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[Salita del Monte Carmelo, Libro Secondo] LIBRO SECONDO TRATTA DEL MEZZO PROSSIMO PER GIUNGERE ALL'UNIONE CON DIO, CIOÈ DELLA FEDE - TRATTA ANCHE DELLA SECONDA PARTE DELLA NOTTE OSCURA, OSSIA DELLA NOTTE DELLO SPIRITO, CUI SI ALLUDE NELLA SECONDA STROFA _________________________________________________________________ (Per comodità, riportiamo anche qui, all’inizio del Libro secondo, l’argomento, la poesia e il prologo all’Intera Salita del Monte Carmelo) [La] “Salita del Monte Carmelo” , composta dal P. Fr. Giovanni della Croce, Carmelitano Scalzo, tratta del modo in cui un'anima potrà disporsi per giungere in breve all’unione con Dio. In essa, tanto ai principianti quanto ai proficienti 1 , si danno avvisi e una dottrina [insegnamenti] , molto utile affinché essi sappiano sciogliersi da tutto ciò che è temporale e non aggrovigliarsi in ciò che è spirituale, restando nella completa nudità e libertà di spirito, quale si richiede per l’unione con Dio. ARGOMENTO Tutta la dottrina che intendo trattare in questa Salita del Monte Carmelo è inclusa nelle seguenti strofe e in esse è contenuto il modo di salire fino alla cima del Monte, cioè l'alto stato di perfezione che qui chiamiamo unione dell'anima con Dio. E poiché intendo procedere fondando su di esse ciò che dirò, ho voluto porle qui insieme, affinché insieme si intenda e veda tutta la sostanza di ciò che devo scrivere; tuttavia nel corso della spiegazione converrà porre a sé ciascuna strofa ed ugualmente i versi di ciascuna di esse, secondo che lo richiederà la materia e la spiegazione. Dice dunque così: STROFE nelle quali l'anima canta la felice ventura che le toccò, di passare, attraverso la notte oscura della fede, nella sua nudità e purgazione, all'unione con l'Amato. In una notte oscura d'amorose ansie infiammata o felice ventura! uscii, né fui notata stando già la mia casa addormentata; allo scuro e sicura per la scala segreta, travestita, o felice ventura! allo scuro e celata, 1 Coloro che hanno oltrepassato il livello spirituale del principiante.

[Salita del Monte Carmelo,oratoriodeirossi.weebly.com/uploads/1/4/6/1/14614188/salita_libro_… · (Per comodità, riportiamo anche qui, all’inizio del Libro secondo, l’argomento,

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[Salita del Monte Carmelo,Libro Secondo]

LIBRO SECONDO

TRATTA DEL MEZZO PROSSIMO PER GIUNGERE ALL'UNIONECON DIO, CIOÈ DELLA FEDE - TRATTA ANCHE DELLA

SECONDA PARTE DELLA NOTTE OSCURA, OSSIA DELLANOTTE DELLO SPIRITO, CUI SI ALLUDE NELLA

SECONDA STROFA

_________________________________________________________________

(Per comodità, riportiamo anche qui, all’inizio del Libro secondo, l’argomento, la poesia e il prologo all’Intera Salita del Monte Carmelo)

[La] “Salita del Monte Carmelo” ,

composta dal P. Fr. Giovanni della Croce, Carmelitano Scalzo, tratta del modo in cui un'anima potrà disporsi per giungere in breve all’unione con Dio. In essa, tanto ai principianti quanto ai proficienti 1, si danno avvisi e una dottrina [ insegnamen t i ], molto utile affinché essi sappiano sciogliersi da tutto ciò che è temporale e non aggrovigliarsi in ciò che è spirituale, restando nella completa nudità e libertà di spirito, quale si richiede per l’unione con Dio.

ARGOMENTO

Tutta la dottrina che intendo trattare in questa Salita del Monte Carmelo è inclusa nelle seguenti strofe e in esse è contenuto il modo di salire fino alla cima del Monte, cioè l'alto stato di perfezione che qui chiamiamo unione dell'anima con Dio. E poiché intendo procedere fondando su di esse ciò che dirò, ho voluto porle qui insieme, affinché insieme si intenda e veda tutta la sostanza di ciò che devo scrivere; tuttavia nel corso della spiegazione converrà porre a sé ciascuna strofa ed ugualmente i versi di ciascuna di esse, secondo che lo richiederà la materia e la spiegazione. Dice dunque così:

STROFE

nelle quali l'anima canta la felice ventura che le toccò, di passare, attraverso la notte oscura della fede, nella sua nudità e purgazione, all'unione con l'Amato.

In una notte oscurad'amorose ansie infiammatao felice ventura!uscii, né fui notatastando già la mia casa addormentata;

allo scuro e sicuraper la scala segreta, travestita,o felice ventura!allo scuro e celata,

1 Coloro che hanno oltrepassato il l ivel lo spirituale del principiante.

stando già la mia casa addormentata.

Nella felice nottein segreto, nessuno mi vedevané alcunché io miravo,senz'altra luce e guidafuori di quella che nel cuore ardeva.

E questa mi guidavapiù certa della luce meridianalà dove mi aspettavachi ben io conoscevoin luogo ove nessuno si mostrava.

O notte che guidasti!O notte amabile più dell'aurora!O notte che hai unitol'Amato con l'amata,l'amata nell'Amato trasformata!

Sul mio petto fiorito,che per lui solo intatto si serbava,lì rimase dormienteed io l'accarezzavoe il ventaglio di cedri l'arieggiava.

E l'aura dei bastionimentre quei suoi capelli discioglievocon la mano serenanel collo mi ferivae tutti i miei sensi sospendeva.

Dimentica, acquietata,il volto reclinai sull'Amato,tutto cessò e rimasi,lasciando ogni mia cura,circondata da gigli, obliata.

PROLOGO

1. Per poter spiegare e far comprendere questa notte oscura, attraverso la quale l'anima passa per giungere alla divina luce dell'unione perfetta di amore con Dio qual è possibile in questa vita, sarebbe necessaria ben altra luce di scienza e di esperienza maggiore della mia; poiché tante e tanto profonde sono le tenebre ed i travagli sia spirituali che temporali, attraverso cui ordinariamente sogliono passare le anime felici per poter giungere a quest’alto stato di perfezione, che scienza umana non basta per saperlo intendere, né esperienza per saperlo dire; poiché solo colui che l'attraversa saprà sentirlo, ma non dirlo.

2. E pertanto, per dir qualcosa di questa notte oscura, non mi fiderò né dell'esperienza né della scienza, poiché l'una e l'altra possono venir meno ed ingannare; ma, non tralasciando d’aiutarmi con entrambe, per quanto possibile, debbo valermi - per tutto ciò che, con il favore divino, dovrò dire, almeno per ciò che è più importante ed oscuro ad intendersi - della divina Scrittura, guidandoci con la quale non potremo errare, poiché chi parla in essa è lo Spirito Santo. E se io in qualcosa errerò, non intendendo bene ciò che dirò, sia con la Scrittura che senza, non è mia intenzione discostarmi dal sano senso e dalla dottrina della santa madre la Chiesa cattolica, poiché, in tal caso, mente mi

assoggetto e sottometto non solo al suo ordine, ma a chiunque ne giudicasse con miglior ragione.

3. Il motivo che mi ha mosso non è la possibilità che vedo me per cosa tanto ardua, bensì la fiducia che ho nel Signor che mi aiuti a dire qualcosa, per la grande necessità che ne hanno molte anime. Esse infatti, iniziando il cammino della virtù, e volendo nostro Signore porle in questa notte oscura affinché traverso essa passino alla divina unione, non progrediscono; a volte non volendo entrare in essa o non lasciandovisi condurre; a volte perché non comprendono se stesse e perché mancano loro guide idonee ed esperte che le guidino fino alla cima. Così è penoso vedere molte anime alle quali Dio dà capacità e favori per progredire e che, se volessero farsi animo, giungerebbero a quest'alto stato, rimangono invece in un basso modo di rapporto con Dio, perché non vogliono o non sanno slegarsi da quegli inizi, o non si indirizzano né si insegna loro a sciogliersene. E se anche, infine, nostro Signore le favorisca tanto da farle procedere senza questi o altri modi, vi giungeranno molto più tardi, con maggior travaglio e con minor merito, non essendosi sottomesse a Dio lasciandosi porre liberamente nel puro e sicuro cammino dell'unione. Poiché, sebbene sia vero che Dio le conduce - e può condurle senza esse -, tuttavia non si lasciano condurre; così progrediscono meno resistendo a chi le conduce, e non meritano tanto, perché non applicano la volontà e con ciò stesso soffrono di più. Poiché vi sono anime che, invece di affidarsi a Dio e aiutarsi, piuttosto l'impediscono con il loro indiscreto operare o riluttare, divenendo simili ai bambini che pestano i piedi e piangono quando le loro madri vogliono portarli sulle braccia, ostinandosi a camminare con le proprie gambe, e così non possono muoversi o, se procedono, lo fanno solo al passo di bambino.

4. Affinché, dunque, sia i principianti che i proficienti sappiano lasciarsi condurre da Dio, quando egli voglia farli progredire, con il suo aiuto daremo dottrina ed avvisi, affinché sappiano capire o, almeno, lasciarsi condurre da Dio.

Infatti alcuni padri spirituali, non avendo conoscenza né esperienza di queste vie, sono soliti più intralciare e danneggiare tali anime che non aiutarle nel cammino, divenendo simili ai costruttori di Babilonia, che, avendo da usare un materiale adatto, ne davano e usavano altri molto diversi, non conoscendo la lingua, cosicché non si costruiva nulla (Gen 11 , 7 -9 ). È perciò cosa dura e penosa in tali situazioni che un'anima non si comprenda né trovi chi la comprenda; potrà infatti accadere che Dio giunga ad un'anima attraverso un altissimo cammino di oscura contemplazione e aridità e che ad essa paia di perdersi e che, stando così, piena di oscurità e travagli, angustie e tentazioni, incappi in chi le dica, come i consolatori di Giobbe (Gb 2 ,11 -13) , che si tratta di melanconia, o sconforto, o carattere, o che potrà trattarsi di qualche sua occulta malizia, per la quale Dio l’ha abbandonata; e così sono soliti giudicare che quell'anima dev’essere stata molto cattiva se le accadono tali cose.

5. E vi sarà anche chi le dirà che sta tornando indietro, in quanto non trova come prima gusto né consolazione nelle cose di Dio. E così costoro raddoppiano il travaglio della anima; accadrà infatti che la pena maggiore che essa prova sia quella della conoscenza delle proprie miserie, sembrandole di veder chiaro più della luce del giorno di star piena di mali e di peccati, poiché Dio le dà quella luce di conoscenza in quella notte di contemplazione, come poi diremo; e quando incontri qualcuno conforme al suo parere, che le dica che ciò che le accade è per sua colpa, la pena e l'angustia di quest'anima crescono senza limite fino a giungere per lo più ad uno stato peggiore della morte. E non contenti di ciò, siccome questi confessori ritengono che questo stato sia conseguenza di peccati, inducono queste anime a rivangare le loro vite ed a far molte confessioni generali ed a crocifiggerle di nuovo; non intendendo che forse quello non è tempo né di questo né di altro, ma solo di lasciarle nella purificazione nella quale Dio le tiene, consolandole ed incoraggiandole a volere ciò finché Dio lo voglia; poiché fino ad allora, per quanto esse facciano o dicano, non c'è nessun rimedio.

6. Di ciò, con il favore divino, dovremo trattare in seguito, e diremo come l'anima deve comportarsi, e come il confessore debba trattarla; e da quali indizi potrà riconoscere se quella è la purificazione dell'anima e, qualora lo sia, se si tratta della purificazione del

senso o dello spirito, il che è la notte oscura di cui parliamo, e come si potrà riconoscere se si tratta di melanconia o d'altra imperfezione riguardante il senso o lo spirito. Perché potranno trovarsi alcune anime che pensano (loro o i loro confessori) che Dio le conduca per questo cammino della notte oscura della purificazione spirituale mentre non è così, ma si tratterà forse di qualcuna delle accennate imperfezioni; e vi sono pure molte anime che pensano di non avere orazione mentre ne hanno molta, ed altre che pensano di avere molta orazione mentre ne hanno poco più che niente.

7. Ve ne sono poi altre che lavorano e faticano così tanto da far compassione, e non fanno altro che tornare indietro perché fanno consistere il frutto del progredire in ciò che non fa progredire, bensì ostacola, mentre invece altre, con riposo e quiete, vanno progredendo molto.

Altre ancora, con i medesimi doni e grazie che Dio dà loro affinché progrediscano, s'impacciano ed ostacolano e non vanno avanti. E molte altre cose accadono in questo cammino a coloro che lo seguono, e godimenti e pene e speranze e dolori; di queste cose alcune procedono dallo spirito di perfezione, altre da quello di imperfezione.

Di tutto questo, con il favore divino cercheremo di dire qualcosa, affinché ciascun’anima che legga possa, in qualche modo vedere per quale strada sta camminando e quella che le conviene seguire se intende giungere alla cima di questo Monte.

8. E siccome questa dottrina tratta della notte oscura attraverso la quale l'anima deve andare a Dio, il lettore non si meravigli se le parrà un poco oscura. Questo penso gli accadrà all'inizio della lettura; ma, andando avanti, verrà capendo meglio ciò che ha letto prima, poiché con un punto si viene chiarendo l'altro. E se poi leggerà una seconda volta, il tutto gli apparirà più chiaro di prima e la dottrina migliore. E se alcune persone non si troveranno bene con questa dottrina, dipenderà dal mio poco sapere e dal mio stile scadente, poiché la materia di per sé è buona e molto necessaria. Mi sembra però che, quand’anche scrivessi più compiutamente e perfettamente di ciò di cui tratto, non ne trarrebbero vantaggio se non pochi, perché qui non si scriveranno cose gustose e gradite per quegli spirituali che si dilettano d'andare a Dio attraverso cose dolci e saporose, bensì una dottrina sostanziale e solida, buona per chiunque voglia giungere alla nudità di spirito di cui qui si scrive.

9. Del resto il mio intento principale non è di parlare a tutti, ma ad alcune persone del nostro santo Ordine che seguono la regola primitiva del Monte Carmelo, sia frati che monache, i quali me l'hanno chiesto ed ai quali Dio faccia il dono di porli sul sentiero di questo Monte; costoro, essendo già ben spogli delle cose temporali di questo mondo, intenderanno meglio la dottrina della nudità di spirito.

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2S CAPITOLO 1

STROFA SECONDA

Nel buio, e ben sicuraPer la segreta scala, trasformata,Oh felice ventura!Nel buio, e ben celata,Stando già la mia casa addormentata.

DICHIARAZIONE DELLA STROFA

1 - In questa seconda strofa, l 'anima canta l'avventurata sorte che ebbe nello spogliare lo spirito da ogni imperfezione spirituale e da ogni appetito di proprietà nelle cose spirituali: il che fu per lei una fortuna molto più grande della precedente, a cagione della maggiore difficoltà che s’incontra nell'addormentare la casa della parte spirituale, ed entrare in

perfetta oscurità interiore, la quale consiste nello spirituale spogliamento di tutte le cose, non solo sensibili, ma anche spirituali, prendendo a sostegno la pura fede soltanto, e per suo mezzo salendo a Dio. La fede è qui chiamata segreta scala, perché tutti i gradini o articoli che essa abbraccia sono segreti e nascosti ad ogni senso ed intelletto. L'anima, quindi, resta al buio di ogni lume naturale e razionale, per salire questa divina scala della fede, che ascende e penetra fino alla profondità di Dio. Per questo ella dice che andava trasformata, cioè travestita, perché il suo abito e portamento naturale era cangiato in divino, salendo per via di fede; di modo che questo travestimento era causa che non fosse conosciuta né trattenuta dalle cose temporali, né da parte razionale, né dal demonio, perché nessuna di tali cose può far danno a colui che cammina in fede. E non soltanto questo, ma l'anima va così nascosta, coperta. e immune dalle diaboliche insidie, che cammina veramente nel buio, e ben celata, ossia celata allo sguardo del demonio, a cui la luce della fede è più che tenebre.

2 - L'anima, dunque, che procede per via di fede possiamo dire che cammini nascosta al demonio, come in seguito si vedrà più chiaramente. Dice che uscì nel buio, e ben sicura, perché colui che ha la fortuna di camminare per l 'oscurità della fede, e di prenderla come guida del cieco, uscendo da tutti i fantasmi naturali e ragioni spirituali, certamente muove il passo con grande sicurezza. Aggiunge che uscì in questa notte spirituale: stando già la mia casa addormentata, cioè la parte razionale e spirituale; perché l'anima, giunta che sia all'unione con Dio, tiene addormentate le potenze naturali, e gl'impeti e le commozioni del senso nella parte spirituale. Perciò qui non dice di essere uscita con ansie, come nella prima notte del senso; perché, per camminare nella notte sensitiva e spogliarsi di tutte le cose sensibili, bisognavano ansie di amore sensibile per uscire una buona volta; mentre, per addormentare la casa dello spirito, si richiede soltanto l'abnegazione di tutte le potenze, gusti e appetiti spirituali in pura fede. Ciò fatto, l'anima si unisce all'Amato in unione di semplicità, purezza, amore e somiglianza.

3 - Importa osservare che la prima strofa, dove si parla della parte sensitiva, dice che l'anima uscì nella Notte oscura; la presente strofa invece, parlando della parte spirituale, dice che l'anima uscì nel buio, perché le tenebre della parte spirituale sono maggiori, come il buio significa oscurità più densa di quella della notte; infatti, per quanto una notte sia oscura, pure un po' ci si vede, ma nel buio fitto non si vede nulla. Alla stessa guisa, nella notte del senso pur si vede un po' di luce, poiché resta l 'intelletto e la ragione, che non vengono accecati; mentre la notte spirituale, che è la fede, priva di ogni luce, sì nell’intelletto come nel senso. E perciò in questa notte l 'anima dice che andava nel buio, e ben celata, ciò che non disse nella precedente; quanto meno l'anima opera secondo la propria abilità naturale, tanto più va sicura, perché cammina in fede. Ciò si andrà spiegando estesamente in questo secondo libro; e sarà necessario che il devoto lettore presti attenzione, perché diremo cose assai importanti per il vero spirito: le quali, quantunque siano un poco oscure, nondimeno si potranno comprendere, credo, molto bene, dato che la spiegazione delle une spiana la via all'intelligenza delle altre.

2S CAPITOLO 2

Si comincia a trattare della seconda parte o causa della notte oscura, cioè della fede - si prova con due ragioni che questa parte è più oscura della prima e della terza

1 - Tratteremo ora della seconda parte della notte oscura, cioè della fede, che è il mezzo mirabile per tendere al termine che è Dio; il quale anche, come dicemmo, è per l'anima la terza causa o parte di questa notte, perché la fede, che è il mezzo, è paragonata alla mezzanotte. Possiamo dire, dunque, che questa parte della notte è più oscura della prima, e in certo modo, più della terza; poiché la prima, quella del senso, è paragonata al principiare della notte, quando a poco a poco scompaiono alla vista gli oggetti sensibili, ma non v'è tanta oscurità come a mezzanotte. La terza parte poi, cioè il tempo antelucano, non è tanto oscura quanto la mezzanotte, perché è ormai vicina allo spuntare del sole, ed è paragonata a Dio. Infatti, quantunque Dio sia per l 'anima una notte così oscura come la fede, naturalmente parlando; tuttavia passate che siano le tre

parti della notte, Dio comincia a illustrare l'anima soprannaturalmente col raggio del suo lume divino, (il che è il principio della perfetta unione che subito segue la terza notte) (2N 4 ,2 ): questa perciò si può dire meno oscura delle precedenti.

2 - La notte della fede è più oscura che non la prima, perché questa si riferisce alla parte inferiore dell’uomo, cioè alla sensitiva, che è più esteriore; mentre la notte della fede riguarda la parte superiore dell'uomo, cioè la razionale, più intima ed oscura, privandola della propria luce o, per meglio dire, accecandola: 2 ben si paragona, quindi, alla mezzanotte, che è il tempo della più profonda oscurità.

3 - Dobbiamo ora dunque provare come questa seconda parte che tratta della fede sia notte per lo spirito, al modo stesso che la prima lo è per il senso. Di poi diremo anche ciò che vi si oppone, e come l'anima debba disporsi attivamente per entrarvi. In quanto alla parte passiva, che consiste in ciò che Dio stesso opera nell'anima per collocarla in questa notte, ne parleremo a suo luogo, cioè nel terzo libro. 3

2S CAPITOLO 3

Come la fede è notte oscura per l'anima. - lo prova con ragioni, autorità e figure della scrittura.

1 - La fede, dicono i teologi, è un abito dell'anima certo ed oscuro. È abito oscuro, perché induce a credere verità da Dio stesso rivelate, che sono al disopra di ogni lume naturale, ed eccedono infinitamente la capacità di ogni umano intelletto. Ne deriva, quindi, che questa eccessiva luce di fede che si porge all'anima, si volge per lei in oscure tenebre, perché il più vince il meno, come la luce risplendente del sole fa scomparire ogni altra luce, e vince anche la nostra potenza visiva; poiché, qualora in pieno giorno il nostro occhio la fissasse, ne resterebbe accecato piuttosto che illuminato, essendo eccessiva e troppo sproporzionata alla facoltà visiva. Non diversamente la luce della fede, per il suo grande eccesso opprime [abbag l i a ] e vince quella del nostro intelletto, la quale di per sé si estende solo alla scienza naturale; sebbene però ha potenza4 rispetto al soprannaturale,5 quando Nostro Signore la vuole porre in un atto che sorpassi le forze della natura.

2 - Per conseguenza la nostra mente da se stessa non può sapere nessuna cosa sé non per via naturale, cioè solo per mezzo dei sensi; onde ha bisogno dei fantasmi e figure degli oggetti, presenti o in se stessi o nelle loro immagini, né può affatto acquistare cognizioni in altra maniera, poiché, come dicono i filosofi: ab obiecto et potentia paritur notizia: dall'oggetto presente e dalla potenza nasce nell'anima la cognizione. Pertanto se a qualcuno si parlasse di cose affatto a lui sconosciute, di cui neppure avesse mai veduta una qualche somiglianza in altre, per quanto gli si dicesse, non ne saprebbe più di prima. Porto un esempio. Se ad alcuno dicessimo che in una certa isola esiste un animale mai visto da lui, e non gli facessimo menzione di qualche proprietà simile a quella da lui osservata in altri animali, non potrebbe assolutamente formarsi la minima idea di quell'animale. Un altro esempio più chiaro farà comprendere meglio ciò che dico. Se ad un cieco nato si volesse far capire qual differenza passa tra il colore bianco e il giallo, per quanto si dicesse, tutto sarebbe inutile, perché non vide mai quei colori né alcunché di simile, e non può quindi averne un'idea: tutt'al più gli resterebbe impresso nella mente il loro nome, che poté percepire per mezzo dell'udito.

3 - Alla stessa maniera è la fede rispetto all’anima; essa ci propone da credere cose mai viste e comprese, né in se stesse né nelle loro somiglianze, ché non ne hanno. Dalla fede

2 La fede acceca la ragione, perché questa naturalmente è portata a conoscere le cose con chiarezza, f ino all 'evidenza: il che non avviene nelle cose di fede.3 Non il terzo Libro, bensì la Notte Oscura I ,II , parla di questo. (N. d. T.). - Cf 2N 4,2.4 “Potenza” è uguale a “capacità”: si tratta della “potenza oboedienziale”.5 Intende: potenza obbedienziale, i l potere cioè di essere abili tati dalla virtù divina a produrre atti eccedenti le forze di qualunque natura creata.

non riceviamo luce di scienza naturale, perché quello che ci dice non è proporzionato ad alcun nostro senso; lo sappiamo però per mezzo dell'udito, credendo quello che c'insegna, assoggettando e accecando il nostro lume naturale. Onde San Paolo dice: «Fides ex auditu» (R m 10, 17); quasi dicesse: la fede non è scienza che entra per qualche senso, ma è soltanto assenso dell'anima a ciò che entra per l'udito. Inoltre, la fede eccede la nostra capacità molto più di quel che non fanno capire gli esempi surriportati; perché, non solamente non produce cognizione e scienza, ma ne acceca e priva di tutte le altre scienze e cognizioni, onde si possa ben giudicare di essa. Le altre scienze con la luce dell'intelletto si acquistano; la scienza della fede invece si acquista, non con il lume dell'intelletto, bensì mettendolo in disparte per mezzo della fede, che col proprio nostro lume piuttosto si perde se non si oscura. Per questo Isaia disse: «Si non credideritis, non intelligetis» ( I s 7 , 9: secondo i «Settanta» : Se non crederete, non intenderete. È chiaro che la fede è notte oscura per l 'anima e come notte la illumina; e quanto più la oscura, tanto più di sua luce le infonde; poiché accecando dà luce, secondo il detto di Isaia: Se non crederete, non avrete luce.

4 - La fede si può paragonare a quella nube che separava i figli di Israele dagli Egiziani al momento di entrare nel Mar Rosso, della quale la Sacra Scrittura così dice: « Erat nubes tenebrosa et illuminans noctem» (E s 14 ,20 ): Vi era una nube tenebrosa che rischiarava la notte.

5 - Ed era veramente cosa ammirabile che una nube tenebrosa illuminasse la notte, per farci intendere che la fede, quantunque sia un'oscura nube per l 'anima (la quale pure è notte, perché in presenza della fede rimane cieca e priva del proprio lume naturale), tuttavia con le sue tenebre rischiara quelle dell'anima. Era conveniente che il discepolo fosse somigliante al maestro: e perciò l'uomo che si trova nelle tenebre, non può essere convenientemente illuminato, se non da altre tenebre, secondo quello che insegna il Salmista dicendo: «Dies diei eructat verbum et nox nocti indicat scientiam» (Sal 18, 3): Il giorno esprime la sua parola al giorno, e la notte comunica la scienza alla notte. Il che più chiaramente significa: Il giorno, ossia Dio nella sua eterna beatitudine, dove Egli è giorno agli Angeli e ai Santi che pur sono giorno, pronunzia e comunica loro la divina parola, che è il suo Divin Figlio, affinché lo conoscano e lo godano. E la notte, cioè la fede nella Chiesa militante, dove ancora è tempo di notte, comunica la scienza alla Chiesa, e per conseguenza a qualsiasi anima, la quale è per lei notte, poiché non gode ancora della chiara sapienza beatifica, e alla presenza della fede è priva del suo lume naturale.

6 - Pertanto, ciò che dal fin qui detto si deve ricavare, è che la fede, che è notte oscura, dà luce all'anima, che è al buio, e si verifica quello che Davide a tal proposito dice: « Et nox illuminatio mea in deliciis meis» (Sa l 138 ,11): La notte sarà mia luce nelle mie delizie. Il che è quanto dire:`nei diletti della mia pura contemplazione ed unione con Dio, la notte della fede sarà mia guida. Con le quali parole chiaramente fa intendere che l'anima deve stare nelle tenebre, per aver luce in questo cammino.

2S CAPITOLO 4

Tratta in generale come anche l'anima deve stare al buio, quanto è possibile da parte sua, per essere ben guidata dalla fede a sommo grado di contemplazione

1 - Credo di aver fatto comprendere un poco come la fede è oscura notte per l 'anima, e come anche questa deve stare all'oscuro del suo lume naturale, a fine di lasciarsi guidare dalla fede all'alto termine dell'unione divina. Ma, perché l'anima sappia far ciò, converrà ora dichiarare un po' più minutamente questa oscurità, che nell'anima si richiede per entrare nell'abisso della fede. Perciò in questo capitolo parlerò della fede in generale; in seguito, con l'aiuto di Dio, scenderò al particolare, circa il modo da usarsi per non errare in essa e non impedire la sua guida.

2 - Dico, dunque, che l'anima, per ben dirigersi quaggiù e con la scorta della fede, non solo deve restare all'oscuro secondo la parte che ha relazione con le creature e le cose

temporali, cioè la sensitiva e inferiore (di cui abbiamo già trattato), ma si deve anche accecare e oscurare secondo la parte che ha relazione con Dio e le cose spirituali, cioè la razionale e superiore di cui ora intendiamo trattare. Perché un'anima possa giungere alla soprannaturale trasformazione, è manifesto che deve offuscarsi e oltrepassare tutto ciò che conviene alla sua natura sensitiva e razionale; poiché soprannaturale vuol dire ciò che trascende i limiti della natura, la quale perciò viene a trovarsi in grado inferiore. Ora, poiché la detta trasformazione e unione è cosa che non può cadere nel senso e nell’umana abilità, l 'anima ha da rendersi vuota, in modo perfetto e volontario, di tutto ciò che secondo l'affetto e la volontà può essere contenuto in lei, per quanto è dal canto suo. In quanto poi a Dio, chi lo impedirà di fare quel che vuole in un'anima rassegnata, nuda e annichilita? Ma, ripeto, il vuoto ha da essere perfetto di maniera che, quantunque l'anima andasse ricevendo molti favori e doni soprannaturali, dovrebbe spogliarsene in quanto all'affetto, e restare all'oscuro come un cieco. Presa la fede a sua guida e luce, l'anima ad essa unicamente si appoggi, e non ad alcuna di quelle cose che intende, gusta, sente e immagina; perché tutto questo è tenebre che la faranno errare, mentre la fede è al disopra di tutte queste cose. Se in queste. non si acceca, rimanendone completamente all'oscuro, non perverrà a quel che è più, ossia a quello che la fede le insegna.

3 - Un uomo che non sia affatto cieco, facilmente non si lascia ben dirigere dalla sua guida, ma per quel poco che ci vede, pensa che sia meglio passare per la strada che vuole, perché non ne vede altre migliori; e così può far sbagliare la guida che ci vede più di lui: ché, alla fin fine, è lui che comanda, non il garzoncello che lo accompagna. Similmente, se l 'anima si appoggia a qualche sua cognizione, o gusto, o sentimento di Dio, e se non si persuade che, per quanto grande ciò fosse, sarebbe sempre troppo poco e troppo diverso da ciò che è Dio, facilmente sbaglia o si arresta nel cammino dell'unione, perché non si acceca del tutto nella fede, che è la sua vera guida.

4 - Questo volle dire anche S. Paolo, scrivendo ai Corinzi: «Credere enim oportet accedentem ad Deum quia est» (E b 11 , 6 ): Colui che vuole avvicinarsi e unirsi a Dio bisogna che creda che Egli è. Come se si dicesse: Chi vuol congiungersi in unione con Dio, non deve escogitare ragioni, né appoggiarsi al gusto o al senso o all' immaginazione, ma credere all'infinito essere divino che non cade sotto pensiero o appetito o senso alcuno, né in questa vita si può conoscere come sia; ché anzi il più sublime che quaggiù si possa intendere e gustare di Dio, dista infinitamente da ciò che Dio è nella sua essenza, e dal suo puro e pieno possesso. Isaia e S. Paolo dicono: «Neque oculus vidit, neque auris, audivit, nec in cor hominis ascendit, quae praepararavit Deus iis, qui diligunt illum» ( I s

64 , 4 ; 1C or 2 , 9 ): Ciò che Dio tiene apparecchiato per coloro che lo amano, né occhio lo vide, né orecchio lo udì, é venne mai in pensiero umano. Pertanto, se l 'anima tende ad unirsi perfettamente per grazia in questa vita con quello cui dev'essere unita per gloria nell'altra, a quello cioè che, al dire di San Paolo, né occhio vide, né orecchio udì, né mai passò in mente umana, è evidente che per unirglisi perfettamente quaggiù per grazia e amore, bisogna che stia all'oscuro di quanto può entrare per l 'occhio, e riceversi per l 'udito, e immaginarsi con la fantasia, e comprendersi con il cuore, che qui significa l’anima. Per conseguenza, l 'anima che vuol giungere all'alto stato di unione con Dio, incontra grande ostacolo allorché si affeziona a qualche suo modo d'intendere, di sentire, o d'immaginare, quando si attacca al proprio parere o volontà, o a qualsiasi altra cosa propria, e non sa distaccarsi da tutto ciò e spogliarsene interamente. La cosa a cui ella s'incammina è immensamente superiore a tutto il più ch'ella possa sapere e gustare: quindi al di sopra di tutto ciò deve far passaggio al non sapere.

5 - Nel cammino della divina unione, entrare nella strada è abbandonare la propria; o, per meglio dire, è oltrepassare i termini e modi finiti della propria natura, è un entrare in ciò che non ha modi, il che è Dio. L'anima che giunge a tale stato non ha più modi o maniere proprie, e non si attacca, né può attaccarsi a loro. Voglio dire che non ha modi d'intendere, né di godere, né di sentire, sebbene in sé contenga tutti i modi, a guisa di colui che non ha niente, ma pure tutto possiede. Se l'anima ha il coraggio di uscire dai limitati confini della sua natura, sì in quanto all'interno che all'esterno, entra nei limiti del soprannaturale che non ha alcun modo, pur comprendendo in sostanza tutti i modi.

Ond'è che entrare nel modo soprannaturale è uscire intieramente da se stesso e da quei modi bassi e naturali, verso di quello elevatissimo che sovrasta ogni altro.

6 - Per la qual cosa, oltrepassando tutto ciò che può intendere e sapere naturalmente e soprannaturalmente, l'anima deve ardere dal desiderio di arrivare a ciò che in questa vita ella non può sapere, e che non può venirle nel pensiero. E posponendo tutte le cose temporali e spirituali che gusta e sente, e che potrebbe gustare e sentire in questa vita, bisogna che aspiri con brame intense a giungere a quello che eccede ogni gusto e sentimento. Per rimanere poi libera e vuota per tal fine, in nessuna maniera si appigli a quanto per via sensibile e spirituale possa ricevere in se medesima (come spiegheremo in particolare), ma ritenga tutto per molto da meno di ciò che brama. Quanto più fa conto di quello che intende, gusta e immagina, sia spirituale o no, tanto più perde del supremo bene e più tarda ad andare a Lui; e quanto meno ella pensa che siano, rispetto al sommo bene, tutte le cose che può avere, per grandi che siano, tanto più stima quello e, per conseguenza, tanto più a Lui si accosta. In tal modo, al buio l'anima si avvicina grandemente all’unione per mezzo della fede, la quale è oscura, sì, ma le infonde luce meravigliosa. Certamente, se l 'anima volesse vedere e scrutare intorno alle cose divine, ne resterebbe abbagliata, più di colui che fissa lo sguardo a mirare l'eccessivo splendore del sole.

7 - Nel cammino dell'unione deve contentarsi di vedere la luce, accecandosi nelle sue potenze, secondo ciò che Cristo Nostro Signore dice nel Vangelo con queste parole: « In iudicium ego in hunc mundum veni: ut qui non vident videant, et qui vident caeci fiant» (Gv 9 , 39 ): Sono venuto in questo mondo per giudicare: in modo, che quelli che non vedono, vedano, e coloro che vedono, divengano ciechi. Le quali parole, così, come suonano, bisogna intenderle in relazione al cammino spirituale: l 'anima che sarà in tenebre e si accecherà nei propri lumi naturali, vedrà in modo soprannaturale; mentre chi farà assegnamento su qualche lume proprio, non farà che accecarsi e arrestarsi nel cammino dell'unione.

8 - A fine di procedere con più chiarezza, mi sembra necessario far comprendere cosa sia l'unione dell'anima con Dio; perché, capito questo, il lettore avrà molta luce di cognizione per quello che più innanzi diremo. Parlerò quindi dell'unione nel seguente capitolo, come in proprio luogo; ché, sebbene si venga a troncare il filo di quel che andiamo trattando, non credo fuor di proposito la digressione, la quale anzi non servirà che a meglio rischiarare il presente argomento. Pertanto, il capitolo che seguente sarà a modo di parentesi, posto entro uno stesso entimema, e subito poi piglieremo a trattare in particolare delle tre potenze dell'anima rispetto alle tre virtù teologali, relativamente a questa seconda notte.

2S CAPITOLO 5

Per mezzo di una compar4zione si spiega che cosa sia unione dell'anima con Dio

1 - Sono d'avviso che il lettore, per le cose già dette, abbia una qualche idea di ciò che qui vogliamo intendere per unione dell'anima con Dio; però capirà sempre meglio da quel che stiamo per dire. Non è mio intento trattare delle distinzioni dell'unione né delle sue parti, perché se ora mi accingessi a dichiarare che cosa sia l'unione dell'intelletto, della volontà e della memoria, non la finirei più. Così pure, non intendo indugiarmi a dire quale sia l'unione transeunte o passeggera, e quale la permanente in queste tre potenze dell'anima; e nemmeno quale sia l 'unione totale transeunte e la totale permanente secondo le stesse potenze insieme; poiché tutte queste distinzioni non fanno a proposito per ciò che qui vogliamo dire dell'unione, e molto meglio si capiranno ciascuna a suo luogo, quando nello svolgimento della materia avremo dinanzi l 'esempio vivo, congiunto con l'intelligenza presente.

2 - Per ora tratterò soltanto dell'unione totale e permanente, secondo la sostanza dell'anima e le sue potenze, per quanto riguarda all'abito oscuro di unione; perché, in

quanto all'atto, spiegheremo in seguito, col divino aiuto, come in questa vita non si possa avere unione permanente nelle potenze, ma solo transeunte.

3 - Per bene intendere, dunque, quale sia l 'unione di cui parliamo, bisogna sapere che Dio è presente e dimora sostanzialmente in qualsiasi anima, anche in quella del più grande peccatore di questo mondo. Tra Dio e tutte le cose create sempre esiste questa maniera d'unione: con questa Egli conserva loro l'essere che hanno, di modo che per poco che essa venisse a mancare, subito le cose cesserebbero di esistere tornando al nulla. Quando perciò parliamo di unione dell 'anima con Dio, non intendiamo parlare dell'unione sostanziale di Lui in tutte le creature; ma della trasformazione e unione dell'anima con Dio, unione che non sempre esiste, ma solo quando l'anima viene ad aver somiglianza di amore: e perciò questa si chiamerà unione di somiglianza, mentre la prima si chiama unione essenziale o sostanziale. La prima è naturale; la seconda, soprannaturale, e avviene quando la volontà divina e l'umana sono pienamente conformi, non essendovi in una alcuna cosa che ripugni all'altra. Perciò, se l'anima rimuoverà da sé totalmente ciò che è contrario alla volontà divina, resterà trasformata in Dio per amore.

4 - Intendo alludere non soltanto a ciò che ripugna secondo l’atto, ma anche secondo l’abito, di maniera che non solamente l'anima deve andare immune dagli atti volontari di ogni imperfezione, ma deve anche annichilirne gli abiti. Dato poi che qualsiasi creatura con tutte le sue azioni e la sua abilità non si adatta e non arriva a ciò che è Dio, l’anima deve spogliarsi di tutte le creature e delle proprie azioni e capacità, ossia del suo modo d'intendere, gustare e sentire, affinché, deposto tutto quello ch'è dissimile, contrario a Dio, riceva la divina somiglianza. Non lasciando in sé cosa alcuna che non sia volontà di Dio, si trasformerà in Dio. Che sebbene Dio è sempre presente nell'anima, e ne conserva con la sua assistenza l'essere naturale, non però sempre le comunica quello soprannaturale. Questo, infatti, non si comunica che per mezzo dell'amore e della grazia divina, che non tutte le anime possiedono; quelle poi che sono grazia di Dio non lo sono in pari grado, ma le une hanno un grado di amore più o intenso delle altre. Si unisce di più a Dio quell'anima che è più progredita in amore, ossia quella che ha la propria volontà più conforme a quella di Dio: l'anima che ha la volontà interamente conforme e somigliante alla divina, è perciò stesso del tutto unita e trasformata in Dio, soprannaturalmente. Pertanto, come si deduce da ciò che abbiamo detto, quanto più un'anima aderisce alle creature e alle loro proprietà, secondo l'affetto e l 'abito, tanto minore disposizione ha per tale unione, perché non dà luogo interamente a Dio di trasformarla nello stato soprannaturale. Di modo che l’anima, non ha bisogno d’altro che di spogliare la sua natura di ciò che è contrario [che s i oppone ] e dissimile, affinché Dio, che sta comunicandolesi naturalmente per essenza, le si comunichi soprannaturalmente anche per grazia.

