempi re-lativamente recenti. L’osservazione a luce radente evidenzia

la presenza di strati pittorici sottostanti. L’estensione di questiultimi appare tuttavia troppo esigua per incoraggiare l’eventualerimozione della ridipintura.Per contro, il supporto ligneo, pur se rimaneggiato e variamenteintegrato, conserva la sobria eleganza e la solidità di una tavolaquattrocentesca. Per questa ragione, si è deciso di dedicare alsupporto una attenzione non comune, affiancando all’interventoconservativo una serie di interventi volti al recupero del sup-porto anche dal punto di vista estetico. Il pannello centrale del trittico (cm 130 x 81), di forma cuspidata,dello spessore di circa 3 cm, è composto da due assi di pioppodi taglio subradiale assemblati a spigolo vivo, attualmente prividi elementi interni di connessione.Entrambi gli sportelli laterali (cm 130 x 40), composti ognunoda due tavole assemblate testa-testa dello spessore di circa 1,4cm, presentano lungo le linee di giunzione, ad intervalli irrego-lari, cavicchi in legno duro a sezione quadrata di circa 5 mm (4in quello a sinistra, 3 a destra). Gli scomparti del trittico sono a loro volta collegati tramite ele-

menti metallici ripiegati a forma di omega (quattro sulla tavolacentrale e due per ogni sportello laterale) agganciati in coppia.La tavola centrale presenta uno spesso strato di ammanitura cheingloba fibre vegetali - probabilmente stoppa di canapa - postein direzione ortogonale alla fibra del legno. Sugli sportelli laterali,invece, si individuano tracce localizzate di un sottile strato pre-paratorio di colore bianco con evidenti segni di policromia.In entrambe i casi, la presenza di uno strato protettivo sul retroha ridotto l’entità dei movimenti del legno, stabilizzando in egualmisura il retro rispetto al fronte.Il pannello centrale conserva tre robuste traverse originali, pro-babilmente in pioppo, mentre l’originario sistema di traversaturaed incorniciatura a tergo delle tavole laterali era stato in granparte sostituito da listelli in legno di abete ancorati al supportomediante chiodi e viti.L’intervento di restauro del supporto ha mirato alla risoluzionedi due ordini di problemi strettamente connessi alla fruizionedell’opera, sia dal fronte che dal retro: da una parte la necessitàdi risarcire i punti di maggiore debolezza strutturale del tavolatotramite tassellatura con inserti lignei, dall’altra quella di ristabilireuna continuità fisica fra le assi migliorando la percezione visiva

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La Pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo

dell’opera nel suo complesso.Il quadro fessurativo del tavolato non presentava particolari cri-ticità, mentre le deformazioni dello stesso avevano determinatoforti sconnessure tra le assi all’interno di ogni singolo elementodel trittico. A partire dagli sportelli laterali, prima di procedere al risana-mento delle sconnessure, sono state rimosse le traverse (conser-vando quelle originali) in modo da riavvicinare il più possibile imargini di contatto fra le assi. Le linee di giunzione sono staterisanate e tassellate con inserti lignei di pioppo a sezione trian-golare, opportunamente sagomati laddove intercettavano i ca-vicchi. Allo stesso modo, le fessurazioni passanti presenti sui trepannelli sono state risanate e tassellate.La cuspide della tavola centrale, particolarmente degradata dagliinsetti xilofagi, è stata risanata “a supporto” tramite l’inseri-mento di tasselli sfalsati, sempre in legno di pioppo. In questazona, così come sulle traverse originali, è stato previamente ese-guito un intervento localizzato di consolidamento con una resinaacrilica in soluzione (Paraloid B72 al 4% e al 7% in miscela 1:1 di

alcol isopropilico e metil-etil-chetone), applicata a pennello adimbibizione.L’insieme delle traverse e delle cornici perimetrali a tergo è statocompletamente rivisto conservando da una parte gli elementioriginali, dall’altra rimuovendo tutti gli inserti posticci. Tali in-serti sono stati sostituiti da nuovi regoli in legno di tiglio, dimen-sionati e sagomati a sezione triangolare sul modello deglioriginali.E’ stato quindi riproposto l’originario sistema di chiodatura riu-tilizzando chiodi antichi, a testa larga e circolare con corpo ra-stremato a sezione quadrata, inseriti ad incastro all’interno difori precedentemente realizzati sia sulle traverse che sul sup-porto.Infine, l’opera è stata disinfestata tramite la creazione di un am-biente anossico in una camera pneumatica, all’interno della qualeè stata tenuta, assieme agli altri manufatti lignei provenienti dallaprovincia dell’Aquila, per 28 giorni. Come già sottolineato, l’opera risultava integralmente ridipinta,ma troppo lacunosa nei suoi strati pittorici originali per essere

Fig. 3. Immagine a luce radente

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riportata alla luce. L’intervento è stato quindi di parziale rimo-zione della ridipintura, là dove il contesto lo consentiva (comesul cielo del fondo), e di conservazione e reintegrazione della ri-dipintura là dove la perdita della stessa sarebbe equivalsa a per-dita di significato del testo pittorico.E’ stato inizialmente eseguito un fissaggio dei sollevamenti dipellicola pittorica, presenti lungo le linee di giunzione delle assie in molte aree della tavola centrale, con una resina acrilica inemulsione acquosa (Acril 33 al 30% in acqua) tramite interposi-zione di carta giapponese.I primi test di pulitura hanno evidenziato la criticità dell’inter-vento, dato che la semplice rimozione dello strato di vernice os-sidata implicava talvolta anche la rimozione indesiderata delleridipinture, specialmente sui toni scuri. Dopo una serie di prove,la rimozione della vernice è stata eseguita con un Solvent Gel diMetil-Etil-Chetone e Alcol Isopropilico 1:1, tenuto sulla super-ficie per pochi secondi e rimosso prima a secco e poi delicata-mente a tamponcino.Dopo aver rimosso le stuccature presenti, sono stati eseguiti deisondaggi a bisturi per indagare lo stato di conservazione dellapellicola pittorica originale sottostante. L’esito dei saggi ha con-fermato la veridicità delle informazioni ricavate dall’osservazionea luce radente: il dipinto originale è presente in pochi frammentiisolati, ad eccezione del cielo del fondo.Si è pertanto deciso di procedere alla rimozione della ridipinturasul cielo, conservando invece le ridipinture in corrispondenzadelle figure. La ridipintura sul cielo è stata rimossa con lo stesso

solvent gel utilizzato per la rimozione della vernice, ma contempi di contatto di 15 minuti. E’ stata eseguita anche la rimozione delle ridipinture presenti sulbusto e sul volto del Cristo nella tavola centrale, troppo alteratee incongruenti per essere conservate. La rimozione in questocaso è stata eseguita con una miscela di Dimetilsolfossido al 15%in Etil Acetato supportata con Laponite. Anche dopo la rimo-zione delle ridipinture l’area compresa tra il volto della Madonnae il busto del Cristo risultava lacunosa e poco leggibile. Trattan-dosi del fulcro della composizione, è stato deciso di reintegrarlapittoricamente, raccordando mimeticamente l’integrazione allaridipintura circostante. A questo scopo è stato realizzato un lu-cido 1:1 della morfologia delle lacune, in modo da poter realiz-zare a parte una serie di simulazioni volte alla ricostruzionepittorica.L’elaborato grafico ritenuto più adatto è stato riportato a spol-vero sulla stuccatura precedentemente eseguita con gesso di Bo-logna e colla di coniglio su stuccatura di profondità realizzatacon Araldite HV 427. La reintegrazione pittorica sulla ricostru-zione, così come sull’intero trittico, è stata eseguita con colori adacquerello (Windsor & Newton) sulle stuccature a gesso e colla,con equilibratura finale con colori a vernice (Maimeri). A conclu-sione, il trittico è stato protetto con una verniciatura 1:1 di ver-nice à Retoucher e Matt (Lefranc & Bourgeois) eseguita a spruzzo.

CRISTINA CALDI

ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS

FRANCESCA MARIANI

La Pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo

Fig. 4. Un particolare dei piedi del Cristo nella fase di pulitura

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La scultura lignea, incompleta e non rifinita sul lato sinistro,raffigura san Francesco mentre riceve le stigmate, vestito del

saio marrone con cappuccio e cordone alla vita. Il Santo è rap-presentato inginocchiato con le braccia sollevate nella iconogra-fia codificata da Giotto nella prima metà del XIII secolo, cosìcome nella tavola del Louvre prima e dell’affresco in Santa Crocea Firenze poi; sostanziale difformità è nella posizione del Santoche, nella scultura, è rivolto verso sinistra. La corporatura delSanto è individuata dalle pieghe del saio che ricadono dritte e pe-santi quasi a volerla idealmente ancorare al suolo; tuttavia, al trat-tamento piuttosto sommario del panneggio si contrappone unaparticolare cura nel rendere i tratti del viso in estasi, con losguardo volto verso l’alto e la bocca semiaperta che lascia sco-perti i denti. Molto definite le corte ciocche arricciate dei capellie della barba che incornicia il magro ovale. La scultura manca diparte del cordone che dalla vita scendeva fino a terra e dellamano sinistra. L’opera proviene dalla parrocchiale dedicata a San Giovanni Bat-tista di Castelvecchio Calvisio, era parte integrante dell’altare piùvicino alla porta di ingresso sulla sinistra, collocata addossata allabase di una pala d’altare alta circa due metri, contro una pareterivestita con roccia naturale. Grazie alla documentazione conser-vata presso l’archivio della Soprintendenza BSAE a L’Aquila èpossibile ricostruire il complesso decorativo dell’altare votivo:dalle annotazioni della scheda manoscritta del 1934 di Maria Gra-zia Gabbrielli sappiamo che sulla sinistra, si trovava un’altra sta-tua di dimensioni più contenute (97 cm.) raffigurante frate Leoneche “assiste ammirato” al miracoloso evento, che risultava perògià scomparsa al momento in cui venne eseguita la foto allegataalla scheda OA (SBAAAAS AQ 236735). Nella documentazionefotografica del 1998 oltre allo spazio vuoto lasciato dalla rimo-zione della figura di frate Leone, si nota la presenza del Cristocrocifisso in alto a sinistra e in alto a destra a meglio definire loscabro paesaggio roccioso, in lontananza, una piccola chiesa inrovina. Quello che è possibile oggi ricostruire è un gruppo scul-toreo molto particolare che la Gabbrielli nel ’34 ebbe a definire“curioso” e che, per il suo sapore paesano, poteva, a suo dire,avvicinarsi ai presepi del XVIII secolo. Più incerta la scheda OAdel 1998 che colloca la scultura tra il XVII e il XVIII secolo.Sconosciuta alla critica recente, l’opera ha risentito oltre che dellesue peculiarità stilistiche e tecniche anche della marginalità dellacollocazione, che ne hanno di fatto ostacolato l’approfondi-mento, apparendo ad oggi come un unicum nel panorama del ter-ritorio aquilano. E’ infatti l’intero insieme ad attirare l’attenzionesu una cultura, che, al di là del carattere popolare, sembra rifarsiagli stessi intenti di partecipazione emotiva che portarono allarealizzazione dei Sacri Monti, dove un uso coordinato di tutte learti aveva l’intento di ricreare la natura tangibile del luogo del-l’evento simulato. Questi intenti realistici vanno ad innestarsisulle esperienze prettamente barocche riferibili alle pale d’altare

«San Francesco riceve le stigmate»PRIMA METÀ DEL XVIII SECOLO

SCULTORE ABRUZZESE

Legno scolpito, dipinto e dorato, cm 110 x 80 x 183Castelvecchio Calvisio (AQ), Chiesa di San Giovanni Battista

Fig. 1. La scultura nella sua originaria collocazione in una foto degli anni Trenta

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animate da sculture in marmo o stucco, che ebbero tanta fortunaa partire dalle invenzioni romane del Bernini (F. Ackermann,2007). Il linguaggio così definito, ben si attaglia a quella produ-zione napoletana che tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 vedeprotagonisti di rilievo gli scultori Gaetano e Pietro Patalano a cuisono stati recentemente attribuiti l’altare maggiore della SS. Tri-nità nella Chiesa di S. Rocco a Foggia e l’Annunciazione nellaChiesa di S. Nicola di Roccanuova (Potenza), opere di particolarecomplessità e più ampio respiro ma che sembrano fornire il sub-strato educativo ed intellettuale all’altare di Castelvecchio Calvi-sio (Di Liddo 2008, pp. 139 e 148, fig. 90 e 97).Di tutto l’apparato messo insieme dall’anonimo scultore per ren-dere vivo e presente l’evento miracoloso delle stigmate di SanFrancesco, è la scultura del Santo a fornirci gli elementi utili a de-finire meglio un possibile ambito di riferimento. Sembrano infattii peculiari caratteri di instabilità e slancio della figura pur se privadi quegli effetti dinamici dei volumi, tipico vocabolario della scul-tura barocca, ad avvicinare l’opera a quel filone produttivo di bot-teghe di formazione napoletana che avevano, in GiacomoColombo o Paolo Saverio di Zinno, due importanti esponenti.Nella ricostruzione ipotetica del percorso che ha portato al com-pimento di una scultura dalla comunicatività immediata come il

San Francesco di Castelvecchio Calvisio, sono gli antichi tracciatidel tratturo, che venivano percorsi annualmente dall’Abruzzoverso i pascoli invernali e la Dogana di Foggia, ad avere la fun-zione di unire territori differenti per culture e tradizioni e a fornireil canale privilegiato di contatto tra centri anche molto lontanigli uni dagli altri. Le botteghe artigiane, che si erano impregnatedello spirito innovativo della cultura più raffinata di una capitaleinternazionale come Napoli tra seicento e settecento, ne avevanotradotto i risultati in un linguaggio più facile, dando vita ad unaricca produzione dalla qualità spesso discontinua e a volte appros-simativa ma particolarmente apprezzata dalla committenza localetanto da trovarsi capillarmente diffusa all’interno di un vasto ter-ritorio, così come evidenziato dagli studi sullo scultore Di Zinno(Felice 1996; Colangelo 2010, p. 91).

EMILIA LUDOVICI

BibliografiaGABBRIELLI 1934; MOSCARDELLI 1998.

Bibliografia consultataFELICE 1996; ACKERMANN 2007; DI LIDDO 2008; ARCIGLIANO

2009; COLANGELO 2010, pp. 88-98; SIMONE 2010, pp. 150-165.

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Fig. 2. Fronte e retro dell’opera prima del restauro

San Francesco riceve le stigmate

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San Francesco riceve le stigmate

INTERVENTO DI RESTAURO

La scultura in legno tenero, di cui a causa del pessimo stato diconservazione non è stato possibile effettuare il riconosci-

mento secondo lo schema dicotomico, è formata da un corpocentrale composto di due segmenti di tronco svuotati e incollatie da altri due elementi lignei da cui sono state ricavate le braccia,uniti al blocco centrale mediante l’impiego di perni lignei. Per mascherare e rinforzare i punti di giunzione è stata applicatal’ impannatura con strisce di stoffa di lino ad armatura tela di ri-duzione alta, metodo che permetteva di ridurre le imperfezionidel supporto. Lo strato di preparazione alla policromia è di co-lore chiaro con superficie porosa, resa più uniforme dall’impri-mitura in corrispondenza dell’incarnato.La veste della statua è dipinta uniformemente di scuro senza li-cenza alla decorazione, in conformità con la regola di povertàdel Santo. Il pigmento è applicato in più stesure fino ad ottenereuna buona coprenza. Il viso e l’incarnato delle mani sono stesia velature.Di buona fattura è l’aureola intagliata e collegata al corpo cen-trale grazie a un perno metallico. La doratura è realizzata con latecnica della foglia d’oro su bolo rosso.La statua ha subito danni diretti a causa del sisma. E’ da notareche già precedentemente all’evento il supporto, in cattivo statodi conservazione, era sfibrato da diversi cicli di riproduzione diinsetti xilofagi, le cui larve stagionalmente si sono nutrite dellacellulosa del legno tenero. Sono inoltre visibili parti mancanti,tra cui le dita della mano sinistra, del piede, parte del saio e dellacorda.Difetti di adesione dello stato preparatorio rendevano difficileanche lo sfiorare la superficie, in particolare presso la zona delcapo e del braccio sinistro. La pellicola pittorica era caratterizzata dalla presenza diffusa dipiccole lacune ed abrasioni su tutta la superficie con depositiparzialmente coerenti quali polveri fissate, deiezioni animali edepositi incoerenti polveri e particellato atmosferico.Sono emerse diverse reintegrazioni del modellato trattate mi-meticamente con ritocchi poi alterati, in particolare sono stateprecedentemente riparate con stuccature e riprese le sconnessurein corrispondenza dei giunti sia sul retro che sul fronte. Il visoè stato più volte oggetto di ridipintura.L’intera superficie è stata verniciata con uno strato come pro-tettivo, poi ingiallito.Dopo la compilazione della scheda per la catalogazione, e dopoaver rimosso ove possibile i depositi incoerenti tramite pennel-lesse morbide ed aspiratore, si è proceduto con la riadesionedelle scaglie sottili del supporto con alcool polivinilico mentre isollevamenti più rigidi sono stati abbassati tramite infiltrazionedi resina acrilica in emulsione e posti sotto pesetti per facilitarnela distensione. La parte inferiore del manto, mani e piedi, rosidagli insetti e indeboliti anche pregressa esposizione ad ambientiumidi, sono stati trattati con resina acrilica in soluzione a bassapercentuale.Resina acrilica in emulsione ad alta percentuale è stato utilizzataper trattare i difetti di adesione dell’ impannatura, particolarmenteFig. 3. L’opera dopo il restauro vista dal retro

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evidenti sulla calotta della testa e sul retro.Successivamente sono stati incollati, con resina vinilica e polveredi legno, il pollice della mano sinistra e il nodo della corda, che sipresentavano separati dalla statua. La fase della pulitura si è rivelata piuttosto delicata a causa della de-licatezza della stesura pittorica sottostante la vernice ingiallita e lostrato di depositi coerenti che si intendeva rimuovere. Dopo op-portuni test sono stati miscelati solventi polari in grado di rimuo-vere vernici. A causa della volatilità, sono stati supportati conl’ausilio di gel che trattenessero la miscela esclusivamente in super-ficie per un tempo relativamente maggiore.Differenziando la pulitura in base ai pigmenti sottostanti si è potutoavere un’indicazione sui leganti delle ridipinture: per i bruni delmanto, più bituminosi, è stata utilizzata una miscela di solventi po-lari supportata con carta giapponese, mentre per gli incarnati, piùtenaci, è stato aggiunta alla miscela anche una base a pH modera-tamente alcalino, supportando in emulsione cerosa e rifinendo poila pulitura meccanicamente tramite bisturi.Per l’aureola si è proceduto con una pulitura a tampone tramite im-piego di soluzioni idro-alcoliche.Dove mancanze e fessurazioni fendevano il supporto in profon-dità si sono rese necessarie stuccature con resina aralditica; per le

stuccature superficiali si è proceduto invece con G gesso e collaanimale.Le dita mancanti della mano sinistra sono state ricostruite realiz-zando fori nel supporto che ha alloggiato il filo metallico in ot-tone fissato con una resina epossidica bicomponente. Su questo scheletro è stata modellata in fasi successive l’aralditecaricata di polvere di legno, concludendo con un ultimo strato diresina pura, quindi rifinendo con bisturi e carta abrasiva. In seguito alla prima verniciatura ricostruzioni, stuccature e abra-sioni sono state reintegrate mimeticamente cercando di ottenereuna trama vibrante simile alla pellicola pittorica originale.Si è proceduto con le fasi finali del lavoro con il trattamento an-tiruggine dei vecchi chiodi metallici tramite inibitore di corrosioneisolato con resina acrilica previa rimozione meccanica della rug-gine preesistente. La verniciatura finale si è svolta in ambienteprotetto con vernice di finitura mat applicata a spruzzo. La disin-festazione per anossia delle larve di insetti xilofagi forse ancoravitali è l’ultima fase dell’intervento ed è stata eseguita durante lastagione primaverile.

FRANCESCA MARIANI

ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS

CRISTINA CALDI

San Francesco riceve le stigmate

Fig. 4. Particolare dopo la rimozione dell’aureola

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Caratterizzato da un’ampia tavolozza e accesi contrasti cro-matici, l’inedito dipinto evidenzia accenti dinamici e musi-

cali nella particolare tessitura compositiva. Investito da una lucediffusa e collocato al centro, il Bambin Gesù è circondato daMaria, da San Giuseppe con il bastone fiorito e da un pastoreche suona la ciaramella, ginocchioni a destra. In primo piano asinistra un fanciullo giunge con passo svelto per recare un’ana-tra, da collocarsi verosimilmente nella cesta dove sono stati de-posti due galli. Al centro sono tre cherubini, lateralmente facapolino il bue. L’intera parte superiore della tela, centinata, èoccupata da un elegante angelo che, sguardo rivolto al cielo,indica con l’indice della mano destra la scena in basso. Come di consueto nell’iconografia della Natività, assai diffusaa partire dalla stagione barocca, l’episodio si svolge accanto allerovine di un tempio, qui evocate da una sola possente colonnarastremata eretta su un alto basamento. Nondimeno una scarnatettoia sottolinea la provvisorietà del ricovero presso il quale laSacra Famiglia trovava riparo e Maria dava alla luce Gesù. L’autore del dipinto di Calascio dipinto inedito è da rintracciarsinella vasta schiera di pittori napoletani o di cultura napoletana– solo in parte finora evidenziati dalla letteratura critica - cheattingevano liberamente al repertorio di più accreditati maestrielaborando gradevoli composizioni assai amate e ricercate dallacommittenza, in una fase durante la quale il lavoro per tali pro-fessionalità non doveva certo mancare. In proposito va ricor-dato un dipinto raffigurante la Sacra Famiglia – segnalatomi daGiovanni Villano – conservato in una collezione privata e attri-buito dallo stesso proprietario, Achille Della Ragione, al “soli-menesco di seconda battuta” Evangelista Schiano. Nella telatroviamo alcuni elementi addirittura sovrapponibili a quelli checompaiono nella tela di Calascio: il Bambin Gesù, la posizionedella Madonna in ginocchio a sinistra ammantata con ampidrappeggi che solleva un lembo del panno su cui giace il bam-bino, il gesto del San Giuseppe che si sporge mettendo la manoal petto. Del maestro, da taluni ritenuto nativo di Ischia, si co-noscono opere in chiese di Napoli e della provincia, attualmenteracchiuse nell’arco cronologico compreso tra il 1755, anno incui Evangelista Schiano data e firma la Madonna del Rosario dellaChiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, oggi nel Museodiocesano di Napoli, e il 1777, che troviamo su un suo dipintonella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Ischia. Un riferimentoal medesimo maestro lascia tuttavia assai perplessi poichè, aparte l’evidente scarto cronologico, soprattutto la Sacra Famigliacitata appare fortemente ancorata al linguaggio solimenesco,mentre nel nostro caso, le tinte rischiarate e l’intonazione com-plessiva ispirata a una pacata classicità rappresentano modelli distile che sembrerebbe condurre piuttosto in direzione dell’atti-vità matura di Francesco De Mura e Paolo De Matteis, vale adire verso quei valenti maestri che nei primi decenni del Sette-cento contesero a Francesco Solimena la scena artistica nonsolo napoletana, spingendosi in prima persona o attraverso leopere non solo nelle ‘periferie’ del Regno, ma anche all’estero,

«Natività»1741Dipinto a tempera su tela, cm 190,5 x 102,5Calascio (AQ), chiesa di San Nicola di Bari

Fig. 1. L'opera durante l'intervento di restauro

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contesi tanto dalla nobiltà quanto dai benedettini di Montecas-sino. Nel corso dell’intero Settecento una miriade di maestririsulta attiva sulla loro scia, non di rado come in questo caso re-plicando elementi liberamente desunti dai dipinti dei maestri,con ricorso frequente ai disegni e alle incisioni che circolarononel Regno. Del resto persino l’angelo in alto e i tre cherubinirichiamano analoghe figure proposte più volte proprio da Fran-cesco De Mura. Pertanto s’attendono maggiori conferme perprecisare un’attribuzione per questo dipinto datato 1741. Al mo-mento il panorama abruzzese relativamente alla diffusione ditali esperienze è ancora tutto da ricostruire; dopo le lontaneaperture di alcuni benemeriti studiosi locali ancora mancano

studi sistematici a fronte di tante presenze di spicco e materialiinteressanti ancora inediti. Presenze e materiali che sebbene oggi rappresentino solo in mi-nima parte un passato di ricchezza economica e culturale di cen-tri come Calascio – ubicati in posizione strategica - potrebberoattraverso una corretta valorizzazione ancora rappresentare unaleva per la rinascita di una comunità che oggi va lentamenteesaurendosi.

LUCIA ARBACE

BibliografiaMOSCARDELLI, scheda OA n. 13/00187454, 1999.

