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Sird 10 2013

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Giornale Italiano della Ricerca Educativa 10 - 2013

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RIVISTA SEMESTRALEanno VI

numero 10Giugno 2013

Italian Journal of Educational ResearchGiornale Italiano della Ricerca Educativa

Direttore / Editor in chiefLUCIANO GALLIANI - Università degli Studi di Padova

Condirettore / Co-editor PIETRO LUCISANO - Sapienza Università di Roma

Comitato Scientifico / Editorial Board ROBERTA CARDARELLO - Università degli Studi di Modena e Reggio EmiliaARMANDO CURATOLA - Università degli Studi di MessinaJEAN-MARIE DE KETELE - Université Catholique de LeuvainMARIA LUCIA GIOVANNINI - Alma Mater Studiorum – Università di BolognaALESSANDRA LA MARCA - Università degli Studi di PalermoGIOVANNI MORETTI - Università degli Studi di Roma TreELISABETTA NIGRIS - Università degli Studi di Milano BicoccaACHILLE M. NOTTI - Università degli Studi di SalernoVITALY VALDIMIROVIC RUBTZOV - City University of MoscowRENATA VIGANÒ - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Comitato editoriale / Editorial management ANNA SERBATI - Università degli Studi di PadovaMARIA CINQUE - Università degli Studi di PalermoROSA VEGLIANTE - Università degli Studi di Salerno

Note per gli Autori I contributi, in format MS Word, devono essere inviati all’indirizzo email del Comitato Editoriale:[email protected] informazioni per l’invio dei contributi sono reperibili nel sito www.sird.it

Notes to the AuthorsSubmissions have to be sent, as Ms Word files, to the email address of the Editorial Management:[email protected] information about submission can be found at www.sird.it

Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato)Codice ISSN 2038-9744 (testo on line)Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010

Finito di stampare: giugno 2013

Abbonamenti/Subscription Italia euro 25,00 • Estero euro 50,00Le richieste d’abbonamento e ogni altra corrispondenza relativa agli abbonamenti vanno in-dirizzate a: Licosa S.p.A. – Signora Laura MoriVia Duca di Calabria, 1/1 – 50125 Firenze • Tel. +055 6483201 • Fax +055 641257 • mail:[email protected]

Editing e stampaPensa MultiMedia Editore s.r.l. - Via A. Maria Caprioli, 8 - 73100 Lecce - tel. 0832.230435www.pensamultimedia.it - [email protected]

Progetto grafico copertinaValentina Sansò

Obiettivi e finalitàIl Giornale Italiano della Ricerca Educativa, organo ufficiale della Società Italiana di Ricerca Didat-tica, è dedicato alle metodologie della ricerca educativa e alla ricerca valutativa in educazione.Le aree di ricerca riguardano: lo sviluppo dei curricoli, la formazione degli insegnanti, l’istruzionescolastica, universitaria e professionale, l’organizzazione e progettazione didattica, le tecnologieeducative e l’e-learning, le didattiche disciplinari, la didattica per l’educazione inclusiva, le meto-dologie per la formazione continua, la docimologia, la valutazione e la certificazione delle compe-tenze, la valutazione dei processi formativi, la valutazione e qualità dei sistemi formativi.La rivista è rivolta a ricercatori, educatori, formatori e insegnanti; pubblica lavori di ricerca empiricaoriginali, casi studio ed esperienze, studi critici e sistematici, insieme ad editoriali e brevi report re-lativi ai recenti sviluppi nei settori. L’obiettivo è diffondere la cultura scientifica e metodologica, in-coraggiare il dibattito e stimolare nuova ricerca.

Aims and scopesThe Italian Journal of Educational Research, promoted by the Italian Society of Educational Research,is devoted to Methodologies of Educational Research and Evaluation Research in Education.Research fields refer to: curriculum development, teacher training, school education, higher educa-tion and vocational education and training, instructional management and design, educational tech-nology and e-learning, subject teaching, inclusive education, lifelong learning methodologies,competences evaluation and certification, docimology, students assessment, school evaluation,teacher appraisal, system evaluation and quality.The journal serves the interest of researchers, educators, trainers and teachers, and publishes originalempirical research works, case studies, systematic and critical reviews, along with editorials andbrief reports, covering recent developments in the field. The journal aims are to share the scientificand methodological culture, to encourage debate and to stimulate new research.

Comitato di referaggio Il Comitato di Revisori include studiosi di riconosciuta competenza italiani e stranieri. Responsabi-li della procedura di referaggio sono il direttore e il condirettore della rivista.

Referees CommitteeThe referees committee includes well-respected Italian and foreign researchers. The referral processis under the responsability of the Journal’s Editor in Chief and Co-Editor.

Procedura di referaggio Il Direttore e Condirettore ricevono gli articoli e li forniscono in forma anonima a due revisori ano-nimi, tramite l’uso di un’area riservata nel sito della SIRD (www.sird.it), i quali compilano la schedadi valutazione direttamente via web entro i termini stabiliti. Sono accettati solo gli articoli per i qualientrambi i revisori esprimono un parere positivo. I giudizi dei revisori sono comunicati agli Autori,assieme a indicazioni per l’eventuale revisione, con richiesta di apportare i cambiamenti indicati.Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori non sono pubblicati.

Referral processEditor in chief and co-editor collect the papers and make them available anonymously to two anonymousreferees, using a reserved area on the SIRD website (www.sird.it), who are able to fulfill the evaluationgrid on the web before the deadline. Only articles for which both referees express a positive judgmentare accepted. The referees evaluations are communicated to the authors, including guidelines foreventual changes with request to adjust their submissions according to the referees suggestions.http://perleggere.pensamultimedia.it/it/board-editorialeArticles not modified in accordance with thereferees guidelines are not accepted.

Editoriale

Ricerche

9 Manifesto per la ricerca educativa e l’innovazione didatticaManifesto for Educational Research and Theaching Innovation

INDICE

14 RENZA CERRI, VALENTINA GENTA, ANDREA TRAVERSOLa cultura al centro: quale rapporto tra scuola ed eventi culturali? Culture at the core. What relationship between school and cultural events?

31 KARIN BAGNATOAggressività e intelligenza emotiva: quale relazione?

Aggressiveness and emotional intelligence: what relationship?

46 CRISTIANO CORSINILa validità di contenuto delle prove INVALSI di comprensione della lettura Content Validity of INVALSI Reading Comprehension Tests

Esperienze

62 ANNAMARIA CIRACIRuolo dell’e-learning nella formazione degli adulti. Percezione dell’esperienza universitaria da parte di immatricolate over 35E-learning and adult education. The university experience perceived by female students older than 35

77 LOREDANA LA VECCHIA, GIOVANNI GANINOTutti pazzi per Wittgenstein! Insegnare filosofia on-line superando pratiche riduttive dell’e-learningAll crazy about Wittgenstein! Teaching philosophy on-line overcoming reductive e-learning practices

92 DONATELLA POLIANDRI, PAOLA MUZZIOLI, ISABELLA QUADRELLI, SARA ROMITIValutare per migliorare: un’esperienza da cui partireAssess to get better: an experience

Studi

107 VLADIMIR KOVROV, ANNA ANTONOVASafety of educational environment: psychological and pedagogical aspects

Sicurezza dell’ambiente educativo: aspetti psicologici e pedagogici

115 DANIELA FRISONUniversity-Business Dialogue: quali implicazioni nella ricerca pedagogica e didattica?University-Business Dialogue: what the possible results on education and learning research?

127 MIGUEL ANGEL ZABALZA BERAZAEl practicum en la formación universitariaThe practicum in higher education

142 ANNAMARIA CURATOLAIl mediatore turistico, per un turismo di qualitàThe touristic agent, for a qualitative tourism

• RENZA CERRIDipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova, [email protected]

• VALENTINA GENTADipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova, [email protected]

• ANDREA TRAVERSODipartimento di Scienze della Formazione, Università di Genova, [email protected]

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• ANNA MARIA CIRACI

Dipartimento di Scienze della Formazione, Università “Roma Tre”, [email protected] ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• KARIN BAGNATO

Dipartimento di Scienze Cognitive della Formazione e degli Studi Culturali, Università di [email protected]

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• CRISTIANO CORSINI

Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Catania, [email protected] ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• DONATELLA POLIANDRI

INVALSI, [email protected]• PAOLA MUZZIOLI

INVALSI, [email protected]• ISABELLA QUADRELLI

INVALSI, [email protected]• SARA ROMITI

INVALSI, [email protected]––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• LOREDANA LA VECCHIA

Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli studi di Ferrara, [email protected]• GIOVANNI GANINO

Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli studi di Ferrara, [email protected]––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• VLADIMIR KOVROV

Moscow City Psychological-Pedagogical University, [email protected]• ANTONOVA ANNA

psychologist of Moscow State School �n. 929, [email protected]––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• DANIELA FRISON

Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università di Padova [email protected]

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• MIGUEL ANGEL ZABALZA BERAZA

Facultad de Ciencias de la Educación, Universidad de Santiago de Compostela, [email protected]––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––• ANNAMARIA CURATOLA, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università di Messina

[email protected]

hanno collaborato

LE CONDIZIONI

Scopo di una società scientifica è costruire conoscenza nel suo settore di studio. La SIRD,società scientifica che associa docenti universitari ed esperti che svolgono ricerche in campoeducativo e didattico, non può esimersi da una rigorosa analisi dei suoi compiti e responsa-bilità. Il nostro campo d’indagine (11/D2:“Methodologies of Teaching and Educational Research”)è di rilievo nella knowledge society: sembra condivisa la tesi che l’educazione svolga unruolo fondamentale nella costruzione e nella manutenzione della conoscenza in ogni ambitodell’esperienza umana.

Vent’anni di lavoro scientifico, originato dalla necessità di delineare un campo autonomodella ricerca didattica di natura empirica e sperimentale, sono un periodo di tempo assolu-tamente breve. Abbiamo riflettuto, in un convegno del 2010, sulle linee di ricerca seguite alivello nazionale e locale, mettendo in rilievo il lavoro svolto dai gruppi e dai singoli soci.Sarebbe però eludere un dato di realtà non considerare che, a fronte delle cogenti respon-sabilità, la ricerca educativa e didattica continua a essere debole. I motivi sono individuabilisia in fattori esterni sistematici o congiunturali sia – e nondimeno – nell’oggettiva difficoltàdi sviluppare collaborazione efficace e risultati autorevoli, riconoscibili da interlocutori ester-ni alla nostra comunità scientifica. È necessario che, in un momento di difficoltà quale quello che il nostro paese sta vivendo,si intensifichi l’impegno di ciascuno di noi al rigore nella selezione e nella formazione deigiovani, all’attenzione alla dimensione interdisciplinare della nostra ricerca, al confronto in-ternazionale, alla dimensione empirica e sperimentale della ricerca. In sintesi, all’autorevo-lezza oggettiva e riconoscibile del nostro lavoro e dei nostri risultati, per essere interlocutoriappunto autorevoli e riconosciuti.

La SIRD è consapevole di essere solo una componente della comunità scientifica pedagogicache opera nel campo dell’educazione; accanto a tale comunità scientifica, vanno consideratipoi come interlocutori i docenti di altre aree scientifiche, gli insegnanti della scuola e dellaformazione professionale, gli educatori, i formatori e tutti coloro che nel territorio operanoe hanno responsabilità in campo educativo e formativo. È inevitabile che la ricerca educativarisenta in modo rilevante del contesto socio economico e culturale della realtà in cui si svi-luppa.

In particolare negli anni recenti, abbiamo assistito – forse non senza la responsabilità di aversubito contrastato nei fatti più che nelle dichiarazioni tale tendenza – ad una costante messain questione del mondo dell’educazione e delle competenze educative. Scuola, università,mondi educativi extrascolastici sono stati oggetto di un processo di delegittimazione o inogni caso di forte erosione della reputazione, talvolta da parte di coloro che non avevano,potendolo, messo a disposizione del sistema formativo le risorse necessarie per conseguire irisultati attesi.Nella scuola e nell’università è stata attuata una politica di cambiamenti continui, che ha

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EditorialeMANIFESTO PER LA RICERCA EDUCATIVA E L’INNOVAZIONE DIDATTICA

impedito di verificare in modo corretto gli effetti di questi interventi e di ricavare le infor-mazioni necessarie per impostare azioni educative e didattiche di miglioramento sulla basedi evidenze, come sarebbe stato necessario.In questo contesto si è incrinato il rapporto tra ricerca scientifica, mondo della scuola e isti-tuzioni che ha accompagnato per anni l’evoluzione del sistema formativo del nostro paesee che ha fatto sì che la scuola italiana fosse, sia pur in un contesto difficile, considerata peralcuni aspetti un punto di riferimento anche nel quadro internazionale*.

LE EMERGENZE

La prima emergenza educativa è relativa al fatto che l’educazione richiede fiducia: fiducianei bambini e nei giovani, fiducia negli operatori e negli insegnanti, fiducia nella ricerca eancora fiducia nelle istituzioni che governano e nel funzionamento corretto del sistema so-ciale e economico del paese. Questa fiducia oggi appare incrinata, e il danno che questa si-tuazione costituisce condiziona negativamente ogni azione educativa. Il tentativo di sostituirea un patto di fiducia meccanismi di controllo, premi e punizioni, è sempre risultato inefficace.Il danno di un modello economico e sociale incapace di dare speranza e prospettive lede lamotivazione. Una comunità educativa può crescere solo con una forte motivazione capacedi integrare, aiutare, costruire una rete e valorizzare ciascuno secondo le sue capacità, siaesso bambino, giovane, insegnante o ricercatore. Fiducia vuol dire ascolto, non c’è forma-zione e ricerca educativa senza un attento ascolto degli insegnanti e degli allievi, delle fami-glie e delle comunità sociali.

La seconda emergenza educativa rimanda alla centralità dei luoghi formativi. Nidi, scuoledell’infanzia, scuole elementari, medie e superiori, università, dottorati rischiano di essereletti solo come luoghi di acquisizione di abilità spendibili nel mondo del lavoro senza con-siderare l’importanza della formazione della persona, del cittadino, la funzione di integra-zione sociale e di orientamento. Le esperienze che hanno reso il sistema formativo italiano

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* Quando, all’inizio degli anni Novanta, il Ministro Ruberti incaricò una commissione di oltre 40 espertipresieduta dal prof. Visalberghi di esaminare i punti di forza e di debolezza del sistema della ricerca educativanel nostro paese emersero una serie di criticità e di proposte che non sono state raccolte e la situazionepresente è il risultato di oltre 20 anni di ritardo nel considerare la necessità di dotare la comunità scientificadegli strumenti necessari per poter operare in raccordo con le realtà educative del paese.Dalla Commissione Ruberti emergeva con chiarezza il problema di una comunità scientifica attiva, manumericamente ridotta nel confronto con gli altri paesi europei. In questi ultimi anni i numeri, dopo undecennio di crescita, sono andati progressivamente diminuendo fino alla possibilità di crisi di dimensionitali da ridurre la ricerca educativa a un ruolo assolutamente marginale. Le decisioni assunte sono andatespesso in senso opposto a quanto auspicato: si è assistito ad una riduzione degli spazi e delle risorse destinateall’ istruzione scolastica e universitaria e alla ricerca educativa. L’INVALSI, che avrebbe dovuto assumere il ruolo di Istituto autonomo per la valutazione, è stato trasfor-mato in ente strumentale del Ministero senza alcuna autonomia sul piano scientifico. Le poche risorse perla ricerca sono state affidate a soggetti esterni alla comunità scientifica, più attenti ad accontentare il com-mittente che a indicare i rimedi necessari ai problemi emersi. Anche dei risultati di importanti indaginiinternazionali è stata fatta una lettura riduttiva con il rischio di pensare che i problemi possano essererisolti insegnando agli studenti a rispondere ai test invece di insegnare loro le capacità critiche necessarieper affrontarli. Nella dirigenza dell’ANVUR, che ha avviato un difficile lavoro nella valutazione della di-dattica e della ricerca universitaria, e del CUN i pedagogisti non hanno avuto rappresentanza e ciò si ri-verbera, prima ancora che nella distribuzione delle risorse per la ricerca, nei metodi e nelle procedureadottate nella valutazione di prodotto, di processo e di sistema.

all’avanguardia nel panorama internazionale sono legate anche alla formazione umanisticae umana, alla capacità di integrare i disabili, alla capacità di recuperare larghe fasce della po-polazione con retroterra fortemente svantaggiati. Ridurre il ruolo della scuola alla certifi-cazione delle competenze, così come si tende a fare attualmente, rischia di perdere ilpatrimonio della nostra esperienza senza peraltro integrarlo con ciò che ad essa manca, cheè il consolidamento della formazione scientifica. Allo stesso modo ridurre il ruolo dell’uni-versità alla trasmissione di skills immediatamente spendibili nel lavoro, rischia la non con-nessione tra insegnamento e ricerca, che sola può educare i giovani a cimentarsi con laproduzione scientifica, stimolandoli a mettere in gioco non tanto capacità ricettive, ma cri-tiche e creative.

La terza emergenza riguarda il perseguimento coerente di una strategia per la formazione inizialee in servizio degli insegnanti della scuola secondaria. Dopo un lunghissimo periodo di assenza diqualsiasi formazione all’insegnamento, si è avviata nel 1998 e consolidata la laurea abilitante,oggi quinquennale, per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, anche e principal-mente grazie al lavoro svolto dalle Facoltà di Scienze della Formazione e dalle nostre societàscientifiche. Si è invece interrotta dopo un decennio l’esperienza sicuramente migliorabilema non certo priva di aspetti positivi delle SSIS e siamo entrati in una fase di provvedimenticonfusi tra regime provvisorio e applicazione del nuovo regolamento incentrato sul TirocinioFormativo Attivo, dai quali ad oggi non emerge una chiara strategia per realizzare una forma-zione qualificante e professionalizzante per gli insegnanti. È necessario ripensare il percorsocomplessivo (laurea magistrale , TFA abilitante, reclutamento) e realizzare un iter formativoistituzionale rispondente alle inderogabili necessità del sistema di istruzione e formazione delnostro Paese e all’altezza delle sfide educative e di sviluppo a livello nazionale e globale, le cuistrutture e i cui costi non possono essere solo a carico delle università e degli utenti.

La quarta emergenza – innescata dalla pervasività temporale e spaziale delle Tecnologiedell’Informazione e della Comunicazione e di Internet nelle esperienze di studio, di lavoroe di vita di ogni persona – riguarda l’innovazione dei mediatori culturali e didattici. È un passaggioda modelli formativi trasmissivi di saperi organizzati a modelli costruttivi di conoscenzapartecipata, che sta mettendo in crisi anche le prime esperienze di e-learning. Multimedialitàdei linguaggi, interattività degli strumenti mobile, virtualità delle relazioni richiedono ad edu-catori e insegnanti nuove capacità di integrazione di competenze (didattiche, disciplinari,digitali) e di contesti di apprendimento (formali, non formali, informali), anche per accom-pagnare ragazzi e giovani ad un uso critico e consapevole dei media tecnologici. Sapendobene che le dizioni di moda come “Scuola digitale”, “Classi 2.0”, “Università telematica”ed altre simili (“Un tablet per ogni alunno”), rischiano di far ritenere che l’innovazione stianelle dotazioni tecniche e strumentali e non nei metodi di insegnamento per migliorarel’apprendimento, in una adeguata riflessione sulla coerenza tra mezzi e fini educativi, in uncontrollo scientifico dei progetti e dei risultati.

La quinta emergenza riguarda l’apprendimento permanente, diventato principio ispiratoredei processi di riforma e degli indirizzi politici definiti a livello europeo, sempre firmati deinostri ministri, ma che solo recentemente con la legge 92 del 28 giugno 2012 sulla riformadel lavoro è diventato compito istituzionale della scuola e dell’università. La formazionedegli adulti, anche attraverso la validazione, il riconoscimento e la certificazione delle com-petenze acquisite in contesti non formali e informali, dovrà rinnovarsi profondamente per-sonalizzando i curricoli formali e usando tecnologie didattiche. Al fine di favorire politichedi sviluppo di lifelong learning è importante ottimizzare l’uso di risorse finanziarie e umane,di metodologie e infrastrutture esistenti, rendendo operativa l’integrazione sistemica traistruzione-formazione-lavoro, attraverso una cooperazione esplicita di tutti gli attori istitu-

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zionali (Scuola, Formazione Professionale, Università, Regioni, Ministeri, anche nelle loroarticolazioni territoriali) e sociali (Parti sociali, Associazioni professionali, Imprese, Volonta-riato).