5 - Lo stesso vuol far intendere San Giovanni: «Qui non ex sanguinibus, neque ex voluntate carnis, neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt» (Gv 1 , 13 ). Come se dicesse: Diede potere di diventare figli di Dio, cioè di trasformarsi in Lui, non a quelli che sono nati dal sangue, ossia da complessione e disposizione naturale, né dalla volontà della carne, cioè dall'arbitrio dell'abilità e capacità naturale, né dalla volontà dell'uomo: nelle quali parole s'include qualsiasi maniera di comprendere e giudicare con l'umano intelletto. A nessuno di quelli, dunque, diede potere di divenire figli di Dio, ma soltanto a quelli che sono nati da Lui, ossia a coloro che, morendo prima all'uomo vecchio, si sollevano sopra di sé al soprannaturale, e ricevono da Dio una tale rinascita e filiazione che sorpassa, ogni intendimento. Il medesimo S. Giovanni in altro luogo dice: «Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum Dei» (Gv 3, 5) . Vale a dire: Chi non rinascerà nello Spirito Santo, non. potrà vedere il regno di Dio che è lo stato di perfezione. Rinasce perfettamente nello Spirito Santo in questa vita chi ha l'anima molto simile a Dio in purezza, senza mescolanza d'imperfezione; onde può puramente trasformarsi in Dio per partecipazione di unione, quantunque non per essenza.

6 - Affinché ciò meglio s'intenda, porteremo un esempio. Supponiamo che un raggio di sole batta su di una vetrata. Se questa è appannata, il sole non la potrà ben illuminare e trasformare totalmente nella sua luce, come avverrebbe invece se la vetrata fosse pulita e

tersa; anzi tanto meno la rischiarerà, quanto meno sarà scevra di macchie, ed allora la vetrata non si confonderà col raggio, ma sarà conosciuta per quello che è realmente. Al contrario, se fosse del tutto monda e netta, sarebbe illuminata e trasformata in modo tale da sembrare il raggio stesso e mandare la medesima luce di esso. Quantunque poi in tal caso la vetrata sembri il raggio stesso, mantiene la propria natura distinta dal medesimo, ma possiamo dire che essa è raggio o luce per partecipazione. Similmente l'anima è come questa vetrata sempre investita dalla luce divina o, per meglio dire, nella quale sempre dimora, per natura, la divina luce dell’essere di Dio, come già abbiamo detto.

7 - Ma quando ella si toglierà ogni velo o macchia di creatura, e avrà la volontà perfettamente unita a quella di Dio (ché il vero amore consiste nel lavorare a spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio), allora farà posto alla luce divina, e subito sarà illuminata e trasformata in Dio. Allora il Signore le comunicherà il suo essere soprannaturale, tanto da sembrare Dio stesso, ed ella possederà quello che Dio possiede. Tale unione avviene quando Sua Divina Maestà fa all'anima questa grazia soprannaturale, per cui tutte le cose divine e l 'anima sono tutt'uno in trasformazione partecipante: l 'anima sembra più Dio che anima, ed è anzi Dio per partecipazione, 6 pur ritenendo sempre il proprio essere naturale distinto da quello di Dio, allo stesso modo che la vetrata conserva il suo essere distinto dal raggio, per quanto da esso illuminata.

8 - Dal suesposto si comprenderà più chiaramente che l'anima si dispone all'unione, non con intendere, gustare o immaginare di Dio, o di altra cosa qualunque; ma con la purità e l 'amore, ossia solamente con la rinunzia e la perfetta spoliazione di ogni cosa per il Signore. Onde è anche evidente che non può esservi perfetta trasformazione senza perfetta purezza, e che la divina illustrazione e l'unione dell'anima con Dio sarà maggiore o minore a seconda del grado di purezza; quantunque, ripeto, l 'unione non sarà interamente perfetta, se l'anima non è. totalmente limpida e pura.

9 - Mi piace addurre un'altra similitudine. Supponiamo un'immagine molto bella e perfetta, dipinta a colori vivaci e delicati, tanto che alcuni per la loro estrema finezza appena si possono discernere. Ora, se un uomo di vista poco chiara mirasse l'immagine, ne vedrebbe le bellezze all'ingrosso, mentre un altro con la vista migliore distinguerebbe cose più minute e delicate; un altro poi che avesse l'occhio ancora più limpido e penetrante, potrebbe fissarlo nelle più riposte bellezze, e così via dicendo; poiché nell'immagine vi sono tante cose da vedere che, per quanto si miri, ne restano sempre molte altre da scoprire.

10 - Lo stesso avviene nelle anime rispetto a Dio in questa illuminazione o trasformazione. È vero certamente che un'anima, secondo la sua poca o molta capacità, può essere giunta all'unione; però non si può altrettanto dire che tutte le anime vi giungano in pari grado, ma secondo que1lo che Dio vuol concedere a ciascuna di esse: non diversamente da quel che avviene in Cielo, dove alcuni vedono in Dio più perfezioni, altri meno, e, ciò nonostante, tutti vedono Dio e sono soddisfatti e contenti, perché è soddisfatta la propria capacità.

11 - In questa vita possiamo trovare due anime che godono uguale pace e tranquillità nel loro stato di perfezione, e ciascuna è contenta, malgrado che l'una sia avanzata nell'unione di molti gradi più che l'altra: sono ugualmente felici, perché è soddisfatta la capacità di ciascuna. L'anima però che non perviene alla purezza corrispondente alla sua capacità non giunge mai alla vera pace e soddisfazione, perché non ha conseguito ancora

6 Questo pensiero dell’uomo che diventa dio per partecipazione, non è espressione esclusiva di S. Giovanni della Croce. Prima di lui altri Santi e Padri della Chiesa lo hanno affermato. Tra questi ricordiamo S. Gregorio Nazianzeno che scrive: «Riconosci [. ..] che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un’immagine ardita, sei lo stesso Dio» (S. Gregario Nazianzeno, Disc. 14 sull’amore verso i poveri, 23-25; PG 35, 887-890; Cf Liturgia delle Ore, II, p. 83). Così pure il Beato Isacco, Abate del monastero della Stella, scrive: «Le membra autentiche e fedeli di Cristo possono dire di sé, in tutta verità, ciò che egli è, anche Figlio di Dio, anche Dio. Ma ciò che egli è per natura, le membra lo sono per partecipazione» (Disc. 42, PL 194, 1831-1832; Cf Liturgia delle Ore, II p. 771-772).

il perfetto spogliamento e vuoto nelle sue potenze, come si richiede per la semplice e pura unione.

2S CAPITOLO 6

Si dimostra che le tre virtù teologali sono quelle che devono perfezionare le tre potenze dell'anima, producendo in esse vuoto e tenebre

1 - Dobbiamo ora trattare del modo d'introdurre le tre potenze dell'anima, intelletto, memoria e volontà, nella notte spirituale, che è il mezzo per la divina unione. È necessario anzitutto premette re in questo capitolo che le tre Virtù teologali, fede, speranza e carità, che dicono relazione alle tre potenze come propri oggetti soprannaturali, e mediante le quali l 'anima si unisce a Dio secondo le sue potenze, producono un medesimo vuoto ed oscurità, ciascuna nella sua potenza, la fede nell'intelletto, la speranza nella memoria, e la carità nella volontà. Di poi, nei seguenti capitoli, spiegheremo [pa r t i co la r egg ia t amen te ] come l'intelletto si debba perfezionare nelle tenebre della fede, la memoria nel vuoto della speranza, e come la volontà debba entrare nella privazione e spogliamento di ogni affetto per andare a Dio. Dichiarato ciò, apparirà evidente quanto sia necessario che l'anima, per andar sicura nel cammino spirituale, deve inoltrarsi per questa notte oscura col sostegno di quelle tre Virtù, che la oscurano e vuotano di tutte le cose. Come abbiamo già detto, l 'anima in questa vita non si unisce a Dio mediante il suo intendere, i suoi gusti, né con la sua immaginazione o qualsiasi altro senso, ma solamente per mezzo della fede secondo l'intelletto, per mezzo della speranza secondo la memoria, e per mezzo dell'amore secondo la volontà.

2 - Tutte e tre queste virtù teologali fanno, come abbiamo detto, il vuoto nelle potenze: la fede produce il vuoto nell'intelletto, oscurandolo nell'intendere; la speranza causa nella memoria il vuoto di ogni possesso; la carità vuota la volontà spogliandola di ogni affetto e godimento di tutto ciò che non è Dio. La fede, ben lo sappiamo, ci dice cose che non possiamo comprendere con la ragione e il lume naturale dell'intelletto. Onde S. Paolo dice: Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium» (E b

11, 1 ): La fede è sostanza delle cose che si sperano. E quantunque l'intelletto presti loro certo e fermo assenso, tuttavia non sono tali che l'intelletto possa capirle: se lo potesse, non vi sarebbe più fede. Questa, sebbene renda certo l'intelletto, non lo rischiara, ma piuttosto l'offusca.

3 - Riguardo alla speranza, non v'è dubbio che anch'essa ponga la memoria nel vuoto e nelle tenebre, circa tutte le cose; perché la speranza è sempre di ciò che ancora non si possiede: quando si possiede, non ha più luogo la speranza. Quindi S. Paolo dice: «Spes autem quae videtur, non est spes: nam quod videt quis, quid sperat?» (R m 8 , 24 ): La speranza che si vede, non è speranza; poiché, se alcuno già possiede quel che vede, come può sperarlo? Anche questa virtù, dunque, crea il vuoto, perché la speranza è l 'aspettazione di quel che non si ha, e non di quel che si ha.

4 - La carità, infine, né più né meno, vuota la volontà di tutte le cose, perché, ci obbliga ad amare Dio al disopra di esse: il che non può avverarsi, se non distogliendo l'affetto da loro per riporlo interamente in Dio. E perciò Cristo Nostro Signore in S. Luca ci ammonisce dicendo: «Qui non renuntiat omnibus, quae possidet, non potest meus esse discipulus» (L c 14 .33 ) . Il che vuol dire: Colui che non rinunzia con la volontà a tutte le cose che possiede, non può essere mio discepolo. È manifesto, dunque, che le tre virtù teologali mettono l'anima nella oscurità e nel vuoto di tutte le cose.

5 - E qui dobbiamo notare la parabola di Nostro Signore che leggiamo nel Vangelo di S. Luca, dove si narra di un uomo che andò sulla mezzanotte a chiedere tre pani ad un suo amico (L c 11 ,5 ) . I pani significano le tre virtù teologali; l 'ora di mezzanotte ci fa intendere che l'anima, all'oscuro di ogni cosa secondo le sue potenze, deve acquistare queste tre virtù e nella notte spirituale perfezionarsi in esse. Nel capo sesto di Isaia leggiamo che i due Serafini che il Profeta vide ai due lati di Dio, ciascuno con sei ali, coprivano con due

di queste i loro piedi, il che significa accecare ed estinguere per amor di Dio gli affetti della volontà circa le cose create; con altre due coprivano il loro volto, il che significa le tenebre dell'intelletto dinanzi a Dio; e con le altre due volavano, per far intendere il volo della speranza verso le cose che non si possiedono, sollevandosi essa sopra tutto ciò che si può possedere fuori di Dio.

6 - Dobbiamo, dunque, ridurre le tre potenze dell'anima a queste tre virtù, in modo che ciascuna potenza sia informata dalla virtù corrispondente, privandole e ponendole al buio di tutto ciò ch'è fuori delle tre virtù : questa è la notte spirituale che più sopra abbiamo chiamata attiva, perché l'anima fa quanto può dal canto suo per entrarvi. Come nella notte sensitiva abbiamo insegnato il modo di vuotare le potenze sensitive dei loro oggetti in quanto questi si riferiscono all'appetito sensibile, affinché l'anima uscisse dal suo termine al mezzo, che è la fede; così in questa notte spirituale, col divino favore, diremo come le potenze spirituali si vuotano e purificano da tutto ciò che non è Dio, rimanendo nell'oscurità di quelle tre virtù, che sono il mezzo e la disposizione per l 'unione dell'anima con Dio.

7 - E in tal modo l'anima troverà piena sicurezza contro le astuzie del demonio, e contro la forza dell'amor proprio e i suoi germogli, da cui le persone spirituali sogliono essere molto sottilmente ingannate ed impedite, perché non sanno spogliarsi di tutto e governarsi secondo le dette tre virtù. Quindi mai riescono a trovare la sostanza e la purezza del bene spirituale, e non battono una strada così diritta e breve come, volendo, potrebbero fare.

8 - Debbo avvertire che ora intendo parlare specialmente a coloro che hanno incominciato ad entrare nello stato di contemplazione, perché con i principianti bisogna trattare un po' più benignamente di queste cose, come faremo nel libro secondo [n e l l a No t te

o s cu r a de l s enso ], con l'aiuto di Dio, quando tratteremo delle proprietà di essi.

2S CAPITOLO 7

Si dimostra quanto sia angusto il sentiero che mena alla vita, e quanto debbano essere vuoti e liberi coloro che lo percorrono - si comincia a parlare della nudità dell'intelletto

1 - Per trattare ora convenientemente della nudità e purezza delle tre potenze dell'anima, sarebbe necessaria ben altra scienza e altro spirito che non il mio, per far comprendere alle persone spirituali quanto sia angusta la via che, come disse il Signore, conduce alla vita, affinché, persuasi di ciò, non si meraviglino del vuoto nel quale dobbiamo stabilire le potenze dell'anima nella notte dello spirito.

2 - Al qual fine vanno notate e ben ponderate le parole che Cristo Nostro Signore dice presso S. Matteo nel capitolo settimo a proposito di questo cammino: «Quam angusta porta, et arcta via est, quae ducit ad vitam! et pauci sunt, qui inveniunt ea» (M t 7 , 14 ). Quanto angusta è la porta e stretto il cammino che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che lo trovano! In questo testo è da notarsi quella forza speciale che in sé racchiude la particella Quam, poiché è come se dicesse: In verità è molto angusta, più di quel che non pensiate. Avvertiremo, inoltre, che anzitutto afferma che la porta è angusta, per farci capire che, a fine di entrare per questa porta che è Cristo, il principio del cammino, l 'anima deve primieramente restringersi e spogliarsi del desiderio di tutte le cose sensibili e temporali, amando Dio sopra tutte loro: il che appartiene alla notte del senso, della quale abbiamo già parlato.

3 - Subito poi Cristo soggiunge che stretto è il cammino, quello cioè della perfezione, per persuaderci che a fine di passarvi, non solo l'anima deve entrare per la porta angusta, vuotandosi delle cose sensibili, ma anche ha da restringersi, espropriandosi e sbarazzandosi interamente [pu ramen te ] da ciò che è da parte dello spirito. Pertanto, quel che dice della porta angusta, lo possiamo riferire alla parte sensitiva dell'uomo, e ciò che dice del cammino stretto, possiamo intenderlo della parte spirituale e razionale. In quanto poi alle ultime parole, in cui è detto che pochi sono coloro che indovinano la via,

si deve rilevare la causa di ciò, ed è che pochi sanno e vogliono entrare nel vuoto e nella perfetta nudità dello spirito. Dato che il sentiero dell'alto monte della perfezione tende verso la sommità ed è angusto, richiede tali viandanti che non portino carico che li aggravi in quanto alla parte inferiore, né ingombro che li impedisca in quanto alla parte superiore: se, per dirla altrimenti, si tratta di un affare in cui Dio solo si cerca e si guadagna, ebbene, è solo Dio che si deve cercare e guadagnare.

4 - Da ciò appare chiaro che l'anima non solo dev'essere libera da tutto quello che concerne le creature, ma anche deve annichilirsi e spropriarsi di ogni cosa che riguarda lo spirito. E perciò il Signore, insegnandoci il sentiero della vera vita, espose quella sì ammirabile dottrina che è, sarei per dire, tanto meno praticata dalle persone spirituali, quanto più loro è necessaria. Facendo molto al nostro proposito, noi qui la riferiremo e dichiareremo, secondo il suo senso genuino e spirituale. Dice dunque così: «Si quis vult me sequi, deneget semetipsum: et tollat crucem suam et sequatur me. Qui enim voluerit animam suam salvam facere, perdet eam: qui autem pedididerit animam suam propter me ... salvam faciet eam» (M c 8 ,34 - 35): Se alcuno vuol seguire le mie orme, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, poiché chi vuol salvare l'anima sua, deve perderla: e quegli che la perde per amor mio, la guadagnerà.

5 - Oh, chi potrà qui ora fare intendere, esercitare e gustare ciò che è riposto in questa così alta dottrina del rinnegamento di noi stessi affinché le persone spirituali vedano quanto il modo che loro conviene usare sia differente da quello che molte di esse pensano! Non pochi, infatti, credono che basti qualsiasi genere di ritiro e di riforma di vita; altri si contentano di praticare in qualche modo le virtù e attendono all'orazione e seguono la mortificazione, ma non pervengono alla perfetta povertà o abnegazione o purezza spirituale (che è tutt'uno), che il Signore ci consiglia, perché ancora vanno nutrendo e vestendo la loro natura di consolazioni e sentimenti spirituali, piuttosto che spogliarla e privarla di tutto ciò, per amor di Dio. Pensano anche che basti rinnegarla nelle cose del mondo, senza purificarla e annichilirla nella proprietà spirituale. Onde accade che, quando si presenta loro alcunché di sodo e perfetto, qual è la rinunzia di ogni diletto e soavità in Dio, rimanendo nell'aridità, nel dolore, nei travagli (in che consiste la vera croce spirituale e la nudità dello spirito povero di Cristo), rifuggono da tutto ciò come dalla morte, e solamente vanno cercando in Dio dolcezze e comunicazioni soavi e gustose: il che non è davvero abnegazione di se stessi, né nudità di spirito, ma piuttosto ingordigia spirituale. Quindi diventano spiritualmente nemici della croce di Cristo, perché il vero spirito cerca in Dio l'amaro, anziché il dolce; ed è più propenso al patimento che al sollievo, più a privarsi di tutti i beni per amor di Dio, che a possederli. Ama più le aridità e le afflizioni che le dolci comunicazioni, sapendo che l'una cosa è veramente seguire Cristo e rinnegare se stesso; l 'altra, se mai, è cercare se stesso in Dio, ciò che è assai contrario all'amore. Cercare se stesso in Dio è cercare le carezze e le consolazioni divine; ma cercare Dio in sé è desiderare non solo di essere privo di tali favori, ma essere proclive ad eleggere, per amore di Cristo, quanto vi può essere di più aspro e doloroso, sì da parte di Dio che del mondo: questo è vero amore di Dio.

6 - Oh,, se alcuno potesse far capire appieno fin dove Nostro Signore vuole che si spinga l'abnegazione di noi medesimi! Essa certamente ha da essere come una morte e annichilazione temporale, e naturale e spirituale in tutto, nell'estimazione della volontà, dalla quale dipende ogni sorta di abnegazione. Ciò volle il Signore farci intendere, dicendo: Chi vorrà salvare l'anima sua, la perderà. In altre parole: chi vorrà possedere alcuna cosa o ricercarla per sé, la perderà. Al contrario: chi perderà l'anima sua per me, la guadagnerà. Vale a dire: chi rinunzierà per amore di Cristo a tutto quello che la sua volontà può appetire e godere, scegliendo ciò che è più conforme alla Croce (il che Nostro Signore stesso in S. Giovanni chiama odiare l'anima propria [Gv 12 ,25 ]), quegli la guadagnerà. Il medesimo insegnamento Cristo diede ai due discepoli che gli domandarono di sedere a destra e a sinistra di Lui nel regno dei cieli: non rispose direttamente alla domanda di tal gloria, ma propose loro il calice amaro che Egli era per bere, come cosa più preziosa e più sicura in questa terra che non il godere (M t 20 ,22 ).

7 - Questo calice significa morire alla propria natura, spogliandola ed annichilandola in tutto ciò che riguarda il senso e, come ora diremo, anche lo spirito, perché l'anima possa avanzare nello stretto sentiero. In altre parole, bisogna che ella si mortifichi nel suo intendere, nel suo godere e nel suo sentire: di modo che, rispetto alle due parti, sensitiva e spirituale, sia libera da impedimenti per poter camminare speditamente nell'angusta via. Perocché in questa, come ci avverte il nostro Salvatore, non si passa se non mediante l'abnegazione e la croce, che è il bastone su cui dobbiamo appoggiarci, il quale allevia di molto la fatica del viaggio. Onde il Signore dice in S. Matteo: Il mio giogo è soave e il mio peso, ossia la croce, è leggero (M t 11 , 30 ). Se l'uomo si assoggetta a prendere la Croce, e si risolve davvero a cercare e sostenere pene e fatiche per amor di Dio, troverà in tutte le cose grande sollievo e conforto a proseguire la via, spoglio di tutto, senza nulla desiderare. Ma, se pretende di conservare alcuna cosa o di Dio o del mondo con affetto di proprietà, neri ha vero spirito di spogliamento e di piena abnegazione; e quindi non intenderà niente del sentiero stretto della perfezione e non potrà salirvi.

8 - Vorrei persuadere gli spirituali che questa via di Dio non consiste nella molteplicità di meditazioni e di altri esercizi devoti e gustosi, sebbene ciò in qualche modo è necessario ai principianti; ma consiste in una sola cosa necessaria, cioè nell'abnegare davvero se stessi, sì nell'interiore che nell'esteriore, abbracciando di cuore il patire per Cristo, annichilendosi in tutto. In quest'unico esercizio si opera e si ritrova il bene di tutti gli altri beni e maggior bene ancora: mentre, qualora manchi tale esercizio, che è il fondamento e la radice della virtù, ogni altro modo di operare è uno sfarfallare senza profitto, ancorché vi si godessero altissime comunicazioni come hanno gli Angeli. Non si progredisce se non imitando Cristo, il quale è la via e la verità e la vita: e nessuno perviene al Padre, se non per Lui, come Egli stesso dice in S. Giovanni. E altrove: Io sono la porta; se alcuno entrerà per me, si salverà (Gv 1 0,9 ). Pertanto, qualunque spirito che volesse andare per via di dolcezze e di comodità, e rifuggisse dall'imitazione di Cristo, io non lo terrei per buono.

9 - Avendo io detto che Cristo è la via, e che questa via è morire alla nostra natura nel senso e nello spirito, voglio dimostrare come ciò sia a suo esempio, essendo Egli il nostro modello e la nostra luce.

10 - Quanto al primo, certo è che Egli morì rispetto alla parte sensitiva, spiritualmente in tutta la sua vita, e naturalmente in morte; poiché in vita, come Egli una volta disse, non ebbe ove riposare il capo (M t 8 ,20 ), molto meno in morte.

11 - In quanto al secondo, è certo che negli estremi momenti rimase anche annichilito nell'anima, essendo stato lasciato dal Padre senza consolazione e conforto alcuno, bensì nella più profonda aridità secondo la parte inferiore; tanto che sulla croce proruppe in quel doloroso lamento: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Questo fu il più grande abbandono che sensibilmente sperimentò nella sua vita. Quindi è che proprio allora compì l'opera più grande di quante mai in vita ne avesse fatte con miracoli e prodigi strepitosi, in terra e in cielo: l'opera con la quale riconciliò ed unì il genere umano con Dio, per mezzo della grazia. Ciò avvenne appunto allorché l'amoroso Signore era più avvilito ed umiliato in tutto, cioè: intorno alla reputazione degli uomini, poiché vedendolo morire su di un tronco, non che averne un po' di stima, si facevano beffe di Lui; e in quanto alla natura, poiché in essa in certo modo si annichiliva morendo; e circa la protezione e il conforto spirituale del Padre, che in quei momenti lo abbandonò, affinché scontasse interamente il debito delle umane colpe e unisse l'uomo con Dio. Onde rimase, quasi direi, ridotto al nulla, secondo il detto del Salmista: « Ad nihilum redactus sum, et nescivi» (Sa l 72 ,22 ) . Di qui l 'uomo spirituale intenda il mistero della porta e della via di Cristo, per unirsi con Dio, e sappia che quanto più si annienta per amor suo, secondo le due parti sensitiva e spirituale, tanto più si unisce a Lui e pertanto maggior opera compie. E quando alfine giungerà a ridursi al nulla, cioè a stabilirsi in somma umiltà, allora sì che potrà dirsi avvenuta ormai l'unione spirituale tra l 'anima sua e Dio, ciò che costituisce il più grande e sublime stato a cui in questa vita si possa pervenire. Non consiste, dunque, in gioie o sentimenti o delizie di spirito, ma in una viva morte di croce, sensitiva e spirituale, cioè interiore ed esteriore.

12 - Su tale argomento non voglio dilungarmi più oltre, quantunque non vorrei finire di parlarne, poiché vedo bene che Gesù Cristo è molto poco conosciuto da quelli che si ritengono suoi amici. Li vediamo, infatti, cercare in Lui i suoi gusti e consolazioni, amando troppo se stessi, e non le sue amarezze e dolori per amor suo. Parlo di quei tali che si reputano suoi amici; ché, in quanto a quelli che vivono lontani, e separati da Lui, ossia i grandi letterati e i superbi potenti del secolo, e tutti gli altri che vivono là nel mondo, immersi nelle sollecitudini delle loro vane voglie di preminenze, possiamo dire che non conoscono Cristo, e che la loro fine, per buona che sia, sarà molto amara. Di questi ultimi, dico, non si fa menzione in queste pagine, ma ben se ne farà il giorno del giudizio; perché ad essi per primi si conveniva bandire la divina parola, come a quei che Dio aveva posti sul candelabro a testimonianza di essa, secondo l'alto loro stato e la loro dottrina.

13 - Parlerò, dunque, all'intelligenza degli uomini spirituali, e specialmente all'intelletto di coloro a cui Dio ha largito il favore di collocarli nello stato di contemplazione (poiché, come ho detto, con essi particolarmente vado ora parlando), e dirò come debbano indirizzarsi a Dio in fede e purgarsi delle cose contrarie, restringendosi, affine di entrare per l 'angusto sentiero dell'oscura contemplazione.

2S CAPITOLO 8

Si dice in generale come nessuna creatura né condizione alcuna che possa cadere nell'umano intelletto, può servire di mezzo prossimo per la divina unione

1 - Prima di trattare dell’unico mezzo proprio e proporzionato per l'unione con Dio, ossia della fede, è conveniente dimostrare che nessuna cosa creata o pensata può servire all'intelletto come di mezzo proprio per unirsi con Dio, e come tutte le cose che l'intelletto può conoscere, non che di mezzo, gli servono piuttosto di impedimento, qualora ad esse voglia attaccarsi. Ora in questo capitolo proveremo il nostro asserto in generale; di poi, scendendo al particolare, passeremo in rassegna tutte le cognizioni che l'intelletto può ricevere da parte di qualunque senso interno ed esterno, e gli inconvenienti e i danni che l’intelletto può riportare da tutte queste notizie interiori ed esteriori, se non procede innanzi aggrappata al mezzo proprio, che è la fede.

2 - Dunque, è da sapersi che, secondo un principio di sana filosofia, tutti i mezzi debbono essere proporzionati al loro fine, vale a dire devono avere con esso qualche convenienza o somiglianza, tale che basti per conseguire il fine a cui si tende. Porto un esempio. Se una persona vuole giungere ad una città, deve necessariamente prendere come mezzo la strada che a quella conduce. Così pure, volendo appiccare il fuoco al legno, è necessario che il calore, ch'è il mezzo, lo disponga con tanti gradi da raggiungere gran somiglianza e proporzione col fuoco. Se, invece, si volesse disporre il legno con un mezzo diverso dal calore, per es., con aria od acqua o terra, sarebbe impossibile che il legno si unisse al fuoco: come sarebbe impossibile arrivare alla città, se non si andasse per la strada che ad essa conduce. Per conseguenza, acciocché l'intelletto venga ad unirsi con Dio, per quanto si può in questa vita, bisogna che scelga il mezzo che a Lui congiunge ed ha con Lui prossima somiglianza.

3 - A tal proposito, è da avvertire che fra tutte le creature superiori e inferiori nessuna ve n'è che prossimamente unisca a Dio, o abbia somiglianza col suo essere. Poiché, quantunque sia vero che tutte hanno, come dicono i teologi, una certa relazione con Dio e un suo vestigio qual più qual meno, a misura del loro essere, tuttavia tra esse e Dio non v’è nessuna convenienza o somiglianza essenziale; anzi la distanza che intercorre tra l 'essere divino e quello delle creature è infinita, e perciò è impossibile che l’intelletto possa comprendere Dio per mezzo delle creature, o terrene o celesti che siano, perché non v'è proporzione alcuna tra loro e l 'essere divino. Perciò Davide, parlando delle creature celesti, dice: Non v'è chi tra gli dèi sia simile a te, o Signore (S al 85 ,8 ): chiamando dèi gli Angeli e le anime sante. E altrove: O Dio, la tua via è nella santità: qual dio è sì grande

come il nostro Dio (S al 76 ,14 ) , Quasi dicesse: la via per venire a te, mio Dio, è una via santa, cioè purezza di fede. E perciò: qual dio sarà sì grande? Vale a dire: qual Angelo tanto nobile nel suo essere, o qual Santo tanto elevato nella gloria sarà così grande da essere via proporzionata e bastevole per venire a te? Parlando poi lo stesso Profeta delle cose terrene e celesti insieme, dice: Alto è il Signore e mira le cose basse, e conosce le cose alte da lontano (S al 137 ,6 ) . Come se volesse dire: essendo altissimo nel suo essere, vede che molto basso è quello delle cose della terra paragonate al suo; e vede e conosce che anche le cose alte, cioè le creature celesti, sono ben lontane dall'essere suo. Pertanto, tutte le creature non possono servire all'intelletto di mezzo proporzionato per comprendere Dio.

4 - Né più né meno, tutto ciò che la fantasia può immaginare, tutto ciò che l'intelletto può ricevere e intendere in questa vita, non può essere mezzo prossimo per l 'unione divina. Naturalmente parlando, l 'intelletto non può intendere alcunché, se non astraendolo dalle forme e dai fantasmi delle cose impressi nei sensi corporei, le quali cose, come già dicemmo, non possono servire di mezzo: perciò non si può trarre profitto dall'intelligenza naturale. Se poi parliamo di quella soprannaturale per quanto è possibile in questa vita, per potenza ordinaria l'intelletto nel carcere del corpo non ha disposizione e capacità di ricevere chiara notizia di Dio, perché questa non è propria del presente stato, e quindi l 'uomo o deve morire, o non la deve ricevere. Onde, allorché Mosè domandò a Dio questa chiara notizia di Lui, n'ebbe in risposta che non lo avrebbe potuto vedere. Non mi vedrà uomo che possa restare vivo (E s 33 ,20 ) . E San Giovanni dice: Nessuno ha visto Dio, né cosa che gli rassomigli (Gv 1 ,18 ) . E S. Paolo e Isaia: Né occhio lo vide, né orecchio l'udì, né entrò in mente umana (1C or 2 ,9 ; I s 64 , 4 ) . Questa è la causa per cui Mosè, come si dice negli Atti degli Apostoli, non osava fissare lo sguardo nel roveto, perché il Signore era ivi presente (A t 4 , 32 ): conosceva che il suo intelletto non poteva considerare Dio come si conviene, conforme all'alto concetto che aveva di Lui. Di Elia, nostro Padre, si narra che sul monte si coprì il volto alla presenza di Dio (3R e 19 , 13 ) ciò che significa accecare l'intelletto, come egli fece, non osando, lui sì piccolo, mirare tanto alto, perché ben vedeva che qualsiasi cosa che particolarmente avesse compresa, sarebbe stata di gran lunga dissimile a Dio.

5 - Nessuna notizia, né apprensione soprannaturale, in questa vita corruttibile, può servire all'intelletto di mezzo prossimo per l'alta unione di amore con Dio; perché tutto ciò che l'intelletto può intendere, la volontà godere e la fantasia immaginare, è molto dissimile e sproporzionato a Dio. Il Profeta Isaia esprime ciò mirabilmente, dicendo: A che cosa credete che Dio rassomigli? O qual immagine farete che lo rappresenti? Potrà forse il fabbro formarne alcuna statua, o l'orefice renderne la figura con l'oro, o l'argentiere con lamine d'argento? ( I s 40 ,1 8 - 19). Il fabbro qui significa l'intelletto, il quale ha per ufficio di formare le specie intelligibili, spogliandole del ferro delle specie sensibili e dei fantasmi. Per orefice s'intende la volontà, la quale è capace di ricevere la figura e la forma del diletto prodotto dall'oro dell'amore. L'argentiere poi significa la memoria con l'immaginazione, della quale giustamente si può dire che le notizie e immagini che può fingere e fabbricare sono come piastre d'argento. Quindi è come se dicesse: Né l'intelletto con i suoi concetti potrà comprendere cosa simile a Dio, né la volontà potrà godere soave diletto paragonabile a quello di Lui, né la memoria porrà nella fantasia notizie o immagini che lo rappresentino. È manifesto, dunque, che nessuna di tali notizie può immediatamente incamminare l'intelletto a Dio; e che per giungere a Lui, esso deve, anziché intendere, procurare il contrario, accecandosi e ponendosi in tenebre piuttosto che aprire gli occhi quasi volesse con ciò avvicinarsi di più al raggio divino.

6 - Pertanto, la contemplazione, per mezzo della quale l'intelletto ha una più alta notizia di Dio, si chiama mistica teologia, il che significa segreta sapienza divina, perché è segreta all'intelletto stesso che la riceve. San Dionisio la chiama raggio di tenebra, 7 e il Profeta Baruch, parlando di essa, dice: Non v'è chi sappia il cammino della sapienza, né chi possa pensare ai sentieri di essa (B a ruch 3 , 23 ). Dunque è evidente che l'intelletto, a fine di unirsi con Dio, si deve accecare a tutti i sentieri che può conoscere. Aristotele dice che come il sole è tenebre agli occhi del pipistrello, così ciò che v’è di più luminoso in Dio è

7 Mystica theol . c. 1, § 1, MG 3,999.

totalmente tenebre per il nostro intelletto. 8 E aggiunge che, quanto le cose di Dio sono in sé più alte e più chiare, tanto più sono per noi ignote e oscure. Il che anche l'apostolo afferma, dicendo: Le cose divine più alte, sono meno comprese dagli uomini (1C or 3 ,19 ) .

7 - Di questo passo non la finiremmo più di citare testi e ragioni, per dimostrare come tra tutte le cose create che l'intelletto umano può capire, non vi è scala con la quale il medesimo possa puntare alle sublimi altezze di Dio. Anzi è necessario sapere che, se l 'intelletto volesse far uso di tutte queste cose o di alcune di esse, come di mezzo prossimo per la divina unione, non solo gli sarebbero d'impaccio, ma gli potrebbero anche porgere occasione di molti inganni ed errori nella salita del Monte.

2S CAPITOLO 9

Si dimostra come la fede è il mezzo prossimo e proporzionato all'intellettoaffinché l'anima possa giungere alla divina unione di amore

- Lo prova con autorità e figure della s. scrittura

1 - Da quanto abbiamo detto sopra, si deduce che l'intelletto, per essere disposto alla divina unione, deve restare mondo e vuoto di tutto ciò che può cadere nel senso, e spogliato di tutto quel che esso stesso può capire con chiarezza, e intimamente quieto, tranquillo e posto in fede. Questo soltanto è il mezzo prossimo e proporzionato all'unione dell'anima con Dio; perché è tanta la somiglianza che esiste tra lei [ fede ] e Dio, che altra differenza non v'è, se non quella che passa tra Dio veduto e Dio creduto. Poiché, come Dio è infinito, così essa ce lo propone infinito; come è trino e uno, così ce lo manifesta trino e uno; come Dio è tenebra per il nostro intelletto, così anche la fede l'offusca e acceca. E così, con questo solo mezzo [ l a fede] , Dio si manifesta all'anima in luce divina, che eccede ogni intendimento. L'anima, quindi, quanto più avrà fede, tanto più sarà unita a Dio. Ciò volle dire S. Paolo nel testo già ricordato: Colui che vuol avvicinarsi ed unirsi a Dio, bisogna che creda (E b 11 , 6 ): cioè che vada a Dio camminando per fede, con l'intelletto cieco e al buio, in sola fede. In queste tenebre l'intelletto si congiunge a Dio, che sotto di esse si trova nascosto, come Davide dice: Pose l'oscurità sotto i suoi piedi, e salì al disopra dei Cherubini, e volò sulle ali dei venti, e scelse per suo nascondiglio le tenebre, e intorno a sé piantò il suo tabernacolo che è l 'acqua tenebrosa delle nubi dell'aria (S al 17 ,10 -

11).

2 - Quel dire che pose l'oscurità sotto i suoi piedi e scelse le tenebre per nascondiglio, e che il padiglione intorno a Lui è l 'acqua tenebrosa, denota l'oscurità della fede nella quale Egli si cela. Il dire poi che salì sopra i Cherubini e volò sulle ali dei venti, ci manifesta che Dio trascende ogni intelletto, poiché i Cherubini significano esseri intelligenti o contemplanti; e le ali dei venti denotano le sottili e sublimi notizie o cognizioni degli spiriti, sopra tutte le quali si eleva l’essere divino cui niuno può arrivare con le sole proprie forze.

3 - In figura di ciò leggiamo nella Scrittura che, avendo Salomone terminato di edificare il tempio, Dio vi discese occultato nella nebbia e lo riempì in modo che i figli d'Israele non ci potevano vedere. Allora Salomone parlò e disse: Il Signore ha promesso che avrebbe dimorato nella nebbia (3R e 8 , 12 ). Anche a Mosè sul Monte Sinai Dio apparve avvolto in una nube: e tutte le volte che il Signore si comunicava agli uomini in modo singolare, compariva sotto forma di tenebre, come si vede in Giobbe, il quale dice che Dio gli parlo nell'aere tenebroso (Gb 38 ,1 . 40 ,1 ) . Tutte queste tenebre significano l'oscurità della fede, in cui la divinità è nascosta mentre si comunica all'anima: quando la fede sarà consumata e perfetta, come dice S. Paolo, finirà quello che è in parte, ossia cesseranno le tenebre della fede, e si vedrà ciò che è perfetto, ossia la luce divina (1C or 13 ,10 ) . Di ciò vediamo una figura nell'esercito di Gedeone, i cui soldati si dice che tenessero fiaccole in mano, senza vederle, perché nascoste dentro dei vasi; rotti questi, subito apparve la luce (Gdc 7 , 16 ). Così la fede, simboleggiata da quei vasi, contiene in sé la luce divina, cioè la verità di quel che

8 Cf I Metaphys. 1, 2 [Ed. Didot II 486]

Dio è in se stesso; e consumata con l'infrangersi di questa vita mortale, subito lascerà risplendere la luce e la gloria della Divinità, che essa conteneva.

4 - È chiaro, quindi, che l'anima, per venire ad unirsi con Dio in questa vita e comunicare immediatamente con Lui, ha necessità di unirsi con le tenebre, in cui Dio promise a Salomone di dimorare; e di appressarsi all 'aere tenebroso, nel quale si compiacque di rivelare a Giobbe i suoi segreti; e di prendere al buio i vasi di Gedeone, per tenere in mano (cioè nelle opere della sua volontà) la luce, che è l 'unione di amore, sebbene oscuramente in fede, affinché rompendosi i vasi di questa vita che soli impedivano la luce della fede, subito veda Dio faccia a faccia nella gloria.

5 - Resta ora a dire in particolare di tutte le cognizioni e apprensioni che l'intelletto può ricevere, e l 'impedimento e il danno che gli possono fare nel cammino della fede; ed anche come l'anima si debba regolare in esse affinché tanto quelle che sono da parte dei sensi, quanto quelle che sono da parte dello spirito, le siano piuttosto profittevoli che dannose.