Fig. 2. Particolare della lacerazione del supporto tessile in corrispondenza del manto del pastore in primo piano

Fig. 3. Particolare prima del restauro

Natività

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Fig. 4. L'opera durante la fase di reintegrazione pittorica

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Natività

L’opera è eseguita su di un supporto tessile vegetale in lino1, conuna preparazione rossa scura molto sottile ottenuta probabil-

mente con creta impastata con olio e pigmenti2. La pellicola pittoricaè costituita invece da pigmenti stemperati con il rosso d’uovo3. Il di-pinto era ancorato tramite chiodi metallici a un telaio non originale4

in pioppo, di forma rettangolare centinata, costituito da tre regoli unitia tenone e mortasa e da una traversa a croce imperniata ai regoli. Le maggiori manifestazioni del degrado del manufatto si trovavanoin corrispondenza dei bordi, i quali mostravano alcune lacerazioni ela sfibratura del tessuto, nonché vistosi segni verticali da imputare airegoli laterali e al generale rilassamento del supporto tessile. Vi eranoinoltre numerose lacerazioni del supporto con cadute di colore e al-cuni fori di sfarfallamento causati da insetti xilofagi in corrispon-denza dei regoli del telaio. Gli strati preparatori e la pellicola pittoricaerano interessati da vistose crettature di origine meccanica, con an-damento circolare, causate da danni di origine antropica ma anchedalla trazione esercitata dal telaio sulle parti di tessuto lacerato, e cret-tature da essiccamento con andamento reticolare irregolare.La pellicola pittorica era coperta da depositi incoerenti e presentavaun generale imbrunimento dovuto all’alterazione di uno strato di fi-

nitura coevo alla realizzazione del dipinto, ottenuto mediante la ste-sura di bianco d’uovo5. Tale sostanza aveva causato inoltre la for-mazione di accumuli materici puntiformi sulla superficie, daimputare a una contrazione filmogena dell’albume. Durante un precedente intervento di restauro, erano state applicatedue rattoppature in tessuto sul retro della tela in corrispondenza dellelacerazioni più ampie del supporto ed eseguite alcune reintegrazionipittoriche con colori a tempera cromaticamente alterate e debordantiin maniera vistosa sulla materia originale.Il consolidamento degli strati preparatori e della pellicola pittoricaè stato eseguito mediante impregnazione con una resina sinteticatermoplastica6 applicata dal retro a pennello. La pellicola pittoricaè stata ulteriormente consolidata mediante applicazioni localizzatedel medesimo prodotto sul fronte, in corrispondenza dei cretti piùmarcati e dei sollevamenti di grave entità. Per riattivare l’adesivotermoplastico e allo stesso tempo restituire planarità al supporto,il manufatto è stato sottoposto a un processo di riscaldamento epressione tramite posizionamento nel tavolo caldo7.La tela presentava un tensionamento piuttosto debole e una leggerafragilità delle fibre del tessuto. Inoltre, lo stato di conservazione

Fig. 5. Particolare a luce radente Fig. 6. Particolare prima dell'intervento di restauro

INTERVENTO DI RESTAURO

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dei bordi, discontinui e lacerati dalla ruggine dei chiodi, non per-metteva di realizzare un sicuro ancoraggio tra la tela e il telaio, ren-dendo pertanto necessaria l’applicazione di nuove fasce perimetrali8

fatte aderire alla tela originale con una resina sintetica termopla-stica9.Per la pulitura degli strati pittorici è stato impiegato il bicarbonatod’ammonio supportato in emulsione stearica10 per permettereun’azione più controllata ed un contatto migliore del prodotto sullasuperficie. L’emulsione con il sale è stata applicata a pennello inmodo da seguire lo spessore delle pennellate e per tempi di contattodi circa 30 secondi. La rimozione dell’impacco è stata eseguita conun tampone asciutto per asportare il materiale soprammesso solu-bilizzato e successivamente con essenza di petrolio per eliminare iresidui di materiale ceroso dalla superficie.Le lacune della preparazione e della pellicola pittorica sono state

colmate con uno stucco di gesso di Bologna e colla di coniglio. Lareintegrazione delle stuccature è stata effettuata con la tecnica deltratteggio mediante applicazione per stesure successive di colori adacquarello11. L’unità di lettura della superficie è stata ottenuta conla velatura delle abrasioni e delle microlacune della pellicola pittoricacon colori ad acquarello e a vernice12. La protezione finale del di-pinto è consistita nell’applicazione a spruzzo di resine sintetiche insoluzione13.Dato il pessimo stato conservativo del telaio ligneo non originale,si è proceduto con il montaggio della tela su di un nuovo telaio li-gneo in pioppo con sistema di espansione a biette. La parte dellacentina, costituita da un unico pannello ligneo e in buono stato diconservazione, è stata conservata e inglobata nella nuova strutturadi sostegno.

DAPHNE DE LUCA

Note tecniche:1 - Il supporto ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 10 x 10. E' da segnalarela presenza di un’iscrizione grazie alla quale è possibile datare il dipinto al 1741. L’iscri-zione “P. A. D. 1741”, probabilmente originale, è realizzata a pennello con un pigmentonero su di uno strato preparatorio di colore grigio chiaro. 2 - La natura dei materiali costitutivi è stata individuata tramite analisi spettrofotometri-che realizzate sulle sezioni stratigrafiche e sulle polveri. Tali analisi hanno rivelato la pre-senza di carbonato di calcio e di silicati, entrambi riconducibili alla creta. Per quantoriguarda il legante dell’inerte, è stata riscontrata la presenza di olio di lino. Le indaginichimiche sono a cura del Dott. L. Giorgi, dell’Istituto di Scienze Chimiche dell’Universitàdi Urbino “Carlo Bo”.3 - Vedi Supra nota n.34 - La parte centinata del telaio consiste in un pannello di legno di circa 2 cm di spessore,la cui parte inferiore è sagomata a forma di regolo e sul quale sono ancora visibili i segnidi lavorazione del legno con asce e sgorbie. La centina è con ogni probabilità coeva allarealizzazione del dipinto, come dimostrano le teste dei chiodi forgiati sulle quali debordail colore originale. Al contrario, l’originalità del telaio è dubbia, perché i chiodi ivi presentinon recano tracce di pellicola pittorica e in alcuni punti dei regoli verticali si notano isegni di un’altra chiodatura.5 - Vedi Supra nota n.3

6 - Beva O.F. sciolto in benzina 80-100°C al 10% 7 - E’ stata impiegata una temperatura di 60°-65° C ed una pressione di 250 millibar percirca quindici minuti, avendo cura di procedere con un lento raffreddamento del pianomantenendo costante la pressione.8 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto poliestere ad armatura tela. Per evitarne losfilacciamento è stato necessario apprettare la tela risparmiando le frange, per imbibi-zione in una resina sintetica termoplastica (Plexisol P550 al 20% in White Spirit). Tuttele fasce sono state sfrangiate su un lato per una lunghezza di 2 cm per evitare che lospessore della tela da rifodero si imprimesse sul davanti e successivamente imbibite conun’ulteriore strato di resina sintetica termoplastica (Beva OF in pasta diluito al 10% inbenzina 80°-100°) per assicurarne una buona adesione.9 - Beva film OF.10 - Il bicarbonato d’ammonio (NH4HCO3) è stato impiegato nella sua forma solida,ovvero mischiando direttamente 1 parte di sale in 20 parti di emulsione cerosa fino alsuo completo scioglimento.11 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton12 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 13 - La verniciatura è stata effettuata con 2 parti di vernice J.G. Vibert Brillant-gloss, fi-nale Lefranc &Bourgeois e 2 parti di vernice mat Lefranc &Bourgeois.

Fig. 7. Particolare del tassello di pulitura effettuato in corrispondenza di Gesù Bambino

Natività

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L’inedito dipinto settecentesco, incastonato ancora nella sua ori-ginaria carpenteria lignea, proviene dalla chiesa di Santa Maria

del Suffragio a Castel del Monte (AQ): un luogo di culto particolar-mente caro alla religiosità delle popolazioni abruzzesi per i riti legatial mondo pastorale e alla transumanza che, proprio nella cittadina,poteva contare su un importante mercato di lana nera in grado dirichiamare non solo pastori ma anche artigiani e mercanti.Commissionata dai rappresentanti dell’Università, come lascianochiaramente intuire non solo le iniziali C.M. (Castrum Montis) inta-gliate a rilievo, ma anche l’emblema civico con i cinque colli ristrettiall’italiana dipinto nello scudetto posto alla sommità dell’ancona, latela illustra il Miracolo di Soriano: un evento prodigioso avvenuto nelconvento domenicano di Soriano Calabro, nei pressi di Vibo Valen-tia, la notte del 5 settembre 1530. Secondo la leggenda tramandatadalle cronache conventuali e successivamente ripresa da SaverioFrangipane nella “Raccolta de’ miracoli fatti per l’intercessione disan Domenico, istitutore del sacro ordine de’ Predicatori, con l’oc-casione d’una sua imagine portata dal cielo in Soriano”, stampata aMessina nel 1621, la Vergine Maria e le sante Maria Maddalena eCaterina d’Alessandria sarebbero apparse per consegnare a un con-verso del convento un’immagine di San Domenico di Guzmán.A partire dalla metà del XVII secolo la raffigurazione di quell’eventomiracoloso, che metteva in scena l’arrivo dell’icona acherotipa di sanDomenico alla presenza delle tre sante donne, si diffuse rapidamentein tutto il Mezzogiorno, godendo - fino al Settecento inoltrato - divasta fortuna soprattutto in quelle località dove la presenza dei fratipredicatori o delle confraternite laicali, in particolare quelle ispiratealla devozione verso il Rosario, risultava particolarmente incisiva.Il recente restauro, che ha restituito alla composizione un’atmosferafamiliare e serena ravvivata da colori intensi e brillanti, ci consentedi ancorare il dipinto di Castel del Monte al catalogo di Teresa Pa-lomba, una pittrice probabilmente di origini salentine, la cui attivitàè documentata in Campania e in Abruzzo fra il 1746 e il 1773.Scarne e molto spesso confuse sono le notizie relative alla vicendabiografica della pittrice nata - secondo alcuni - a Parabita in provinciadi Lecce nei primi decenni del Settecento, ma trasferitasi abbastanzapresto nella capitale, meta naturale per ogni giovane artista. Anchei tempi esatti del trasferimento a Napoli, peraltro, non sono noti. E’verosimile, comunque, che ella avesse ricevuto una prima educa-zione in patria, dove sicuramente aveva avuto modo di studiare lapittura napoletana sui numerosi dipinti di Luca Giordano, Paolo deMatteis ma anche Nicola Malinconico e Giovanni Battista Lamaconservati in cattedrali e chiese del territorio leccese. La stessa questione relativa al perfezionamento napoletano della suapreparazione artistica non è stata del tutto risolta. D’altro canto ilcorpus delle sue opere, ancora troppo esiguo, soltanto di recente si èarricchito di nuove acquisizioni grazie alla riscoperta della sua figurae a un maggiore interesse critico sulla sua produzione. Tra il terzo eil quarto decennio del Settecento, il tirocinio di Teresa può essereconsiderato pressoché concluso: le prime tele firmate e datate, rela-tive proprio a quegli anni, mostrano già una pittrice autonoma, tito-

«La Madonna presenta l’effigie di San Domenico»TERESA PALOMBA (NOTIZIE 1748-1773)Dipinto a olio su tela, cm 184 x 130Castel del Monte (AQ), chiesa di San Marco evangelista

Fig. 1. Il dipinto nella cona lignea in una foto precedente al sisma

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lare forse anche di una modesta bottega, impegnata nell’esecuzionedi opere destinate per lo più a una committenza privata, ma anchea chiese e conventi della provincia, lontano dalla capitale. Non è uncaso che la prima opera finora rintracciata, l’Adorazione dei pastori di-pinta nel 1746 per la sconsacrata chiesa di san Giuseppe di Lanciano(CH) e successivamente trasferita nella vicina chiesa di santa Chiara,mostri una completa assimilazione della pittura del protagonista in-discusso dell’ambiente artistico napoletano, Francesco Solimena,che ella cerca di conciliare attraverso le sue sobrie qualità figurativecon soluzioni di accentuato tono devozionale. I riferimenti solimeneschi, arricchiti progressivamente anche daspunti demuriani, risultano evidenti anche nelle opere successivecome testimoniano l’Immacolata Concezione con la Trinità, San GiovanniBattista e san Giuseppe del 1748 nella chiesa abbaziale di san Giovannia Sirico di Saviano (Na), la Predica di san Francesco di Sales della chiesanapoletana di Santa Maria di Donnalbina (1752), il ciclo di tele ese-guito intorno al 1756 per la chiesa di santa Maria di Monserrato adAvellino o le pale di proprietà del Fondo Edifici di Culto commis-sionate per il complesso conventuale di san Bernardino da Siena aSant’Anastasia (Na), di cui l’ultima autografa del 1773. Alla fine degli anni Cinquanta sembra datarsi anche la tela di Casteldel Monte dove accanto ai tradizionali rinvii alla pittura colta emerge,nella composizione semplice, priva di fremiti o tensioni drammati-

che, il particolare stile della sua pittura. In una dimensione sospesae rasserenante, di emozioni delicate quasi sarnelliane, la sacra con-versazione tutta al femminile di Castel del Monte mostra le tipichequalità espressive dell’artista con le dolci pose delle figure avvoltein ampi e vorticosi manti, rappresentante con i colli lunghi, il capocostantemente reclinato, i volti distesi, la gestualità elegante e piace-vole. Si afferma , insomma, un riuscito brano di pittura devota co-struita su toni domestici e quotidiani che notevole seguito avrebbetrovato ancora nelle province del Regno fino agli albori del XIX se-colo.

GIOVANNI VILLANO

BibliografiaATTANASIO, scheda n. 13/00187428, 2002.

Bibliografia consultataDI ORAZIO 1750; SIGISMONDO 1788-1789, p. 37; ZANI 1823; GA-LANTE 1872, p. 141; MOLINARO, 1935; DE GIORGI 1975, p. 242; CA-TELLO - CATELLO 1977, p. 48; STRAZZULLO 1978, p. 31; MUOLLO,in Momenti 1985, pp. 85-94; MARINO 1992, pp. 169, 376, 463; SCOTTI

1992; BATTISTELLA 1995, pp. 126-153; AVELLA 1999, p. 2008; GRA-ZIOSI 2004; MOLLICA 2010, pp. 31,154-159; DI FURIA, in Capolavori2012, pp. 260-263.

Fig. 2. Particolare della Madonna dove si evidenzia il taglio sul supporto tessile con una sutura grossolana eseguita in un precedente restauro

La Madonna presenta l’effigie di San Domenico

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Fig. 3. Ricucitura filo a filo

La Madonna presenta l’effigie di San Domenico

L’opera è eseguita su un supporto in lino1 costituito da due teliorizzontali uniti mediante cucitura a sopraggitto. L’ancoraggio

della tela al telaio, ottenuto tramite chiodi metallici lungo lo spes-sore, non è da considerarsi coevo alla realizzazione del dipinto: latela ha infatti subito un intervento di resecazione sul lato sinistroche ne ha modificato le dimensioni originarie, probabilmente permontarla su di un nuovo telaio non adeguato alle sue dimensioni. Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di colorazionebruno scuro di spessore sottile costituita da olio e pigmenti. Anchei pigmenti sono mischiati con olio, formando una pellicola pittoricaomogenea dallo spessore sottile e caratterizzata da una stesurafluida.Tutti i regoli del telaio presentavano numerosi fori di sfarfallamentodovuti a un attacco di insetti xilofagi. In corrispondenza della testadella Santa ubicata a sinistra della Madonna è stato riscontrato unampio taglio verticale del supporto tessile con cadute e solleva-menti degli strati preparatori e della pellicola pittorica. Il taglio èstato ricucito in modo grossolano durante un restauro precedentee la pellicola pittorica è stata reintegrata con colori a tempera de-bordanti sulla materia originale.Gli strati preparatori e la pellicola pittorica erano interessati da uncretto da essiccamento di media entità, più evidente nella parte in-feriore del dipinto e in corrispondenza dei pigmenti scuri, e da vi-stose crettature di origine meccanica, riscontrate soprattuttonell’angolo inferiore destro e caratterizzate da un andamento dia-gonale, causate con ogni probabilità dalla trazione del telaio in cor-rispondenza degli angoli. Vi erano inoltre numerose lacune esollevamenti in corrispondenza dei bordi del manufatto.L’operanon era chiaramente leggibile a causa di uno strato protettivo in-giallito e imbrunito steso in maniera uniforme sul manufatto. Sullasuperficie pittorica è stata riscontrata anche la presenza di unostrato soprammesso di colore trasparente steso in modo disomo-geneo soprattutto in corrispondenza dei panneggi scuri delle figure,probabilmente da imputare all’applicazione di un prodotto per rav-vivare o consolidare gli strati pittorici. Infine vi erano alcune goccedi cera in corrispondenza del panneggio del santo inginocchiato,schizzi biancastri di natura gessosa e sgocciolature in corrispon-denza della parte superiore del manufatto che avevano causato laparziale solubilizzazione dello strato di finitura ingiallito.Il manufatto è stato smontato dal telaio e spianato con l’ausilio deltavolo ad alta pressione per abbassare i cretti e le deformazioni do-vute al taglio e alla trazione del telaio in corrispondenza degli an-goli. Il consolidamento della pellicola pittorica e degli stratipreparatori è stato ottenuto con l’applicazione a pennello di unaresina sintetica in soluzione2, mentre il taglio è stato risarcito me-diante incollaggio puntuale dei fili per ricostituire l’unità strutturaledel supporto e per impedire il rilassamento della zona circostantela lacerazione3.Data la fragilità del supporto in corrispondenza dei bordi, il ma-nufatto è stato sottoposto a un intervento di foderatura parzialecon applicazione di nuove fasce perimetrali4 fatte aderire alla telaoriginale con una resina sintetica termoplastica5.

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 4. Particolare della lacerazione in corrispondenza della testa di Santa Maria Maddalena prima e dopo il restauro

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La rimozione dei depositi coerenti e incoerenti presenti sul rectoe verso della tela è stata compiuta mediante pulitura meccanicacon morbide pennellesse, spugne Wishab e aspiratore. Lo stratodi finitura alterato è stato rimosso mediante mezzi chimici, ov-vero con l’impiego di bicarbonato d’ammonio in emulsione ce-rosa6. Tale impasto è stato applicato sulla superficie pittorica conl’ausilio di pennelli in modo da seguire meglio l’andamento delductus pittorico, lasciato agire per tempi di contatto di circa 15-18 secondi e successivamente rimosso a secco e mediante tam-poni di ovatta leggermente imbevuti di essenza di petrolio perasportare i residui cerosi. Il materiale traslucido soprammessoalla superficie in maniera eterogenea è stato rimosso con tamponiimbevuti di acqua demineralizzata tiepida.Dopo aver eseguito la verniciatura del manufatto a pennello conresine sintetiche in soluzione7, con finalità di protezione dellapellicola pittorica, le lacune reintegrabili per localizzazione e perestensione sono state colmate con stucco8, successivamente ra-sate a livello e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazione

pittorica delle abrasioni e delle lacune di piccole dimensioni èstata eseguita a velatura con tecnica mimetica mediante applica-zione per stesure successive di colori ad acquarello9 e a vernice10.La protezione finale superficiale del manufatto è stata ottenutacon l’applicazione a spruzzo di resine sintetiche in soluzione11. Il telaio è stato pulito, trattato contro l’attacco di insetti xilofagi12

e rifunzionalizzato, montando sul perimetro un bordo di scorri-mento in legno rivestito di teflon e fissando nella luce un con-trotelaio in legno di rovere, per rinforzarlo e vincolare imeccanismi del sistema di tensionamento elastico13. Il dipinto èstato vincolato al sistema elastico attraverso le fasce di foderaturadei bordi in cui è stato alloggiato un tondino in acciaio inox da5 mm di diametro per distribuire omogeneamente sul perimetrola forza esercitata dalle molle14. La forza di tensionamento sceltaè di 1,8 N/cm15. Infine, si è proceduto con l’applicazione di una nuova cornice li-gnea.

DAPHNE DE LUCA

Note tecniche:1 - Il supporto in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione media di 7x8. Per indivi-duarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di carbone biadesivo, su particolarisupporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering e osservati al microscopio elet-tronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono state eseguite dalla prof.ssa Elisa-betta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimento di Scienze della Terra, dellaVita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tecnologie per la Salute, CampusScientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.2 - Plexisol al 10% in Etere di Petrolio 100-140°C e Butilacetato (2:1). E’ stata impiegatauna miscela per favorire la solubilizzazione della resina. 3 - Il risarcimento filo a filo è stato ottenuto impiegando l’adesivo Tylose MH300 all’8%. 4 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto poliestere Trevira CS ISPRA ad armaturatela. Per evitarne lo sfilacciamento, la tela è stata apprettata risparmiando le frange, perimbibizione in una resina sintetica termoplastica (Plexisol P550 al 20% in White Spirit).Tutte le fasce sono state sfrangiate su un lato per una lunghezza di 2 cm per evitare chelo spessore della tela da rifodero si imprimesse sul davanti e successivamente imbibitecon un’ulteriore strato di resina sintetica termoplastica (Beva OF in pasta diluito al 10%in benzina 80°-100°) per assicurarne una buona adesione.5 - Beva film OF6 - Sono state scelte due diverse concentrazioni del sale d’ammonio in emulsione cerosa,secondo la penetrazione della sostanza soprammessa all’interno degli strati pittorici: laconcentrazione maggiore (1 parte di bicarbonato in 10 parti di emulsione cerosa) è stata

impiegata nei fondi e sui colori scuri, mentre la concentrazione minore (1 parte di bi-carbonato in 20 parti di emulsione cerosa) ha dato ottimi risultati in corrispondenzadelle parti chiare, quali l’incarnato, alcune vesti e il cielo. 7 - La prima verniciatura è stata eseguita applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.8 - Lo stucco è stato ottenuto mischiando 2 parti di gesso di Bologna con 1 parte diAquazol P200, precedentemente diluito in acqua demineralizzata al 10-15% e lasciatorigonfiare per 24 ore, omogeneizzando poi il tutto con l’aiuto dell’agitatore magneticoper 15-30 minuti. 9 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton10 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 11 - Per la protezione finale è stata scelta la vernice a base di resine alifatiche Regalrez1094 caratterizzata da ottime proprietà di trasparenza, reversibilità, resistenza all’ingial-limento e all’invecchiamento in generale.12 - E’ stato impiegato il prodotto con Per-Xil 1013 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.14 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.15 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

Fig. 5. Particolare di Santa Caterina d'Alessandria prima e dopo il restauro

La Madonna presenta l’effigie di San Domenico

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Il tema della Anime del Purgatorio, già presente in età medievalenelle scene del Giudizio, assume dal XV secolo e soprattutto a

partire dal XVI un carattere autonomo secondo uno schema ri-corrente che vede i corpi nudi tra le fiamme nel gesto di pregaree di tendere le braccia manifestando il disperante anelito a solle-varsi dalle fiamme, generalmente soccorsi da angeli che gettanoacqua e li sollevano verso la sfera divina, rappresentata dalla Tri-nità, da Cristo o dalla Madonna, talvolta accompagnata da Santi.Questo modello tripartito rispecchia l’idea di intermediazione chegioca un ruolo centrale nella elaborazione del tema: il superamentodella condizione transitoria di purificazione nelle fiamme infernalipresuppone l’intervento mediatore degli angeli, dei Santi, o diMaria presso Cristo, rappresentato da un registro intermedio che,in espressioni artistiche baroccheggianti, fa tutt’uno con quel ritmovorticoso che dalle fiamme infernali conduce verso le figure divine.La teologia e la liturgia cattolica attribuiscono a San Michele Ar-cangelo il ruolo di esecutore della volontà divina e intercessore perle anime presso Dio: è colui che ne allevia la sofferenza istillandoloro la speranza e le conduce, una volta purificate, in Paradiso.Nella messa di Requiem la sua presenza è invocata come una luceche illumina le anime, riflesso della pienezza del Paradiso: “Signifersanctus Michael raepresentet eas in lumen sanctam”. Nell’icono-grafia l’identificazione con l’arcangelo Michele non è esplicitatadal consueto attributo della corazza, e talvolta sono più angeli atirare su le anime verso il cielo (Coppola, Anime del Purgatorio, Cat-tedrale di Sant’Agata, Gallipoli). Nel dipinto di Carapelle un soloangelo, verosimilmente San Michele, è raffigurato nell’atto di libe-rare un’anima dalle fiamme sollevandola con sé in cielo. Il movi-mento è sottolineato dai riccioli scomposti, dal panneggio che loavvolge gonfio nelle morbide increspature, dalla nuvola che sem-bra averne accompagnato il volo. Le anime sono ora figure mor-bidamente definite dagli sguardi imploranti, ora volti e maschereche si intravedono tra le fiamme. In alto Maria nella veste dell’Im-macolata, avvolta da nubi dorate da cui si affacciano i cherubini,rappresenta l’approdo ideale delle anime, quello della purezza, lacui dimensione eterna è simboleggiata dal sole e dalla luna dise-gnate nel cielo ai lati della sacra apparizione. Il manto mosso dalvento è simbolo dello Spirito Santo che anima la “nuova crea-zione”, il recupero della integrità primitiva rappresentata da Marianuova Eva. La presenza della Madonna nella rappresentazionedelle anime del Purgatorio è generalmente legata alla sua veste par-ticolare di Madonna del Carmelo, connotata dallo scapolare, chetiene in mano, accompagnata da santi appartenenti al terz’ordinecarmelitano, quali Simone Stock e Santa Teresa d’Avila. Nei primidecenni del XVI secolo, in ambito meridionale, alle anime purgantiè associata la Madonna delle Grazie; artisti quali Marco Cardisco,Stefano Sparano, Andrea Sabatini, Girolamo Alibrandi, raffiguranoMaria che stilla latte dal seno per alimentare il pentimento delleanime purganti.Ricerche d’archivio permettono di ipotizzare che la collocazioneoriginaria dell’opera, oggi conservata nella sacrestia di San France-

«L’Immacolata e le anime purganti»TERZO QUARTO DEL XVIII SECOLO

Dipinto a olio su tela, cm 159 x 105Carapelle Calvisio (AQ), chiesa di San Francesco, già chiesa parrocchiale di Santa Maria

Fig. 1. Opera prima del restauro

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sco, sia la chiesa parrocchiale di Santa Maria, in cui è documentatoun altare del Santissimo Suffragio almeno dalla seconda metà delXVII secolo. Questo, istituito probabilmente ad opera di una con-fraternita, come sembra attestare la dicitura “de confraternitate”nelle visite pastorali degli anni 1670, 1687 e 1694, diventa altare perla devozione di tutta la comunità, perlomeno nell’Ottocento,quando le diciture che lo accompagnano risultano essere “ipsiusecclesie” (1829) o “de iure patronatus communitatis” (1842, 1850).Fino al 1708 si trovavano sull’altare delle “tabulae pictae” trovatein cattivo stato dal vescovo Bonaventura Martinelli: di esse non si

ha notizia nelle visite successive, ma si può ritenere che siano statetolte al tempo della realizzazione del dipinto.