La sesta emergenza riguarda la necessità che un sistema formativo così esteso possa contaresu un numero adeguato di ricercatori impegnati a sostenere e a far progredire il sistema stesso.Sono necessarie nuove risorse in termini di professori, ricercatori, dottori di ricerca, assegnistidi ricerca, adeguatamente preparati e rigorosamente selezionati, senza i quali gli impegniassunti di fronte alla Comunità Europea non potranno essere mantenuti.Lo stesso Ministero nel suo lavoro ha dovuto prendere atto del fatto che la mancanza dipreparazione del personale in tematiche di ricerca educativa, docimologia, costruzione distrumenti di valutazione, ha portato a incidenti di percorso che rischiano di incrinare la fi-ducia non solo negli istituti stessi, ma nel contributo che la ricerca può fornire al lavoroeducativo. È necessario che si sviluppi un sistema della ricerca educativa che veda una fortecollaborazione tra università, scuole e istituzioni nazionali. In carenza di risorse esiste unforte rischio che la ricerca educativa si indirizzi solo in quei pochi settori in cui esistono ri-sorse e perda di vista gli aspetti fondamentali della relazione educativa e dei processi di ap-prendimento e di formazione della persona.

Un aspetto particolare di questo problema riguarda la valutazione, che possiamo ritenere co-me vera e propria emergenza (la settima, nel nostro ragionare). La ricerca didattica e inparticolare la docimologia ha contribuito alla introduzione di questa tematica che oggi sem-bra essere assunta come decisiva in tutte le dimensioni della vita sociale. L’esperienza maturatada oltre cinquant’anni di ricerca ci ha aiutato a maturare la convinzione che sia necessarioun grande rigore metodologico e che sia indispensabile anche avere sempre presente, accantoalla necessità di disporre di misure e di indicatori, di comprendere il senso dei limiti chequeste procedure hanno anche quando vengono condotte con grande professionalità. Per questo ribadiamo la necessità che la valutazione dei sistemi formativi sia condotta daorganismi autonomi, indipendenti dai sistemi di governo, guidati da ricercatori di provataesperienza specifica, in grado di verificare non solo punti di forza e limiti degli esiti del si-stema formativo, ma anche punti di forza e limiti delle politiche formative nazionali e co-munitarie.

La ottava emergenza riguarda la precarietà delle professioni educative. Una recente ricerca hamostrato che le professioni educative risultano quelle esposte ai livelli più alti di precarietàtra i laureati e questo appare particolarmente grave quando queste forme di rapporto pro-fessionale vengono esercitate prevalentemente da istituzioni pubbliche. Questo problema è presente in tutte le professioni educative: nidi, scuole, università, servizieducativi. In particolare il caso dei precari “storici” su cui si è retta la scuola italiana negliultimi vent’anni ha raggiunto dimensioni non più sostenibili, sia per gli effetti sulla qualitàdei processi di insegnamento e dei risultati di apprendimento sia per la dignità delle personee il merito di professionisti chiamati a formare i cittadini del futuro. La ricerca educativa ha da tempo mostrato che la continuità delle figure di riferimento co-stituisce un valore importante ai fini di ottenere buoni risultati; senza continuità non c’èbuona programmazione e possibilità di fare tesoro delle esperienze. La precarietà inoltre de-legittima l’educatore nei confronti degli allievi e delle famiglie, attenuandone l’efficacia edu-cativa.

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A fronte di queste emergenze la SIRD ribadisce il suo impegno a consolidare e rafforzare il lavoro della comunità scientifica

PROMUOVENDOÑ lo sviluppo della ricerca e la riflessione scientifica sulle metodologie e le tecniche della

ricerca educativa e didattica, principalmente di natura empirica e sperimentale;Ñ il confronto e la discussione sui temi dell’insegnamento e della formazione;Ñ l’integrazione delle tecnologie educative nei processi di apprendimento- insegnamen-

to;Ñ il consolidamento e il raccordo delle scuole dottorali;Ñ la maggiore qualificazione delle riviste e delle collane editoriali;Ñ la costituzione di una scuola nazionale di alta formazione per i ricercatori in campo educativo

e formativo;Ñ il raccordo con le società scientifiche internazionali e una più efficace riorganizzazione delle

società scientifiche di ambito pedagogico, che superi la attuale frammentazione;Ñ la promozione di progetti di ricerca strategici che comportino la collaborazione tra le

diverse risorse e competenze presenti nei nostri Dipartimenti e Atenei;Ñ il confronto e la collaborazione con i colleghi docenti impegnati nell’approfondimento

delle specifiche didattiche disciplinari;Ñ un confronto sistematico con gli insegnanti, i docenti i dirigenti, gli operatori impegnati

nei settori dell’educazione, dell’orientamento, della formazione professionale e azien-dale.

INCENTIVANDOÑ un uso appropriato e rigoroso dei metodi qualitativi e quantitativi e delle tecniche di

misura e dei nei processi di valutazione di tutto ciò che attiene l’insegnamento, l’edu-cazione, la formazione, l’orientamento e la programmazione, sia nella scuola che nel-l’extrascuola e nell’università;

Ñ la produzione e il collaudo di materiali didattici, anche multimediali, e di strumenti perla comunicazione educativa; lo sviluppo e il perfezionamento dei metodi, delle tecnichee delle procedure organizzative per l’apprendimento on line; le indagini sulla più correttaed efficace utilizzazione degli strumenti telematici applicati all’insegnamento e all’edu-cazione.

CONTRIBUENDOÑ al dibattito sulle riforme della scuola e del sistema formativo nazionale, sulla qualità del-

l’insegnamento, sulla formazione iniziale e continua degli insegnanti, sugli sviluppi del-l’università e sui grandi temi della politica scolastica e universitaria in Italia e in Europa;

Ñ alla costruzione di proposte, basate sui risultati della ricerca scientifica, ai diversi livelliistituzionali, che decidono sulle politiche educative del nostro paese.

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RicercheLa cultura al centro.Quale rapporto tra scuola ed eventi culturali?

Culture at the core.What relationship between school and cultural events?

L’articolo presenta una ricerca didattica cheha analizzato i rapporti tra la scuola e glieventi culturali e la relazione tra gli appren-dimenti formali e quelli informali. Attraver-so la somministrazione di strumentiquali-quantitativi ci si è interrogati su comela scuola costruisca la sua relazione con glieventi e i beni culturali e su come riesca adaccogliere le esperienze culturali degli allievifacendole diventare luogo di rielaborazionee spazio di connessione culturale. La ricercaha evidenziato il ruolo del progetto educa-tivo per trovare negli eventi culturali unanuova linfa di attualità, lo sfondo culturaledei quotidiani accadimenti. L’insegnante cheprogetta decide come agire consapevolmen-te con gli eventi culturali e con il territorio.La natura istituzionale della scuola saràl’anello di congiunzione tra la casualità el’imprevedibilità e la progettazione lineareed ordinata.

Parole chiave: didattica, evento culturale,progettazione, scuola, cultura

The article presents an educational research ThatAnalyzed the relationship between the school andthe cultural events and the relationship betweenthe formal and the informal learning. With qual-itative tools and quantitative tools we asked howthe school builds the relationship with culturalevents and cultural heritage. Cultural experiencesof the students become the place of reflection andspace of cultural connection. Research has foundthe role of the educational project to find a newlife in the cultural events of the day and the cul-tural background of the events. The teacher designsthe conscious action with cultural events and withthe territory.

Key words: teaching, cultural event, edu-cational design, school, culture, education

RENZA CERRI • VALENTINA GENTA • ANDREA TRAVERSO*

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

* Renza Cerri ha scritto il paragrafo 1, Valentina Genta il paragrafo 4 e Andrea Traverso i paragrafi 2 e 3.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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La cultura al centro.Quale rapporto tra scuola ed eventi culturali?

1. Introduzione e fondamenti teorici

Se l’interazione scuola – cultura è questione riconosciuta, anche storicamente, sia in pro-spettiva di analisi sociale sia secondo un’ottica educativa, l’introduzione nella letteratura pe-dagogica della locuzione “evento culturale” non è altrettanto chiara e consolidata.

Due esemplificazioni distinte per ambito disciplinare: Durkheim agli inizi del Novecentodescrive l’istituzione scolastica come il luogo della trasmissione culturale tra generazioni,come tale costitutiva della società in cui si situa; con sguardo pedagogico De Giacinto (1999,p.158) descrive la didattica come sapere scientifico (“dominio culturale”) che ha il compitoprecipuo di “elaborare la trasmissione della cultura” per generare e sostenere la capacità el’esercizio del pensiero.

A quale cultura si fa riferimento? In senso lato e con giustificazione teorica all’espres-sione della vita spirituale e materiale di una comunità umana, in pratica, spesso, al corpus disaperi strutturati e organizzati secondo logiche disciplinari con l’accento sulla dimensionetrasmissiva delle conoscenze piuttosto che su quella generativa della cultura. Desumiamodagli scritti di Bruner (2001) che cultura e educazione sono legati non solo da questioni dicontenuto, ma da aspetti relativi alla concezione del mondo e dell’uomo abitatore e co-struttore “culturale” di esso anche se non sempre ne vediamo gli esiti pratici nella scuola.

Quando introduciamo il concetto di evento all’interno della riflessione didattica accet-tiamo di addentrarci in uno spazio che, seppure circoscritto, definito e riconoscibile, si apreall’imprevisto, alla creatività, alla scomposizione e ricomposizione di percorsi e processi, alcostante gioco reciproco dell’oggettività progettata e della soggettività sorprendente. Allestireun ambiente di apprendimento significa anche saper gestire la costante dinamicità fra pro-getto ed evento (Cerri, 2007), assumere gli artefatti funzionali a favorire i processi appren-ditivi non solo quelli appositamente “distillati”, ma il magmatico, complesso, profondooceano della cultura umana. Non a caso Simone Weil (1949) accusava quale “male” dellamodernità l’istruzione, contrapponendola all’autentico accesso alla cultura inteso come frui-zione personale e intimamente motivata attraverso l’ “attenzione”, tensione-verso, spaziomentale e interiore fatto libero di accogliere quanto di significativo ci viene incontro. Lacaratteristica della significatività è ciò che fa risaltare l’evento dallo sfondo del quotidiano.

A maggior ragione quando il riferimento è all’evento culturale. In questo caso, tuttavia,l’atteggiamento mentale più comune porta a ritenere che si entri nell’ambito del cosiddetto“extrascolastico”, dell’educazione informale, i cui attori per elezione non sono gli insegnantima gli artisti, i comunicatori, i progettisti di eventi, appunto, lungo tracce che viaggiano inparallelo alla scuola e, per convenzione di ordine geometrico, proprio per questo rischianodi incontrarsi solo all’infinito, fuori della nostra portata contingente. È anche vero che eventoculturale è diventato ormai una sorta di termine-ombrello: infatti lo strumento di indagine

di cui si leggerà nelle pagine successive si avvale dell’organizzazione di una sorta di catalogodi eventi culturali debitamente trascelti all’interno di più ampie catalogazioni (Argano etal., 2005) proprio per delimitare spazi ed esperienze con l’accuratezza necessaria agli obiettividi ricerca.

La domanda centrale verte su grado e livello di connessione effettiva, di integrazione, direciproco riconoscimento tra il mondo-scuola e il mondo-eventi, tra l’esperienza scolasticadei soggetti (allievi e insegnanti) e la/e loro esperienza/e culturale/i in senso proprio. Cisono due operazioni che per un verso accomunano, per altro pongono elementi di distinzionefra l’uno e l’altro “mondo”: la progettazione e la fruizione. L’azione didattica, comunque siconfiguri, è progettata: la competenza progettuale in senso pieno (che comprende anchel’agire e il valutare) è quanto contraddistingue la pratica professionale dell’insegnante. Ognimomento scolastico è quindi progettato, sia pure secondo diversi gradi di sistematicità. Lastessa cogenza progettuale caratterizza la “messa in scena” di ogni evento culturale (Cerri,2008). Il concetto di fruizione, invece, richiede chiavi di lettura più sottili: è indubbiamenteapplicabile all’evento culturale, nei cui confronti può assumere forme diverse, ma sempre ne-cessariamente contraddistinte dalla partecipazione attiva, coinvolgente ed emotivamente con-trassegnata per cui il significato più prossimo è “godere”. Anche nella scuola l’esperienza diapprendimento viene “fruita” dagli allievi, ma in questo caso, dati i limiti di autonomia, scelta,partecipazione personale, interesse originario che contraddistingue almeno la routine scola-stica, il significato più consono è invece “trarre giovamento”. Nel primo caso la molla del-l’apprendimento è interiore e gratuita, nel secondo utilitaristica e in buona parte esteriore.

Osservando il rapporto “professionale” che lega l’insegnante all’evento possiamo volgerel’attenzione sia all’evento didattico sia all’evento culturale. La progettazione e la gestione dieventi didattici sono la ragion d’essere peculiare dell’insegnamento, come tale richiamanoattorno a sé le competenze-chiave dell’insegnante. Tuttavia nel quadro del sistema formativointegrato (Frabboni, 1989) sempre più facilmente richiesto dalle logiche della complessità,dal prevalere dell’informale sul formale, dalla forza e diffusione di molteplici linguaggi estrumenti comunicativi e interattivi, l’insegnante non può chiudersi nei recinti della pro-gettazione didattica intra moenia, e si trova a confrontarsi con un’offerta culturale che nonè pensata per i tempi e gli spazi della scuola, ma che è spesso occasione di apprendimentoe spazio esperienziale importante per i bambini, i ragazzi, i giovani.

L’evento culturale, sia esso recuperato dall’offerta culturale di un territorio o di un ambitodi espressione artistica ecc., sia prodotto a partire da interessi, intuizioni, elementi di creatività,suggestioni maturati all’interno dell’esperienza scolastica, è una cruciale occasione di ap-prendimento che coinvolge e fa incontrare alla pari studenti e insegnanti. Partecipare (contutta l’ampiezza e profondità che il termine implica) ad un evento culturale amplia gli spazidi conoscenza, offre tracce per la scoperta, consente di “guardarsi attraverso l’evento” perconoscere le proprie emozioni, ri-conoscersi quindi, come pure recuperare attraverso espe-rienze coinvolgenti conoscenze fin lì poco significative. Infine apre, quasi costringe, ad unadinamica riflessiva troppo spesso assente dalla didattica tradizionale. Se poi l’evento non èsolo fruito, ma progettato e prodotto, si mette in azione tutta la catena dell’apprendere ri-cercando, creando, facendo, riflettendo, sulla quale la ricerca di tutte le scienze sociali e del-l’educazione ha indagato e generato importanti risultati a partire da Dewey, per arrivare allecontemporanee indagini sul post-costruttivismo e sull’enattivismo (Rossi, 2011).

In questa prospettiva l’insegnante, ancora una volta, è sospinto a ridisegnare il suo ruoloe a riqualificare la sua professionalità. Dovrà fare i conti con la sua capacità (presente o as-sente, perseguita o contrastata) di progettare l’azione didattica avvalendosi di eventi culturali,

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

nonché di divenire competente nella progettazione condivisa (con colleghi e studenti) diessi. In sintesi: così come progetta un evento didattico l’insegnante può e deve mettere ingioco competenze di progettista con gli eventi culturali e di eventi culturali. A che puntosia la questione ci aiutano a capirlo i dati dell’indagine che segue, pur nei limiti che si espli-citeranno.

2. La ricerca

A partire dai presupposti teorici espressi in precedenza, la ricerca si è proposta di analizzare laconfigurazione, nelle prassi e nelle dimensioni progettuali, del rapporto tra gli apprendimentiformali (specifici del contesto scolastico) e gli apprendimenti informali (attribuibili agli eventied ai beni culturali ed alla loro fruizione). Attraverso la somministrazione di strumenti di in-dagine e rilevazione quali-quantitativa (intervista semi-strutturata e analisi delle progettazioni)si è indagato su come la scuola costruisca la sua relazione con gli eventi e i beni culturaliofferti dalle agenzie, associazioni, compagnie, istituzioni presenti sul territorio e come la scuolariesca ad accogliere le esperienze culturali degli allievi facendole diventare luogo di rielabo-razione e spazio di connessione di “saperi monumento” e di “saperi evento”.

Il campione

La ricerca è stata attivata sul territorio ligure coinvolgendo alcune scuole che, liberamente,hanno deciso di aderire al progetto su invito. In fase di costruzione del campione non è statadata prevalenza a nessuna variabile significativa ma esclusivamente al desiderio delle singolescuole di partecipare coinvolgendo di conseguenza gli insegnanti che meglio potessero rap-presentare l’impegno della scuola verso gli eventi culturali. Questa scelta ha guidato il cam-pione verso un profilo di insegnante aderente agli obiettivi del progetto di ricerca ma, proprioin virtù di questa condizione, rappresenta un campione significativo il cui contributo è fruttodi una attenzione costante ai temi e di un modello etico-valoriale-culturale condiviso.

Complessivamente sono state coinvolte 41 scuole diversamente distribuite a livello pro-vinciale, e 90 insegnanti.

Tab. 1 : Scuole ed insegnanti coinvolti nella ricerca

Le caratteristiche del campione coinvolto evidenziano, da subito, un profilo di insegnantecon una rilevante esperienza professionale (M: 17,7 anni), facendo presupporre che propriola consolidata esperienza consenta di impegnarsi con facilità, consapevolezza e disinvolturain attività trasversali ed integrative; ed un forte radicamento degli insegnanti sul territorio,impegnati in attività culturali e nell’organizzazione di eventi e progetti.

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Metodologia e strumenti

Per la raccolta dei dati è stata utilizzata un’intervista semi-strutturata, creata dallo staff diricerca dopo due interventi di “test pilota”, che ha inteso indagare i seguenti ambiti:

Tab. 2 . Ambiti di ricerca

In questo articolo saranno presi in considerazione solamente questi quattro ambiti di ri-levazione al fine di trarre alcune conclusioni preliminari e destinando ad ulteriori e futureproduzioni scientifiche un’ampia analisi delle dimensioni progettuali e didattiche (dimensioniqualitative della ricerca) con le relative ricadute metodologico-didattiche. Le interviste sonostate somministrate nell’anno scolastico 2011-12 dai componenti dello staff di ricerca conla collaborazione di alcuni studenti dei corsi di laurea triennale e magistrale di Scienze Pe-dagogiche e della laurea magistrale di Scienze della Formazione Primaria, formati e orga-nizzati all’interno di un laboratorio di ricerca afferente alla cattedra di Didattica degli Eventiculturali e di Didattica Generale.

La prima necessità, di ordine concettuale, metodologico e di riflessione, che la ricerca harichiesto, è stata la creazione di un lessico ordinato e comune: cosa si intende per eventoculturale? Quali tipologie di evento culturale possiamo riconoscere e, di conseguenza, va-lutare come proposte didattiche? Rimandano la prima questione al prossimo paragrafo, nellatabella seguente (n.3) si propone una catalogazione di eventi, che non ha finalità di classifi-cazione o gerarchizzazione (Argano et al. 2005, p.21) ma ha consentito agli insegnanti in-

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tervistati di avere un quadro il più ampio possibile delle diverse proposte culturali e dellaloro afferenza ad un particolare ambito. In questo modo si è cercato di evitare possibili frain-tendimenti di attribuzione, di definizione delle categorie, garantendo quindi una equilibrataarmonia di sfondo culturale. Al contempo una così dettagliata proposta ha consentito ai do-centi di prendere coscienza della parcellizzazione degli eventi e di tutte le possibili specifi-cità.

