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UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA FACOLTÀ DI DESIGN E ARTI CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN ARTI VISIVE E DELLO SPETTACOLO Retouch to Fix riflessioni sulla manipolazione della fotografia digitale ELABORATO FINALE Laureando: Francesco Fraioli Laboratorio d’arte 5 Diretto dal prof. Maja Bajevic Anno Accademico 2004-05 sessione autunnale

Retouch to Fix

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Page 1: Retouch to Fix

UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA

FACOLTÀ DI DESIGN E ARTI

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN

ARTI VISIVE E DELLO SPETTACOLO

Retouch to Fix

riflessioni sulla manipolazione della

fotografia digitale

ELABORATO FINALE

Laureando: Francesco Fraioli Laboratorio d’arte 5

Diretto dal prof. Maja Bajevic

Anno Accademico 2004-05

sessione autunnale

Page 2: Retouch to Fix

Indice

3 Premessa

5 Scheda tecnica

6 Motivazioni

11 Dall’ideazione alla realizzazione

16 Aspettare, andare, altrove

20 Ciò che resta del viaggio

21 Memoria familiare

25 Considerazioni conclusive

27 Immagini

31 Bibliografia

31 Filmografia

32 Abstract (italiano)

33 Abstract (inglese)

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Page 3: Retouch to Fix

Premessa

Questa relazione è una riflessione su un progetto realizzato

nell’ambito del laboratorio d’arte 5, tenuto dalla prof. Maja

Bajevic, durante il secondo periodo didattico dell’anno

accademico 2004/2005.

Il percorso di lavoro del laboratorio aveva l’intento di

analizzare il tema della “rivolta”. Mi sono quindi avvicinato

alla questione prendendo in considerazione un problema

personale, un’ossessione, da cui volevo uscire o che quantomeno

volevo comprendere.

Registrare e catalogare immagini, fotografie o testimonianze

materiali del vissuto mi spinge sempre ad esaminare le

problematiche della reminiscenza. Durante questo laboratorio ho

portato avanti una ricerca sulla memoria e i mezzi che noi

possediamo per costruirla.

“Rivolta” intesa come punto di partenza per riflettere su due

possibilità di pensiero: manipolare coscientemente un ricordo, o

lasciare che questo si trasformi autonomamente con il tempo.

Poter scegliere i propri mezzi di archiviazione: mi chiedo se è

necessario dipendere ciecamente da testimonianze fisiche della

nostra storia, perdendo così la fiducia nei propri sistemi

mentali di reminiscenza.

Ho lavorato al progetto con la fotografia e il ritocco digitale

dell’immagine creando dei falsi, degli scatti spogliati dei

particolari o manipolati, per mettere in discussione le

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possibilità che abbiamo di poter interagire sulla memoria

partendo da una bugia.

Il lavoro per questo laboratorio non è stato sviluppato

nell’ambito di una esposizione o di una rassegna. Non ha ancora

preso forma in maniera definitiva perciò deve essere considerato

ancora in fase progettuale.

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Scheda tecnica

Retouch to Fix, 2005

Fotografie ritoccate digitalmente divise in tre serie;

Aspettare, andare, altrove:

1. ascensore, aspettare 2005, stampa su carta fotografica 17x13

2. passeggero, aspettare 2005, stampa su carta fotografica 17x13

3. strada, andare 2005, stampa su carta fotografica 17x13

4. treno, andare 2005, stampa su carta fotografica 17x13

5. libri, altrove 2005, stampa su carta fotografica 17x13

6. altrove, altrove 2005, stampa fotografica su tela 100x70

Ciò che resta del viaggio:

1. bicicletta, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

2. Delft, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

3. Brugges, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

4. Souvenir, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

5. Bruxelles, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

Memoria familiare:

1. 1974, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

2. 2005, 2005, stampa su carta fotografica 17x13

5

Page 6: Retouch to Fix

Motivazioni

Archiviare, catalogare ogni avvenimento che riteniamo importante,

è un modo per costruirci un percorso, una storia, avere qualcosa

da raccontare e da raccontarsi. Con questo lavoro cerco di

analizzare un’ossessione: registrare e fissare ogni singolo

evento per poterlo considerare finito.

Quando assisto ad un fatto o sono coinvolto in una situazione

costruisco mentalmente un’immagine, che mi piacerebbe potesse

descrivere al meglio quel momento, per poterla rivedere a

distanza di un determinato periodo e sorprendermi nel notare gli

eventuali cambiamenti verificatisi nel frattempo.

La fotografia, in questo caso, è uno strumento potentissimo per

giocare con il tempo e le sue conseguenze. Forse sentiamo il

bisogno di costruirci una memoria individuale per saper cosa

abbiamo fatto e chi siamo, o magari abbiamo la necessità di

scambiare i nostri ricordi con altre persone e rimemorizzarli per

poi attingere da una memoria comune.

Il rapporto con gli altri può portarci ad affrontare un problema

fondamentale: la bugia. Inventare una bugia o raccontare il falso

significa manipolare i ricordi. Un foglio di carta può

trasformarsi in un’immagine e una fotografia in una

testimonianza, ma quand’è che un frammento di tempo bloccato

sulla materia diventa memoria?