2S CAPITOLO 10

Si fa distinzione di tutte le apprensioni e idee che possono cadere nell’intelletto

1 - Dovendo trattare in particolare del profitto e del danno che le notizie e le apprensioni intellettuali possono apportare all 'anima, rispetto al mezzo che conduce alla divina unione, il quale è la fede, ritengo necessario premettere la distinzione delle varie sorta di apprensioni, tanto naturali quanto spirituali, che l'intelletto può ricevere. Di poi, con la maggior brevità possibile, le passeremo in rassegna con ordine e chiarezza, a fine di guidare l'intelletto attraverso di esse nella notte oscura della fede,

2 - È necessario sapere, dunque, che l'intelletto può ricevere notizie e cognizioni per due vie: naturale e soprannaturale. La naturale abbraccia tutto ciò che l'intelletto può apprendere o per mezzo dei sensi corporei, o da se stesso [Da s e s t e ss o : c ioè con l a r i f l e ss ione , va l endos i

de l l e no t i z ie g i à r i c evu te pe r me zz o de i s ens i] . La via soprannaturale comprende tutto ciò che viene comunicato all'intelletto al di sopra della sua capacità naturale.

3 - Di queste notizie soprannaturali, alcune sono corporee, altre spirituali. Le corporee sono di due specie: alcune sono ricevute dall'intelletto per mezzo dei sensi esterni; altre per mezzo di quelli interni, e abbracciano tutto ciò che l'immaginazione può comprendere, comporre e figurarsi.

4 - Anche le notizie spirituali sono di due sorta: alcune sono distinte e particolari; l 'altra è confusa, oscura e generale. Le distinte e particolari si suddividono in quattro diverse specie di apprensioni, che sono comunicate allo spirito senza l'intervento di alcun senso corporeo, e sono: le visioni, le rivelazioni, le locuzioni e i sentimenti spirituali. L'intelligenza oscura e generale invece è unica, e consiste nella contemplazione che si dà in fede. In questa contemplazione dovremo collocare l'anima, e l 'incammineremo in essa facendola passare per tutte le altre notizie particolari, cominciando dalle prime, ma in modo che se ne spogli.

2S CAPITOLO 11

Impedimento o danno in cui si può incorrere nelle apprensioni dell'intelletto, per mezzo di quel che si rappresenta soprannaturalmente al sensi corporei esterni; e come l'anima

in esse debba comportarsi

1 - Le prime notizie di cui abbiamo fatto menzione nel precedente capitolo, sono quelle che appartengono all'intelletto per via naturale. Avendo già parlato di esse nel primo libro, dove incamminavamo l'anima nella notte del senso, non ne faremo qui parola,

perché ci sembra di aver esposta intorno a loro una conveniente dottrina. Quindi, nel presente capitolo, tratteremo di quelle notizie e apprensioni che [appar t eng ono a l ] l 'intelletto riceve soprannaturalmente, ma per via dei sensi esterni che sono (vista, udito, odorato, gusto e tatto), intorno ai quali gli uomini spirituali possono e sogliono ricevere rappresentazioni di oggetti in modo soprannaturale. Poiché, circa la vista, sogliono rappresentarsi figure di persone dell'altro mondo, di santi cioè e di angeli buoni o cattivi, come anche luci e splendori straordinari. Con l'udito accade di percepire parole insolite, ora dette dalle figure delle persone che compaiono, ora senza vedere chi le dica. Nell'olfatto alle volte si sentono soavissimi odori, senza sapere donde emanino. Anche nel gusto avviene di sentire dolci sapori, e di provare nel tatto molto diletto, talora sì grande da sembrare che tutte le midolla e le ossa ne esultino e rifioriscano, nuotando quasi in un mare di delizie; il che suole chiamarsi unzione dello spirito, la quale da esso si diffonde alle membra delle anime pure. Questo piacere sensibile è molto frequente nelle persone spirituali, e loro deriva, in maggiore o minor copia, dalla devozione sensibile dello spirito, che è diversa in ciascuno.

2 - Bisogna tener presente che, quantunque tutte queste cose possano accadere ai sensi corporei da parte di Dio, l 'uomo. non deve mai andarne sicuro, né ammetterle, anzi deve assolutamente rifuggirle senza nemmeno volerle esaminare se siano buone o cattive; poiché, essendo esteriori e corporali, è meno certa la loro provenienza da Dio. Infatti, il modo ordinario e più proprio di Dio è di comunicarsi allo spirito (e allora vi è più sicurezza e profitto), anziché al senso, in cui di solito v'è molto pericolo d'inganno, in quanto il senso corporeo, in quei favori soprannaturali che riceve, si fa giudice delle cose spirituali, stimando che siano come esso le percepisce; mentre sono tanto differenti, quanto il corpo dall'anima e il senso dalla ragione. Il senso è troppo ignaro delle cose spirituali, più che un giumento non lo sia delle cose ragionevoli.

3 - Quindi la sbaglia di molto colui che fa stima di quelle cose, e si espone a grande pericolo di essere ingannato: per lo meno sarà gravemente impedito dal progredire nello spirito. Tutte le percezioni o apprensioni corporali, ripeto, non hanno proporzione alcuna con le cose spirituali, e perciò a loro riguardo sempre si deve più temere che siano da parte del demonio che crederle da parte di Dio; poiché il demonio ha maggior potere e più facilmente può ingannare in ciò che è più esteriore e corporeo, che in quello che è più interiore e spirituale.

4 - Gli oggetti e le forme corporee, quanto più in sé sono esterne, tanto meno profitto apportano all'interno e allo spirito, per la somma distanza e sproporzione che esiste tra le cose corporali e spirituali. Difatti, quantunque dalle forme sensibili venga comunicato alcunché di spirituale, come sempre avviene allorché provengono da Dio, tuttavia le cose che per loro mezzo si comunicano sono molto meno che se le stesse fossero più spirituali e interiori. Onde facilmente favoriscono nell'anima l'errore, la presunzione e la vanità: poiché, essendo tanto palpabili e materiali, muovono assai il senso, e sembrano un gran che al giudizio dell'anima, perché più sensibili. E così ella corre dietro a loro, abbandona la fede, pensando che quella luce sia la guida e il mezzo che la conduce al bramato fine, cioè all'unione con Dio; mentre, quanto più fa conto di quelle cose, tanto più smarrisce la retta via e il mezzo della fede.

5 - Inoltre, quando l'anima vede che le succedono tali cose straordinarie, spesso le si ingerisce segretamente una certa opinione di sé, credendo di essere qualche cosa dinanzi a Dio, il che è contro l'umiltà. Anche il demonio, da parte sua, sa molto bene intromettere nell'anima soddisfazione occulta di se stessa, a volte molto manifesta, e perciò pone sovente alcuni oggetti nei sensi, mostrando alla vista figure di santi e bellissimi splendori, suggerendo all'udito parole assai ingannevoli, e apprestando odori molto soavi all'olfatto, dolcezze al palato, e piaceri al tatto; affinché, allettando i sensi con questi mezzi, li induca al male. Si devono, dunque, sempre disprezzare tali immagini e sensazioni; poiché, dato il caso che alcune provengano da Dio, non per questo gli si fa ingiuria, né si cessa di conseguire l'effetto e il frutto che Dio per loro mezzo vuol produrre nell'anima, purché questa le disprezzi e non le voglia.

6 - La ragione di ciò che diciamo è che la visione corporea e le percezioni di ogni altro senso, come pure qualsiasi altra comunicazione delle più interiori, se vengono da Dio, nel momento stesso che si provano, producono il loro primo effetto nello spirito, senza permettere all'anima di aver tempo a deliberare se volerle o no. Poiché, come Dio largisce quelle cose soprannaturalmente, senza sufficiente diligenza o attitudine dell'anima, così senza la di lei opera Dio produce in essa l'effetto inteso da Lui. Si tratta di effetto che si opera passivamente nello spirito, e quindi niente importa desiderarlo o no perché avvenga o non avvenga: a quella guisa che, se ad una persona nuda si gettasse fuoco addosso, niente le gioverebbe il non volersi scottare, perché di necessità il fuoco produrrebbe il suo effetto. Non altrimenti accade con le visioni e rappresentazioni buone: sebbene l'anima non le voglia, causano un effetto sicuro, e prima in lei che nel corpo. Anche quelle che provengono dal demonio (senza che l'anima le desideri) cagionano inquietudine o aridità, vanità o presunzione di spirito. Tuttavia non sono di tanta efficacia nel male, quanto quelle di Dio nel bene; perché quelle del demonio possono solamente imprimere nella volontà i primi movimenti, ma non muoverla più oltre, se essa non vuole: e se traggono con sé qualche turbamento, questo non dura molto, purché la poca cautela dell'anima e la mancanza di coraggio non dia motivo a che duri. Ma quelle di Dio penetrano intimamente nell'anima, eccitano la volontà ad amare, e lasciano il loro effetto, a cui l'anima, per quanto faccia, non può assolutamente resistere, ancorché volesse: come il cristallo non può non essere illuminato dal raggio solare che lo investe.

7 - Nondimeno, quantunque le suddette impressioni fossero da Dio, l'anima non deve mai volerle ammettere, ché altrimenti possono accadere sei inconvenienti. Il primo, che va in lei diminuendo la fede; perché le cose che si sperimentano con i sensi distano molto dalla fede, la quale supera ogni senso: di modo che l'anima si allontana dall'unico mezzo dell'unione divina col non chiudere gli occhi a tutte le cose sensibili. Il secondo, che se queste cose non si rifiutano, sono d'impedimento allo spirito, perché questo, trattenendosi in esse, non vola all'invisibile. Questa è una delle cause per cui il Signore disse ai suoi discepoli che era conveniente che Egli se ne andasse, affinché discendesse su di loro lo Spirito Santo (Gv 16 ,7 ); e così pure, dopo la resurrezione non permise alla Maddalena di accostarglisi ai piedi (G v 2 0,1 7) , perché si fondasse sempre più nella fede. Il terzo, che l’anima va nutrendo spirito di proprietà in tali cose, e non cammina alla vera rinuncia nudità spirituale. Il quarto, che va perdendo l'effetto buono che producevano internamente nello spirito, perché fissa gli occhi nella loro parte sensibile, che è la meno importante: e quindi non riceve tanto copiosamente lo spirito che producono, il quale si imprime e si conserva di più negando tutto il sensibile, che è molto differente dal puro spirito. Il quinto, che l'anima va perdendo i doni di Dio, perché li riceve con affetto di proprietà e non ne ricava profitto, precisamente per il fatto che vuole riceverli: Dio non li concede acciocché l'anima li desideri, ché anzi essa mai si deve dare a credere che vengano da Lui. Il sesto: il volere ammettere quelle cose apre la porta al demonio per ingannare con altre somiglianti, che egli sa molto bene dissimulare e mascherare in modo che assomiglino alle buone, giacché, come dice l'apostolo, può trasfigurarsi in angelo di luce (2C or 11 ,1 4 ). Di ciò parleremo in seguito, col divino favore, nel libro terzo, nel capitolo che tratta della gola spirituale [No t t e o scu ra 1 ,1 , c . 6 ] .

8 - Adunque, conviene che l'anima respinga ad occhi chiusi le dette cose, da parte di chiunque vengano. Se ciò non facesse, darebbe tanto luogo a quelle del demonio e a costui tanta opportunità, che non solo ella accoglierebbe quelle diaboliche invece delle divine, ma andrebbero moltiplicandosi le une e diminuendo le altre: di modo che alla fine tutto verrebbe ad essere da parte dello spirito maligno e niente da parte di Dio. Così accadde a molte anime incaute e di poco sapere, le quali tanto si credevano sicure nel ricevere queste cose, che parecchie di loro ebbero molto da fare per ritornare a Dio in purezza di fede; anzi alcune non vi riuscirono, avendo già il demonio messo in loro profonde radici. È necessario dunque chiudere il cuore e rifiutare tutte le dette cose: poiché in quelle cattive si eludono le frodi del maligno e nelle buone poi si evita l 'impedimento alla fede, e lo spirito ne coglie il frutto. Quando si ammettono quelle grazie, Dio le sottrae, perché l'anima nutre attacco verso di loro, senza giovarsene ordinatamente, e al tempo stesso il demonio va intromettendo e aumentando le sue, perché ella dà loro accoglienza volentieri: al contrario, allorché l'anima è rassegnata e contraria ad esse, il demonio si ritira, perché

vede che non può far danno, e Dio dal canto suo accresce ed accumula i suoi doni in quell'anima umile, spropriata, costituendola sopra il molto, come fece col servo fedele nel poco (M t 25 ,21 -23) .

9 - Se nei celesti favori l'anima continuerà ad essere fedele e distaccata, il Signore non cesserà dall'innalzarla di grado in grado all'unione e trasformazione divina. Perocché il Signore prova e solleva l'anima in modo tale, che dapprima le concede doni molto esteriori e ordinari secondo il senso, secondo la di lei poca capacità; poi, se ella si comporta come deve, prendendo cioè quei primi bocconi con sobrietà, solo per nutrirsi e fortificarsi, allora Dio la rende abile e degna di cibo migliore e più abbondante. Di maniera che, se l 'anima vince il demonio nel primo boccone, avrà il secondo e, riportando vittoria in questo, passerà al terzo, e così via, salendo a mano a mano per tutte le sette mansioni o gradi di amore, fino a che lo Sposo la introdurrà nella cella vinaria della sua perfetta carità.

10 - Felice veramente quell'anima che saprà combattere contro la bestia dell'Apocalisse dalle sette teste, che sono contrarie ai sette gradi di amore! Con ciascuna di esse il nemico infernale muove guerra all'anima, combattendola in ognuna delle sette mansioni, in cui ella esercita e guadagna tutti i gradi dell'amor di Dio. Ma, senza dubbio, se ella fedelmente combatterà in ciascuna e sarà vittoriosa, meriterà di passare di grado in grado e di mansione in mansione, fino a raggiungere l'ultima, lasciando mozzate alla bestia le sue sette teste, con le quali le faceva aspra guerra: guerra terribile invero, tanto che S. Giovanni dice (A p 13 ,1 . 7 ) che alla mala bestia fu dato di combattere contro i santi e di poterli vincere in ogni grado di amore, allestendo contro ciascuno armi e munizioni in abbondanza. È assai doloroso il vedere che molti, entrati nella battaglia spirituale contro la bestia, non abbiano ancora il coraggio di reciderle la prima testa, rinunziando alle cose sensuali e mondane! Se alcuni poi riescono a mozzarle la prima, non le tagliano la seconda, cioè le percezioni dei sensi esterni delle quali stiamo parlando. Però quel che è più da compiangersi è che alcuni, avendo già troncata la prima e la seconda testa non solo, ma anche la terza, che corrisponde alle percezioni dei sensi interni, dopo essere usciti dallo stato di meditazione ed essersi spinti ancora più innanzi, giunti che siano al tempo di entrare nel puro dello spirito, si lasciano vincere dalla bestia; la quale ritorna a levarsi contro di loro ed a far sì che rinascano tutte le sue teste sino alla prima. Presi poi con sé altri sette spiriti peggiori di lei, rende la condizione di quelle povere anime molto più triste di prima, per la loro ricaduta.

11 - L'uomo spirituale, dunque, ha da rifiutare tutti i piaceri temporali e le apprensioni che cadono nei sensi esterni, se vuole recidere la prima e la seconda testa della bestia maligna ed entrare nella prima stanza di amore e nella seconda di viva fede, senza impigliarsi né imbarazzarsi con ciò che si presenta ai sensi e che più pregiudica alla fede.

I2 - Dunque è evidente che le visioni e le apprensioni sensitive non possono essere un mezzo per l'unione divina, perché non hanno proporzione con Dio: e questa appunto fu una delle ragioni per cui Cristo Nostro Signore non voleva che la Maddalena e l'apostolo S. Tommaso lo toccassero (G v 20 ,1 7 . 29 ). Il demonio, invece, si rallegra grandemente, quando un’anima ammette rivelazioni ed è propensa a riceverle, perché allora egli coglie buona occasione d'insinuare errori e così sminuire la fede per quanto può: come ho detto, un’anima siffatta rimane sciocca e ignorante intorno alla fede, e va soggetta bene spesso a riflessioni impertinenti e a gravi tentazioni.

13 - Mi sono alquanto dilungato in queste apprensioni esterne, per dare un po' più di luce alle altre di cui parlerò in appreso; però vi sarebbe tanto da dire intorno ad esse, che non finirei mai. Adunque, per dirla in breve, l'anima abbia la massima cura di non ammetterle, eccetto talvolta, dietro un parere di molta autorità, escluso però anche in questo caso ogni desiderio di simili cose. E su questo argomento mi pare che basti ciò che ho detto.

2S CAPITOLO 12

Apprensioni immaginarie naturali - si dice in che consistano, e si prova come non possono essere un mezzo proporzionato per giungere all'unione con dio; e quanto sia

dannoso il non sapersene distaccare

1 - Prima di trattare delle visioni immaginarie che sogliono accadere soprannaturalmente al senso interno, che è l 'immaginazione o la fantasia, è espediente trattare qui delle apprensioni naturali del medesimo senso interno corporeo, per procedere dal meno al più e dal più esterno al più interno, sino ad arrivare all'intimo raccoglimento dove l'anima si unisce a Dio, secondo l'ordine che abbiamo fin qui seguito. Difatti, prima trattammo di spogliare l'anima delle apprensioni naturali degli oggetti esteriori, spogliandola per conseguenza anche delle forze naturali dei suoi appetiti: il che si fece nel primo libro, dove parlammo della notte del senso. Quindi, nel precedente capitolo, abbiamo incominciato a spogliarla in particolare delle apprensioni esteriori soprannaturali che accadono ai sensi esterni, per incamminarla nella notte dello spirito.

2 - Ciò che adesso primieramente ci si presenta è il senso corporeo interno, che è l 'immaginazione o la fantasia, che pure dobbiamo vuotare di tutte le forme e apprensioni immaginarie che possono in esso entrare naturalmente. Proveremo come è impossibile che l'anima arrivi all'unione di Dio fino a che non cessi la sua operazione intorno a quelle forme, in quanto che esse non possono servire di mezzo proprio e prossimo per detta unione.

3 - Si sappia, dunque, che i sensi dei quali qui particolarmente parliamo, sono i due sensi corporei interni, ossia l'immaginativa e la fantasia, le quali ordinatamente servono l'una all'altra; poiché l'una discorre immaginando, l 'altra forma l'immagine o cosa immaginata, fantasticando. Al nostro proposito è indifferente parlare dell'una o dell'altra; e perciò, quando non le nomineremo insieme, si tenga presente che quello che si dice dell'una s'intende detto anche dell'altra. Quindi è che tutte le cose che questi sensi possono ricevere e fabbricare si chiamano immaginazioni e fantasie, le quali sono forme che ad essi si presentano con immagini e figure corporee. Queste possono essere di due .specie. Le une soprannaturali, che si possono rappresentare e si rappresentano di fatto a questi sensi passivamente, cioè senza l'opera loro, e che chiamiamo visioni immaginarie per via soprannaturale, delle quali parleremo di poi. Le altre sono naturali, ossia quelle che il senso interno con la sua capacità di operazione può) fabbricare in sé attivamente sotto forma di figure e immagini. A questi due sensi interni appartiene la meditazione, che è atto discorsivo per mezzo appunto di immagini e figure da essi formate: così per esempio, l 'immaginarsi Cristo Nostro Signore crocifisso, o legato alla colonna, o in altra maniera; o Dio seduto in un trono con grande maestà; o il fingersi la gloria a guisa di risplendentissima luce, o simili altre cose, ora umane, ora divine, che possono cadere nell'immaginativa. L'anima deve vuotarsi di tutte queste apprensioni, restando all'oscuro secondo i sensi interni per giungere alla divina unione, in quanto che esse non hanno alcuna proporzione di mezzo prossimo con Dio: come precisamente abbiamo detto di quelle che servono di oggetto ai cinque sensi esterni.

4 - La ragione di questo è che la fantasia non può fabbricare o immaginare cosa alcuna fuori, dì quelle che ha sperimentato coi sensi esterni, cioè ha visto con gli occhi, ha udito con le orecchie ecc., o, tutt'al più, può comporre cose simili a quelle viste, udite o comunque sentite: le quali somiglianze, però, non hanno altrettanta né, molto meno, maggiore entità delle cose apprese dai sensi esterni. Infatti, per quanto immaginiamo palazzi di gemme e monti di oro dato che abbiamo visto e l 'oro e le gemme, in verità tutto quello è molto meno che l'essenza di un granello d'oro o di una gemma, ancorché con la fantasia ne immaginassimo la maggior quantità e la migliore composizione possibile. Ne consegue che, non avendo tutte le cose create alcuna proporzione con l'essere di Dio, tutto ciò che si può immaginare a loro somiglianza non può servire di mezzo prossimo per l 'unione con Lui, anzi molto meno.

5 - Coloro, quindi, che immaginano Dio sotto figura di qualche cosa, o come un gran fuoco o splendore o altra qualsiasi forma, e pensano che alcunché di tal genere sia simile a Dio, vanno assai lontano da Lui. Certamente, tali considerazioni o maniere di meditare sono necessarie ai principianti per innamorare la loro anima e nutrirla per via dei sensi, come in appresso diremo, e quindi dette forme servono loro di mezzi remoti per unirsi con Dio. Ma quantunque le anime ordinariamente debbano passare per tali mezzi prima di arrivare al termine e alla stanza del riposo spirituale, ciò tuttavia non vuol dire che debbano fermarvisi e dimorarvi sempre, perché altrimenti mai giungerebbero al termine, il quale è ben diverso dai mezzi remoti, e con questi non ha niente a che vedere: alla stessa guisa che i gradini di una scalinata non hanno a che vedere col termine della salita, per il quale termine sono mezzi. Che se colui che sale non lasciasse indietro a mano a mano i gradini fino all'ultimo, e volesse fermarsi in qualcuno di essi, mai giungerebbe alla piana e piacevole dimora a cui la scalinata conduce. Per la qual cosa, l 'anima che vuole arrivare in questa vita all'unione di quel sommo bene e riposo, ha da passare per tutti i gradi di considerazioni, forme e notizie, ma anche farla finita con essi; perché non hanno alcuna somiglianza e proporzione col termine a cui incamminano, che è Dio. Perciò negli Atti degli Apostoli S. Paolo dice: « Non debemus aestimare auro, aut argento, aut lapidi, sculpturae artis et cogitationis hominis, Divinum esse simile» (A t 17 , 29 ): Non dobbiamo stimare che l'essere divino sia somigliante all'oro o all'argento, o alla pietra scolpita dall'arte o a ciò che l'uomo può fingersi con l'immaginazione.

6 - Pertanto, la sbagliano di grosso quelle persone spirituali che dopo essersi esercitate a sollevarsi a Dio con immagini, forme e meditazioni, come conviene certamente ai principianti, quando sono invitate da Dio a beni più spirituali, interiori e invisibili, e a lasciare perciò il gusto e il sapore della meditazione discorsiva, rimangono irresolute, non ardiscono muovere un passo, e non sanno divezzarsi da quei modi grossolani a cui erano abituate, anzi fanno di tutto per ritenerli, e s'incaponiscono a procedere come prima per via di meditazione e considerazione di forme, pensando che sempre debba essere così. In questa vana fatica, non fanno altro che stancarsi e ne ricavano poca o nessuna utilità; anzi si aumenta in loro l'aridità e l’inquietudine dell'anima, a misura che più si affaticano per gustare il primiero sapore. Questo non possono più sperarlo da quella antica maniera, perché l'anima ormai non si contenta più di quel nutrimento tanto palpabile, ma va in cerca di un cibo più delicato, interiore e meno sensibile, che non consiste in lavorare di fantasia, ma nel lasciar riposare l'anima nella sua quiete, ciò che è più spirituale. Poiché, man mano che l'anima va profittando nello spirito, lascia di operare con le potenze attorno ad oggetti e atti particolari, fino a porsi in un solo atto generale e puro. Allora le potenze non operano più nel modo che tenevano prima che l'anima arrivasse a quel punto, non altrimenti che i piedi, toccata la meta, si fermano. Se tutto fosse andare, mai vi sarebbe il giungere; e se tutto consistesse nei mezzi, quando mai si godrebbe il fine?

7 - È cosa deplorevole veder molti i quali, mentre la loro anima vorrebbe starsene nel riposo della quiete interiore, dove si riempie di pace e ristoro divino, la disturbano essi stessi, traendola fuori alle cose più esteriori, facendola ritornare sui suoi passi, di modo che abbandoni il termine in cui già riposa, per appigliarsi di nuovo ai mezzi che a questo conducevano, cioè alle meditazioni. Ciò non accade senza gran disgusto e ripugnanza dell'anima che vorrebbe starsene in quella pace che, pur non comprendendola, è il suo centro: come colui che arrivato alfine dove può riposare dalle sue fatiche, sente gran pena se lo fanno tornare al lavoro di prima. Non sapendo essi il mistero di quella novità, suppongono che quella. tranquilla pace sia un dolce far niente, uno stare oziosi, e perciò non vi si adattano, e procurano di meditare e discorrere con la immaginazione. Donde ne segue che si riempiono di aridità, e si adoprano invano per spremere il sugo da dove allora non devono e non possono. Anzi possiamo dir loro che, mentre più insistono, meno ricavano profitto: e quanto più si ostineranno in quel modo di agire, tanto peggio sarà, perché tanto più tolgono all'anima la sua pace spirituale. Ciò non è altro che lasciare il più per il meno, retrocedere sulla via percorsa e voler ricominciare il già fatto.

8 - Imparino costoro a starsene con attenzione e avvertenza amorosa in Dio in quella quiete, e non si curino affatto dell'immaginazione né dell'opera sua: poiché qui, come andiamo dicendo, le potenze riposano, non operano attivamente ma passivamente,

ricevendo ciò che Dio opera in esse. Se alcune volte operano, non avviene mai con sforzo, né con discorso molto studiato, bensì con soavità di amore, più mosse da Dio che dall'abilità stessa dell'anima, come si spiegherà in seguito. Ma per ora ciò basti a far intendere che a coloro, i quali desiderano di progredire, è necessario che sappiano distaccarsi da tutti gli atti e discorsi dell'immaginazione al momento opportuno, quando cioè lo richiede l'avanzamento al termine cui aspirano.

9 - Affinché poi l'uomo spirituale possa rettamente giudicare del momento opportuno, parleremo di alcuni segni che egli in sé dovrà scorgere, dai quali capirà che è giunto per lui il tempo di non più valersi del discorso e dell'opera dell'immaginazione.

2S CAPITOLO 13

Segni che l'anima deve riscontrare in se stessa per conoscere quando debba lasciare la meditazione e passare allo stato di contemplazione

1 - Per rendere più chiara la dottrina che proponiamo, converrà far conoscere in qual tempo l'uomo spirituale debba lasciare l'atto del meditare discorsivo per mezzo d'immagini, forme e figure, perché non le abbandoni prima che il profitto dello spirito non lo richieda, né dopo . Difatti, come conviene a suo tempo lasciarle perché non impediscano di andare a Dio, così anche è necessario non distaccarsene prima del tempo, a fine di non volgere indietro; poiché, sebbene le apprensioni delle potenze interne non servano ai proficienti qual mezzo prossimo di unione, nondimeno servono come mezzi remoti agli incipienti, per disporsi ad abilitarsi alle cose spirituali per via dei sensi, e per sbarazzarsi da tutte le altre forme e immagini basse, temporali, mondane e naturali. I segni che l'uomo spirituale deve in sé scoprire prima di lasciare la meditazione discorsiva, sono tre.

2 - Primo: l 'accorgersi che ormai non può più meditare né operare con l'immaginazione, e non si diletta di ciò come per l 'innanzi, ma trova aridità in quello che prima soleva fissare il senso e averne un vantaggio. Però, fintantoché con piacere può discorrere nella meditazione, non deve abbandonarla eccetto quando l'anima fosse stabilita nella pace e quiete di cui si parla nel terzo segno.

3 - Secondo: quando vede che non ha alcuna voglia di applicare l'immaginazione né il senso in altre cose particolari, sì esteriori che interiori. Non dico che la fantasia non possa trascorrere qua e là .(ché essa anche in tempo di grande raccoglimento suole divagarsi), ma che l'anima non goda di indirizzarla di proposito ad altre cose.

4 - Il terzo segno, il più certo, è che l'anima gusta di starsene da sola con amorosa attenzione a Dio, senza particolare considerazione, in pace e riposo interiore, e senza atti ed esercizi delle sue tre potenze, atti discorsivi almeno, quelli cioè che passano dall'una cosa all'altra; ma solamente con l'attenzione e la notizia generale e amorosa di cui parliamo, senza notizia o intelligenza particolare.

5 - La persona spirituale ha da vedere in sé per lo meno questi tre segni, simultaneamente, per uscire con sicurezza dallo stato della meditazione e del senso, ed entrare in quello della contemplazione e dello spirito.

6 - Non basta avere il primo segno senza il secondo, perché potrebbe darsi che il non poter più come prima immaginare e meditare nelle cose di Dio, dipendesse da distrazione e poco raccoglimento; perciò si deve osservare anche il secondo, che è il non aver desiderio o appetito di pensare ad altre cose estranee. Poiché, quando il non poter fissare l'immaginazione nelle cose di Dio nasce da distrazione o tiepidezza, l'uomo subito desidera di applicarla ad altre cose differenti, che offrano occasione di staccarsi dalle cose divine. Nemmeno poi basta vedere in sé il. primo e il secondo segno, se a questi non vada congiunto il terzo; poiché, quantunque alcuno si accorgesse che non può discorrere e pensare nelle cose di Dio, e che neppure desidera di volgere il pensiero ad altre cose

differenti, nondimeno ciò potrebbe procedere da malinconia o qualche altro umore che si trovi nel cervello o nel cuore, che sogliono causare nel senso un certo intontimento o sospensione, in modo che l'anima preferisce di starsene come inebetita in questa estasi saporosa, senza pensare a cosa alcuna e senza voglia di pensarla. Contro ogni pericolo d'inganno è necessario il terzo segno, che è la notizia generale e attenzione. amorosa e pacifica, come or ora abbiamo detto.

7 - Vero è che al cominciare di tale stato, nuovo per l 'anima, non si riesce troppo bene a discernere questa notizia amorosa, e per due ragioni. L'una, perché sul principio essa suol essere molto sottile e delicata, quasi insensibile; l 'altra, perché l'anima, essendo stata abituata all'esercizio della meditazione, che è affatto sensibile, non percepisce quasi quest'altra novità insensibile, che è già puramente spirituale. Maggiormente ciò accade quando l'anima, non intendendo tale notizia, non ne rimane quieta e tranquilla, e si va procurando l'esercizio più sensibile della meditazione; onde per quanto l'interna pace amorosa sia abbondante, non è possibile sentirla e goderla. Ma, quanto più l'anima si andrà tranquillizzando, tanto più avvertirà e sentirà aumentare in sé quella notizia amorosa generale di Dio, della quale ella gode più che di ogni altra cosa, perché le apporta pace, riposo, sapore e diletto senza fatica.

8 - E acciocché il fin qui detto sia più chiaro, diremo nel capitolo seguente le cause e le ragioni da cui i detti tre segni appariranno necessari per entrare nella via dello spirito.

2S CAPITOLO 14

Si prova la convenienza dei segni menzionati nel precedente capitolo, e si dimostra la loro necessità per andare avanti

1 - Intorno al primo segno che abbiamo accennato, bisogna sapere che, per entrare nella via dello spirito (che è la contemplazione), l 'uomo spirituale deve lasciare la via immaginaria e di meditazione sensibile. Il non gustare più di questa e il non poter più discorrere avviene per due ragioni che quasi si riducono ad una sola. La prima: perché in certo modo già è stato comunicato all'anima tutto il bene spirituale che aveva da ricavare nelle cose di Dio per via di meditazione e discorso. Indizio di ciò è il non poter più meditare e discorrere, il non trovare più in questo esercizio il consueto sapore e piacere, come per l 'innanzi, quando non era ancora giunta a godere intimamente dello spirito che in quell'esercizio medesimo era nascosto. Perocché, ordinariamente, ogni volta che l'anima riceve alcun bene spirituale, lo riceve gustando, almeno con lo spirito, di quel mezzo da cui lo riceve e con profitto; altrimenti, sarebbe un miracolo [d a mer av i g l i a rs i ] che il bene spirituale le giovasse [ne t ragga van tagg io ; C f 1N 13 , 12 ] , né ella troverebbe nella causa di esso quell'appoggio e sapore, che invece trova quando riceve quel bene. Ciò è quello che i filosofi dicono: Quod sapit, nutrit: quel che piace nutre e impingua. E il santo Giobbe dice: «Numquid... poterit comedi insulsum, quod non est sale condìtum?» (Gb 6 ,6 ) . Potrà mai mangiarsi ciò che è insipido, non condito col sale? La prima causa, dunque, del non poter considerare né discorrere come prima, è il poco sapore e profitto che lo spirito vi ritrova.

2 - La seconda causa, è perché ormai l 'anima possiede lo spirito della meditazione in sostanza e abito. Il fine della meditazione e del discorso nelle cose dì Dio è ricavarne qualche notizia e amor di Dio. Orbene, ogni volta che per la meditazione l'anima ritrae quel vantaggio, fa' un atto; e, come molti atti in qualsivoglia ordine di cose vengono a generare abito nell'anima , così molti atti di notizie amorose che l'anima è andata man mano compiendo, col continuo ripetersi fanno sì che ella ne acquisti l 'abito. Il che, peraltro, Dio suole operare in molte anime, anche senza questi atti (almeno senza che ne siano preceduti molti), ponendole subito in contemplazione. E così, quello che l'anima andava prima ricavando a poco a poco con la fatica del meditare in notizie particolari, ormai per l 'uso è diventato in lei abito e sostanza di una notizia amorosa generale, non distinta, né particolare come per l'addietro. Quindi avviene che quando si mette in orazione, a guisa di chi è giunto ad una sorgente, beve senza fatica in tutta pace e soavità, senza che l'acqua divina debba esserle derivata mediante i canali delle passate

considerazioni, forme e figure. Di maniera che, mettendosi alla presenza di Dio, si pone in un atto di notizia confusa, amorosa, pacifica e tranquilla, in cui ella beve sapienza, amore e diletto.

3 - Mentre l'anima gode questo riposo, non v'è cosa che più l'affatichi e addolori, quanto il costringerla alla meditazione di notizie particolari. Le accade quello che avverrebbe ad un bambino che fosse staccato dal petto materno mentre tranquillo stava godendo del dolce alimento, e fosse costretto a ricercarlo con i propri sforzi; ovvero come a colui che, avendo sbucciato un frutto e incominciato ad assaporarne la polpa, fosse obbligato a lasciarlo e a riprendere la buccia, che già aveva gettata via. Costui né troverebbe più la buccia, né gusterebbe la polpa del frutto che teneva in bocca: simile a colui che lascia la preda, per prenderne un'altra che non ha.

4 - Così fanno molti che cominciano ad entrare in questo stato. Pensano che tutto il meglio consista nel discorrere e intendere cose particolari per mezzo d'immagini e forme, che sono la corteccia dello spirito; e poiché non le trovano in quella quiete amorosa e sostanziale in cui vuol starsene l'anima loro, dove non intendono cosa chiara, credono di smarrire il cammino e di perdere tempo, e tornano a cercare la corteccia dell'immagine del discorso, ma non la trovano perché già tolta; e quindi non gustano la sostanza, né colgono il frutto della meditazione, anzi si turbano pensando di tornare indietro e andar perduti. E invero si perdono, quantunque non come essi pensano, perché si perdono ai propri sensi e alla prima maniera di sentire, il che vuol dire andare guadagnando nello spirito che loro viene dato; poiché quanto meno intendono, tanto più penetrano nella notte dello spirito, per dove hanno da passare per finirsi a Dio, al disopra di ogni umano sapere.

5 - Intorno al secondo segno v'è poco da dire, essendo evidente che l'anima, giunta a quel punto, non ha necessità di gustare altre immaginazioni differenti e mondane: poiché ormai, per le suesposte ragioni, nemmeno più si diletta di quelle maggiormente consentanee a lei, quali sono le apprensioni immaginarie intorno a Dio. Solamente, come abbiamo notato più sopra, l'immaginativa anche nell'attuale raccoglimento suole da sé andare e venire e cambiare, ma senza piacere e consenso dell'anima, la quale anzi ne prova grande pena, perché viene disturbata nella sua dolce quiete.

6 - In quanto al terzo segno, che consiste in una notizia o avvertenza generale e amorosa in Dio, non intendo qui trattenermi a lungo per dimostrare quanto esso sia conveniente e necessario, per poter lasciare la meditazione. Difatti, già lo si può dedurre abbastanza da quel che abbiamo detto relativamente al primo segno e, del resto, se ne parlerà di proposito quando, a suo luogo, tratteremo di detta notizia generale e confusa, cioè dopo che avremo parlato di tutte le apprensioni particolari dell' intelletto. Per ora tuttavia adduco una sola ragione dalla quale si capisca chiaramente come, nel caso in cui il contemplativo voglia lasciare la via della meditazione e del discorso, gli è necessaria questa avvertenza o notizia amorosa generale di Dio. La ragione dunque è perché, se l 'anima non avesse allora tale notizia o avvertenza in Dio, ne seguirebbe che ella non farebbe e non ritroverebbe nulla. Perocché, da una parte abbandona la meditazione, con la quale operava discorrendo mediante le potenze sensitive, e dall'altra è ancor priva della contemplazione, cioè dell'anzidetta notizia generale, nella quale l'anima tiene attuate le sue potenze spirituali memoria, intelletto e volontà, unite alla stessa notizia già operata e ricevuta in esse. Per conseguenza le viene a mancare qualsiasi esercizio intorno a Dio, dato che un'anima, senza dubbio, non può operare né ricevere l’operato se non per mezzo delle potenze sensitive e delle spirituali. Mediante le potenze sensitive, come abbiamo detto, può discorrere, ricercare e formare le immagini degli oggetti [ I n t end i . l e due po tenze s ens i t ive

in t ern e , c ioè l ' imm ag ina t iva e l a fan ta s i a ] , e per mezzo delle potenze spirituali può godere le notizie già in esse ricevute, senza che le medesime operino più.

7 - Onde la differenza che passa tra l 'esercizio che l'anima fa circa le une e le altre potenze, è quella che corre tra l 'operare e il godere dell'opera fatta, tra il ricevere e il trar profitto dalla cosa ricevuta; tra la fatica del cammino e il riposo e la quiete del termine, tra l 'ammannire il cibo e il mangiarlo già condito e masticato, senza scomodarsi affatto. Se l'anima non esercitasse le potenze sensitive nella meditazione e ne discorso, ovvero

non fosse impiegata intorno alle cose ricevute e operate nelle potenze spirituali, cioè circa la contemplazione o semplice notizia che abbiamo detto, ma stesse oziosa nelle une e nelle altre potenze non sapremmo dire in che cosa e come potrebbe essere occupata. Dunque è necessaria tale notizia, prima di potere abbandonare la via della meditazione e del discorso.

8 - Però conviene qui sapere che la notizia generale di cui parliamo è alle volte sì sottile e delicata, che l'anima, per quanto applicata ad essa, non se ne avvede e non la sente. Questo maggiormente succede quando la notizia è in sé più chiara, pura, semplice perfetta e spirituale, e tale è quando investe un'anima più pura e sgombra da altre idee e notizie particolari, a cui l 'intelletto o il senso possano appigliarsi. L'anima allora, essendo priva delle notizie circa le cose in cui l 'intelletto e il senso hanno capacità e costume di esercitarsi, non percepisce quella notizia meramente spirituale, perché appunto le mancano le sue abituali forme sensibili. Perciò, quando quella notizia è più pura, perfetta e semplice, è meno sentita dall'intelletto ed è per lui più oscura: mentre quando è meno semplice e pura, appare all'intelletto più chiara e importante, perché è rivestita o mescolata di alcune forme intelligibili o sensibili, in cui l 'intelletto e il senso si possono fermare.