Tab. 3: Ambiti e tipologie di evento culturale (cfr. Argano et aa. 2005, p.22)

3. L’analisi dei dati

Sono state identificate, dall’analisi qualitativa delle risposte degli insegnanti alla prima do-manda (In base alla sua esperienza quale definizione darebbe di evento culturale?), nove di-verse categorie di lettura, corrispondenti alle possibili declinazioni dell’evento culturale.L’unione del termine “evento” con “culturale” rimanda all’immaginario dei «patrimoni edei giacimenti culturali» (Cerri, 2008, p. 37) intesi come esemplificazione di una società, diun’occasione di innesco sociale, educativo e formativo. Nell’evento culturale sono in rela-zione la storia, le persone e i territori (naturali o antropizzati) in un dispiegarsi continuo ditradizione ed innovazione. Dall’analisi testuale sono emerse queste categorie:• patrimonio culturale " dimensione storica;• contesto culturale " spazi fisici, luoghi e contesti dell’evento culturale ed oggetto cul-

turale;

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• saperi formali e saperi informali " rapporto tra eventi e saperi;• paradigmi educativi, formativi e informativi " evento come progetto educativo, forma-

tivo ed informativo intenzionale;• partecipazione e collettività " evento di tutti, evento bene comune;• emozioni " emozioni come strumento di relazione e valutazione dell’evento;• ludicità e creatività " forme di mediazione dell’evento culturale;• territorio e spazio " evento e dimensioni ambientali;• società " evento per tutti.

L’ambito di maggiore rilievo (23%) trasferisce l’immagine dell’evento culturale comeuna situazione afferente ad uno specifico ambito/contesto culturale («è un evento teatraleo musicale”; “tutti quegli eventi che in un contesto preciso affrontano temi culturali») evi-denziando dei limiti nella percezione globale e sistemica dell’atto creativo e culturale. Conpercentuali leggermente inferiori le altre risposte rimandano:• all’idea di saperi e curriculum (15%) («apre orizzonti nuovi di conoscenza e motiva la

modifica di se stessi», «momento preposto ad arricchire curricolo e conoscenze»);• al patrimonio culturale (14%) («manifestazione che prende in considerazione alcuni aspet-

ti, li vuole valorizzare e rivivere»; «un momento in cui si riflette su quelle che sono letradizioni e i pilastri della nostra civiltà»);

• all’evento come occasione per educare, formare e informare (13%) («manifestazione incui si impara qualcosa», «evento che influisce sulla formazione e sugli interessi persona-li»);

• alla valorizzazione della dimensione partecipativa (10%) («momento di ritrovo, è unoscambio che arricchisce, non si è solo passivi», «qualsiasi proposta pubblica aperta a tuttio una platea scelta con qualche criterio che traduca in spettacolo fatti, contenuti, cono-scenze in qualsiasi percorso disciplinare»);

• alla promozione della dimensione territoriale (9%) («coinvolge scuola, territorio, la scuolacome accrescimento del territorio», «evento che può interessare diversi settori, che hauna ricaduta sul territorio e può coinvolgere persone legate al territorio stesso e/o espertia carattere nazionale e internazionale»);

• alla dimensione sociale (9%) («ciò che ha ricaduta sul sociale, parte da esso e vi ritornaper l’ accrescimento di conoscenze, saperi, esperienze», «qualcosa che succede nel mondoche avviene vicino ai bambini in modo tale che loro lo comprendano»);

• alla dimensione ludico-ricreativa (5%) («un evento nel quale gli alunni possono averenozioni di cultura unite al divertimento», «manifestazione extrascolastica di una attivitàdi approfondimento di varie discipline o di attività ricreative»);

• alla dimensione emotiva (2%) («qualcosa che riesce a coinvolgere emotivamente una clas-se», «qualunque iniziativa che provochi curiosità, desiderio di conoscere e emozioni»).

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

Graf. 1: Le definizioni di “evento culturale”

La seconda e terza domanda richiedevano di quantificare la partecipazione ad uno o piùeventi, a titolo personale o di docente accompagnatore della classe, negli ultimi due anni(scala likert 0-3: nessuno, uno, due o tre, quattro o più). Il campione, considerando rilevantela partecipazione ad almeno due eventi/anno, ci rivela uno spiccato interesse personale versoil mondo dello spettacolo (86%), delle arti (79%) e del marketing territoriale (81%), oltre aduna evidente estensione dell’attività lavorativa e degli interessi professionali con la parteci-pazione a convegni (84%), e iniziative formative (83%). Gli unici ambiti che risultano esseremarginali sono gli eventi afferenti ai comparti architettura (13%), e moda (8%), entrambi daconsiderarsi ambiti che non rientrano nelle tradizioni del territorio ligure.

Graf. 2a: La partecipazione degli insegnanti agli eventi culturali

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Analizzando anche i dati ripartiti per ordine di scuola (graf. 2b) emergono alcune speci-ficità, probabilmente da imputare alla natura del ruolo professionale (intesa come tipologiadi scuola in cui si insegna e maggiore disciplinarizzazione delle scuole secondarie) oltre chealle caratteristiche personali (e del territorio sociale e culturale di riferimento che contri-buisce a vincolare e contingentare l’offerta culturale). Nello specifico si può notare (rispettoalle percentuali dell’intero campione):• un impegno maggiore dei docenti delle scuole secondarie di II grado in convegni (+8

%), formazione (+5%), eventi artistici (+9%), storico-politici (+11%), e letterari (+11%);• una predominanza di attenzione delle maestre e dei maestri in iniziative di promozione

e marketing del territorio (+5%), sportive (+14%) e afferenti al terzo settore (+11%).

Graf. 2b: La partecipazione degli insegnanti agli eventi culturali per ordine di scuola

Le attese della ricerca sottendono, tuttavia, un possibile trasferimento degli interessi personalialla sfera professionale, presagendo ed auspicando che un docente possa trovare nell’incontrodidattico, formativo ed educativo con gli studenti l’occasione per condividere passioni ed op-portunità culturali. Il profilo culturale dell’insegnante dovrebbe generare uno sviluppo con-temporaneo con i saperi, la ricerca nel “fuori”, nell’extrascolastico di contenuti, linguaggi, spazie messaggi che sappiano intercettare i desideri comunicativi dei bambini e dei giovani. L’equi-librio tra il sapere (l’evento interpretato come una lezione semi-frontale svolta in territorio“neutrale”) e le dimensioni emotive e sociale (la logica dello spostamente dei saperi nella città,nei luoghi della città, la dimensione partecipativa e dinamico della cultura) deriva anche dallacompetenza dell’insegnante di divenire mediatore di significati ed intenzioni, che siano espres-sione di una umanità e di una professionalità manifestate ed agite.

Assumendo l’assoluta predominanza del comparto dello spettacolo come maggiore at-trazione (71%), risultano graditi e frequentati anche gli eventi di natura artistica (52%), lemanifestazioni sportive (48%), gli eventi letterari (48%) e le occasioni formative (48%) a te-stimonianza della naturale continuità di interessi e, forse, di una peculiarità di offerta delterritorio.

22

Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

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Graf. 3a : La partecipazione degli insegnanti con la classe agli eventi culturali

Dall’analisi specifica degli ordini di scuola emergono alcune differenze che possono esserericondotte ai diversi rapporti con il territorio e all’insistenza delle scuole nel tessuto sociale,associativo e culturale. Tradizionalmente la scuola primaria sembra essere più vicina alle ini-ziative locali, specialmente se localizzate in piccoli comuni o nelle delegazioni – anche invirtù, molto spesso, di un diretto coinvolgimento dell’insegnante in ruoli culturali di rilievonella comunità (es. presidenti di associazioni culturali o esponenti della vita politica del co-mune) – e meno direttamente coinvolta in grandi eventi centralizzati. In particolare è pos-sibile notare:• un maggiore impegno delle classi delle scuole secondarie in attività convegnistica e for-

mativa (con un richiamo evidente alle performance scolastiche ed all’auspicabile avan-zamento del “programma” e dell’acquisizione di saperi disciplinari);

• una particolare attenzione della scuola primaria alla tematiche ambientali, agli eventi al-l’aperto ed alle manifestazioni sportive (anche a fronte di un notevole e spesso incessantecoinvolgimento delle associazioni ambientali e sportive del territorio che vedono nellascuola primaria il contesto privilegiato in cui agire con una maggiore facilità e semplicitàdi proposte);

• non è stata dichiarata neppure una occasione di partecipazione ad eventi afferenti al mon-do della moda di nessun ordine scolastico coinvolto nella ricerca (come abbiamo già det-to, anche per l’evidente povertà di proposte nel tessuto economico ligure);

• gli eventi religiosi sono invece preferibilmente frequentati dalla scuola primaria, essendoancora consolidato il legame con le parrocchie e le attività di catechismo che impegnanoi ragazzi sino al Sacramento della Comunione.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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Graf. 3b : La partecipazione degli insegnanti con la classe agli eventi culturali per ordine di scuola

Per poter approfondire le modalità con cui gli insegnanti “incontrano” gli eventi culturaligià dalla fase di raccolta delle prime informazioni abbiamo domandato al campione (scalalikert 0-3 frequenza: mai, talvolta, spesso, sempre) quali fossero i principali canali di comu-nicazione utilizzati al fine di verificare i livelli di efficacia dell’azione informativa (persona-lizzazione e selettività del contatto, stimolo all’azione). Nell’ipotizzare i diversi canali di unmarketing mix così complesso ed articolato (che utilizza linguaggi non sempre compresidall’istituzione scolastica) abbiamo tenuto conto dei fattori di consegna postale, distribuzionesul territorio, convenzioni e co-marketing, in-bound e out-bound, utilizzo delle tecnologiee del web, campagne di promozioni stabili o mobili (Argano et al., 2005, pp. 243-245).

Il dato (considerando le risposte positive spesso e sempre, in grafico 6) conferma la realtàvariegata della scuola che ricerca e riceve comunicazioni multi formato, che arrivano tramitevolantini e materiale cartaceo (72%), dalla rete (67%), da rapporti personali (60%) basati sullaconoscenza e sulla fiducia.

Da quanto emerge in profondità (grafico 7) i canali riconosciuti come maggiormenteefficaci sono i contatti formali tra la scuola e gli organizzatori (29,4%) e la comunicazionecartacea (22,8%), sicuramente “arretrata” rispetto al flusso di informazioni accessibile in rete.I canali ritenuti meno efficaci ed adeguati sono la televisione (0,6%) e la radio (0,4%), pro-babilmente a causa di uno scarto evidente tra la portata dei eventi del territorio (molto lo-calizzati) e la diffusione nazionale della maggior parte delle emittenti televisive. La scelta difruizione di un evento culturale è determinata dal significato stesso di cultura e dall’accezionee dal valore che ciascun insegnante assegna e traferisce al proprio agire didattico. Un eventoculturale può assolvere ad alcune funzioni (sociale, politica, culturale) e «nasce come bisognosociale di aggregazione, partecipazione, diffusione culturale dal basso» (Cerri, 2008, p. 45).

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso & & & & & & & & & && & & & & & & & & & & & & && & & & & & & &

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Graf. 5 : Valutazione di efficacia degli strumenti di comunicazione degli eventi

Il compito dell’insegnante, come abbiamo visto, è anche quello di responsabile mediatoredi significati culturali che opera la scelta di un evento piuttosto che un altro. Il campionetestimonia che la qualità (98%) e la rilevanza culturale (94%) sono ancora principii ineludi-bili. Dai dati (scala likert 0-3 frequenza: mai, talvolta, spesso, sempre) emergono, tuttavia,interessanti spunti di riflessione:• sono prese fortemente in considerazione le variabili organizzative: i tempi (74%), l’ac-

cessibilità degli spazi (69%) e i costi (69%);• non sembrano tenuti in considerazione gli interessi degli studenti (importanti solamente

per il 32% degli intervistati), delle famiglie (18%) e la natura politica di un evento cul-turale (20%).

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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Graf. 4 : Come raccolgono le informazioni gli insegnanti

Analizzando i dati per ordine di scuola emergono differenze ascrivibili a quanto riscon-trato in precedenza: la diversa età degli studenti; le diverse possibilità di mobilità, la vicinan-za/distanza dagli eventi; la loro capacità di lettura del mondo, di espressione di sé e delleproprie idee; la ricerca di eventi “speciali” che possano essere reali occasioni di apprendi-mento e non “momenti di svago”, diversivi piacevoli alle regolari lezioni.

Graf. 6a : Indicatori di scelta di un evento culturale

Graf. 6b : Indicatori di scelta di un evento culturale per ordine di scuola

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

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Questa sezione dell’intervista ha inteso confrontare ed analizzare gli ipotetici piani difattibilità (nel caso della fruizione e nel caso della progettazione, cercando di considerarnetutte le variabili (Argano et al., 2005, p.110): la fattibilità pratica, la convalida delle strategiedi progettazione ed ideazione, la scelta/individuazione/accessibilità della location, i com-portamenti di relazione e comunicazione del/con l’oggetto culturale promosso. I dati (scalalikert 0-3 frequenza: mai, talvolta, spesso, sempre) palesano le reali difficoltà che gli insegnantidevono superare per coniugare l’apprendimento situato in aula e l’apprendimento in contestiextrascolastici. La fattibilità viene, quindi, principalmente misurata in termini di accessibilità(54%) e di costi (59%), anche se percentuali di maggiore oggetto di riflessione (soprattuttoipotizzando un rinnovato dialogo tra dentro e fuori e uno slancio partecipativo nella co-struzione di oggetti culturali) sono quelle della scarsa collaborazione dei colleghi (17%),dell’urgenza destinata al programma ed alla sua realizzazione nei tempi previsti (14%) e diun eccessivo numero di proposte presenti sul territorio per le quali non è possibile attuareuna strategia di benchmarking e comparazione che risulterebbe onerosa, anche temporalmente(graf. 7a). Anche in questo caso l’analisi dei dati suddivisi per ordine scolastico mette in lucealcune interessanti specificità della scuola secondaria di II grado. Negli istituti superiori sem-bra maggiormente critico un lavoro di progettazione con i colleghi e le caratteristiche delleclassi (livelli di rendimento e modalità di comportamento che mettono a rischio una gestioneserena di una possibilie uscita didattico-culturale). Nella scuola primaria le problematichesembrano meno evidenti, anche dal punto di vista percentuale, sia per la natura strutturaledi questo ordine di scuola che per le modalità di progettazione, azione e valutazione deidocenti, naturalmente inseriti in eventi didattici più complessi dal punto di vista dell’archit-tettura e della scenografia didattica.

Graf. 7a : Ostacoli alla fruizione di un evento culturale

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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Graf. 7b : Ostacoli alla fruizione di un evento culturale per ordine di scuola

Non diversamente si esprime il campione rispetto alle condizioni avverse che ostacolanola progettazione degli eventi culturali in ambito scolastico (promossi con - dalla/e classe/io, in alternativa, dall’istituto). Anche in questo caso le problematiche sono prevalentementedi ordine economico (costi 62 %) e di scarsa/difficile raggiungibilità delle sedi in cui glieventi si realizzano (distanza 34 %, tempi 16%). Le implicazioni economiche possono averedue diverse nature: la prima, più generale, intende non gravare sulle casse della scuola e nonincidere sui bilanci familiari; la seconda, invece, mira a valorizzare l’operato e l’impegno deidocenti che nella maggior parte delle situazioni “offrono” il tempo della progettazione eprogrammazione dell’evento in forma gratuita o non significativamente retribuita.

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

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Graf. 8a : Ostacoli alla progettazione di un evento culturale

Graf. 8b : Ostacoli alla progettazione di un evento culturale per ordine di scuola

4. Conclusioni

La scuola può essere considerata come l’epicentro dello sguardo culturale delle attuali ge-nerazioni verso il futuro attraverso una co-progettazione (implicita od esplicita) che derividall’incontro asimmetrico dei ruoli e delle responsabilità, dal passaggio di testimonianza trale generazioni, accettando la sfida costante di essere «contenitore di condivisione di codicie simboli funzionali alla vita dell’uomo» (Rosati, 1998, p.105). Il dialogo con il territorio èspesso irto di asperità, date dalla diversa natura dei contesti (formale ed informale, istituzio-nale e familiare, aperto e chiuso, flessibile ed ancorato) e da stili e linguaggi comunicativiprofondamente diversi.

In mezzo è posizionata la responsabilità educativa dell’insegnante chiamato ad offrire aipropri studenti un costante ed evolutivo rapporto con il sapere, con le competenze, con lacultura che si possa esprimere all’interno di una dimensione cittadina e di una cultura abi-tativa. L’atto dell’ “abitare”, del restare in forma stabili contribuisce ad agganciare la culturaai luoghi, persevera in un processo intergenerazionale di radicamento flessibile e di innestoequilibrista. L’evento, in questa situazione di fragilità diffusa, è la manifestazione di un im-pegno che qualcuno ha accettato di assumersi; è la visione di storie e porzioni di futuro chesi intendono anticipare “qui ed ora” a chi avrà la voglia (la necessità, l’ardire e la fortuna) diessere presente.

Dall’interpretazione dei dati emerge che la scuola costruisce la sua relazione con gli eventie i beni culturali secondo logiche di efficienza, regolate da un rapporto diretto tra il “fare ascuola”, un fare ascritto a finalità prevalentemente disciplinari, e le possibilità di un “fare al-l’esterno della scuola”. I principi e gli obiettivi di efficacia sembrano secondari, nonostanteil POF e i progetti didattici possano trovare negli eventi culturali una nuova linfa di attualità,lo sfondo culturale dei quotidiani accadimenti, la decisione progettuale da compiere consa-pevolmente e responsabilmente.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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Per quanto riguarda la seconda domanda di ricerca (come la scuola riesce ad accoglierele esperienze culturali degli allievi facendole diventare luogo di rielaborazione e spazio diconnessione di “saperi monumento” e di “saperi evento”) è possibile evidenziare una ten-denza “parallela”. La possibilità di trasferire le esperienze degli studenti all’interno dellascuola, connetterle con i saperi disciplinari e accordarle alle risorse interne ed esterne (Pel-lerey, 2004) per l’acquisizione di competenze è direttamente collegata e vincolata alla stessaprocedura per gli insegnanti. La loro capacità di mediare i saperi personali, di rielaborarli ela condivisione di spazi di culturali con gli studenti faciliterà la creazione di incontro e co-struzione di nuovi saperi.

La natura istituzionale della scuola sarà l’anello di congiunzione tra la casualità e l’im-prevedibilità della cultura personale e la progettazione didattica lineare ed ordinata: accettarequesta sfida è prima di tutto un investimento per il bene comune.

Bibliografia

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Renza Cerri, Valentina Genta, Andrea Traverso

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RicercheAggressività e intelligenza emotiva:quale relazione?

Aggressiveness and emotional intelligence:what relationship?

La presente ricerca esamina la relazione traIntelligenza Emotiva e manifestazione dicomportamenti aggressivi. Il presupposto dibase è che la mancanza di competenza emo-tiva sia un fattore fortemente coinvolto nellamanifestazione di comportamenti ostili. Diconseguenza, si rende necessaria l’attuazionedi programmi educativi di sviluppo emotivoche insegnino ai soggetti aggressivi la gestio-ne dei propri comportamenti. La famiglia ela scuola possono giocare un ruolo chiavenella gestione dei comportamenti ostili pro-prio per la loro funzione di agenzie di so-cializzazione.

Parole chiave: aggressività, intelligenza emo-tiva, scuola, famiglia, prevenzione, interven-to

This research examines connection between Emo-tional Intelligence and aggressive behaviors. Themain thesis is that lack of emotional skills is animportant cause in hostile behaviors and so it’snecessary to improve emotional training to teachviolent people how to manage their behaviors. Re-ally due to their socializing function, family andschool can play a key role in the management ofaggressive behavior.

Key words: aggressiveness, emotional in-telligence, school, family, prevention, train-ing

KARIN BAGNATO

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • VI • 10 / GIUGNO • 2013

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Aggressività e intelligenza emotiva:quale relazione?