Prima di frequentare questo corso di laurea ho lavorato

saltuariamente per un negozio fotografico di sviluppo e stampa.

Mi occupavo soprattutto di ritocchi fotografici di immagini

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Page 7: Retouch to Fix

logorate dal tempo. La richiesta spesso era quella di apportare

modifiche alle persone o all’ambiente impressionati sulle foto.

La maggior parte delle immagini riguardavano fotografie molto

vecchie e rovinate: spesso queste venivano utilizzate per

epigrafi e necrologi.

La tecnica che uso per il ritocco digitale, è il campionamento di

zone che circondano un particolare: attingo colore, luce e altre

caratteristiche da un determinato settore, e le trascino sopra al

dettaglio che voglio cancellare o modificare. Il cursore del

mouse quindi si sdoppia in un settore che campiona e in un altro

che distribuisce quel campione; in questo modo si ha la

sensazione di dipingere su un’immagine fotografica, ed è molto

forte la consapevolezza di manipolazione materica, pur lavorando

con un software per computer.

Fig. 1 Fig. 2

7

Page 8: Retouch to Fix

In questo caso nella figura 1 è rappresentato un momento

intermedio della ricostruzione, le gambe della sedia nel bianco

non esistevano, sono state create copiando la gamba della sedia

in luce vicino a quelle della bambina più grande e ne è stata

modificata la misura deformandone la grandezza per creare

l’effetto prospettico. Per quanto riguarda il pavimento e lo

sfondo è stato usato il campionatore sfumandolo il più possibile,

così da uniformarne meglio l’aspetto. L’effetto finale è

piuttosto verosimile, seppur ricco di errori e imperfezioni, come

ad esempio la mancanza dell’ombra sotto la sedia. Questo comunque

non ha deluso il proprietario della foto, poiché l’importante era

che il tassello rovinato nella memoria di una famiglia potesse

tornare a funzionare. Ciò che tengo a sottolineare è che non ho

mai ricevuto critiche dai committenti, anzi erano tutti

entusiasti nel vedere come la sedia si fosse magicamente

ricostruita.

La ‘ricostruzione’, nel caso di un volto, era molto più difficile

e allo stesso tempo era più sorprendente la reazione delle

persone che osservavano un proprio parente ‘restaurato’.

Come nel caso del Marito (figura 3, pag. 8), un’immagine a cui

tengo molto, poiché è come se l’avessi creata da zero.

Quest’immagine, di cui non possiedo più l’originale, è il primo

lavoro da cui parte la mia riflessione. Prima di ritoccarla era

un’immagine distrutta, risultava impossibile distinguere lo

sguardo e l’espressione della bocca. Ciò che poteva aiutare nella

‘ricostruzione’ di questo volto erano le ombre. Prendendone

piccolissimi campioni e lavorando in maniera dettagliata, ho

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Page 9: Retouch to Fix

trascinato e allungato le parti più scure del viso come con un

pennello, inventando parti dei lineamenti che erano completamente

andate perse.

Fig. 3, Marito (2002)

Inevitabilmente l’immagine creata è un volto nuovo, e il

risultato non poteva che essere un ‘altro’ uomo. Ho chiamato

questa immagine Marito proprio perché mentre la creavo pensavo a

sua moglie; temevo che nella fotografia non ritrovasse più una

persona cara. Invece anche in questo caso il lavoro è stato

apprezzato, anche nel momento in cui avevo cercato di forzare il

gioco, interagendo su un ricordo altrui.

Dopo questa immagine ho interrotto la mia collaborazione con quel

negozio fotografico. Mi sembrava di entrare troppo nell’intimità

di una persona. Modificando lo sguardo o l’espressione di un suo

9

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parente ero consapevole del fatto che l’immagine ‘ricostruita’ si

sarebbe radicata nella memoria effettiva di quella famiglia.

Questa è stata la mia rivolta nei confronti della manipolazione

fotografica digitale: rifiutare il ritocco delle memorie altrui

per costruire bugie che rispecchiano solo quello che si vorrebbe

che fosse.

Quando facciamo una fotografia con una macchina analogica

entriamo in un ambiente buio, oscuro, in cui ci focalizziamo su

quello che vogliamo fissare, come se fossimo in un altro ambiente

e da una fessura guardassimo la realtà. Mentre utilizziamo la

tecnologia digitale siamo nella realtà, e fotografiamo la realtà,

vediamo due piani ben distinti, il concreto e la sua immagine su

uno schermo. Anche la posizione è molto diversa, possiamo

allontanare la macchina da noi, trasformarla quindi in una

protesi che ci permette di vedere oltre un ostacolo in tempo

reale. Ma il punto fondamentale è che nel momento dello scatto

non compiamo un gesto definitivo. Non dobbiamo aspettare che il

risultato compaia sulla carta per accorgerci che qualcosa non va

(come nel caso dell’analogico), ma possiamo già valutare se è

necessario fare ancora scatti, o se correggere qualche incertezza

con l’uso del computer. Non esiste probabilmente un rapporto tra

camera oscura e computer, perché la consapevolezza di poter

sistemare qualsiasi errore, porta ad una fotografia che perde il

senso di essere tale. Questa si avvicina sempre di più al

montaggio cinematografico, come se le foto fossero fotogrammi di

un video da cui scegliamo quelli venuti meglio.