9 - Il che s'intenderà bene con la seguente comparazione. Se osserviamo un raggio di sole che penetra da una finestra, vediamo che quanto più l'aria è popolata di atomi di polvere, tanto più il raggio appare sensibile e chiaro al nostro sguardo; mentre proprio allora è meno limpido e puro, perché appunto è ripieno di innumerevoli atomi. All'opposto, quando l'aria è più limpida e scevra di pulviscoli, il raggio è meno sensibile alla vista e sembra più oscuro. Se poi il raggio fosse assolutamente puro e libero anche dai più minuti pulviscoli, ci sembrerebbe affatto oscuro e sarebbe impercettibile al nostro occhio, il quale, per l 'assenza di oggetti visibili, non avrebbe dove posare lo sguardo, perché la luce non è l'oggetto della vista, ma il mezzo con cui l'occhio percepisce l'oggetto visibile: se dunque mancheranno, le cose materiali, su cui la luce del raggio possa riflettersi, non si vedrà nulla. Per la qual cosa, se per ipotesi entrasse un raggio da una finestra e uscisse da un'altra, senza incontrare corpo alcuno, non si vedrebbe niente; eppure il raggio sarebbe in sé più puro e limpido che non quando, per la presenza di oggetti, sembrava più luminoso.

10 - Lo stesso accade della luce spirituale nell'occhio dell'anima, che è l 'intelletto. La notizia e luce soprannaturale di cui parliamo lo investe in modo sì puro e semplice, ed è sì spoglia e lontana da tutte le forme intelligibili , che sono l 'oggetto proporzionato dell'intelletto, che questo non l'avverte né riesce a vederla; anzi, a volte (quando è più pura), gli cagiona tenebre, perché maggiormente lo allontana dalle sue luci abituali di forme e di fantasmi, e allora esso troppo bene giunge a sentire e vedere le tenebre. Ma, quando l'anima non è investita con molta forza dal lume divino, non sente tenebre, né vede luce, né apprende cosa alcuna che ella sappia, da nessuna parte; onde alle volte resta come in un grande oblio, tanto che dopo non si raccapezza in che stato si sia trovata, né che cosa abbia fatto, né quanto tempo abbia passato in quello, stato. Talvolta, in realtà, accade che l'anima trascorra molte ore in tale dimenticanza, e quando torna in sé, le sembra che non sia passato neppure un momento, o che non sia successo niente.

11 - La causa di questo oblio è la purezza e semplicità di quella notizia; la quale, mentre occupa l'anima, la rende semplice, pura e monda da tutte le apprensioni e forme dei sensi e della memoria, per mezzo delle quali prima operava nel tempo; e quindi la lascia sospesa in profondo oblio e senza la nozione del tempo. Ond'è, che quella notizia od orazione, quantunque duri molto, sembra brevissima, perché l'anima stette assorta in una intelligenza pura che non è soggetta alla misura del tempo: è l 'orazione breve di cui si dice che penetra i cieli, perché non è nel tempo. Penetra i cieli, perché l'anima è unita in una celeste intelligenza; e perciò, quando l'anima si risveglia, questa notizia la lascia con gli effetti che in lei operò senza che ella se li sentisse produrre. I quali effetti mirabili sono: elevazione di mente a intelligenza celestiale, alienazione e astrazione da tutte le cose, e dalle loro forme o figure, e dalla loro memoria. Il che Davide dice essergli accaduto, allorché ritornò in sé da siffatto oblio: «Vigilavi, et factus sum sicut passer

solitarius in tecto» (Sa l 101 ,8 ): Mi svegliai, e diventai simile ad un passero solitario sul tetto. Dice solitario, cioè alieno e lontano da tutte le cose: e sul tetto, cioè con la mente elevata in alto; e quindi l 'anima rimane come ignorante delle cose, perché solamente sa di Dio ma senza saper come. E la Sposa dei Cantici, tra gli effetti di questo sonno e oblio, annovera anche questo non sapere, dicendo: «Nescivi» (C t 6 , 11): Non seppi donde mi venne ciò che provo. Sebbene in questa notizia all'anima sembri di non far niente, e di non esser applicata a nessuna cosa, perché non opera con i sensi e le potenze, creda pure che non sta perdendo tempo invano; poiché, quantunque cessi l'armonia delle sue potenze, nondimeno la sua intelligenza si trova, nel felice stato che abbiamo descritto. E per questo la Sposa dei Cantici, da saggia com’era, assalita da quel dubbio, rispose a se stessa dicendo: «Ego dormio, et cor meum vigilat» (Ct 5 ,2): Sebbene io dorma secondo ciò che sono naturalmente, cessando di operare, il mio cuore veglia, essendo elevato a notizia soprannaturale.

I2 - Però non si deve intendere che questa notizia, affinché sia quale l'abbiamo descritta, debba necessariamente cagionare il detto oblio: ciò accade soltanto quando Dio in modo affatto particolare astrae l'anima dall'esercizio di tutte le sue potenze naturali e spirituali, il che si verifica il meno delle volte, perché certamente non sempre detta notizia occupa tutta l 'anima. Per il caso nostro, cioè perché sia la notizia di cui andiamo parlando, basta che l'intelletto sia astratto da qualsivoglia apprensione di cose particolari, sia temporali sia spirituali, e che la volontà non abbia desiderio di pensare intorno alle une o alle altre, poiché allora è segno che l'anima è occupata. Tutto questo è indizio che la pura notizia si applica e comunica solo all'intelletto (ed è precisamente il caso in cui alle volte l 'anima non se ne accorge). Invece, allorché si comunica anche alla volontà, il che avviene quasi sempre, l 'anima prestandovi attenzione, sempre conosce, o poco o molto, di essere occupata in quella notizia, perché avverte di trovarsi in essa con sapore di amore, senza però sapere né intendere particolarmente ciò che ama. Per questo la chiamo notizia amorosa generale, poiché come lo è per l 'intelletto, comunicandosi a lui oscuramente, così anche lo è per la volontà, infondendole amore e sapore confusamente, senza che essa comprenda in modo distinto ciò che ama.

13 - Questo per ora basti per capire quanto è necessario che l'anima sia applicata in questa notizia, perché possa lasciare la via del discorso spirituale, ed essere sicura che, quantunque le sembri di non far niente, è molto bene occupata, se vede in sé i segni sopraddetti. Credo anche che per mezzo della surriferita comparazione ancor meglio s'intenda che, se la luce dell'amorosa notizia si manifestasse più comprensibile e visibile all'intelletto, come appare all'occhio il raggio solare quando è pieno di pulviscolo, non per questo l'anima dovrebbe stimarla per più chiara, alta e pura. Poiché, secondo ciò che dicono Aristotele e i teologi, quanto più la luce divina è alta e sublime tanto più è oscura al nostro intelletto.

14 - Di questa divina notizia, considerata e in se stessa e negli effetti che produce nei contemplativi, resta molto da dire. Ma rimettiamo tutto ciò a suo luogo, anzi intorno a quello che già se n'è detto non ci sarebbe stato motivo di dilungarci tanto, se non fosse stato a fine di non lasciare questa dottrina più confusa di quel che è adesso, ché certamente, lo riconosco, lo è ancora di molto, Perocché, oltre che è una materia che poche volte si tratta in questa maniera, sia a voce sia in iscritto, essendo in sé straordinaria e oscura, si aggiunge anche il mio rozzo stile e il mio poco sapere; di modo che, dubitando di non saperla far comprendere, mi avvedo che spesso m'indugio troppo, ed esco fuori dei limiti che basterebbero a quella parte di dottrina che vado trattando. Il che confesso di farlo talvolta di proposito; perché, ciò che non si rende chiaro con alcune ragioni, forse si spiegherà e intenderà meglio con l'aggiunta di altre; ed anche perché conosco che in tal modo si apporta maggiore luce a ciò che si dirà in seguito.

15 - Quindi mi sembra opportuno, tanto per concludere sul presente argomento, di rispondere a un dubbio che potrebbe sorgere circa la continuazione dell'esercizio di questa notizia: il che farò brevemente nel seguente capitolo.

2S CAPITOLO 15

SI DICHIARA CHE Al PROFICIENTI, OUELLI CIOÈ CHECOMINCIANO AD ENTRARE NELLA NOTIZIA GE -NERALE DELLA CONTEMPLAZIONE, CONVIENE

ALLE VOLTE FAR USO DEL DISCORSO EDEGLI ATTI DELLE POTENZE NATURALI

1 - Intorno a ciò che abbiamo detto, potrebbe nascere un dubbio ed è, se i proficienti, cioè coloro che Dio comincia a porre nella notizia soprannaturale di contemplazione, per il fatto stesso che cominciano a riceverla, non debbano mai più giovarsi della via della meditazione, del discorso e delle idee naturali. Rispondo che certamente non s'intende che coloro i quali cominciano ad avere questa notizia amorosa e semplice in generale, non abbiano più ad esercitarsi nella meditazione, né procurarla. Poiché, al principio del loro progresso, da una parte essi non hanno l'abito di quella notizia così perfetto da porsi nel suo atto non appena lo vogliano; dall'altra poi, non sono tanto remoti dallo stato di meditazione che non possano alcune volte meditare e discorrere come solevano, e trovare in questo esercizio qualcosa di nuovo. Anzi, al principio, se dagli indizi suddetti possono giudicare che l'anima non si trova ancora occupata in quella notizia e quiete spirituale, avranno bisogno di far uso del discorso fino a che non vengano ad acquistar l 'abito di essa, in qualche maniera perfetto, il che avverrà quando, non appena vorranno raccogliersi, subito entreranno in quella notizia e pace, senza poter meditare, né averne il desiderio: ma, prima di giungere a questo punto che è dei proficienti nella contemplazione, la meditazione va intercalata alla notizia.

2 - Pertanto, molte volte l 'anima si troverà in questa amorosa e pacifica avvertenza, senza nulla operare con le potenze circa atti particolari, non operando attivamente, ma solo ricevendo; e molte altre volte avrà bisogno di aiutarsi per mezzo del discorso, ma con moderazione e senza sforzo, per stabilirsi nella notizia. Però, avvenuto ciò, l'anima non opera niente con le sue potenze; anzi allora, a dire il vero, la celeste e saporosa intelligenza viene operata nell 'anima, mentre questa non fa nient'altro che fissare un'amorosa attenzione in Dio, senza voler sentire o vedere alcuna cosa. Quindi Dio le si comunica passivamente, come chi ha gli occhi aperti riceve passivamente la luce, non facendo altro che tenerli aperti. Il ricevere la luce soprannaturalmente è intendere passivamente; perciò si dice che l'anima non opera, non già perché non intenda, ma perché ciò che intende non è frutto della sua industria, e consiste nel solo ricevere quel che le danno come accade nelle illuminazioni o ispirazioni divine 9.

3 - Sebbene la volontà riceva liberamente la notizia generale e confusa di Dio, tuttavia, per ricevere più semplicemente e abbondantemente questa luce, è necessario che non frapponga altre luci più palpabili e sensibili di estranee notizie o forme di discorso; perché, niente di tutto questo è simile a quella serena e limpida luce. Perciò se allora volesse intendere e considerare cose particolari, quantunque spirituali, impedirebbe la luce chiara, semplice e generale dello spirito, intromettendovi quelle nubi: non altrimenti che s'impedirebbe la luce e la vista degli oggetti a chi si mettesse un ostacolo davanti agli occhi.

4 - È evidente, quindi, che non appena l'anima sarà riuscita a ben purificarsi e vuotarsi di tutte le forme e immagini apprensibili, rimarrà in quella pura e semplice luce, trasformandosi in essa in stato di perfezione. Quella luce non manca mai nell'anima, ma le forme e i veli delle creature, nei quali l 'anima è avvolta e imbarazzata, impediscono che vi s'infonda. Che se l'anima finisse di togliere ogni velo o impedimento, rimanendosene nella pura nudità e povertà di spirito, subito ella, già semplice e pura,

9 Il S. Dottore non poteva essere più chiaro ed esplicito nell'esprimere il suo pensiero, tanto diverso da quello dei Quietisti e simile genia. Tenendo presente questo passo, il lettore potrà facilmente capire che, ogni volta che il Santo parla di ozio, quiete, annichilazione delle potenze dell'anima, non asserisce che sia abolito il loro atto vitale d'intendere e di amare, ma soltanto che la comunicazione soprannaturale risparmia loro la fatica dell'opera.

si trasformerebbe nella semplice e pura Sapienza, che è il Figlio di Dio. Venendo a mancare nell'anima innamorata quanto vi era di naturale, subito le s'infonde il divino naturalmente e soprannaturalmente, perché in natura il vuoto ripugna.

5 - Impari, dunque l'uomo spirituale a starsene con avvertenza amorosa in Dio, con riposo dell'intelletto quando non può meditare, quantunque gli sembri di non far niente. A poco a poco, e molto presto, gli s'infonderà nell'anima una celeste pace, con ammirabili e sublimi notizie di Dio rivestite di amore divino. E non s'impacci in immaginazioni o meditazioni o discorsi di sorta, a fine di non disturbare l'anima e non strapparla dalla sua quiete e dal suo contento; e non la trascini dove non trova altro che ripugnanza e pena. Se poi gli venisse lo scrupolo di non far nulla, avverta che non è poco il pacificare l'anima, stabilirla cioè nel suo riposo, senza che operi o appetisca alcuna cosa: il che è precisamente ciò che il Signore ci domanda per bocca di Davide, dicendo: «Vacate et videte quoniam ego sum Deus» (Sa l 45 ,11 ): Imparate ad essere vuoti di tutte le cose (interiormente ed esteriormente) e conoscerete che io sono Dio.

2S CAPITOLO 16

TRATTA DELLE APPRENSIONI IMMAGINARIE CHE SOPRANNATU -RALMENTE SI RAPPRESENTANO ALLA FANTASIA - SI DICE

COME NON POSSONO SERVIRE ALL'ANIMA DI MEZZOPROSSIMO PER L'UNIONE CON DIO

1 - Abbiamo trattato delle apprensioni che l'anima può ricevere in sé naturalmente, e nelle quali l 'immaginativa e la fantasia possono operare con il loro discorso.

Ora conviene trattare delle apprensioni soprannaturali, che si chiamano visioni immaginarie, le quali, producendosi sotto forma d'immagine e figura, appartengono anch'esse al detto senso, né più né meno che le naturali.

2 - È da notarsi che col nome di visioni immaginarie vogliamo intendere tutte le cose che sotto immagine o figura o specie si possono presentare soprannaturalmente all'immaginazione. Tutte le apprensioni e specie che dai cinque sensi del corpo si offrono all'anima e s'imprimono in lei per via naturale, possono verificarsi e rappresentarsi in essa per via soprannaturale, senza il concorso ed il ministero dei sensi esterni. La fantasia, congiunta alla memoria, è come un archivio e ricettacolo dell'intelletto, in cui si raccolgono tutte le forme e immagini da rendersi intelligibili. A guisa di uno specchio, le ritiene in sé, dopo averle ricevute per via dei cinque sensi o, come stiamo dicendo, soprannaturalmente, e di poi le presenta all’intelletto, il quale le considera e ne giudica. E non solo questo può la fantasia, ma può anche comporre e immaginare altre forme a somiglianza di quelle già percepite.

3 - È dunque da sapersi che alla stessa maniera che i cinque sensi esterni propongono le immagini e le specie dei loro oggetti ai sensi interni, così pure Dio e il demonio possono presentare, soprannaturalmente e senza l'opera dei sensi esterni, le stesse immagini e specie, e assai più belle e perfette. Sotto queste immagini, Dio spesso presenta all'anima molte cose e le insegna molta sapienza, come leggiamo ad ogni passo della Divina Scrittura. Così, ad esempio, Dio manifestò la sua gloria nascosta sotto denso fumo che riempiva il tempio. Ad Isaia si mostrò seduto su di un trono, e circondato da Serafini che si coprivano con le ali il volto e i piedi ( I s 6 ,1 - 2) . A Geremia dié a vedere una verga che vegliava (Ge r 1 ,11 ), e a Daniele una moltitudine di visioni (Dan 7 , 10 ). Dal canto suo il demonio con le sue visioni, in apparenza buone, procura d'indurre l'anima in errore, come si può vedere nel terzo libro dei Re, quando ingannò tutti i profeti d'Acab, rappresentando alla loro immaginazione certe corna con le quali diede loro a credere che il re d'Israele avrebbe sterminato gli Assiri, il che fu menzogna (3R e 22 , 11 -23). Si aggiungano le visioni che ebbe la moglie di Pilato, perché questi non condannasse a morte Gesù Cristo Nostro Signore (Mt 27 ,19); e così molte altre in vari luoghi della Sacra Scrittura. Nello specchio della fantasia o immaginativa le visioni immaginarie succedono ai proficienti più di frequente che non le esteriori corporee; e rispetto alle immagini o specie non

differiscono da quelle che entrano per i sensi esterni. Però, riguardo al loro effetto e alla loro perfezione, vi è molta differenza, perché sono più sottili e producono maggior effetto nell'anima, essendo soprannaturali e più intime che non le soprannaturali esterne. Ciò non toglie che alcune visioni corporee esteriori facciano più effetto, poiché alla fin fine la comunicazione avviene come a Dio piace: solamente vogliamo dire che le visioni immaginarie producono maggior effetto, per quanto è da parte loro, essendo più interiori.

4 - Il senso dell'immaginazione o fantasia è quello in cui ordinariamente il demonio s'insinua con i suoi trucchi, ora naturali ora preternaturali, perché questo senso è la porta d'ingresso dell'anima, e come un porto o una piazza dove l'intelletto viene a fare le sue provvigioni. Quindi tanto Dio, quanto il demonio, accorrono là con le loro gemme di immagini e forme soprannaturali per offrirle all'intelletto: ben inteso che Dio non si serve solo di questo mezzo per istruire l 'anima, ma dimorando sostanzialmente in lei, può agire direttamente o con altri mezzi.

5 - Non mi trattengo qui ad enumerare gl'indizi per conoscere quali visioni siano da Dio e quali no, e quali siano le loro diverse maniere; non è questo il mio intento, ma solo d'istruire l 'intelletto in esse, affinché nelle buone non incontri ostacolo all 'unione con la Divina Sapienza, e non resti ingannato nelle false.

6 - Pertanto, circa tutte queste apprensioni e visioni immaginarie e altre di qualsivoglia specie, che si offrono sotto forma o figura particolare, o siano false perché da parte del demonio, o si riconoscano per vere perché da parte di Dio, dico che l'intelletto non deve imbarazzarsi né nutrirsi di esse. L'anima non le deve ammettere né ritenere, a fine di essere distaccata, spoglia, pura e semplice, senza alcuna di quelle maniere di percezione, come precisamente si richiede per l 'unione divina.

7 - La ragione è che tutte le dette forme nella loro apprensione si rappresentano sempre sotto maniere e modi limitati, mentre la sapienza di Dio, alla quale I' intelletto deve unirsi, non ha modi o maniere, né cade sotto alcun limite di cognizione distinta e particolare, essendo del tutto semplice e pura. Per unirsi due estremi, quali sono l'anima e la Divina Sapienza, è necessario che convengano in un certo mezzo di somiglianza tra loro; onde ne segue che anche l'anima ha da essere pura e semplice, non aderente ad alcuna cognizione particolare, né modificata e limitata da alcuna forma, specie e immagine. Come Dio non cade sotto immagine o forma o intelligenza particolare, neppure l'anima, per unirsi a Lui, deve essere limitata da forma o cognizione distinta.

8 - Che poi in Dio non vi sia forma o immagine alcuna, ce lo fa ben conoscere la Scrittura nel Deuteronomio, dicendo: «Voce verborum eius audistis, et formam penitus non vidistis» (D t 4 ,12 ): Udiste il suono delle sue parole, ma non avete visto affatto alcuna forma in Dio. È dice anche che là, sul monte Oreb, vi erano tenebre e nubi, il che significa la notizia confusa e oscura in cui l 'anima si unisce a Dio. E più innanzi aggiunge: «Non vidistis aliquam similitudinem, in die qua locutus est vobis Dominus in Horeb de medio ignis» (D t

4 , 15 ): Voi non vedeste alcuna immagine in Dio, nel giorno che vi parlò in mezzo al fuoco sul monte Oreb.

9 - Che, d'altra parte, l 'anima non possa giungere all'altezza dell'unione divina (quanto è permesso in questa vita) per mezzo di forme e figure, ugualmente lo Spirito Santo lo attesta nel libro dei Numeri, dove si narra che Dio riprese Aronne e Maria, perché mormoravano contro il loro fratello Mosè, e volle far comprendere loro l'alto stato d'unione e di amicizia in cui Egli lo aveva collocato, dicendo: « Si quis fuerit inter vos Propheta Domini, in visione apparebo ei, vel per somnium loquar ad illum. At non talis servus meus Moyses, qui in omni domo mea fidelissimus est; ore enim ad os loquor ei, et palam, et non per aenigmata et figuras Dominum videt» (N m 12 , 6 -8 ): Se vi sarà tra voi alcun Profeta del Signore, gli apparirò in qualche visione o forma, o gli parlerò in sogno. Ma non v'è nessuno come il mio servo Mosè, che in tutta la mia casa è fedelissimo; parlo con lui bocca a bocca, ed egli non vede Dio per comparazioni, somiglianze o figure. In queste parole appare chiaro che, nell’alto stato, di unione di cui paliamo, Dio non si comunica all'anima sotto i veli di visione immaginaria, né di somiglianza o figura, ma bocca a

bocca: ossia la pura e nitida essenza divina, che è come la bocca di Dio, si comunica in amore con la pura e nuda essenza dell'anima, che è la bocca di essa in amore di Dio.

10 - Dunque, per giungere a questa essenziale unione di amore di Dio, l 'anima badi bene di non appoggiarsi a visioni immaginarie, né a forme, né a figure, né a particolari intelligenze, poiché non le possono servire di mezzo proporzionato e prossimo a tal fine, anzi le recherebbero disturbo, e perciò vi rinunzi e procuri di non averle. Se per qualche ragione si dovessero ammettere e apprezzare, sarebbe soltanto per il buon effetto di maggior profitto che le vere producono nell'anima; ma, per avere questo effetto, non è necessario ammetterle, ma piuttosto disprezzarle sempre. Perocché il bene che queste visioni immaginarie (come dicemmo delle corporee esteriori) possono fare all'anima, è comunicare intelligenza o amore o soavità; però, acciocché producano tale effetto, non v'è bisogno che l'anima voglia ammetterle, perché nel momento stesso che si presentano nell'immaginazione, si presentano anche nell'anima, infondendole intelligenza o amore o soavità, o quello che per divino volere devono apportare. Anzi tale effetto non solo in pari tempo, ma anche principalmente viene operato, e passivamente, cioè senza che l'anima valga ad impedirlo, per quanto volesse, come del resto il conseguirlo non dipese da lei, se non in quanto prima seppe disporsi. Come l'invetriata non può impedire il raggio di sole che la investe, e viene illuminata passivamente senza la propria opera, ma solo perché è disposta per la sua nettezza; così pure l'anima non può non ricevere in sé gli influssi e le comunicazioni di quelle figure, quantunque non volesse e facesse loro resistenza. La volontà, comportandosi negativamente, con umile e amorosa rassegnazione, non può resistere alle infusioni soprannaturali: soltanto l'impurezza e le imperfezioni possono essere d'impedimento, come le macchie sono di ostacolo alla luce nell'invetriata.

11 - Donde chiaro si scorge che, quando l'anima si spoglia con l'affetto della volontà dalle macchie delle immagini e figure di cui sono rivestite le comunicazioni spirituali, non solo non si priva di questi beni, ma si dispone a riceverne in maggior copia e con più chiarezza, semplicità e libertà di spirito; perché ha lasciato da parte tutte quelle apprensioni, che non sono altro se non le cortine e i veli che ricoprono la parte spirituale che vi si trova nascosta. Al contrario, se l 'anima volesse nutrirsi di esse, il senso e lo spirito ne resterebbero tanto occupati che il dono spirituale non potrebbe semplicemente e liberamente essere comunicato all'intelletto, perché questo, occupato con quella corteccia, si rende incapace di ricevere quelle forme 10. Pertanto, se l'anima . volesse accogliere quelle apprensioni e farne conto, riporterebbe il bel guadagno d'imbrogliarsi, e perdendo il più, tenersi paga del meno che contengono, che è tutto quanto ella può apprendere e conoscere per mezzo di esse, ossia quella forma, immagine e idea particolare. Il loro effetto principale, cioè quello spirituale che le viene infuso, non lo sa apprendere né intendere, né sa come è, né tanto meno saprebbe ridirlo, perché è puramente spirituale. Ciò che soltanto può sapere intorno ad esse è il meno che vi si trova e che è secondo il suo modo di capire, ossia le forme per mezzo del senso. E per questo dico che ella dev'essere disposta passivamente, senza che ponga la sua opera d'intendere e senza saperla porre: così facendo, le si comunica il meglio di quelle visioni, ciò che ella non saprebbe mai intendere o immaginare.

12 - Bisogna, quindi, sempre chiudere gli occhi dell'anima a tutte le apprensioni che ella può vedere e intendere distintamente, perché queste, comunicando con il senso, non hanno il fondamento e la sicurezza della fede: conviene piuttosto fissare lo sguardo in ciò che non si vede e non appartiene al senso ma allo spirito, e che, non cadendo sotto figure sensibili, conduce all'unione divina in fede, la quale è il mezzo proprio per arrivarvi. Solo allora le dette visioni gioveranno all'anima, secondo la loro sostanza e per mezzo della fede, quando ella ben saprà ripudiare tutto quel che racchiudono di sensibile e intelligibile particolare. Ciò disprezzando, farà buon uso di esse conforme al fine che Dio si prefigge nel concederle; perché, come abbiamo detto delle visioni corporee, Dio non le dona perché l'anima le desideri e ponga in esse il suo affetto.

10 Intendi: la sostanza dello spirito, o del dono spirituale, come facilmente si rileva dal contesto.

13 - Però nasce qui un dubbio, ed è questo: se è vero che Dio concede all'anima le visioni soprannaturali, non perché essa le voglia accogliere, né affinché vi si appoggi o ne faccia caso, perché mai gliele concede, se poi con esse l'anima può cadere in molti errori e pericoli? o per lo meno negli inconvenienti sopra descritti che impediscono di andare innanzi, tanto più che Dio potrebbe comunicare all'anima spiritualmente e in sostanza ciò che le comunica per via del senso, ossia mediante le dette visioni e forme sensibili?

14 - Risponderemo a tal dubbio nel capitolo seguente, in cui si esporrà dottrina abbondante e, a mio avviso, molto necessaria sia alle persone spirituali come a coloro che le guidano, poiché vi s'insegna il fine che Dio intende e il modo che adopera nelle visioni. Molti purtroppo, ignari di ciò, non si sanno ben regolare in quelle, e perciò non incamminano né se stessi né gli altri all 'unione divina. Costoro pensano che basti il semplice fatto di conoscere che le visioni sono vere e da parte di Dio, per concludere senz'altro essere cosa buona ammetterle e farci fondamento, non riflettendo che anche a queste l'anima potrà attaccarsi con affetto di proprietà, e trovarvi impedimento non meno che nelle cose del mondo, qualora ad esse come a quest’ultime non sappia rinunziare. A molti maestri di spirito sembra che sia buono ammettere le une e riprovare le altre, mettendo se stessi e le anime in grande angustia e pericolo, circa il saper discernere quali siano le vere visioni e quali le false. Dio, certamente, non comanda loro di mettersi in questo ginepraio, e nemmeno di esporre le anime semplici e ingenue a pericoli e incertezze. Hanno la dottrina sana e sicura della fede; vadano avanti per questa via.

15 - E. per questa via della fede non si cammina, se non chiudendo gli occhi a tutto ciò che appartiene al senso, o che è intelligenza chiara e particolare. Sappiamo dalla Sacra Scrittura che l'apostolo S. Pietro, pur essendo certissimo della visione di gloria in cui aveva veduto Cristo Nostro Signore nella circostanza della Trasfigurazione, dopo averla narrata nella sua IIª Epistola Canonica, non volle che i fedeli attribuissero a questo fatto il valore d'inconcussa testimonianza, ma incamminandoli alla fede aggiunse: «Et habemus firmiorem prophetìcum sermonem: cui bene facitis attendentes, quasi lucernae lucenti in caliginoso loco» (2P t 1 , 19 ): E abbiamo una testimonianza più certa della visione del Tabor, ossia le parole dei Profeti che testificano di Cristo, nei quali fa te bene a fissare lo sguardo, come a lucerna che rischiari un luogo tenebroso. Se ci facciamo a considerare questa comparazione, vi troveremo la dottrina che andiamo insegnando. Esortandoci a mirare la fede, di cui i Profeti parlarono, come una lucerna che arda in luogo oscuro, vuol dire che noi dobbiamo restare al buio, con gli occhi chiusi ad ogni altra luce; e che in queste tenebre la sola fede, pur essa oscura, dev'essere la luce a cui ci appigliamo. Che se invece seguiremo qualche chiara luce d'immagini o idee distinte, ci allontaneremo dall'oscura luce della fede, ed allora questa non spanderà più i suoi splendori nel luogo oscuro di cui S. Pietro fa menzione nel testo citato: il qual luogo non altro qui significa che l'intelletto, che è il candelabro dove si posa la lucerna della fede. Esso deve starsene nelle tenebre fino a che nell'altra vita non spunti il giorno della chiara visione beatifica, quello della perfetta trasformazione e unione con Dio, verso il quale l’anima cammina.

2S CAPITOLO 17

RISPONDENDO AL DUBBIO PROPOSTO NEL PRECEDENTECAPITOLO, SI DICHIARA IL FINE E IL MODO CHE DIO USA NEL COMUNICARE

ALL'ANIMA I BENI SPIRITUALI PER MEZZO DEI SENSI

1 - Molto vi sarebbe da dire circa il fine e il modo che Dio adopera nel concedere visioni ad un'anima, per sollevarla dalla sua bassezza alla divina unione; e poiché tutti i libri spirituali trattano di tale argomento, non vogliamo omettere di parlarne anche noi, dicendo quel tanto che basti a sciogliere il dubbio proposto nel precedente capitolo, e che ci piace qui ricordare: Se nelle visioni soprannaturali vi è tanto pericolo e ostacolo al progresso spirituale, perché mai Dio, che è sapientissimo e desideroso di rimuovere dalle anime ogni laccio ed inciampo, le comunica ed offre loro?

2 - Per dare una giusta risposta, conviene porre tre fondamenti. Il primo, quello di S. Paolo ad Romanos, ove dice: «Quae autem sunt, a Deo ordinata sunt:» (R m 13 , 1 ): Le cose che sono fatte, sono ordinate da Dio. Il secondo, quello dello Spirito Santo nel libro della Sapienza, ove si legge «Disponit omnia suaviter» (Sap 8 ,1 ): La Sapienza di Dio, quantunque arrivi da un fine all'altro, da un'estremità all'altra, pure dispone soavemente tutte le cose. Il terzo è, un principio di teologia, e dice: Deus omnia movet secundum modum eorum: cioè Dio muove tutte le cose secondo il diverso modo di essere e operare di ciascuna.

3 - Secondo questi tre principi, dunque, è chiaro che Dio nel muovere l'anima ed innalzarla dall'estrema sua bassezza alla sublime altezza della divina unione, lo farà ordinatamente, soavemente e secondo il modo di agire dell'anima stessa. Orbene, l 'ordine che l'anima tiene nel conoscere, richiede che ciò sia per mezzo delle forme e immagini delle cose create, e che il modo del suo intendere e sapere sia per via dei sensi. Ne consegue, quindi, che per elevare l’anima al sommo conoscimento, e far ciò con soavità e dolcezza, Dio deve cominciare a muoverla dal basso estremo dei sensi, per così condurla, secondo il modo a lei proprio, fino all'altro estremo della sapienza spirituale e divina che non cade sotto il senso: e quindi da principio l'istruisce per mezzo di forme, immagini ed altre cose sensibili, sì naturali che soprannaturali, conformi al suo modo d'intendere e discorrere, e per tale via la guida al sommo spirito di Dio.

4 - Ecco, dunque, la ragione per cui Dio concede visioni di forme ed immagini e tutte le altre notizie sensitive e intelligibili spirituali, e non già perché non voglia dar subito; alle anime la sapienza dello spirito sin dal primo atto. Ciò farebbe di certo, se i due estremi, quale sono l'umano e il divino, il senso e lo spirito, potessero in via ordinaria unirsi con un solo atto, senza che precedesse una serie di molti altri atti dispositivi, connessi tra loro con ordine e armonia: come avviene negli agenti naturali, nei quali le prime disposizioni servono di fondamento alle seconde, queste alle terze, e così via. Dio, quindi, perfeziona l'uomo secondo il modo dell'uomo, cominciando da ciò che è il più basso ed esteriore sino al più alto e interiore. Prima gli perfeziona, il senso corporeo, muovendolo a far uso di buone e perfette cose naturali esteriori, come udire messe, prediche, vedere cose sante, mortificare il gusto nei cibi, macerarsi il corpo con penitenze e santo rigore. Dopo che i sensi sono alquanto disposti, suole perfezionarli di più, concedendo loro alcuni favori e doni soprannaturali per confermarli maggiormente nel bene, offrendo loro alcune comunicazioni soprannaturali, come visioni corporee di esseri celesti e di cose sante, odori soavissimi, locuzioni e grandissimo diletto nel tatto; con le quali cose il senso si fortifica molto nella virtù, e si aliena dall'appetito degli oggetti cattivi. Oltre a ciò, va perfezionando e abituando al bene anche i sensi corporali interni, ossia la fantasia e l 'immaginativa, mediante considerazioni, meditazioni e discorsi santi, con grande ammaestramento e profitto dello spirito. Di poi, disposti i sensi interni con questo esercizio naturale, Dio suole illustrarli e spiritualizzarli sempre più con alcune visioni soprannaturali, che qui chiamiamo immaginarie: queste, insieme alle visioni naturali, apportano vantaggio grande allo spirito, il quale sì nelle une come nelle altre, a poco a poco si dirozza e riforma. Questa è la maniera con la quale Dio innalza l'anima di grado in grado fino al più interiore. Tuttavia, non è necessario che quest'ordine di priorità e posteriorità sia osservato con tanta precisione, perché alle volte Dio fa l 'una cosa senza l'altra, e per mezzo del più interiore il meno interiore, o tutto al tempo stesso, secondo quello che Egli giudica essere più conveniente per l'anima, o secondo il suo divino beneplacito. Ma la via ordinaria è quella di cui ora abbiamo parlato.

5 - In questa maniera dunque, Dio istruisce l'anima e la rende spirituale, cioè le comunica le cose dello spirito, cominciando da quelle più esterne, palpabili e adatte al senso, conforme la di lei piccolezza e poca capacità, affinché mediante la corteccia di quelle cose sensibili che di per sé sono buone, vada facendo atti particolari e ricevendo tanti bocconcelli di comunicazione spirituale, in modo che vi prenda abitudine, finché giunga alla sostanza dello spirito, a ciò che è lontano da ogni senso: il che l'anima non può conseguire se non a poco a poco, a suo modo, per via del senso, a cui è stata sempre attaccata. A misura che più avanza nello spirito circa il tratto con Dio, più si scosta dalle vie del senso, che sono quelle del discorso e della meditazione immaginaria.

Quando poi sarà arrivata al perfetto tratto spirituale con Dio, necessariamente avrà ormai escluso da sé tutto ciò che intorno a Dio può cadere nel senso. Quanto più una cosa si va avvicinando ad un estremo, tanto più si allontana dall'altro, e quando sarà vicina all'uno in modo perfetto, con la stessa perfezione si sarà allontanato dall'altro estremo, secondo un comune adagio spirituale che dice: Gustato spiritu desipit omnis caro: Gustato il sapore dello spirito, ogni carne è insipida; cioè tutte le vie della carne, ogni maniera di tratto sensibile circa le cose spirituali a, nulla giova né porge diletto. Ed è evidente, perché se è spirito, non soggiace al senso; ma se la cosa è tale che il senso possa apprenderla, non è certamente puro spirito, perché quanto più i sensi e l 'apprensione naturale possono sapere intorno ad essa, tanto meno contiene di spirito e di soprannaturale.

6 - Pertanto, l'uomo spirituale già perfetto non fa più caso dei sensi, né riceve le cose per loro mezzo, né principalmente si serve o ha bisogno di fare uso di essi nelle cose di Dio, diversamente, da quello che accadeva prima che fosse adulto nello spirito. Questo appunto San Paolo volle esprimere, così scrivendo ai Corinzi: «Cum essem parvulus, loquebar ut parvulus, sapiebam ut parvulus, cogitabam ut parvulus. Quando autem factus sum vir, evacuavi, quae erant parvuli » (1C or 13 ,11 ): Allorché io ero bambino, parlavo come un bambino, sapevo come un bambino, pensavo come un bambino; però, divenuto uomo, mi sono spogliato di tutte le cose proprie di un bambino. Già abbiamo fatto capire come le cose del senso e la cognizione che lo spirito può ricavare da loro, sono esercizio da fanciulli; perciò, se l 'anima non volesse mai staccarsi da esse, mai finirebbe di essere un fanciullo, parlerebbe di Dio come un fanciullo, saprebbe di Dio come un fanciullo, penserebbe a Dio come un fanciullo; perché attaccandosi alla corteccia del senso, che significa il fanciullo, non giungerebbe mai alla sostanza dello spirito, cioè all'uomo perfetto. L'anima dunque, se vuol divenire adulta, non deve desiderare di ammettere le suddette rivelazioni, quantunque Dio gliele offra, come il bambino ha bisogno di divezzarsi a mano a mano dal prendere il latte, per assuefarsi a cibo più sodo e sostanzioso.

7 - Ma mi direte: Bisognerà dunque che l'anima, finché è piccina, voglia ricevere le visioni, per lasciarle poi quando sarà più grande, come il bambino ha bisogno di prendere il latte per nutrirsi, finché non sia cresciuto e possa lasciarlo? Rispondo che, in quanto alla meditazione discorsiva in cui si comincia a cercare Dio, è vero che l'anima, per sostentarsi, non deve lasciare il petto del senso, fintantoché non arrivi il tempo opportuno di abbandonarla, e ciò sarà quando Dio porrà l'anima in un tratto più spirituale, ossia nella contemplazione: di che abbiamo già parlato nel capitolo tredicesimo di questo libro. Ma, in quanto alle visioni immaginarie o altre apprensioni soprannaturali, che nel senso possono cadere senza l'arbitrio dell'uomo, dico che in qualsiasi tempo, sia in stato perfetto sia in meno perfetto, ancorché vengano da parte di Dio, l'anima non deve volerle ammettere per due ragioni. La prima, perché Dio produce nell'anima il loro effetto senza che ella valga ad impedirlo, quantunque sia vero che può impedire la visione, come molte volte accade; e in tal caso l'effetto spirituale che la visione doveva causare nell'anima, le si comunica molto più in sostanza, benché in diversa maniera. L'anima, infatti, non può impedire i beni che Dio le vuol concedere, né altro ostacolo può frapporre se non con qualche sua imperfezione e affetto di proprietà; ma, certamente, nel rinunziare alle visioni con umiltà e timore non c’è imperfezione o proprietà alcuna. La seconda ragione è per liberarsi dalla fatica e dal pericolo che s’incorrono nel distinguere le cattive visioni dalle buone, e conoscere se si tratta di angelo di tenebre o di luce. In questa ricerca non v'è alcun profitto, ma piuttosto perdita di tempo e disturbo per l'anima, la quale si espone all'occasione di commettere mille imperfezioni e di non progredire, perché non si applica a ciò che più importa e non si disbriga da quella congerie di apprensioni e idee particolari, secondo quel che abbiamo detto delle visioni corporee e come di queste diremo più avanti.