1. Quadro teorico di riferimento

L’interesse per lo studio del comportamento aggressivo non è nuovo. Infatti, numerose sonole ricerche che hanno cercato di capire come e perché un comportamento aggressivo nasce esi mantiene nel tempo (i.e. Reid, Patterson, 1989; Campbell, 1995; Hughes et al., 2000; Boret al., 2001). In particolare, la ricerca su gli agenti responsabili del comportamento aggressivoha messo in evidenza che non esistono cause dirette, univoche ed unidirezionali che deter-minano l’emissione di comportamenti ostili, ma la loro manifestazione è fortemente corre-lata all’interdipendenza di molteplici fattori inerenti sia le caratteristiche ambientali sia lavulnerabilità costituzionale.In relazione alle variabili individuali responsabili del comportamento aggressivo, l’ap-

proccio socio-cognitivo ipotizza l’esistenza di carenti processi inerenti l’elaborazione del-l’informazione (Dodge, 1986). Ovvero, tale modello ritiene che l’aggressività sia il risultatodi deficit o distorsioni nel processo di elaborazione dell’informazione sociale (Crick & Dod-ge, 1994). Nello specifico, si suppone che i soggetti aggressivi facciano un uso fortementeselettivo delle informazioni sociali, orientandosi prevalentemente verso stimoli aggressivi,piuttosto che fare uso di una vasta gamma di informazioni o effettuare valutazioni sulle con-seguenze di questi comportamenti. Tale predisposizione implica che, di fronte alle differentisituazioni sociali, la capacità di scegliere risposte valide ed efficaci decresce in relazione alladiminuzione della quantità di soluzioni possibili che il soggetto ha la capacità di prevedere(Milich e Dodge, 1984; Dodge, 1986).Nei soggetti aggressivi, tale deficit potrebbe essere attribuito ad esperienze maturate in

ambiti sfavorevoli di apprendimento che determinerebbero insufficienze globali nell’ambitodelle funzioni conoscitive, aventi come conseguenza possibili deviazioni del normale svi-luppo di un valido ed appropriato schema di comprensione e di organizzazione delle azioniumane (McKeough, 1994). Ciò sembrerebbe confermato anche da Randall (1997), il qualesostiene che i soggetti aggressivi non sarebbero capaci di rappresentarsi i pensieri, i desiderie le emozioni altrui e si costruirebbero una immagine degli eventi e delle loro conseguenzesolo dal loro punto di vista, cioè non sembrerebbero in possesso di una valida “teoria dellamente” circa le interazione sociali (Hazler, 1996; Sutton, 1999). Più recentemente, Lemerise e Arsenio (2000) hanno proposto un modello esplicativo

sull’aggressività che integra processi cognitivi ed emotivi. Secondo gli autori, le differenzeindividuali nei processi di elaborazione dell’informazione sociale potrebbero essere correlatea differenze nella gestione e regolazione delle emozioni. Ovvero, la gestione e la regolazionedelle emozioni potrebbero influenzare la codifica e l’interpretazione dei cues sociali, e la ca-pacità di prendere decisioni sociali.L’attribuzione delle emozioni, dunque, si verrebbe a configurare come un fattore critico

dei risultati comportamentali e svolgerebbe una funzione adattiva. Se un individuo è capace

di cogliere gli indizi esteriori di uno stato emotivo, che, in quanto percettivamente identi-ficabili si prestano ad una immediata codifica, sarà anche avvantaggiato nell’interpretazionee nell’attribuzione degli stati intenzionali sottostanti, non sempre altrettanto immediatamenteosservabili (Filippello et al., 2007). A questo punto resta da chiarire se si realizza prima il processo di codifica delle emozioni

o quello delle intenzioni. È ormai risaputo che, generalmente, la percezione delle intenzionie delle emozioni avvenga contemporaneamente (Schultz et al., 2000). È stato, però, appuratoche i soggetti potrebbero codificare adeguatamente l’emozione, fallendo nell’attribuzionedell’intenzionalità. Ciò evidenzia, quindi, la necessità di considerare entrambi i processi comeconnessi, ma distinti (Dodge et al., 2002). In particolare, la generalizzazione della percezionedi rabbia potrebbe essere una conseguenza di un’irregolarità nel processo di elaborazionedell’informazione sociale che determinerebbe l’attivazione di un meccanismo di interpre-tazione delle intenzioni distorto a causa di un’inaccurata codifica dei segnali esterni del-l’emozione attivata (Lemerise, Arsenio, 2000; De Castro et al., 2003; Lemerise et al., 2005).Tutto ciò favorirebbe, in soggetti maggiormente predisposti, l’innalzamento dei livelli di ag-gressività anche in contesti di per sé neutri (Fine et al., 2003; Fine et al., 2004). In sintesi, l’attività di codifica delle emozioni riveste un ruolo fondamentale quale ele-

mento predittivo per l’evoluzione delle traiettorie evolutive del soggetto; anche se non èancora ben chiaro se tale compito anticipa sempre quello di comprensione emotiva oppurese, quando si tratta di emozioni complesse, il processo non si realizzi in maniera inversa.Le emozioni, dunque, rivestono un ruolo molto importante in quanto sono, general-

mente, considerate i motori del comportamento umano. Indagini recenti (Dodge, 1991; Hubbard, Coie, 1994; Crick, 1996; Fabes et al., 1999;

Duan, 2000; Eisemberg et al., 2000) sullo sviluppo delle abilità di problem solving socialehanno sottolineato che i processi di regolazione emotiva possono costituire dei fattori criticiper l’evoluzione del comportamento sociale e per il benessere psico-fisico dell’individuo.In particolare, l’idea che l’attivazione incontrollata della reattività emotiva non contribuiscaad una vita soddisfacente emerge più chiaramente negli studi sull’Intelligenza Emotiva. Ed è proprio su questo aspetto che ci si vuole soffermare maggiormente poiché si pensa

possa rivestire un ruolo fondamentale nel favorire l’emissione di comportamenti aggressivio socialmente funzionali.Il concetto di Intelligenza Emotiva nasce nel 1990 ad opera di Salovey e Mayer che la

definiscono come la capacità di monitorare e dominare le emozioni proprie e altrui, di di-scriminarle tra loro e di usare queste informazioni per guidare il pensiero e l’azione. Alla base di questa definizione vi è la convinzione che non solo le emozioni non disturbano

l’efficace approccio razionale alla risoluzione dei problemi, ma, al contrario, permettono diinterrompere l’azione diretta ad un obiettivo, per spostare l’attenzione e focalizzarla su qualcosadi vitale importanza per l’individuo: in questo senso, le emozioni forniscono importanti co-noscenze sulla relazione della persona con il mondo esterno (Mayer, Salovey 1997). È stato, però, Goleman (1997, p. 54) a rendere più popolare il concetto di Intelligenza

Emotiva definendola come “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire unobiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione,di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, diessere empatici e di sperare”. In altre parole, Goleman definisce l’Intelligenza Emotiva nonsolo come un insieme di competenze psicologiche (percezione, espressione, comprensione),ma anche come un complesso di abilità sociali, motivazionali e operative necessarie per ilnostro benessere. Tali abilità sono la capacità di percepire accuratamente, valutare ed espri-mere emozioni; la capacità di accedere e/o generare le emozioni che favoriscono i processidi pensiero; la capacità di comprendere le emozioni e ciò che concerne la conoscenza emo-

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tiva; la capacità di regolare le emozioni che favoriscono la crescita emotiva e intellettiva, ecc.Tutte queste abilità sono acquisite durante il processo di socializzazione, in particolare nelperiodo che va dalla nascita alla pubertà. Tenendo in considerazione questi presupposti, è facile dedurre l’interdipendenza esistente

tra Intelligenza Emotiva e aggressività che proprio negli ultimi decenni è stata oggetto dinumerose ricerche (i.e. Cook et al., 1994; Bohnert et al., 2003; Schultz et al., 2004; Hansenet al., 2007; Downey et al., 2008; Downey et al., 2010; Garaigordobil et al., 2010; Elipe etal., 2012; Kokkinos, Kipritsi, 2012; Lomas et al., 2012). Ciò che è emerso è che i soggettiaggressivi manifestano deficit di attenzione, bassi livelli di competenza sociale e scarsa re-sponsività empatica. In particolare, sembrerebbe che mostrino difficoltà nell’identificazionedei cues emotivi, nella comprensione emotiva e nell’elaborazione delle emozioni.Per ciò che concerne la capacità di identificare i cues emotivi, alcune ricerche (Camras

et al., 1988, 1990; Russel, Widen, 2002) hanno messo in evidenza che i soggetti aggressivisono poco competenti nel riconoscimento delle espressioni mimiche facciali e nella comu-nicazione verbale delle emozioni. Ciò è tanto più vero nel riconoscimento e nell’etichet-tamento dell’emozione di rabbia. A tale proposito, gli studiosi sostengono che i soggettiaggressivi hanno una percezione errata dei cues connessi alla rabbia che li porta a riconoscerlaanche quando è rappresentata un’emozione diversa o ad attribuirgli un’emozione differentequando è raffigurata (Lemerise, Arsenio, 2000; Lemerise et al., 2005). L’incapacità di identificare i cues emotivi ha notevoli ripercussioni anche sulla compren-

sione emotiva e, più specificatamente, sulla capacità di riconoscere le emozioni complesse,sull’abilità di individuare la situazione che determina un cambiamento nello stato emotivoe, infine, sulla capacità di gestire le proprie emozioni a livello sia intrapersonale sia interper-sonale (i.e. Cook et al., 1994; Bohnert et al., 2003; Schultz et al., 2004.). Non sempre l’espressione dell’emozione è così inequivocabilmente identificabile. Infatti,

esistono delle emozioni definite complesse che sono caratterizzate da espressioni piuttostocontenute e che si manifestano in modo meno eclatante. La capacità di riconoscerle poggiasu un’accurata cognizione sociale, cioè su quel bagaglio di competenze cognitive utili a for-mulare un’efficace teoria della mente (Menesini et al., 2003; Grazzani Gavazzi, 2004). In re-lazione ai soggetti aggressivi, tale competenza sembrerebbe essere compromessa poichérichiederebbe attenti e sofisticati processi di codifica dei cues e degli eventi, solitamente de-ficitari o settorializzati nei soggetti aggressivi (Dodge, 1986, 1991; Crick, Dodge, 1994). An-che la difficoltà di individuare la situazione che determina il cambiamento di uno statoemotivo iniziale in un uno ad esso conseguente sembrerebbe essere dovuta a distorsioni nelprocesso di elaborazione dell’informazione sociale. Infatti, tale capacità presuppone processicognitivi complessi (es. comprensione dei pensieri, delle credenze e delle intenzioni altrui)che nei soggetti aggressivi sembrerebbero essere compromessi da modalità attentive e per-cettive limitate (Dodge, 1991; Cook et al., 1994).In riferimento alla capacità di gestione delle emozioni, gli studi in questo settore (Bierman

et al., 1993; Fabes et al., 1999; Eisemberg et al., 2000) hanno sottolineato che i soggetti aggressivimostrano carenze sia nella capacità di comprendere se stessi e di sapersi costruire un mondo in-teriore che gli offra stabilità e serenità emotiva sia nella capacità di comprendere gli altri, i loroproblemi, i loro atteggiamenti, i loro sentimenti, ecc. Ciò sembrerebbe imputabile ad un’erratadecodifica del contesto, a sua volta attribuibile a deficitari processi cognitivi coinvolti nell’attri-buzione delle emozioni (Dodge, 1986; Crick, Dodge, 1994; Dodge et al. 2003).Tutte queste carenze si ripercuotono sui processi di elaborazione delle emozioni. Infatti,

l’incapacità di riconoscere i cues emotivi e una errata comprensione emotiva potrebbero de-terminare un processo di attribuzione disfunzionale delle emozioni, in particolare della rab-bia (i.e. Zillmann, 1979; Berkowitz, 1990), che sarebbe il frutto di una cattiva interpretazione

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degli eventi dovuta, a sua volta, ad una deficienza cronica nella gestione degli stimoli a livellocognitivo (Crick, Dodge, 1994). È facile dedurre che la presenza di tutte queste difficoltà inficia notevolmente la capacità

dell’individuo di percepire, analizzare e produrre specifici comportamenti finalizzati alla rea-lizzazione di appropriati scambi sociali. Inoltre, gli studi in questo settore (Mayer et al., 2004;Mayer et al., 2008) hanno messo in evidenza che gli individui con un buon livello di Intelli-genza Emotiva sono generalmente più consapevoli delle proprie emozioni e sono in grado digestirle in modo più efficace rispetto ai soggetti che manifestano comportamenti aggressivi.Così come è stato dimostrato che gli individui con un’alta Intelligenza Emotiva sono più pro-pensi a riferire di riuscire a instaurare relazioni positive con gli altri e meno inclini a segnalareinterazioni negative rispetto ai soggetti aggressivi (Eisenberg et al., 2000; Lopes et al., 2003). In sintesi, ciò che emerge è che l’Intelligenza Emotiva risulta fondamentale per il benes-

sere psico-sociale dell’individuo poiché la sua evoluzione favorisce la capacità dell’individuodi adattare il proprio comportamento alla situazione specifica e alle esigenze del gruppo, inaltre parole promuove la capacità di assumere comportamenti adattivi (Sastre, Moreno, 2002;Segura, Arcas, 2005; Ulutas, Omeroglu, 2007).La ricerca di seguito presentata si colloca in questo filone di indagine e vuole offrire un

ulteriore contributo all’analisi delle competenze emotive in soggetti con diversa frequenzadi comportamenti aggressivi.

2. Impostazione metodologica della ricerca

Scopo della ricercaLo scopo della ricerca era quello di esaminare la relazione tra Intelligenza Emotiva e ma-

nifestazione di comportamenti aggressivi in classe, anche in riferimento alla variabile genere. In modo specifico, la ricerca si prefiggeva di indagare se, ed eventualmente in quale mi-

sura, era possibile riscontrare differenze nelle capacità emotive di soggetti che mettevano inatto comportamenti disadattivi con quelle di soggetti che non ne manifestavano.

Partecipanti, metodo e proceduraSelezione del campione: all’indagine hanno partecipato 235 soggetti frequentanti le classi I,

II e III media, e di età compresa tra gli 11 e i 13 anni. Al fine di selezionare i soggetti conun’alta frequenza di comportamenti aggressivi, è stata condotta un’osservazione sistematicain classe che ha previsto la somministrazione di 2 scale di valutazione relative alla manife-stazione di comportamenti aggressivi ed oppositivi (Filippello, Fiorentino, 2008). Ogni scaladi valutazione (ciascuna composta da 10 item) aveva come obiettivo di misurare la frequenzacon cui si esternalizzavano i comportamenti aggressivi (verbali e fisici) ed oppositivi neiconfronti sia dei compagni sia degli insegnanti. L’osservazione è stata effettuata da due osservatori esterni alla classe ed è stata condotta

per una settimana di seguito, per circa 3 ore al giorno e in momenti diversi della giornataal fine di annullare gli eventuali effetti di disturbo dovuti a fattori temporali (orari dellagiornata) e individuali.Gli osservatori dovevano segnare su un’apposita scheda, tutte le volte che si manifestava,

uno dei comportamenti indicati nella scala. Se un determinato comportamento si verificavaper più di 5 volte nell’arco della giornata, l’osservatore non era tenuto a segnarlo ulterior-mente perché ciò indicava che quest’ultimo era ampiamente presente e consolidato nel re-pertorio comportamentale del soggetto.Prendendo in considerazione l’emissione e la frequenza dei comportamenti aggressivi

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ed oppositivi si è effettuata la selezione del campione e la formazione dei gruppi. Nellospecifico, sono stati definiti “aggressivi” i soggetti che avevano messo in atto il numero piùelevato di comportamenti disadattivi (range da 200 a 300 nella settimana di osservazione),mentre sono stati denominati “non aggressivi” i soggetti che avevano emesso il numero piùbasso di comportamenti disadattivi (range da 0 a 30 nella settimana di osservazione). Natu-ralmente, si è tenuto conto anche dell’indice di accordo tra i due osservatori che è risultatoessere compreso tra l’80% e il 90%.In relazione ai suddetti criteri, dai 235 soggetti sottoposti all’osservazione, è stato estra-

polato un campione costituito da un totale di 56 soggetti, di cui 28 “aggressivi” e 28 “nonaggressivi”. Entrambi i gruppi sono stati appaiati per genere ed età.Alla fase di campionamento, è seguita la valutazione delle competenze emotive dei sog-

getti “aggressivi” e “non aggressivi” al fine di metterne in evidenza analogie e differenze.Strumenti: all’intero campione, dunque, è stato somministrato il test “Sviluppare l’intel-

ligenza emotiva” di D’Amico e De Caro (2008). Tale test si ispira al modello elaborato daMayer e Salovey (1997) e consiste in un programma multimediale che mira alla valutazionee al potenziamento dell’Intelligenza Emotiva. Nello specifico, ai fini della ricerca è stata uti-lizzata solo la parte relativa all’assessment che era composta da quattro test (Percezione, Uso,Comprensione, Gestione). Il Test di Percezione valutava la capacità di percepire, discriminare ed etichettare figure

di volti, paesaggi e brani musicali che esprimono emozioni. Erano mostrate 3 raffigurazionidi volti e 3 di paesaggi, e fatti ascoltare 3 frammenti di brani musicali. Al soggetto era chiestodi scegliere, tra le varie emozioni elencate, quella che meglio si correlava all’espressione fac-ciale, al paesaggio o al brano corrispondente. Il Test Uso valutava la capacità di avvalersi delle emozioni per promuovere alcune attività

cognitive, come il pensiero e il problem solving emotivo. Date 6 ipotetiche situazioni pro-blematiche, al soggetto era chiesto di individuare le emozioni che il protagonista della storiaavrebbe potuto provare. Tra il ventaglio di emozioni presentate, ne poteva scegliere solo due.Il Test di Comprensione era suddiviso in due parti. La prima, valutava la capacità di com-

prendere che gli stati emotivi possono subire delle variazioni. Erano proposte 3 ipotetichesituazioni problematiche, ciascuna delle quali composta da tre vignette. Al soggetto eranopresentate la vignetta iniziale e quella finale e gli veniva chiesto di identificare, tra quattroopzioni di risposta, quella che avrebbe potuto determinare il cambiamento di uno statoemotivo iniziale in uno ad esso conseguente. La seconda parte valutava la capacità di rico-noscere gli stati emotivi complessi come risultato di più emozioni. Erano proposte 3 situa-zioni problematiche e al soggetto era chiesto di indicare, tra quattro opzioni di risposta,quella che meglio rispecchiava lo stato emotivo del protagonista.Infine, vi era il Test di Gestione, anche questo suddiviso in due parti. La prima valutava la

capacità dei soggetti di gestire le proprie emozioni sul piano intrapersonale. Date 3 situazioniproblematiche, al soggetto era chiesto di identificare tra quattro opzioni di risposta quella chemeglio poteva mantenere, smorzare o migliorare uno specifico stato emotivo. La seconda partevalutava la capacità dei soggetti di gestire le proprie emozioni sul piano interpersonale. Pre-sentate 3 situazioni problematiche, al soggetto era chiesto di indicare, tra quattro opzioni dirisposta, la strategia di coping più funzionale per la soluzione della situazione presentata.

Procedura: un osservatore esterno, che non aveva partecipato alla fase di selezione delcampione, ha somministrato il test ad ogni soggetto individualmente e la somministrazioneè stata preceduta da istruzioni relative alle modalità di risposta e da informazioni sui conte-nuti delle diverse aree d’indagine, al fine di favorire la motivazione e la partecipazione attivaall’esperienza. Ad ogni risposta data dal soggetto è stato attribuito un punteggio grezzo: 1 aquella corretta, 0 a quella errata.

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3. Analisi dei risultati

L’analisi dei dati è stata effettuata con l’ausilio del software statistico SPSS Windows 17.0(Statistical Package for Social Sciences). Per verificare le differenze esistenti tra i due gruppi (aggressivi vs non aggressivi) è stata

condotta un’analisi descrittiva dei punteggi ottenuti nelle diverse prove. Inoltre, si è ritenutoopportuno effettuare i confronti, entro e tra i gruppi, con il test Mann-Whitney U al finedi evidenziare le differenze significative esistenti. Tutti i risultati sono stati corretti con laformula di Bonferroni.

Test di PercezioneIl Test di Percezione valutava la capacità dei soggetti di individuare, discriminare ed eti-

chettare figure di volti, paesaggi e brani musicali che esprimono emozioni. Per quanto concerne l’attribuzione di emozioni a raffigurazioni di volti, non sono state

evidenziate differenze significative tra soggetti “aggressivi” e “non aggressivi” relativamentealle espressioni facciali n.1 e n.3. Infatti, entrambi i gruppi non mostrano alcuna difficoltànel decodificare le emozioni di gioia e sorpresa. Un quadro diverso, si presenta per l’etichettamento della rabbia (espressione facciale n.2).