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Dall’ideazione alla realizzazione

Leggendo La camera chiara di Roland Barthes, ci si rende conto

dell’importanza del particolare in una fotografia, poiché un

semplice elemento parziale, che viene bloccato in un’immagine

fotografica, potrebbe rappresentare un puntum, vale a dire un

segno che colpisce, o come dice Barthes: “…quella fatalità che,

in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)”1. Ciò che

differenzia la nostra capacità di costruire il ricordo di un

avvenimento accaduto è che, oltre a bloccare un’immagine di quel

frangente, inconsciamente registriamo anche con tutti gli altri

sensi gli stimoli che l’ambiente circostante emana.

Quindi la fotografia ha il potere di emulare il vissuto visivo,

ma allo stesso tempo di riattivare i nostri sensi alla vista di

un dettaglio, che dentro di se porta un determinato profumo, un

rumore o un gusto specifico.

Ai fini di discutere meglio il lavoro, riassumo le modalità del

ricordo e della memoria, basandomi sul testo di Daniel Schacter,

Alla ricerca della memoria.

La memoria non è un’entità singola, ma può essere divisa in

procedurale, semantica ed episodica. Con questi tre tipi di

memoria noi siamo in grado di suddividere e differenziare le

tipologie di informazione che ogni giorno immagazziniamo. Quella

procedurale ci permette di apprendere abilità e acquistare

abitudini, tutte quelle nozioni memorizzate durante un gesto o un

movimento ripetuto, che compiamo senza cercare di ricordarlo.

1 Roland Barthes, La camera chiara (pag. 28), Einaudi, Torino 1980

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Questa parte della memoria è legata quindi a un fatto meccanico.

Molto importante è la memoria semantica, che contiene la

conoscenza concettuale ed effettiva e la capacità di comunicare

attraverso un linguaggio.

Il tipo di memoria usata forse più consapevolmente è quella

episodica: il ricordo di una vicenda, di un momento passato, come

“viaggio mentale nel tempo”. Liberandoci delle immediate

costrizioni di spazio e di tempo, riviviamo il passato e

immaginiamo il futuro a piacimento.

Vi sono due modalità del ricordare, e si distinguono in memoria

di campo e memoria dell’osservatore: la prima si riferisce al

caso in cui, nell’episodio che ricordiamo, noi compariamo

nell’azione; nella seconda riviviamo quell’episodio in prima

persona. Le modalità sono condizionate dagli obiettivi che ci

prefiggiamo nel momento in cui cerchiamo di riportare alla mente

il ricordo. “Contribuite a dipingere il quadro di un evento

proprio mentre lo ricordate;”2

L’informazione visiva intensifica il ricordo poiché l’ambiente e

il contesto fisico di un evento sono fondamentali per riportarlo

alla mente, modificare una fotografia può farci ricordare

qualcosa anche quando non è mai accaduto.

Le esperienze di ogni giorno sono in stretto contatto con la

memoria a breve termine, che trattiene piccole quantità

d’informazione per brevi periodi di tempo. Questo tipo di

reminiscenza, chiamata anche memoria di lavoro, è una codifica

2 Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria (Ricordare pag.8), Einaudi,

Torino 2001

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inconsapevole - ma essenziale - delle informazioni, che può

variare di intensità rispetto a ciò che dobbiamo fissare3.

Le nostre esperienze passate, le nostre conoscenze e i nostri

bisogni hanno una forte influenza su quello che viene trattenuto

dalla mente, ecco perché a volte due persone ricordano lo stesso

episodio in maniera radicalmente diversa.

Daniel Schacter, partendo dall’analisi di prove comportamentali e

fisiologiche, scrive che i ricordi delle esperienze passate sono

naturali, inevitabili risultati del modo in cui pensiamo e

analizziamo il mondo: “… ricordiamo solo ciò che codifichiamo, e

ciò che codifichiamo dipende da chi siamo. … la memoria rientra

nel tentativo di imporre un ordine sull’ambiente.”4

Parlando di memoria in termini psichiatrici e psicologici, la

patologia detta sindrome di Korsakov è particolarmente

importante ai fini della ricerca. Nella persona affetta da

questa malattia rimangono intatte la memoria procedurale,

semantica e episodica fino al momento di una crisi che non

3 Quando dobbiamo ricordarci un numero di telefono, lo codifichiamo solo

superficialmente poiché una volta composto sul telefono non è detto che debba

rimanere come ricordo durevole. La nostra memoria a breve termine non riesce a

registrare più di sette cifre. Se volessimo ricordarci un numero di telefono

per molto tempo dobbiamo memorizzarlo grazie ad una codifica più profonda,

dando quindi un significato alle cifre, associandone le parti ad attitudini

personali o a similitudini con altri numeri. Questa si chiama codifica

elaborativa che permette di integrare nuove informazioni con quelle già a

nostra disposizione.