MARTA VITTORINI

BibliografiaMOSCARDELLI scheda OA n. 13/000184465, 1998.

Bibliografia consultataANTINORI, Corografia, vol. XXIX; MATTIOCCO 1988; SABATINI

2004; MOSCARDELLI, scheda OA n. 13/000184465, 1998.

Fig. 2. Particolare del telaio prima del restauro

L’Immacolata e le anime purganti

Fig. 3. Particolare con le rattoppature applicate in un precedente restauro in corrispondenza di lacerazioni

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Fig. 4. Falso colore infrarosso Fig. 5. Immagine a luce radente

L’Immacolata e le anime purganti

Il dipinto su tela è ancorato a un telaio ligneo rettangolare fisso,composto di quattro elementi uniti a tenone e mortasa del tipo

“a capitello” e da una traversa orizzontale unita ai regoli a tenonee mortasa. L’opera è eseguita su un supporto in lino1 in un unicotelo. L’ancoraggio della tela al telaio è ottenuto tramite chiodi me-tallici lungo lo spessore, distanziati in maniera regolare l’uno dal-l’altro. Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di colore marronechiaro e la pellicola pittorica è ottenuta con pigmenti legati con olio.Sul telaio sono state riscontrate alcune fratture in corrispondenzadegli incastri angolari e numerosi danni causati da insetti xilofagi,mentre la traversa era leggermente imbarcata. La tela presentavaun tensionamento molto debole e i segni molto evidenti dell’im-pressione dei regoli e soprattutto della traversa del telaio sul fronte.Vi erano inoltre due lacune e una lacerazione precedentemente ri-sarcite con rattoppature applicate dal retro in un intervento di re-stauro. La pellicola pittorica e gli strati preparatori erano interessati da cret-tature di origine meccanica, nonché da vaste aree con cadute di co-lore. Sono stati riscontrati numerosi ritocchi pittorici eseguiti in unintervento precedente con colori a olio, debordanti ampiamente

sulla materia originale: in particolare, il volto di una delle figure im-merse nelle fiamme era interamente ridipinto in maniera grossolana,così come alcune parti della veste della Madonna, delle fiamme edelle nuvole nel fondo. La superficie era coperta da particellato at-mosferico incoerente e da uno strato di finitura vistosamente scu-rito e ingrigito. Le deformazioni della tela sono state risanate ponendo il manufattonel tavolo a caldo, umidificando il supporto tessile e apportandouna leggera pressione2, mentre il ristabilimento dell’adesione deimateriali costitutivi al supporto tessile è stato ottenuto medianteapplicazione dal verso di prodotto consolidante in soluzione a pen-nello3.Le lacerazioni sono state risarcite con un intervento di incollaggiopuntuale dei fili per ricostituire l’unità strutturale del supporto4. Lelacune del tessuto sono state ricostruite con lo stesso principio, uti-lizzando fili di lino di titolo e torsione simili, tessuti nella lacuna se-guendo l’andamento dei fili interrotti. Successivamente si èproceduto con la foderatura dei soli bordi con applicazione dinuove fasce perimetrali5 fatte aderire alla tela originale con una re-sina sintetica termoplastica.I depositi coerenti e incoerenti presenti sul verso del manufatto sono

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 6. Particolare del San Michele Arcangelo prima e dopo l'intervento di restauro

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L’Immacolata e le anime purganti

stati rimossi con pennellesse, morbide gomme e con una successivarifinitura a bisturi per l’asportazione dei depositi più tenaci, mentresul recto, l’asportazione degli strati soprammessi alla pellicola pitto-rica è avvenuta mediante un tensioattivo e con la successiva appli-cazione a pennello sulla superficie dipinta di un solvente supportatoin emulsione cerosa6.La reintegrazione pittorica delle abrasioni e delle lacune di piccoledimensioni è stata eseguita a velatura con tecnica mimetica con ap-plicazione per stesure successive di colori ad acquarello7. La primaverniciatura del manufatto, con finalità di protezione della superfi-cie, è stata eseguita a pennello con resine sintetiche in soluzione8.Le lacune reintegrabili per localizzazione e per estenzione sonostate stuccate uno stucco ottenuto con gesso di Bologna e colla diconiglio, in seguito rasate e reintegrate a tratteggio, mentre la rein-tegrazione pittorica è stata completata con colori a vernice9. La pro-tezione finale superficiale del manufatto è stata ottenuta con

l’applicazione a spruzzo di resine sintetiche in soluzione10. Per quanto riguarda il telaio11, si è proceduto alla pulitura del legno,al trattamento contro l’attacco da agenti xilofagi con prodotto bio-cida12 e alla sua rifunzionalizzazione, realizzata montando sul peri-metro un bordo di scorrimento in legno rivestito di teflon efissando nella sua luce interna un controtelaio in legno di rovere,per rinforzarlo e vincolare i meccanismi del sistema di tensiona-mento elastico. Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico attra-verso le fasce di foderatura dei bordi in cui è stato alloggiato untondino in acciaio inox da 5 mm di diametro per distribuire omo-geneamente sul perimetro la forza esercitata dalle molle13. La forzadi tensionamento scelta è di 1,6 N/cm14. Infine, si è proceduto con l’applicazione di una nuova cornice li-gnea.

DAPHNE DE LUCA

MICHELE PAPI

Note tecniche:1 - Il supporto in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione di 9x11 (ordito e trama).Per individuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di carbone biadesivo,su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering e osservati al micro-scopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono state eseguite dallaprof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimento di Scienzedella Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tecnologie perla Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Urbino “CarloBo”.2 - Le deformazioni della tela e degli strati pittorici sono state ridotte gradualmente concicli di umidificazione a UR 85% e trattamento sul tavolo caldo fino a un massimo di50°C, con pressione di ca. 250 mbar.3 - Plexisol all’8% in White spirit 4 - Il risanamento delle lacerazioni e delle mancanze è stato eseguito con la tecnica del“filo a filo”, impiegando come adesivo la miscela di Paraloid B72 ed Aquazol 200 (10%p/p), disciolta in acetone. 5 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto naturale in lino (tipo pattina) ad armaturatela apprettato con Plexisol P550 al 10% in acetone, e applicazione di Beva film OF.6 - La pulitura è stata effettuata con Trietannolammina TEA in emulsione cerosa, ovvero0,25 ml di TEA in10g di emulsione cerosa. L’aggiunta di TEA è avvenuta fino al tam-

ponamento del pH a 8 (tempo di contatto: 2 minuti circa a seconda dello stato di con-servazione). Lo sporco è stato rimosso a secco e con tamponi di ovatta imbevuti ditween 20 al 2% in acqua demineralizzata. Successivamente si è proceduto con l’aspor-tazione dei residui cerosi con etere di petrolio e tamponi di ovatta. 7 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton8 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.9 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 10 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da due parti di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois.11 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.12 - E’ stato impiegato il prodotto biocida Per-Xil 1013 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.14 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

Fig. 7. Particolare di una figura fra le fiamme dopo la reintegrazione pittorica

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Il dipinto, firmato e datato, rappresenta sulla sinistra Sant’Anna,al centro San Michele Arcangelo e sulla destra Santa Lucia.

La raffigurazione iconografica dei tre santi è quella tradizionale:Sant’Anna anziana, con il velo bianco e il libro, San Michele nel-l’atto di uccidere il demonio e Santa Lucia con gli occhi su uncalice e la palma del martirio ai piedi.Appare inusuale la compresenza nel dipinto di questi tre santi,benché tutti ugualmente cari alla devozione popolare. La raffi-gurazione di San Michele al centro della scena, può essere colle-gata alla tradizione armentizia del luogo, vista la vicinanza delpaese di Collepietro all’antico tratturo Regio, detto anche Trat-turo Magno, che collegava L’Aquila a Foggia. La transumanza,infatti, aveva inizio proprio il 29 settembre, giorno dedicato aSan Michele Arcangelo a cui i pastori si affidavano per essereprotetti dai morsi dei lupi e dei serpenti.L’opera presenta in basso a destra l’indicazione della data e delnome dell’autore “Conti (pinxi)t 1808”, permettendo l’attribu-zione certa a Vincenzo Conti, artista sulmonese che ha lasciatonumerose opere nelle chiese di Sulmona, dell’Aquila e delle zonelimitrofe. In particolare, il soggetto iconografico di San MicheleArcangelo che trafigge il Diavolo è raffigurato dal Conti anchein una tela posta nella Chiesa Santa Giusta a L’Aquila, riferi-mento dell’antico quarto anticamente titolato a San Giorgio. Sitratta di un’opera precedente alla nostra, datata 1800 e commis-sionata dall’influente famiglia dei Dragonetti de Torres. Accantoal San Michele, il Conti dipinge un’“Annunciazione” e un “Tobiae San Raffaele Arcangelo” che prendevano posto, prima delsisma del 6 aprile 2009, nella Cappella de Torres alla sinistra del-l’altare. A commissioni importanti si affiancano opere eseguitenelle chiese di paesi più piccoli come Picenze dove, nella Chiesadi San Martino dipinge un San Vincenzo Ferrer, o Pacentro, perla cui chiesa di San Marcello dipinge una Madonna in cielo conBambino e Santi. Sebbene Collepietro, paesino da cui proviene la nostra opera, siadi piccolissime dimensioni, ha testimonianze storiche antichis-sime. La chiesa di San Giovanni Battista fu costruita intorno al-l’anno Mille, e ristrutturata nel 1539. Presenta un bel portaletardo rinascimentale con monogramma bernardiniano ed è si-tuata nella parte antica del paese che conserva ancora oggi il fa-scino della cittadella medioevale con alcune caratteristichecase-torri.

ALESSANDRA GIANCOLA

BibliografiaBALASSONE, scheda OA n. 13/00090270, 1994.

«San Michele Arcangelo, Santa Lucia e Sant’Anna»1808VINCENZO CONTI (1775-1825)Dipinto a olio su tela, cm 195 x 143Collepietro (AQ), chiesa di San Giovanni Battista

Fig. 1. Opera prima del restauro

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Fig. 2. Telaio e supporto prima del restauro

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San Michele Arcangelo, Santa Lucia e Sant’Anna

Fig. 3. Particolare della veste di Santa Lucia durante la pulitura Fig. 4. Opera in luce radente

Il dipinto su tela è ancorato a un telaio ligneo rettangolare fisso,composto di quattro elementi uniti a tenone e mortasa del tipo

“a capitello”. L’opera è eseguita su un supporto in lino1 in un unicotelo. L’ancoraggio della tela al telaio è ottenuto tramite chiodi me-tallici lungo lo spessore, distanziati in maniera regolare l’uno dall’al-tro. Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di medio spessoredi colorazione rosso scuro costituita da gesso (probabilmente mi-schiato con colla) e pigmenti, mentre la pellicola pittorica è ottenutacon pigmenti legati con olio.Al centro del basamento dietro le figure delle due sante, è presenteun’iscrizione2 realizzata a pennello con il nome dell’autore e la datadi realizzazione. Il telaio versava in un discreto stato di conservazione, ma la tela pre-sentava un tensionamento mediocre, delle leggere deformazioninella parte inferiore e i segni dell’impressione dei regoli del telaio.Sul supporto tessile vi erano alcune piccole lacune sull’ala sinistradell’Angelo e sulla sua corazza e tre lacune di media grandezza conlacerazioni del tessuto in corrispondenza di Satana, risarcite con rat-toppature applicate dal retro. Sul verso del manufatto è stato riscon-trato un attacco biologico sotto forma di macchie biancastre3.

La pellicola pittorica e gli strati preparatori erano interessati dacrettature di origine meccanica e da essiccamento, nonché davaste aree con cadute di colore, localizzate soprattutto in corri-spondenza del bordo laterale sinistro. La superficie era copertada particellato atmosferico incoerente e da uno strato di finituravistosamente scurito e ingiallito. In corrispondenza dell’ala sini-stra dell’Angelo, sono state riscontrate delle sgocciolature scuree particolarmente resistenti.L’attacco biologico è stato rimosso con un biocida4 a spruzzo siasul recto sia sul verso. Le deformazioni della tela sono state risanateponendo il manufatto nel tavolo ad alta pressione, umidificandoil supporto tessile e apportando una leggera pressione5, mentreil ristabilimento dell’adesione dei materiali costitutivi al supportotessile è stato ottenuto mediante applicazione dal verso di pro-dotto consolidante in soluzione a pennello6. Le lacerazioni sono state risarcite con un intervento di incollag-gio puntuale dei fili per ricostituire l’unità strutturale del sup-porto7. Successivamente si è proceduto con la foderatura deibordi con applicazione di nuove fasce perimetrali8 fatte aderirealla tela originale con una resina sintetica termoplastica.Sul verso del manufatto sono stati rimossi i depositi coerenti e in-

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 5. Le lacune e le lacerazioni del supporto corrispondenza della figura di Satana prima e dopo l'intervento di restauro

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coerenti con pennellesse e morbide gomme, mentre sul rectol’asportazione degli strati soprammessi alla pellicola pittorica èavvenuta mediante un tensioattivo e con la successiva applica-zione a pennello sulla superficie dipinta di una miscela solventesupportata in emulsione cerosa9.La reintegrazione pittorica delle abrasioni e delle lacune di pic-cole dimensioni è stata eseguita a velatura con tecnica mimeticacon applicazione per stesure successive di colori ad acquarello10.La prima verniciatura del manufatto è stata effettuata a pennellocon resine sintetiche in soluzione11. Le lacune reintegrabili perlocalizzazione e per estensione sono state stuccate uno stuccoottenuto con gesso di Bologna e colla di coniglio, successiva-mente rasate e reintegrate a tratteggio, mentre la reintegrazionepittorica è stata conclusa con colori a vernice12. La protezionefinale superficiale del manufatto è stata ottenuta con l’applica-

zione a spruzzo di resine sintetiche in soluzione13. Il telaio è stato pulito, trattato contro l’attacco di insetti xilofagi14

e rifunzionalizzato, montando sul perimetro un bordo di scorri-mento in legno rivestito di teflon15. Nella luce del telaio originaleè stato fissato un controtelaio in legno di rovere, per rinforzarloe vincolare i meccanismi del sistema di tensionamento elastico.Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico attraverso le fascedi foderatura dei bordi in cui è stato alloggiato un tondino in ac-ciaio inox da 5 mm di diametro per distribuire omogeneamentesul perimetro la forza esercitata dalle molle16. La forza di tensio-namento scelta è di 1,5 N/cm17. Infine, si è proceduto con l’applicazione di una nuova cornice li-gnea.

DAPHNE DE LUCA

MICHELE PAPI

Note tecniche:1 - Il supporto in lino ad armatura tela (1:1) ha una riduzione piuttosto rada di 6x5. Perindividuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di carbone biadesivo, suparticolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering e osservati al micro-scopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono state eseguite dallaprof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimento di Scienzedella Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tecnologie perla Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Urbino “CarloBo”.2 - L’iscrizione “Conti. D. 1808” con ogni probabilità originale, è realizzata a pennellocon un pigmento marrone chiaro. 3 - Le analisi biologiche eseguite presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari del-l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, hanno confermato la presenza di miceti, inparticolare di Penicillium chrysogenum e Ulocladium cartharum. 4 - New Des 50 al 2% in acqua demineralizzata.5 - Le deformazioni della tela e degli strati pittorici sono state ridotte gradualmente concicli di umidificazione a UR 85% e trattamento sul tavolo caldo fino a un massimo di50°C, con pressione di ca. 250 mbar.6 - Plexisol all’8% in White spirit 7 - Il risanamento delle lacerazioni e delle mancanze è stato eseguito con la tecnica del“filo a filo”, impiegando come adesivo la miscela di Paraloid B72 ed Aquazol 200 (10%p/p), disciolta in acetone.

8 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto naturale in lino (tela pattina) ad armaturatela preventivamente apprettata con Plexisol P550 al 10% in acetone, e applicazione diBeva film OF.9 - La pulitura è stata eseguita con il Tween 20 al 2% in acqua demineralizzata e lo stratodi finitura alterato è stato asportato con una miscela sostitutiva all’impiego delle basi: n-butilacetato + 2ml TEA supportata in emulsione cerosa. I residui cerosi sono stati ri-mossi con tamponi di ovatta e etere di petrolio. 10 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton11 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.12 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 13 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da due parti di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois.14 - E’ stato impiegato il prodotto con Per-Xil 1015 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.16 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.17 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

San Michele Arcangelo, Santa Lucia e Sant’Anna

Fig. 6. Particolare di San Michele Arcangelo in fluorescenza UV

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Il dipinto è realizzato su supporto anomalo: un lenzuolo di co-tone imbibito forse di colla animale. Ascrivibile al secolo XIX, è

un esempio di pittura locale, destinata a essere inserita in una dellenicchie della chiesa; rappresenta Sant’Anna nell’atto di educareMaria alla lettura dei passi della Bibbia.Al centro della scena vi è la Vergine bambina, in abito bianco emantello azzurro scuro, che legge con atteggiamento devoto il libroche la madre Anna, sontuosamente abbigliata e di aspetto insolita-mente giovanile, tiene sulle ginocchia; a destra San Gioacchino,padre della Vergine, protende le mani in atteggiamento di preghieraverso il Padre Eterno benedicente. L’artista sceglie di rappresentarela scena in un ambiente chiuso, ricercato nelle citazioni architetto-niche: l’antica colonna di marmo grigio, inquadra lo spazio a sini-stra e sorregge il pesante drappeggio dorato che avvolge ipersonaggi; sulla destra, dietro una parasta si apre la finestra. LaVergine è seduta su una poltrona di velluto verde dalle rifiniture inoro. La composizione prospettica, sottolineata dalla luce soffusadelle aureole che si fonde con il cono luminoso dello Spirito Santo,tende a concentrare l’attenzione sulle due donne che troviamo con-centrate nella lettura dei testi. Sebbene la mano tradisca una perso-nalità artistica poco avvezza alle regole accademiche, l’opera risultamolto efficace nella resa narrativa. Proprio a questo proposito è in-teressante notare come tale tema sia, in Abruzzo, poco ricorrente,mentre trova ampia diffusione nella produzione di santini devo-zionali. L’educazione della Vergine nella sua dimensione quasi dome-stica e certamente familiare rappresenta un episodio caro allacultura popolare e ciò giustificherebbe questa particolare e insolitascelta iconografica per una pala d’altare. Tuttavia ciò potrebbe es-sere stato suggerito anche dalla temperie culturale post-unitaria chemirava ad attuare un massiccio processo di alfabetizzazione in ma-niera diffusa in tutto il territorio, cercando di raggiungere, con lacollaborazione delle autorità ecclesiastiche, ogni località. Ofena, nei decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo vive un mo-mento di forte espansione demografica; la particolare posizionegeografica del piccolo paese risultava strategica in virtù dell’anticarete viaria che attraversava la catena del Gran Sasso. La vicinanzacon Navelli, centro di eccellenza nel commercio dello zafferano econ Capestrano, importante centro monastico, hanno favorito cer-tamente lo sviluppo dell’ economia locale. Inoltre le condizioni cli-matiche rendevano la zona adatta alla coltivazione dell’ulivo e dellavite. Il declino e lo spopolamento avverrà successivamente, a par-tire dalla metà del Novecento.

ALESSANDRA GIANCOLA

BibliografiaBALASSONE, scheda OA n. 13/00184028, 1999.

«L’educazione della Vergine»XIX SECOLO

Dipinto a olio su tela, cm 117 x 175Ofena (AQ), chiesa di San Giovanni

Fig. 1. Opera prima del restauro

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Fig. 2. Particolare del volto della Vergine

Fig. 3. Particolare con corrugamento e caduta della pellicola pittorica in corrispondenza della veste di Sant’Anna

L’educazione della Vergine

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Fig. 4. Il telaio prima e dopo l’intervento di restauro

L’educazione della Vergine

Il dipinto su tela è ancorato a un telaio ligneo rettangolare fisso,composto di quattro elementi uniti a tenone e mortasa del tipo

“a capitello”. L’opera è eseguita su un supporto molto sottile in co-tone1 costituito da due teli verticali uniti a sopraggitto. L’ancoraggiodella tela al telaio è ottenuto tramite chiodi metallici lungo lo spes-sore, distanziati in maniera regolare l’uno dall’altro, e con incollag-gio della tela sui regoli.Lo stato preparatorio consiste in un’imprimitura di medio spessoredi colorazione bruna e la pellicola pittorica è ottenuta con pigmentilegati con olio.Sul verso del manufatto è stato riscontrato un attacco biologico dilieve entità2. La tela presentava un tensionamento debole, i segnidell’impressione dei regoli del telaio e alcuni tagli in corrispondenzadello sfondo dietro la Sant’Anna.La pellicola pittorica e gli strati preparatori erano interessati da cret-tature di origine meccanica e da essiccamento, nonché da cadute ecorrugamenti del colore localizzati in corrispondenza del panneg-gio verde scuro della Sant’Anna e del tendaggio alla sua sinistra. In-

fine, la superficie era coperta da particellato atmosferico coerentee incoerente. L’attacco biologico è stato rimosso con un biocida3 a spruzzo sulverso del manufatto. Le deformazioni della tela e degli strati pittoricisono state risanate umidificando il supporto e apportando una leg-gera pressione4, mentre il ristabilimento dell’adesione dei materialicostitutivi al supporto tessile è stato ottenuto mediante applicazionedal recto e dal verso di prodotto consolidante in soluzione a siringa ea pennello5. I tagli della tela sono stati risarciti con un intervento di incollaggiopuntuale dei fili per ricostituire l’unità strutturale del supporto6. Lelacune del tessuto sono state ricostruite con lo stesso principio, uti-lizzando fili di lino di titolo e torsione simili, tessuti nella lacuna se-guendo l’andamento dei fili interrotti. Successivamente si èproceduto con la foderatura dei bordi con applicazione di nuovefasce perimetrali7 fatte aderire alla tela originale con una resina sin-tetica termoplastica.I depositi coerenti e incoerenti presenti sul verso del manufatto sono

INTERVENTO DI RESTAURO

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Fig. 5. Particolare del taglio del supporto tessile prima e dopo l'intervento di restauro

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L’educazione della Vergine

stati rimossi con pennellesse, gomme Wishab e piccoli aspiratori,mentre sul recto è stata effettuata la rimozione del particellato me-diante pani di gomma e con un tensioattivo applicato a tampone8.La reintegrazione pittorica delle abrasioni e delle lacune di piccoledimensioni è stata eseguita a velatura con tecnica mimetica con ap-plicazione per stesure successive di colori ad acquarello9. La primaverniciatura del manufatto è stata effettuata a pennello con resinesintetiche in soluzione10. Le lacune reintegrabili per localizzazione eper estensione sono state stuccate uno stucco ottenuto con gesso diBologna e colla di coniglio, successivamente rasate e reintegrate atratteggio, mentre la reintegrazione pittorica è stata conclusa con co-lori a vernice11. La protezione finale superficiale del manufatto è stataottenuta con l’applicazione a spruzzo di resine sintetiche in solu-zione12.

Il telaio è stato pulito, consolidato, trattato contro l’attacco da agentixilofagi con prodotto biocida13 e successivamente rifunzionalizzato,montando sul perimetro un bordo di scorrimento in legno rivestitodi teflon e fissando nella luce del telaio originale un controtelaio inlegno di rovere, per rinforzarlo e vincolare i meccanismi del sistemadi tensionamento elastico14.Il dipinto è stato vincolato al sistema elastico attraverso le fasce difoderatura dei bordi in cui è stato alloggiato un tondino in acciaioinox da 5 mm di diametro per distribuire omogeneamente sul peri-metro la forza esercitata dalle molle15. La forza di tensionamentoscelta è di 1,4 N/cm16.Infine, si è proceduto con l’applicazione di una nuova cornice lignea.