In particolare, il gruppo dei “non aggressivi” la riconosce con maggiore facilità rispetto aicoetanei “aggressivi” (M=,79; DS=,414) (z= -3,873; p<,001). All’interno del gruppo degli“aggressivi”, inoltre, i maschi riconoscono la rabbia più delle femmine (M=,57; DS=,504)(z= -3,750; p<,001). Ulteriori differenze sono state riscontrate tra femmine “aggressive” e“non aggressive” (M=,61; DS=,504) (z= -4,180; p<,001), quest’ultime sono più competentinel riconoscimento dell’emozione di rabbia.Per ciò che riguarda l’attribuzione di emozioni a figure di paesaggi, non sono emerse

differenze significative né tra i gruppi né al loro interno, in quanto tutti i soggetti appaionoin possesso di adeguate abilità cognitive necessarie alla decodifica delle emozioni (nello spe-cifico: tristezza, paura e disgusto). Relativamente alla capacità di attribuire stati emotivi a brani musicali, sono state rilevate

differenze tra i tre diversi frammenti musicali. Nel brano n.1 e n.2, emergono differenze tra i due gruppi di riferimento: nel primo brano,

i soggetti “aggressivi” hanno maggiore difficoltà a riconoscere l’emozione di gioia (M=,86;DS=,353) (z= -3,028; p<,001), mentre, nel secondo brano, hanno difficoltà a riconoscerel’emozione di collera (M=,21; DS=,414) (z= -3,873; p<,001). Al contrario, nel riconoscimentodell’emozione tristezza (brano n.3) non sono emerse differenze tra i gruppi.Inoltre, l’analisi dei risultati non ha rilevato differenze né all’interno dei singoli gruppi

(aggressivi e non aggressivi) né di genere (maschi vs femmine).

Test usoIl Test Uso valutava la capacità dei soggetti di avvalersi delle emozioni per promuovere

alcune attività cognitive, come il pensiero e il problem solving emotivo. Nelle situazioni n.1, n.4, n.5 e n.6 non sono emerse differenze: infatti, entrambi i gruppi

hanno indirizzato le loro risposte sulle emozioni corrette: sorpresa e gioia (situazione n.1),gioia e rabbia (situazione n.4), rabbia e disgusto (situazione n.5) e paura e rabbia (situazionen.6). Al contrario, nelle situazioni n.2 e n.3 sono emerse differenze significative. Infatti, ilgruppo dei “non aggressivi” ha riconosciuto le emozioni corrette nelle situazioni presentate[paura e gioia nella situazione n.2 (M=,61; DS=,493) (z= -5,966; p<,001); gioia e tristezzanella situazione n.3 (M=,57; DS=,499) (z= -6,423; p<,001)].All’interno del gruppo degli “aggressivi”, emergono differenze di genere per quanto ri-

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guarda il riconoscimento della gioia e della rabbia (situazione n.4). Infatti, le femmine otten-gono punteggi più alti rispetto ai maschi (M=,54; DS=,508) (z= -4,837; p<,001). Ulteriori differenze sono state riscontrate mettendo a confronto le femmine di entrambi

i gruppi. Le femmine “non aggressive” presentano migliori performance nelle situazioni n.2e n.3 in quanto non mostrano difficoltà nel riconoscimento delle emozioni sia di paura egioia (M=,57 ; DS=,504;) (z= -4,500; p<,001) sia di gioia e tristezza (M=,61; DS=,497) (z=-4,180; p<,001). Al contrario, nella situazione n.4, in cui era richiesto di riconoscere le emo-zioni gioia e rabbia, hanno ottenuto punteggi maggiori le femmine “aggressive” (M=,64;DS=,488) (z= -3,873; p<,001).

Test di comprensioneLa prima parte del Test di Comprensione valutava la capacità dei soggetti di comprendere

che gli stati emotivi possono subire delle variazioni.L’analisi dei dati ha evidenziato differenze tra i gruppi. In particolare, il gruppo dei “non

aggressivi” sembra riconoscere maggiormente la situazione che determina il cambiamentodi uno stato emotivo iniziale in uno ad esso conseguente, rispetto al gruppo degli “aggressivi”nelle situazioni 1 (M=,79: DS=,414;) (z= -3,873; p<,001) e 3 (M=,84; DS=,371) (z= -3,245; p<,001). Invece, all’interno dei gruppi, prendendo in considerazione la variabile ge-nere, non è emersa nessuna differenza significativa.La seconda parte del Test di Comprensione valutava la capacità dei soggetti di riconoscere

gli stati emotivi complessi come risultato di più emozioni.Il gruppo dei “non aggressivi” rispetto a quello degli “aggressivi” sceglie le emozioni

corrette (sorpreso e deluso) associate alle situazioni n.4 (M=,79; DS=,624) (z= -4,090;p<,001) e n.6 (M=,59: DS=,496) (z= -6,191; p<,001).In riferimento alla variabile genere, non sono state rilevate differenze all’interno del grup-

po degli “aggressivi”. Mentre differenze significative sono state rilevate tra femmine “ag-gressive” e “non aggressive”. In particolare, le femmine “non aggressive” riconosconoadeguatamente le emozioni di sorpresa e delusione nelle situazioni n.4 (M=,68; DS=,476)(z= -3,576; p<,001) e n.6 (M=,50; DS=,509) (z= -5,196; p<,001). Invece, i maschi “nonaggressivi” rispondono correttamente solo alla situazione n.6 (M=,68; DS=,476) (z= -3,576;p<,001).

Test di gestioneIl Test di Gestione valutava la capacità dei soggetti di gestire le proprie emozioni sia sul

piano intrapersonale sia su quello interpersonale. Per quanto riguarda la Gestione Intrapersonale, si rilevano differenze tra soggetti “ag-

gressivi” e “non aggressivi”. Nello specifico, i soggetti “non aggressivi” risultano maggior-mente competenti nel riconoscere e gestire le proprie emozioni nella situazione n.1 (M=,43;DS=,499) (z= -5,352; p<,001) e n.3 (M=,59; DS=,496) (z= -6,191; p<,001). Allo stessomodo, emergono differenze tra le femmine dei due gruppi di appartenenza: le femmine“non aggressive” rispetto a quelle “aggressive” rispondono correttamente nella situazionen.1 (M=,43; DS=,504) (z= -3,750; p<,001) e nella situazione n.3 (M=,50; DS=,509) (z=-5,196; p<,001). Anche i maschi “non aggressivi” risultano più competenti nella gestionedelle proprie emozioni nella situazione n.1 (M=,43; DS=,504) (z= -3,750; p<,001) e n.3(M=,68; DS=,476) (z= -3,576; p<,001). Relativamente alla Gestione Interpersonale, sono emerse differenze significative tra i

gruppi. Il gruppo dei “non aggressivi” rispetto a quello degli “aggressivi” rivela una maggioregestione interpersonale delle emozioni nella situazione n.1 (M=,84; DS=,371) (z= -3,245;p<,001), n.2 (M=,63; DS=,489) (z= -5,745; p<,001) e n.3 (M=,86; DS=,353) (z= -3,028;

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p<,001). Inoltre, tra i due gruppi sono state rilevate delle differenze di genere, ma solo nellasituazione n.5. Nello specifico, sia le femmine che i maschi “non aggressivi” si mostrano piùcompetenti nell’individuare la risposta corretta, rispetto alle femmine e ai maschi “aggressivi”(M=,68; DS=,476) (z= -3,576; p<,001); (M=,57; DS=,504) (z= -4,500; p<,001). In ultima analisi, inoltre, si è ritenuto opportuno prendere in considerazione i risultati

delle performances dei due gruppi (aggressivi vs non aggressivi) calcolando la M e la DSper tutti i test condotti (tab.1).

Tab. 1: statistiche descrittive dei punteggi ottenuti dai due gruppi in tutte le prove

L’analisi ha permesso di confermare le differenze esistenti tra i due gruppi nella totalitàdei risultati ai compiti proposti.

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AGGRESSIVI NON AGGRESSIVI M DS M DS

test

di p

erce

zion

e

espressione facciale (prova 1) 1,00 ,000 ,93 ,262 espressione facciale (prova 2) 1,00 ,000 ,57 ,504 espressione facciale (prova 3) 1,00 ,000 ,79 ,418 paesaggio (prova1) 1,00 ,000 ,86 ,356 paesaggio (prova2) 1,00 ,000 ,93 ,262 paesaggio (prova3) 1,00 ,000 ,86 ,356 brano (prova 1) 1,00 ,000 ,71 ,460 brano (prova 2) ,43 ,504 ,00 ,000 brano (prova 3) ,54 ,508 ,29 ,460

test

uso

prova 1 1,00 ,000 ,96 ,189 prova 2 1,00 ,000 ,21 ,418 prova 3 1,00 ,000 ,14 ,356 prova 4 ,32 ,476 ,54 ,508 prova 5 ,50 ,509 ,39 ,497 prova 6 ,07 ,262 ,07 ,262

test

com

pren

sion

e prova 1 1,00 ,000 ,57 ,504 prova 2 ,71 ,460 ,89 ,315 prova 3 1,00 ,000 ,68 ,476 prova 4 1,00 ,000 ,57 ,836 prova 5 1,00 ,000 1,00 ,000 prova 6 1,00 ,000 ,18 ,390

test

ges

tione

prova 1 ,79 ,418 ,07 ,262 prova 2 1,00 ,000 ,79 ,418 prova 3 1,00 ,000 ,18 ,390 prova 4 1,00 ,000 ,68 ,476 prova 5 1,00 ,000 ,25 ,441 prova 6 1,00 ,000 ,71 ,460

s più competenti nel riconoscere la suddetta emozione. Tale dato sembra avvalorare

l

4. Discussione e conclusioni

L’obiettivo della ricerca era quello di esaminare la relazione tra Intelligenza Emotiva e ma-nifestazione di comportamenti aggressivi in classe.Relativamente al Test di Percezione, non sono emerse differenze significative tra soggetti

“aggressivi” e “non aggressivi” circa la capacità di percepire, discriminare ed etichettare figuredi volti che esprimono le emozioni di gioia e tristezza. Al contrario, le differenze esistonocirca la capacità di attribuire l’emozione di collera: i soggetti “non aggressivi”, ed in parti-colare le femmine, si mostrerebbero più competenti nel riconoscere la suddetta emozione.Tale dato sembra avvalorare l’ipotesi secondo cui i soggetti “aggressivi” dispercepiscono leespressioni dell’emozione di rabbia, ovvero attribuiscono la collera anche quando è rappre-sentata un’emozione diversa o assegnano un’emozione differente alle espressioni di collera(Lemerise, Arsenio, 2000; Fine et al. 2004; Lemerise et al., 2005). Inoltre, questo risultatopotrebbe essere spiegato anche in relazione al fatto che i soggetti “non aggressivi” possonoessere maggiormente esposti alla rabbia dei compagni/amici; di conseguenza, imparano piùprecocemente a riconoscere i segnali facciali dell’espressione emotiva, probabilmente alloscopo di attivare adeguate strategie di coping per fronteggiare le situazioni stressanti. Per ciò che concerne la capacità di percepire, discriminare ed etichettare figure di paesaggi

che esprimono emozioni, non emergono differenze né tra i gruppi né al loro interno. Pro-babilmente, questa prova era poco sensibile a cogliere le differenze tra i gruppi in quanto leraffigurazioni di paesaggi difficilmente possono richiamare alla mente episodi conflittualivissuti con i coetanei o sicuramente in misura molto minore rispetto all’espressione diun’emozione raffigurata su un volto di un coetaneo.Differenze notevoli, invece, possono essere osservate nella percezione, discriminazione

ed etichettamento di brani musicali che suscitano emozioni. In questo caso, l’incapacità diindividuare le emozioni che in base al test erano corrette e, di conseguenza, la molteplicitàe diversità di risposte registrate potrebbe essere dovuta al fatto che la musica è un qualcosache riguarda la soggettività dell’individuo. Infatti, ognuno di noi può attribuire una valenzapositiva o negativa ad un brano nel momento in cui questo è ricondotto ad una specificasituazione di vita vissuta, indipendentemente dal livello di aggressività. In altre parole, lostesso brano può attivare emozioni diverse in soggetti differenti.Per ciò che concerne il Test Uso, ovvero la capacità dei soggetti di servirsi delle emozioni

per favorire alcune attività cognitive, il confronto fra soggetti “aggressivi” e “non aggressivi”mette in evidenza che, in buona parte delle situazioni presentate, non è possibile riscontraredelle differenze nelle risposte fornite. In particolare, sono emerse differenze tra “aggressivi”e “non aggressivi” solo nelle situazioni (n.2 e n.3) che prevedono l’interazione con l’altro.Evidentemente la capacità di stabilire e mantenere relazioni di amicizia è più elevata in bam-bini che mostrano un maggiore livello di condotte socialmente accettabili. Ad un esame più dettagliato delle sole risposte dei soggetti “aggressivi” emerge che

quest’ultimi sono in grado di analizzare una situazione sociale, seppur con qualche limita-zione. Nello specifico, l’analisi delle risposte mette in evidenza che gli “aggressivi” mostranodi essere parzialmente capaci di analizzare le situazioni di problem solving emotivo, identi-ficando un’emozione su due. Questi risultati confermano solo in parte le ipotesi di Dodge(1986; 1991) circa le ridotte abilità dei soggetti “aggressivi” di formulare una corretta deco-difica del contesto. Il fatto che siano, comunque, competenti nell’attribuire stati emotivi po-sitivi, potrebbe indicare che non si tratti solo di deficit a carico dei processi cognitivi implicatinell’elaborazione dell’informazione sociale, ma anche di una selettiva disabilità di analizzaregli episodi problematici, in particolare quelli legati alle situazioni che evocano paura e tri-

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stezza. Probabilmente, una minore attenzione verso le conseguenze delle loro condotte ag-gressive potrebbe spiegare perché si mostrino meno competenti proprio nell’attribuzionedegli stati emotivi altrui legati alla paura e alla tristezza. In riferimento al Test di Comprensione, e più specificatamente all’abilità dei soggetti di

comprendere che gli stati emotivi possono subire delle variazioni, si evince che sussistonodifferenze tra soggetti “aggressivi” e “non aggressivi”. Ciò lascerebbe supporre che i soggetti“aggressivi” siano meno capaci di decodificare in modo corretto gli stati emotivi altrui nelmomento in cui subiscono delle “trasformazioni”. Una situazione analoga si presenta circala capacità dei soggetti di comprendere che gli stati emotivi complessi sono il risultato dipiù emozioni che bisogna essere in grado di cogliere. L’analisi dei dati evidenzia la presenzadi differenze tra soggetti “aggressivi” e “non aggressivi”. Anche in questo caso, l’incapacitàdi decodificare adeguatamente la “trasformazione” degli stati emotivi e la difficoltà di com-prendere le emozioni complesse potrebbero essere dovute al fatto che queste abilità impli-cano processi cognitivi altamente funzionali che nei soggetti “aggressivi” potrebbero risultarecompromessi dalle loro modalità attentive e percettive limitate (Dodge, 1991; Cook et al,1994; Lemerise & Arsenio, 2000).Inoltre, quando l’emozione di collera era indicata tra le possibili opzioni di risposta (2

volte su 3), i soggetti “aggressivi”, indipendentemente dal genere, la scelgono prevalente-mente. Ciò conferma ulteriormente l’ipotesi che le maggiori differenze tra soggetti con altae bassa frequenza di comportamenti aggressivi riguardano la capacità di percepire l’emozionedi collera e di attribuirla a se stessi come emozione privilegiata che provano nelle situazioniproblematiche (Hughes et al., 2000; Schultz et al., 2000). Relativamente al Test di Gestione intrapersonale, è possibile individuare differenze tra

“aggressivi” e “non aggressivi”. In particolare, sembrerebbe che i soggetti “aggressivi” pre-sentino notevoli difficoltà nella regolazione consapevole delle proprie emozioni, ovvero mo-strino deficit sia nella capacità di monitorare le proprie emozioni al fine di riconoscerle sianella capacità di gestire le proprie emozioni al fine di moderare quelle negative e di man-tenere quelle positive. Ciò potrebbe significare che nei soggetti “aggressivi” vi sia la com-promissione di due abilità: la valutazione e la regolazione (i.e Schultz et al., 2004; Kokkinos,Kipritsi, 2012). La valutazione fa riferimento a quanta attenzione si presta al proprio statod’animo e a quanto questo sia influenzabile. La regolazione riguarda la capacità di migliorareuno stato di malumore, di mantenere uno stato di buon umore, di smorzarne uno di buonumore o di lasciar perdere lo stato dell’umore. Appare, dunque, plausibile che deficit inquest’ambito della competenza emotiva possano incrementare le difficoltà nella capacità diprevenire, ridurre, migliorare o modificare una risposta emozionale in se stessi; di aprirsi alconfronto; di monitorare e regolare le emozioni senza perderne il valore informativo, inmaniera riflessiva, così da promuovere la crescita emozionale ed intellettuale del soggetto(Lemerise, Arsenio, 2000; Eisemberg et al., 2000; Fabes et al, 1999).Anche nel Test di Gestione Interpersonale è possibile riscontrare differenze tra i gruppi:

nello specifico, sembrerebbe che i soggetti “aggressivi” manifestino difficoltà nella gestionedelle emozioni fondamentali nelle relazioni con gli altri e che, quindi, la messa in atto dicomportamenti aggressivi possa incidere sulla restrizione delle aspettative, delle attribuzionie delle valutazioni degli stati emotivi sperimentati dagli altri in situazioni problematiche.In relazione al modello cognitivo-comportamentale (Dodge, 1986; Crick, Dodge, 1994;

Dodge et al. 2003), tale difficoltà potrebbe essere dovuta all’incapacità di formulare una cor-retta decodifica del contesto che è, a sua volta, attribuibile a un deficit a carico dei processicognitivi implicati nell’attribuzione delle emozioni, considerato il primo passo del processodi elaborazione dell’informazione sociale e che si collega strettamente all’abilità di analizzaregli episodi problematici. In altre parole, i soggetti “aggressivi” sembrerebbero non essere abili

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nella comprensione delle emozioni proprie ed altrui (valutazione degli stati emotivi, elabo-razione delle informazioni contestuali, ecc.) e nella risposta alle situazioni problematiche. Ilfrequente ricorso a modelli comportamentali disadattivi, consolidati dalle precedenti espe-rienze interpersonali, potrebbero limitare la possibilità di analizzare e differenziare le singolesituazioni, e di adottare le strategie più idonee e funzionali.Si potrebbe, quindi, supporre che le precedenti esperienze conflittuali con coetanei ed

adulti abbiano consolidato l’aspettativa che il comportamento ostile possa scoraggiare glialtri dall’intraprendere azioni di disturbo. Di conseguenza, i soggetti “aggressivi” propende-rebbero verso la manifestazione di condotte antisociali, esibendo deficit non solo nei processidi decodifica delle informazioni sociali, quanto, soprattutto, nella capacità di elaborare unpensiero divergente funzionale allo sviluppo di un bagaglio di possibili risposte comporta-mentali di tipo assertivo e prosociale (i.e. Randall, 1997). In altre parole, il problema dei sog-getti “aggressivi” potrebbe risiedere non solo nella loro distorta percezione e valutazionedell’informazione sociale, ma anche nei loro devianti valori e credenze che li portano aduna differente analisi dei costi/benefici dei comportamenti aggressivi.Ma se alla base dell’origine e del mantenimento dei comportamenti aggressivi c’è l’in-

sufficiente sviluppo della regolazione emotiva, come si può intervenire?Sicuramente, l’attuazione di programmi e strategie educative miranti a diminuire la fre-

quenza dei comportamenti aggressivi quando si verificano è di fondamentale importanza;ma un ruolo altrettanto cruciale riveste la progettazione di nuovi approcci educativi centratisullo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva. Innanzitutto, bisognerebbe cominciare dall’ambito familiare poiché le abilità emotive si

apprendono dapprima in casa, e sono il prodotto di una buona relazione genitori-figli, e,successivamente, si generalizzano agli altri contesti.Sono, infatti, i genitori in primis che insegnano ai loro figli a riconoscere, identificare ed eti-

chettare le emozioni, e a correlare le emozioni alle differenti situazioni sociali. In altre parole,i genitori contribuiscono alla formazione di un bagaglio di conoscenze emotive di base. L’apprendimento e lo sviluppo dell’Intelligenza Emotiva possono essere realizzati anche

a scuola, mettendo in atto metodologie educative specifiche. È di fondamentale importanza,però, prestare molta attenzione affinché ciò avvenga in modo quasi naturale, non impositivo. Certo, non è corretto pensare che l’Intelligenza Emotiva possa essere insegnata come una

qualsiasi disciplina scolastica, ma il suo insegnamento potrebbe piuttosto avvicinarsi all’ideadi un allenamento per l’acquisizione di un’abilità sportiva. In questo senso, allora, come siallenano i muscoli per costruire la resistenza fisica, così si esercitano le abilità emotive per co-struire l’Intelligenza Emotiva.In questo senso, dunque, la scuola potrebbe configurarsi come luogo strategico per l’ac-

quisizione di un repertorio emotivo di base e per la costruzione dell’Intelligenza Emotiva.