Le teorie di Schacter sono condivise anche da altri studiosi nel campo della

psicologia. Per esempio, nello studio di una patologia come la sindrome di

Korsakov, il pensiero di Schacter si avvicina molto a quello di Oliver Sacks

nel romanzo L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. 4 Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria (Costruire i ricordi pag.42),

Einaudi, Torino 2001

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permette più di acquisire nuove informazioni. La lesione

dell’apparato procedurale e di quello semantico comporta il

disagio di non poter più apprendere o imparare nuove operazioni.

L’incapacità invece di immagazzinare memoria episodica va a

influire sul vissuto della persona, che rimane bloccata all’

interno di una manciata di minuti.

Alcuni studi fatti sul cervello umano, in questo ambito, si sono

concentrati su una struttura chiamata ippocampo. I pazienti

affetti dalla sindrome di Korsakov, presentano anomalie nella

rete che si crea tra alcuni settori del lobo temporale mediale e

l’ippocampo. Una lesione a questa struttura comporta il transito

di pochissime informazioni e una grave perdita della memoria

delle esperienze recenti.

Questo processo viene descritto anche dal romanzo di Oliver

Sacks L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, e

soprattutto dal racconto Il marinaio perduto5, che narra la

storia di un paziente, di nome Jimmie, affetto dalla sindrome di

Korsakov presso la casa di cura per anziani in cui lavora Sacks.

Per Jimmie non esiste un giorno prima; non è consapevole della

tragica perdita in se stesso. Sacks aveva notato in lui una

abilità nei giochi e nei rompicapo veloci, era chiaro che

desiderava ardentemente qualcosa da fare, voleva un senso, uno

scopo da raggiungere. Ma un uomo colpito da questa sindrome può

svolgere un lavoro normale? Quali erano per Jimmie i momenti di

uscita da quel meccanismo difettoso di sequenze e tracce prive

5 Il marinaio perduto, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, (pag.

44), gli Adelphi, Milano 2001

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di senso? Durante l’atto spirituale della Comunione cristiana,

ad esempio, ritrovava se stesso, era totalmente trattenuto e

assorbito da un sentimento. Almeno per un attimo il tempo si

fermava anche per lui.

Per Sacks un uomo non consiste di sola memoria, ma anche di

sentimenti, volontà, e sensibilità. Nella musica e nell’arte

ogni momento si riferisce ad altri momenti e li contiene6.

Il rapporto tra menzogna e verità è relativo, una bugia

raccontata a Jimmie è inefficace, per il semplice fatto che è un

malato inconsapevole, non può architettare dei trucchi per

costruirsi una memoria. Una foto manipolata da lui stesso

diventerebbe dopo pochi secondi verità, perché non si

ricorderebbe di aver fatto quell’azione7.

6 “Se Jimmie era per breve tempo preso da qualcosa, un compito, un rompicapo,

un gioco, un calcolo, trattenuto entro il loro stimolo puramente mentale, non

appena li aveva risolti si perdeva, precipitava nell’abisso del suo nulla,

nella sua amnesia. Ma se era trattenuto in un’attenzione spirituale ed emotiva

– quando contemplava la natura o l’arte, quando ascoltava la musica, o

partecipava alla messa nella cappella – l’attenzione, il suo stato d’animo, la

sua calma duravano per un certo tempo e allora c’era in lui una pace e una

pensosità che riscontravamo raramente o mai negli altri momenti della sua vita

nella casa di cura.” Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un

cappello (pag. 63), gli Adelphi, Milano 2001 7 Un esempio cinematografico di un malato consapevole della sindrome di

Korsakov si può trovare nel film Memento(USA 2001), di Christopher Nolan, in

cui il protagonista della vicenda, si aiuta tatuandosi messaggi sul proprio

corpo, fotografando e catalogando le persone e gli ambienti, per crearsi delle

tracce. E’ costantemente alla ricerca di vendetta dell’uomo che ha ucciso sua

moglie e gli ha procurato la crisi. Un poliziesco, quindi, che si basa su

prove false, su bugie che egli costantemente racconta a se stesso tramite le

foto, poiché la vendetta è l’unico ricordo che gli è rimasto.

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Page 16: Retouch to Fix

Questi sono i punti da cui parte il lavoro che ho svolto.

Il progetto si divide in tre gruppi di immagini fotografiche:

aspettare, andare, altrove; ciò che resta del viaggio; memoria

familiare.

Aspettare, Andare, Altrove

Prima di tutto ho compiuto una ricerca sui diversi tipi di

avvenimenti che noi consideriamo più o meno importanti per essere

archiviati nell’arco di una giornata. Nella prima parte del

lavoro ho pensato alle varie situazioni in cui possiamo trovarci

nel nostro vivere quotidiano, concentrandomi sui momenti

d’attesa, che possono essere i pretesti per pensare, dormire, o

semplicemente guardare. Una volta analizzate queste situazioni le

ho ricreate simulando fotografie casuali e veloci, fingendo che

lo scopo fosse raccogliere frammenti più che fermare istanti (e

questo è il primo passo per la manipolazione del ricordo).