DAPHNE DE LUCA

MICHELE PAPI

Note tecniche:1 - Il supporto in cotone ad armatura tela (1:1) ha una riduzione piuttosto fitta di 22x19(ordito e trama). Per individuarne la tipologia, i filati sono stati montati con scotch di car-bone biadesivo, su particolari supporti detti stubs, ricoperti d’oro mediante sputtering eosservati al microscopio elettronico a scansione SEM Philips 515. Le analisi sono stateeseguite dalla prof.ssa Elisabetta Falcieri e dalla dott.ssa Sabrina Burattini, Dipartimentodi Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA), Sezione Morfologia e Tec-nologie per la Salute, Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Ur-bino “Carlo Bo”.2 - Le analisi biologiche eseguite presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari del-l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, hanno confermato la presenza di miceti,in particolare di Penicillium chrysogenum e Ulocladium cartharum. 3 - New Des 50 al 2% in acqua demineralizzata.4 - Le deformazioni della tela sono state ridotte gradualmente con cicli di umidificazionea UR 85% e trattamento sul tavolo caldo fino a un massimo di 50°C, con pressione dica. 250 mbar. 5 - L’adesione delle parti sollevate del cretto è stata ristabilita dal davanti con infiltrazionilocalizzate di colla di storione al 5% e con applicazione dal verso di Plexisol all’8% inWhite spirit a pennello.6 - Il risarcimento filo a filo è stato ottenuto impiegando come adesivo una miscela diParaloid B72 e Aquazol 200 (10% p/p), disciolta in acetone. Per riaccostare i lembi dei

tagli è stato necessario metterli in leggera tensione con fili di nylon montati perpendi-colarmente alla lacerazione stessa e con un’umidificazione localizzata.7 - Lo strip-line è stato eseguito con tessuto poliestere Trevira CS ISPRA ad armaturatela e Beva film OF.8 - La pulitura è stata eseguita con le gomme Wishab e successivamente con il Tween20 al 2% in acqua demineralizzata.9 - Sono stai impiegati i colori ad acquarello Winsor&Newton10 - La prima verniciatura è stata effettuata applicando la vernice a base di resine acrilicheRetoucher sopraffine 1188 Lefranc&Bourgeois per la sua elevata elasticità.11 - I colori a vernice Maimeri sono stati diluiti in Paraloid B72 al 10% in Etil lattato. 12 - La protezione superficiale finale è stata ottenuta applicando una miscela di vernicicostituita da due parti di vernice finale Surfin 1186 e una parte di vernice matLefranc&Bourgeois.13 - E’ stato usato il prodotto Per-xil 10.14 - Il lavoro è stato eseguito dalla ditta Equilibrarte s.r.l. di Antonio Iaccarino Idelsone Carlo Serino.15 - Le molle sono realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico:8 N.16 - Pari a ca. 160 grammi per centimetro di perimetro del dipinto, cioè ca. 16 kg perogni metro.

Fig. 6. Particolare del volto di Sant’Anna in luce radente Fig. 7. Particolare della fibra di cotone – ingr. 200x

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Tra il secondo e il terzo decennio del XIX secolo l’agiografiameridionale conosceva un vero e proprio exploit: il culto alla

santa vergine Filomena, una misteriosa martire di origini greche,vissuta nei primi secoli del Cristianesimo, il cui sepolcro era statoscoperto casualmente nelle catacombe di Priscilla a Roma, a se-guito dei lavori di scavo e sistemazione patrocinati da papa PioVII nel 1802.Pochi anni dopo la scoperta delle reliquie, un sacerdote della dio-cesi di Nola, Francesco de Lucia, attraverso una rete di dipen-denze e autorevoli amicizie, in particolare con Bartolomeo deCesare vescovo di Potenza, riuscì a impossessarsi delle sacrespoglie. Con prontezza e abilità ne dispose il trasferimento inCampania e già il 10 agosto 1805 le poté collocare solennementein un fastoso sacrario realizzato presso la chiesa di santa Mariadelle Grazie a Mugnano del Cardinale (Av), dove svolgeva il suoministero pastorale.Animato da un entusiasmo quasi romantico, de Lucia diventacosì l’impresario ufficiale del nuovo culto a santa Filomena, ilcustode privilegiato della sua memoria. Quella che a molti potevasembrare una consueta forma di collezionismo cristiano direliquie, in realtà, si rivelò una straordinaria operazione medi-atico-religiosa che, per tutto l’Ottocento e per buona parte delsecolo seguente, fece della “tomba” della martire un punto focaledi religiosità per l’interno Mezzogiorno. In un’epoca che regis-trava una forte ripresa del fervore cristiano, il santuario di Mug-nano del Cardinale aggiornava la mappa dei loca sanctorum dove ifedeli potevano sperimentare attraverso segni concreti la miseri-cordia divina. Presso quel moderno martyrion si manifestava intutto il suo splendore la presenza e la potentia di un’antica testi-mone del messaggio evangelico annunciato e difeso fino all’ef-fusione del sangue: un modello di vita per i devoti e allo stessotempo il simbolo di un recupero dei valori del Cristianesimo delleorigini. Rapidamente dal territorio nolano e dall’Irpinia la venerazioneper la sconosciuta ma fidata martire Filomena si diffonde aNapoli per poi irradiarsi nelle altre province del Regno. Risalendoattraverso antichi percorsi tratturali, l’ondata devozionale attecchìcon grande successo anche negli Abruzzi grazie a un forte pro-tagonismo dei laici (soprattutto borghesi) e all’attivismo di alcunirami della grande famiglia francescana, in particolare Cappuccinie Osservanti Riformati, che si prodigarono per diffonderneculto, immagini e pratiche devozionali nelle rispettive provincereligiose. La popolarità e il prestigio della santa raggiunsero in breve temponotevoli proporzioni, amplificate peraltro dalla sua fama tau-maturgica manifestatasi con numerosi prodigi dispensati sul ter-ritorio dell’Aquilano (Capestrano, Collepietro, Celano, Aielli,Bussi e Popoli) ma anche a Teramo e a Chieti (Fara San Martino,Palena, Pizzoferrato): eventi miracolosi o presunti tali, puntual-mente registrati da de Lucia nella sua Relazione istorica dellatraslazione del sagro corpo e miracoli di S. Filomena Vergine e Martire

«Santa Filomena»POST 1831 Legno scolpito e dipinto, cm 162x82x66Bussi sul Tirino (PE), chiesa di San Biagio

Fig. 1. Opera prima del restauro

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da Roma a Mugnano del Cardinale, riedita a Benevento - dopo variaggiornamenti - nel 1834 per i tipi di Pietro Paolo Paternò. Tra i numerosi interventi soprannaturali avvenuti per interces-sione della santa, particolarmente interessante per lo studio delculto sul territorio, appare la salvezza di una puerpera a Bussi sulTirino, oggi in provincia di Pescara, il giorno di Natale del 1831.A seguito di complicazioni correlate a un parto particolarmentedifficile, una «gentildonna» della cittadina aveva dato alla luceuna bambina morta e lei stessa - forse a causa di un’emorragia -era in pericolo di vita. La provvidenziale azione della protettriceceleste, sollecitata attraverso preghiere e mediante il contatto conun’immaginetta devozionale, riesce a mettere in salvo la fedele ea risuscitare la neonata, battezzata in segno di protezione e ri-conoscimento con il nome di Filomena. Allo stato attuale degli studi non sappiamo se quell’evento stra-ordinario, che aveva destato «pubblico stupore» nella comunità,avesse avuto anche delle implicazioni di carattere figurativo.Esso, tuttavia, può essere ragionevolmente considerato terminuspost quem per la datazione della scultura che qui viene presentataper la prima volta. Questa ipotesi, d’altro canto, trova un’ulterioreconferma nella successiva data del 21 dicembre 1833, al-lorquando il Sant’Uffizio rilasciò il definitivo imprimatur allastampa delle “Rivelazioni” sulla vita della martire, ricevute dauna mistica napoletana, suor Maria Luisa di Gesù, al secolo MariaCarmela Ascione, fondatrice della Congregazione delle Suore diMaria SS. Addolorata. L’atto del tribunale ecclesiastico ri-conosceva per certi versi l’esistenza del culto e offriva un rinno-vato impulso alla sua propagazione in Italia e in Europa,soprattutto in Francia ad opera di Paolina Jaricot e di GiovanniMaria Vianney curato di Ars, poi santificato dalla Chiesa. Non ècerto casuale la circostanza che, proprio nel periodo immediata-mente successivo all’approvazione del Sant’Uffizio, questa de-

flagrante attenzione a santa Filomena si sia concretizzata nelladedicazione in tutto il Regno di cappelle e altari, nonché nellarealizzazione di stampe, sculture e dipinti con episodi tratti dallerivelazioni agiografiche.Proveniente dalla chiesa parrocchiale di San Biagio a Bussi, edi-ficata nel sec. XVI e gravemente danneggiata dal sisma dell’aprile2009, la pregevole scultura in legno dipinto raffigura la santa -secondo l’iconografia dedotta dalla visione di suor Maria Luisadi Gesù - come una dolce fanciulla rapita dall’estasi mistica nel-l’atto di mostrare ai fedeli gli strumenti del martirio: le frecced’argento a cui, probabilmente, in origine doveva accompagnarsianche un’ancora uncinata, oggi dispersa. La giovane martire in-dossa una tunica bianca con una sopraveste celeste bordata digiallo, stretta in vita da una cintura dorata ed è completamenteavvolta da un manto rosso, annodato ai fianchi, che copre lespalle e fascia il braccio destro, lasciando libero quello sinistro.La candida tunica, che sembra imitare una preziosa e impalpabileseta, è decorata con fiori distribuiti a bouquet di rose su un’intri-cata trama di girali vegetali mentre il mantello, picchettato da fio-rellini cruciformi, presenta una bordura con un motivo adarchetti e palmette dorati a missione.La sinuosa gestualità incline ancora a una certa teatralità, la leg-gerezza del volto e delle mani pregnanti di arcadica grazia, la sa-piente esecuzione dei panneggi e delle pieghe riconduconol’opera nell’ambito della produzione napoletana del terzo decen-nio del XIX secolo, profondamente agganciata alla tradizionetardo settecentesca tramandata da importanti botteghe che, congrande successo, perpetuavano fortunate forme rocaille talvoltaravvivate da elementi di gusto neoclassico.I caratteri partenopei, d’altra parte, sono stati messi in luce pro-prio dal recente restauro che ha reso ancora più evidenti le affinitàfisionomiche e di resa stilistica tra la scultura di Bussi e coeveopere napoletane come la Santa Filomena della chiesa di san Fran-cesco a Forio d’Ischia (Na), nonché le due statue in legno poli-cromo poste nelle chiese di san Pietro apostolo a Capaccio (Sa) edi san Giuseppe a Sala Consilina (Sa). Sorprendono, inoltre, leanalogie con la fluttuante Santa Filomena della parrocchiale di santaMaria Assunta al Cielo in Visciano (Na), caratterizzata da un in-cedere più sicuro ed elegante, che determina un agitato movi-mento delle vesti dalle fruscianti stoffe, nonché delle chiomeacconciate con una pettinatura ispirata alla moda dell’epoca.Rintracciare, però, l’anonimo maestro della santa Filomena abruz-zese risulta a tutt’oggi estremamente complesso sia per la scarsitàdi riscontri documentari sia per la mancanza di studi specifici daparte della critica che, soltanto in anni recenti, ha mostrato uninedito interesse alla produzione lignea napoletana del primo Ot-tocento. E’ auspicabile, quindi, che proprio l’elevata qualità delmanufatto, memore ancora della robusta lezione di GiuseppeSanmartino, possa sollevare in futuro ulteriori approfondimentiin grado di chiarire la questione che al momento rimane proble-maticamente aperta.

GIOVANNI VILLANO

BibliografiaCARRETTA, scheda OA n. 13/0064796, 1990

Fig. 2. Particolare della mano sinistra

Santa Filomena

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L’opera raffigurante Santa Filomena, è una scultura in legno po-licroma a tutto tondo. La figura stante rivolge lo sguardo verso

l’alto con espressione di devozione e rassegnazione al martirio; l’ac-conciatura con scriminatura centrale e il modellato a rilievo dei ca-pelli abbracciano la rotondità del capo, congiungendosi in un nodosulla nuca. La testa, le spalle e il torso sono orientati frontalmenterispetto alla posizione dei piedi, le braccia morbide si staccano eimprimono all’insieme la torsione che impreziosisce l’opera. Allamano destra, portata al petto, corrisponde il piede sinistro che so-stiene il peso del corpo. Ad essi fa da contrappunto la flessione deirimanenti arti: al braccio sinistro spostato in avanti corrisponde lagamba destra, con la punta del piede a sfiorare appena il suolo.La martire è riccamente vestita: il mantello bordato reca decorazionifloreali a quattro petali semplici, distribuite con esattezza sul mo-dellato e ricade morbidamente abbracciando la sopraveste. Questaè trattenuta in vita da una cinta che la increspa mentre segue la po-sizione delle braccia, con il risvolto di colore contrastante e si apresulla tunica con uno svolazzo; nella tunica è simulato un tessutoleggero, che cade fino a terra e accompagna il movimento dellegambe leggermente scostate e rivolte verso sinistra rispetto al bustoe dei piedi calzati “alla romana” che sporgono brevemente.A differenza delle vesti soprastanti, monocrome, con dorature chene illuminano le bordature e le pieghe, la tunica è decorata con rosee leggeri arabeschi in toni smorzati, realizzati a contrasto su fondochiaro. In questa opera l’intensità della policromia insieme all’accuratezzae solidità del modellato sono nell’intenzione dell’autore (o della bot-tega), che appare tecnicamente un valido esecutore di entrambe.Il piccolo basamento su cui poggia, di più recente fattura, la indicacome statua posta in una nicchia. L’essenza lignea utilizzata per ottenere gli effetti di movimento ericerca espressiva sopra descritti è stata riconosciuta all’analisi ma-croscopica confrontata con chiavi dicotomiche. Risulta esserepioppo (Popolus L.), materiale duttile, molto utilizzato per la sculturalignea grazie alla diffusa reperibilità ed alle caratteristiche meccani-che. L’asse centrale della statua ha un’altezza di 162 cm; la larghezza èdi 82 cm e come profondità massima si hanno 66 cm dalla puntadelle dita alla schiena; il basamento ha un’altezza di 19,5 cm, lar-ghezza di 82 cm e profondità di 59,5 cm.La statua è un insieme di almeno nove parti assemblate, il cui vo-lume è stato dapprima abbozzato grossolanamente e poi scolpitoe definito in opera; queste corrispondono alla testa, ad una por-zione centrale che comprende spalle, tronco e gambe, alle braccia,alle mani, alle zone laterali destra e sinistra delle vesti ed infine allazona centrale del retro del mantello. Non sono osservabili né i vin-coli che trattengono gli elementi più grandi né gli eventuali tasselliaggiunti con i quali sono stati realizzati pieghe ed zone più spor-genti. Viene trattenuta al basamento mediante incollaggio e anco-raggio puntuale, realizzato durante un intervento di manutenzionecon chiodi “alla traditora”. Non si osservano altri segni di lavora-zione del supporto.

L’effetto morbido e levigato del modellato è dovuto alla sapienteapplicazione dei materiali che costituiscono la preparazione allapolicromia. Questi partono dall’applicazione di tela sottile come impannatura,ad armatura tela di riduzione bassa, in corrispondenza delle com-mettiture degli elementi assemblati, fatta aderire con colla animalelungo le giunzioni delle porzioni di supporto ligneo, per trattenerleinsieme e ridurne il segno.L’ammanitura o strato immediatamente sottostante la policromia,è composto da inerte finemente macinato, molto chiaro, quasibianco e colla animale; la preparazione applicata liquida a pennelloin più strati, è stata levigata con abrasivi fino ad ottenere una su-perficie liscia, privilegiando con particolare cura le zone dell’incar-nato. La prima stesura pittorica è coprente e uniforme e viene applicatacome base; le velature non sottolineano il modellato ma aggiun-gono trasparenze dai colori accesi.È questo carattere vivace della tavolozza ad essere ripreso in ste-sure di ridipintura a corpo, non originale quindi, presenti sul mantoe sulla veste azzurra.La decorazione con fiori e tralci vegetali della veste è realizzata confoglia d’oro applicata a missione, punzonata lungo le bordaturedelle maniche e del colletto nonché lungo la cintura e il mantello. Il basamento, ha il piano orizzontale ripreso a finto marmo e unadoppia modanatura con doratura a bolo. Le specchiature presen-tano una stesura trasparente blu ad imitazione del lapislazuli ap-plicata su argentatura a foglia. Il legno di tutte le specie di pioppo ha struttura a densità relativa-mente bassa e diffusa porosità.  Nasce con un elevato contenutodi umidità, con piccole differenze tra alburno e durame; le sue flut-tuazioni stagionali di accrescimento hanno valori estivi  legger-mente inferiori rispetto ai valori invernali.La composizione volumetrica di questa essenza è dominata dallarelativamente alta percentuale di fibre (53-60%), seguiti da elementidei vasi (28-34%) e infine dalle cellule parenchimatiche; ciò deter-mina la bassa densità del legname, caratteristica che lo rende ot-timo per l’esecuzione di sculture a tutto tondo con particolari inaggetto, ma determina anche l’alta percentuale di restringimentodella struttura in fase di essiccazione e la sensibilità alle variazionitermoigrometriche.Condizione comune a molte delle statue lignee conservate negliedifici di culto, l’opera è stata esposta a condizioni di clima noncontrollato. Si presuppone la collocazione prolungata in luogoumido; erano visibili tracce di assorbimento d’acqua ormaiasciutte. Grazie alla ottima tecnica d’esecuzione, i danni da rigonfiamentoe conseguente essiccazione con variazione volumetrica delle fibredel pioppo sono stati limitati. Lo spesso e compatto strato di pre-parazione ha limitato fortemente lo scambio termoigrometrico dellegno con l’ambiente. Erano presenti fessurazioni e distacchi par-ziali di alcune giunzioni degli aggetti in particolare lungo i polsi eil retro del manto.

INTERVENTO DI RESTAURO

Santa Filomena

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Fig. 3. Fronte dell’opera in fluorescenza. Fig. 4. Il retro della statua restaurato

La composizione chimica del pioppo è caratterizzata da un’elevatapercentuale di poli-saccaridi e basso contenuto di lignina; l’attacco daparte di insetti xilofagi si è esteso in particolare all’interno delle zonericavate da legno primaverile, indebolendole e manifestato con diffusifori di sfarfallamento. Alla base della veste erano presenti residui dicolonie fungine non più vitali.Si possono ipotizzare problemi legati all’emergenza causata dal sisma,anche se non gravi. La mano sinistra risultava mancante di due dita(medio e mignolo) e l’anulare era separato dalla mano. Mancano gliattributi in corrispondenza dei perni scoperti sul capo e sulla base.Tracce di combustione superficiali erano dovute alle manifestazionidi devozione alla Santa. In generale, la statua sembrava aver sofferto della movimentazione odi un’incidentale urto; la scultura presentava numerose lacune e difettidi adesione degli stati di preparatori, infragiliti e distaccati nelle zonepiù esterne. Si notavano diffuse lacune e abrasioni, crettature su alcune zone delpanneggio rosso e sui verdi e chiari (tunica e incarnati). Nella zona in-feriore in corrispondenza delle cavità del panneggio e del piede sinistroerano evidenti macchie e gore dovute all’umidità. Il basamento pre-sentava dei depositi coerenti di cera e un annerimento prodotto dadepositi incoerenti.Dopo un’iniziale rimozione meccanica dei depositi incoerenti me-diante pennellesse morbide e aspiratore ove possibile, è stato neces-sario ristabilire l’adesione tra supporto e strati preparatori.In corrispondenza delle lacune e delle sconnessure, dove si palesavano

sollevamenti e scaglie mobili ma rigide, è stata veicolata emulsione inacqua di resina acrilica.La ricostruzione delle dita mancanti della mano destra con resina èstata decisa per ricostituire unità al modellato, altrimenti integro e frui-bile nella sua buona conservazione. Il dito staccato è stato facilmentericollocato e fatto aderire, sostenuto internamente con un corto per-netto in ottone. L’operazione di rimozione delle ridipinture è stataprogrammata dopo aver effettuato alcuni tasselli di prova e aver ac-certato che la pellicola pittorica sottostate era integra. È stata eseguita una pulitura differenziata in base ai materiali sopram-messi da rimuovere ed alla loro compatibilità con il film originale (pig-menti, foglia d’oro, lacca, mecca). Lo strato superficiale di depositiaderenti e le ridipinture localizzate sono stati rimossi con solventi po-lari addensati in gel; le zone sensibili alle miscele polari sono state trat-tate con emulsioni di solventi apolari.Le lacune degli strati preparatori sono state risarcite con impasti a basedi fibre di legno e resina vinilica per ricostituire gli spessori maggiorie con gesso di Bologna e colla animale come supporto alla reintegra-zione del film pittorico. Le lacune di pellicola pittorica, di modeste di-mensioni, sono state mimeticamente trattate a tono. La protezionesuperficiale è affidata a vernici acriliche di finitura semi-mat. La disin-festazione da insetti xilofagi per anossia è stata effettuata in conclu-sione dell’ intervento.

FRANCESCA MARIANI

ARABELLA BERTELLI DE ANGELIS

CRISTINA CALDI

Santa Filomena

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“Dopo il meraviglioso orologio a ruota inventato nel 1344 da Jacopo DondiPadovano, detto poi dell’orologio, pochi anni dopo la morte di Jacopo vivente

il di lui figlio Giovanni, e propriamente nel 1375 fu posto su la nostra torrequesto orologio…” Così viene descritta dal Leosini la collocazione delprimo orologio da torre aquilano voluto dal capitano dell’AquilaTommaso degli Obizzi (?- 1408) che “..ne ornò la torre del Comune, ilquale vi spese mille trecento fiorini”[Leosini,p.107] L’0rologio, nel suo fun-zionamento, celebrò la storia della fondazione della città. Infatti“Fuvvi ab antico, e v’è ancora la popolar tradizione che 99 castella convenisserod’edificar questa Città: onde a perpetua memoria di questo fatto si dice essersierette 99 Chiese, fatte 99 piazze, 99 fontane, e sin l’orologio, pubblico regolatocosì che ogni sera alle due ore scocchi 99 volte” [Leosini,p.107]. E’ su questaimportante radice storica che si inserisce l’orologio meccanico datorre, ubicato nella camera campanaria della chiesa parrocchiale di

Villa S. Lucia degli Abruzzi. Datato1915, è stato sapientemente eseguito daAugusto Fontana, figlio di Cesare ilquale, nel 1870 fondò l’omonima ditta.Originario di Appiano, Cesare Fontanasi recò nel 1860 a Ginevra per “perfezio-narsi nell’arte”, per poi andare a Milanodove fondò all’angolo di Via Solferinoe Via Ancona, una prima fabbrica diorologi da torre. Successivamente, nel1873, trasferì l’attività di molto am-pliata, ad Appiano costruendo moltis-simi orologi fra cui quello della torre diSan Vittore a Varese, premiato con lamedaglia d’argento all’ EsposizioneNazionale di Milano del 1881. Già allafine dell’Ottocento fino agli anni trentadel XX secolo, la Ditta aveva una sededi rappresentanza ed uffici in Via Cu-sani 9 al centro di Milano, mentre le of-ficine si trovavano, come già detto adAppiano Gentile, in provincia di Como.Le caratteristiche tecnologiche unitealla raffinatezza esecutiva contraddi-

stinsero la Ditta Fontana, che basò la sua scelta progettuale, mec-canica e strutturale, sui modelli realizzati nella produzionefranco-svizzera, a telaio orizzontale, ed in particolare ispirandosi aquelli costruiti da Odobey a Morez, nel Giura francese. Queste pe-culiarità permisero all’atelier Fontana di produrre orologi anche perla Svizzera, la Francia e l’ America. Fra le numerose realizzazionicitiamo l’orologio per la Chiesa di S. Stefano ad Appiano nel 1878,quello per il Duomo di Pistoia del 1905 e un esemplare a carillon

«Orologio meccanico da torre»1915 (PUNZONATO SULL’ETICHETTA FISSATA ALLA PARTE ANTERIORE DX DEL TELAIO)Firma: “Premiata Fabbrica orologi - Anno di fondazione 1870 - Ditta Cesare Fontana delFiglio Augusto Fontana-Milano-1915” (punzonato sull’etichetta fissata alla parte anteriore dx del telaio)Ferro verniciato grigio, ottone, acciaio, ghisa, alluminio, legno di rovere, legno di noce laccatoVilla Santa Lucia degli Abruzzi (AQ), Chiesa di Santa Lucia Vergine Martire (Torre Civica)

Fig. 1. Orologio in camera campanaria prima del restauro

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che fu installato nella Torre del Filarete del Castello Sforzesco diMilano. Particolare menzione merita un orologio a quattro trenicompleto di meridiana, cioè della particolare suoneria che permet-teva l’esecuzione di motivi musicali prefissati in corrispondenza diore programmabili, (l’alba ad esempio) e che fu premiato all’Espo-sizione Mondiale di Melbourne del 1880. L’attività della Ditta Fon-tana si esaurì, secondo le fonti documentali, con la Seconda Guerramondiale. Anche l’orologio da torre della chiesa parrocchiale diVilla Santa Lucia degli Abruzzi è un esemplare a quattro treni,frutto dell’evoluzione tecnologica che dagli orologi solari ha gene-rato, attraverso l’applicazione delle conoscenze scientifico-mate-matiche, l’orologeria meccanica. L’esistenza di complessi orologiidraulici a portata costante, destinati a piazze e palazzi ci è perve-nuta grazie alle descrizioni di Vitruvio, contenute nel IX libro delDe Architectura dove l’ingegnere e architetto romano, documentan-done le particolarità costruttive, ne attribuisce la paternità al grandemeccanico ellenistico Ctesibio, vissuto nel III secolo a.C. Orologiidraulici, posti in luoghi di pubblica visione, venivano realizzatianche in epoca tardo medievale. Le epoche che seguirono furonocontrassegnate dalla decadenza delle città e della cultura in generaleche decretarono la distruzione di molti esemplari di questi straor-dinari manufatti. Le conoscenze ellenistiche vennero in parte con-servate grazie alla cultura bizantina che le trasmise poi all’Islam.Durante il Medioevo, ciò che restava del sapere antico, venne tra-mandato nei monasteri dapprima sotto la regola di San Benedettoed in seguito tramite la nascita di altri Ordini. La vita dei monacidoveva e voleva essere lo specchio dell’ordine impartito dal Crea-tore, il “Cosmo” in opposizione al “Caos”del mondo esterno. Eccola necessità del monastero di scandire le azioni quotidiane attra-verso la presenza di un orologio, necessità eloquentemente descrittada Roberto di Molesme fondatore dell’Ordine Cistercense. Inoltre,fondamentale era la figura del monaco temperatore, cioè di colui

che si occupava della messa all’ora e della manutenzione dell’oro-logio, mansioni minuziosamente descritte nel Liber consetudinum.Siamo nel XIII secolo e quindi in presenza ancora di orologi idrau-lici che cominciano però ad avere congegni sempre più complessi,opera di tecnici e frutto di progettazione. L’unità linguistica offertadal latino, favorisce, nel tardo Medioevo, l’ampia divulgazione dellecaratteristiche tecnologiche e quindi costruttive di questi orologi.Alla fine del XIII secolo, comparvero gli orologi pubblici mecca-nici, grazie alla nascita in Italia dei liberi Comuni e delle città mer-cantili in tutta Europa. Il tempo infatti non era più collegato alleattività agricole, legato quindi alle ore di luce, ma doveva scandire,un tempo artificiale che regolamentava, scambi e commerci. L’oro-logio pubblico divenne simbolo di prestigio per la città. Basato sulfunzionamento di ruote dentate, trasmetteva alle lancette un’infor-mazione posizionale atta a garantire la precisione dell’indicazioneoraria e delle azioni che da essa dipendevano, come lo svincolodelle suonerie o le letture accessorie. Questi orologi trecenteschi,azionati da pesi erano realizzati in ferro forgiato. Ogni ruota e ognisingolo dente di ingranaggio venivano eseguiti a mano, tirati a limaed aggiustati con sapiente pazienza. Il dispositivo che determinavail controllo del rilascio dell’energia che scaturiva dalla caduta deipesi era lo scappamento a verga e palette. Questo sistema rimase,utilizzato nell’orologeria di grandi dimensioni, sino all’avvento delpendolo, la cui legge del moto fu scoperta da Galileo, ma definitamatematicamente in modo rigoroso da Christiann Huygens nel1673. Il pendolo costituì una vera rivoluzione in termini di preci-sione dell’indicazione oraria. Nel tempo alle ruote dentate realizzatein ferro vennero sostituite quelle in ottone eseguite, a partire dalXVII secolo, con l’uso di macchine per dividere e di frese per il ta-glio dei denti. Nel XIX secolo, l’uso delle fusioni di ghisa apporta-rono una effettiva innovazione nella esecuzione dei telai.