5. Limiti della ricerca e sviluppi futuri

Il principale limite della presente ricerca è certamente costituito dall’esiguo numero delcampione che non consente una generalizzazione dei dati ottenuti. I risultati emersi, co-munque, incoraggiano ad investire ulteriori risorse per poter successivamente affrontare l’ar-gomento con un campione maggiormente significativo. Nonostante il ristretto numero dipartecipanti, è stato tuttavia possibile effettuare interessanti riflessioni.Un altro aspetto inerente il campione, riguarda il fatto di non averne preso in conside-

razione il livello socio-culturale. Nel prosieguo dei lavori sull’argomento, sarebbe auspicabileconoscere il livello socio-culturale, in particolare dei soggetti aggressivi, al fine di verificare

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l’esistenza di differenze nello sviluppo dell’Intelligenza Emotiva in relazione alla diversaestrazione socio-culturale. Anche l’uso di un solo strumento per la rilevazione dei dati potrebbe costituire un limite.

Sarebbe, dunque, preferibile in futuro condurre una ricerca in cui si adottano più strumentiche valutano le diverse abilità sottostanti l’Intelligenza Emotiva per ottenere un quadro piùesaustivo dell’oggetto d’indagine. Gli elementi di criticità fin qui evidenziati possono, comunque, essere considerati dei va-

lidi punti di riferimento per successivi sviluppi in quest’ambito di ricerca.

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Karin Bagnato

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RicercheLa validità di contenuto delle prove INVALSI di comprensione della lettura

Content Validity of INVALSI Reading Comprehension Tests

Questo lavoro analizza la validità di conte-nuto delle prove INVALSI di comprensionedella lettura. La duplicità nella finalità dellarilevazione (accountability delle scuole e va-lutazione diagnostica di studenti e studen-tesse) rischia di compromettere la validità dicontenuto degli strumenti di misura. In par-ticolare, la finalità di accountabilty rende im-possibile una valutazione che sia in grado diinformare nel dettaglio scuole e docenti sullivello di padronanza raggiunto nella com-prensione della lettura dalla popolazione stu-dentesca.

Parole chiave: valutazione, accountability,test, lettura, INVALSI, validità, validità dicontenuto

This paper attempts to evaluate the content va-lidity of reading comprehension tests administeredby INVALSI. INVALSI tests have two maingoals: school accountability and students’ diagnos-tic assessment. This paper shows how this dualpurpose threatens content validity of the INVAL-SI measures and how the goal of accountabilityprevents from informing schools and teachersabout students’ level in reading comprehension.

Key words: assessment, accountability, test,reading, INVALSI, validity, content validity

CRISTIANO CORSINI

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

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La validità di contenuto delle prove INVALSI di comprensione della lettura

Introduzione

I test INVALSI giocano un ruolo rilevante nell’esperienza di dirigenti, docenti e popola-zione studentesca. Somministrati alla fine dell’anno scolastico, in molti casi danno forma al-l’attività didattica già a partire dai mesi precedenti, anche attraverso l’impiego, nelle classi,di strumenti che addestrano alunne e alunni alla “prova finale” (ne è testimonianza l’ampiadiffusione di titoli come “Palestra per le prove INVALSI”). Considerata la centralità delleprove INVALSI, il presente lavoro intende offrire un contributo alla discussione della lorovalidità di contenuto, ovvero dell’adeguatezza con la quale gli item utilizzati rappresentanogli elementi del modello teorico di riferimento. Nello specifico, verranno analizzati i quesitifinalizzati, secondo il Quadro di riferimento del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV)per la prova di Italiano del 2012 (INVALSI 2011b), alla “valutazione della competenza dilettura” e, in particolare, verrà valutato l’equilibrio con cui i diversi elementi del modello dicomprensione della lettura scelto dall’Istituto sono rappresentati all’interno delle prove.

1. Finalità delle prove INVALSI

Discutere la validità di un test impone in primo luogo l’esplicitazione delle finalità dellamisurazione. Una prova è infatti valida se misura esattamente quello che, attraverso il suoimpiego, si intende misurare. La validità è dunque il grado di concordanza tra scopi ed esitidella rilevazione, un attributo relativo più che assoluto: ad essere validata non è mai unaprova in sé, ma l’interpretazione e l’uso dei risultati ottenuti attraverso il suo utilizzo. L’analisidella validità di uno strumento obbliga di conseguenza a continui rimandi tra determinatecaratteristiche della prova e la finalità del suo impiego, una sorta di passo a due in cui è peròlo scopo della rilevazione a dettare il passo.Già con la direttiva ministeriale n. 74 del 2008 all’INVALSI è affidato il compito di “ri-

levare gli apprendimenti degli studenti nei momenti di ingresso e di uscita dei diversi livellidi scuole, così da rendere possibile la valutazione del valore aggiunto fornito da ogni scuolain termini di accrescimento dei livelli di apprendimento degli alunni”. La finalità della ri-levazione è dunque la valutazione dell’efficacia delle scuole, incentrata sulla misurazione deiloro prodotti che, nella fattispecie, sono costituiti dai “livelli di apprendimento degli alunni”.Allo scopo di misurare il Valore Aggiunto l’Istituto ha approntato prove di italiano e mate-matica da somministrare rispettivamente nella scuola primaria (II e V classe), nella scuolasecondaria di primo grado (I e III), nella scuola secondaria di secondo grado (II). Nei sistemidi accountability che ne fanno uso, il Valore Aggiunto è ottenuto dalla differenza tra il pun-

teggio conseguito da un soggetto al termine di una prova standardizzata e il suo rendimentoatteso. Un istituto aggiunge valore all’incremento di conoscenze del singolo soggetto se ilrendimento finale di questi eccede quello atteso. Più semplicemente, prendendo in consi-derazione il modello base e prescindendo dall’aggregazione delle covariate, è possibile direche, a parità di rendimento in ingresso, ci si attende che due soggetti abbiano lo stesso ren-dimento in uscita e che la differenza effettivamente riscontrata viene attribuita all’incidenzadell’istruzione scolastica ricevuta.Tuttavia, a dispetto dell’obiettivo chiarito nella direttiva del 2008 l’INVALSI, nei docu-

menti che accompagnano la presentazione delle prove e la pubblicazione dei risultati, espli-cita una diversa finalità, richiamandosi a un modello di valutazione diagnostica e formativadi studentesse e studenti che è stato a sua volta recepito, accanto a quello originario, nellesuccessive direttive ministeriali (2011-2012). Così, nel Rapporto sulla rilevazione degli ap-prendimenti del 2010 (INVALSI, 2010, p. 50), i ricercatori dell’Istituto scrivono che “la fi-nalità della rilevazione degli apprendimenti è quella di fornire alle scuole indicazioni didettaglio sui livelli di conoscenza e competenza dei loro studenti a scopo essenzialmentediagnostico, cioè per mettere in evidenza, per ogni disciplina, le aree di relativa criticità e dieccellenza. In questo modo le scuole hanno la possibilità di programmare l’attività didatticaa partire da evidenze empiriche circa le reali esigenze dei loro studenti”. Emerge dunque una duplice finalità delle rilevazioni INVALSI, una possibile ambiguità

che colloca tali rilevazioni a metà strada tra accountability degli istituti e valutazione diagno-stico-formativa della popolazione studentesca e che rischia di mettere in discussione, con ilperché e il chi, anche il cosa e il come delle misure. Va detto che, a fronte di una misurazionedel Valore Aggiunto prospettata ma ancora di là da venire, l’Istituto persegue con una certacostanza la finalità di valutazione diagnostico-formativa. Così, nella restituzione dei risultati(supportata da una piattaforma di non difficile consultazione) l’INVALSI offre a scuole edocenti una informazione analitica rispetto alle prestazioni di studenti e studentesse segna-lando, item per item, lo specifico processo testato da ciascuna domanda, il suo livello di dif-ficoltà e le percentuali di risposte esatte fornite da ogni singola classe, confrontate con quelleottenute a livello di istituto e di sistema. Si tratta però di informazioni raccolte con prove anorma e non a criterio: esse consentono solo di confrontare le prestazioni rispetto a gruppidi riferimento, senza fornire indicazioni sul raggiungimento o meno di determinati obiettividi padronanza. Inoltre i tempi di somministrazione e, inevitabilmente, di restituzione, ren-dono poco agevole, se non impossibile, un uso formativo delle informazioni durante l’annoscolastico. Resta ancora da stabilire se l’ambivalenza nelle finalità delle rilevazioni INVALSI non si

traduca in un’ambiguità e, nel caso, come e quanto tale ambiguità si ripercuota sulla validitàdelle prove stesse. Per farlo è utile a prendere in considerazione gli elementi del costrutto dicomprensione della lettura e osservare come essi vengano rappresentati nel contenuto delleprove in esame.

2. Il costrutto alla base delle prove INVALSI di comprensione della lettura

Il presente contributo si incentra, come accennato, sulla validità di contenuto delle prove IN-VALSI di comprensione delle lettura e in particolare sull’equilibrio con cui gli elementi delcostrutto sono rappresentati all’interno delle prove. Anche se l’analisi della validità del modellodi riferimento impiegato dall’Istituto nella fase di costruzione delle prove non rientra tra gli

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scopi del lavoro è tuttavia opportuna una sintetica descrizione di tale modello. Nel “Quadrodi riferimento per la prova di Italiano 2012” la competenza di lettura è descritta come “com-prensione, interpretazione, riflessione e valutazione del testo scritto” (INVALSI, 2011b, p.3).Viene inoltre specificato che per comprendere, interpretare e valutare un testo “il lettore deveessere in grado di individuare specifiche informazioni, ricostruire il senso globale e il significatodi singole parti, cogliere l’intenzione comunicativa dell’autore, lo scopo del testo e il generecui esso appartiene”. Nel processo di definizione operativa della “competenza di lettura” l’Isti-tuto si richiama esplicitamente alle indagini comparative internazionali OCSE-PISA e IEA-PIRLS e, nello specifico, alla prima con maggior costanza, mentre i riferimenti alla secondasi limitano alla stesura del Quadro elaborato nel 2009 (INVALSI 2009). Proprio nel docu-mento del 2009 (p. 8) l’Istituto chiarisce che i processi di lettura vengono “analizzati secondoil modello della lettura sotteso alle indagini internazionali PIRLS e OCSE PISA e dimostratosimolto valido per analizzare punti di forza e di debolezza dei lettori”1 e che le domande dicomprensione della lettura del SNV sono tenute a valutare i processi di seguito riportati (p.10).

1. Individuare informazioni date nel testo.2. Formulare semplici inferenze.3. Elaborare una comprensione globale del testo.4. Sviluppare un’interpretazione, integrando informazioni e concetti presentati in diverseparti del testo.

5. Valutare il contenuto del testo, la lingua e gli elementi testuali.

In larga parte convergenti (tabella 1), i modelli alla base di PISA e PIRLS2 rappresentanoun compromesso tra le stringenti esigenze che caratterizzano indagini su larga scala orientatealla comparazione tra diversi sistemi educativi e gli sviluppi che hanno riguardato, tra glianni sessanta e gli anni novanta, le ricerche relative ai modelli processuali e alle abilità coin-volte nella comprensione della lettura. Una prima caratteristica che accomuna i due costrutti è il richiamo alla complementarietà

dei modelli di comprensione della lettura bottom-up e top-down. Il primo tipo di processo,induttivo, enfatizza la serialità della lettura e considera la comprensione attivata dalla raccoltadi informazioni dal testo: il soggetto acquisisce tali informazioni in ingresso per poi elaborarlee organizzarle. Nel secondo tipo di processo, deduttivo, assumono centralità le aspettative dichi legge, aspettative condizionate sia dalle conoscenze enciclopediche sia dalle conoscenzefonologiche, morfo-sintattiche e lessicali che rendono possibili nel soggetto l’attivazione dimeccanismi di inferenza e la rappresentazione del significato del testo o di parti di esso. Unruolo fondamentale nell’integrazione tra i due processi è giocato dalla teoria degli schemi,strutture interpretative e organizzative dei dati sensoriali e una particolare rilevanza assumeil modello elaborato da Just e Carpenter (1980), secondo cui la lettura è caratterizzata da un

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1 Con i processi vengono direttamente recepiti nel modello INVALSI anche i formati valutativi e le tipologietestuali delle due indagini.

2 Per PIRLS: Ina V.S. Mullis et alii, PIRLS 2006. Assessment framework and Specifications, Chestnut Hill, MA:Boston College, 2006; INVALSI, Ricerca internazionale IEA-PIRLS 2006. Rapporto nazionale, Armando,Roma, 2008. Per PISA: OCSE, Valutare le competenze in scienze, lettura e matematica. Quadro di riferimento diPISA 2006, Armando, Roma, 2007.

flusso di informazioni dal testo in un sistema in cui operano, in maniera equilibrata, sia pro-cessi bottom-up che, attivati dall’input sensoriale (percettivo), consentono il riconoscimentodi parole in maniera sequenziale, sia processi top-down che collocano quelle parole all’internodella struttura già elaborata3. I modelli di comprensione della lettura utilizzati in PIRLS e in PISA convergono anche

rispetto alla definizione operativa delle abilità coinvolte nel processo di comprensione. Daquesto punto di vista è possibile rintracciare le fondamenta dei processi testati dalle domandepresenti nei fascicoli delle due ricerche già nel lavoro di Davis (1968), che distingue quattrocapacità alla base dei processi di comprensione del testo (riconoscere singole parole o locu-zioni, ricostruire il significato del testo operando sulla base di indizi ricavati dal contesto;rispondere a domande relative a informazioni esplicitamente presenti nel testo; trarre infe-renze dal testo, rispondendo a domande relative a informazioni non esplicitamente presentinel testo). È però il lavoro di Rosenshine (1980) a svolgere un ruolo fondamentale. Purescludendo la possibilità di una tassonomia gerarchica dei microprocessi di comprensionedella lettura (in linea con quanto dimostrato dallo stesso Davis) Rosenshine propone, sullascorta del lavoro di Carver (1973), la seguente classificazione delle abilità di lettura incentratasulla distinzione tra leggere come decodifica (1 e 2) e leggere come abilità di ragionamento(reasoning, 3 e 4):

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Cristiano Corsini

3 Il richiamo all’integrazione tra bottom –up e top-down è esplicitato, per PIRLS, in Pavan De Gregorio (2007)e in Martin, Mullis, Kennedy (2003). Per quanto riguarda il framework PISA (OECD 1999), i due processisono assunti alla base della della definizione operativa degli aspetti della reading literacy. Tali aspetti vengonoinfatti ricavati sulla scorta di una prima distinzione tra “utilizzare informazioni dal testo” (Individuare infor-mazioni e interpretare il testo) e “attingere a conoscenze extra testuali” (Riflettere e valutare).

SNV (INVALSI) PIRLS (IEA, 9 anni) PISA (OCSE, 15 anni)

Individuare informazioni date nel testo

Ricavare informazioni e concetti esplicitamente espressi nel testo Individuare informazioni

Formulare semplici inferenze Fare inferenze

Elaborare una comprensione globale del testo

Interpretare e integrare informazioni e concetti

Interpretare il testo

(comprendendone il significato generale e le relazioni tra parti di esso)

Sviluppare un’interpretazione, integrando informazioni e concetti

Valutare il contenuto del testo, la lingua e gli elementi testuali

Analizzare e valutare il contenuto, la lingua e gli elementi testuali

Riflettere e valutare

(forma e contenuto del testo)

d

t

P PISA: OCSE, V

Tabella 1. Confronto tra gli elementi fondamentali dei modelli di comprensione della lettura.Dal 2009 i processi della reading literacy di PISA assumono le seguenti denominazioni:accedere alle informazioni e individuarle, integrare e interpretare ciò che si legge, riflettere e valutare

1. decodifica delle parole e determinazione del loro significato nella frase;2. collegamento del significato delle singole parole al significato globale della frase;3. comprensione del capoverso e di quanto contiene (l’idea principale, i rapporti di causa-effetto e di ipotesi-verifica, le implicazioni, le conclusioni non esplicitate, le idee collegate,anche solo indirettamente, con l’idea principale del paragrafo stesso);

4. valutazione delle idee sulla base di aspetti quali la logicità, il riscontro della prova, l’au-tenticità e i giudizi di valore.

L’influenza esercitata da questa classificazione sulla definizione operativa dei processi ap-pare evidente ed è esplicitata, per PIRLS, da Pavan De Gregorio (2007, p. 47): “rifacendociall’analisi sui processi di lettura riportata da Rosenshine, il PIRLS ha utilizzato un solo pro-cesso riconducibile all’abilità di decodifica, il primo, relativo alla capacità di ricavare infor-mazioni e concetti esplicitamente espressi nel testo, mentre ha dato maggiore rilevanza aiprocessi legati al reasoning, scegliendone addirittura tre: saper trarre inferenze, saper integraree interpretare, e saper valutare idee e aspetti testuali”. La stessa architettura è rintracciabile in PISA che, come accennato, esercita, a differenza

di PIRLS, un ruolo riconosciuto dall’INVALSI nello sviluppo della prove di comprensionedella lettura non solo nel primo Quadro di riferimento (2009) ma anche nei successivi. Vaperò segnalato come non manchino elementi per considerare non mutualmente esclusivi iprocessi di comprensione e in particolare le sottoabilità legate a meccanismi inferenziali.Così, l’esplicitazione dei processi del framework PISA operata nel Quadro di riferimento IN-VALSI per il 2010 (INVALSI 2009, pp. 9-12) sottolinea che i compiti relativi alla scala In-dividuare informazioni sono basati “sul testo stesso e sulle informazioni esplicitamente date inesso”, tuttavia tali informazioni possono essere espresse in forma “letterale o sinonimica”.Va ricordato che le riduzioni operative delle indagini internazionali hanno, come accennato,l’indubbio vantaggio di accordarsi con le esigenze di progetti che, a prescindere dalle ri-spettive peculiarità, puntano alla rilevazione su ampia scala e alla confrontabilità di sistemieducativi operanti in realtà culturalmente e linguisticamente differenti, mentre gli intenti divalutazione diagnostica svolgono un ruolo secondario (PIRLS) o sono del tutto assenti (PI-SA). In sintesi, la natura processuale della comprensione della lettura può conciliarsi soloentro certi limiti con la valutazione su larga scala e indirizzata alla comparazione dei sistemiscolastici (Intraversato 2012). Ma proprio l’accessorietà o l’assenza delle finalità diagnosticheattutiscono la problematicità legata all’architettura non mutualmente esclusiva dei diversiprocessi di lettura elaborati dai quadri di riferimento e delle relative sottoabilità, aspetto pe-raltro riconosciuto esplicitamente già nel framework PISA relativo al primo ciclo di indagine(OECD 1999, p. 29).Limiti a parte, va segnalato come i modelli utilizzati da OCSE e IEA rappresentino

un’evoluzione rispetto a quello messo a punto per la ricerca IEA-SAL IEA Reading LiteracyStudy, condotto per la parte italiana sotto il nome IEA SAL, Studio Alfabetizzazione Letturanel 1991. A costituire un fondamentale elemento di innovazione rispetto al modello SAL èl’introduzione dei processi incentrati sulla valutazione del testo che, richiedendo valutazionidella forma e del contenuto di quanto letto, impongono con maggior frequenza l’elabora-zione di risposte più o meno complesse da parte di studentesse e studenti. E proprio nell’in-serimento di risposte aperte (non necessariamente relative agli item di valutazione del testo)consiste l’altra novità di rilievo delle indagini PIRLS e PISA rispetto alla rilevazione SAL.Nel Rapporto tecnico 2012 l’INVALSI (2012b) lega ciascun quesito a tre distinti processi

di comprensione della lettura, parzialmente convergenti con quelli proposti dall’OCSE-PI-

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SA: Individuare informazioni, Ricostruire il significato del testo, Interpretare e valutare. Tuttavia l’Isti-tuto, forte della specificità culturale della rilevazione affidatagli, intende andare oltre e ar-ricchire il modello di riferimento costituito dalle indagini internazionali: “mentre,nonostante alcune differenze nella formulazione verbale, gli aspetti che le prove di letturaPIRLS e PISA si prefiggono di valutare sono sostanzialmente gli stessi, tra gli aspetti su cuiverte la prova INVALSI ne compaiono due che non trovano riscontro nei framework delleprove internazionali: essi sono la capacità di comprendere il significato di parole ed espres-sioni e la capacità di cogliere relazioni di coerenza e coesione testuale. Non a caso si trattadi dimensioni che sono strettamente legate alla semantica e alle strutture sintattiche e testualidi una particolare lingua e che, come tali, possono esser oggetto di valutazione in prove acarattere nazionale ma difficilmente potrebbero esserlo in prove che si rivolgono ai parlantilingue diverse” (INVALSI, 2012b, p. 2).Con l’aggiunta dei due aspetti sopra citati e differenziando la ricostruzione del significato

dell’intero testo da quella di parti distinte di esso l’INVALSI, nel Quadro di riferimento perla prova del 2012 (INVALSI, 2011b), distingue otto aspetti della comprensione della letturache i quesiti presenti nelle prove sono chiamati a rilevare. Gli otto aspetti e la loro aggrega-zione nei tre processi principali sono riportati nella tabella 2. La tabella 3 fornisce esempidei quesiti (tratti dalla Guida alla prova 2012 per la classe terza della scuola secondaria diprimo grado) per ciascuno dei tre processi.