Ho catalogato questi scatti in tre gruppi:

Aspettare: consiste in fotografie scattate nei luoghi di attesa

quotidiana come in ascensore o in macchina. In questa serie, ho

modificato alcuni particolari pensando all’attesa, come un

momento che può portare ad una maggior intimità e riflessione

rispetto al luogo in cui ci troviamo, quindi l’immagine deve

contenere la possibilità di essere esplorata nei suoi dettagli.

In questo caso ho lasciato traccia degli oggetti presenti nello

spazio e in fase di ritocco ne ho cambiato leggermente l’aspetto.

Prendiamo ad esempio l’immagine passeggero (fig.4, pag.27). Il

luogo mantiene tutti i suoi elementi: i cd nel vano porta-oggetti

della macchina, la sciarpa appoggiata sul sedile, il tappetino,

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la portiera con tutte le sue funzioni, e il finestrino che lascia

intravedere all’esterno il retro di un’altra macchina

parcheggiata. Tutti questi oggetti sono stati ritoccati.

L’intento era quello di forzare la situazione di una attesa,

volevo trasformare la foto per creare un’atmosfera statica,

ispirato molto dalle situazioni dei quadri di Edward Hopper. In

questo caso però non ci sono personaggi e protagonisti isolati e

il taglio dell’immagine dirige lo sguardo del fruitore fuori dal

fulcro della foto, lontano dal sedile del passeggero inesistente.

Andare: treno e macchina sono i mezzi che uso quotidianamente per

muovermi durante una giornata tipo, il treno appartiene a ricordi

mattutini e pomeridiani, mentre la macchina ad un immaginario

molto più serale e notturno.

In questa categoria il concetto è molto legato alla precedente

aspettare. Anche in questa fase si è in un momento d’attesa, però

il paesaggio che ci accompagna è in continuo cambiamento, dalla

partenza all’arrivo. Qui è molto forte il rapporto tra paesaggio

interno, della macchina o del treno, e quello esterno.

Nell’immagine treno (fig. 5, pag.27) ho fotografato un luogo di

passaggio tra una carrozza e un’altra; in questo scatto ho

enfatizzato il movimento del paesaggio che scorre fuori dal

finestrino, che si contrappone ad un ambiente interno calmo e

immobile, a cui sono stati tolti tutti i dettagli della struttura

della cabina (viti, chiodi, targhette, etc…) per rendere ancora

più evidente la contrapposizione interno/esterno, ma anche per

entrare maggiormente in contatto con quell’ambiente, esplorare

tutti i punti più nascosti, sottolineando così i giochi di luce,

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Page 18: Retouch to Fix

non più ostacolati dai piccoli elementi e perciò liberi di

disegnarsi nello spazio.

Nella foto per strada (fig. 6, pag.28) il rapporto tra paesaggio

esterno ed interno è meno esaltato, anzi, in questa immagine ho

cercato di omogeneizzare i colori ed appiattire la profondità,

tanto da far sembrare anche l’abitacolo della macchina in

movimento.

Grazie al fatto di ritoccare le fotografie scattate in maniera

molto veloce, nei momenti meno importanti della giornata, mi sono

accorto di quanto familiari fossero alcuni particolari e dettagli

che guardo ogni giorno, e di come una volta cancellati si

memorizzino con più facilità, come se si notassero maggiormente

nel momento in cui vengono rimossi.

Altrove: la figura 7 (pag. 28) racconta di un momento d’estrema

sospensione, l’attimo del risveglio, in cui sappiamo di essere

svegli ma sentiamo che non è ancora il momento giusto per

alzarsi. L’obiettivo era ricostruire un immagine che riassumesse

quel momento così rapido ma ricco di sfumature; in questo caso

non sono stati tolti i particolari dalla fotografia, ma sono

stati aggiunti. Ho cercato di trasformare le lenzuola del mio

letto in un paesaggio che dentro di sé racchiudesse le sensazioni

del deserto, del mare, del latte, delle nuvole. Sottolineando

quel momento e non ricreandolo.

Questa immagine è stata influenzata dalla lettura di Lo straniero

di Albert Camus. Ero rimasto affascinato da come il personaggio

del romanzo scontasse la sua pena in carcere: l’unica evasione

era basata sul pensiero, sul ricordo.