DESCRIZIONE

L’orologio meccanico da torre di Villa Santa Lucia degli Abruzzi èun esemplare a quattro treni , formato dal treno del tempo e daltreno della suoneria che regolano rispettivamente lo scorrere deltempo che viene indicato, attraverso una lancetta su un quadrantee l’attivazione periodica di una suoneria, in una duplice funzione,quella di indicare le ore, e le frazioni di esse con rintocchi corretta-mente cadenzati e batterne inoltre un numero corrispondente al-l’ora segnata dalla lancetta sul quadrante. La struttura portante è ditipo orizzontale. I telai sono in fusione di ghisa a doppia torrettadi sostegno a forma di lira, mentre i lati lunghi del telaio, sono ot-tenuti da profilati. Su quello anteriore è fissata la targhetta di ottoneverniciata di nero arrecante la firma “Premiata Fabbrica orologi-Annodi fondazione 1870-Ditta Cesare Fontana del Figlio Augusto Fontana-Mi-lano-1915”. Il fissaggio è assicurato da viti e grandi dadi esagonali.Il movimento è a quattro treni affiancati, con carica a pesi di ghisa,agganciati a funi di acciaio avvolte sulla parte centrale dei tamburiin ferro, le cui ruote sono costituite da ottone e ghisa. I pignonisono ad ali. Il regolatore a pendolo è caratterizzato da sospensionea lama e accoppiamento a occhiello, lo scappamento è del tipo achevilles ortogonale. La suoneria è a dodici, con rimbotta ad ore equarti, su due campane ottenuta con chiocciola e rastrello. Il mo-vimento è ulteriormente regolato dalla presenza di tre ventole a

Fig. 2. Particolare del quadrante in ceramica prima del restauro

Orologio meccanico da torre

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Orologio meccanico da torre

Prima di iniziare l’intervento di restauro, si è analizzato il me-todo e la sequenza di smontaggio delle varie parti del mecca-

nismo e dei relativi telai. Il restauro si è basato su un interventomirato per ogni singolo materiale costitutivo che ha previsto, perle parti metalliche le seguenti fasi: pulitura meccanica e/o chi-mica,trattamento di lavaggio, trattamento di stabilizzazione, even-tuale trattamento di consolidamento, trattamento di protezionesuperficiale. Per effettuare lo smontaggio dei vari blocchi costi-tuenti l’orologio, è stato necessario rimuovere dalle varie compo-nenti il grasso che si era insinuato nel tempo all’interno dei dadi,dei bulloni, delle boccole e delle varie viti con ripetute applica-zioni di impacchi di etere di petrolio,asportando di volta in voltaattraverso l’ausilio di bisturi e specillo il grasso residuo. Effet-tuando dei saggi di pulitura, sulla doppia torretta di sostegno aforma di lira, costituita di ghisa, si è rilevato che era stata impie-gata probabilmente a fini protettivi una vernice di colore nero,che formava uno strato ispessito, che a tratti appariva rigonfiatoe quindi decoeso dal supporto. Dalle fonti documentali fotogra-fiche, riguardanti le tecniche esecutive della Ditta Fontana-Milano,si è potuto accertare che essa, non apparteneva alle caratteristicheesecutive e tecnologiche adottate dalla Casa Costruttrice, tesi con-fermata dalla presenza sotto un dado esagonale della parte supe-riore della torretta, di una vernice originale di colore grigio. Dopo

aver effettuato una analisi FT IR (analisi a spettroscopia infrarossaa trasformata di Fourier) della vernice nera che ha rilevato la suacomposizione acrilica si è provveduto a rimuoverla dalle varie partiutilizzando del dimetilsolfossido supportato in laponite, applicatoa pennello, e facilitando la rimozione con l’ausilio di bisturi; la pu-litura è stata ultimata applicando dell’etere di petrolio a tampon-cini. Successivamente si è eseguito il trattamento di stabilizzazioneeffettuato con continui sciacqui di acqua deionizzata; operazioneseguita dal trattamento di essiccazione con acetone applicato contamponcini. Per la seconda torretta sempre di ghisa, che non pre-sentava residui di una impropria verniciatura, si è proceduto ri-muovendo il grasso e la polvere con l’applicazione di etere dipetrolio, eliminando i residui con il bisturi. Dopo aver eseguito iltrattamento di stabilizzazione si è proceduto all’applicazione, sullaparte superiore, di un impacco di acido citrico al 3% per un tempodi un’ ora, per estrarre gli ossidi presenti. Successivamente si è ri-petuto il trattamento di stabilizzazione con acqua deionizzata acui è seguito il trattamento si essicazione con acetone. La ghisa i,ha rivelato alcune zone che necessitano di consolidamento che èstato eseguito con Paraloid B48 N specifico per questa lega ferro-carbonio. E’ stata effettuata un’analisi FT-IR sulla vernice grigiaoriginale che è risultata essere una vernice sintetica a base polie-stere. Si è provveduto quindi a ripristinare la verniciatura, utiliz-

INTERVENTO DI RESTAURO

pale esterne. Sulla parte anteriore, si trova il quadratino di regola-zione di ferro e ottone, il cui quadrante è di ferro ricoperto di ce-ramica bianca, riportante le ore da 1 a 12 in cifre romane di colorenero,con indicazione per i minuti. Sul quadrante spicca la dicitura“Cesare – Fontana - Milano” visibile anche sulle fusioni lateralidelle traverse.

STATO DI CONSERVAZIONE

Dall’orologio, ubicato nella camera campanaria è stato preventi-vamente smontato il telaio a doppia torretta, insieme al quadra-tino in ceramica, alle tre ventole e all’albero di trasmissioneposteriore, per favorirne il passaggio attraverso la cella di scorri-mento dei pesi. Successivamente una volta in laboratorio, si è pro-ceduto ad analizzarne lo stato di conservazione che è statodettagliatamente documentato fotograficamente. L’orologio, nonfunzionante, si presentava completo in ogni sua parte, ma in cat-tivo stato di conservazione. Tutti i tamburi e le ruote erano inte-ressati da un importante ispessimento dei prodotti di corrosione,con zone caratterizzate da ossidi ferrosi ispessiti riguardante leparti costituite di ferro. Il grasso continuamente sovra messo, peragevolare lo scorrimento dei meccanismi, aveva formato unospessore che ha inglobato nel tempo polvere e sporco che hanno

compromesso anche, il giusto scorrimento degli ingranaggi. Tuttele parti in fusione di ghisa erano caratterizzate da grasso aggre-gato a polvere. L’asse di legno di rovere, nella cui estremità inferiore è inserito ildisco di ghisa del pendolo, evidenziava lievi fessurazioni, sporcocoeso ed una alterazione della cromia e della laccatura che lo ri-copriva. Anche la manopola di legno di noce, posta inferiormenteal braccio di ferro ad elle, provvisto di boccola per azionare lacarica, evidenziava i medesimi degradi dell’asse ligneo del pen-dolo. Impropri fili di ferro agganciati ai rotismi corrispondentil’azionamento delle campanelle che scandiscono le ore, ricopri-vano l’orologio, ed erano sganciati. Il piccolo orologio,di ceramica ubicato nella parte antistante ilmeccanismo, si presentava integro, ma ricoperto di polvere,quest’ultima sommata al grasso e residui di vernice da muro, in-teressava anche i contrappesi che regolano il meccanismo scor-rendo in un apposito corridoio verticale posto a sinistra delmeccanismo.

RAFFAELLA MAROTTI

BibliografiaLEOSINI 1848; ADDOMINE – PONS 2009.

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Orologio meccanico da torre

Fig. 3. Parte centrale prima del restauro

Fig. 4. Parti centrali dopo il restauro e il montaggio

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Orologio meccanico da torre

zando delle vernici della medesima composizione, miscelate alfine di ottenere la cromia appropriata. Infine, vista la colloca-zione finale dell’orologio, che prevede un ambiente caratterizzatoda umidità, si è scelto di proteggere ulteriormente le parti appli-cando, a pennello, della paraffina in etere di petrolio. Anche sullaghisa costituente una parte dei tamburi del tempo e della suone-ria, si è intervenuti con lo stesso metodo, utilizzando però comeprotettivo della cera microcristallina. I pesi di ghisa erano inte-ressati da una diffusa formazione inspessita e profonda di ossidiferrosi che sono stati rimossi con una soluzione a tampone adimmersione per 48 ore. I residui sono stati eliminati con una pu-litura meccanica, attraverso idonei spazzolini. Successivamentesi è provveduto ad effettuare il trattamento di stabilizzazione conripetuti sciacqui di acqua deionizzata, per poi procedere con l’ap-plicazione a pennello di un convertitore di ruggine. Da tutte leparti di ottone è stato asportato il grasso con applicazione dietere di petrolio attraverso piccoli tamponi costituiti da lana d’ac-ciaio fine ricoperta di cotone per evitare di graffiare la superficiedella lega. Successivamente, si è utilizzata una miscela di carbo-nato di calcio (granulometria idonea) ed etere di petrolio appli-cate sempre a tampone per rimuovere selettivamente, soprattuttonegli ingranaggi il grasso residuo. In alcune parti è stato neces-sario intervenire con un tensioattivo specifico, per ultimare ladifficile rimozione del grasso. Da questo intervento è emersa, inalcune zone, la presenza di pitting che è stato trattato, dopo averrisciacquato le parti con acqua deionizzata, attraverso l’applica-zione di BTA. Il trattamento di protezione è stato effettuato se-lettivamente: si è utilizzato incralac sulle superfici dei meccanismie le restanti superfici, al fine di assicurare un’idonea protezionealle escursioni termo igrometriche, mentre le dentellature sono

state trattate con cera microcristallina, per garantirne lo scorri-mento. Le parti di ferro di piccola dimensione sono state immesse in unbagno di etere di petrolio per rimuovere grasso polvere in essoinglobata, mentre la parti di dimensioni maggiori sono state trat-tate applicando l’etere di petrolio con tamponi di lana d’acciaioricoperta di cotone. Successivamente dopo aver effettuato sciac-qui con acqua deionizzata, sulle zone interessate da presenza diossidi ferrosi ispessiti si è utilizzata una soluzione disgreganteper assicurarne la definitiva rimozione. Si è ultimato il tratta-mento di pulitura con un tensioattivo specifico. Dopo aver sta-bilizzato le parti si è proceduto al trattamento di essicazione conacetone, seguito da quello di protezione effettuato con ParaloidB72, per ciò che riguarda le superfici; diversamente per assicu-rare, l’idoneo scorrimento delle dentellature si è utilizzata ceramicrocristallina. Sui profilati del telaio si è intervenuti dopo unaaccurata rimozione meccanica dei prodotti di corrosione misti agrasso, con impacchi di acido citrico al 3%, che hanno estrattogli ossidi diffusamente presenti. Dopo aver risciacquato le partied aver applicato un convertitore di ruggine, si è ripristinata laverniciatura, rispettando la composizione e la cromia originaria.L’asse di legno di rovere del pendolo è stato trattato con un ten-sioattivo specifico, per poi essere consolidato con Paraloid B72,che ha anche la funzione di protezione. L’impugnatura della ma-novella atta alla carica dell’orologio, di legno di noce, è stata trat-tata con un tensioattivo specifico per il trattamento di pulitura,di seguito sono state opportunamente risarcite le fessurazioni,per poi ripristinare la cromia originaria e la laccatura. Si è infineproceduto al rimontaggio dell’orologio.

RAFFAELLA MAROTTI

Fig. 5. Particolare dell’orologio con quadratino orario, dopo il restauro

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Per l’Oratorio di S. Rocco l’obiettivo era di programmare un in-tervento di restauro delle pitture murali che ne decorano le pa-

reti, come cantiere didattico, dopo i necessari interventi allefondazioni e alle coperture tutt’ora in fase di studio e di verifica daparte dell’Università dell’Aquila. Una esperienza didattica deve fornire l’occasione agli studenti di ap-profondire le loro conoscenze teoriche con un caso pratico che offrala possibilità di esercitare tutte le fasi di intervento di restauro: puli-tura, consolidamento delle malte, fissaggio della pellicola pittorica,reintegrazione delle lacune con stuccature e ritocco pittorico. Sottoquesto profilo l’Oratorio di San Rocco appare un’ottima possibilitàper un’interessante prova diretta su manufatti originali e lo spaziolimitato ne garantisce tempi controllati di esecuzione, oltre che lapiena interazione dei componenti nel gruppo. Le ricche decorazioniin stucco che arricchiscono l’ornato della cappella, non sarannoprese in considerazione in questo contesto, ma potranno essere oc-casione di ulteriore cantiere per gli insegnamenti del corso di re-stauro specifico.

Le superfici dell’Oratorio eranooriginariamente tutte dipinte:allo stato attuale l’ingressodell’unico ambiente diviso indue porzioni da un arco, haperso completamente la pitturadi cui restano alcuni lacerti dicolore, ed è stato completa-mente scialbato.Nella zona dell’abside con l’al-tare restano invece leggibili lepitture murali, seppure moltodanneggiate nelle zone piùbasse: risulta evidente che l’at-tuale collocazione della piccolacostruzione al di sotto del-l’adiacente strada, è una dellefonti dei suoi problemi conser-vativi, poichè la parete destra,che resta interrata per circa lametà della sua altezza, è impre-gnata d’acqua e segue pertanto

i cicli di imbibizione ed asciugatura con conseguente circolazionedei sali solubili. Questi cristallizzando in superficie o sub superfi-cialmente, in fase anidra, provocano la rottura dei capillari nella po-rosità della malta, favorendo un sempre maggiore ingresso di acquaricca di sali, innescando il noto fenomeno di disgregazione dellemalte e polverizzazione del colore, che si autoalimenta accrescendoprogressivamente il degrado nel tempo.Il piccolo Oratorio risulta inoltre danneggiato per la parte statica,dal recente sisma del 6 aprile 2009 ed al momento della visita ne-cessitava ancora di lavori di verifica e consolidamento strutturaleanche del tetto, da cui è ulteriormente favorito l’ingresso di infiltra-zioni d’acqua.

«Dipinti murali raffiguranti la vita di San Francesco»SANTO STEFANO DI SESSANIO, ORATORIO DI SAN ROCCO

Progetto di restauro delle pitture murali

Fig. 1. Volta dipinta

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Fig. 2. Vista dell' Oratorio dall'esterno

Dipinti murali raffiguranti la vita di San Francesco

Fig. 3. Particolare della volta

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Dipinti murali raffiguranti la vita di San Francesco

Ogni intervento di restauro può effettuarsi solo dopo che sia stataindividuata e rimossa la causa del degrado strutturale, altrimenti inbreve tempo, i risultati ottenuti vengono vanificati, ed il tentativodi risanamento, grazie ai materiali aggiunti dal restauro stesso, in-nesca ulteriori problemi con un danno conseguente, che può essereaddirittura maggiore di quanto non fosse prima dell’intervento.A tal fine prima di procedere col cantiere didattico si è avanzata larichiesta, oltre che di mettere in sicurezza la statica dell’architettura,di provvedere ai lavori di sbancamento della terra addossata allaparete destra e ripristino del marciapiede, oltre che una generale re-visione del deflusso, raccolta e scarico delle acque pluviali. Il re-stauro dovrebbe effettuarsi solo dopo la realizzazione dei lavoripreliminari ed inoltre, dopo un congruo periodo di asciugatura dellepareti e dell’ambiente.

STATO DI CONSERVAZIONE

Al momento i dipinti sulle due pareti, la volta e l’arco, presentanolacune della pellicola pittorica, diffusi sbiancamenti da sali superfi-ciali e depositi di particellato fissato da fenomeni di condensa su-perficiale. Si individua inoltre un eccesso di saturazione dei colori- indicativi della presenza di umidità di risalita, distacchi degli into-naci - verificati con risposta acustica di vuoto dopo sollecitazionemeccanica da percussione manuale.

FASE PROGETTUALE D’INTERVENTO

Risanati i problemi strutturali, il cantiere didattico potrebbe rea-lizzarsi in due fasi:· Cantiere didattico di documentazione, intervento d’urgenza diconsolidamento e prove di pulitura· Cantiere didattico di restauroNella prima fase da realizzarsi anche prima dell’esecuzione dei la-vori volti al risanamento dall’umidità da effettuarsi all’intorno del-l’architettura, si avrebbe modo di registrare la situazione tal qualedella pittura, ed intervenire con operazioni d’urgenza per ripristi-nare la tenuta degli intonaci e fissare la pellicola pittorica. Prelimi-nare al cantiere didattico di documentazione e propedeutico allasua realizzazione sarà la documentazione fotografica e la creazionedella base grafica, sulla quale in cantiere verranno poi mappate letavole tematiche dello stato di conservazione con la fenomenologiadel degrado, la tecnica d’esecuzione e l’intervento di restauro, dariportare in seguito in formato digitale.Durante questa prima fase quindi si potrebbero realizzare la docu-mentazione grafica dello stato di conservazione, l’analisi e la indi-viduazione della tecnica di esecuzione. In base a questa raccoltadati si potrebbero realizzare gli interventi d’urgenza per il consoli-damento dei distacchi degli intonaci dalla struttura portante e dellapellicola pittorica su tutta la superficie dipinta ed inoltre alcuneprove di pulitura.Durante questa prima fase si potrebbe quindi mettere a puntoquanto più idoneo al contesto pittorico e all’ambiente di conserva-zione, una volta risanata la causa del degrado.Questo cantiere conoscitivo, permetterebbe in pratica di progettareil successivo intervento da realizzarsi nella seconda fase, da metterein atto solo dopo il risanamento architettonico. Sarebbero effettuatesu tutte le superfici le necessarie operazioni di pulitura, verifica delleFig. 4. Particolare dell’arco sul lato destro dall’ingresso

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precedenti fasi di consolidamento e fissaggio della pellicola pittoricaed eventuale ripresa e completamento di queste, stuccature e ri-tocco pittorico con tecnica a tratteggio delle lacune e velature delleabrasioni. Questa seconda fase si occuperebbe di risanare quinditutto il ciclo pittorico riportando i dettagli delle operazioni sulladocumentazione grafica con la tavola degli interventi di restauro.

PROPOSTA DI GRUPPO DI LAVORO IN CANTIERE

Questi cantieri prevederanno la presenza in cantiere di un gruppo

docente in proporzione agli allievi che utilmente potranno ope-rare:un restauratore docente, un restauratore assistente, 8/10 allieviper il cantiere di documentazione e prove, della durata di 2 set-timane (da considerare a parte la fase di documentazione foto-grafica e la realizzazione della base grafica);un restauratore docente, un restauratore assistente, 8/10 allieviper il cantiere di restauro, per la durata di 8 settimane.

GRAZIA DE CESARE

Dipinti murali raffiguranti la vita di San Francesco

Fig. 6. Acquasantiera

Fig. 5. Particolare della zoccolatura

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Particolare dei sollevamenti e delle lacune degli strati preparatori e pittorici localizzati soprattutto in corrispondenza dei pigmenti scuri (terre)

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La documentazione, in termini generali, nasce dalla necessità di raggruppare le in-formazioni raccolte in un determinato ambito affinché esse possano essere dispo-

nibili nell’immediato e in futuro. Nell’acquisire delle informazioni vengono attuati,infatti, diversi processi dallo studio, all’analisi e alla rielaborazione delle informazionistesse che ampliano e trasformano la concezione comune del termine, quale mera regi-strazione di un fenomeno. In questa accezione la documentazione diventa quindiun’operazione “dinamica” in quanto base di successive considerazioni sull’oggetto ana-lizzato.La documentazione di un’opera prima del restauro può essere sintetizzata in tre mo-menti sequenziali:· documentazione preliminare, per identificare il problema e indirizzare le fasi succes-

sive;· documentazione sistematica ed esaustiva, per fornire contemporaneamente una visione

d’insieme e di dettaglio sull’opera; · documentazione supplementare, associata alle indagini e/o ad alcune verifiche da svi-

lupparsi nel tempo.La documentazione necessita, quindi, di una corretta impostazione di un sistema di clas-sificazione delle informazioni acquisite, che a sua volta dipende dalla corretta compren-sione del tema trattato e dalla sua conseguente idonea articolazione.1 Per rendereomogenea l’acquisizione e la divulgazione delle informazioni è perciò necessaria unastandardizzazione del processo documentativo nel suo complesso, dalle prime fasi diraccolta alla presentazione dei risultati. Una documentazione che possa definirsi “completa” deve prendere in esame i diversiaspetti dell’opera: dalle caratteristiche metriche e tecniche, alla sua evoluzione storica,agli aspetti di degrado e di conservazione.Un primo esempio di raccolta sistematica di informazioni riguardanti i beni culturali èla catalogazione: un processo conoscitivo “oggettivo”, in quanto organizzazione e ge-stione della conoscenza del bene, che si qualifica come un’attività conoscitiva complessapropedeutica a una gestione di tipo non meramente conservativo e di controllo2. L’attività di catalogare i beni culturali non si riduce solo a costituire un inventario, main realtà è il punto di partenza per la realizzazione della documentazione vera e propria,strumento strategico di gestione territoriale del patrimonio e base preliminare per qual-siasi intervento di conservazione e restauro.Nel restauro, la documentazione è la testimonianza dell’intervento in ogni sua parte:comprende le ricerche storiche, la descrizione fisica dell’oggetto, lo stato di conserva-zione, le indagini analitiche e scientifiche sui materiali e sui fenomeni di degrado, l’ese-cuzione dell’intervento stesso ed eventuali considerazioni sulla conservazione futuradell’opera.Tutte queste informazioni derivano da contributi di diverse discipline ed è necessariosintetizzarle in un progetto esplicativo che chiarisca le relazioni che le legano e i risultaticoncettuali che guidano le scelte dell’intervento giungendo ad una sintesi comprensibilea tutte le figure professionali coinvolte.La documentazione è di certo il momento conoscitivo preliminare e propedeutico allarealizzazione dell’intervento, ma questo non implica che la sua realizzazione deve esserecompletamente eseguita prima dell’inizio del restauro. Parte della documentazione iniziaprima dell’intervento al fine di stabilire le linee guida da seguire, tramite un’indaginepreliminare del manufatto, ma molte delle operazioni successive necessitano di appro-fondimenti e di ulteriori analisi, parti integranti della stesura finale di un progetto.La documentazione deve soddisfare, innanzitutto, alla necessità di conoscere la consi-stenza materiale e artistica dell’opera; alla possibilità di progettare gli interventi di re-stauro e conservazione ed infine alle valutazioni per la sua salvaguardia in futuro.A questo scopo e come esempio di standardizzazione della documentazione per il re-stauro, l’Istituto Superiore Centrale per il Restauro3 (ISCR) ha ideato la scheda conser-

La documentazione prima del restauro: una problematica apertaLAURA BARATIN

Fig. 1. La Strage degli innocenti, Navelli (AQ) - Documentazione grafica sul supporto

Fig. 2. La Strage degli innocenti, Navelli (AQ) - Documentazione grafica sulle tecniche di esecuzione

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vativa, utilizzata anche per la documentazione delle opere dell’Abruzzo, che prendein esame i materiali, la struttura, il supporto, le lacune, le alterazioni ed altro. È unascheda conoscitiva che può essere considerata propedeutica al progetto di restauro,infatti alla fine della scheda vengono indicati anche gli interventi da compiere. Lascheda si occupa anche degli aspetti amministrativi e di gestione del bene. I dati sonoorganizzati in sei sezioni di seguito elencate:· Dati di riferimento: raccolta di informazioni per l’identificazione dell’opera.· Documentazione: insieme di riferimenti per il recupero del materiale documentario.· Caratteristiche di collocazione/esposizione: vengono indicati sia gli spostamenti sia la

sua attuale collocazione; inoltre è inserita la voce “rischi da esposizione”che no-tifica la presenza di eventuali fattori di degrado ambientale e antropico.