8 - È indubitato che se Nostro Signore non avesse da guidare l'anima secondo il modo di operare della medesima, non le comunicherebbe mai l'abbondanza del suo spirito per mezzo di canali tanto angusti come sono le forme, le figure e le idee particolari, con le quali la nutre a briciole. E perciò Davide dice: «Mittit cristallum, suam sicut

buccellas» (Sal 147 ,17): Invia la sua celeste sapienza alle anime, a bocconcelli. È assai da compiangersi che l'anima, pur avendo capacità direi quasi infinita, debba ricevere l'alimento con i bocconcini del senso, per il suo poco spirito e inabilità sensitiva. Questa poca disposizione e inettitudine a ricevere lo spirito, dava pena anche a S. Paolo, il quale scrivendo a quei di Corinto, disse: «Et ego, fratres, non potui vobis loqui quasi spìritualibus, sed quasi carnalibus. Tamquam parvulis in Christo, lac vobis potum dedi, non escam: nondum enim poteratis; sed nec nunc quidem potestis: adhuc enim, carnales estìs» (1C or 3 , 1 -2 ): Fratelli miei, quando io venni, non potei parlarvi come ad uomini spirituali, ma carnali. Come a bambini in Cristo, vi diedi da bere il latte, e non un cibo solido da mangiare, perché non potevate riceverlo, e nemmeno ora lo potete.

9 - Ora, dunque, resta da sapere che l'anima non deve fermare gli occhi in. quella corteccia di figure e oggetti che ai sensi esterni si presentano dinanzi soprannaturalmente, ossia locuzioni e parole all'udito, visioni di santi e di mirabili splendori alla vista, odori all 'olfatto, gusti soavi al palato, ed altri diletti al tatto: cose che sogliono procedere dallo spirito, e ordinariamente accadono alle persone spirituali. Nemmeno posi lo sguardo nelle visioni del senso interno, quali sono le immaginarie interiori; anzi, rinunziando a tutte queste cose, miri soltanto ed abbia in pregio quel buono spirito che producono, avendo cura di conservarlo nelle sue opere e di praticare nudamente ciò che appartiene al servizio e alla gloria di Dio, senza cercare gusto sensibile né prestare avvertenza a quelle rappresentazioni. Così operando, da una parte prenderà da esse solo ciò che Dio intende e vuole, ossia lo spirito di devozione, dato che non le concede per altro fine principale; dall'altra, lascerà ciò che Dio non concederebbe, se la sostanza dello spirito si potesse ricevere facendo a meno dell'esercizio e dell'apprensione del senso.

2S CAPITOLO 18

SI PARLA DEL DANNO CHE ALCUNI MAESTRI DI SPIRITOPOSSONO FARE ALLE ANIME COL NON GUIDARLE

RETTAMENTE, CIRCA LE DETTE VISIONI- SI SPIEGA CHE, QUANTUNQUE QUESTE FOSSERO DA

DIO, SI POTREBBE RIMANERE INGANNATI

1 - In questa materia di visioni non possiamo essere tanto brevi come vorremmo, per il molto che vi è da dire intorno ad esse. Abbiamo già detto in sostanza quanto bastava, sia per far capire all'uomo spirituale come si debba regolare circa le dette visioni, per additare al maestro che lo dirige il modo che ha da usare col discepolo. Tuttavia non sarà superfluo lo scendere un po' più al particolare in questa dottrina, e dare maggiore luce sul danno che ne può seguire, tanto alle persone Spirituali quanto ai loro maestri, dal prestare troppa fede alle visioni, ancorché vengano da parte di Dio.

2 - La ragione che mi muove a dilungarmi alquanto su questo argomento, è la poca discrezione che ho potuto osservare in alcuni direttori di spirito; i quali, confidando nelle dette apprensioni soprannaturali perché le avevano conosciute per buone e da parte di Dio, caddero, essi e i loro discepoli, in gravi errori e rimasero confusi, avverandosi la sentenza del Salvatore che dice: «Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadunt» (M t 15 , 14 ): Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. Non dice che cadranno, ma cadono; perché, per cadere, non è necessario che vi sia una caduta in errore. Il semplice fatto che si arrischiano a governarsi l'un per mezzo dell'altro, è già un errore; e quindi, almeno in questo, già cadono. E primieramente, perché vi sono alcuni i quali, con le anime che ricevono visioni, si comportano in modo tale che o le fanno errare o le mettono nei pasticci o non le guidano per la strada sicura dell'umiltà, dando loro ansa a fermare l'attenzione in quelle cose. Onde avviene che le anime non camminano con vero spirito di fede, e non vengono in questa edificate e rafforzate. Questo specialmente accade quando i maestri di spirito entrano in discorsi senza fine intorno alle visioni dei loro discepoli. Ciò facendo, danno loro a capire che essi stessi le prendono in considerazione e grandemente le stimano: e per conseguenza le anime fanno altrettanto e restano fondate nelle loro visioni e non già edificate in fede, vuote e distaccate da quelle

cose, sì da poter volare in altezza di oscura fede. Non si può immaginare quanto influisca il modo di agire e di parlare del direttore spirituale riguardo alle visioni: tanto che, non so come, con grandissima facilità e senza poter fare diversamente, l 'animo del discepolo concepisce un'idea e stima altissima di quelle, sino al punto da distogliere gli occhi dall'abisso della fede.

3 - La causa di detta facilità dev'essere questa.. Essendo già ;1 senso tutto compreso, allettato e disposto da quelle apprensioni di cose distinte e sensibili verso di cui si sente naturalmente propenso, non appena l'anima si avvede che il suo confessore o altra persona le ha in qualche stima, subito si conforma a tale apprezzamento; e di più, senza che ella se ne avveda, l'appetito sensibile maggiormente si acuisce verso di loro, maggiormente si nutre di esse e vi fa presa. Di qui hanno origine, per lo meno, molte imperfezioni; poiché l'anima non si conserva tanto umile, pensando che quelle cose siano molto pregevoli, e che ella abbia qualcosa di buono e che Dio faccia conto di lei. E così va contenta e un po' soddisfatta di sé, il che è contro l'umiltà. Subito il demonio le va fomentando segretamente questi pensieri, senza ch'ella se ne accorga, e poi gliene suscita un altro intorno alla condizione dei prossimi, se cioè godono o meno di quei favori: il che è contro la santa semplicità e solitudine di spirito.

4 - Da questi danni e dal non crescere in fede, l 'anima non potrà liberarsi se non si distacca dalle visioni; anzi, se non camminerà in perfetta nudità di spirito, incorrerà anche in altri danni, non dico palpabili ed evidenti come quelli accennati, ma più sottili e più odiosi agli occhi di Dio. Ma, tralasciando per ora tutto ciò, ne parleremo a suo luogo, dove si tratterà della gola spirituale e degli altri sei vizi: ivi, a Dio piacendo, si diranno molte cose utili intorno alle leggere e piccole macchie che aderiscono allo spirito, quando non è guidato in perfetta nudità.

5 - Adesso diciamo qualche cosa circa il modo che alcuni confessori usano con le anime, non sapendole bene istruire riguardo alle visioni. Ciò vorrei saperlo spiegare chiaramente, poiché vedo che è una cosa difficile far intendere come lo spirito del discepolo si modella segretamente su quello del suo padre spirituale. D'altra parte, confesso che io stesso mi stanco di questa materia così prolissa, ma mi sembra che non possa dichiarare l'una cosa senza far ben comprendere l'altra, tanto più che, essendo cose di spirito, le une hanno relazione con le altre.

6 - Trattando, dunque, di ciò che per il momento basta, mi sembra, e così è, che se il padre spirituale è tanto proclive allo spirito di rivelazioni da farne alta stima e compiacersene grandemente, non potrà non imprimere nello spirito del discepolo, anche senza volerlo, quel medesimo gusto e quella stima, a meno che il discepolo non sia più di lui avanzato in perfezione. Anzi diciamo che, anche in questo caso, il discepolo potrà riportare molto danno, se non si sottrae a tempo alla direzione di un tal maestro. Poiché, quando il padre spirituale ha quella propensione alle visioni, ne concepisce una certa stima, e se non è molto circospetto non può non dar mostra dei suoi sentimenti ed ispirarli al suo discepolo; se poi questi nutre la medesima inclinazione del maestro, non potrà fare a meno, a mio parere, di formarsi un'alta idea di quelle cose.

7 - Ma non andiamo ora tanto per il sottile, e parliamo del caso in cui il confessore, sia o no propenso a quei favori soprannaturali, non ha la precauzione che dovrebbe avere di sgombrare l'animo e spogliare l'appetito del suo penitente da queste cose, anzi si mette a ragionare con lui, e fa consistere tutto il meglio dei discorsi spirituali in queste visioni, dandogli indizi per discernere le buone dalle cattive. Non nego che ciò sia bene saperlo, ma non vi è alcuna ragione di mettere l'anima in simili imbarazzi, angustie e pericoli; poiché col non far conto di esse, col solo rifiutarle, si evita ogni fastidio, e si fa ciò che si deve. Ma v'è di più. Alle volte i confessori stessi, incontrando delle anime da Dio favorite di visioni, chiedono loro che Lo preghino di rivelare queste o quelle cose, riguardanti essi o altri, e le povere sciocche lo fanno, pensando che sia lecito poterle sapere per quella via. Esse credono che, poiché Dio rivela qualche cosa soprannaturalmente, come Egli vuole e per il fine che vuole, sia lecito desiderare rivelazioni ed anche domandargliele.

8 - Se poi accade che Dio esaudisca la loro preghiera, si assicurano sempre più, pensando che Dio, per il solo fatto che risponde, gradisca e voglia domande di quel genere. La verità, invece, è che Dio né le gradisce né le vuole. Avviene sovente che molti operano e credono secondo ciò che loro è stato rivelato o risposto; essendo affezionati a quella maniera di tratto con Dio, la loro volontà vi aderisce e vi si adatta assai bene. E poiché naturalmente gustano, naturalmente si accomodano al proprio modo d'intendere; ma spesso la sbagliano e vedono che le cose non riescono come le avevano intese. Allora si meravigliano, ed ecco sorgere mille dubbi: se la rivelazione era o no da Dio, dato che la cosa o non è accaduta affatto, o non è accaduta nella maniera che si aspettavano. Costoro presupponevano due cose. La prima, che le rivelazioni venissero da Dio, perché s'imprimevano subito e con molta efficacia; mentre, invece, il naturale può essere così inclinato verso di esse da cagionare quell'impressione. La seconda, che le rivelazioni, venendo da Dio, dovevano avverarsi come essi pensavano.

9 - E qui sta l 'inganno grosso, perché le rivelazioni o locuzioni di Dio non sempre riescono come gli uomini le intendono, o come esse suonano in sé; e perciò nessuno può andarne sicuro, né crederle a occhi chiusi, ancorché sappia che sono rivelazioni o risposte o parole di Dio. Poiché, sebbene esse siano certe e vere in se stesse, non lo sono sempre nelle loro cause e al nostro modo d'intendere, il che proveremo nel capitolo seguente. Diremo anche come, quantunque Dio alle volte risponda a quello che gli si domanda in via soprannaturale, questa pretesa non gli piace, e talvolta, pur rispondendo, n'è mosso a sdegno.

2S CAPITOLO 19

SI PROVA CHE, OUANTUNQUE LE VISIONI E LOCUZIONI DA PARTE DI DIO SIANO IN SÈ VERE, INTORNO AD ESSE CI POSSIAMO INGANNARE: IL CHE SI CONFERMA

CON TESTI DELLA SACRA SCRITTURA

1 - Abbiamo accennato che, quantunque le visioni e locuzioni da parte di Dio siano vere e sempre in sé certe, non lo sono sempre relativamente a noi, e per due ragioni: l 'una, per il nostro imperfetto e debole modo d'intenderle; l 'altra, per le loro cause o fondamenti che alle volte sono variabili. Quanto alla prima, è manifesto che le locuzioni non sempre accadono come suonano a nostro modo d'intendere. La causa di ciò è che, essendo Dio immenso e profondo, nelle sue profezie, locuzioni e, rivelazioni suole racchiudere altri concetti e idee molto differenti, con un senso ben diverso da quello in cui comunemente s'intendono da noi; esse sono in se tanto più vere e certe, quanto meno a noi lo sembrano. Il che ad ogni passo i ci occorre di vedere nella Sacra Scrittura, dove leggiamo che molti uomini antichi non videro adempite molte profezie e locuzioni divine come essi speravano, perché l’intendevano a modo loro e le prendevano troppo alla lettera: ciò che si vedrà chiaro dai seguenti testi.

2 - Nella Genesi vediamo che Dio, dopo aver condotto Abramo alla terra dei Cananei, gli disse: «Tibi dabo terram hanc» (Gen 13 , 15 ): Questa terra la darò a te. Abramo udì più volte ripetersi questa promessa, ma alfine, essendo ormai troppo vecchio e non avendo ancora ottenuto il possesso di quella regione, umilmente domandò al Signore: « Unde scire possum quod possessurus sum eam?» (Gen 15 ,8 ): Da quale segno potrò sapere che io dovrò possederla? Allora Dio gli rivelò che, non lui in persona, ma i suoi figli, dopo quattrocento anni, l 'avrebbero posseduta, e con ciò Abramo comprese pienamente il senso della promessa: la quale in sé, era verissima, perché dare quella terra ai suoi figli per amore suo, era lo stesso che darla a lui. Abramo, dunque dapprima s'ingannava circa l'interpretazione della profezia e, se allora avesse operato secondo che egli l 'intendeva, avrebbe potuto errare di molto, perché essa non doveva adempiersi ai suoi giorni; e quelli che, venuti a conoscenza della divina promessa, lo avessero veduto morire senza che si fosse avverata, sarebbero rimasti confusi, credendo essere stata falsa.

3 - Anche in appresso un fatto simile avvenne a Giacobbe, allorché Giuseppe suo figlio lo fece venire a sé in Egitto dal paese di Canaan. Mentre era in cammino, gli apparve il

Signore e gli disse: «Noli timere, descende in Aegyptum... Ego descendam tecum illuc, et ego inde adducam te revertentem» Gn 46, 3-4): Non temere, discendi pure in Egitto che io vi discenderò con te, e al tuo ritorno di là sarò tua guida. Il che, come suonano le parole, non avvenne di certo, poiché sappiamo che il santo vecchio Giacobbe non uscì più vivo dall’Egitto e vi morì; ma la promessa si adempì nei suoi figli che Dio trasse di là dopo molti anni, facendosi lui stesso loro scorta nel cammino. Senza dubbio, però, chiunque avesse saputo della promessa fatta da Dio a Giacobbe, avrebbe tenuto per certo che questi, come era entrato vivo e in persona in Egitto, per volontà e col favore di Dio, così anche, vivo e in persona, avrebbe dovuto uscirne secondo la divina promessa, quindi sarebbe rimasto deluso e meravigliato in vederlo morire in Egitto, senza avverarsi ciò che si sperava. Pertanto, pur essendo le parole di Dio verissime in sé, intorno al modo d'intenderle molti si sarebbero potuti ingannare assai.

4 - Anche nel libro dei Giudici leggiamo che una volta si riunirono tutte le tribù d'Israele per combattere contro la tribù di Beniamino, a fine di castigarla di un certo delitto che tra di loro era stato consumato. Orbene, essendo stato designato da Dio il capitano che doveva condurli alla guerra, furono tanto sicuri della vittoria, che quando purtroppo ebbero la peggio con la morte di ventiduemila dei loro, restarono assai meravigliati; e prostrati dinanzi a Dio piansero tutto quel giorno, non sapendo a che cosa attribuire la disfatta. Riavutisi dallo smarrimento, domandarono a Dio se dovessero o no ritentare la prova, e il Signore rispose loro che combattessero pure. Questa volta tennero per certa la vittoria, e corsero alla pugna con raddoppiato entusiasmo e coraggio; ma eccoli vinti di nuovo, e per giunta con la perdita di diciottomila uomini. Oltremodo confusi, sconcertati, incerti sul da fare, non sapevano spiegarsi come mai, combattendo dietro il comando di Dio, restassero sempre vinti; tanto più; che essi superavano i nemici sia per valore che per numero, poiché essi erano quattrocentomila, mentre quelli della tribù di Beniamino non erano più di venticinquemila e settecento. Tutta la causa dell'inganno stava nel loro modo d'intendere, non già che le parole di Dio fossero ingannevoli. Egli difatti non aveva detto loro che avrebbero vinto, ma che combattessero: poiché con queste disfatte il Signore voleva castigarli di una certa loro trascuratezza e presunzione, e umiliarli così per qualche tempo. Però, quando da ultimo rispose loro che avrebbero vinto, così fu, e con molta astuzia e valore riportarono sui nemici una splendida vittoria (Gd 20 ,11 -48) .

5 - In questa maniera e in molte altre ancora accade che le anime s'ingannino intorno alle rivelazioni e locuzioni da parte di Dio, prendendo il loro significato alla lettera e fermandosi alla corteccia. Bisogna tener presente che il principale intento di Dio in quelle cose è di dire o comunicare alle anime lo spirito che in quelle si racchiude, il quale è difficile a capirsi, perché è straordinario e molto più abbondante che non la lettera, ed eccede i limiti di essa. Pertanto, chi si atterrà alla lettera della locuzione o alla corteccia della forma o figura apprensibile della visione, non potrà non incorrere in grave errore, e si troverà di poi molto confuso e turbato, per essersi regolato secondo il senso, e non aver dato luogo allo spirito mediante la nudità del senso. «Littera enim occidit, spiritus autem vivificat» (2C or 3 , 6 ), come dice S. Paolo: La lettera uccide, ma lo spirito dà vita. Per la qual cosa dobbiamo rinunciare alla lettera del senso, e restarcene nell'oscurità della fede: questa è lo spirito, che non può essere compreso dal senso.

6 - Sappiamo, inoltre, che molti figli d'Israele, perché intendevano troppo alla lettera le parole dei Profeti e non le vedevano adempite come speravano, poco le stimavano e non vi prestavano fede; tanto che tra loro correva comunemente un modo di dire, a guisa di proverbio, a scherno dei Profeti e delle loro profezie. Di ciò si lagna Isaia, e lo riferisce in questi termini: «Quem docebìt scientiam? Et quem intelligere faciet auditum? Ablactatos a lacte, avulsos ab uberibus. Quia manda, remanda; manda, remanda; expecta, reexpecta; expecta, reexpecta; modicum ibi, modicum ibi. In loquela enim labii et lingua altera loquetur ad populum istum» ( I s 28 ,9 - 11): A chi insegnerà Dio la sua scienza? E a chi farà intendere la profezia e la parola sua? Solamente a quelli che già sono divezzati dal latte e staccati dalle mammelle. Poiché tutti dicono: prometti e torna a promettere; spera e torna a sperare, spera e torna a sperare; un poco qui, un poco qui. Nella parola del suo labbro e in altra lingua parlerà a questo popolo. In questo passo Isaia ci fa chiaramente conoscere che quelli si facevano beffe della profezia e dicevano per

scherno questo proverbio: Spera e torna a sperare, volendo significare che mai le vedevano adempite, perché stavano attaccati alla lettera, che è il latte dei bambini, e al proprio senso, cioè alle mammelle, che contraddicono alla grandezza della scienza dello spirito. Per il che dice: A chi insegnerà la sapienza delle sue profezie? E a chi farà intendere la sua dottrina, se non a coloro che già sono divezzati dal latte della lettera e staccati dal petto dei loro sensi? Onde questi detrattori non intendono le profezie, ma vanno dietro al latte della lettera, al petto dei loro sensi, poiché dicono : Prometti e torna a promettere; spera e torna a sperare; laddove il Signore deve parlare ad essi nella dottrina della sua bocca, e non nella loro, e in altra lingua diversa dalla loro.

7 - Quindi è che nelle parole di Dio non si deve badare al senso della nostra lingua, sapendo che il linguaggio di Dio, secondo lo spirito, è molto differente dal nostro e assai difficile al nostro intendimento;: tanto che Geremia stesso, benché fosse profeta di Dio, vedendo i concetti delle parole divine tanto diversi dal comune senso degli uomini, pare che anche lui in esse vacilli e che prenda le parti del popolo, uscendo in questi termini: «Heu, heu, heu, Domine Deus, ergo ne decepisti populum istum, et Jerusalem dicens: Pax erit vobis; et ecce pervenit gladius ad animam ?» (G er 4 , 10 ): Ohimè, ohimè, Signore! Hai tu forse ingannato questo popolo e Gerusalemme, dicendo: La pace scenderà su di voi; ed ecco invece che la spada li ha trafitti sino all'anima? Ma la pace che Dio aveva loro promessa, era quella che doveva esservi tra Dio e l'uomo, per mezzo del Messia che loro avrebbe inviato, mentre essi intendevano che la profezia parlasse della pace temporale; e per questo, quando erano afflitti da guerre o altre calamità, sembrava loro di essere stati ingannati da Dio, perché succedeva il contrario di quel che si aspettavano. Onde dicevano, e Geremia con essi: «Expectavimus pacem, et non erat bonum» (Ger 8 , 15 ): Abbiamo sperato la pace, e non v'era alcun bene di pace. Ma era impossibile che non restassero delusi, perché si regolavano solo secondo il senso letterale delle parole. E, per portare qualche esempio, non potrebbe non prendere abbaglio e confondersi chiunque si attenesse al senso letterale di quella predizione che Davide fece intorno a Cristo in tutto il Salmo settantunesimo, e particolarmente dove dice: «Dominabitur a mari usque ad mare; et a flumine usque ad terminos orbis terrarum » (Sa l 71 , 8 ): Dominerà dall'uno all'altro mare, e dal fiume sino agli estremi confini della terra. E più innanzi: «Liberabit pauperem a potente; et pauperem cui non erat adiutor» (Sa l 71 ,1 2 ): Libererà il povero dal potente, il povero che non aveva chi lo aiutasse. Che cosa penserebbe, dico, vedendolo poi nascere di bassa condizione, vivere povero, e morire tra mille strazi? Vedendo che non solo, mentre visse. non s'impadronì di tutto il mondo, ma si assoggettò a gente bassa, e morì sotto il potere di Ponzio Pilato? E che non solo non liberò i suoi discepoli poveri e inermi dalle mani dei potenti del secolo, ma li lasciò uccidere e perseguitare per amore del suo nome?

8 - Ma ciò fu, perché queste profezie riguardanti il Messia si dovevano intendere in senso spirituale, secondo il quale erano verissime. Gesù Cristo non solo era il Signore di tutta la terra, ma anche del Cielo, perché era Dio; ed i poveri che lo avrebbero seguito, li avrebbe redenti e liberati dalle mani del demonio, che era il potente avversario contro cui non avevano chi li aiutasse, e li avrebbe costituiti credi del regno dei Cieli. Dio, dunque, parlava secondo la parte principale di Cristo e dei suoi seguaci, che consisteva nel regno eterno, nell'eterna libertà; ma molti invece a modo loro l'intesero della parte secondaria, di cui Dio fa poco conto, ossia della signoria e della libertà temporale: il che dinanzi a Dio non è vero regno, né vera libertà. Quindi, essi, accecati dalla bassezza della lettera, non penetrando lo spirito e la verità di essa, tolsero la vita al loro Dio e Signore, secondo le parole di S. Paolo: «Qui enim habitabant Jerusalem, et principes eius, hunc ignorantes, et voces prophetarum, quae per omne sabbatum leguntur , iudicantes impleverunt» (A t 13 , 27 ): Coloro che abitavano in Gerusalemme e i maggiorenti di quella città, non sapendo chi fosse, né intendendo le parole dei Profeti che ogni sabato si leggono, con il loro giudizio le adempirono.

9 - La difficoltà di capire come si conviene i detti di Dio giungeva a tal segno, che perfino gli stessi discepoli di Cristo, i quali erano vissuti con Lui, restavano ingannati, come avvenne a quei due che dopo la sua morte se n'andavano al castello di Emmaus, tristi e sfiduciati: «Nos autem sperabamus quia ipse esset redemturus Israel?» (L c 24 ,21 ): Noi speravamo che avrebbe redento Israele. Anch'essi dunque, come tanti altri, si aspettavano

una redenzione, un dominio temporale; ma Cristo Nostro Signore, essendo loro apparso, li riprese e li trattò da insipienti e duri di cuore, perché non credevano le cose predette dai Profeti (L c 24 ,25 ) . Che più? Poco prima che Gesù ascendesse al Cielo, alcuni perduravano ancora nella loro falsa persuasione, tanto da domandargli: « Domine, si in tempore hoc restitues regnum Israel?» (A t 1 , 6 ): Signore, diteci se questo, è il tempo in cui Voi state per ristabilire il regno d'Israele. Alle volte lo Spirito Santo fa dire agli uomini molte cose in cui nasconde altro senso da quel che essi intendono: come avvenne quando, circa la sorte riservata a Cristo, fece dire a Caifa che era conveniente la morte di un sol uomo, perché non perissero tutti (Gv 11 ,50 ). Le quali parole Caifa non le disse di suo, e lui che le diceva dava loro un triste significato, mentre lo Spirito Santo ne intendeva un altro ben diverso.

10 - Onde si vede che, quantunque le parole e le rivelazioni siano da Dio, non ci possiamo assicurare, perché spesso e con grande facilità ci inganniamo nel nostro modo di intenderle. Tutte sono abisso e profondità di spirito, e quindi il volerne limitare il significato a ciò che di esse intendiamo e che il nostro senso può apprendere, non è altro che voler stringere con la mano l'aria e gli atomi che contiene: l 'aria sfugge e non resta niente.

11 - Adunque, il maestro spirituale ha da procurare che lo spirito del suo discepolo non si restringa in voler far caso di tutte le apprensioni soprannaturali, che non sono altro che alcuni atomi di spirito, poiché altrimenti con questi soltanto si rimane, senza nessuno spirito; ma distogliendolo da tutte le visioni e locuzioni, gli comandi di mantenersi in libertà e in tenebre di fede, in cui si riceve l'abbondanza dello spirito, e conseguentemente la sapienza e l 'intelligenza propria delle parole di Dio. Difatti, se l'uomo non è spirituale, non può assolutamente giudicare delle cose divine, e neppure capirle secondo ragione; e l 'uomo non è spirituale, quando le giudica secondo il senso, ed allora, quantunque esse cadano sotto il senso, non le comprende. Per questo San Paolo dice: «Animalis autem homo non percipit ea, quae sunt spiritus Dei; stultitia enim est illi, et non potest intelligere; quia spiritualiter examinatur. Spiritualis autem iudicat omnia» (1 Cor

2 ,14 - 15): L'uomo animale non percepisce le cose che appartengono allo spirito di Dio, perché sono per lui stoltezza, e non può intenderle, perché spirituali; però l'uomo spirituale giudica tutte le cose. Per uomo animale qui s'intende colui che usa solo del senso; per spirituale, chi non si appoggia ad esso, né si guida per suo mezzo. Quindi è grande temerità osar di trattare con Dio, e dare licenza di farlo per via di apprensione soprannaturale nel senso.

12 - E perché meglio s'intenda ciò che diciamo, porremo qui alcuni esempi. Supponiamo il caso che un santo, perché perseguitato dai malvagi, sia molto afflitto, e che Dio gli dica io ti libererò da tutti i tuoi nemici. Questa profezia sarà verissima, e nondimeno può darsi che i nemici del santo prevalgano, ed egli venga a morire per mano loro. Chi intendesse in senso temporale quella promessa, potrebbe rimanere ingannato, perché Dio potrebbe parlare della vera e più importante libertà e vittoria, cioè dell'eterna salvezza, per la quale l'anima si libera e trionfa di tutti i suoi nemici, molto più veramente e altamente che se quaggiù si liberasse da loro. Perciò questa profezia sarebbe molto più vera e più ampia di quel che l'uomo avrebbe potuto immaginare, se l 'avesse intesa in rapporto a questa vita. Dio, quando parla, nelle sue parole attende al senso principale e più profittevole, mentre l'uomo può intendere a modo suo e secondo il suo fine meno importante e restare così ingannato. Così vediamo in quella profezia che Davide disse di Cristo: «Reges eos in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringes eos» (Sa l 2 ,9 ): Reggerai tutte le genti con verga di ferro e le stritolerai come un vaso di creta. In questa profezia Dio parla rispetto al principale e perfetto dominio che è l 'eterno, il quale si è avverato, e non rispetto al secondario, a quello temporale, che, in Cristo non si avverò in tutta la sua vita mortale. Portiamo un altro esempio.

I3 - Vi è un'anima che nutre ardente desiderio di esser martire. Dio le dice: Tu sarai martire; e insieme le infonde interiormente una grande allegrezza e speranza di doverlo essere. Avviene però che ella non muore martire, eppur la promessa era vera. Ma come, se non si adempie? Perché si compie secondo la parte principale ed essenziale di essa, nel fatto che Dio concede a quell'anima l'amore e il premio di martire essenzialmente; e in tal

modo Dio dà veramente all'anima ciò che ella formalmente desiderava e che Egli le aveva promesso. Il desiderio formale dell’anima non era riposto in quel genere di morte, ma nel servire a Dio ed esercitare verso di Lui l 'amore di un martire. Perocché il morire martire, di per se stesso, niente vale senza l'amore, il quale insieme all'esercizio e al premio di martire viene concesso da Dio molto perfettamente per altri mezzi. Di modo che, sebbene quella persona non muore martire, l'anima sua resta assai soddisfatta, perché ha ricevuto ciò che bramava. Tali desideri ed altri simili, quando nascono da vivo amore, benché non si avverino nella maniera che l'anima s'immaginava e intendeva, sono appagati ugualmente in altro modo molto migliore, che ridonda a maggior gloria di Dio, più di quel che ella non avrebbe mai saputo domandare. Onde Davide dice: «Desiderium pauperum exaudivit Dominus» (S a l 10 ,17 ): Il Signore compì il desiderio dei poveri. E nei Proverbi la Sapienza divina dice: «Desiderium suum iustis dabitur» (P rov 10 , 24 ): I giusti otterranno quel che desiderano. Quando vediamo che molti santi domandarono a Dio alcune cose in particolare, senza ottenere il compimento del loro desiderio in questa vita, è di fede che, essendo giusto e vero detto desiderio, essi ne ottennero il perfetto adempimento nell'altra. Che se ciò è verità inconcussa, non sarebbero meno vere le parole del Signore, se ad un'anima promettesse l'adempimento del suo desiderio in questo mondo, e la cosa succedesse in modo diverso da quello sperato.

14 - Pertanto le parole e le visioni di Dio sono in sé vere e certe, ma noi possiamo ingannarci, perché non sappiamo comprendere gli alti sensi e i principali fini che Dio in esse intende. Perciò il partito più sicuro è far sì che le anime rifuggano con prudenza da quelle cose soprannaturali, abituandole alla purezza dello spirito in oscura fede, la quale è il solo mezzo dell'unione divina.

2S CAPITOLO 20

SI PROVA CON TESTI DELLA SACRA SCRITTURA CHE 1 DETTIE LE PAROLE DI DIO, QUANTUNQUE SEMPRE VERI, NON

SEMPRE PERÒ SONO CERTI NELLE LORO CAUSE

1 - Ora ci conviene provare la seconda causa per cui le visioni e parole da parte di Dio, sebbene vere in sé, non sempre sono certe in quanto a noi. Ciò avviene per ragione delle cause e motivi su cui esse si fondano; perché spesso Dio dice cose che hanno fondamento sopra le creature e i loro effetti, che sono variabili e possono fallire, e perciò anche l'avveramento delle parole non è sicuro. Quando una cosa dipende da un'altra, mancando l'una, anche l'altra viene a mancare. Facciamo il caso che Dio dicesse: Da qui ad un anno devo inviare tal flagello a questo regno; e la causa o fondamento di questa minaccia fosse una certa offesa che si fa a Dio in quel regno. Se cessasse o si cambiasse l'offesa, potrebbe cessare o cambiare il castigo, pur rimanendo vera la minaccia, perché era fondata . sulla colpa attuale; se questa invece durasse, ne seguirebbe il castigo certamente.

2 - Vediamo ciò essere accaduto alla città di Ninive, dove Dio mandò il Profeta Giona a fare in suo nome questa minaccia: «Adhuc quadraginta dies, et Ninive subvertetur» (Gn 3 ,4 ): Da qui a quaranta giorni Ninive sarà rasa al suolo. Eppure ciò non avvenne, perché cessò la causa della minaccia, cioè i peccati di quel popolo, che ne fece subito penitenza; se non l'avessero fatta, il divino castigo sarebbe piombato su di loro. Anche nel terzo libro dei Re leggiamo che, avendo il Re Acab commesso un gravissimo peccato, il Signore gli fece minacciare dal Profeta Elia un grande castigo sopra la sua persona, la sua casa e il suo regno (3R e 21 , 19 -22 ); ma perché Acab si strappò le vesti dal dolore, e si ricoprì di cilizio e digiunò e dormì su di un sacco e apparve triste e umiliato, Dio gl'inviò subito lo stesso Profeta che gli riferisse queste parole: «Quia igitur humiliatus est mei causa, non inducam malum in diebus eius, sed in diebus filii Sui» (3 Re 2 1, 2 7-2 9): Poiché Acab si è umiliato per amor mio, non manderò il male che ho minacciato nei suoi giorni, ma in quelli di suo figlio. Dove vediamo che, avendo Acab mutato animo, anche Dio mutò la sua sentenza.

3 - Dal che possiamo inferire per il nostro proposito che, quantunque Dio abbia rivelata o affermata ad un'anima qualsivoglia cosa in bene o in male, riguardante la medesima o altri, la predizione potrà modificarsi nel suo effetto, in più o in meno, o variare o cessare del tutto, secondo la mutazione e il cambiamento di affetto della tale anima o della causa sopra cui Dio si fondava; e quindi la cosa potrà non compirsi come si aspettava, senza che alcuno molte volte ne sappia il perché, se non Dio solo. Dio suole insegnare e promettere molte cose, non affinché allora si intendano o si possiedano, ma perché si comprendano in seguito, quando converrà aver la luce di esse, o conseguirne l'effetto. Vediamo che così fece con i suoi discepoli, ai quali esponeva molte parabole e sentenze, il cui senso non intesero sino al tempo che dovevano predicarle, quando cioè discese sopra di loro lo Spirito Santo, del quale Cristo Nostro Signore aveva detto che avrebbe loro rischiarato tutte le cose che Egli in tutta la sua vita aveva loro insegnate. E parlando S. Giovanni intorno all'entrata di Cristo in Gerusalemme, dice: «Haec non cognoverunt discipuli eius primum sed quando glorificatus est Jesus, tunc ricordati sunt, quia haec erant scripta de eo» (Gv 12 , 16 ). Per conseguenza molte cose divine possono avvenire in modo molto particolare in un’anima, senza che essa o chi la dirige le intenda sino al tempo da Dio stabilito.

4 - Anche nel primo libro dei Re leggiamo che, adiratosi Dio contro Eli, sacerdote d'Israele, per i peccati che non puniva nei suoi due figli, gli mandò a dire per Samuele, tra l 'altro, queste parole: «Loquens locutus sum, ut domus tua, et domus patris lui ministraret in conspectu meo, usque in sempiternum. Nunc autem dicit Dominus: absit hoc a me» (1 Re

2 , 30 ): In verità avevo detto che la tua casa e la casa di tuo padre avrebbe dovuto servirmi nel sacerdozio, in mia presenza e per sempre; adesso però tal proposito sia ben lungi da me. L'ufficio sacerdotale consiste in dar gloria e onore a Dio, e a tal fine Dio lo aveva promesso al padre di Eli per sempre, purché non mancasse ai suoi doveri. Ora, venuto meno in Eli lo zelo dell'onore di Dio (perché, come il Signore stesso se ne lagnò, onorava più i suoi figli che Lui, dissimulando i loro peccati per non offenderli), venne parimenti a mancare la promessa, la quale si sarebbe per sempre adempita, se per sempre fosse durata il fedele servizio e lo zelo. Quindi non bisogna credere che le rivelazioni e i detti da parte di Dio, solo perché veri in sé, debbano infallibilmente accadere come suonano; specialmente quando sono connessi a cause umane, che si possono mutare e alterare.

5 - In quanto poi al sapere quando siano dipendenti o no da queste cause, Dio solo lo sa, ché non sempre lo manifesta. Egli parla o rivela, ma alcune volte tace la condizione, come fece ai Niniviti, a cui fece predire senza alcuna restrizione che, passati quaranta giorni, avrebbero dovuto essere distrutti (Gn 3 ,4 ) . Altre volte, invece, dichiara la condizione, come fece con Roboamo, dicendo: Se tu osserverai i miei comandamenti come il mio servo Davide, anch’io sarò con te come con lui, ed edificherò la tua casa, come al mio servo Davide (3R e 11 ,38 ). Però, o la dichiari o no, non v'è da essere sicuri nell'intelligenza delle parole divine; perché non si possono comprendere le verità occulte di Dio contenute nei suoi detti, né la moltitudine dei loro significati. Egli dimora nell'alto dei cieli e parla in cammino di eternità, e noi, miseri ciechi sopra la terra, non intendiamo se non vie di carne e di tempo. Credo che a ciò voglia alludere il Savio dove dice: «Deus enim in caelo, et tu super terram; idcirco sint pauci sermones tui» (Qo 5 ,1 ): Dio sta lassù in Cielo, e tu sopra la terra, perciò non ti dilungare nei tuoi discorsi.

6 - Ma forse taluno mi dirà: Se dunque non dobbiamo intendere, né intrometterci in quelle cose, perché mai Dio ce le comunica? Già ho detto che ogni cosa s'intenderà a suo tempo a seconda del beneplacito di chi parlò e l 'intenderà chi Egli vorrà; e allora si vedrà che fu conveniente che così accadesse perché Dio non fa nessuna cosa senza causa e verità. Pertanto si creda che non possiamo giungere a comprendere il vero e intero senso nei detti e delle cose di Dio, né determinarci a quel che sembra in apparenza, senza correre il pericolo di sbagliare grandemente e trovarci alla fine molto confusi. Ben lo sapevano i Profeti, nelle cui mani passava la parola di Dio, ai quali il profetare al popolo costava gran pena e fatica, perché molte delle loro predizioni non si avveravano alla lettera. Il che era cagione che gli stolti si burlassero allegramente dei Profeti, tanto che Geremia ebbe a dire: Si fanno beffa di me tutto il giorno, tutti mi motteggiano e disprezzano, perché è già molto tempo che alzo la voce contro gli iniqui e minaccio loro la distruzione; la parola del

Signore si volge per me in obbrobrio e derisione tutto il giorno, e perciò dissi: non voglio rammentarmi di Lui, né parlare più in suo nome (Ge r 20, 7- 9 ). Quantunque il Santo Profeta così dicesse con molta rassegnazione e in figura dell'uomo debole che non può reggere al peso dei segreti e delle vie di Dio, ci mostra però assai bene quanto differisca l'adempimento delle parole divine dal comune significato che rendono. I santi Profeti erano tenuti per ingannatori, mentre a motivo della profezia tanto pativano, che il medesimo Geremia in altro luogo dice: «Formido et laqueus facta est nobis vaticinatio et contritio» (Tren i 3 , 47 ): La profezia e la contrizione di spirito sono divenute per noi piene di timori e di insidie.

7 - La causa appunto per cui Giona fuggì quando Dio lo inviò a predicare la distruzione di Ninive, fu perché conosceva quanto sia diverso il senso delle parole dì Dio dall'intendere umano, e quanto varie siano le loro cause. Perciò, affinché non si facessero burla di lui qualora non si compisse la sua predizione, dapprima tentò di esimersi, con la fuga, dal divino comando; di poi, avendo obbedito alla voce del Signore, aspettò per tutti i quaranta giorni fuori della città, per vedere come le cose andassero a finire. Quando però vide che la sua profezia non si era avverata, si afflisse grandemente, tanto che disse al Signore: «Obsecro, Domine, numquid non hoc est verbum meum, cum adhuc essem in terra mea? Propter hoc praeoccupavi, ut fugerem in Tharsis» (Gn 4 ,2 ): Dimmi, ti prego, o Signore, forse ché non è questo ciò che io dicevo, mentre ero ancora nella mia patria? Per questo mi affrettai a fuggirmene a Tharsis. E il santo rimase un po' indispettito, e pregò il Signore che gli togliesse la vita.