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Page 19: Retouch to Fix

“A volte mi mettevo a pensare alla mia camera e, con immaginazione,

partivo da un angolo per ritrovarvi enumerando mentalmente tutto ciò

che trovavo sulla strada. In principio era una cosa presto fatta. Ma

ogni volta che ricominciavo era un po’ più lungo. Perché mi

ricordavo di ogni mobile e, per ciascuno di essi, di ogni oggetto

che vi si trovava e, per ogni oggetto, di tutti i particolari, e

anche per i particolari, di una fessura o di un bordo

sbocconcellato, del loro colore e della loro grana. Allo stesso

tempo cercavo di non perdere il filo del mio inventario, di fare

un’enumerazione completa. Di modo che dopo qualche settimana potevo

passare ore intere senza far altro che enumerare quel che si trovava

nella mia stanza. E così più riflettevo e più tiravo fuori dalla mia

memoria cose sconosciute e dimenticate. Allora ho compreso che un

uomo che fosse vissuto un giorno solo potrebbe senza difficoltà

vivere cento anni in una prigione. Avrebbe abbastanza ricordi per

non annoiarsi. Da un certo punto di vista questo è un vantaggio.”8

Meursault, il protagonista di questo romanzo, è una persona che

vive in uno stato di indifferenza verso i rapporti umani e le

situazioni, ma la circostanza con cui si troverà a fare i conti,

quella di un omicidio volontario, non può essere presa con

estraneità e freddezza. L’uccisione di un uomo sembra essere il

primo gesto ingovernabile e improvviso che Meursault compie nella

sua vita. Durante il processo, non giustifica l’atto compiuto e

non cerca di difendersi, ma assiste estraneo al suo giudizio. La

sera prima della sua esecuzione pensa alla madre defunta e alle

sue ultime notti passate nell’ospizio. Comprende che forse

8 Albert Camus, Lo straniero (pag. 97), Tascabili Bompiani, Milano 2002

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Page 20: Retouch to Fix

provava le sue stesse sensazioni: sentirsi pronti di rivivere

tutto, pur avendo capito la dolce indifferenza del mondo.

Uno degli scopi del mio lavoro è quello di creare delle immagini

che non mi facciano perdere le sensazioni di un luogo e cercare

di fissarle osservandole veramente e non solo archiviandole.

Ciò che resta del viaggio

Uno dei fattori più importanti per analizzare il tema della

memoria fotografica è il viaggio. Quando ci si trova nei panni di

un viaggiatore si è in una situazione extra-quotidiana. Risulta

più evidente il fatto che ciò che vediamo e proviamo è una

situazione unica e irripetibile. A questo punto diventa

importante la traccia di documentazione che riportiamo a casa, e

soprattutto è necessario che tutto corrisponda esattamente a ciò

che abbiamo visto. Come didascalia dei nostri racconti, la

fotografia da viaggio è strettamente legata ai rapporti con gli

altri.

Applicando lo stesso metodo del foto-ritocco alle fotografie da

viaggio, questo si trasforma da ricerca sul particolare familiare

e scoperta degli elementi che caratterizzano la quotidianità, a

costruzione di un altro luogo, un luogo che esiste solo nelle

nostre foto.

La figura 8 (pag. 29) rappresenta la fotografia di una piazza

nella città olandese di Delft. Questa era esattamente l’immagine

che volevo di quel luogo, come se fosse la sintesi di quella

città. Per ottenerla ho dovuto cancellare e modificare moltissimi

elementi, ad esempio le persone che camminavano vicino ai negozi,

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Page 21: Retouch to Fix

il braccio di una gru che compariva proprio sopra alla facciata

delle case, ed altri particolari che disturbavano la scena.

Rispetto al lavoro precedente, qui mi avvicino di più ad una

esigenza turistica collettiva della foto. La forza mediatica

della cartolina è molto forte nella nostra cultura, l’immagine

deve riassumere al meglio il luogo in questione. La fotografia in

rapporto al souvenir. Rendere un luogo come si vorrebbe che

fosse, in questo caso è giustificato. L’operazione compiuta

rispetto al luogo è legittimata.

Allora ho cercato di fare un passo avanti, ho fotografato una

vetrina con in mostra dei souvenir e l’ho spogliata di tutte le

caratteristiche dei prodotti. L’ho denudata del prodotto ma non

dell’oggetto, senza il marchio o una scritta questa fotografia

(fig. 9, pag. 29) raffigura solo un’esposizione di materia.

Memoria Familiare

La maturazione di un ricordo. Quanto tempo ci vuole perché una

sensazione diventi ricordo? Uscendo un attimo dall’ambito del

visivo, mi piacerebbe entrare in quello olfattivo, uno dei sensi

maggiormente legato alla reminiscenza.

Una cosa che mi ha fatto particolarmente riflettere, a proposito

del tema della memoria, è un racconto di Primo Levi intitolato I

mnemegoghi9, narra la storia di un farmacologo che compie delle

ricerche sulla possibilità di trovare un mezzo efficace e

universale per la reminiscenza del passato. Crea in laboratorio

dei suscitatori di memoria, ossia delle fialette contenenti un

9 Storie naturali da Primo Levi, I racconti. (Storie naturali, Vizio di forma,

Lilìt), Einaudi, Torino 1996

21

Page 22: Retouch to Fix

odore in grado di risvegliare in noi un ricordo, e di farlo

rivivere grazie all’olfatto, ricreando in un istante la

situazione e le altre sensazioni di quel momento specifico.

Come nei mnemegoghi di Levi10, il processo di maturazione di un

ricordo è legato agli stimoli provenienti da un ambiente e da uno

stato d’animo specifici. Questi agiscono ripetutamente su di noi

finché non cessano per un tempo abbastanza lungo. Questa è la

questione: a volte mi chiedo quanto tempo sia necessario per

rivedere una foto e capire se sta facendo effetto sulle mie

emozioni. Riprendendo il discorso da un punto di vista

fotografico, la mia ossessione è quella di capire qual’è il

momento giusto per archiviare una foto perché poi questa sia di

maggiore effetto.