· Dati tecnici e stato di conservazione: sezione analitica e tecnica destinata alla raccoltadi informazioni deducibili sui materiali costitutivi, le tecniche esecutive e lo statodi conservazione.

· Indicazione sugli interventi: sulla base delle informazioni precedentemente rilevate,si propongono gli interventi secondo diverse categorie di riferimento dal prontointervento alla manutenzione e controllo.

· Dati di riferimento della scheda: riporta i nomi e la qualifica dei redattori, la data dicompilazione ed eventuali aggiornamenti della scheda stessa.

La scheda va corredata da un determinato numero di fotografie su particolari aspettidel manufatto, soprattutto sulle forme di degrado ritenute esemplificative delle con-dizioni generali e su quelle che mettono particolarmente a rischio l’opera. Una guidaper la compilazione della scheda permette di uniformare il tipo di lessico tecnico edi sintassi da utilizzare.Per quante informazioni si possono elencare e corredare di fotografie dettagliate, lascheda conservativa non sarà mai di per sé stessa uno strumento sufficiente alla de-scrizione di un’opera in quanto “… una scheda si limita soltanto a registrare l’esistenza diun’opera e quella di alcuni fenomeni ad essa connessi senza poterne dare esatta e oggettiva rappre-sentazione poiché, come strumento documentario, non ha di per sé la capacità di produrre o registraredirettamente informazioni di tipo geometrico e topografico”4.È quindi necessario aggiungere una documentazione grafica appropriata al tipo dimanufatto oggetto dell’intervento, utile all’esecuzione del progetto di restauro, comeprimo momento di creazione di una banca dati.La rappresentazione grafica è, quindi, lo strumento che permette di raffigurare unoggetto reale nella sua “fisicità” ed attraverso le regole della geometria descrittivapermette di evidenziarne sia le caratteristiche metriche che quelle morfologiche. La documentazione grafica di un bene culturale può essere ottenuta in diversi modiognuno con un proprio livello di difficoltà e di accuratezza e con un determinatocosto di realizzazione: un disegno bidimensionale può essere eseguito in loco, dise-gnato o “ricalcato” da una fotografia, oppure prodotto finale dell'attività di rileva-mento attraverso l’integrazione di più strumenti: topografici, fotogrammetrici e laserscanner. Nei primi due casi può essere realizzato sia a mano che con l’ausilio di tec-nologie informatiche, mentre nel terzo caso il ricorso alle tecnologie è assolutamentenecessario. Rappresentare graficamente un’opera significa creare un modello iconico, conven-zionalmente accettato dove l’interpretazione deve essere quanto più possibile univocaselezionando una serie di elementi ritenuti significativi, tralasciandone altri, al fine diottenere un modello morfologico comprensibile. La distinzione, per esempio, tra una figura principale e lo sfondo, devono entrambe,garantire la piena “leggibilità” del modello, anche quando si giungerà alla sovrappo-sizione delle informazioni.In quest’ottica, la documentazione, il rilievo e la rappresentazione grafica di un’operadiventano un sistema aperto ad altre informazioni, acquisibili in tempi diversi, una

Fig. 3. La Strage degli innocenti, Navelli (AQ) - Documentazione grafica sullo stato di conservazione

Fig. 4. La Strage degli innocenti, Navelli (AQ) -Documentazione grafica degli interventi

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Fig. 5. Sant'Antonio Abate, Calascio (AQ) - Rilievo tridimensionale attraverso sistemi digitali a basso costo, particolare della fase di orientamento del modello

Fig. 7. Santa Filomena, Bussi sul Tirino, (PE) - Modello 3Dcon mappata l'immagine a luce visibile

Fig. 6. Sant'Antonio Abate,Calascio, (AQ) - Particolaredelle mesh per la costruzionedel modello 3D

Fig. 8. Santa Filomena, Bussi sul Tirino, (PE) - Modello 3D con mappata la foto UV

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base necessaria alla programmazione di futuri interventi. Le moderne tecnologie informatiche forniscono strumenti sempre più adeguati per acquisire, archiviare eutilizzare i dati per la gestione e la diffusione delle informazioni, aprendo nuove prospettive di conoscenzae valorizzazione5.L’informatica gioca un grande ruolo anche nella realizzazione dei rilievi e della rappresentazione grafica ingenerale: a partire dall’utilizzo della fotografia digitale, ai metodi di rilievo strumentale, alle riproduzionitridimensionali tramite fotogrammetria stereoscopica e laser scanner e fino alla realizzazione di modellivirtuali. Ogni rilievo può essere considerato come una “carta dell’opera” sulla quale evidenziare i diversi tematismi.Attraverso il collegamento di questa “carta” ad un database si può approfondire la conoscenza dei dati vi-sibili sull’immagine dell’oggetto, accedendo ad informazioni di altro genere (testuali, alfanumeriche, ecc.);mantenendo sempre una visione d’insieme oppure scendendo a scale di maggiore dettaglio sempre in unaforma organizzata6.Anche il processo di realizzazione della documentazione grafica deve necessariamente essere diviso in fasi,che schematicamente si possono riassumere in pianificazione, raccolta dei dati e loro organizzazione.La fase di pianificazione dove si definiscono gli obbiettivi complessivi del progetto, il metodo di rappre-sentazione (creazione della “carta” di base) e la definizione degli elementi da rappresentare, con la creazionedi una legenda. La fase di acquisizione dei dati è incentrata sulla registrazione grafica degli elementi. Laterza ed ultima è la fase di organizzazione dei dati, nella quale sono comprese tutte le operazione di pre-sentazione e divulgazione delle informazioni. È chiaro che le necessità della rappresentazione grafica di un dipinto non solo le stesse di una scultura o diun’architettura si devono perciò, mettere a punto metodologie di rilievo e rappresentazione adeguate perogni diversa tipologia di manufatto. Le informazioni grafiche possono essere presentate in molti modi diversi, cercando sempre di favorire unachiara interpretazione. La selezione degli elementi da raggruppare si basa sul tipo di presentazione, sullafunzione che la “carta” deve avere. Allo stesso modo, i simboli grafici e i colori non sono standardizzati,ma vengono scelti per facilitare la leggibilità ed intensificare il messaggio.Sarebbe necessario avere un “protocollo” o “capitolato” che definisca le linee generali per una documen-tazione grafica, ed una metodologia appropriata di rilevamento, proprio così come la scheda conservativadefinisce la documentazione dei dati di tipo descrittivo.Diversi tentativi sono stati fatti in questo senso, ispirandosi ai processi di normazione delle attività ediliziee delle attività cartografiche, ma nell’ambito della documentazione per il restauro questa è una problematicaancora aperta.

Fig. 9. Santa Filomena, Bussi sul Tirino(PE) - Sezione longitudinale ricavata automaticamente dal modello 3D

Fig. 10. Santa Filomena, Bussi sul Tirino(PE) - Sezione trasversale ricavata automaticamente dal modello 3D

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Note1 - F. SACCO, Sistematica della documentazione e progetto di restauro, Bollettino ICR, nuovaserie n. 4, Roma, 2002.2 - “… La catalogazione è l’attività di registrazione, descrizione e classificazione del patrimonioculturale regionale e viene realizzata attraverso la compilazione delle schede di catalogo su cui sibasa la raccolta e la sistematizzazione delle informazioni …” SANDRA VASCO ROCCA, Beniculturali e catalogazione, Principi teorici e percorsi di analisi, Gangemi Editore, Roma, 2002.Il modello di gestione delle informazioni, standardizzato sia concettualmente che alivello esecutivo, è stato realizzato dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Docu-mentazione (ICCD) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attraverso diversimodelli di schede organizzate per tipologia: beni archeologici, beni ambientali e ar-chitettonici, beni etnoantropologici, beni storici e artistici. Tutte le schede e la nor-mativa per la loro compilazione sono reperibili nel sito dell’ICCD:http://www.iccd.beniculturali.it.3 - La costruzione di questa scheda e tutte le successive evoluzioni si possono ri-scontrare nelle diverse pubblicazioni dell’ISCR, in particolare a partire dal saggio diF. SACCO, Il problema della documentazione grafica dei restauri, in Materiali e Strutture,1993, III, 1.4 - F. SACCO, A cosa serve la documentazione dei restauri?, in Geomedia, n 1, Roma,

2006, p.7.5 - Gli esempi più importanti di gestione informatica dei beni culturali sono: nel-l’ambito della catalogazione il SIGEC - Sistema Informativo Generale del Catalogo,gestito dall’ICCD e nell’ambito della conservazione il SICaR - un sistema WebGISper la progettazione esecutiva e la gestione degli interventi di restauro, relativamenteagli aspetti inerenti la valutazione preventiva in termini di tempi e costi, la docu-mentazione storico-artistica e tecnico-scientifica, la manutenzione e il monitoraggio.SICaR è nato all’interno del progetto OPTOCANTIERI - Tecnologie avanzate eper vari Beni Culturali, finanziato dalla Regione Toscana - Dipartimento per lo Svi-luppo Economico, che ha promosso una fruttuosa collaborazione fra imprese di re-stauro, aziende di informatica, Soprintendenze e centri di ricerca dei Beni Culturali,con l’obiettivo di testare e ottimizzare in appositi cantieri-pilota tecnologie e meto-dologie sperimentate in un precedente progetto europeo, RIS+ (2000-2001).6 - Per approfondire le problematiche di gestione informatizzata dei dati sul patri-monio culturale legate agli aspetti cartografici e all’integrazione di diverse tecnologiedi rilevamento si vedano i contributi relativi alla Carta del Rischio del PatrimonioCulturale che nasce dall’estensione territoriale del Piano pilota per la conservazioneprogrammata dei beni culturali dell’Umbria, ideato da Giovanni Urbani.

Fig. 11. Santa Filomena, Bussi sul Tirino (PE) - Rappresentazione a curvedi livello

I risultati possono essere diversificati a seconda delle esigenze edei metodi impiegati, ma lo scopo oggi giorno deve essere quellodi fornire una “carta digitale dell’opera” inserita nel suo conte-sto. La “carta digitale” come contenitore su cui riversare le in-formazioni nell’ambito del restauro, le diverse tematichedall'analisi al controllo, al monitoraggio delle trasformazioni acui il manufatto è soggetto nel tempo. Carta su cui sia possibilesimulare gli interventi basandosi anche su modelli tridimensio-nali e, se necessario, su possibili ricostruzioni virtuali.Grazie alle nuove tecnologie, oggi possiamo visitare luoghi vir-tuali dentro i quali sono racchiuse testimonianze dell’operatodell’uomo, sia del presente che del passato, dislocate geografi-camente e temporalmente in posti fisicamente lontanissimi traloro; possiamo scegliere i nostri percorsi di conoscenza; pos-siamo interagire con l’opera, di qualunque luogo o di qualsiasiepoca essa sia. Tali applicazioni permettono di mostrare qualunque opera sottotutte le angolazioni possibili, ruotarla, manipolarla, evidenziarnei particolari, e così via.I progetti di ricostruzione virtuale mirano ad offrire al fruitoresimulazioni sempre più vicine all’esperienza reale, ed in alcunicasi permettono un’interazione più approfondita. Dall’altro latosi pensi anche alla valenza scientifica dei rilievi e della documen-tazione acquisita attraverso le nuove tecnologie, che consentonooperazioni di salvaguardia e di restauro sempre più raffinate erigorose.Di fronte alla situazione, sinteticamente illustrata, si impone unmomento di riflessione per stabilire dove è il limite, nella docu-mentazione e nel rilievo per la conservazione e valorizzazionedei beni culturali, tra il rigore scientifico e gli effetti scenograficied arrivare a delle regole condivise.

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INTRODUZIONE

In uno dei testi di riferimento per la documentazione non invasivadelle opere d’arte, Tecniche di documentazione e indagini non invasive sui

dipinti, gli autori, Aldrovandi e Piccolo, commentando una delle novequalità del restauratore indicate dal Secco-Suardo, affermano che “dalpunto di vista analitico, il buon restauratore può essere identificato in colui il qualeriesce a estrarre il massimo delle conoscenze su un dipinto mediante l’osservazionea vista e sfruttando le tecniche di indagine scientifiche più immediate e accessibili(riguardo ai tempi di analisi, ai suoi costi, alla reale utilità dell’impiego di quelletecniche)”.Dal punto di vista dell’immediatezza e dell’accessibilità, le tecniche diindagine non invasive utilizzate sulle opere abruzzesi in restauro pressoi laboratori dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, che com-pongono il corpus fotografico a corollario di questa pubblicazione,sono quelle che meglio si accordano al concetto esposto dai due autori. Queste tecniche hanno il fine di fornire un quadro dello stato di fattodi un’opera, documentandone la tecnica pittorica, i materiali impiegatisia per la sua creazione, sia per eventuali restauri subiti nel corso deltempo e lo stato di conservazione al momento dell’inizio dell’inter-vento di restauro. Possono anche essere utilizzate per registrare passoper passo le fasi dell’intervento di restauro, così da creare una docu-mentazione che diventerà parte integrante della storia dell’opera e unapotenziale fonte continua di informazioni anche a restauro concluso(fig.1). L’intervento di restauro, infatti, presenta una possibilità unica di studiodell’opera che non si presenterà nuovamente prima che questa vengaa trovarsi tra le mani di una successiva generazione di restauratori. Leoperazioni di restauro permettono una conoscenza approfondita, in-tima dell’opera, vista nella sua interezza, come una combinazione dimateriali, uniti tra loro con precise tecniche artigianali e non solocome una composizione formale con precisi caratteri stilistici, icono-grafici ed estetici. Sui materiali costitutivi si sovrappone una stratifi-cazione, spesso molto complessa, di materiali più recenti apportatidal “vivere” dell’opera all’interno di un ambiente e da passati inter-venti di restauro subiti nel corso degli anni.

ANALOGIA TRA DOCUMENTAZIONE E DIAGNOSTICA: UNA PROPOSTA

TERMINOLOGICA

Con l’inizio dei lavori di restauro si presenta una grande occasione di studio nella quale è buona norma approfondirela conoscenza dell’opera d’arte e documentare le fasi di lavorazione dell’intervento con ogni mezzo possibile. A volte,tuttavia, indagini molto costose sono condotte con poco criterio, senza seguire un preciso progetto diagnostico ca-librato sulle specificità dell’opera. Altre volte questa opportunità viene sprecata a causa di più impellenti necessitàdettate dai limitati fondi destinati al restauro e dai tempi imposti per la conclusione dei lavori. Per questa ragione, ri-prendendo il ragionamento di Aldrovandi e Piccolo, è doveroso fare una scelta tra le numerose tecnologie applicabiliche prediliga, almeno nelle fasi di indagine preliminare, “le tecniche di indagine scientifiche più immediate e accessibili”,meglio se realizzabili direttamente all’interno del laboratorio di restauro da restauratori specializzati.Spesso la semplice registrazione di un particolare dell’opera, fotografato così come si osserva in condizioni di lucenormali, non è sufficiente a documentare una caratteristica che l’occhio del restauratore, educato dall’esperienza edalla familiarità quotidiana con l’opera, è, invece, in grado di cogliere. Per questa ragione è necessario ricorrere a tec-niche di acquisizione delle immagini che accentuino e rendano maggiormente visibili queste caratteristiche.

La documentazione diagnostica. Una riflessione sul rapporto tra lafotografia e il restauroSTEFANO MARZIALI

Fig. 1. Particolare a luce visibile diffusa (cat.17)

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Le tecniche di acquisizione d’immagine possono essere catalogate in base alla qualità della radiazione elettromagneticache è utilizzata per l’illuminazione dell’opera. Quando la sorgente illuminante emette una radiazione che ricade nellaporzione dello spettro Visibile, che è compreso per lunghezza d’onda tra i 380 nm e 760 nm (radiazione che il nostroapparato visivo è in grado di osservare come la gradazione delle luci di un prisma, che passa, quindi, dal violetto alrosso), la tecnica di ripresa sarà definita “nel Visibile”. Le metodologie di ripresa nel Visibile, che sfruttano una geo-metria di illuminazione definita “a luce diffusa”, possono essere suddivise in funzione del livello di ingrandimentoottico utilizzato per lo scatto. Da una visione di insieme di tutto l’oggetto, si passa a un particolare della superficie.L’ingrandimento ottico è ottenuto diminuendo progressivamente la distanza tra la fotocamera e la superficie inqua-drata e variando l’ottica montata sul corpo della macchina. Il grado di ingrandimento è individuato dal rapporto trauna dimensione lineare dell’immagine sul fotogramma e l’equivalente reale dimensione dell’oggetto. Le immagini ot-tenute prendono il nome “di close-up” o “fotografia ravvicinata” quando hanno un grado di ingrandimento tra 1:10e 1:1, ovvero quando 1 centimetro del fotogramma ricavato corrisponda a 10 centimetri della superficie indagata,fino alla corrispondenza tra superficie e scatto (fig. 2). Tra livelli di ingrandimento di 1:1 e 2:1, si parla invece di“macro-fotografia”. Quando il livello di ingrandimento è ancora maggiore, si parla di “micro-fotografia”. Una ripresa “nel Visibile” può abbandonare la classica illuminazione diffusa per sfruttare l’effetto di una differenteposizione della sorgente illuminante. Questo espediente può rendere più evidenti particolari caratteristiche della di-stribuzione dei materiali dell’opera, quali problemi di adesione della pellicola pittorica al supporto, disuniformità delle

Fig. 2. Microfotografia (cat. 16)

Fig. 3. Particolare a luce radente (cat. 9)

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Fig. 5. Falso colore infrarosso (cat. 3)

Fig. 4. Fluorescenza UV (cat. 1)

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campiture pittoriche, il ductus pittorico (Fig. 3). In funzione della posizione della fonte di luce, queste tecniche di ri-presa assumono il nome di “transilluminazione”, quando viene registrata la radiazione luminosa trasmessa attraversola superficie, o “luce radente”, quando l’angolo tra la sorgente e il piano della superficie fotografata è inferiore ai 10°e le disuniformità negli spessori della superficie vengono accentuati dall’allungarsi delle ombre che proiettano. Questetecniche di ripresa possono essere estremamente utili anche per documentare gli effetti di alcune operazioni direstauro, quali il consolidamento della pellicola pittorica, il tensionamento del supporto tessile o il miglioramento disuperficie, nel caso di dipinti su tela.Quando la sorgente emette in una lunghezza d’onda esterna ai limiti del Visibile e, quindi, la luce che emette non èdirettamente osservabile senza uno strumento che la riporti nei limiti di sensibilità del nostro occhio, la tecnica di ri-presa sarà definita “nell’invisibile” o “nel non-Visibile”. Col termine “ripresa nell’invisibile”, si raggruppano alcune tecniche che utilizzano diverse porzioni dello spettro ma-gnetico. Se per l’illuminazione è utilizzata una radiazione che cade nella porzione dell’Ultravioletto più vicina alVisibile, è possibile fotografare direttamente la radiazione riflessa dalla superficie (“riflettografia ultravioletta”), o laradiazione di fluorescenza emessa nel Visibile dai materiali della superficie eccitati dalla radiazione ultravioletta (“fluo-rescenza ultravioletta”) (Fig. 4). Qualora per l’illuminazione sia usata una radiazione nell’Infrarosso Vicino (nel casodelle opere trattate in questa sede, l’osservazione non si è mai spostata oltre i 1100 nm, limite massimo di sensibilitàdella strumentazione utilizzata), è possibile registrare la radiazione infrarossa riflessa dalla superficie. In questo casola tecnica di ripresa prende il nome di “riflettografia infrarossa” o “falso colore infrarosso” quando parte delle infor-mazioni provenienti dall’Infrarosso Vicino sono miscelate con una parte delle informazioni tratte dal Visibile. Un’ec-cezione a questa suddivisione è data dalla ripresa radiografica, nella quale si registra la radiazione X passante attraversol’oggetto, ma questa tecnica non è stata applicata sulle opere qui trattate.In letteratura è spesso indicata una differenza terminologica tra tecniche di documentazione e tecniche diagnostiche,che in questa sede non viene seguita. Seguendo il ragionamento fin qui proposto, si possono definire le tecniche di documentazione fotografica comequelle tecniche che hanno il fine di documentare graficamente lo stato di fatto dell’opera prima, durante e dopo l’in-tervento di restauro. Le tecniche diagnostiche per immagine sono, invece, quell’insieme di tecniche di ripresa checercano di rendere osservabili caratteristiche dell’opera non direttamente osservabili.Date queste due definizioni, si può intuire come non sia possibile definire una netta linea di divisione tra questi duegruppi. Una reale differenza non esiste. Il fine è il medesimo: documentare lo stato di fatto dell’opera nei vari momentidell’operazione di restauro, rendendo esplicite caratteristiche che altrimenti resterebbero esclusivamente sensoriali.Questo crea la necessità di utilizzare un’espressione che renda giustizia dei due aspetti. In questa sede si propone iltermine “documentazione diagnostica”, da non confondere con le indagini analitiche, come sarà spiegato più avanti.

DIFFERENZA TRA INDAGINI ANALITICHE E DOCUMENTAZIONE DIAGNOSTICA

Una volta chiariti l’importanza dello studio dei materiali che costituiscono l’opera e il valore della documentazionedell’intervento di restauro, è fondamentale delineare un’importante differenza concettuale tra due termini che, spesso,vengono sovrapposti in quest’ambito disciplinare: “indagini analitiche” e “documentazione diagnostica”.Per comprendere questa differenza, è doveroso richiamare uno dei criteri di classificazione più comune delle tecnichescientifiche utilizzate per studiare un bene in restauro: l’invasività. Possono, infatti, essere suddivise in “non invasive”,quando per l’esecuzione non è richiesto alcun contatto tra lo strumento e l’opera analizzata, e in “invasive”, quandole analisi sono realizzate su campioni di materiale prelevati dall’opera. La necessità di campionamento per le analisiinvasive impone, sia a livello deontologico, sia a livello di disponibilità di materiale da analizzare, che queste debbanoessere realizzate un numero limitato di volte. È doveroso precisare, tuttavia, che questo è il prezzo da pagare per laprecisione e accuratezza maggiori tipiche delle tecniche “invasive” rispetto alle tecniche “non invasive”. Questo siaggiunge ai tempi, spesso lunghi, di lavorazione dei campioni e di rielaborazione dei risultati presso i laboratori spe-cializzati che eseguono l’analisi. In questa sede, sono indicate col termine “indagini analitiche” tutte le numerose tecniche di indagine invasive che ri-chiedono un campionamento, alle quali si aggiungono quelle non invasive esclusivamente puntuali, che non restitui-scono un’immagine della superficie inquadrata.Si può, pertanto, definire che la differenza principale tra indagini analitiche e documentazione diagnostica è data dallafinalità che queste si prefiggono. La documentazione diagnostica, squisitamente “non invasiva”, realizzata con tecnichefotografiche sia durante la fase progettuale dell’intervento, sia durante quella operativa, ha il fine di documentare

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elementi già osservabili o intui-bili grazie all’esperienza deglioperatori. L’indagine analiticaha, invece, il fine principale diapprofondire la ricerca sul-l’opera per scoprire la presenzadi materiali non direttamente ri-levabili o processi di degradonon chiaramente determinabilicon altre tecniche.Come corretta linea metodolo-gica, si raccomanda, per primacosa, di realizzare una completadocumentazione diagnostica dell’opera direttamente all’internodel laboratorio di restauro per mano del restauratore. In un se-condo tempo, avendo già a disposizione queste informazioni,deve essere definito un organico programma di studio dei pro-blemi specifici del manufatto. In questa fase saranno coinvolte leindagini analitiche più appropriate, al fine di rispondere ai quesitiancora aperti. Queste saranno eseguite un tecnico specializzato enon dal restauratore. Tale approccio metodologico, che vedeprima la realizzazione della documentazione diagnostica e poidelle eventuali indagini analitiche, ridurrebbe l’uso indiscriminatodi queste ultime.

LA DOCUMENTAZIONE DIAGNOSTICA SULLE OPERE ABRUZZESI

Sulle opere abruzzesi restaurate sono state diffusamente applicate tecniche di documentazione diagnostica di tipo fotografico totalmente noninvasive.Restituendo un’immagine dell’intera superficie o di una porzione dell’oggetto inquadrato, queste tecniche di documentazione diagnosticahanno la caratteristica di essere allo stesso tempo “estensive” e “puntuali”. In un’unica acquisizione possono fornire informazioni su un’ampiaporzione della superficie, consentendo, allo stesso tempo, di estrarre dati da aree molto circoscritte dell’opera, senza dover attendere i tempidi un laboratorio esterno. In particolare, le tecniche fotografiche che utilizzano radiazioni nell’“invisibile” possono determinare la famiglia di appartenenza di numerosimateriali usati in arte, come i pigmenti e le vernici, con un grado di approssimazione sufficiente nella maggior parte dei casi. Qualora i risultatiottenuti non permettano un’identificazione dei materiali, restano, comunque, utili a guidare un’eventuale indagine più approfondita che sfruttiindagini analitiche più complesse (Fig. 5).L’identificazione dei materiali è effettuata estraendo dall’immagine le coordinate numeriche, che identificano il colore di un determinato puntodella superficie in ambiente digitale, e ponendole a confronto con riferimenti noti. Questa operazione, tuttavia, è possibile solo se precedutada una calibrazione della macchina fotografica, in modo che il profilo colorimetrico dell’immagine digitale corrisponda il più possibile allarealtà. Le coordinate così ottenute sono “device-indipendent”, in altre parole indipendenti dalla periferica di acquisizione e da qualunque altraperiferica che le visualizzi. In questo modo è garantita la riproducibilità della misurazione e la verifica nel tempo dei dati acquisiti, prerequisitofondamentale per ogni analisi strumentale eseguita con criteri scientifici.L’assoluta non invasività di queste tecniche, la semplicità di realizzazione, i rapidi tempi di esecuzione e di rielaborazione dei dati, la possibilitàdi eseguire le rilevazioni in qualsiasi momento delle operazioni di restauro senza interrompere in alcun modo il lavoro degli operatori rendonoqueste tecniche perfette per essere realizzate direttamente dal restauratore che sta attivamente lavorando sull’opera, senza che queste operazionidebbano essere demandate a operatori esterni con un aumento dei tempi e dei costi dell’intervento. Tale metodologia, inoltre, permette disfruttare il grado di conoscenza dell’opera del restauratore, che ha con essa un rapporto quotidiano. Qualità che non appartiene all’operatorechiamato per l’analisi il quale, nella maggior parte dei casi, ha con l’opera un rapporto solo occasionale.Le tecniche di documentazione diagnostica dovrebbero, quindi, divenire procedure consolidate nel lavoro di un restauratore; un’abitudinecondotta con intelligenza applicata alle specificità del caso, con confidenza del mezzo e dimestichezza, con la consapevolezza delle possibilitàdocumentative e di studio che esse consentono.