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PROCESSI ASPETTI

Individuare informazioni 2 Individuare informazioni date esplicitamente nel testo.

Ricostruire il significato del testo

1 Riconoscere e comprendere il significato letterale e figurato di parole ed espressioni; riconoscere le relazioni tra parole. 3 Fare un’inferenza diretta, ricavando un’informazione implicita da una o più informazioni date nel testo e/o tratte dall’enciclopedia personale del lettore. 4 Cogliere le relazioni di coesione (organizzazione logica entro e oltre la frase) e coerenza testuale. 5a Ricostruire il significato di una parte più o meno estesa del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse. 5b Ricostruire il significato globale del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse.

Interpretare e valutare

6 Sviluppare un’interpretazione del testo, a partire dal suo contenuto e/o dalla sua forma, andando al di là di una comprensione letterale. 7 Valutare il contenuto e/o la forma del testo alla luce delle conoscenze ed esperienze personali (riflettendo sulla plausibilità delle informazioni, sulla validità delle argomentazioni, sulla efficacia comunicativa del testo, ecc.)

Tabella 2. Processi e aspetti della comprensione della lettura che le prove INVALSI

sono chiamate a testare secondo il Quadro di riferimento (INVALSI, 2011b)

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Processo Domanda

Tipo di testo, formato, aspetto, chiave

Descrizione del compito/Commento

Individuare informazioni

B7. Una delle soluzioni proposte per il problema del rilascio di CO2 nella produzione di idrogeno è di A. bruciarla in ambiente protetto nel momento stesso in cui viene generata B. trasformarla in vapore acqueo C. imprigionarla in giacimenti di combustibili fossili abbandonati D. disperderla nell’atmosfera

Tipo di testo: espositivo Tipo di item: domanda a scelta multipla Aspetto: 2 Risposta corretta: C

Per rispondere lo studente deve riconoscere l’alternativa corretta fra quelle date, ritrovando nel testo l’informazione richiesta, data esplicitamente, anche se in forma parafrastica, alle righe 34‐35. Una difficoltà può esser rappresentata dal fatto che l’alunno deve ricordare – se già non lo sapesse ‐ che “petrolio e metano” sono combustibili fossili, cosa che viene detta in un punto precedente del testo (righe 16‐ 17).

Ricostruire il significato del testo

A12. Qual è la differenza più importante fra quello che il protagonista mette in vendita nella prima offerta e quello che mette in vendita nelle offerte successive? A. Nel primo caso il protagonista descrive lo stato di ciò che mette in vendita, negli altri casi no B. Nel primo caso offre qualcosa che interessa a molti, negli altri casi fa offerte poco interessanti C. Nel primo caso offre qualcosa che possiede, negli altri casi offre qualcosa che non possiede D. Nel primo caso mette in vendita qualcosa di poco prezioso, negli altri casi oggetti di grande valore

Tipo di testo: narrativo Tipo di item: domanda a scelta multipla Aspetto: 5b Risposta corretta: C

Per rispondere lo studente deve aver compreso il senso globale del testo, integrando più informazioni e concetti. L’opzione corretta C esprime la caratteristica “più importante” che differenzia la prima offerta dalle successive non solo perché riguarda l’esistenza stessa degli oggetti offerti, anziché le loro qualità, ma anche ai fini dello sviluppo della narrazione: il fatto di mettere in vendita oggetti che non possiede è infatti ciò che, da un lato, permette al protagonista di continuare a fare annunci e dall’altro mette in moto il meccanismo di cui rimarrà alla fine vittima.

Interpretare e valutare

B8. Lo scopo principale del testo che hai letto è A. mettere in guardia sui numerosi problemi non risolti legati all’uso dell’idrogeno B. informare sulle caratteristiche e sugli usi dell’idrogeno per la produzione di energia C. illustrare i vantaggi economici dell’uso dell’idrogeno per l’industria automobilistica D. riportare le diverse e contrastanti posizioni nel mondo scientifico sul futuro uso dell’idrogeno

Tipo di testo: espositivo Tipo di item: domanda a scelta multipla Aspetto: 6 Risposta corretta: B

Per rispondere lo studente deve cogliere l’intenzione comunicativa del testo. L’alternativa B è quella che sintetizza in forma più esaustiva lo “scopo principale” di esso. Le alternative A e C, pur trovando un riscontro nel testo, ne esprimono lo scopo in maniera del tutto parziale, mentre l’alternativa D è plausibile ma non ha fondamento nel brano proposto.

Tabella 3. Esempi di quesiti per ciascuno dei tre processi di comprensione della lettura della prova INVALSI 2012 per classe terza della scuola secondaria di primo grado

(INVALSI, 2012a)

3. Validità del contenuto delle prove INVALSI di comprensione della lettura

Una volta descritto il modello delle prove INVALSI di comprensione della lettura è possibileanalizzare la validità di contenuto degli strumenti approntati dal gruppo di esperti incaricatidall’Istituto verificando quanto gli elementi costitutivi del costrutto siano adeguatamenterappresentati nei quesiti presenti nel test. Riguardo alle modifiche apportate ai costrutti pro-pri delle indagini internazionali, si ribadisce quanto detto in apertura del paragrafo prece-dente: il presente lavoro non ha l’obiettivo di mettere in discussione la fondatezza delmodello teorico di riferimento ma ne utilizza la descrizione per verificare la validità di con-tenuto delle prove e, nello specifico, l’equilibrio con cui i diversi elementi del modello sonorappresentati all’interno delle prove. Tuttavia si può evidenziare come il primo esempio ri-portato in tabella 3, relativo secondo l’INVALSI al processo Individuare informazioni date espli-citamente nel testo, chiami in causa un meccanismo inferenziale (nello specifico il testo riferiscedel confinamento della CO2 “in giacimenti esauriti di petrolio o di metano”). In questasede ci si limita a segnalare la possibilità che la natura non mutualmente esclusiva dei processidi comprensione della lettura che, come espresso nel paragrafo precedente, contrassegna an-che l’indagine PISA, possa incidere negativamente sull’uso diagnostico e formativo delleprove se non si considerano con cautela le sovrapposizioni e le contaminazioni fra i diversiprocessi4.Prima di prendere in considerazione la tassonomia degli item in base agli otto aspetti, è

utile partire dai tre processi (Individuare informazioni, Ricostruire il significato del testo, Interpretaree valutare), un’operazione che consente anche un immediato confronto con il contenutodelle prove utilizzate da PIRLS e PISA. La tabella 4 sintetizza la rappresentazione di ciascunodei tre processi di lettura all’interno delle prove di Italiano somministrate dall’INVALSI nel2012. L’attribuzione di ciascun item al processo di riferimento è fornita dallo stesso Istitutonel Rapporto tecnico (INVALSI, 2012b). Come si può notare, in tutte le prove ad averemaggiore spazio è il processo Ricostruire il significato del testo. La cosa non stupisce se si con-sidera che tale processo è costituito da ben quattro degli otto aspetti del modello di com-prensione della lettura alla base delle prove. Quel che desta perplessità è l’inadeguatarappresentazione del processo Interpretare e valutare, che raggiunge la sua massima rappresen-tazione nella prova della seconda classe della scuola secondaria di secondo grado (nella qualeviene peraltro rilevato da appena cinque quesiti, pari al 10,2% del totale degli item di com-prensione della lettura). Nelle prove costruite per le classi dei cicli precedenti i quesiti relativial processo Interpretare e valutare tendono progressivamente a diminuire, fino a scomparire inquella somministrata nella seconda classe della scuola primaria. Si tratta con ogni evidenzadi una inadeguata rappresentazione di un elemento del costrutto all’interno del contenutodella prova, una criticità che getta un’ombra sulla validità dello strumento, dato che un nu-

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4 Proprio i lavori incentrati sull’analisi delle inferenze hanno, per Lumbelli (2009), un potenziale di appli-cabilità tale da poterne garantire la declinazione didattica. In particolare, Lumbelli fa riferimento al lavorodi Kintsch (1998), che classifica le inferenze in operazioni di recupero, attraverso le quali il lettore riconnettele informazioni del testo in maniera più o meno immediata, e in operazioni che producono nuove cono-scenze. Solo nelle occasioni in cui queste ultime operazioni sono caratterizzate dal controllo cosciente daparte del lettore, attivato dalla presenza di problemi di incoerenza nella rappresentazione del significato deltesto altrimenti non risolvibili, si hanno inferenze propriamente dette e un autentico processo di com-prensione. Lo spunto offerto dai risultati Invalsi deve dunque essere quantomeno arricchito per poter avereuna ricaduta operativa in aula.

mero così esiguo di quesiti non è in grado di fornire informazioni affidabili sul processo inesame. Il contenuto di queste prove non rende dunque giustizia alla ricchezza del modelloteorico sopra descritto e ne consegue che la comprensione della lettura è rilevata in manieraparziale. Va segnalato che le versioni precedenti dello strumento non contengono, da questopunto di vista, variazioni significative rispetto a quella del 2012.

Tabella 4. Numero (va) e percentuale (%) di item dei tre processi di comprensione della lettura nelle prove INVALSI somministrate nel 2012 (sul totale dei quesiti di comprensione

della lettura). Elaborazione da INVALSI (2012b)

La tabella 5 evidenzia la distribuzione dei quesiti PISA sulla base dei processi di readingliteracy elaborati dall’OCSE per le edizioni del 2000 e del 2009. Come si può osservare,anche in questo caso c’è un processo (Interpretare il testo) che viene maggiormente riprodotto,tuttavia tanto Individuare informazioni quanto Riflettere e valutare sono rappresentati da un nu-mero di item tale da garantire per entrambi una affidabile rilevazione. Va detto che, a diffe-renza di quelli INVALSI, i quesiti PISA, così come quelli PIRLS (che garantiscono anch’essiun equo riconoscimento a ciascun processo), non vengono somministrati a tutti i soggetti,ma con una complessa rotazione di fascicoli l’OCSE e la IEA assicurano comunque chetutti gli elementi del costrutto di comprensione della lettura siano adeguatamente rilevatiin ogni scuola (PISA) e in ogni classe (PIRLS) campionata. D’altro canto la finalità delle in-dagini internazionali è di natura sistemica e comparativa e non punta a stimare il Valore Ag-giunto degli istituti, a fornire indicazioni di dettaglio a scuole e docenti sui punti di forza edi debolezza della propria popolazione studentesca o ad azzardare una combinazione traquesti due obiettivi.

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Processi

Prove

II primaria V primaria I sec. I gr. III sec. I gr. II sec. gr.

Va % va % Va % va % va % Individuare informazioni 4 21,1 7 21,9 6 16,7 9 23,7 14 28,6

Ricostruire il significato del testo 15 78,9 24 75,0 28 77,8 26 68,4 30 61,2

Interpretare e valutare 0 0,0 1 3,1 2 5,6 3 7,9 5 10,2

Processi Prove PISA

2000 2009 va % Va %

Individuare informazioni 40 29,6 31 23,7 Interpretare il testo 68 50,4 67 51,1 Riflettere e valutare 27 20,0 33 25,2

della r

al di là

d

Tabella 5. Numero (va) e percentuale (%) di item dei tre processi di comprensione della lettura nelle prove PISA somministrate nelle versioni del 2000 e del 2009. Dati tratti

dai rapporti tecnici PISA 2000 (OECD, 2002) e PISA 2009 (OECD, 2012). Dal 2009 i processidella reading literacy di PISA assumono le seguenti denominazioni: accedere alle informazioni

e individuarle, integrare e interpretare ciò che si legge, riflettere e valutare

L’inadeguatezza della rappresentazione del modello teorico elaborato per la comprensionedella lettura nel contenuto delle prove INVALSI si fa ancora più evidente se l’attenzione sisposta dai tre processi agli otto aspetti che, secondo il Quadro di riferimento per la prova diItaliano, dovrebbero essere rilevati. Come si può notare (tabella 6), mentre l’aspetto 6 (Svi-luppare un’interpretazione del testo) è sottodimensionato, non vi è traccia alcuna dell’aspetto 7(Valutare il contenuto e/o la forma del testo). Anche in questo caso si segnala come le prove del2012 non costituiscano un’eccezione rispetto alle versioni precedenti.

Tabella 6. Numero (va) e percentuale (%) di item dei tre processi di comprensione della lettu-ra nelle prove INVALSI somministrate nel 2012 (sul totale dei quesiti di comprensione dellalettura). Elaborazione effettuata sulla base del Rapporto tecnico del 2012 (INVALSI, 2012)

Aspetti: 2 = Individuare informazioni, 1 = Riconoscere e comprendere il significato letterale e figuratodi parole ed espressioni, riconoscere le relazioni tra parole. 3 = Fare un’inferenza diretta, ricavandoun’informazione implicita da una o più informazioni date nel testo e/o tratte dall’enciclopedia perso-nale del lettore. 4 = Cogliere le relazioni di coesione (organizzazione logica entro e oltre la frase) ecoerenza testuale. 5a = Ricostruire il significato di una parte più o meno estesa del testo, integrandopiù informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse. 5b = Ricostruire il significatoglobale del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse. 6 =Sviluppare un’interpretazione del testo, a partire dal suo contenuto e/o dalla sua forma, andando al dilà di una comprensione letterale. 7 = Valutare il contenuto e/o la forma del testo alla luce delle cono-scenze ed esperienze personali (riflettendo sulla plausibilità delle informazioni, sulla validità delle ar-gomentazioni, sulla efficacia comunicativa del testo, ecc.).

Le criticità riscontrate nella validità di contenuto delle prove INVALSI chiamano incausa motivazioni che prescindono dalla competenza dei costruttori delle prove. Va anzi se-gnalato come la qualità dei singoli quesiti sia di buon livello e che progredisca anno dopoanno, cosa riscontrabile sia analizzando le singole domande e i testi proposti sia confrontan-doli con quelli degli anni precedenti. Inoltre, pur tenendo conto del fatto che uno strumentoaffidabile non è necessariamente uno strumento valido, osservando i risultati dell’item analysisè possibile notare una buona tenuta della prova del 2012, dato non scontato se si pensa chenel 2010 ben 6 dei 17 quesiti di comprensione della lettura relativi al primo testo della classeV evidenziavano problemi di discriminatività.

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della r

Aspetti

Prove

II primaria V primaria I sec. I grado III sec. I grado II sec. II grado

va % va % va % Va % va % 2 4 21,1 7 21,9 6 16,7 9 23,7 14 28,6

1 0 0,0 3 9,4 6 16,7 6 15,8 7 14,3

3 5 26,3 1 3,1 1 2,8 6 15,8 5 10,2

4 1 5,3 3 9,4 5 13,9 4 10,5 3 6,1

5a 7 36,8 14 43,8 13 36,1 7 18,4 11 22,4

5b 2 10,5 3 9,4 3 8,3 3 7,9 4 8,2

6 0 0,0 1 3,1 2 5,6 3 7,9 5 10,2

7 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0

al di là

d

Per spiegare il deficit riscontrato nella validità di contenuto della prova è utile tornarealla finalità della rilevazione che il Ministero ha affidato all’INVALSI. Lo scopo di misurareil Valore Aggiunto di ciascun istituto impone di somministrare la prova a tutte le studentessee a tutti gli studenti delle cinque classi scelte e non a un campione rappresentativo. Unasomministrazione simile ha però dei costi molto più elevati rispetto a un’indagine campio-naria. E tali costi lieviterebbero ulteriormente se, allo scopo di rilevare processi di compren-sione della lettura che richiedono di esprimere interpretazioni, riflessioni e valutazioniarticolate non ci si limitasse a utilizzare quesiti a risposta “chiusa” (corrispondenza, sceltamultipla) o “aperta univoca”, ma si impiegassero anche quesiti a risposta “aperta complessa”.Sono le procedure di valutazione di queste ultime ad accrescere notevolmente i costi dellasomministrazione: una banale considerazione di senso comune, che non è sfuggita agli esperti(due economisti e uno statistico) cui l’INVALSI nel 2008 ha affidato un documento sullefinalità e gli aspetti metodologici delle rilevazioni nazionali. Nel documento i tre espertiavvertono: “la spesa per studente varierebbe in modo lineare da zero a 16 euro passando danessuna domanda a risposta aperta a tutte le risposte a risposta aperta. Nel caso in cui simantenga la quota delle domande a risposta aperta nella stessa proporzione del 40 per centoutilizzato in PISA, il costo per studente ammonterebbe a 6,4 euro” (Checchi, Ichino, Vitta-dini, 2008, pp. 17-18). Evidentemente il budget stanziato per soggetto per le rilevazioni INVALSI deve essere

più vicino alla prima cifra (⇔ 0) che alla seconda (⇔ 6,40) se, come evidenziato nella tabella7, nelle prove di comprensione della lettura del 2012 non v’è traccia alcuna di risposte apertecomplesse. La parsimonia, di per sé, è cosa positiva, il problema sorge quando la duplice ur-genza di misurare il Valore Aggiunto di ciascuna scuola e di farlo risparmiando impone unimpoverimento nel contenuto delle prove che, a sua volta, minaccia la validità della rileva-zione. Va detto che la questione, seppur sfuggita ai tre esperti sopra citati, è stata colta da nu-merosi esponenti del mondo educativo, tra questi Gruppo di Intervento e Studio nel Campodell’Educazione Linguistica (GISCEL) che in una nota esprime perplessità sul rapporto tracosti e benefici delle prove INVALSI (GISCEL, 2011).

Nella tabella 8 viene mostrata la distribuzione, in Pisa 2009, degli item di comprensionedella lettura secondo il formato mentre, in quella successiva, i formati dei quesiti sono messiin relazione con i processi testati.