8 - Perché, dunque, dovremo meravigliarci, se alcune cose che Dio manifesta e rivela alle anime non riescono come vengono intese? Dato il caso che Dio affermi ad un’anima o le rappresenti questa o quella cosa di bene o di male, per sé o per altri, se ciò che Egli dice è fondato in un determinato effetto o servizio od offesa che quell'anima o altri fanno a Dio, non è certo che la cosa avverrà come le parole suonano, perché non è certa la perseveranza di quell'anima o di altri in quella data disposizione. Pertanto non v'è ragione di assicurarsi e di fondarsi sul proprio intendimento, ma sulla fede.

2S CAPITOLO 21

SI DICHIARA CHE, QUANTUNQUE DIO ALLE VOLTE RISPONDA A CIÒ CHE GLI SI DOMANDA, NON GLI PIACE PERÒ CHE LE ANIME RICORRANO A TALE ESPEDIENTE

- SI PROVA CHE DIO SPESSO SI MUOVE A SDEGNO, ANCHE QUANDO ACCONDISCENDE A RISPONDERE

1 - Alcune persone spirituali vanno sicure in tenere per buona la curiosità che alle volte mostrano, procurando di sapere alcune cose per via soprannaturale. Pensano che, siccome Dio talora risponde dietro loro istanza, il domandare sia cosa retta e a Lui gradita; laddove la verità è che, sebbene loro risponde, il mezzo che usano non è buono, né piace a Dio, ma piuttosto lo disgusta, tanto che spesso si adira, restandone grandemente offeso. La ragione è che a nessuna creatura è lecito uscire fuori dei termini che Dio le ha stabiliti naturalmente, per il proprio governo. A tale scopo, pose all'uomo termini naturali e razionali; non è lecito, quindi, il volere uscire da essi; e il voler indagare e scoprire le cose per via soprannaturale è uscire dai confini naturali. Quindi è cosa illecita, Dio non può gradirla, perché tutto ciò che è illecito, l 'offende. Ben sapeva ciò il, Re Acaz, poiché, sebbene Isaia gli dicesse da parte di Dio di chiedergli qualche segno, non volle farlo, anzi rispose: «Non petam, et non tentabo Dominum» ( I s 7 ,12 ): Non lo domanderò, né tenterò il Signore; e tentare Dio è voler trattare con Lui per vie straordinarie, quali sono, le soprannaturali.

2 - Ma dunque, mi direte, se Dio non vuole ciò, perché alcune volte risponde? Anzitutto dirò che non di rado la risposta viene da parte del demonio. Quando poi è Dio che risponde, dico che lo fa per adattarsi alla debolezza dell'anima che desidera di andare per quella via, affinché non si affligga e non torni indietro, pensando che Dio è contro di lei, e non sia messa troppo alla prova; ovvero per altri fini noti a Lui, fondati nella fiacchezza

di quell'anima, per i quali giudica essere conveniente acconsentire alla domanda. Il Signore, ripeto, usa una simile accondiscendenza verso molte anime, deboli e tiepide, dando loro gusti e soavità molto sensibili, nel tratto con Lui; non perché egli voglia o gradisca che usino con Lui di questa via, ma perché si degna di concedere grazie adatte alla maniera di ciascuno. Dio è come una fonte da cui ognuno attinge secondo la misura del vaso, e a volte permette che si cavi acqua per quei condotti straordinari; ma non ne segue che sia lecito volerla derivare da essi; ché Dio solo la può dare quando, come, e a chi vuole, senza pretesa da parte di chicchessia. Dio, dunque, accondiscende talvolta al desiderio e alla preghiera di alcune anime, perché sono buone e semplici, e non vuol lasciare di esaudirle per non rattristarle, ma non già perché gli sia bene accetta la loro richiesta. Ciò s'intenderà meglio con la seguente comparazione.

3 - Un padre di famiglia sta a mensa ed ha dinanzi a sé diversi cibi, gli uni migliori degli altri. V'è un figlioletto che gli domanda un piatto, non del cibo migliore, ma del primo che gli capita, perché crede di trovarvi più sapore che in tutti gli altri. Il padre vede bene che, quantunque li desse della vivanda migliore, il bambino non ne prenderebbe: ché, non c'è verso, nessun'altra gli va a genio se non quella, e quella vuole; e allora il padre accondiscende, sebbene a malincuore, solo perché il bambino non rimanga scontento e senza mangiare. Così vediamo che Dio fece con i figli d'Israele, quando gli domandarono un re: lo concesse loro, ma di mala voglia, perché non faceva loro a proposito, onde disse a Samuele: «Audi vocem populi ... non enim te abiecerunt, sed me, ne regnem, super eos» (1R e 8 ,7 ): Ascolta la voce di questo popolo, e concedi loro il re che domandano, poiché non hanno rigettato te, ma me stesso, non volendo che lo regni su di loro. Alla stessa guisa Dio accondiscende ad alcune anime, concedendo quello che non è loro più conveniente; perché esse non vogliono o non sanno andare che per quella via. E se alcune volte esse ottengono tenerezza e soavità spirituale o sensibile, ciò avviene perché Dio sa che non sono capaci di un cibo più solido e forte, ossia dei travagli della croce del suo Divin Figlio, al quale cibo pur vorrebbe che stendessero la mano, più che a qualunque altra cosa.

4 - Quantunque, del resto, io reputo che il volere rivelazioni soprannaturali sia molto peggiore che il voler altri gusti spirituali nel senso, perché non vedo come l'anima che le pretende possa andar immune da peccato, per lo meno veniale, per quanto sia mossa da ottimi fini e stabilita in perfezione; e chi la spingesse a tale pretensione o vi acconsentisse, peccherebbe ugualmente. Perocché non v'è alcun bisogno di ricorrere a simili espedienti; v'è la ragione naturale, v'è la legge e la dottrina evangelica, in cui l'anima può trovare tanto da ben regolarsi e più che a sufficienza, e non c'è difficoltà o necessità che non si possa sciogliere o rimediare con questi mezzi molto conformi al volere di Dio e profittevoli all 'anima. Dobbiamo anzi giovarci tanto della ragione e della dottrina evangelica che , quantunque (noi volenti o nolenti) ci si dicessero alcune cose soprannaturalmente, avremmo da ammettere soltanto ciò che è consono alla ragione e alla legge evangelica. Questo poi bisognerebbe ammetterlo, non perché sia rivelazione, ma perché è secondo la ragione; e tuttavia anche allora converrebbe ben considerare ed esaminare la cosa, e molto più che se non ne avessimo avuta rivelazione particolare: perché spesso il demonio dice molte cose vere, facili a succedere e assai ragionevoli, a fine di ingannare.

5 - Pertanto, in tutte le nostre necessità, pene e difficoltà, non ci rimane altro mezzo migliore e più sicuro che l'orazione e la speranza che Dio provveda con i mezzi da Lui voluti. Questo consiglio ci viene dato nella Sacra Scrittura, dove leggiamo che, essendo il re Giosafat molto afflitto e angustiato, perché stretto da una moltitudine di nemici, postosi in orazione dinanzi a Dio, disse: «Cum ignoremus quid agere debeamus hoc solum habemus residui, ut oculos nostros dirigamus ad te» ( I I Pa ra l . 20 , 12 ): Poiché ci mancano i mezzi, e la ragione è insufficiente a provvedere alle necessità, non ci resta che innalzare gli occhi a Te, affinché Tu provveda come meglio ti piaccia.

6 - Che poi Dio, pur rispondendo alcune volte, si adiri, è chiaro per quello che abbiamo già detto; nondimeno sarà bene provarlo con alcuni passi della Sacra Scrittura. Nel primo libro dei Re, si narra che, desiderando Saul che il Profeta Samuele, già morto, gli parlasse, gli apparve il detto profeta, ma con tutto ciò Dio se ne offese, poiché subito

Samuele severamente riprese Saul del suo operato, dicendo : «Quare inquietasti me, ut suscitarer?» (1R e 28 ,15 ): Perché mi hai disturbato col farmi apparire? Di più anche sappiamo che, sebbene Dio rispose ai figli d'Israele dando loro le carni che avevano chieste, ne restò tuttavia molto sdegnato contro di loro, poiché subito inviò loro fuoco dal cielo per castigo, come si legge nel Pentateuco; del quale fatto anche Davide fa menzione dicendo: «Adhuc escae eorum erant in ore ipsorum, et ira Dei! ascendit super eos» (Sa l 77 ,30 - 31): Non avevano ancora inghiottito i loro bocconi, che l'ira del cielo discese sopra di loro. E nel libro dei Numeri anche leggiamo che Dio si sdegnò grandemente contro il profeta Balaam, perché questi volle andare presso i Madianiti chiamato da Balac loro re, sebbene il Signore, annuendo al desiderio e alla richiesta del profeta, gli avesse concesso di recarvisi. Orbene, mentre Balaam stava in cammino, gli apparve un Angelo che con la spada sguainata minacciò di ucciderlo, e gli disse «Perversa est via tua, mihique contraria» (N um 22 , 32 ): La tua via è perversa e a me contraria.

7 - In questa od altre simili maniere Dio accondiscende, ma con gran disgusto, agli umani desideri. Di ciò abbiamo molte testimonianze nella Scrittura e molti esempi, che però non è necessario riferire in cosa tanto chiara. Aggiungo soltanto che è molto pericoloso, più che io non sappia esprimerlo, voler trattare con Dio per vie soprannaturali, e che non potrà non errare grandemente e restare spesso molto confuso chi fosse affezionato ad esse: e chi ne avesse fatto stima, m'intenderà bene per esperienza. Perocché, oltre alla difficoltà di schivare il pericolo di abbaglio e di errore nelle locuzioni e visioni che sono da Dio stesso, si aggiunge sovente che molte vengono da parte del demonio, il quale ordinariamente si comporta con l'anima in quel modo in cui Dio si comporta con lei, presentandole cose molto somiglianti a quelle che Dio le comunica, allo scopo d'intromettersi come il lupo tra il gregge, sotto pelle d'agnello, in modo da non essere riconosciuto agevolmente. Difatti egli propone bene spesso cose vere e conformi alla ragione e che si avverano, onde l'anima facilmente viene tratta in inganno, pensando che quegli che dice sì belle verità e indovina con tanta precisione il futuro, non può essere che Dio; mentre non sa che a chi ha chiaro lume d'intelligenza naturale, è facilissimo conoscere nelle loro cause molte cose che furono o che saranno, e predire così anche l'avvenire. Ora, il demonio ha un lume d'intelletto tanto vivo, che può con la massima facilità arguire il tale effetto dalla tale causa, sebbene non sempre indovina, perché tutte le cause dipendono dalla volontà di Dio. Portiamo qualche esempio.

8 - Il demonio conosce che la terra, l 'aria e la costellazione in cui il sole si trova, sono disposti in tal maniera o grado che, giunto quel dato tempo, necessariamente gli elementi verranno ad alterarsi, e infetteranno i viventi con pestilenze 11, e conosce del pari dove ciò avverrà di più e dove meno: ed ecco qui conosciuta la pestilenza nella sua causa. Che gran fatto è, dunque, che il demonio riveli ciò ad un'anima col dire: da qui ad un anno vi sarà la peste, e che così accada davvero? Eppure è una profezia del demonio. Nello stesso modo può conoscere e preannunziare un terremoto, vedendo che i seni della terra si vanno empiendo di vapori: il che certamente non passa i limiti di cognizione naturale, per la quale basta aver l'animo libero dalle passioni dell'anima, come dice Boezio: «Si vis claro lumine cernere verum, gaudia pelle, timorem spemque fugato, nec dolor adsit» :12 Se vuoi con chiarezza naturale conoscere la verità, bandisci da te il gaudio, il timore, la speranza e il dolore.

9 - Inoltre si possono prevedere eventi soprannaturali nelle loro cause intorno alla Provvidenza divina, che giustissimamente e certissimamente interviene in quel che richiedono le cause buone o cattive dei figli degli uomini. Si può conoscere naturalmente che la tale persona o città, o altra cosa, arriverà a tale necessità o a tal punto che il Signore, secondo la sua giustizia e Provvidenza divina, deve intervenire con ciò che compete alla causa e in conformità di questa, con premio o con castigo, o comunque la causa richieda. E allora taluno potrebbe dire: in tal tempo Dio vi darà questo o farà quello, o ciò accadrà certamente. Quel che ora diciamo, anche la santa Giuditta lo fece intendere a Oloferne. Essa infatti, per persuaderlo che i figli d'Israele avrebbero dovuto essere certamente distrutti, prima descrisse i peccati che commettevano, e subito concludo

11 Cf A. Manzoni, I promessi sposi, Don Ferrante.12 De consolatione Philosophiae. I , l , m. 7: ML 63,656-558.

soggiunse: «Ergo, quoniam haec faciunt, certum est quod in perditionem dabuntur» (G iud i t ta

11, 12 ):Poiché sono rei di tali colpe, certo è che saranno distrutti. Il che è conoscere il castigo in causa, perché vale quanto dire: è certo che sì gravi peccati meritano da parte di Dio, che è giustissimo, un tale castigo, poiché la Sapienza divina dice: In quello o per quello che ciascuno pecca, è castigato (S ap 11 ,17 ).

10 - Il demonio può conoscere le cose future in causa, non solo naturalmente, ma anche dall 'esperienza che ha acquistato nell'aver veduto Dio operare cose simili in date circostanze, e quindi può predire un tale evento indovinare. Anche il santo Tobia conobbe in causa il castigo che sovrastava a Ninive, e perciò ammonì suo figlio che alla morte dei genitori uscisse da quella città, perché non sarebbe rimasta lungo tempo in piedi: «Video enim quia ìniquitas eius finem, dabit ei» (T b 14 , 13 ). Quasi dicesse: Io vedo chiaramente che la sua iniquità stessa è la causa del suo castigo, il quale consisterà nella sua completa rovina e distruzione. Tanto Tobia quanto il demonio potevano prevedere ciò, non solo per le colpe di quella città, ma anche per esperienza: vedevano che i peccati dei Niniviti erano quelli stessi che avevano provocato l’ira divina a sommergere la terra con le acque del diluvio, a far discendere il fuoco dal Cielo sulla città di Sodoma: quantunque poi è da credersi che Tobia lo sapesse anche per spirito divino.

11 - Di più, il demonio può giudicare e predire che Pietro, ad esempio, non può naturalmente vivere più di tanti anni; e così molte altre cose e in varie maniere, che è impossibile enumerare, essendo assai intricate e sottili; come pure suole insinuare menzogne. Da tutto ciò le anime non possono liberarsi, se non rifuggendo da tutte le rivelazioni, visioni e locuzioni soprannaturali. Per la qual cosa Dio molto giustamente si sdegna con chi le ammette. perché scorge in lui grande temerità nell'esporsi a sì grave pericolo, e di più una buona dose di presunzione, di curiosità, con un certo ramo di superbia, la quale poi è radice di vanagloria e disprezzo verso le cose divine, e causa d'infiniti mali in cui molti caddero miseramente. Costoro giunsero a disgustare Dio a tal segno, che Egli li lasciò errare, ingannarsi, perdere la luce dello spirito e discostarsi dalle vie ordinarie della vita, dando adito alle proprie vanità e fantasticherie, secondo quel detto d'Isaia: «Dominus miscuit in medio eius spiritus vertiginis» ( I s 19 ,14): il Signore vi frammischiò lo spirito di turbamento e di confusione; ciò che, per dirla chiara e tonda, vorrebbe dire spirito di capire le cose a rovescio. È da notarsi che Isaia dice queste parole precisamente a nostro proposito, perché parla di quelli che volevano sapere le cose future per via soprannaturale. E per questo dice che Dio vi frammischiò lo spirito d'intendere a rovescio; non già che Egli volesse o infondesse loro effettivamente lo spirito di errore, ma perché quelli pretendevano ciò che umanamente non potevano ottenere. Onde, disgustato di ciò, Dio li lasciò farneticare, non concedendo loro lume d'intelletto in quelle cose in cui Egli non voleva che s'intromettessero. Pertanto il citato testo viene a dire che Dio mescolò in loro quello spirito, ma in modo privativo e permissivo. In questo senso Dio è. causa di quel danno, causa privativa che consiste nel negare la sua luce e il suo favore agli uomini, donde ne segue che necessariamente siano tratti in errore.

12 - Nella stessa maniera permette che il demonio accechi ed inganni molti perché lo meritano loro peccati e la loro presunzione. E il demonio vi riesce bene, giacché essi gli credono e lo tengono per buono spirito, tanto che, per quanto si faccia per persuaderli del contrario, non c'è verso di disingannarli, essendo ormai per divina permissione imbevuti dello spirito d'intendere a rovescio. Così leggiamo essere accaduto ai profeti del re Acab, quando il Signore permise che fossero dominati dallo spirito di menzogna, dando licenza al demonio a tal fine con dirgli: «Decipies, et praevalebis; egredere, et fac ita» (3R e 22 ,22 ): Li ingannerai e prevarrai; va e fa così. E difatti tanto poté sui profeti e sul re con l'inganno, che non vollero credere al Profeta Michea, che loro prediceva la verità molto diversa da quel che i falsi profeti avevano annunziato; e ciò avvenne perché Dio li lasciò accecare, avendo essi desiderato con affetto di proprietà che le cose andassero e Dio rispondesse a modo loro. E questo era proprio il mezzo e la disposizione più certa, perché Dio li abbandonasse nella loro cecità e stoltezza.

13 - Questo appunto Ezechiele volle dire, quando parlò contro di chi ardisce di voler sapere le cose per mezzo di Dio con malsana e riprovevole curiosità, e secondo la vanità

del proprio spirito. Egli, infatti, pone in bocca al Signore queste parole: Quando un uomo verrà dal Profeta per interrogarmi per mezzo suo, io, il Signore, gli risponderò da me stesso, e volgerò a quell'uomo il mio volto adirato; e se il Profeta errasse in ciò che gli fu domandato, «Ego Dominus decepi prophetam illum» (E z 14 ,7 - 9 ): Io, il Signore, ingannai quel Profeta: il che si deve intendere nel senso che Dio non concorre con la sua grazia a far sì che quegli esca d'inganno. Anche quelle parole: Io, il Signore, gli risponderò da me stesso col volto sdegnato, significano la medesima cosa, cioè che Dio distoglie lo sguardo da quell’uomo, ne allontana il suo favore, di modo che colui necessariamente viene a cadere in errore, dato il divino abbandono. Allora subentra il demonio a rispondere secondo i gusti e i desideri di quell'uomo e questi, dal canto suo, udendo risposte e comunicazioni di suo genio, se ne compiace e resta sempre più irretito nelle diaboliche insidie.

14 - Potrebbe sembrare che noi ci siamo un poco allontanati dall'argomento proposto nel titolo di questo capitolo, che era di provare come Dio, quantunque risponda alle domande, alcune volte se ne lamenta. Però, se ben si osserva, tutto ciò che abbiamo detto prova il nostro asserto, dimostrando che il Signore non ha piacere che gli chiedano visioni, poiché permette che gli uomini restino in esse ingannati in tante maniere.

2S CAPITOLO 22

SCIOGLIE UN DUBBIO, DIMOSTRANDO CHE ORA, NELLA LEGGE DI GRAZIA, NON È LECITO INTERROGARE DIO PER LA VIA SOPRANNATURALE, COME INVECE LO ERA

NELLA ANTICA LEGGE - RIPORTA E DICHIARA UN TESTO DI SAN PAOLO IN PROPOSITO

1 - Da ogni parte ci si presentano dubbi da sciogliere, e non possiamo quindi procedere con quella speditezza che ci eravamo prefissa; ma poiché siamo noi a proporli, ci vediamo costretti a risolverli, affinché la verità della dottrina sia chiara, piana e mantenga tutta la sua forza. In tali dubbi vi è questo di buono che, sebbene alquanto c'impediscano il passo, servono nondimeno ad approfondire e chiarire sempre più il nostro argomento come spero che farà il dubbio presente.

2 - Nel capitolo precedente abbiamo detto non essere volontà di Dio che le anime pretendano di ricevere particolari visioni, locuzioni, ecc., per via soprannaturale. D'altra parte, nello stesso capitolo, dagli allegati testi della Sacra Scrittura abbiamo visto ricavato che simile tratto con Dio era in uso nell’antica legge; e che allora era lecito, anzi perfino comandato da Dio stesso, il quale più volte riprese chi in gravi frangenti non vi avesse fatto ricorso. Difatti vediamo in Isaia che Dio rimproverò i figli d'Israele che stavano per discendere in Egitto senza prima averlo consultato, dicendo loro: «Qui ambulatis, ut descendatis in Aegyptum, et os meum non interrogastis» ( I s 30 ,2 ): Non avete prima cercato di sapere dalla mia bocca ciò che conveniva fare. Come pure leggiamo in Giosuè che, essendo gli Israeliti ingannati dai Gabaoniti, lo Spirito Santo rileva il loro errore, dicendo : «Susceperunt igitur de cibariis eorum, et os Domini non interrogaverunt» (G ios . 9 , 14 ): Accettarono dei cibi loro (dei Gabaoniti) senza prima chiedere consiglio al Signore. E altrove vediamo nella Divina Scrittura che Mosè consultava sempre Dio, e il re Davide e tutti i re d'Israele facevano altrettanto nelle loro guerre e necessità, non meno che gli antichi sacerdoti e profeti; e il Signore si degnava di rispondere e parlava con loro senza adirarsi, e la cosa era ben fatta, anzi avrebbero mancato facendo diversamente. Se dunque è vero questo, perché mai adesso, nella legge nuova e di grazia, non è più lecito ciò che prima lo era?

3 - A questa obiezione rispondo che la causa principale per cui nell’antica legge le domande fatte a Dio erano permesse, ed era conveniente che i profeti e i sacerdoti desiderassero visioni e responsi divini, è perché a quei tempi non ancora la fede era ben fondata, né la legge evangelica era stata promulgata, e quindi bisognava che gli uomini interpellassero Dio e che Egli rispondesse, ora con parole, ora con visioni e rivelazioni, ora con similitudini e figure, ora con tante altre maniere di segni. Tutto ciò che Dio diceva, rivelava e operava, erano misteri di nostra fede e cose attinenti o indirizzate ad

essa. Essendo che le cose della fede non vengono dall'uomo, ma sono manifestare dalla bocca di Dio stesso, era necessario che gli uomini consultassero l'oracolo di Dio: e perciò erano ripresi da Lui, quando nei casi difficili non facevano tale ricorso affinché Egli loro rispondesse, indirizzando i casi che ancora non conoscevano e le cose loro alla fede, perché non ancora fondata. Adesso però, essendo fondata la fede di Cristo e promulgata la legge evangelica in questa èra di grazia, non v'è più ragione d'interrogare Dio in quella maniera, né che Egli parli e risponda come allora. Poiché nel darci, come ha fatto, il Suo Divin Figlio, che è l'unica sua Parola (ché altra non ne ha) ci ha detto tutto insieme e in una volta in questa sola Parola, e non ha più niente da dire .

4 - Questo è il senso di quel testo in cui S. Paolo vuole indurre gli Ebrei a distaccarsi da quei primi modi e tratti con Dio secondo la legge di Mosè, e a fissare lo sguardo in Cristo solamente, dicendo: «Multifariam, multisque modis olim, Deus loquens patribus in Prophetis: novissime diebus istis locutus est nobis in Filio» (E b 1 , 1 -2 ): Quello che Dio anticamente manifestò per mezzo dei Profeti ai nostri padri in molte e varie maniere, ora alfine, in questi giorni, ce lo ha detto nel suo Figlio, tutto in una volta. Nel che l'apostolo vuol fare intendere che Dio è restato ormai come muto e non ha più che dire, perché ciò che prima rivelava in parte ai Profeti, lo ha rivelato interamente, dandoci il tutto, cioè suo Figlio.

5 - Pertanto, chi ora si facesse a consultare Dio o desiderasse qualche visione o rivelazione, non solo commetterebbe una scempiaggine, ma farebbe torto a Dio, perché non mirerebbe unicamente in Cristo senza desiderare altre novità. Dio ben potrebbe rispondergli in questa maniera: Se già ti ho detto tutte le cose nella mia parola, che è il mio Figlio, ed ora non ho altra cosa di più e di meglio che poterti rivelare, posa i tuoi occhi soltanto in Lui; perché in Lui ti ho detto e, rivelato ogni cosa, e troverai in Lui anche più di quel che cerchi e desideri. Tu non mi chiedi se non una parte di rivelazioni o visioni, mentre se miri in Lui, pienamente le avrai, perché Egli è tutta la mia locuzione, tutta la mia visione e tutta la mia rivelazione, che io già vi ho detta, mostrata e manifestata, dandovelo per fratello, amico e maestro, prezzo e premio. Fin dal giorno che sul Monte Tabor io discesi sopra di Lui col mio spirito, dicendo: « Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite» (M t 17 , 5 ): Questi è il mio amato Figlio, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo; sin d'allora, dico, levai la mano da tutte quelle maniere d'insegnamenti e di risposte e la porsi a Lui. Udite Lui solo, dunque, perché io non ho più altra fede da rivelare, non ho altre cose da manifestare. Che se per l 'addietro parlavo, era promettendovi Cristo, e se gli uomini m'interrogavano, le loro domande erano rivolte alla petizione e alla speranza di Cristo, nel quale avrebbero trovato ogni bene (come ora tutta la dottrina degli Evangelisti e degli Apostoli lo dimostra); ma adesso, se tu mi domandassi all'antica maniera, e volessi che io ti parlassi o rivelassi qualcosa, in certo modo mi domanderesti Cristo un'altra volta, e un oggetto di fede anche maggiore di quello che in Lui ho dato; ti mostreresti scarso di fede in Cristo, e faresti quindi torto non lieve al mio amato Figlio. Vuoi tu forse obbligarlo, per così dire, ad incarnarsi un'altra volta e condurre la vita e subire la dura morte di prima? Da parte mia, non troverai che domandarmi, né che desiderare in quanto a rivelazioni o visioni: considera bene, ché in Cristo troverai già fatto e concesso tutto quello e molto più ancora.

6 - Se poi vuoi che io ti dica una parola di conforto, guarda mio Figlio a me obbedientissimo, afflitto e vilipeso per amor mio, e vedrai quante dolci parole ti dirà. Se desideri che io ti dichiari cose segrete e arcane, posa solamente gli occhi su di Lui, e scoprirai occultissimi misteri, e la sapienza e le meraviglie di Dio che sono in Lui racchiuse, secondo che il mio Apostolo dice: «In quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi» (C o l 2 ,3 ): In Lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio; i quali tesori di sapienza saranno per te molto più sublimi, dilettevoli e proficui che non le cose che vorresti sapere. Per questo lo stesso Apostolo si gloriava di non sapere altra cosa se non Cristo, e questi crocifisso. E se infine mi chiedessi altre visioni e rivelazioni divine o corporee, contempla pure il mio Unigenito umanato, e troverai più che tu non pensi, perché S. Paolo dice anche di Lui: «In ipso inhabitat omnis plenitudo Divinitatis corporaliter» (C o l 2 ,9 ): In Cristo dimora tutta la pienezza della divinità corporalmente.

7 - Non è più, dunque, buona cosa domandare a Dio in quella maniera, né è più necessario che Egli parli, poiché avendo finito di manifestarci tutta la fede in Cristo, non vi è altra fede da rivelare, né vi sarà mai. Il voler ricevere ora altre cose per via soprannaturale, sarebbe come rilevare manchevolezza in Dio, quasi che non abbia dato tutto il sufficiente nel suo Figlio 13; poiché, quantunque tale desiderio indiscreto presupponga la fede, tuttavia è curiosità che nasce da poca fede. Questa insana curiosità non può ripromettersi da Dio una nuova dottrina o altra cosa per via soprannaturale, perché nel momento che Cristo, spirando sulla Croce disse: «Consummatum est» (Gv 19 , 30 ): Tutto è compiuto, ebbero termine anche tutti gli antichi modi di tratto con Dio, insieme con le cerimonie e i riti dell'antica legge. Pertanto, ci dobbiamo guidare in tutto con la dottrina di Cristo Signor Nostro, Dio e Uomo, e della sua Chiesa e dei suoi ministri; e per questa via umana e visibile rimediare alle nostre ignoranze e debolezze spirituali, poiché per questa strada tutti troveremo abbondante medicina. Ciò che devia o si allontana da questo cammino, non solo è curiosità, ma somma audacia [ s facc i a t agg ine? ] . Non si deve credere cosa alcuna per via soprannaturale, ma soltanto quel che è insegnamento di Cristo-Uomo e dei suoi ministri, uomini anch'essi, tanto che San Paolo dice: «Sed licet... Angelus de caelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sìt» (G a l 1 ,8 ): Se un Angelo del Cielo vi annunziasse qualcosa all'infuori di ciò che noi uomini vi abbiamo evangelizzato, sia scomunicato e maledetto.

8 - Adunque, poiché, è verità che sempre dobbiamo attenerci alla dottrina che Cristo c'insegnò e che tutto il resto non è niente né si deve credere se non è conforme ad essa, invano opera colui che vuole ora trattare con Dio secondo il modo usato nell'antica legge. Tanto più poi che nemmeno a quei tempi era lecito a chiunque interrogare Dio, né questi rispondeva a tutti, ma solamente ai sacerdoti e ai profeti, dalla cui bocca il popolo doveva apprendere la legge e la dottrina; e se alcuno voleva sapere qualche cosa da Dio, glielo doveva chiedere per mezzo del sacerdote o del profeta, non mai da se stesso. Che se Davide da se stesso consultò talvolta il Signore, lo fece perché era profeta, e tuttavia non lo faceva senza la veste sacerdotale, come avvenne allorché al sacerdote Abiatar disse: «Applica ad me ephod» (1R e 30 ,7 ): (che era uno dei principali indumenti distintivi del sacerdozio), e rivestito di esso interrogò il Signore; ma ordinariamente lo consultava per mezzo di Natan e di altri profeti. E per bocca dei sacerdoti e dei profeti, e non secondo il proprio parere, ciascuno doveva assicurarsi che veniva da Dio ciò che gli era annunziato.

9 - Nell'antica legge, dunque, quel Dio che diceva non aveva alcuna autorità e forza da indurre a credere, se non era approvato dalla parola dei sacerdoti e profeti. Poiché Dio è tanto amante che l'uomo sia governato per mezzo di altri uomini e sia retto e guidato secondo la ragione naturale, che vuole assolutamente che noi palesiamo le cose che soprannaturalmente ci comunica, senza prestare loro intero credito, né averne ferma e sicura convinzione, finché non passino per il canale umano della bocca di un nostro simile. Perciò, ogni volta che rivela qualche cosa ad un'anima, le infonde in pari tempo una certa inclinazione ad aprirsi con chi di dovere; e fino a che ciò non si verifichi, non suole concederle intera soddisfazione, perché l'uomo non la ricevette da un'altra creatura umana. Onde vediamo nel libro dei Giudici che così accadde a Gedeone. Sebbene il Signore più volte gli avesse promesso che avrebbe vinto i Madianiti, tuttavia era sempre rimasto dubbioso e pusillanime, avendolo il Signore abbandonato a quella fiacchezza, finché per la bocca degli uomini non ebbe la conferma della divina promessa. Infatti avvenne che Dio, vedendolo scoraggiato, da ultimo gli disse: «Surge et descende in castra ... et cum audieris quid loquantur, tunc confortabuntur manus tuae, et securior ad hostium castra descendes» (G dc 7 , 9 -11): Levati su e discendi all'accampamento, e quando là udrai ciò che gli uomini dicono, allora riceverai forza per compiere ciò che ti ho detto, e assalirai con più sicurezza l'esercito nemico. E così fu. Andato là, udì un Madianita che raccontava ad un suo compagno di aver sognato che Gedeone li avrebbe vinti; ed allora, pieno di coraggio e di allegrezza, cominciò ad apparecchiarsi alla battaglia. In questo

13 «In real tà l ' ira di Dio si r ivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiust izia di uomini che soffocano la verità nell ' ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato» (Rm 1,18-19).

fatto ben si vede che Dio non volle che Gedeone si assicurasse soltanto per via soprannaturale, ma fosse confermato naturalmente.

10 - Molto più rilevante è ciò che si legge di Mosè su questo punto. Avendogli Dio comandato con molte ragioni, avvalorate dai segni della verga mutata in serpente e della mano lebbrosa, che andasse a liberare i figli d'Israele, restò tanto fiacco ed incerto su questa andata, che quantunque Dio se ne sdegnasse, mai si sarebbe deciso a quell'impresa, se il Signore non lo avesse animato, dicendo: «Aaron frater tuus Levites, scio quod eloquens sit; ecce ipse egreditur in occursum, tuum, vidensque te, laetabitur corde. Loquere ad eum, et pone verba mea in ore eius: et ego ero in ore tuo et in ore illius» ( Es

4 ,14 - 15): Io so che tuo fratello Aronne è uomo eloquente: ecco che egli ti verrà incontro e, vedendoti, si rallegrerà di cuore; parla con lui e digli tutte le mie parole, ed io sarò nella tua bocca e nella sua, perché ciascuno riceva credito dalla bocca dell'altro.

11 - Udendo ciò, Mosè subito prese coraggio con la speranza del conforto e del consiglio che avrebbe trovato nel fratello; poiché è proprio dell'animo umile non ardire di trattare da solo con Dio, né di tenersi pago senza la guida e l 'appoggio umano: e questo appunto vuole il Signore, poiché quando alcuni si uniscono tra loro per trattare della verità, Egli pure si fa presente per rischiararla e confermarla in essi, come disse che avrebbe fatto con Mosè ed Aronne insieme finiti, col trovarsi nella bocca dell'uno e dell'altro. Perciò Cristo nel Vangelo dice: «Ubi enim sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum» (M t 18 , 20 ): Dovunque si troveranno due o tre persone congregate per attendere a ciò che torna a maggior gloria e onore del mio nome, ivi mi troverò anch'io in mezzo a loro; cioè rischiarando e confermando nei loro cuori le divine verità. È da notarsi che non dice: dove sarà uno solo, ivi sarò anch'io; ma dove si trovano almeno due, per farci intendere che Egli non vuole che alcuno da sé solo dia giudizio delle cose divine che riceve, né si assicuri e confermi in esse, senza il consiglio e la regola della Chiesa e dei suoi ministri; poiché Dio non si fa presente a chi è solo, non gli rischiara la verità, non gliela imprime nel cuore, e quegli perciò se ne resterà debole e freddo rispetto ad essa.

12 - A rafforzare l'argomento riportiamo le parole dell'Ecclesiaste, che dice: «Vae soli, quia cum ceciderit non habet sublevantem se. Et si dormierint duo, fovebuntur mutuo: unus quomodo calefiet? Et si quispiam praevaluerit contra unum, duo resistunt ei» (Qo 4 ,10 -

12): Guai a chi è solo, perché se cade, non ha chi lo sollevi. Se due dormiranno insieme, si riscalderanno a vicenda (cioè col calore di Dio, che sta in mezzo a loro); uno solo come potrà scaldarsi? cioè come potrà non esser freddo nelle cose di Dio? E se un potente prevalesse contro di uno (cioè il demonio che prevale contro quelli che vogliono regolarsi da soli nelle cose di Dio), due insieme, cioè il discepolo e il maestro, gli faranno resistenza, unendosi nel Signore per sapere ed operare la verità. Senza di questa unione, chi è solo si sente ordinariamente tiepido e debole nella verità, per quanto l'abbia udita da Dio: tanto che S. Paolo, dopo molto tempo dacché predicava il Vangelo che, com'egli dice, aveva udito non da un uomo ma da Dio stesso, non poté, fare a meno di andare a conferire in proposito con S. Pietro e gli altri Apostoli : «Ne forte in vacuum currerem, com'egli dice, aut cucurrissem» (Ga l 2 ,2 ) . Perché non corressi o avessi corso invano; non si stimava sicuro, finché l'uomo non lo rassicurasse. Come mai, dunque, o Apostolo delle Genti, Quegli che ti rivelò il Vangelo non ti rese certo al tempo stesso di andar immune da errori nella predicazione dell'evangelica dottrina?

13 - Qui chiaramente ci è dato d'intendere, come non v'è da rassicurarsi nelle cose che Dio rivela, senza il sostegno dell'altrui consiglio. Difatti, dato anche il caso che la persona sia tanto certa di una rivelazione, quanto S. Paolo lo era del suo Vangelo (poiché aveva già cominciato a predicarlo), nondimeno l'uomo può errare intorno al contenuto di essa o in ciò che ad essa sì riferisce, poiché Dio non sempre, dicendo una cosa, dice pure l'altra. Molte volte dice la cosa, ma non il modo di eseguirla, anzi ordinariamente tutto ciò che si può operare per industria e consiglio umano, non lo fa e non lo dice, quantunque conversi a lungo e assai familiarmente con l'anima . Il che S. Paolo sapeva molto bene, poiché, come abbiamo detto, pur avendo certezza che il Vangelo gli era stato rivelato da Dio, volle udire il parere degli altri Apostoli. A conferma di quanto diciamo, ci piace riferire un altro esempio tratto dall'Esodo, dove si legge che Dio parlava molto

affabilmente con Mosè; ma, ciò nonostante, non gli aveva mai dato quel consiglio tanto salutare che invece gli fu dato dal suo suocero Jetro, cioè che eleggesse altri giudici che lo aiutassero, e non se ne stesse aspettando il popolo dalla mattina alla sera per istruirlo e dirimerne le questioni (E s 18 , 21-22) . Dio approvò questo consiglio; eppure Egli non glielo aveva mai suggerito, perché quello era cosa a cui il senno e il. consiglio umano potevano giungere. E perciò tutte le cose di tal genere, anche circa le visioni e locuzioni, Dio non è solito rivelarle, perché vuole che sempre ci si regoli, per quanto è possibile, secondo l’umana ragione, salvo quelle appartenenti alla fede, che eccedono il giudizio e la ragione umana, quantunque non siano ad essi contrarie.

14 - Pertanto, quand’anche uno fosse certo che Dio e i Santi trattano con lui con molta dimestichezza, non per questo si creda che gli debbano dichiarare e far notare gli errori e i mancamenti che commette intorno a qualsivoglia cosa, se egli può conoscerli per altra via. Non v’è da star sicuri, perché leggiamo negli Atti degli Apostoli che, sebbene S. Pietro fosse principe della Chiesa e istruito immediatamente da Dio, tuttavia riguardo a una certa cerimonia che usava fra i Gentili errava, e Dio taceva, tanto che San Paolo lo riprese, come si rileva da queste parole: « Sed cum vidissem quod non recte ambularent ad veritatem Evangelii, dixi Cephae coram omnibus: si tu, cum Judaeus sis, gentiliter vivis, et non iudaice, quomodo Gentes cogis iudaizare?» (G a l 2 ,14 ): Vedendo che i discepoli non agivano rettamente, secondo la verità del Vangelo, dissi a Pietro in presenza di tutti: Se tu, che sei giudeo, vivi a modo dei gentili, perché usi tale finzione che costringe i gentili a giudaizzare? E Dio per se medesimo non avvertiva Pietro di questo fallo, non grave del resto, perché quella simulazione era cosa che poteva conoscersi per via di ragione.

15 - Di modo che Dio nel giorno del giudizio castigherà parecchi errori e peccati in molte anime, a cui nondimeno avrà concesso in terra frequenti comunicazioni, assai lumi e virtù; perché nel rimanente, che esse ben sapevano di dover fare, furono trascurate, confidando troppo in quel tratto che avevano con Dio. Allora avverrà, come dice Cristo Nostro Signore nel Vangelo, che si meraviglieranno dicendo: «Domine, Domine, nonne in nomine tuo prophetavimus, et in nomine tuo daemonia eiecimus, et in nomine tuo virtutes multas fecimus?» (M t 7 , 22 ): Signore, Signore forse che le profezie che ci manifestavi non le dicevamo in tuo nome? E nel tuo nome non discacciammo i demoni? E in nome tuo non facemmo molti miracoli e prodigi? Ma il Signore dice che loro risponderà con queste parole: «Et tunc confitebor illis quia nunquam novi vos: discedite a me omnes qui operamini iniquitatem» (M t 7 , 23 ): Partitevi da me, operatori di iniquità, perché mai vi conobbi. Del numero di costoro era il profeta Balaam ed altri simili, i quali, benché Dio loro parlasse e concedesse grazie, erano tuttavia peccatori. Però il Signore riprenderà, a proporzione, anche gli amici suoi prediletti, ai quali quaggiù si comunicò con grande familiarità, rinfacciando loro le colpe e le trascuratezze che commisero, e di cui non v'era bisogno che Dio li avvisasse per se medesimo, poiché per mezzo della legge e della ragione naturale che loro aveva date, erano già abbastanza avvertiti.