STEFANO MARZIALI

Tab. 2. Opere lignee e orologio

Tab. 1. Dipinti su tela e affresco

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In occasione del restauro di vari manufatti provenienti dall’Abruzzo è stata condotta una campagna diagno-stica preliminare su nove tele, sei sculture lignee e un trittico, al fine di fornire un contributo volto alla co-

noscenza delle opere. Le indagini scientifiche rappresentano un fondamentale strumento per una comprensione più approfonditadei manufatti e permettono di avere indicazioni sulla tecnica esecutiva e sui materiali utilizzati per la loro rea-lizzazione. La scelta delle metodologie di studio è stata attentamente valutata a seconda delle informazioni chesi volevano ottenere. Sono state effettuate quindi sia di tipo non invasivo sia di tipo microinvasivo1 che sarannodiscusse in questo lavoro. Le indagini effettuate hanno previsto il prelievo di microframmenti (pochi micron), campionati in modo danon alterare l’aspetto formale ed estetico dei manufatti. In particolare sono stati prelevati campioni di policro-mia, ventinove dalle tele e tredici dalle sculture lignee e due dal trittico, dai quali sono state realizzate delle se-zione stratigrafiche per lo studio al microscopio ottico (MO) a luce riflessa. Le sezioni, opportunamentemetallizzate, sono state sottoposte ad osservazione al microscopio elettronico a scansione (ESEM) e relativamicroanalisi (EDX)2. Dai campioni di legno sono state preparate sezioni sottili, che sono state indagate me-diante microscopia ottica3.Lo studio in sezione stratigrafica4 è fondamentale per la comprensione della sequenza pittorica in quanto lamaggior parte delle policromie presenta una struttura a strati sovrapposti ma il cui colore è così percepito dal-l’occhio umano grazie alla presenza degli strati sottostanti che fungono da supporto e da sottofondo croma-tico.

OPERE SU TELA

Visione di San Giovanni da Capestrano (cat. 5)La preparazione applicata sulla tela, di colore marrone ocraceo, è stata realizzata mescolando delle terre a basedi allumo-silicati ricchi in ferro e manganese con poco bianco di San Giovanni. Quasi tutti i campioni mostrano una sequenza stratigrafica molto semplice con una sola stesura pittorica il cuispessore massimo è di 140 micron. Il campione di colore rosso scuro, prelevato in corrispondenza dell’altare,è composto da ocra rossa, terra di Siena, ossidi di piombo (minio/litargirio) e tracce di smaltino (fig. 1). Ilcampione d’incarnato, proveniente dal viso del primo personaggio a destra, è costituito da biacca, ocra rossae cinabro (fig. 2). Nel campione prelevato sulla veste gialla della figura in ginocchio, davanti all’altare, troviamouna sottile pellicola pittorica (spessore 90 micron) a base di biacca, ocra gialla e smaltino (fig. 3). Per la realizzazione della veste grigio-azzurra della figura in primo piano a destra, sulla preparazione è statastesa un’imprimitura a base di biacca e sopra sono state applicate due sottili stesure, la più interna a base dibiacca, ocra rossa, minio e cinabro e la più esterna composta da biacca, smaltino, quarzo e bianco di San Gio-vanni (fig. 4).

San Michele Arcangelo, Santa Lucia e Sant’Anna (cat. 14)Anche in questa tela, sopra una spessa preparazione rossastra composta da gesso, ocra rossa, biacca e poconero carbone, troviamo una sequenza stratigrafica molto semplice con una sola stesura pittorica abbastanzasottile (spessori variabili da 60 a 125 micron). Il manto rosso del demone è stato realizzato con una pennellatadi ocra rossa e cinabro sulla quale è stata stesa una lumeggiatura composta da biacca e ocra rossa (fig. 5).Nel manto blu di santa Lucia lo strato pittorico è a base di biacca, blu di Prussia e terra verde (fig. 6). Nel-l’incarnato del volto della figura lo strato pittorico è composto da biacca, fini particelle di ocra rossa e nerocarbone (fig. 7).

Madonna delle Grazie (cat. 3)Sulla tela è stata applicata una spessa preparazione scura a base di ocra rossa, terra di Siena, biacca e nero car-bone. La veste rossa della Madonna è stata realizzata con un’unica stesura, con spessore massimo di 215 micron,a base di ossidi di piombo (minio/litargirio), ocra rossa e terra di Siena (fig. 8). L’incarnato della Madonna ècostituito da uno strato a base di biacca, ossidi di piombo (minio/litargirio), ocra rossa, poco bianco di SanGiovanni e nero carbone (fig. 9).

Il contributo delle indagini micro-invasive alla caratterizzazionestratigrafica delle opere abruzzesiMARIA LETIZIA AMADORI, SARA BARCELLI

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Fig. 4. Micrografia veste, (cat.5) Fig. 5. Micrografia manto, (cat. 14) Fig. 6. Micrografia manto blu, (cat. 14)

Fig. 1. Micrografia altare, (cat.5) Fig. 2. Micrografia veste, (cat.5) Fig. 3. Micrografia incarnato, (cat.5)

Fig. 10. Micrografia manto, (cat. 7) Fig. 11. Micrografia incarnato, (cat. 7) Fig. 12. Micrografia fondo, (cat. 7)

Fig. 7. Micrografia incarnato, (cat. 14) Fig. 8. Micrografia veste, (cat. 3) Fig. 9. Micrografia incarnato, (cat. 3)

Fig. 13 - Micrografia manto, (cat. 8) Fig. 14. Micrografia manto, (cat. 8) Fig. 15. Micrografia incarnato, (cat. 8)

Fig. 16 - Micrografia manto, (cat. 12) Fig. 17. Micrografia manto, (cat. 12) Fig. 18. Micrografia incarnato, (cat. 12)

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Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova (cat. 7)In questa tela, sopra una preparazione bianca, con spessore di circa 250 micron, a base di bianco di San Gio-vanni e pochi silicati è presente un altro strato preparatorio bruno, con spessore di circa 140 micron, compostoda terra di Siena, ocra rossa, biacca, particelle di quarzo, giallo di stagno e piombo (giallorino). La pellicola pit-torica è costituita da un unico strato con uno spessore massimo di 110 micron. Il manto rosso del Bambino èstato realizzato con una miscela abbastanza complessa di pigmenti: biacca, cinabro, lacca, ossidi di piombo(minio/litargirio) e poca ocra rossa (fig. 10). L’incarnato del Bambino è composto da biacca con fini particelledi terra di Siena, ocra rossa e nero d’ossa (fig. 11). Il campione prelevato dal fondo grigio del dipinto mostrauna stesura a base di biacca e smaltino (fig. 12).

San Michele Arcangelo sconfigge il demonio tra San Carlo Borrromeo e San Filippo Neri (cat. 8)La scura preparazione stesa sulla tela dell’arcangelo è composta da terre, di colore marrone ocraceo, a base diallumo-silicati ricchi in ferro e manganese, pigmenti a base di piombo, nero d’ossa, bianco di San Giovanni eparticelle di quarzo. Anche in questo dipinto la cromia è ottenuta con stesure semplici i cui spessori superanodi poco i 100 micron. Il manto rosso della figura a sinistra è stato realizzato con una miscela di cinabro, minio,lacca, biacca ocra rossa e nero carbone; la lumeggiatura sovrapposta è a base di lacca, cinabro e poca biacca(fig. 13). Il blu del manto del santo a destra tra le nuvole è stato ottenuto con biacca e oltremare naturale. Trala preparazione e la pellicola pittorica ci sono tracce del disegno (fig. 14). Nell’incarnato del santo a destra tro-viamo due stesure, la prima, più scura, composta da ocra rossa, cinabro, biacca e nero d’ossa e la seconda,sottile chiara, a base di biacca e cinabro (fig. 15).

La Madonna presenta l’effigie di San Domenico (cat. 12)Sulla tela è stata applicata una spessa preparazione (circa 400 micron), piuttosto scura, composta da ocra rossa,terra di Siena, biacca e nero carbone, molto simile allo strato preparatorio della Madonna delle Grazie (cat. 3).La pellicola pittorica è molto sottile con spessore massimo di 70 micron. Il manto rosso della figura a destraè stato realizzato con una pennellata di cinabro, minio, lacca, biacca, ocra rossa e terra di Siena (fig. 16). Questastesura è molto simile a quella identificata nel manto rosso di san Michele Arcangelo. Il manto celeste dellaVergine è costituito da due sottili stesure, la prima più spessa a base di biacca, smaltino e bianco di San Gio-vanni, mentre la seconda è una sottile ombreggiatura a base di smaltino e terra di Siena (fig. 17). L’incarnatodella gamba di un putto è stato ottenuto con una sottile stesura di biacca, poco cinabro, ocra rossa e smaltino(fig. 18).

L’Immacolata e le anime purganti (cat. 13)La tela presenta una spessa e pigmentata preparazione di colore marrone ocraceo che è stata realizzata mesco-lando delle terre a base di allumo-silicati ricchi in ferro, biacca e bianco di San Giovanni. Tale preparazione èmolto simile allo strato preparatorio della Madonna delle Grazie (cat. 3).Le stesure pittoriche anche in questo dipinto sono molto semplici e sottili, da 25 a 60 micron. Il rosso dellefiamme è stato ottenuto con una miscela di cinabro, biacca, quarzo e bianco di San Giovanni (fig. 19). L’incar-nato della donna tra le fiamme è stato realizzato mediante un sottile stesura di biacca, cinabro e ocra rossa(fig. 20).

La strage degli innocenti (cat. 6)Alla tela è stata applicata una spessa preparazione (circa 400 micron), piuttosto scura, composta da ocra rossa,terra di Siena, biacca, bianco di San Giovanni e nero carbone, molto simile allo strato preparatorio della Madonnadelle Grazie (cat. 3) e di La Madonna presenta l’effigie di San Domenico (cat. 12). Le stesure pittoriche sono moltosemplici e sottili, con spessore massimo di 90 micron. La veste rossa della figura in alto al centro è stata rea-lizzata con lacca, minio, cinabro, bianco di San Giovanni e terra di Siena (fig. 21). Tale strato è molto simile aquello rosso della tela di La Madonna presenta l’effigie di San Domenico (cat. 12). L’incarnato della stessa figura ècostituito da una sottilissima pennellata a base di biacca, cinabro e nero d’ossa (fig. 22).

L’educazione della Vergine (cat. 15)La tela raffigurante la Vergine si caratterizza per una preparazione con terre allumo-silicatiche ricche in ferroe biacca. La veste rossa di sant’Anna è stata realizzata mescolando cinabro e poca ocra rossa, sopra è visibile

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Fig. 22. Micrografia incarnato, (cat. 6) Fig. 23. Micrografia veste, (cat. 15) Fig. 24. Micrografia manto, (cat. 15)

Fig. 19. Micrografia fiamme, (cat. 13) Fig. 20. Micrografia incarnato, (cat. 13) Fig. 21. Micrografia veste, (cat. 6)

Fig. 28. Micrografia incarnato, (cat. 4) Fig. 29. Micrografia manto, (cat. 10) Fig. 30. Micrografia manto, (cat. 16)

Fig. 25. Micrografia tiglio, (cat. 4) Fig. 26. Micrografia preparazione, (cat. 4) Fig. 27. Micrografia manto, (cat. 4)

Fig. 31. Micrografia basamento, (cat. 16) Fig. 32. Micrografia pioppo, (cat. 2) Fig. 33. Micrografia perizoma, (cat. 2)

Fig. 34. Micrografia incarnato, (cat. 2) Fig. 35. Micrografia manto, (cat. 2) Fig. 36. Micrografia manto, (cat. 2)

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una lumeggiatura a base di biacca e bianco di San Giovanni (fig. 23). Il blu del manto della Vergine è stato ot-tenuto con pennellate di blu di Prussia e poca biacca (fig. 24).

OPERE LIGNEE

Sant’Antonio Abate (cat. 4)La statua è stata ricavata da un’essenza tenera: il legno di tiglio (fig. 25). La preparazione a base di gesso e colla,spessa circa 900 micron, è stata applicata in tre diverse stesure (fig. 26). Il marrone del manto è stato ottenutomescolando ocra rossa, minio, nero d’ossa, nero carbone e biacca; segue una lumeggiatura a base di bianco disan Giovanni, biacca e ocra rossa (fig. 27). L’incarnato è caratterizzato dalla presenza di uno strato di adesivosteso sulla preparazione, segue una stesura a base di biacca e poca ocra rossa (fig. 28).

San Francesco riceve le stigmate (cat. 10)La statua è stata realizzata con legno di tiglio. Lo strato preparatorio (spessa circa 350 micron) è caratterizzatodalla presenza di diverse stesure di gesso e colla. Il marrone del saio è composto da un primo strato pittoricoa base di terra di Siena, biacca e poco cinabro, ed un secondo strato costituito da terra di Siena, nero carbone,biacca e bianco di San Giovanni (fig. 29).

Santa Filomena (cat. 16)La statua è stata ricavata da legno di tiglio; lo strato preparatorio gessoso di notevole spessore è caratterizzatodalla presenza di due stesure a granulometria differente. Il manto rosso presenta una complessa stratigrafia:un primo strato a base di ossidi di piombo (minio/litargirio) e cinabro, un secondo strato a base di biacca eterra ricca in ferro, segue una doratura con lamina d’oro, un altro strato sottile a base di cinabro, ossidi dipiombo (minio/litargirio) e ocra, ancora uno strato di biacca e terra, un adesivo e una doratura discontinua inlamina d’oro a bassa lega, ricoperta da una vernice (fig. 30). Nel campione prelevato dal basamento è presenteil bolo, a base di terre, sul quale è applicata una foglia d’argento (fig. 31).

Compianto ai piedi della Croce (cat. 2)Le statue di Cristo, Madonna dolente e San Giovanni Evangelista, facenti parte del gruppo scultoreo, sonotutte realizzate in pioppo (fig. 32) e hanno una preparazione, il cui spessore è di circa 200 micron, a base digesso e poco bianco di San Giovanni.Cristo crocefisso: nel campione prelevato dal perizoma, su un’imprimitura a base di biacca, si osserva un primostrato realizzato con gesso, biacca e silicati, uno strato composto da biacca e bianco di San Giovanni, infinedue pennellate a base di biacca, azzurrite, particelle di ocra e bianco di San Giovanni (fig. 33). Nel campioned’incarnato, sopra l’imprimitura a base di biacca, troviamo uno strato composto da biacca, particelle di ocrarossa e tracce di un pigmento a base di rame, segue uno strato a base di biacca e cinabro, un adesivo, ancorauno strato di biacca e particelle di ocra rossa ed infine uno strato composto da ocra e da un pigmento a basedi rame (fig. 34). Sulla superficie pittorica è presente una vernice piuttosto scura.Madonna dolente: nel campione verde prelevato dalla parte interna del manto della statua, sopra le tracce di unaprobabile imprimitura a base di biacca, bianco di San Giovanni e silicati, è presente una prima stesura con unpigmento a base di rame (resinato/acetato), un secondo strato composto da un pigmento a base di rame e ar-senico (probabilmente Paris green) e biacca, un terzo strato contente ossidi di piombo, pigmento a base di ar-senico e zolfo (orpimento), nero carbone ed un pigmento a base di rame (acetato/resinato) (fig. 35). Il campioneazzurro, prelevato dall’esterno del manto, presenta una stesura molto comune nella quale, a uno strato di ocrarossa e nero carbone, è stato sovrapposto uno strato più spesso di azzurrite e poco bianco di San Giovanni,al fine di caricare l’effetto cromatico desiderato; è presente poi un terzo strato grigiastro a base di biacca, smal-tino, azzurrite e rare particelle di ocra rossa (fig. 36). L’incarnato è composto da un primo strato a base dibiacca, poche e fini particelle di ocra rossa e bianco di San Giovanni, un adesivo e una stesura di biacca, un ul-timo strato a base di ocra rossa e minio (fig. 37). Sulla superficie pittorica è presente una vernice piuttostoscura.San Giovanni Evangelista: nel campione prelevato dal manto rosso della statua è evidente la presenza di un’inca-mottatura sulla quale è stata stesa la preparazione. La pellicola pittorica è piuttosto complessa: il primo stratoè a base di ossidi di piombo (minio/litargirio), cinabro e ocra rossa, il secondo strato è a base di ocra rossa eminio, il terzo strato è composto da biacca e lacca, il quarto strato è stato realizzato con ossidi di piombo

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Note1 - M. L. Amadori, P. Baraldi, S. Barcelli, G., Poldi, 2012, New studies on Lorenzo Lotto’spigments: Non-invasive and micro-invasive analyses. In atti del Congresso Nazionale di archeo-metria AIAR, Modena 22-24 febbraio 2012, CD. 2 - I campioni di policromia sono stati studiati all’ESEM con la collaborazione di LauraValentini del Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA),Campus Scientifico “Enrico Mattei”, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.3 - Per l’identificazione delle specie lignee ci sia è avvalsi della collaborazione di ChiaraCapretti (IVALSA-CNR).4 - R.J Gettens and G.L. Stout, Painting materials – A short encyclopaedia, Dover ed., 91-181, (1966); M. Menu, E. Itié, E. Ravaud, M. Eveno, E. Lambert, E. Laval, I. Reiche, R.

Mazzeo, M. L. Amadori, I. Bonacini, E. Joseph, S. Prati, G. Sciutto, Examination of theUomini Illustri: looking for the origins of the portraits in the Studiolo of the Ducal Palace of Urbino.Part I. In Studying Old Master Paintings: Technology and Practice. Marika Spring (Ed.).Archetype Publications. London, 37-43; (2011); R. Mazzeo, M. Menu, M. L. Amadori,I. Bonacini, E. Itié, M. Eveno, E. Joseph, E. Lambert, E. Laval, S. Prati, E. Ravaud, G.Sciutto, Examination of the Uomini Illustri: looking for the origins of the portraits in the Studioloof the Ducal Palace of Urbino. Part II, in Studying Old Master Paintings: Technology andPractice. Marika Spring (Ed.). Archetype Publications. London, 44-51, (2011); M. L.Amadori, P. Baraldi, S. Barcelli, G., Poldi, New studies on Lorenzo Lotto’s pigments: Non-in-vasive and micro-invasive analyses. In atti del Congresso Nazionale di archeometria AIAR,Modena 22-24 febbraio 2012, CD.

(minio/litargirio) e ocra rossa (fig. 38). Nel campione prelevato dalla veste verde è presente una sottile impri-mitura a base di biacca, segue un primo strato composto da un pigmento a base di rame (resinato/acetato), unsecondo strato realizzato con biacca, pigmenti a base di rame (azzurrite/malachite e resinato/acetato di rame),tracce di cinabro e bianco di San Giovanni, un terzo sottile strato verde a base di biacca, acetato/resinato dirame, bianco di San Giovanni e terra verde, un quarto strato costituito da ossidi di piombo (minio/litargirio)e ocra rossa (fig. 39). Nel campione di incarnato, sopra l’imprimitura a biacca, si trova un primo strato a basedi biacca, minio, cinabro e ocra rossa, un secondo strato a base di biacca e cinabro, un terzo strato a biacca,bianco di San Giovanni e ocra rossa, un quarto strato composto da biacca, bianco di San Giovanni, ocra rossae poco cinabro ed infine uno strato bruno a base di terra di Siena (fig. 40). Sulla superficie pittorica è presenteuna vernice piuttosto scura.

La Pietà tra i Santi Sebastiano e Cristoforo (cat. 9)Le tavole sono state ricavate da legno di pioppo e hanno una spessa preparazione a base di gesso con pochisilicati. L’aureola della Vergine è contraddistinta da due stesure color nocciola realizzate con biacca, terra abase di allumo-silicati ricchi in ferro e bianco di San Giovanni, segue uno strato a base di biacca e solfato dibario (fig. 41). L’incarnato del Cristo è costituito da uno strato di notevole spessore (650 micron) a base dibiacca, ocra rossa e minio, segue uno strato irregolare a base di biacca e solfato di bario (fig. 42).

MARIA LETIZIA AMADORI

SARA BARCELLI

Fig. 40. Micrografia incarnato, (cat. 9) Fig. 41. Micrografia aureola, (cat. 9) Fig. 42. Micrografia incarnato, (cat. 9)

Fig. 37. Micrografia incarnato, (cat. 2) Fig. 38. Micrografia manto, (cat. 2) Fig. 39. Micrografia veste, (cat. 2)

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I DELICATI EQUILIBRI DI FORZE IN UN DIPINTO SU TELA

L’uso di dipingere su tela è documentato da tempi remotis-simi. Tra le più antiche testimonianze disponibili in Italia è

il frammento di tessuto dipinto del IV millennio a.C. conser-vato al Museo Egizio di Torino1. Ancora di ambito egizianosono le tele dipinte dal Fayum, anch’esse spesso prive di stratipreparatori2. Tale modalità esecutiva, ampiamente documen-tata in Europa in epoca storica3, porta l’attenzione su una ca-ratteristica fondamentale dei dipinti su tela: la flessibilità delsupporto. Cennino4 raccomanda di realizzare strati preparatorimolto sottili a gesso e colla e di utilizzare tele sottili e fitte, per-ché un dipinto con tali caratteristiche resta flessibile. Vasari5

propone una mestica a base di olio di noce, farina e biacca persostituire la preparazione a gesso, allo scopo di mantenere unabuona flessibilità nonostante i maggiori spessori degli strati pit-torici a olio e della tela.

Se questa caratteristica specifica rende la pittura su tela una tra le tecniche più diffuse, al punto che il termine “tela”arriva a essere usato come sinonimo di “dipinto”, porta con sé cause di degrado non condivise con le altre tecnicheartistiche tradizionali: la relativa agevolezza del trasporto, la semplicità dello smontaggio dal telaio e dell’arrotolamento,sono spesso causa di danni importanti. La necessità di comprendere le cause del degrado meccanico dei dipinti sutela ha portato ad alcuni studi importanti negli ultimi decenni. Infatti, flessibilità e cedevolezza del supporto com-portano tutta una serie di complicazioni che richiedono la comprensione di dati fondamentali resi a volte poco ac-cessibili da preconcetti ben radicati. La questione di fondo risulta spesso sorprendente per i non addetti ai lavori, ma è molto semplice: i materiali con cuiè realizzato un dipinto su tela cambiano talmente con umidità e temperatura da finire per non somigliare più a séstessi, in diverse condizioni ambientali. Il materiale che mostra le variazioni più macroscopiche è la colla animale, cheaumenta il proprio peso del 30% passando da secco ad umido e passa dallo stato di solido rigido e vetroso in ambiente

Fig. 1. Confronto tra il cretto di una pellicola pittorica a olio ricca di terre (dettaglio dal dipinto cat. 5) e quello di un terreno alluvionale argilloso

Fig. 3. La biacca del sottile strato con cui è raffigurato il merletto dellatovaglia ha stabilizzato gli strati sottostanti grazie alla migrazione di ionimetallici attivi (dettaglio dal dipinto cat.5)

Fig. 2. Differenza di cretto tra strati con terre e strati con biacca (dettaglio dal dipinto cat. 5)

Aspetti strutturali della conservazione dei dipinti su telaANTONIO IACCARINO IDELSON

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secco allo stato di gelatina morbida e deformabile assorbendoumidità dall’aria. La colla animale è da sempre usata come ap-pretto, ed è dunque lo strato che seve a rendere la tela meno as-sorbente, a limitare il passaggio della preparazione attraverso latrama e a proteggere la cellulosa del filato dall’acidità dell’oliousato come legante degli strati pittorici. Un cambiamento cosìdrastico delle caratteristiche meccaniche della colla animale si-gnifica che l’intero dipinto reagirà in modo diverso a una solle-citazione, in base alle condizioni ambientali in cui questaavviene. Una forza di trazione applicata a un materiale resistentema sottile arriverà a romperlo senza averlo deformato molto.La stessa forza applicata a una gelatina causerà una grande de-formazione.Anche gli altri componenti fondamentali, e cioè gli strati pittoriciad olio, la tela e il telaio in legno, cambiano le loro caratteristichein modo rilevante e con conseguenze a volte molto evidenti.Gli strati pittorici a olio sono considerati in genere la parte nonsensibile all’umidità, appunto perché realizzati con olio, ma inrealtà l’umidità li modifica in modo sostanziale. Questo è dovutosia alle caratteristiche chimiche dell’olio dopo la polimerizza-zione, sia alla presenza al suo interno di grandi quantitativi dipigmenti. L’olio polimerizzato assorbe umidità dall’ambiente6

fino a variare il proprio peso del 5-10%; se la biacca e gli altripigmenti bianchi scambiano pochissima umidità, le terre e leocre arrivano a variare il proprio peso del 10%. Uno strato diolio con terra d’ombra ha dunque un significativo aumento dipeso quando l’umidità si alza, ma quel che è più importante èche rigonfia: arriva a cambiare dimensioni fino al 2,5%, che si-gnifica più di due cm per ogni metro.Dunque la pellicola pittorica di un dipinto a olio cambia dimen-sioni seguendo le condizioni ambientali, e questo è accompa-gnato da variazioni di resistenza meccanica in modo analogo aquanto succede con la colla animale. Le differenze più signifi-cative a seconda delle campiture riguardano la presenza di ionimetallici attivi all’interno dello strato. Infatti gli studi di MarionMecklenburg presentati alla Cleaning Conference di Valencia nel20107 hanno dimostrato che la presenza di tali ioni attivi (tra ipiù rilevanti lo ione Piombo) riduce molto le variazioni dimen-sionali legate all’assorbimento di umidità, riduce la solubilità eaumenta la resistenza meccanica dello strato. La cosa più ina-spettata che questo studio dimostra è che gli ioni di Piombopossono migrare durante la polimerizzazione in strati contiguiche ne contengano meno, modificandone le caratteristiche. Il dipinto raffigurante La visione di San Giovanni da Capestrano (cat.5) è un esempio eccezionalmente chiaro di questo fenomeno. Gli strati preparatori bruni, molto sensibili alle variazionidi UR, hanno un comportamento che ricorda da vicino quello delle argille in natura (fig. 1). Gli strati pigmentati concolori chiari presentano un cretto molto meno accentuato (fig. 2). La presenza di bianco di Pb nel merletto della to-vaglia, così sottile da essere quasi trasparente, è sufficiente a modificare il comportamento dello strato sottostante fa-cendolo risultare identico a quello degli strati ricchi di biacca (fig. 3). L’intensità della forza che si esprime con ilrigonfiamento dei colori contenenti terre è dimostrata anche dal loro cretto su supporti rigidi come il rame o l’ardesia.In fig. 4 il dettaglio di un dipinto su rame del Domenichino nella Cappella di S. Gennaro del Duomo di Napoli: nel-l’opera che raffigura i Fedeli guariti con l’olio della lampada, si vede chiaramente il cretto preferenziale di alcune ombredel panneggio di una figura in primo piano, nonostante la presenza stabilizzante del supporto in rame.