Restringendo il campo all’ambito familiare, le foto raccolte

negli album di famiglia vengono per la maggior parte scattate a

testimonianza delle fasi significative nel percorso di un

parente. Tuttavia suscitano un grande interesse quelle che non

riusciamo a collocare nel tempo, le immagini che di solito non

sono attaccate, ma che magari teniamo tutte raccolte in fondo

all’album.

10 Il lavoro svolto da Primo Levi in campo letterario è assolutamente

caratterizzato dal tema della memoria. Nei romanzi più conosciuti come Se

questo è un uomo e I sommersi e i salvati, Levi vuole testimoniare un fatto

che riguarda la collettività, i meccanismi umani della sopravvivenza, e

dell’oppressione: bisogna ricordare è importante che non venga dimenticato.

Levi porta con sé queste analisi nei racconti Storie naturali, Vizio di forma,

e Lilìt, dove emerge, attraverso la descrizione di situazioni inverosimili e

ironiche, il comportamento umano in rapporto all’ambiente.

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La terza e ultima fase del mio lavoro (pag. 24) analizza queste

immagini, partendo dall’archivio fotografico della mia famiglia.

La mia attenzione è caduta su una foto di mio padre

ventiquattrenne, seduto in terrazzo fuori da casa sua. Era stata

scartata dall’album perché leggermente sfuocata e a causa della

particolare angolazione da cui era stata presa. Chi ha scattato

questa foto era in giardino, il terrazzo è leggermente sollevato

da terra. Mio padre vive ancora in quella casa e il giardino, le

ringhiere del terrazzo, le imposte di legno hanno odori che

associo solo a quel luogo. Vedendo raffigurato in quel contesto

mio padre così giovane, è come se quelle sensazioni non

appartenessero più a me. Ho deciso quindi di ricostruire ora

quella foto esattamente cosi com’è, dallo stesso punto e con lo

stesso soggetto.

Siamo davanti a due ambienti completamente identici, nei quali

vive la stessa identica persona, è solo il tempo che cambia il

contenuto dell’immagine, e soprattutto cambia il fotografo, cioè

chi guarda quella persona. L’immagine iniziale (fig. 10, pag. 30)

era per me una suggestione del passato, di un momento in cui non

ero presente. Ricostruendola (fig. 11, pag. 30), ho portato

all’annientamento la fotografia originaria che ormai non può

vivere senza l’altra. Come nelle Cosmicomiche di Italo Calvino

sono davanti ad un Ti con zero11, da cui posso immaginare, sulla

linea del tempo, tutte le possibili varianti che però

inevitabilmente arrivano ad un “T con n”, ovvero l’istante che ho

11 Italo Calvino, Tutte le cosmicomiche, Mondatori, Milano 1997

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ricostruito12. Roland Barthes riguardava la foto di sua madre

trovando il puntum dell’immagine in un’espressione e in un

particolare che lo commuoveva perché a posteriori vedeva

nell’espressione di una bambina l’ultima espressione di una donna

anziana.

Ritorno a guardare mio padre, e vorrei sfuggire alla possibilità

di essere io stesso dentro a questo accadimento, che anche a me

possa succedere di sovrappormi a me stesso. Ma mi accorgo che è

ciò che sto già facendo con la macchina fotografica, che sono

stato io a creare con questo strumento digitale quella

sovrapposizione.

12 T con zero, Tutte le comismicomiche, Italo Calvino.

Nel racconto l’autore analizza la possibilità di fermarsi in un secondo di

tempo universale; Calvino ipotizza una continua dilatazione del tempo e dello

spazio verso il punto massimo, e il successivo riavvolgimento dello stesso

fino al momento dell’origine, e quindi la ripetizione di uno stesso momento

più volte. Arriva alla conclusione che ogni elemento esistente e avvenimento

globale è unico in ogni secondo, ma sarebbe inutile fermarsi dentro ad uno di

questi istanti, poiché per viverlo veramente bisognerebbe comprendere gli

secondi passati e futuri.

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Page 25: Retouch to Fix

Considerazioni conclusive

Questo è stato il mio tentativo: fermare un determinato secondo

nella linea del tempo e modificarlo pensando di creare un altro

istante simile, ma falso. Lavorare, quindi, su una situazione

rettilinea. Che senso avrebbe il mio lavoro se la riflessione di

Calvino fosse vera, se comunque gli istanti che si sovrappongono

sono continuamente diversi? Raccontare una bugia è un atto

intenzionale, con cui noi inevitabilmente costruiamo un evento

futuro e automaticamente lo archiviamo come avvenimento vissuto.

La mia riflessione vuole sottolineare la possibilità enorme che

la nostra società ha di costruire bugie e diffonderle. La

fotografia digitale è uno di questi mezzi, ma non l’unico. Il

fatto di archiviare numerose quantità di immagini nei nostri

computer è un fattore importante: ci sembra di poter contenere la

nostra storia perfettamente ordinata e a portata di mano. Ciò

invece rispecchia l’instabilità della nostra società: in un

istante “T con zero” si possono perdere quantità enormi di

memoria digitale; in un istante “T con uno” può accadere un fatto

a distanza di chilometri che, attraverso la manipolazione

digitale dello spazio, tocca molto di più di un avvenimento

vicino. La rete dei rapporti umani si è dilatata oltre ogni

frontiera geografica, tutto quello che produciamo viaggia in

questa rete. Il potere mediatico di una bugia può quindi avere

risultati molto più ampi. Questo è il problema che ho cercato di

sottolineare. Fino a questo punto ho elaborato il mio pensiero in

un ottica strettamente individuale, domestica e familiare, ma

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Page 26: Retouch to Fix

ritengo che questo possa essere un punto di partenza per

riflettere su un sistema globale, che può essere compreso solo

partendo dal comportamento umano e dalle sue esigenze.