16 - Concludendo, dunque, su questo argomento, da quanto si è detto possiamo ricavare che qualsiasi cosa che l'anima riceva per via soprannaturale, deve interamente comunicarla al suo maestro spirituale, con tutta semplicità, chiarezza e verità. Potrebbe sembrare alle volte che non vi sia ragione di darne conto, né di perderci tempo, poiché col disprezzare ogni cosa, col non farne caso né desiderarla (conforme a quanto abbiamo insegnato) l'anima resta al sicuro, maggiormente poi quando si tratta di visioni o rivelazioni o altre comunicazioni soprannaturali che o sono chiare o poco importa che siano tali o no; ma, per quanto all'anima sembri che non vi sia motivo sufficiente di manifestarle, è molto necessario dir tutto. E ciò per tre ragioni. La prima, perché Dio comunica molte cose i cui effetti mirabili di forza, luce e sicurezza, Egli non conferma interamente nell'anima, finché essa non ne abbia trattato con chi Egli ha posto per giudice spirituale, ossia con chi ha il potere di legarla o scioglierla, di approvarla o riprovarla. E che ciò sia vero, oltre ad averlo provato con i testi riportati sopra, ci consta dalla quotidiana esperienza, poiché vediamo che le anime umili, favorite di quei celesti doni, dopo averli palesati a chi di ragione, sperimentano una soddisfazione, una sicurezza tutta nuova, e godono di nuova luce e forza; tanto che ad alcune anime pare che le celesti comunicazioni non facciano presa, per così dire, nel loro cuore e ad esse non

appartengano, se non quando le manifestano, e solo in quel momento sembra loro di riceverle veramente e come cose affatto nuove.

17 - La seconda ragione è perché l'anima ordinariamente ha bisogno di essere ammaestrata intorno alle cose che le accadono, a fine di essere incamminata per quella via alla nudità e povertà spirituale, cioè alla notte oscura. Se questa dottrina le manca, avviene che quantunque l'anima non voglia quelle cose, nondimeno senza avvedersene diventerà rozza e grossolana nella via spirituale, e andrà a poco a poco abituandosi a quella del senso, che in quelle cose distinte ha la sua parte.

18 - La terza ragione è perché bisogna che l'anima dia prova di essere similmente soggetta, e mortificata, e quindi deve palesare ogni cosa, ancorché non ne faccia caso e la reputi un niente. Purtroppo vi sono alcune anime che provano non poca ripugnanza nel confidare certe cose, perché loro sembrano di nessuna importanza, e quindi temono di non essere bene accolte dalle persone con cui ne tratteranno: il che è segno di poca umiltà; ma appunto per questo è necessario assoggettarsi a dirle. Vi sono poi altre che assai si vergognano di dirle, perché non vogliono che si creda che esse abbiano cose da santi, o per altri simili motivi; ma precisamente perché non v'è motivo di dirle e perché non ne fanno conto, conviene che si mortifichino e le manifestino, affinché divengano umili, semplici, miti e pronte a dir tutto con facilità sempre maggiore in avvenire.

19 - Ma qui sarà bene dare un avvertimento di non poca importanza. Più sopra, è vero, abbiamo assai insistito col dire che bisogna rifiutare le comunicazioni soprannaturali, e che su questo argomento i confessori non devono intrattenersi in lunghi discorsi con i loro penitenti. Con questo, però, non intendiamo affatto di dire che sia conveniente che i padri spirituali mostrino tale avversione e disprezzo di quelle cose da far sì che le anime si avviliscono e non ardiscano manifestarle: chiudere loro la bocca darebbe occasione a molti inconvenienti. Alla fin fine quelle grazie sono un mezzo di cui il Signore si serve per condurre tali anime; se dunque sono un mezzo e un modo, non v'è ragione di spaventarsi o scandalizzarsi di esso. I confessori procurino, quindi, di usare molta benignità e dolcezza con le anime, incoraggiandole ad aprirsi e dando loro libero sfogo, anzi se fosse necessario, ne impongano loro anche il precetto, perché alle volte per vincere la ripugnanza che alcune sentono nel parlare di certe cose, è necessario ricorrere a qualunque mezzo. E le incamminino nella fede, esortandole dolcemente a distogliere l’attenzione da tutte quelle cose, e insegnando loro come debbano spogliarne l'appetito e lo spirito per andare innanzi. Facciano loro capire che un'opera o un atto di volontà, fatto di carità, è più prezioso davanti a Dio che tutte le visioni o rivelazioni che potrebbero avere dal Cielo, poiché queste non sono né merito né demerito: e che molte anime, benché prive di quelle grazie, sono senza confronto assai più avanzate in perfezione di altre che ne hanno molte.

2S CAPITOLO 23

COMINCIA A TRATTARE DI QUELLE APPRENSIONI DELL'INTELLETTO CHE SONO PRAMENTE PER VIA SPIRITUALE, DICENDO IN CHE CONSISTANO

1 - Quantunque la dottrina esposta intorno alle apprensioni dell'intelletto che sono per via del senso, sia rimasta alquanto breve in paragone di quel che vi sarebbe stato da dire, non ho voluto distendermi di più, perché per raggiungere l'intento che mi sono proposto (che è di sgombrare l'intelletto da quelle e incamminarlo nella notte della fede), mi sembra piuttosto di essermi troppo diffuso. Pertanto, cominceremo ora a trattare delle quattro apprensioni dell'intelletto, che nel capo decimo abbiamo detto essere puramente spirituali, cioè le visioni, le rivelazioni, le locuzioni e i sentimenti spirituali. Le chiamiamo puramente spirituali, perché non si comunicano all'intelletto per via dei sensi del corpo, come le apprensioni corporee e immaginarie; ma, senza alcun mezzo dei sensi corporali esterni o interni, si offrono all'intelletto per via soprannaturale, in modo chiaro e distinto, e passivamente, ossia senza che l'anima ponga alcun atto od opera da parte sua, almeno attivamente e come di suo.

2 - Generalmente parlando, tutte queste quattro specie di apprensioni si possono chiamare visioni dell’anima, perché l’intendere di essa lo chiamiamo anche il suo vedere. E in quanto che tutte queste apprensioni sono intelligibili all 'intelletto, sono chiamate visibili spiritualmente, e perciò le idee che di esse si formano nell'intelletto si possono chiamare visioni intellettuali . Essendo che tutti gli oggetti dei sensi, ossia tutto ciò che si può vedere, udire, odorare, gustare e toccare, sono oggetto dell'intelletto in quanto cadono sotto l’idea di verità o di falsità, ne segue che, come agli occhi corporali tutto ciò che è visibile corporalmente causa visione corporale, così agli occhi spirituali dell'anima, ossia all 'intelletto, tutto ciò che è intelligibile cagiona visione spirituale; poiché, come abbiamo detto, intendere è lo stesso che vedere. Onde queste quattro apprensioni, in generale, con un unico vocabolo le possiamo chiamare visioni: il che non si può fare riguardo ai sensi, perché l'uno non è capace dell'oggetto dell'altro, in quanto tale.

3 - Ma, poiché queste apprensioni si rappresentano all'anima secondo la maniera dei sensi, possiamo distinguerle con vocaboli particolari e propri. Onde diciamo visione ciò che l'intelletto riceve secondo la maniera di vedere (potendo esso vedere le cose spiritualmente, come gli occhi vedono corporalmente); chiamiamo rivelazione ciò che l'intelletto riceve come apprendendo e intendendo cose nuove (come si chiama rivelazione ciò che prima l'orecchio non mai udì); quel che riceve secondo il modo di udire viene sotto il nome di locuzione; e infine le apprensioni che riceve a maniera degli altri sensi, come è l'intelligenza di soave odore, sapore e diletto spirituale, che l'anima può gustare soprannaturalmente, si dicono sentimenti spirituali . Da tutto ciò l’intelletto trae le visioni spirituali senza apprensione alcuna di forme o figure d'immaginativa o fantasia naturale: tutte le dette cose si comunicano all'anima immediatamente, per opera e per mezzo soprannaturale.

4 - Orbene, dobbiamo sgombrare l' intelletto anche dalle apprensioni spirituali (come abbiamo fatto a proposito di quelle corporee e immaginarie), incamminandolo e indirizzandolo per la notte spirituale della fede alla divina e sostanziale unione con Dio; affinché non ne resti imbarazzato, non diventi rozzo e grossolano, e non gli venga impedito il cammino della solitudine e dello spogliamento di tutte le cose che per detta unione si richiede. Vero è che le apprensioni di cui adesso parliamo sono più nobili, più proficue e molto più sicure che non le corporee e immaginarie, perché sono interne, puramente spirituali e tali che il demonio non vi si può intromettere così facilmente. Esse si comunicano all'anima in modo più puro e sottile, senza opera alcuna, almeno attiva, dell'immaginazione; tuttavia l'intelletto non solo potrebbe trovarvi ostacoli al detto cammino, ma anche ingannarsi di molto, per mancanza delle debite cautele.

5 - Con le suaccennate quattro specie di apprensioni, potremmo in qualche modo concludere in via generale, suggerendo riguardo ad esse il noto consiglio che per tutte le altre abbiamo ripetuto, cioè di non pretenderle né desiderarle. Nondimeno, sia a fine di dare maggior lume per mettere in pratica tale consiglio, sia per avere agio di dire alcune cose particolari intorno a ciascuna di dette specie di apprensioni, ne parleremo distintamente, cominciando dalla prima, ossia dalle visioni spirituali o intellettuali.

2S CAPITOLO 24

TRATTA DI DUE SORTA DI VISIONI SPIRITUALI PER VIA SOPRANNATURALE

1 - Parlando ora delle visioni che sono puramente spirituali, senza cioè il mezzo e l'opera di alcun senso del corpo, dico che due sorta di visioni possono cadere nell'intelletto: le une sono visioni di sostanze corporee; le altre, di sostanze separate o incorporee. Le prime sono intorno a tutte le cose materiali che esistono in cielo e in terra, e che l'anima può vedere anche stando nel corpo, mediante una certa luce soprannaturale derivata da Dio, nella quale può scorgere le cose del cielo e della terra in loro assenza, come leggiamo essere avvenuto a S. Giovanni che nell'Apocalisse descrive

le bellezze della celeste Gerusalemme che vide in cielo (A p 21); e come si legge di S. Benedetto, che in una visione spirituale vide tutto il mondo; 14 la quale visione, dice S. Tommaso nel primo dei suoi «Quodlibeti» fu nella detta luce derivata dall'alto.

2 - Ma le altre visioni di sostanze incorporee, vale a dire di angeli e di anime, non si possono vedere, neanche mediante quel lume derivato, ma con un altro più alto che si chiama lume di gloria; e perciò queste visioni di sostanze incorporee non sono proprie di questa vita, né si possono vedere in corpo mortale; perché se Dio le volesse comunicare all'anima come sono essenzialmente, subito ella si staccherebbe da questo fragile corpo. Ed è per questo che, quando Mosè domandò al Signore di vederlo nella sua essenza, così Dio gli rispose: «Non videbit me homo, et vivet» (E s 33 ,2 0 ): Non mi vedrà uomo che possa restare in vita. Per la qual cosa i figli d'Israele, al solo pensiero che avessero da vedere Dio, e più ancora quando credevano di aver visto Lui o qualche Angelo, temevano di morire. Infatti si legge nell'Esodo che essi, assaliti da gran timore, dissero a Mosè: «Non loquatur nobis Dominus, ne forte moriamur» (E s 20 ,19 ) . Quasi dicessero: non ci si riveli Dio manifestamente, affinché non ci avvenga di morire. Anche nel libro dei Giudici si narra che Manue, padre di Sansone, supponendo di aver veduto essenzialmente l 'Angelo che sotto forma di uomo di meravigliosa bellezza parlava con lui e sua moglie, rivolto a costei disse: «Morte moriemur, quia vidimus Dominum» (Gdc . 13 ,22 ): Di certo morremo, perché abbiamo visto il Signore.

3 - Le visioni di sostanze incorporee non sono proprie della presente vita e non accadono che rarissime volte, e in via transitoria; in questi casi eccezionali, Dio o dispensa o salva la condizione della debole vita mortale, astraendo totalmente lo spirito e, facendo sì che col suo favore vengano supplite, le veci naturali dell'anima rispetto al corpo. Cosicché, quando S. Paolo riferisce di aver veduto sostanze separate nel terzo Cielo, aggiunge: «Sive in corpore nescio, sive extra, corpus, nescio, Dominus scit» (2 Cor

12 , 2 ): benché fosse certo di esser stato rapito per vederle, in quanto però a sapere se ciò sia avvenuto stando l'anima sua nel corpo o fuori di questo, neppure lui lo sa, ma lo sa Dio solo: nelle quali parole chiaramente si scorge che egli oltrepassò i limiti della vita naturale, nel modo che Dio volle. Di più, allorché Dio promise di svelare, come si crede, la sua essenza a Mosè, leggiamo che il Signore gli disse che lo avrebbe posto nel pertugio di una pietra, e lo avrebbe protetto coprendolo con la destra, affinché non morisse al passaggio della divina gloria: il quale transito indica che Dio si mostrò di sfuggita, proteggendo con la sua destra la vita naturale di Mosè (E s 33 ,22 ) . Ma queste visioni tanto sostanziali, come quelle di S. Paolo, di Mosè, e del nostro padre Elia (quando questi si coprì il volto allo spirare della dolce aura di Dio), quantunque siano per via di passaggio, accadono rarissime volte, anzi quasi mai e a pochissimi; perché Dio lo fa con quelli che sono forti nello spirito della Chiesa e della legge divina, come lo furono i tre ricordati personaggi.

4 - Però, sebbene le visioni di sostanze spirituali, in questa vita, non si possano ricevere con l'intelletto in modo chiaro e svelato, nondimeno si possono sentire nella sostanza dell'anima, mediante soavissimi tocchi e unioni, il che appartiene ai sentimenti spirituali, di cui col divino favore dovremo parlare in seguito, perché ad essi appunto s'indirizza la nostra penna, cioè alla divina unione dell'anima con la Sostanza divina. Ciò si vedrà quando tratteremo dell'intelligenza mistica, confusa ed oscura che rimane da spiegarsi. Ivi diremo come, mediante questa notizia amorosa e oscura, Dio si unisce con l'anima in grado sublime e divino, poiché tale notizia, la quale non è altro che la fede, in qualche maniera serve in questa vita per la divina unione, come il lume di gloria nell'altra vita serve di mezzo per la chiara visione di Dio.

5 - Passando ora a parlare delle visioni di sostanze corporee che spiritualmente si ricevono nell'anima, dico che esse sono a guisa delle visioni corporee; poiché, come gli occhi vedono le cose materiali mediante la luce naturale, così l 'anima mediante il lume soprannaturale derivato dall'alto, vede interiormente con l'intelletto queste medesime cose naturali, ed altre ancora come a Dio piace; se non che v'è differenza nel modo di percepirle, poiché le spirituali e intellettuali accadono in modo assai più chiaro e sottile

14 S. Greg. Dialog. l . II , c. 35.

che non le corporee. Quando Dio vuol fare all'anima questa grazia, le comunica quella luce soprannaturale che abbiamo accennata, in cui con la massima facilità e chiarezza vede le cose che Dio vuole, ora del cielo, ora della terra, senza che faccia ostacolo o importi l'assenza o presenza loro. Il che avviene, alle volte, come se si aprisse una risplendentissima porta, per la quale si vedesse una luce a guisa di un lampo che in una notte buia all’improvviso illumina gli oggetti, li fa vedere chiari e distinti, e subito li lascia di nuovo all'oscuro, quantunque le loro forme e figure restino impresse nella fantasia. Ciò accade nell'anima molto più perfettamente; perché le cose vedute con lo spirito in quella luce le restano impresse in tal maniera che, ogni volta che vi fa avvertenza, torna a vederle in sé come prima; in quella guisa appunto che in uno specchio si scorgono le figure che vi sono rappresentate, ogni volta che alcuno torni a mirarvi. Ed è da notarsi che le forme delle cose vedute, giammai si cancellano interamente dall'anima, quantunque con l'andar del tempo si vadano un po' affievolendo.

6 - Gli effetti che queste visioni producono nell'anima sono di quiete, di luce, di gloriosa allegrezza, soavità, purezza e amore, di umiltà e inclinazione o elevazione di spirito in Dio, alcune volte più e altre meno; talora più un effetto che l'altro, secondo lo spirito nel quale si ricevono e come Dio vuole.

7 - Anche il demonio può produrre queste visioni nell'anima, mediante qualche lume naturale, in cui per suggestione spirituale rischiara allo spirito le cose, sia presenti sia assenti. Onde sopra quel passo di San Matteo, dove dice che il demonio mostrò a Cristo tutti i regni del mondo e la loro gloria: «Ostendit ei, omnia regna mundi, et gloriam eorum» (M t 4 , 8) , alcuni dottori dicono che lo facesse per suggestione spirituale; perché non era possibile fargli vedere con gli occhi del corpo tutti i regni del mondo e la loro gloria. Ma, tra le visioni cagionate dal demonio e quelle che vengono da Dio vi corre molta differenza, poiché gli effetti che le prime producono sono ben diversi da quelli prodotti dalle buone; queste generano aridità di spirito intorno al tratto con Dio, stima di se stesso, propensione ad ammettere e apprezzare le dette visioni, non mai dolcezza di umiltà e amor di Dio. Neppure poi le loro forme restano scolpite nell'anima con quella soave chiarezza delle altre; non durano, anzi subito si cancellano dall'anima, salvo che questa non ne faccia gran conto, ché allora tale stima fa sì che ella si ricordi di loro naturalmente; ma è un ricordo molto arido, che non apporta quell'effetto di amore e di umiltà che le, buone producono quando sono rammentate.

8 - Le visioni spirituali, in quanto che rappresentano creature, con le quali Dio non ha alcuna proporzione o convenienza essenziale, non possono servire all'intelletto di mezzo prossimo per l'unione con Dio. Bisogna quindi che l'anima si comporti negativamente in esse, come in tutte le altre di cui più sopra abbiamo ragionato, a fine di progredire col mezzo prossimo che è la fede. Perciò l'anima non deve far tesoro delle forme che di tali visioni le restano impresse, né deve voler appoggiarsi ad esse; perché rimarrebbe ingombra di quelle immagini e figure e personaggi che si aggirano nel suo intimo, e non andrebbe a Dio mediante la rinunzia di ogni cosa. Può darsi che quelle forme si ripresentino sempre, ma se l'anima non vuol farne caso, non le saranno di molto impedimento. È vero che la loro memoria eccita l 'anima a qualche sorta di amore di Dio e di contemplazione, ma la pura e nuda fede, all'oscuro di tutte quelle cose, l'eccita e solleva molto di più, senza che l'anima sappia come né donde le provenga sì benefico effetto. Accadrà quindi che l'anima vada infiammata di purissime ansie di amore di Dio, senza che ella sappia la loro origine, né quale fondamento abbiano: eppure la ragione di questo fatto non è altro che la fede, la quale si è infusa di più nell'anima e vi ha messo radici più profonde, mediante il vuoto, le tenebre, lo spogliamento di tutte le cose o povertà spirituale che dir si suole; e perciò fa sì che insieme ad essa anche la carità divina vi si radichi e maggiormente vi si infonda. Quanto più l'anima si vuole ottenebrare e annichilire rispetto a tutte le cose esteriori e interiori che può ricevere, tanto più le s'infonde di fede e, per conseguenza, altrettanto di amore e di speranza, perché queste tre virtù teologali vanno di pari passo.

9 - Questo amore, però, alcune volte non è compreso né sentito dalla persona che lo ha, perché esso non risiede nel senso con tenerezza, ma nell'anima con fortezza, ed è più

veemente, più coraggioso di prima; alle volte però ridonda anche nel senso e si mostra tenero e dolce. Adunque, a fine di giungere a questo amore, alla gioia e al gaudio che le visioni producono, conviene che l'anima sia forte, mortificata, vuota e amante volendo restare al buio di esse. Deve fondare quell'amore e quella gioia in ciò ch'ella non vede e non sente, né può vedere o sentire in questa vita, cioè in Dio, il quale è incomprensibile e superiore a tutte le cose. È necessario, quindi, incamminarsi a Lui per mezzo della rinunzia di tutto. In caso diverso, quand'anche l'anima fosse tanto accorta, umile e forte che il demonio non potesse ingannarla nelle visioni, né farla cadere come suole in peccato di presunzione, tuttavia il maligno le impedirà di avanzare; in quanto che le pone ostacolo alla nudità e povertà di spirito e al vuoto per mezzo della fede, il che si richiede per l 'unione dell'anima con Dio.

10 - E poiché circa queste visioni fa molto a proposito la medesima dottrina che abbiamo insegnata nei capitoli diciannovesimo e ventesimo intorno alle visioni e apprensioni soprannaturali del senso, non spenderemo qui altro tempo in esporla più distesamente,

2S CAPITOLO 25

TRATTA DELLE RIVELAZIONI - CHE COSA SIANO E COME SI DIVIDANO

1 - Secondo l'ordine che osserviamo, bisogna ora trattare della seconda maniera di apprensioni spirituali, che sopra abbiamo chiamate rivelazioni, le quali appartengono propriamente allo spirito di profezia. E primieramente diciamo che rivelazione non è altro se non uno scoprimento di qualche verità occulta, o manifestazione di qualche segreto o mistero: come sarebbe, ad esempio, se Dio facesse intendere all'anima qualche cosa, dichiarandone all'intelletto la verità, o scoprendone altre che Egli fa o pensa di fare.

2 - Ciò premesso, possiamo dire che vi sono due generi di rivelazioni: le une sono scoprimento di verità. all 'intelletto e si chiamano propriamente notizie intellettuali o intelligenze: le altre sono manifestazioni di segreti, e queste, più che le prime, propriamente si dicono rivelazioni. Le prime, a rigore di termini, non si potrebbero chiamare rivelazioni, perché consistono nel fatto che Dio fa intendere all'anima nude verità intorno a cose temporali ed anche spirituali, mostrandogliele in modo chiaro e manifesto: tuttavia ho voluto qui trattarne sotto il nome di rivelazioni, sia perché hanno molta affinità con queste, sia per non moltiplicare i nomi delle distinzioni.

3 - Pertanto distingueremo le rivelazioni in due generi: le une, le chiameremo notizie intellettuali; le altre, manifestazioni di segreti e di misteri occulti di Dio . Dell'uno e dell'altro genere parleremo in due distinti capitoli, con la maggiore brevità possibile, cominciando dalle notizie intellettuali.

CAPITOLO 26

TRATTA DELLE INTELLIGENZE DI NUDE VERITÀ NELL'INTELLETTO, E DICE CHE AVVENGONO IN DUE MANIERE, E CCOME SI DEVE COMPORTARE L’NIMA INTORNO

AD ESSE

1 - Per trattare con precisione e chiarezza dell' intelligenza di nude verità sarebbe necessario che Dio mi prendesse la mano e muovesse la penna; perché sappi, caro lettore, quello che esse sono in se stesse per l 'anima, è impossibile esprimerlo. Ma poiché non ne tratto qui di proposito, ma solo per ammaestrare l'anima e incamminarla in esse alla divina unione, mi si permetta di parlarne brevemente, quanto basti cioè per il detto scopo.

2 - Questo genere di visioni o, per meglio dire, di notizie di nude verità, è molto differente da quello di cui abbiamo tenuto parola nel capitolo ventiduesimo. Esse non consistono nel vedere con l'intelletto le cose corporee, ma nell'intendere e vedere con

esso le verità di Dio o delle cose che sono, furono e saranno, il che è molto conforme allo spirito di profezia, come forse in seguito spiegheremo.

3 - È da notarsi che queste notizie si distinguono in due specie: le une accadono all'anima intorno al creatore; le altre, intorno alle creature. E benché le une e le altre siano molto dilettevoli allo spirito, il gaudio però che producono quelle che hanno Dio per oggetto, non ha alcun termine di paragone, né vocaboli che valgano ad esprimerle, perché sono notizie e diletti di Dio stesso, a cui, come dice Davide, nessuno è simile: «Non est qui similis sit tibi» (Sa l 39 ,6 ) . Perocché tali notizie riguardano direttamente Dio, sono cognizioni elevatissime di qualche suo attributo, ora della sua onnipotenza, ora della sua fortezza, bontà, dolcezza, ecc.; e tutte le volte che si hanno, restano altamente impresse nell'anima. E poiché non sono altro che pura contemplazione, l'anima vede chiaramente che non ha modo di riferirne qualcosa, se non con alcuni termini generali, nei quali prorompe per la sovrabbondanza del diletto e del bene gustato; ma non già perché con essi possa fare intendere ciò che ella gustò e sentì.

4 - Sappiamo che Davide, avendo sperimentato qualche cosa di simile, non seppe ridirne se non con queste comuni e generiche parole: «Judicia Domini vera, iustificata in semetipsa. Desiderabilia super aurum et lapidem pretiosum multum, et dulciora super mel et favum» (Sa l 18 ,1 0 - 11): I giudizi di Dio, cioè le virtù e gli attributi di Dio, sono veri, giusti in se stessi, più desiderabili dell'oro e delle pietre preziosissirne, e più dolci del favo e del miele. Così pure leggiamo che quando Mosè ebbe un'altissima cognizione di Dio al passaggio del Signore dinanzi a lui, immantinente si prostrò, e di quel che vide non seppe dir altro che queste ordinarie e semplici espressioni: «Dominator Domine Deus, misericors et clemens, patiens et multae meserationis ac verax. Qui custodis misericordiam in millia» (Es 34 , 6 -7 ): Dominatore, Signore Dio, misericordioso, clemente e paziente, pieno di compassione e verace, che adempi la promessa misericordia a mille generazioni. Da queste parole si scorge che Mosè, non potendo dichiarare ciò che in Dio aveva conosciuto in una sola notizia, lo disse prorompendo in tutte quelle parole. Ma, per quante parole l'anima dica intorno a queste notizie, ben si avvede dì non aver detto niente di quel che sentì, e che non esistono termini adatti per poterne rendere l'idea. Anzi l’Apostolo S. Paolo, quando ebbe quella sublime notizia di Dio, nemmeno si curò di farne cenno e si limitò solo a dire che non era lecito all'uomo parlare di ciò (2C or 12 ,4 ) .

6 - Queste divine notizie intorno al Signore non contengono mai cose particolari, perché versano circa il Sommo Principio, e quindi non si possono esprimere in particolare, eccetto il caso che all’anima fosse concesso di conoscere nella notizia divina anche la verità di cose inferiori a Dio, le quali in qualche modo si potrebbero riferire; ma quella notizia non mai, e in nessun modo. Soltanto l'anima che giunge all'unione di Dio può godere di queste alte cognizioni, perché esse non sono altro che l'unione stessa, la quale consiste precisamente nell'averle, mediante un certo contatto che avviene tra l'anima e la divinità. Dio stesso è quegli che in esse si sente e si gode, sebbene non in modo così chiaro e manifesto come nella gloria; però il tocco della notizia che penetra la sostanza dell'anima è tanto dilettevole e sublime, che il demonio in ciò non si può intromettere né operare alcunché di simile, perché non vi è altra cosa che regga al paragone e possa infondere un sapore, un diletto somigliante: quelle notizie sanno di essenza divina e dì vita eterna, e il demonio non può imitare cosa così alta.

6 - Tuttavia il demonio, facendo le parti della scimmia, potrebbe rappresentare all'anima qualche parvenza di grandezze molto sensibili, procurando di persuaderla che quello è Dio, ma non in maniera tale che entrino nella sostanza dell'anima, e l 'innamorino e rinnovino altamente, come fanno quelle di Dio; poiché vi sono alcune notizie e tocchi divini che arricchiscono l'anima talmente che, non solo uno di essi basta perché l'anima deponga ad un tratto le imperfezioni che non era mai riuscita a correggere in tutta la vita, ma la lascia ricolma di virtù e di beni di Dio.

7 - È così grande e intimo il diletto di questi tocchi, che l'anima con un solo di essi si reputerà oltremodo ricompensata di tutti i travagli che per l 'addietro avesse sofferti,

quantunque innumerevoli; e si sente tanto coraggiosa e forte e avida di patire molte cose per amore di Dio, che la sua pena maggiore è il non patire molto per Lui.

8 - L'anima non può giungere a queste alte notizie per mezzo di alcun paragone o immaginazione propria, perché esse sono al disopra di tutto ciò, e quindi non l'abilità dell'anima, ma Dio le opera in lei. Onde alle volte avviene che, quando ella meno vi pensa e meno lo pretende, il Signore suole concederle questi tocchi divini, con i quali le causa una singolare memoria di Dio. Talvolta i tocchi accadono all'improvviso al solo ricordo di qualche cosa, anche minima; e sono tanto sensibili, che a volte non solo fanno fremere l'anima, ma anche il corpo. Altre volte, però, succedono con molta tranquillità e quiete dell'animo, senza alcun tremore delle membra, ma con sublime sentimento di spirituale diletto e refrigerio.

9 - Non di rado accadono nel dire o nell'udire qualche parola, sia della Sacra Scrittura, sia di altre cose;. ma non sempre hanno la stessa efficacia e impressione, perché spesso sono molto deboli; ma, per quanto tali, vale più uno solo di questi ricordi e tocchi di Dio, che molte altre notizie e considerazioni delle creature e delle opere divine. Essendo che queste notizie si comunicano all'anima repentinamente e senza il suo arbitrio, ne segue che non dipende da lei il volerle o no; perciò, intorno ad esse, si comporti con umiltà e rassegnazione, che Dio farà l'opera sua quando e come vuole.

10 - Non intendo dire, però, che l'anima in queste notizie si debba comportare negativamente come nelle altre apprensioni; perché, come abbiamo accennato poc'anzi, esse sono parte dell'unione a cui andiamo incamminando l'anima; per il qual fine, infatti, le abbiamo insegnato a spogliarsi e distaccarsi da tutte le altre. Piuttosto, il mezzo che può muovere Dio a comunicarle, deve essere l'umiltà e il patire per amor suo con la rinunzia ad ogni ricompensa; perché questi favori non si concedono all'anima proprietaria, ma essendo slanci di amore e affetto singolare da parte di Dio, sono largiti solamente a quei che lo amano con disinteresse. A ciò il Figlio di Dio volle alludere presso S. Giovanni, quando disse: Qui autem diligit me, diligetur a Patre meo, et ego diligam eum et manifestabo ei meipsum» (Gv 14 , 21 ): Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e gli manifesterò me stesso. In queste parole s'includono le notizie e tocchi divini di cui parliamo, e che Dio manifesta all'anima che lo ama davvero.

11 - La seconda maniera di notizie o visioni o verità interiori è molto differente da quella che or ora abbiamo detta, perché riguarda cose inferiori a Dio: consiste nella cognizione della verità delle cose in se stesse , e in quella delle azioni e degli eventi umani. Quando si danno a conoscere queste verità, s'imprimono talmente nell'intimo dell'anima, senza che alcuno gliele suggerisca, che per quanto altri affermasse il contrario, ella non potrebbe prestargli interamente il suo assenso, malgrado ogni sforzo; perché nella notizia spirituale ricevuta conosce in modo chiarissimo che ben diversa è la cosa da come le viene affermata: il che appartiene allo spirito di profezia e alla grazia che San Paolo chiama dono del discernimento degli spiriti (1C or 12 ,10 ) . Però, quantunque l'anima sia convinta della verità di ciò che intese spiritualmente, e non possa fare a meno di provare questo intimo e passivo sentimento di certezza, non per questo deve lasciare di credere ai detti e obbedire ai comandi del suo padre spirituale, sebbene fossero molto contrari a ciò ch'ella sente, a fine di essere guidata in fede alla divina unione, verso la quale deve camminare più credendo che intendendo.

I2 - Intorno alla cognizione delle cose in se stesse, come pure circa quella delle azioni e avvenimenti umani, abbiamo testimonianze chiare nella Sacra Scrittura. Difatti, in quanto a quella conoscenza particolare che si può avere delle cose, il Savio dice queste parole: «Ipse enim dedit mihi horum, quae sunt, scientiam veram, ut sciam dispositionem orbis terrarum, et virtutes elementorum, initium, et consummationem, et medietatem temporum, vicissitudinum permutationes, et commutationes temporum, anni cursus, et stellarum dispositiones, naturas animalium, et iras bestiarum, vim ventorum, et cogitationes hominum, differentias virgultorum et virtutes radicum. Et quaecumque sunt absconsa et improvisa didici: omnium enim artifex docuit me sapientia» (Sap 7 ,17 - 21): Dio mi diede la vera scienza delle cose che esistono: affinché io sappia la disposizione del mondo

e le virtù degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, e le varie vicissitudini e mutazioni dei tempi, il corso degli anni, e le posizioni delle stelle, la natura degli animali, le ire delle fiere, la forza dei venti, e le inclinazioni degli uomini, le differenze delle piante e degli alberi e alberi e le virtù delle radici. E imparai tutte le cose nascoste e che giungono nuove: perché la Sapienza, artefice di tutte, me le insegnò». Sebbene questa notizia che il Savio ebbe da Dio fu infusa e generale, con questo testo si provano sufficientemente tutte le notizie che Dio infonde in modo particolare nelle anime per via soprannaturale, quando a Lui piace: non già perché dia loro, un abito generale di scienza, come lo diede a Salomone, ma discoprendo loro talvolta alcune verità circa qualsivoglia di quelle cose menzionate dal Savio. È vero, peraltro, che Dio a molte anime infonde abiti di scienza rispetto a parecchie cose (benché non mai tanto generali quanto in Salomone), corrispondenti a quella verità di doni divini enumerati da S. Paolo, il quale tra essi annovera la sapienza, la scienza, la fede, la profezia, il discernimento degli spiriti, l 'intelligenza delle lingue, l'interpretazione delle parole, ecc. (1 Co r 1 2,8 -10 ). Tutte queste notizie sono abiti infusi, che Dio dà gratis a chi vuole, ora naturalmente, come a Balaam e ad altri profeti idolatri e a molte sibille, a cui donò spirito di profezia; e ora soprannaturalmente, come ai Santi Apostoli e Profeti e ad altri Santi.

13 - Ma, oltre a questi abiti e grazie gratis date, quel che vogliamo dire è che le persone perfette, o quelle che vanno avanzando nella perfezione, molto ordinariamente sogliono avere illuminazioni e notizie di cose presenti o assenti, perché il loro spirito è già rischiarato e purgato. A ciò si può riferire quel testo dei Proverbi che dice: «Quomodo in aquis resplendent vultus prospicientium, sic corda hominum manifesta sunt prudentibus» (P rov, 27, 19 ): Come nelle acque si riflette il volto di coloro che vi si mirano, così i cuori degli uomini sono manifesti ai prudenti: col qual nome s'intendono quelli che hanno già la sapienza dei Santi, la quale dalla Sacra Scrittura è chiamata, prudenza. Onde questi spiriti prudenti conoscono alle volte le altre cose in modo chiaro e manifesto, quantunque non ogni volta che vogliono, ché ciò è proprio soltanto di coloro che ne hanno l'abito; e neppure costoro sempre pienamente, perché tutto dipende da come Dio vuol intervenire.

14 - Però è da sapersi che coloro che hanno lo spirito purgato possono, chi più chi meno, con molta facilità conoscere naturalmente ciò che si nasconde nel cuore e nello spirito altrui, e le inclinazioni, l'indole e talenti delle persone, e questo da indizi esteriori, quantunque minimi, come da parole, movimenti e altri segni. Perocché, come il demonio può questo perché è spirito, così anche lo può l'uomo spirituale, secondo il detto. dell'Apostolo che dice: «Spiritualis autem iudicat omnia» (1C or 2 , 15 ): L'uomo spirituale giudica tutte le cose. E altrove dice: «Spiritus omnia scrutatur, etiam profunda Dei» (1C or 2 , 10 ): Lo spirito penetra tutto, perfino le cose profonde di Dio. Perciò, quantunque gli spirituali non possano conoscere naturalmente i pensieri e ciò che passa nell'interno degli altri, ben lo sanno dedurre da qualche indizio, per illustrazione soprannaturale; e sebbene nel conoscere per via d'indizi non di rado si possano ingannare, il più delle volte indovinano. Del resto però, è meglio non fidarsi della cognizione di tal fatta, perché il demonio vi s'intromette assai e con molta astuzia, come subito diremo; e perciò sempre si devono rifiutare.

15 - Che poi gli spirituali possano aver notizia dei fatti e degli eventi umani, quantunque in lontananza, ne abbiamo una prova nel quarto libro dei Re, in cui si legge che, volendo Giezi, servo del nostro padre Eliseo, non far sapere nulla del denaro ricevuto da Naaman Siro, Eliseo gli disse: «Nonne cor meum in praesenti erat, quando reversus est homo de curru suo in occursum tui?» (4R e 5 ,26 ): Non era forse presente il mio cuore, quando Naaman ritornò dal suo carro e ti venne. incontro? Il che ci fa capire che Eliseo vide il fatto in spirito, come se accadesse in sua presenza. Abbiamo un'altra prova nel medesimo libro, dove dello stesso Eliseo si legge che, sapendo per divina illuminazione tutto ciò che il Re di Siria trattava in segreto con i suoi principi, lo rivelava al Re d'Israele, e quindi i disegni di quello erano mandati a vuoto; tanto, che il re di Siria, vedendo che tutti i suoi segreti venivano a sapersi, disse ai suoi consiglieri: « Quare non indicatis mihi quis proditor mei sit apud Regem Israel?» (4 Re 6 ,11 ): Perché non mi palesate chi sia il mio traditore presso il re d'Israele? E allora uno dei suoi servi, gli rispose: «Nequaquam,

Domine mi Rex, sed Eliseus Propheta, qui est in Israel, indicat Regi Israel omnia verba quaecumque, locutus fueris in conclavi tuo» (4 R e 6 ,12 ): Non è così, mio Re e Signore, ma Eliseo Profeta, che, si trova in Israele, manifesta al suo re tutto ciò che dici nel segreto della tua stanza.

16 - Queste notizie di cose e di fatti e altre simili avvengono all'anima passivamente, senza che ella faccia alcunché dal canto suo. Potrà benissimo accadere che, stando una persona sopra pensiero e molto distratta, si svegli nel suo spirito una viva intelligenza di ciò che ode o legge, molto più chiara che le parole non suonino; e alle volte ciò succede benché la persona non intenda le parole, perché latine o di altra lingua a lei sconosciuta.

17 - In quanto agli inganni che il demonio può fare e realmente fa in questa sorta di notizie ed intelligenze, vi sarebbe molto da dire, perché grandi sono le sue insidie e assai bene dissimulate. Per via di suggestione, può rappresentare all'anima molte notizie intellettuali, e fissarle nella mente con tale fermezza da sembrare che quelle non possano essere altrimenti; in tal caso, se l'anima non è umile e timorosa, sarà indotta senza dubbio a credere mille menzogne. E invero alcune volta la diabolica suggestione agisce con molta efficacia sull'anima, specialmente quando questa partecipa alquanto della fiacchezza del senso, nel quale fa sì che la notizia resti scolpita così profondamente e con tanta forza di persuasione, che l'anima allora ha bisogno di molta orazione e violenza per discacciarla da sé. Il demonio, infatti, talora suole rappresentare chiaramente, ma falsamente, le colpe e la mala coscienza altrui, allo scopo di infamare le persone, e con desiderio che la rivelazione di tali cose porga occasione di commettere peccati, sotto pretesto di santo zelo, d'impegnare cioè l'anima a raccomandare i peccatori a Dio. È ben vero che il Signore alcune volte mostra alle anime buone le necessità del prossimo, perché le raccomandino a Lui, o vi apportino rimedio; come leggiamo che rivelò a Geremia la fiacchezza del profeta Baruch, affinché gli infondesse coraggio (Ge r 45 ,3 ); ma spesso il demonio fa lo stesso, senza ombra di verità, solo per far cadere in infamia, in peccati e in afflizioni, del che abbiamo molta esperienza; così pure imprime con grande efficacia varie altre notizie, e le fa credere.