Fig. 4. Dettaglio del dipinto su lastra di rame del Domenichino: I fedeli guariti con l’olio dellalampada (Duomo di Napoli). Gli strati pittorici contenenti terre sono crettati nonostante la presenza stabilizzante del supporto rigido, mentre quelli contenenti ioni metallici attivisono in perfetto stato di conservazione

Fig. 5. Il cretto con bordi ripiegati di strati pittorici ricchi di terre, che hanno delaminato la corposa collatura applicata a una tela sottilissima (dettaglio dal dipinto cat. 15)

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Tornando al comportamento della colla animale, il dipinto di Ofena che rappresenta L’educazione della Vergine sommaal comportamento appena descritto per le terre quello di un importante strato di collatura della tela, che quasi sosti-tuisce la preparazione su una tela molto fitta e sottile. Nel dettaglio in fig. 5 si vede come il cretto generato dal mo-vimento delle terre abbia lacerato lo strato di colla reso gelatinoso dall’alta umidità: i movimenti dello strato pittoricosono continuati senza più il vincolo della tela, da cui il sollevamento dei bordi. Sebbene in genere lo strato di collapresente in un dipinto abbia uno spessore molto limitato, a questo sono associate forze importanti. Uno strato dicolla da 12 micron (poco più di un centesimo di millimetro) largo un pollice (ca. 25 mm) è in grado di generare unaforza di 800 grammi durante l’essiccazione8: si tratta di valori talmente elevati da risultare prevalenti su ogni altraforza in gioco, quando l’umidità ambientale ha un valore normale o basso.Le fibre con cui è realizzata la tela, prese singolarmente hanno un comportamento simile a quello del legno, perchéassorbendo umidità rigonfiano aumentando di diametro9. Un filo è però costituito di fasci di fibre ritorti, avvolti suloro stessi nel processo di filatura, e questo cambia il comportamento del manufatto. Infatti, quando le fibre rigonfianoil loro movimento è limitato dalla presenza di quelle contigue, e possono spostarsi solo su un lato dell’asse neutro delfilato. Tale limitazione si risolve in una spinta laterale che impone un accorciamento del filo per fare spazio alle fibre:dunque il filo diventa più spesso, come ci si aspetterebbe, ma anche più corto. I fili tessuti per realizzare la tela subi-scono un secondo livello di limitazione di movimento, in tutto analogo al primo ma su una scala più macroscopica,per cui il rigonfiamento dei fili della tela causa aumento di spessore ed anche accorciamento nelle due direzioni delpiano. Il comportamento di un tessuto cellulosico in presenza d’umidità è esperienza di dominio comune, ed è sfrut-tato per migliorare le caratteristiche della tela su cui dipingere: quando questa è tesa sul telaio e bagnata, i fili subisconouna forte tensione che li riordina ed elimina le piccole irregolarità della tessitura. L’intensità della tensione che sigenera in questo processo causa l’aumento delle dimensioni della tela, che una volta asciutta risulta lenta sul telaio.L’ultima volta che questo processo è ripetuto sulla tela prima dell’applicazione degli strati preparatori o pittorici, perbagnarla è usata una soluzione acquosa di colla animale. Come a questo punto sarà facile comprendere, la sua essic-cazione impone una tensione alla tela nonostante questa si sia estesa per la ripetizione dello stress da umidità com-binato al vincolo su telaio. Dunque, quando aumenta l’umidità, un tessuto collato perde tensione perché la collaaumenta di volume e rivela quel rilassamento della tela che era stato nascosto dalla sua contrazione10. Il telaio ligneo aumenta dimensioni assorbendo umidità, quindi fornisce tensione aggiuntiva alla tela che si sta allen-tando con il rilassamento della colla, cosa che in parte bilancia il livello di tensione complessivo. Durante le fasi dibassa umidità, l’essicazione della colla e degli strati pittorici causa una contrazione del dipinto, e il conseguenteaumento di tensione è limitato dalla contrazione del telaio ligneo. L’equilibrio complessivo tende a restare accettabilese i processi avvengono lentamente11, e quando non si superino valori estremi di UR in basso o in alto12. Le situazionipericolose restano quelle descritte poc’anzi, legate ad aumenti di tensione o rigidità dei materiali, causati da rapidevariazioni di umidità o di temperatura, o al permanere di valori elevati di umidità, pericolosi anche perché favorisconogli attacchi biologici e microbiologici. Ad alte umidità, i materiali che compongono il dipinto sono molto vulnerabilialle sollecitazioni meccaniche, perché l’acqua assorbita li rende deformabili. Questa caratteristica è da sempre sfruttatanel restauro, ad esempio per modificare la forma di strati pittorici molto crettati. A basse umidità invece i materialicostitutivi diventano rigidi e fragili, e questa fragilità li rende nuovamente vulnerabili alle sollecitazioni meccaniche,sebbene per motivi opposti.

IL CASO PARADIGMATICO DEL DIPINTO DI CAPESTRANO

Un dipinto come La visione di San Giovanni da Capestrano (cat. 5), da sempre montato sul suo telaio fisso, tende a man-tenere un certo equilibrio tensionale anche se l’impossibilità di modificare le dimensioni del telaio potrebbe oggi fareapparire la situazione poco idonea alla sua conservazione. Le principali cause di danno, identificabili con l’osservazionedel cretto, sono legate a valori di umidità troppo alti che hanno causato il rigonfiamento e la deformazione degli straticontenenti pigmenti igroscopici e privi di ioni metallici attivi. La colla animale è stata a lungo in forma rigonfiata, senon gelificata, contribuendo al distacco di tali strati pittorici. La permanenza della colla ad alti valori di umidità hacausato una sua progressiva disorganizzazione, facendole perdere la capacità di contribuire alla tensione della tela.Questa si è allentata anche per i dissesti del legno del telaio, spaccato negli incastri inferiori e nella traversa.L’intervento è consistito dunque nel risanamento della struttura lignea, senza smontare il dipinto. Gli strati pittoricisono stati umidificati localmente in modo da sfruttarne lo stato plastificato13 per ridurre la deformazione del cretto.L’adesione è stata migliorata con infiltrazioni localizzate di colla di storione al 5% in acqua, contestuale all’interventodi miglioramento della superficie. Terminate tali operazioni necessarie alla messa in sicurezza delle problematiche più

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gravi, la debole adesione degli strati preparatori è stata migliorata su tutto il dipinto mediante un’applicazione di colladi storione al 5% in acqua.La colla di storione è un adesivo molto puro (è stato preparato partendo direttamente dalle vesciche natatorie delpesce essiccate) e non è prodotto industrialmente da scarti di macellazione come le altre colle proteiche. La sua notaefficacia come adesivo consente di utilizzarne soluzioni molto diluite, depositando nel dipinto piccoli quantitativi diprodotto. Inoltre, ad alte umidità conserva caratteristiche meccaniche accettabili e quantificate in più di 3 volte quelleresidue per una colla di pelli di elevata qualità14.La contrazione della colla di storione, conseguente all’evaporazione dell’acqua con cui era stata applicata, ha consentitodi restituire alla tela una tensione accettabile ed uniforme, con ogni probabilità paragonabile a quella che il dipintoaveva in origine.

EVOLUZIONE VERSO IL TENSIONAMENTO ELASTICO

La storia recente ci ha abituati alla necessità di fornire ai dipinti un tensionamento meno variabile e dipendente dallecondizioni ambientali. Si tratta di una tendenza che ha radici profonde nella cultura artistica europea, se i telai a espan-sione angolare sono un’invenzione della metà del XVIII secolo15, come anche la necessità di dipingere su una telaperfettamente planare e priva di asperità che ne facciano percepire la presenza come supporto fisico del dipinto16.Inoltre, la sempre maggiore frequenza con cui i dipinti erano impregnati17 e foderati, testimoniata dal Decalogo (1777)di Pietro Edwards che al punto VII prescrive di “sfoderare [i dipinti] che ricevono pregiudizio dalle fodere antiche”, trasforma idipinti restaurati in strutture molto più resistenti di quanto non fossero in origine, e capaci di sostenere tensioni piùforti. I sistemi di espansione angolare permettono di aumentare le dimensioni del telaio senza smontare il dipinto. Allon-tanando i lati per coppie parallele la tela si estende ma, essendo il dipinto inchiodato lungo i bordi, è necessario solle-citare molto le zone angolari della tela per arrivare a dare tensione sufficiente al centro. Negli angoli, infatti, la forza sidispone in diagonale a causa della prossimità di due lati contigui e la tensione arriva a valori altissimi18. Il telaio si tra-sforma, da elemento rigido di riferimento in struttura a geometria variabile con angoli aperti sottoposta a sollecitazionimolto superiori nonostante la maggiore fragilità degli angoli. Il sistema, che pur si propone come soluzione ai problemidi planarità, continua però a essere soggetto alle variazioni dimensionali dei materiali costitutivi in funzione dei valorid’umidità e temperatura. Per questo motivo la tensione continua a oscillare tra valori eccessivi o insufficienti, ed è cor-retta periodicamente con la battitura delle biette causando un progressivo allargamento del telaio e quindi del dipinto.

Fig. 6. Sezione di un telaio rifunzionalizzato con l’inserimento di un controtelaio di rinforzo (disegno di Carlo Serino)

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Le biette sono instabili negli angoli, per cui già dalla seconda metàdel XIX sec. si trova traccia di brevetti di sistemi di espansione avite. Del 1875 è il primo brevetto noto19 per un sistema di espan-sione angolare a molle. La differenza è notevole, sebbene il sistemasia sempre basato sul principio dell’espansione angolare: le mollesono negli angoli a posto delle biette, e liberano dalla necessità dicontrollarle periodicamente. Purtroppo però la rigidità eccessivadelle molle usate impediva alla tela di comprimerle, per cui l’espan-sione costante del telaio finiva a volte per causare lacerazioni dellatela prima nella zona angolare e poi lungo l’intero margine di chio-datura, condannando il brevetto ed il principio stesso alla diffidenza.Di fatto si trattava sempre, nonostante le molle, di un sistema contutti i problemi legati all’espansione angolare, come tutti i telai similiinventati e brevettati in seguito.Roberto Carità, coinvolto da Cesare Brandi nell’avventura dell’Isti-tuto Centrale per il Restauro tra il ‘54 e il ‘60, introdusse due im-portanti novità nel rapporto tra telaio e dipinto. La prima fu diseparare la funzione di sostegno da quella di tensionamento, utiliz-zando un telaio fisso con i bordi arrotondati su cui far scorrere latela messa in tensione con un sistema di molle poste sul retro. Laseconda fu di utilizzare un margine di tela libera per rendere piùomogenee le tensioni imposte al dipinto. Queste novità, anche se accolte solo trent’anni più tardi, permiserodi misurare la forza di tensionamento del dipinto20 e di conservareil telaio originale rifunzionalizzandolo all’interno di un sistema ela-stico21.

RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE ELASTICA DEI TELAI

ORIGINALI

ANTONIO IACCARINO IDELSON, CARLO SERINO

Il metodo utilizzato è dunque un’evoluzione del sistema di Carità,messa a punto in questa forma da Equilibrarte nel 200322 e già pub-blicata in varie modalità di applicazione. Con questo metodo sonostati rifunzionalizzati telai di opere con formati ed esigenze moltodiverse, da dipinti leggeri e fragili come un pastello su tela di Bol-dini23 a dipinti a soffitto grandi e pesanti come quelli del Palazzoducale dei Borgia in Spagna24. Si tratta di un sistema versatile, chepuò essere adattato ad esigenze disparate tenendo conto delle ne-cessità specifiche dell’opera.

I telai sottili e fragili sono stati rinforzati con l’aggiunta di un controtelaio in rovere su cui sono montati gli elementidel sistema elastico, mentre per i telai più ampi e robusti questi sono stati montati direttamente sul retro. Il bordo discorrimento, in legno di pioppo rivestito di teflon, è stato montato sul bordo esterno, o sulle facce del telaio nei casiin cui il dipinto andrà reinserito in una nicchia e quindi non era possibile aumentarne le dimensioni (fig. 6).I telai sono stati puliti, disinfestati e consolidati, integrati nelle mancanze strutturali con legno della stessa specie.Alcuni, come il telaio di La Strage degli innocenti (cat. 6), hanno richiesto di intervenire su instabilità strutturali con so-luzioni più complesse. Il raccordo tra la centina e i montanti, e quello tra i due elementi della centina erano talmenteinfragiliti da richiedere un supporto aggiuntivo, che è stato realizzato con coppie di staffe in carbonio da 4 mm dispessore accoppiate con viti passanti. Per minimizzare l’impatto sul materiale originale, queste sono state realizzatesul calco in silicone delle parti da assemblare, laminando sottovuoto con resina epossidica più strati di un twill di car-bonio da 380 g/mq (figg. 7 e 8). I sistemi di tensionamento elastico impiegano molle molto cedevoli25 perché il dipinto sia sempre in grado di imporrele proprie variazioni dimensionali, e la forza in gioco abbia un valore il più possibile costante26. Il valore di tensione

Fig. 7. Rappresentazione schematica delle staffe in carbonio realizzate per rinforzare le connessioni del telaio (realizzato per il dipinto cat. 6) (disegno di Carlo Serino)

Fig. 8. Colatura della resina epossidica nello stampo in silicone per la laminazione sottovuoto delle staffe in carbonio usate per irrobustire le connessioni del telaio(realizzato per il dipinto cat. 6)

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è stato scelto individualmente per ogni dipinto, in funzione del suostato di conservazione, dello spessore e del peso del dipinto, dellapresenza di una foderatura (cfr. tabella 1). La scelta del valore ditensione è un momento cruciale nella storia conservativa di un di-pinto, che normalmente è affidata all’intuito del restauratore e, nonessendo quantificabile con i metodi tradizionali, finisce per restarenel novero delle operazioni non comunicabili e quindi non ripetibili(tab. 1). Appare dunque chiaro come la definizione di “giusto valore di ten-sione” vada basata su una valutazione che tenga conto di più fattori,privilegiando in ogni caso un equilibrio che consenta al dipinto dicontrarsi quando le condizioni ambientali lo richiedano, per evitareche le tensioni arrivino a generare nuove discontinuità negli stratipittorici o deformazioni viscoplastiche nel supporto. Questa complessa valutazione è stata oggetto di una ricerca,descritta nel libro “Tensionamento dei dipinti su tela. La ricerca del valore di tensionamento”27, che ha portato allapossibilità di operare una scelta che può essere condivisa anche nella sua quantificazione, ed ha fornito dati di riferi-mento. In questa ricerca, le prove di resistenza alla deformazione (analoghe alla pressione esercitata con la mano suldipinto per valutarne la tensione, ma realizzate con appositi strumenti di misura) hanno portato all’individuazione diun valore definibile “massimo tensionamento utile”. Infatti, aumentando la forza con cui è teso sul telaio, il dipintosi oppone alla deformazione (la resistenza alla spinta della mano per valutare la tensione) con una forza che non au-menta come ci si potrebbe aspettare: oltre una certa soglia di tensione (tra 2 e 2,5 N/cm) la resistenza a deformazionesi stabilizza, rendendo inutile l’uso di una la tensione maggiore. Questo valore è stato confermato da un sondaggiotra i restauratori operanti sul territorio italiano: alla richiesta di mettere in tensione lo stesso dipinto (a parità di con-dizioni di contorno), ca. 150 colleghi hanno risposto con un valore di tensione che è stato misurato, e la media piùrappresentativa dei dati ottenuti si è attestata su 1,8 N/cm.

Note1 - A. M. DONADONI ROVERI: Arte della tessitura. Quaderni del Museo Egizio, Electa 2001p. 35.2 - E. DOXIADIS, The Mysterious Fayum Portraits, Thames and Hudson, London, 1995.3 - C. VILLERS (ed.) Lining Paintings. Papers from the Greenwich Conference on comparative lining tech-niques. Archetype, London, 2003. 4 - Il Libro dell’arte, Capitolo CLXII.5 - Le Vite, Della Pittura, Cap XXXIII.6 - I dati numerici sul comportamento reologico dei materiali citati da qui in avanti (trannequando diversamente indicato) sono tratti da sperimentazioni condotte da Marion Mecklen-burg presso la Smithsonian Institution di Washington, in corso di pubblicazione e utilizzaticon il suo consenso. 7 - Cleaning 2010. New insights into the cleaning of paintings. May 26-28, 2010. Atti in corso dipubblicazione, c.so st.8 - M. MECKELNBURG, Meccanismi di cedimento nei dipinti su tela: approcci per lo sviluppo di protocolliper il consolidamento Collana “I Talenti”, Il Prato editore, Padova, 2007, pag. 27.9 - Il rigonfiamento delle fibre cellulosiche comporta anche un allungamento assiale, dientità tale da risultare ininfluente nel comportamento generale del filato e della tela.10 - Ciononostante, non è raro che una tela si contragga con l’aumento di UR causando in-stabilità o addirittura espulsione degli strati pittorici. Nella maggior parte dei casi si tratta ditele che non avevano subito un processo di bagnatura e collatura come quello descritto,come quelle preparate con gelatine fredde o con sistemi industriali. Questo tipo di danni ètipico delle tele preparate a partire dal XIX sec.11 - I tempi di reazione dei materiali sono diversi, ma quando le variazioni sono di tipo sta-gionale hanno una gradualità tale da consentire ‘l’adattamento non traumatico della struttura. 12 - Nonostante le prescrizioni contenute negli “Standard Museali” (art. 150, comma 6,D.Lgs. n. 112/1998), l’esperienza insegna che una forchetta accettabile per il dipinti su telavede UR tra 40 e 65%. Per T il discorso può essere più complesso, ma i valori tipici di unambiente abitato sono generalmente innocui, purché le variazioni siano graduali. 13 - Come si è detto, ad alti valori di UR e T il materiale diventa soggetto a deformazionipermanenti (o plastiche). Nel grafico stress/deformazione si potrebbe vedere come si ab-bassa il punto di snervamento e si riduce il suo modulo elastico.14 - M. MECKELNBURG 2007, op. cit. pag. 63. 15 - H. Verougstraete sostiene in: VEROUGSTRAETE-MARCQ, H; VAN SCHOUTE, ROGER, Ca-dres et supports dans la peinture flamande aux 15e et 16e siècles. Heure le Romain 1989, che si possa

definire la data della loro invenzione intorno al 1755, perché citate come una novità dal mo-naco benedettino Anton Pernety nel suo “Dictionnaire” del 1757, ed in base allo studio deitelai del pittore della scuola di Anversa P. J. Verhaghen (1728-1811) che iniziò ad usare telaia biette dal 1760. 16 - Vedere in proposito: G. CAPRIOTTI: Piano e superpiano come luogo della raffigurazione pittoricain: G. CAPRIOTTI, A. IACCARINO IDELSON: Il tensionamento dei dipinti su tela. Nardini 2004.17 - Illuminanti in proposito e ricette di de Mayerne.18 - M. MECKLENBURG: Some aspects of mechanical behaviour of fabric supported canvas paintings,National Museum Act, 1982. E poi: G. ACCARDO, G. SANTUCCI, M. TORRE: Sollecitazioni mec-caniche nei dipinti su tela: ipotesi su alcuni metodi di analisi e di controllo. In: “Atti della ConferenzaInternazionale Prove Non Distruttive”, Viterbo, 1992, pp. 37-52.19 - J. P. WRIGHT and D. W. GARDNER. Canvas stretchers, Patented Jan. 19, 1875, n. 15910220 - La questione è stata affrontata per la prima volta in modo organico dall’ICR con il re-stauro del S. Gerolamo di Caravaggio nel 1990: G. ACCARDO, A. BENNICI, M. TORRE, Ten-sionamento controllato della tela, in: Il San Gerolamo dì Caravaggio a Malta. Dal furto al Restauro,Istituto Centrale per il Restauro, Roma, 1991, pagg. 31-36.21 - Il sistema è pubblicato per la prima volta in: A. IACCARINO, Dipinti su tela, una propostaper conservare i telai originali. in Materiali e Strutture, anno VI, n° 2, 1996, Roma: pp 85 – 9322 - Brevetto dell’Amministrazione della Provincia di Viterbo, Antonio Iaccarino Idelson eCarlo Serino.23 - La prima applicazione pubblicata del metodo è in: A. IACCARINO IDELSON, C. SERINO,Il tensionamento e la rifunzionalizzazione del telaio originario, in: Guardare ma non toccare. Il pastellobianco di Giovanni Boldini, a cura di P. Borghese e B. Ferriani, Kermes, n. 57, 2005.24 - C. SERINO, A. IACCARINO IDELSON, I. GIRONÉS SARRIÒ, La rifunzionalizzazione elasticadei telai e la ricollocazione dei dipinti nella Galeria Dorada. In: Actas del Congreso internacional de re-stauracion de pinturas sobre lienzo de gran formato, Valencia, 26-28 ottobre 2010, Universitat Poli-tècnica de València, 2010.25 - Molle realizzate con realizzate in acciaio inox 302, diametro spira: 8 mm, diametro filo1,1 mm, lunghezza avvolgimento 43 mm. Costante elastica media: 1 N/mm; precarico: 8N.26 - Se la molla è cedevole, va allungata molto per raggiungere la forza scelta e le variazionidimensionali del dipinto saranno poco significative in confronto all’allungamento impostato,per cui si avranno oscillazioni di forza molto contenute. 27 - CAPRIOTTI, G., IACCARINO IDELSON, A., Tensionamento dei dipinti su tela. Nardini Editore2004.

Tabella 1. Il valore di tensionamento scelto per ogni dipinto

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Tav. XIV. Castel Del Monte (AQ), via Clemente, 2012

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Casa editriceGabbiano Srl· Ancona

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Grafica e impaginazioneClizia Pavani

Finito di stampare nel mese di settembre 2012Bieffe Industria Grafica - Recanati (AN)

È vietata la riproduzione dell’opera o parte di essa con qualsiasi mezzo se non espressamente autorizzata dall’editoreISBN: 978-88-905347-5-1

REFERENZE FOTOGRAFICHE

Tutte le immagini delle opere prima, durante e dopo il restauro e di diagnostica sono state realizzate da STEFANO MARZIALI

Archivio dell’Università di Urbino

Archivio del Comune di Castel del Montep. 31, tav. XI; p. 170, tav. XIV

Archivi Soprintendenza BSAE dell’Abruzzopp. 36-37; p. 94, fig. 1; p. 106, fig. 1

MAURO CONGEDUTI

pp. 10-11, tav. I; pp. 16-17, tav. IV; p. 21, tav. VIpp. 24-25, tav. VIII; p. 28, tav. X

MARTA VITTORINI

p. 19, tav. V; p. 22, tav. VII; p. 27, tav. IX; p. 32, tav. XII; p. 53, fig. 2

LUCA DI SALVO

p. 57, cat. 3

ANTONIO IACCARINO IDELSON

p. 164, fig. 1, fig. 2, fig. 3; p.165, fig. 4, fig. 5; p. 168, fig. 8

Si ringrazia GINO DI PAOLO per le immagini a p. 13, tav. II; p. 15, tav. III; p. 35, tav. XIII

L’editore è a disposizione degli aventi dirittoper le fonti iconografiche non identificate e si scusa per eventuali, involontarie inesattezze e omissioni

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