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Immagini

Fig. 4, passeggero (Aspettare), 2005

Fig. 5, treno (Andare), 2005

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Fig. 6, per strada (Andare), 2005

Fig. 7, altrove (altrove), 2005

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Fig. 8, Delft (ciò che resta del viaggio), 2005

Fig. 9, Souvenir (ciò che resta del viaggio), 2005

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Fig. 10, 1974 (memorie familiari), 2005

Fig. 11, 2005 (memorie familiari), 2005

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Bibliografia

- Roland Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino 1980

- Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria, Einaudi,

Torino 2001

- Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello,

gli Adelphi, Milano 2001

- Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Net, Milano

2002

- Albert Camus, Lo straniero, Tascabili Bompiani, Milano 2002

- Primo Levi, I racconti. Storie naturali Vizio di forma Lilìt,

Einaudi, Torino 1996

- Italo Calvino, Tutte le cosmicomiche, Mondatori, Milano 1997

Filmografia

- Blow-Up (Uk, Italia, 1966) di Michelangelo Antonioni

- Solaris (URSS, 1972) di Andrej Tarkovskij

- F for Fake (F come falso – verità e menzogne, Francia,

Germania, Iran, 1976) di Orson Welles

- Memento (Memento. Ricordati di non dimenticare, USA 2001) di

Christopher Nolan

- Eternal Sunshine of spotless mind (Se mi lasci ti cancello,

USA, 2004) di Michel Gondry

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Page 32: Retouch to Fix

Abstract (italiano)

Quando assisto ad un fatto o sono coinvolto in una situazione,

costruisco mentalmente un’immagine, che mi piacerebbe potesse

descrivere al meglio quel momento. Per poterla rivedere a

distanza di tempo e sorprendermi nel notare i cambiamenti del

mio aspetto o dell’aspetto degli altri. Forse sentiamo il

bisogno di costruirci una memoria individuale per sapere cosa

abbiamo fatto e chi siamo, o magari abbiamo la necessità di

scambiare i nostri ricordi con altre persone per attingerne di

nuovi così da creare una memoria comune.

Elaborare un’immagine attraverso il foto-ritocco, è un pretesto

per riflettere sulle possibilità che abbiamo di poter interagire

sulla memoria partendo da una bugia.

Aspettare, andare, altrove: riflessione sull’importanza dei

piccoli segni nel vivere quotidiano. Attraverso una fotografia

ritoccata, che cancella quei particolari, l’intenzione è

sottolineare la scoperta di un ricordo inaspettato.

Ciò che resta del viaggio: la manipolazione è legittima, cercare

di ricordarsi di un luogo, mentendo a noi stessi, perché

rappresenta un’ esperienza unica. L’uso della fotografia come

souvenir, l’importanza comunicativa della cartolina.

Memoria familiare: l’archivio fotografico di una famiglia è

pieno di frammenti non collocabili nel tempo. Rifare la stessa

foto, dopo un lungo tempo, cercando di mantenere più intatte

possibili le caratteristiche dell’ambiente e le persone

raffigurate, costruisce una retta sulla linea temporale che le

collega le due immagini e le sovrappone.

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Page 33: Retouch to Fix

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Abstract (inglese)

If I happen to witness an event or to get involved into a

situation, I sometime fix that very moment in my mind and build

a virtual picture of it that could describe it at its best, in

order to be able to visualize and review it afterwards and get

surprised to see all changes occured meanwhile.

Maybe it’s because everyone feels the need to create a memory

of one’s own to know what one has done and who one is, or maybe

it’s the need to store and then exchange memories with other

people and together build up a common memory to share.

The elaboration and eventual retouching of a picture is a

pretext to consider all possible interactions with memory,

starting from a fictious reality (the picture).

To wait for, to go, somewhere: reflection on the importance of

little signs in our everyday life. A retouched picture, where

those traces have been carefully cleaned up, is intended to

rediscover and highlight a unexpected memory.

What is left after a journey: any manipulation is fair and

acceptable to try to remember a place, telling ourselves lies,

because it represents a unique experience. The use of a

photograph as a memento, the importance of a postcard as a

medium of communication.

Family (or Familiar) Memory: family photo albums are full of

fragments that cannot find their own place in time. If one

decides to take the same picture once again after a long while,

trying to keep background, setting and people as much the same

as in the original picture, one can create a memory lane between

the two, overlapping them.

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Ringrazio,

per gli utili suggerimenti e le precise indicazioni:

Maja Bajevic

Marta Tolomelli

Rita Sartori

Sabrina Moretto