18 - Tutte queste notizie, ora di Dio, ora no, possono servire molto poco al progresso dell'anima nell'andare a Dio, se ella vuole appoggiarsi ad esse; anzi, se non ha grande sollecitudine di rinunziarvi, non solo la disturberanno, ma la faranno incorrere in gravi danni ed errori; poiché in esse esistono tutti quei pericoli ed inconvenienti che si possono incontrare nelle apprensioni soprannaturali di cui abbiamo trattato sin qui, e molti più ancora. Pertanto non mi ripeterò: solo voglio aggiungere che l'anima abbia cura di rifiutarle, preferendo andare a Dio per mezzo del non sapere; renda conto di ogni cosa al suo confessore o maestro di spirito, stando sempre a quel che egli dirà. Questi poi, dal canto suo, non annetta importanza a certe cose, e faccia in modo che l'anima ne esca fuori quanto prima e non s'intrattenga in ciò che niente importa al suo cammino di unione, poiché di queste cose che passivamente si comunicano all'anima, sempre resta in lei l 'effetto voluto da Dio, senza che ella vi ponga studio e diligenza. Non mi sembra, quindi, che vi sia motivo di accennare qui l 'effetto che le notizie vere producono, né quello delle false: oltre ad infastidire il lettore, non la finiremmo più, non potendosi racchiudere tutto ciò in breve e compendiosa dottrina. Infatti, essendo queste notizie innumerevoli e assai varie, vari sono anche i loro effetti, presupposto, s'intende, che le buone cagionano effetti buoni e a fin di bene, e le cattive il contrario. Col dire semplicemente che tutte si rifiutino, è detto quanto basta per non errare.

2S CAPITOLO 27

TRATTA DEL SECONDO GENERE DI RIVELAZIONI, CIOÈ DELLO SCOPRIMENTO DI SEGRETI E MISTERI OCCULTI - DICE IN QUAL MODO POSSANO SERVIRE PER L'UNIONE CON DIO OPPURE IMPEDIRLA, E COME IL DEMONIO PUÒ MOLTO

INGANNARE IN QUESTA PARTE

1 - Abbiamo detto che il secondo genere di rivelazioni è la manifestazione di segreti e misteri occulti. Può essere di due specie. La prima, intorno a ciò che Dio è in sé, ed in questa s'include la rivelazione del mistero della Santissima Trinità e Unità di Dio. La seconda intorno a ciò che Dio è nelle sue opere, e in questa s'includono gli altri articoli della nostra santa Fede Cattolica e le proposizioni di verità che esplicitamente da quelli si possono dedurre. Nelle quali verità s'includono gran numero di rivelazioni profetiche di promesse e minacce divine, ed altre cose che dovevano e devono accadere, concernenti la fede. Inoltre, in questa seconda specie, possiamo anche comprendere molte altre cose particolari che Dio ordinariamente rivela, sia in quanto all'universo in generale, sia anche in particolare circa regni, provincie, stati, famiglie e persone determinate. Sì dell'una come dell'altra specie di rivelazioni, abbiamo esempi in abbondanza nella Sacra Scrittura, specialmente in tutti i Profeti, nei quali si trovano rivelazioni di tutte queste maniere; ma, trattandosi di cosa chiara e piana, mi risparmio di citare testi. Solamente giova avvertire che queste rivelazioni non avvengono soltanto per mezzo di parole, ma poiché Dio le fa in molte maniere: ora con sole parole, ora con soli segni, figure e immagini, talvolta anche e con parole e con segni insieme, come si può vedere nei Profeti, particolarmente in tutta l'Apocalisse; dove non soltanto si trovano tutte le specie di rivelazioni suddette, ma anche i vari modi in cui accadono e che ora abbiamo accennati.

2 - Le rivelazioni che s'includono nella seconda specie, Dio le comunica anche ai nostri tempi a chi vuole. Difatti alle volte rivela ad alcune persone o i giorni che loro restano a vivere, o le avversità che devono incontrare, o ciò che dovrà succedere a questa o a quella persona, a questo o a quel regno ecc. Anche circa i misteri di nostra fede discopre e dichiara allo spirito le verità in essi contenute, sebbene ciò non si chiami propriamente rivelazione, ma piuttosto dichiarazione di quanto fu già rivelato.

3 - In questa specie di rivelazioni il demonio può metterci lo zampino, poiché accadendo esse ordinariamente per mezzo di parole, figure ecc., il demonio può assai bene contraffarle, molto più che quando avvengono nel solo spirito. Pertanto, se intorno a ciò che riguarda la nostra fede ci si rivelasse alcunché di nuovo o differente, in nessun modo dovremmo prestare il nostro assenso, ancorché sembrasse evidente che colui che ci parlò era un Angelo del cielo. Così infatti ci avverte l'apostolo S. Paolo: «Sed licet nos aut Angelus de caelo evangelizet vobis praeterquani, quod evangelizavimus vobis, anathema sit» (Ga l 1 ,8 ): Quand'anche noi, ovvero un Angelo dal Cielo vi dichiarasse o predicasse altra dottrina fuori di quella che vi abbiamo predicata, sia anatema.

4 - Stante che ormai non vi sono più articoli da rivelare circa la sostanza della nostra fede oltre a quelli già rivelati alla Chiesa, l 'anima non solo non deve ammettere cose nuove che le si rivelassero circa la fede, ma anche per cautela non deve andar raccogliendo altre varietà [va r i an t i ] alla rinfusa. Che anzi, per mantenersi pura nella fede, benché le si comunicassero cose già rivelate ha da crederle non già in virtù della particolare rivelazione ricevuta allora, ma solo perché fanno parte del deposito delle verità, affidate alla Chiesa. Chiuda gli occhi dell'intelletto, e si appoggi unicamente alla dottrina della Chiesa e alla fede che, al dire di S. Paolo, entra per l 'udito (R m 10 ,17). L'anima dunque, non creda facilmente né conformi l'intelletto alle cose di fede rivelate come nuove, per quanto vere le sembrino, se non vuol restare ingannata; perché il demonio, a fine d'illudere ed insinuare menzogne, primieramente adesca con verità o cose verosimili, tanto per infondere una certa sicurezza, ma subito poi inganna, a guisa di colui che cuce la suola: il quale, prima introduce la setola dura e tesa, e subito dopo lo spago più floscio, che di certo non potrebbe entrare se quella non gli facesse strada.

5 - Bisogna star bene in guardia su questo punto, perché anche dato il caso che non vi fosse alcun pericolo d'inganno, è necessario però che l'anima non voglia intendere cose chiare circa la fede, a fine di conservare puro ed intero il merito di essa, e giungere per questa notte dell'intelletto alla splendida luce della divina unione. In qualsiasi nuova rivelazione, importa tanto l'attenersi ad occhi chiusi alle profezie passate, che l'apostolo S. Pietro, pur avendo visto in qualche modo la gloria del Figlio di Dio sul Monte Tabor, ciò nondimeno nella II Epistola Canonca dice: «Habemus firmiorem prophetìcum sermonem: cui bene facitis attendentes» (2P r 1 ,19 ) . Quasi dicesse: Sebbene sia vera la

visione della gloria di Cristo Nostro Signore sul Tabor, più ferma e certa però è la parola della profezia a noi rivelata, a cui fate bene ad appoggiarvi.

6 - Che se per dette ragioni è espediente chiudere gli occhi circa le particolari e nuove rivelazioni dei dogmi stessi della fede, quanto più necessario non sarà il non raccogliere né credere alla rivelazione di altre cose differenti? In, queste il demonio spessissimo vi mette tanto la mano, che giudico quasi impossibile che in molte di esse non resti ingannato chi non procurasse di discacciarle, tanta è l 'apparenza di verità e certezza di cui il demonio le riveste. Perocché costui mette insieme tanti motivi di convenienza e parvenze di verità, acciocché le sue rivelazioni siano credute, e le fissa con tanta tenacia e stabilità nel senso e nell'immaginazione, che all'anima sembra che senza dubbio la cosa non può essere altrimenti. Ella, quindi, rimane così confermata in questa convinzione che, se non ha profonda e, sincera umiltà, a stento potrà esserne distolta e indotta a credere il contrario. Pertanto, l 'anima pura e semplice, cauta e umile, con molta forza e cura deve resistere alle rivelazioni ed altre visioni, e discacciarle come le più pericolose tentazioni: perché non v'è alcuna necessità di volerle, ma piuttosto è necessario non volerle, per andare all'unione dì amore. Questo è ciò che Salomone volle significare quando disse: «Quid necesse est homini, maiora se quaerere?» (Qo 7 ,1 ): Che necessità ha l'uomo di andar cercando le cose che sono superiori alla capacità naturale? Quasi dicesse: L'uomo, per essere perfetto, non ha alcuna necessità di cercare cose soprannaturali per via soprannaturale, essendo ciò al disopra della sua capacità.

7 - E poiché alle obiezioni che si potrebbero muovere contro quel che abbiamo detto è stato già risposto nei capitoli diciassettesimo e diciottesimo di questo libro, là rimando il lettore. Solo ripeto che l'anima deve guardarsi da tutte le rivelazioni, per passare, pura e immune da errore, nella notte della fede, alla divina unione.

2S CAPITOLO 28

TRATTA DELLE LOCUZIONI INTERIORI CHE SOPRANNATURALMENTE POSSONOACCADERE ALLO SPIRITO - DICE DI QUANTE MANIERE SIANO

1 - È conveniente che il lettore tenga sempre presente il fine che mi sono proposto in questo libro, che è quello di avviare l'anima all'unione con Dio, in mezzo a tutte le apprensioni naturali e soprannaturali, in purezza di fede, evitando ogni ostacolo ed inganno. Ciò posto, ognuno comprenderà bene che, quantunque circa le diverse apprensioni dell'anima io non esponga la materia molto diffusamente, né la sminuzzi in tante divisioni, come forse si richiederebbe per averne migliore intelligenza, mi sembra tuttavia di non essere neppure troppo breve, ma di dare sufficienti avvisi e ammaestramenti, perché l'anima in ogni caso, sì interiore che esteriore, sappia regolarsi con prudenza e così progredire nell'intrapreso cammino. Ecco perché ho concluso con tanta brevità intorno alle apprensioni delle profezie, non meno che nelle altre trattate più sopra. Che se avessi voluto esporre tutto ciò che vi era da dire circa le molteplici differenze e i vari modi che ciascuna specie di apprensioni può avere, credo che non avrei mai veduto la fine. Perciò mi contento che resti spiegata, a mio parere, la sostanza della dottrina e la cautela da prendersi in ogni specie accennata; e ciò varrà anche per qualunque altra cosa simile che all'anima potesse accadere.

2 - Farò dunque lo stesso rispetto al terzo genere di apprensioni, cioè circa le locuzioni soprannaturali, che senza mezzo di alcun senso corporeo si possono formare nell'anima delle persone spirituali; e benché siano di molte specie, vedo che si possono ridurre tutte a queste tre, ossia: parole successive, formali e sostanziali. Chiamo successive certe parole e ragioni che lo spirito, quando è raccolto, suole con se stesso andar formando e ragionando. Parole formali sono. certe parole distinte e precise che lo spirito riceve non da sé, ma da una terza persona, stando talora raccolto, talora no. Parole sostanziali sono altre parole che anche formalmente si odono dallo spirito, quando raccolto e quando no, le quali producono nella sostanza dell'anima ciò che significano. Di tutte queste locuzioni tratteremo per ordine e distintamente.

2S CAPITOLO 29[“Parole successive”]

TRATTA DELLA PRIMA SPECIE DI PAROLE CHE ALCUNE VOLTE LO SPIRITO RACCOLTO FORMA IN SE STESSO - DICE LA CAUSA DI ESSE E IL PROFITTO O IL

DANNO CHE POSSONO ARRECARE

1 - Le parole successive accadono quando lo spirito, essendo raccolto e assorto in qualche considerazione, scorre nella materia che pensa da una cosa all'altra, formando parole e ragioni molto bene appropriate, con molta facilità e distinzione , discute e scopre cose non mai sapute, tanto da sembrargli che non è lui che fa tutto ciò, ma che un'altra persona interiormente gli suggerisca le ragioni, le risposte e gli insegnamenti. Ed invero ha gran motivo di pensare questo, perché egli stesso ragiona con sé e si risponde come se fosse una persona con un'altra, e in qualche modo si può dire che sia così. Perocché, quantunque lo spirito umano è quegli che opera, nondimeno molte volte è aiutato dallo Spirito Santo a produrre e formare quei concetti, parole e ragioni vere, e quindi parla a se stesso come se fosse terza persona. L'intelletto allora è raccolto e unito con la verità di ciò che pensa, e anche lo Spirito Divino è unito con lui in quella verità, come lo è sempre in ogni verità. Onde ne segue che l'intelletto, comunicando in tal modo con lo Spirito Divino mediante quella verità, ne ricava successivamente le altre che hanno attinenza con quella, aprendogli la porta, per così dire, e infondendogli luce il Celeste Maestro, lo Spirito Santo, di cui è proprio insegnare anche in questa maniera,.

2 - Illuminato ed erudito da tale Maestro, l 'intelletto intende chiaramente e forma di suo nuovi concetti sopra le verità che da altra parte gli vengono comunicate; di modo che possiamo dire che la voce è di Giacobbe e le mani sono di Esaù ( Gen 27 , 22 ). Colui che sperimenta tal sorta di locuzioni non finirà di persuadersi che avvengano come ho detto, ma crederà. che le parole siano realmente di una terza persona, perché non sa con quanta facilità l'intelletto possa formare parole da se stesso in terza persona, sopra concetti e verità che gli si comunicano da terza persona.

3 - Ma, quantunque sia vero che non v'è alcun inganno da parte di quella divina illuminazione, nondimeno vi può essere, e spesso vi è in realtà, nelle parole stesse e nelle ragioni che l'intelletto ne deduce; poiché, essendo quella luce a volte assai sottile e spirituale, l 'intelletto non arriva ad esserne bene illuminato, ed allora le ragioni che esso forma di suo possono essere o false addirittura, o verosimili in apparenza, o difettose. L'intelletto, in questi casi, al principio prende il filo della verità, ma subito vi aggiunge la propria abilità o rozzezza del suo basso modo d'intendere, e quindi è cosa facile che per la sua inettitudine perda il filo e divaghi: e tutto ciò in modo da sembrare che gli parli una terza persona.

4 - Ho conosciuto un tale che, avendo di queste locuzioni successive, ne formava alcune molto vere e sostanziali intorno al mistero della Santissima Eucaristia, ma ne aveva altre che erano grandi eresie. Mi riempie di spavento il vedere ciò che succede ai nostri tempi, che cioè una persona qualunque, con quattro centesimi di considerazione, non appena, stando un po' raccolta, sente qualcuna di dette locuzioni, subito battezza tutto per parola di Dio, e va dicendo con grande sicurezza: Dio mi ha detto, Dio mi ha risposto; mentre il più delle volte si risponde da sé e Dio non c’entra affatto.

5 - Solo il desiderio che ha di locuzioni e l 'affetto che vi alimenta nel suo spirito fanno sì che essa si dia risposte e pensi che Dio le parli: onde ne segue che viene a cadere in grandi stravaganze, se in ciò non si raffrena molto, e se il suo direttore non la induce alla rinunzia di tali discorsi. Da questi suole ricavare più chiacchiere inutili e impurità di spirito, che non umiltà e mortificazione, perché pensa di aver ricevuto chissà che straordinario favore, e che Dio stesso abbia parlato, mentre non sarà stato che poco più di niente, o niente, o meno che niente. Ed invero ciò che non ingenererà umiltà, carità, mortificazione, santa semplicità e silenzio, che cosa può essere? Dico, dunque, che le

locuzioni possono, molto impedire il cammino della divina unione, perché allontanano l'anima che ne fa caso dall'abisso della fede, in cui l 'intelletto deve stare al buio, e camminare al buio per via di amore in fede, e non per via di molte ragioni.

6 - Ma taluno dirà: Perché l'intelletto deve privarsi di quelle verità, quando lo Spirito stesso di Dio lo illumina in esse, e quindi non vi può essere niente di male? Rispondo che lo Spirito Santo illumina l'intelletto raccolto e lo illumina secondo la misura del suo raccoglimento: e poiché l'intelletto non può trovare altro maggior raccoglimento che nella fede, ne viene per conseguenza che lo Spirito Santo in nessun'altra cosa più lo illuminerà che nella fede. Quanto più l'anima è pura e perfetta in fede, tanto più ha di carità infusa da Dio; e quanto più carità possiede, tanto più lo Spirito Santo l'illumina e le largisce i suoi doni, poiché la carità è la causa e il mezzo per cui glieli concede. È vero che in quella illuminazione di verità Egli comunica all'anima qualche luce, ma la luce che si gode nella fede, senza intendere chiaramente cosa alcuna, è ben diversa da quella; sia rispetto alla qualità, come l'oro purissimo differisce dal più vile metallo; sia rispetto alla quantità, come l'oceano eccede immensamente una sola goccia di acqua. Poiché nella prima maniera si comunica all'anima la sapienza di una, due o tre verità; nell'altra, tutta la sapienza divina in modo generale, cioè il Figlio stesso di Dio, che si comunica in fede all'anima.

7 - Se poi mi si dirà, che tutto è buono, e che l'una cosa non pone ostacolo all'altra, insisto col dire che impedisce molto, se l'anima ne fa caso. L'occuparsi in cose chiare e di poca importanza basta ad impedire la comunicazione dell’abisso della fede, in cui Dio in modo soprannaturale e segreto insegna all'anima e, senza che questa sappia come, l 'arricchisce di doni e di virtù. Se l'intelletto vuol ritrarre profitto da quella comunicazione successiva, non si deve applicare ad essa di proposito, perché così non farebbe altro che sviarla da sé, secondo ciò che la Sapienza dice all'anima nei Cantici: Rivolgi da me i tuoi occhi, perché essi mi fanno volare (C t 6 ,4 ): ossia volare lungi da te, mi fanno salire troppo in alto. Ma, piuttosto, senza alcuno sforzo dell'intelletto in ciò che soprannaturalmente viene comunicato, bisogna applicare la volontà semplicemente e amorosamente in Dio, poiché quei beni si partecipano a poco a poco per via d'amore, ed anzi con questo mezzo si parteciperanno con più abbondanza di prima. Al contrario, se l’intelletto (o altra potenza) applica attivamente la sua abilità naturale in quelle cose che vengono comunicate in modo soprannaturale e passivo, non potendo giungere a tanto per la sua inettitudine e rozzezza, necessariamente le deve adattare alla sua limitata capacità e per conseguenza le altera e muta. Di necessità, :quindi, formerà ragioni di suo e cadrà in errore, e ciò certamente è tutt'altro. che soprannaturale, anzi non ne ha neppure l'apparenza, ma è assai naturale, basso ed erroneo.

8 - Vi sono però alcuni intelletti sì pronti e perspicaci che, stando raccolti in qualche considerazione, naturalmente e con grande facilità passano da un concetto all'altro, formandoli con le dette parole e ragioni molto sottili e vive, e credono che siano da Dio; invece tutto dipende dall'intelletto che, stando alquanto libero dall'operazione dei sensi, col proprio lume e senza alcun aiuto soprannaturale può far questo e altro. Questo fatto accade spesso, e molti s'ingannano, supponendo che ciò sia indice di molta orazione e comunicazione di Dio; e perciò scrivono e fanno scrivere quel che loro avviene, mentre può darsi che tutto sia un niente e non abbia sostanza di alcuna virtù, anzi non serva ad altro che ad invanirsene.

9 - Costoro imparino a non far stima di quelle cose, ma a fondare piuttosto la loro volontà in umile amore, e ad operare davvero e patire, imitando la vita e gli esempi del Figlio di Dio, mortificandosi in ogni cosa; questo è il cammino per conseguire ogni bene spirituale, non già i molti discorsi interiori.

10 - Anche in questa materia delle parole interiori successive il demonio molto spesso s'intromette, e specialmente s'insinua in coloro che hanno qualche inclinazione od affetto ad esse. Allorché questi cominciano a raccogliersi, il demonio suole offrire loro molta materia di digressioni, suggerisce al loro intelletto concetti e parole, e con cose verosimili assai abilmente li inganna e manda in rovina. Questa è una delle maniere in cui si

comunica a quei che hanno fatto con lui qualche patto tacito o espresso; e similmente ad alcuni eretici, specie eresiarchi, presentando alla loro mente idee e ragioni molto sottili, false ed erronee .

11 - Da ciò che abbiamo detto si vede chiaramente che queste locuzioni successive possono procedere nell'intelletto da tre cause: o dallo Spirito Divino che muove ed illumina l'intelletto, o dal lume naturale di questa potenza [ in t e l l e t to ] , o dal demonio che può parlare per suggestione. Del resto sarebbe un po' difficile stabilire con precisione quali siano i segni per conoscere quando la locuzione procede da una piuttosto che dall'altra causa. Nondimeno si possono dare alcune norme generali, e sono le seguenti. Quando, nelle parole e nei concetti l 'anima in pari tempo ama, e sente l'amore misto ad umiltà e riverenza verso Dio, è segno che allora agisce lo Spirito Santo, il quale ogni volta che fa qualche grazia, l 'accompagna con questi sentimenti. Quando le parole procedono solamente dalla vivacità e dal lume dell'intelletto, questo solo è l 'agente che opera ogni cosa, senza quegli atti di virtù (sebbene la volontà può naturalmente amare nella cognizione di quelle verità,); ma dopo, passata la meditazione, la volontà resta arida, quantunque non inclinata al male, né alla vanità, salvo che il demonio in ciò non la tentasse in seguito, il che non accade nelle locuzioni che nacquero da buono spirito, perché in queste [d i D io ] la volontà resta poi ordinariamente affezionato a Dio e propensa al bene. Tuttavia può darsi il caso che la volontà resti arida benché la comunicazione sia stata da buono spirito, così disponendo Dio a maggior utilità dell'anima; come pure alcune volte questa non sentirà molto le operazioni e i movimenti di quelle virtù, eppure sarà buono ciò che ha avuto. Insomma, confesso che non di rado è difficile conoscere l'origine e la differenza che corre tra le une e le altre locuzioni, a motivo dei vari effetti che alle volte producono; quelli però che abbiamo accennati sono i più comuni, quando in maggiore e quando in minor copia. Anche le locuzioni del demonio alle volte difficilmente si possono individuare e conoscere, perché sebbene in via ordinaria lascino la volontà arida nell'amor di Dio, e l'animo inclinato a vanità, compiacenza e stima di se stesso, nondimeno il maligno spirito insinua una falsa umiltà e un certo fervido affetto di volontà fondato nell'amor proprio, tanto che è necessario che la persona sia molto spirituale per avvedersene. Il demonio così opera per meglio occultarsi; e molto bene sa fare in modo che si versino lagrime circa i sentimenti da lui ispirati, a fine di inserire nell'anima gli affetti che egli vuole. Perciò procura sempre di muovere la volontà a far molto caso e stima di quelle comunicazioni interiori, perché l'anima si dia ad esse e si occupi in ciò che non è virtù, ma occasione di perdere, se mai, quella virtù che avesse.

12 - Adunque, la necessaria cautela da usarsi sì nelle une come nelle altre locuzioni per non essere illusi o imbarazzati, è questa: non ne facciamo alcuna stima, ma solo indirizziamo con vigore la volontà a Dio, operando con perfezione la sua legge e i suoi santi consigli, ciò che costituisce la sapienza dei Santi. Contentiamoci di sapere la verità e i misteri semplicemente e veracemente, come la Chiesa ce li propone, ché ciò basta per infiammare molto la nostra volontà, senza metterci nel labirinto di alte e curiose investigazioni, ove è un miracolo scampare da pericoli. Ascoltiamo il consiglio di S. Paolo che a questo proposito ci dice: Non conviene sapere più di quel che è necessario sapere (R m 12 ,3 ). E ciò basti intorno a questa materia delle parole successive.

2S CAPITOLO 30

TRATTA DELLE PAROLE INTERIORI, CHE FORMALMENTE SONO DETTE ALLO SPIRITO PER VIA SOPRANNATURALE - INDICA IL DANNO CHE POSSONO FARE, E LA

NECESSARIA CAUTELA DA PRENDERSI PER NON ESSERE TRATTI IN INGANNO

1 - La seconda specie di parole interiori sono quelle formali, che alcune volte sono dette allo spirito per via soprannaturale, senza alcun mezzo dei sensi, ora stando lo spirito raccolto, ora no. Le chiamo formali, perché allo spirito le dice formalmente una terza persona, senza che esso vi ponga niente di suo. E per questo sono molto diverse da quelle di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo; perché non solamente differiscono in quanto si formano senza che lo spirito ponga alcunché da parte sua, come nelle altre; ma

gli accadono alle volte ancorché non stia raccolto, anzi molto lontano col pensiero da ciò che gli si dice; mentre non è così nelle locuzioni successive, perché queste si aggirano sempre intorno a quello che si stava già considerando.

2 - Queste parole alle volte sono molto formate, altre volte non tanto; spesso sono come concetti nei quali si dice allo spirito qualche cosa, ora a modo di risposta, ora in altra maniera. Alcune volte consistono in una sola parola; altre, in due o più; talora sono successive come le precedenti, perché sogliono durare, insegnando o trattando di qualche cosa con l'anima, e tutte senza che lo spirito vi metta di suo, perché avvengono come se una persona discorresse con un'altra. Così leggiamo che accadde a Daniele, il quale dice che l'Angelo del Signore parlava in lui; e ciò avveniva formalmente e successivamente, perché Daniele ragionava nel suo spirito e l'Angelo l'ammaestrava: questi, infatti, già gli aveva detto che era venuto per istruirlo (Dn 9 ,22 ) .

3 - Quando queste parole sono solamente formali, l 'effetto che producono nell'anima non è molto: poiché ordinariamente sono soltanto per insegnare o dar luce in qualche cosa; onde non fa bisogno che siano più efficaci di quel che richiede il fine a cui mirano. Però, quando sono da Dio, sempre operano il loro effetto nell'anima, perché la rendono pronta e perspicace in quello che le si comanda o insegna, sebbene alcune volte non le tolgano la ripugnanza o difficoltà, anzi possono aumentargliela: il che Dio fa per maggiore ammaestramento, umiltà, e bene dell'anima stessa. Detta ripugnanza di solito resta nell’anima quando le si comandano cose che importano in lei superiorità o preminenza, o cose che in qualsiasi modo possono conferirle una certa distinzione ed eccellenza, mentre nelle cose umili e basse ella prova piuttosto grande facilità e prontezza. Leggiamo, ad esempio, nell'Esodo, che quando Dio comandò a Mosè di presentarsi a Faraone per ottenere la liberazione del suo popolo, egli sentì tanta ripugnanza che fu necessario che il Signore gli ripetesse tre volte il comando, accompagnato da prodigi; e con tutto ciò non si arrese, se non quando Dio gli diede per compagno Aronne, che dividesse con lui l 'onore dell'incarico (E s 3 e 4 ).

4 - Il contrario accade quando le parole e le comunicazioni sono del demonio, il quale nelle cose dì maggior pregio e gloria infonde facilità e prontezza, e nelle umili ripugnanza. Dio certamente aborrisce tanto il vedere un'anima inclinata a preminenze che, quando Egli gliele comanda e la colloca in esse, non vuole che abbia prontezza e desiderio di primeggiare. Nella prontezza che Dio infonde all'anima per loro mezzo, le parole formali sono molto differenti dalle successive, le quali non muovono tanto lo spirito né lo rendono si pronto come quelle, perché queste sono più formali e l 'intelletto meno v'intromette di suo. Ciò non toglie però che a volte facciano più effetto alcune successive, per la grande comunicazione che vi potrebbe essere del Divino Spirito con l'umano; ma circa il modo in cui avvengono v'è tra loro molta differenza. Nelle parole formali l 'anima non può dubitare se essa le dica, perché ben conosce che no, specialmente quando ella non pensava affatto a quelle cose che poi le furono dette, e dato anche che prima vi pensasse, vede con molta chiarezza e distinzione che le parole non sono sue, ma le vengono suggerite da altri.

5 - Di tutte queste parole formali, l'anima deve fare sì poco conto come delle successive, perché oltre che ingombrerebbe lo spirito con ciò che non è legittimo e prossimo mezzo per l 'unione con Dio, com'è la fede, potrebbe assai facilmente essere illusa dal demonio. Poiché alle volte a mala pena si conoscerà quali parole formali siano dette da uno spirito buono, e quali da uno cattivo. Esse, ripeto, non producono grandi effetti, e quindi a stento si possono distinguere per mezzo di essi, poiché quelle del demonio non di rado agiscono con più sensibile efficacia negli imperfetti, che non quelle di buono spirito nelle persone spirituali. Pertanto, l 'anima non deve subito seguire ciò che le parole dicessero né farne caso, o di buono o di cattivo spirito che fossero; ma piuttosto non tralasci di manifestarle a un dotto e prudente confessore, o ad altra persona saggia e discreta, per riceverne lume di dottrina e vedere ciò che in quelle convenga. fare, e rassegnandosi al suo consiglio, si diporti in esse rassegnata e negativa. Se poi non trovasse una persona esperta, sarà meglio che non ne faccia caso e non le palesi a nessuno, perché facilmente potrebbe incontrare delle persone che distruggono l'anima

piuttosto che edificarla. Le anime non hanno da essere guidate da chicchessia, essendo cosa di somma importanza colpire nel segno o sbagliare in sì grave faccenda.

6 - L'anima si guardi bene di non agire mai secondo il proprio giudizio, di non fare o ammettere cosa alcuna di ciò che quelle parole suggeriscono, senza maturo esame e consiglio altrui. In questa materia accadono inganni tanto sottili e stravaganti, che io tengo per certo che, se un'anima non è nemica di avere tali cose, non potrà non essere illusa in molte di esse.

7 - E poiché di questi inganni e pericoli e della cautela necessaria a premunirsi contro di essi è stato trattato di proposito nei capitoli diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo di questo libro, ai quali rimando il lettore, non mi dilungo più oltre. Solo dico che il principale insegnamento circa le locuzioni formali è non farne caso per niente.

2S CAPITOLO 31

TRATTA DELLE PAROLE SOSTANZIALI CHE INTERIORMENTE SI FANNO SENTIRE ALLO SPIRITO - NOTA LA DIFFERENZA CHE PASSA TRA QUESTE E LE FORMALI, IL

PROFITTO CHE SE NE RICAVA, E CON QUANTA RASSEGNAZIONE E RIVERENZA L'ANIMA IN ESSE DEBBA COMPORTARSI

1 - La terza specie di parole interiori sono quelle sostanziali, le quali, ancorché siano anche formali, in quanto molto formalmente s'imprimono nell'anima, differiscono però in questo, che la parola sostanziale produce effetto vivo e sostanziale nell'anima, ma non così quella soltanto formale. Di maniera che ogni parola sostanziale è formale, ma non viceversa: sostanziale è soltanto quella che imprime sostanzialmente nell'anima ciò che significa. Per esempio se Nostro Signore dicesse formalmente all'anima: Sii buona; subito sostanzialmente sarebbe buona. O se le esprimesse questa sola parola: Amami; immediatamente avrebbe e sentirebbe ìn sé sostanza di amore di Dio. O se l'anima fosse presa da un gran timore, e il Signore l'incoraggiasse col dire: Non temere; subito si sentirebbe molto forte e tranquilla. Perocché la parola di Dio, come dice il Savio, è piena di potenza (S i r 8 ,4 ); e quindi produce sostanzialmente nell'anima ciò che le dice. Ciò volle intendere Davide quando disse: Il Signore darà alla sua voce, voce di virtù (S al 67 ,34 ) . Sappiamo che quando Dio disse ad Abramo: Cammina alla mia presenza e sii perfetto (Gen

17 , 1 ), questi subito diventò perfetto, e sempre camminò in obbedienza a Dio. E nel Vangelo vediamo il mirabile potere della divina parola, con la quale Cristo sanava gl'infermi, risuscitava i morti ecc., al semplice suono della sua voce. Alla stessa guisa Dio proferisce ad alcune anime locuzioni sostanziali, le quali sono di tanto pregio, di tanta efficacia che infondono vita, virtù e beni inestimabili, poiché una sola parola di queste apporta all'anima maggior bene di quanto ella ne abbia fatto in tutta la sua vita.

2 - Intorno a queste parole l'anima non ha che fare, né che cosa volere o non volere, né che rifiutare o che temere. Non ha che fare, cioè non c'è bisogno che s'affatichi per compiere ciò che le parole sostanziali dicono, perché Dio non gliele dice mai affinché le metta in esecuzione, ma per operarle in essa; mentre accade diversamente nelle formali e successive. Non ha che volere o non volere, perché non si richiede la sua volontà acciocché Dio le operi, né vale il suo non volere perché cessino di produrre il loro effetto; quindi l'anima in esse si comporti con umiltà e rassegnazione. Non ha che rifiutare, perché il loro effetto rimane sostanziato nell’anima con pienezza di beni divini: contro di esso, dato che è ricevuto passivamente, l 'azione dell'anima è del tutto vana. E non ha da temere alcun inganno, perché né l'intelletto né il demonio vi si possono intromettere, né giungere a produrre passivamente un effetto sostanziale nell'anima in modo da imprimerle l 'effetto e l 'abito della sua parola, eccetto che l'anima non si sia donata a lui con patto volontario, ché in tal caso, dimorando in lei come suo signore, potrebbe imprimerle quei tali effetti, non di bene, ma di malizia. Certo, il demonio potrebbe facilmente imprimere gli effetti delle sue parole maliziose in un'anima che stesse già unita a lui in malvagità volontaria. Vediamo, infatti, per esperienza che il demonio usa gran forza di suggestione

anche verso le stesse anime buone: che cosa non farà con le cattive? Ma non potrà mai imprimere nell'anima effetti simili ai buoni, perché le sue parole non sono paragonabili a quelle divine, rispetto alle quali esse e i loro effetti sono un semplice nulla. E per questo Dio disse per bocca di Geremia: Che ha da fare la paglia col grano? Forse che le mie parole non sono come il fuoco, e come il martello che spezza le pietre? (Ger 23 ,28- 29). Le parole sostanziali, dunque, servono molto per l'unione dell'anima con Dio; e quanto più sono interiori, tanto più sono sostanziali, e più profittevoli. Felice l'anima a cui Dio parlerà! Parla, o Signore, ché il tuo servo ascolta! (1R e 3 , 10 ).

2S CAPITOLO 32

TRATTA DELLE APPRENSIONI CHE L'INTELLETTO RICEVE DAI SENTIMENTI INTERIORI, PRODOTTI SOPRANNATURALMENTE NELL'ANIMA - NE ASSEGNA LA

CAUSA E DICE IN CHE MODO L'ANIMA SI DEBBA REGOLARE PER NON IMPEDIRE IL CAMMINO DELL'UNIONE CON DIO

1 - Resta ora da trattare del quarto ed ultimo genere di apprensioni intellettuali, cioè di quelle che possono cadere nell'intelletto da parte dei sentimenti spirituali, che spesso soprannaturalmente si producono nell'anima della persona spirituale: essi vanno annoverati tra le apprensioni distinte dell'intelletto.

2 - Questi sentimenti spirituali distinti possono essere di due specie: alcuni sono sentimenti nell'affetto della volontà; altri nella sostanza dell'anima: tutti poi possono essere di molte maniere. I sentimenti della volontà, quando vengono da Dio, sono molto elevati; ma quelli della sostanza dell'anima sono semplicemente altissimi e apportano massimo bene e profitto. Circa questi ultimi, dico che tanto l'anima, quanto chi la dirige, non possono conoscere né intendere la causa donde procedano, né per quali opere Dio conceda sì grandi favori: perché. non dipendono da opere o considerazioni che l'anima possa fare, sebbene tali cose siano buone disposizioni per ottenerli. Dio concede queste grazie a chi Egli vuole e per il fine che vuole. Difatti accadrà che una persona si sia esercitata in molte opere buone, eppure il Signore non le concederà questi tocchi; mentre ad un'altra che ne avrà compiute molto di meno, glieli darà, elevatissimi e in gran copia. Perciò, affinché Dio conceda i tocchi donde l'anima ritrae i detti sentimenti, non occorre che ella sia attualmente occupata in cose spirituali (sebbene esserlo è molto meglio per averli), perché il più delle volte li riceve mentre col pensiero è molto lontana da essi. Di questi tocchi alcuni sono distinti e passano presto; altri non sono molto distinti e durano più a lungo.

3 - Questi sentimenti, in quanto solamente tali, non appartengono all'intelletto, ma alla volontà, e perciò non tratto qui di essi di proposito: ma lo farò quando parleremo della notte e purgazione della volontà nei suoi affetti, il che sarà nel libro terzo. Tuttavia, perché spesso, anzi il più delle volte, da essi ridonda apprensione, notizia e intelligenza nell'intelletto, solo per questo motivo conviene qui farne menzione. È da sapersi che da tutti questi sentimenti, sì da quelli della volontà come da quelli che sono nella sostanza dell'anima, o durevoli o successivi che siano, molte volte, ripeto, ridonda nell'intelletto un'apprensione di notizia, un'intelligenza, un sentire di Dio oltremodo sublime e squisito, a cui non si sa che nome imporre, come neppure al sentimento donde scaturisce. Queste notizie, ora sono in una maniera, ora in un'altra; a volte più elevate e chiare, a volte meno, secondo l'efficacia e la volontà dei tocchi divini, i quali sono la causa dei sentimenti da cui esse procedono e secondo la proprietà di questi.

4 - Per mettere in guardia e incamminare l'intelletto per queste notizie all'unione con Dio in fede, non è necessario spendere qui molte parole. Poiché, come i sentimenti che abbiamo detto avvengono passivamente nell'anima, senza che essa faccia effettivamente alcunché da parte sua per averli, così pure le notizie che ne derivano si ricevono passivamente nell'intelletto che i filosofi chiamano paziente, il quale non pone dal canto suo alcuna azione per riceverle. Quindi per non errare e non impedire il profitto che si può ricavare da detti sentimenti, l 'intelletto non deve operare intorno ad essi, ma

essere passivo, senza intromettervi la sua capacità naturale; poiché, come abbiamo detto che accade nelle parole successive, assai facilmente con la sua attività potrebbe turbare o disfare quelle notizie delicate, che sono una saporosa intelligenza soprannaturale cui la natura non arriva, né può comprendere operando, ma ricevendo. Perciò l'anima non deve procurarle [ l e no t i z i e ], né aver desiderio di ammetterle, affinché l'intelletto non ne vada formando altre di suo, né il demonio, frattanto, si apra l'ingresso con altre, varie e false: il che egli sa fare molto bene, per mezzo dei detti sentimenti, o di quelli che di suo può infondere nell'anima che si dà a queste notizie. L'anima, dunque, se ne stia rassegnata, umile e passiva rispetto ad esse; e giacché passivamente si ricevono da Dio, il Signore gliele comunicherà, secondo il suo beneplacito, quando la vedrà piena di spirito di umiltà e distacco. E in questo modo non si priverà del grande profitto che tali notizie apportano per l'unione divina: perché tutti questi non sono altro che tocchi di unione, la quale si opera nell'anima passivamente.

.5 - Ciò basti per concludere con le apprensioni soprannaturali. Poiché, qualunque cosa avvenga all'anima intorno all'intelletto, si troverà nelle quattro menzionate divisioni la relativa dottrina e la necessaria cautela da prendersi. E dato il caso che una cosa sembrasse tanto nuova e differente da non essere inclusa in nessuna delle date distinzioni, non vi sarà alcuna apprensione intellettiva che non si possa ridurre a qualcuna di esse, onde ricavarne la norma conveniente al caso.