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Quesiti Prove

II primaria V primaria I sec. I gr. III sec. I gr. II sec. II gr. Va % va % va % va % va %

Risposta chiusa 19 100,0 31 96,9 26 72,2 29 76,3 33 67,3 Aperta univoca 0 0,0 1 3,1 10 27,8 9 23,7 16 32,7

Aperta complessa 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0

Tabella 7. Numero (va) e percentuale (%) dei formati di risposta per i quesiti di comprensionedella lettura nelle prove INVALSI somministrate nel 2012

(sul totale dei quesiti di comprensione della lettura)

Come si può notare, l’indagine PISA fa ampio uso di risposte aperte e sono soprattuttoquelle complesse a garantire la rilevazione del processo Riflettere e valutare. Ma la mancataintroduzione di questo tipo di risposte nelle prove INVALSI (e la conseguente minacciaalla validità dello strumento) è, come visto, legata alla finalità della prova. Va evidenziatoinfatti che se la rilevazione perseguisse unicamente una finalità diagnostico-formativa, sa-rebbe possibile somministrare su un campione nazionale prove arricchite con domande arisposta aperta, utilizzando per la loro valutazione la cifra risparmiata grazie al campiona-mento. Una volta validate, le prove potrebbero essere consegnate a scuole e docenti che, intal modo, avrebbero a disposizione un valido strumento da somministrare nelle proprie classia scopo diagnostico e formativo. Va infine sottolineato che il ricorso a una somministrazionecontrollata per il campione consentirebbe all’INVALSI di adempiere all’obbligo di rileva-zione di sistema (che non coincide necessariamente con quello di misurazione del ValoreAggiunto, operazione che peraltro, come accennato, è stata sin qui annunciata ma mai rea-lizzata).Ma c’è di più. L’OCSE è riuscita a costruire delle prove a criterio, partendo da un con-

tenuto che rappresenta adeguatamente, dal punto di vista della numerosità degli item, ciascunprocesso del costrutto. Dando il giusto spazio a ogni elemento del modello di comprensionedella lettura è infatti possibile esplicitare analiticamente (processo per processo) le caratteri-stiche delle prestazioni di un soggetto appartenente a una determinata fascia di rendimento.

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Cristiano Corsini

QUESITI PISA 2009

va %

Risposta chiusa 75 57,3

Aperta univoca 11 8,4

Aperta complessa 45 34,4

lla 8. Numero (va) e percentuale (%) dei formati di risposta per i quesiti di comprensione della lettura nella

prova PISA somministrata nel 2012. Elaborazione dal rapporto tecnico PISA 2009 (OECD, 2011).

PROCESSI QUESITI PISA 2009

Va %

Accedere alle informazioni e individuarle Risposta chiusa 18 58,1 Aperta univoca 10 32,3

Aperta complessa 3 9,7

Integrare e interpretare Risposta chiusa 48 71,6 Aperta univoca 1 1,5

Aperta complessa 18 26,9

Riflettere e valutare Risposta chiusa 9 27,3 Aperta univoca 0 0,0

Aperta complessa 24 72,7

Tabella 8. Numero (va) e percentuale (%) dei formati di risposta per i quesiti di comprensione della lettura nella prova PISA somministrata nel 2012.

Elaborazione dal rapporto tecnico PISA 2009 (OECD, 2011)

Tabella 9. Numero (va) e percentuale (%) dei formati di risposta per ciascuno dei processi di comprensione della lettura nella prova PISA somministrata nel 2012

Elaborazione dal rapporto tecnico PISA 2009 (OECD, 2011)

Per farlo infatti non è sufficiente suddividere i quesiti e i soggetti in livelli (di difficoltà peri primi e di rendimento per i secondi), ma anche che ciascun processo sia rilevato da unnumero sufficientemente ampio di quesiti. Così PISA, nei suoi rapporti, non solo indicachiaramente la percentuale di studenti e studentesse che si collocano entro determinati livellidi rendimento ma esplicita, processo per processo, le operazioni che la padronanza da essiraggiunta nella reading literacy gli consente di compiere. La figura 1, tratta dal Rapporto ita-liano di PISA 2009, fornisce un esempio relativo al processo Accedere alle informazioni e indi-viduarle. Come già accennato, le prove INVALSI, a causa di un’inadeguata rappresentazionedel costrutto nel contenuto della prova di comprensione della lettura, non sono in grado difornire un’informazione così ricca agli istituti ma si limitano a consentire confronti tra lerisposte esatte di una classe e quelle della scuola o del campione nazionale: troppo poco peruna valutazione diagnostica.

Figura 1. Tratta da INVALSI (2011a, p. 52). Livelli di Reading literacy per la ricerca PISA 2009,caratteristiche dei compiti e “competenze necessarie” per la loro risoluzione

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Conclusioni: tra valutazione e accountability

Le rilevazioni INVALSI sono contrassegnate da un duplice scopo: da un lato dovrebberosostenere la misurazione del Valore Aggiunto di ciascuna scuola, dall’altro si prefiggono difornire a istituti e docenti informazioni di dettaglio in modo da consentire loro di program-mare l’attività didattica sulla base delle evidenze empiriche raccolte su studentesse e studenti.È tuttavia ancora assente, da parte dell’Istituto, una riflessione sia sulla validità del Valore Ag-giunto come indicatore dell’efficacia dell’insegnamento sia sulla legittimità dell’impiegodello stesso test a fini rendicontativi e valutativi. Eppure, tali analisi sembrano particolarmenteurgenti, anche in considerazione di alcune tendenze riscontrabili nella letteratura di ricerca.In primo luogo, infatti, la letteratura di riferimento ha rilevato criticità rispetto all’uso delValore Aggiunto, mettendone in discussione affidabilità e validità5 proprio mentre la centralitàoccupata dall’indicatore nella definizione dell’efficacia scolastica è ridimensionata dagli svi-luppi metodologici del relativo filone di ricerca6. In secondo luogo, evidenze empiriche in-dicano come le finalità di accountability possano essere associate a un processo di corruzionedella validità delle misure impiegate7.Non appare dunque fugato il sospetto che tra accountability e valutazione diagnostica vi

sia una irriducibile discordanza, come ammoniva Lee Cronbach8 oltre trenta anni fa, sotto-lineando come l’accountability volga lo sguardo al passato per distribuire meriti o colpe, men-tre la valutazione analizzi i processi per indirizzare attività future. Il presente contributo,prendendo in esame la validità di contenuto delle prove INVALSI di comprensione dellalettura, evidenzia come, a prescindere dal suo stato di traduzione operativa, la finalità som-mativa e rendicontativa della rilevazione comprometta l’obiettivo di informare nel dettaglioscuole e docenti sui punti di forza e di debolezza nella comprensione della lettura della po-polazione studentesca. Infatti le modalità di raccolta dei dati per l’accountability dei singoliistituti (che pure non è ancora a regime) e, in particolare, le sue stringenti esigenze, pregiu-dicano la valutazione diagnostica e formativa imponendo strumenti impoveriti nei conte-nuti.Ma se la duplicità nelle finalità non sembra portare alcun vantaggio, l’INVALSI va tuttavia

sollevato da una responsabilità che, per statuto, non ha. Infatti, sciogliere il nodo di questaambivalenza è un’operazione di politica educativa che, in quanto tale, non può essere affidataall’Istituto di valutazione.

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Cristiano Corsini

5 Per una panoramica sulle criticità che la letteratura di ricerca ha riscontrato nel Valore Aggiunto, cfr. C.Corsini (2012). La lezione americana: l’impiego del valore Aggiunto nella valutazione di scuole e insegnanti.Scuola Democratica, 6, 60-75.

6 Sull’evoluzione dei modelli di ricerca sull’efficacia scolastica, cfr. B.P.M. Creemers, L. Kyiriakides (2010).The dynamics of educational effectiveness. Routledge: London; C. Teddlie, D. Reynolds (2000). The InternationalHandbook of School Effectiveness Research. Routledge: London-New York.

7 Cfr. D. Koretz (2008). Measuring Up: What Educational Testing Really Tells Us. Harvard: Harvard UniversityPress, pp. 242-255.

8 Cronbach L.J. et al. (1980). Toward a reform of program evaluation. San Francisco: Jossey-Bass.

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EsperienzeRuolo dell’e-learning nella formazione degli adulti.Percezione dell’esperienza universitaria da parte di immatricolate over 35

E-learning and adult education.The university experience perceived by female students older than 35

La presenza di studenti adulti all’universitàrichiede al sistema formativo universitarionon solo tempi, spazi e modalità di lavorodiversi da quelli tipici di un corso rivolto agiovani appena usciti dalla scuola superiore,ma anche la capacità di interpretare bisogni,difficoltà, stili di apprendimento tipici diquesta diversa tipologia di studenti. Lo stu-dio presentato rende conto di alcuni risultatirelativi a necessità e difficoltà relative all’espe-rienza universitaria manifestate da studen-tesse immatricolatesi ad un’età superiore a35 anni al Corso di Laurea in Scienze del-l’Educazione in presenza e a distanza su piat-taforma e-learning dell’Università Roma Tre.La comparazione dei dati mostra come laformazione universitaria attraverso l’uso direti telematiche, grazie ad una certa caratte-rizzazione dell’ambiente di apprendimento,potrebbe rispondere maggiormente alle spe-cifiche necessità e ridurre le difficoltà chestudenti adulti e lavoratori incontrano du-rante il percorso universitario.

Parole chiave: formazione degli adulti, e-learning, didattica

The presence of adult learners at university is anincreasing structural phenomenon for which uni-versities have to provide not only time, spaces andways of working that are different from thoseneeded by students who have just left secondaryschools, but also the ability to detect adult learningneeds and styles. This study focuses on results con-cerning the needs and difficulties expressed byfemale students enrolled when they were 35 orolder in the face-to-face course and in the e-learning course in Educational Studies at theFaculty of Education of Roma Tre University. Thecomparison shows that online education can meetthe needs and reduce the hindrances that matureand working students come across during theiruniversity experience and proves that e-leaningcan become a proper tool for mature and workingstudents’ university education.

Key words: adult education, e-learning,didactics

ANNA MARIA CIRACI

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

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Ruolo dell’e-learning nella formazione degli adultiPercezione dell’esperienza universitaria da parte di immatricolate over 35

1. La formazione universitaria degli studenti in età lavorativa

Il presente contributo si colloca nell’ambito della complessa tematica di un cambiamentostrutturale del sistema formativo universitario in linea con i nuovi scenari educativi nellacosiddetta Società della Conoscenza e sviluppa alcune riflessioni su come l’e-learning, inparticolare nella formazione degli adulti, possa favorire la soluzioni di alcune delle proble-matiche che purtroppo affliggono molti Atenei italiani. Ci riferiamo a quei fenomeni di di-spersione (immatricolati che non si iscrivono al II anno, e dunque si “perdono” dopo appena1 anno), inattività (studenti che non conseguono nemmeno un credito in un anno accade-mico), bassa percentuale di laureati in corso, indicatori che ormai da vari anni sono assunti permisurare la qualità del sistema universitario. La presenza di studenti adulti e lavoratori nell’università è sempre più un fenomeno strut-

turale. Sul piano demografico oltre ad un aumento degli accessi si registra soprattutto unasensibile modificazione dell’identikit dello studente medio che è sempre più “anziano” espesso lavoratore. Si sta verificando una graduale estensione dell’utenza universitaria daltarget tradizionale ad adulti già occupati che chiedono corsi compatibili con i loro ritmi dilavoro e che non comporti spostamenti dispendiosi in termini economici e di tempo perfrequentare le lezioni (Ardizzone & Rivoltella, 2003). Già negli obiettivi di Lisbona per l’istru-zione 2010 (Consiglio Europeo, 2000) troviamo l’aumento almeno al 12,5% della quota diadulti in età lavorativa (25-64 anni) partecipanti ad attività di formazione permanente e tragli obiettivi di Europa 2020 vi è quello di far “acquisire competenze lungo tutto l’arco dellavita al fine di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e di conciliare meglio l’of-ferta e la domanda di manodopera” (European Commission, 2010a). Qualche passo avantiè stato compiuto per quanto concerne una maggiore partecipazione degli adulti all’istru-zione e alla formazione, ma non abbastanza per raggiungere il livello di riferimento richiesto.Nel 2008, la percentuale degli europei di età compresa tra i 25 e i 64 anni che ha partecipatoad attività formative nelle quattro settimane precedenti la rilevazione è stata del 9,5%; laprobabilità di partecipazione è cinque volte superiore per gli adulti altamente qualificati ri-spetto agli adulti scarsamente qualificati. Rispetto poi al possesso di un titolo di studio elevato(ossia di livello terziario), lo possiede solo il 24% della popolazione adulta europea (di etàcompresa tra i 25 e i 64 anni), dato di gran lunga inferiore a quello di Stati Uniti e Giappone(40 %) (European Commission, 2010b). Nei documenti europei si sottolinea inoltre l’im-portanza di un sistema efficiente di istruzione degli adulti con l’obiettivo di offrire abilitàmeglio spendibili sul mercato del lavoro, garantire la loro integrazione sociale e la loro pre-parazione all’invecchiamento attivo. Nello stesso tempo cresce la consapevolezza politica daparte di tutti i Paesi del fatto che per l’attuazione dell’apprendimento permanente è essen-ziale far in modo che gli studenti “non tradizionali” possano avere un accesso più facile al-l’istruzione superiore.

Ma le difficoltà di seguire le lezioni, di avere contatti diretti e continuativi con i docenti,di scambiare materiali di studio e di lavoro con i colleghi, di gestire e integrare tempi distudio e di lavoro sono solo alcune delle variabili che possono condizionare il successo for-mativo di uno studente adulto e lavoratore (Alberici, 2007). Al sistema formativo universi-tario si richiedono non solo tempi, spazi e modalità di lavoro diversi da quelli tipici di uncorso rivolto a giovani appena usciti dalla scuola superiore ma anche la capacità di inter-pretare bisogni e stili di apprendimento propri degli adulti. L’università si trova di fronte unadomanda di formazione del tutto diversa da quella abituale, in uno scenario caratterizzatoda grandi mutamenti sociali e da trasformazioni del mercato del lavoro dove è necessarioporre al centro dell’attenzione soprattutto il valore dei saperi e delle competenze all’internodei contesti organizzativi e sociali. Le rigidità strutturali, infatti, non sono i principali ostacolial rafforzamento del ruolo dell’istruzione superiore nello sviluppo professionale e personalecontinuo di coloro che già lavorano. Gran parte del mondo accademico per molto tempoha dato per scontato che bastasse preparare sui soli contenuti disciplinari, puntando in generepiù alla cultura “pura” che alla costruzione di professionalità; in realtà la pratica professionalenon è mai mera applicazione del sapere universitario. Non a caso la via più importante cheè stata seguita in tutti i Paesi per rispondere a queste nuove esigenze di formazione è stataproprio quella dell’e-learning. Sono proprio le tecnologie dell’informazione e della comu-nicazione che possono dare un importante contributo nel passaggio del sistema formativoda un insegnamento basato sulle conoscenze a una didattica centrata sulle competenze, el’e-learning, grazie al ruolo attivo che gli studenti possono svolgere e che consente loro diorganizzare e realizzare in maniera autonoma le loro conoscenze e competenze come inuna sorta di “apprendimento autoregolato” (De Jong & Simons, 1990), può rappresentareuna forte spinta al rinnovamento delle pratiche formative verso l’adozione di metodologieattive, in grado di spostare l’attenzione sulla persona come soggetto autonomo nell’impararead imparare, a scegliere, a relazionarsi (Ciraci, 2009a). Le tecnologie (con i loro usi e signi-ficati) possono aiutare gli studenti, soprattutto se insegnanti, a “interrogarsi circa i propriruoli e funzioni e ad attribuire valore alle cose che emergono nell’operare. Aiutano a rico-noscere le possibilità della didattica, a metterle a fuoco (perché viste più da vicino), a fareproprie alcune di esse” (Ardizzone & Oliveto, 2005). “È come se, in senso ampio, le tecno-logie creassero l’occasione per avviare una riconsiderazione di sé e della propria identitàpersonale, di insegnanti e anche di studenti” (Ardizzone & Rivoltella, 2008).A questo punto, di fronte all’entità di queste trasformazioni è lecito domandarsi, con ri-

ferimento alla situazione italiana, se il sistema tradizionale, in particolare quello universitario,anche se sottoposto ultimamente a continue correzioni, sia stato un interlocutore credibilee responsabile. L’istituzione universitaria, in realtà, non è riuscita in genere a rispondere ef-ficacemente a queste nuove necessità. Prevale spesso il mantenimento dello status quo e glistrumenti innovativi sono guardati con sospetto, soprattutto in area umanistica. È mancata,soprattutto, una didattica costruita sulle nuove tecnologie informatiche. Eppure, già neglianni 2000-2001, la Commissione Europea, in uno dei suoi documenti fondamentali,TheeLearning Action Plan (European Commission, 2001), avente come titolo “Designing Tomor-row’s Education”, aveva posto l’e-learning come un asse portante della politica dell’Unionee aveva individuato nell’e-learning il modello dell’intero sistema educativo. Nel Piano d’azio-ne 2001, poi esteso fino al 2004, sono individuate cinque linee operative che esplicitanomeglio il ruolo delle TIC: “sviluppare l’integrazione completa delle TIC nell’insegnamentoe nella formazione; creare infrastrutture flessibili per mettere l’e-learning alla portata di tutti;definire e promuovere la cultura digitale; creare una cultura dell’apprendimento per tutta lavita; sviluppare dei servizi e dei contenuti educativi di qualità in Europa”. A tal propositooccorre ricordare anche il rapporto Virtual Models of European Universities, elaborato dal-

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Anna Maria Ciraci

l’agenzia danese PLS Ramboll su richiesta della Commissione Europea nel marzo 2004, nelquale sono presenti diverse raccomandazioni per le dirigenze delle singole università. Inparticolare molta attenzione viene posta sulla presenza, all’interno di un Ateneo, di un pianod’azione strategico riguardo alle ICT: “Il coinvolgimento della dirigenza è cruciale per ga-rantire che l’integrazione delle ICT venga implementata lungo le operazioni dell’universitànella loro interezza, e non rimanga semplicemente bloccata a livello di singoli progetti” (PLSRamboll, 2004). Anche il manuale Quality Manual for E-learning in Higher Education, del-l’EADTU, elaborato in un contesto completamente universitario e europeo, parla di “ge-stione strategica” e tra i benchmark (i criteri che permettono valutare un dispositivo die-learning nella letteratura internazionale possono prendere vari nomi, tra cui “benchmark”,valori di riferimento o indicatori) abbiamo che “l’organizzazione deve avere una politicaper l’e-learning e una strategia per lo sviluppo dell’e-learning che siano ampiamente com-prese e integrate nelle strategie complessive dello sviluppo istituzionale e di miglioramentodella qualità” (EADTU, 2006). Eppure, nonostante la letteratura internazionale abbia, datempo, messo in evidenza come le performance degli studenti in corsi e-learning risultinopari o superiori a quelle degli studenti in frequentanti in presenza (Clarke, 1999; Gagne &Shepherd, 2001; Parker & Gemino, 2001; Rivera & Rice, 2002), l’università pubblica italianaè arrivata, purtroppo, a questo appuntamento con un certo ritardo ed ha lasciato per moltotempo il monopolio dell’ e-learning alle università telematiche.Le tendenze evidenziate dalle ricerche internazionali sulle performance degli studenti in

corsi e-learning sono state confermate anche da alcune indagini condotte, nell’ambito delPRIN 2006-2008, Valutazione a autovalutazione per la qualificazione dei processi formativi e-le-arning (Domenici, 2009b), dall’Unità di ricerca dell’Università Roma Tre, che hanno avutocome scenario di riferimento il Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione in modalità FAD supiattaforma e-learning1 nato presso questo Ateneo espressamente per la formazione in serviziodegli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria del territorio della RegioneLazio. Il Corso ha avuto origine nel 2004 in seguito alla constatazione, grazie ad un’indagineconoscitiva svolta nell’anno 2000 dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, dell’estremadifficoltà di conciliare la frequenza universitaria con gli impegni connessi alla professione diinsegnante e all’organizzazione della vita familiare. Passando attraverso il nodo della comparazione dei risultati nell’apprendimento conseguiti

dagli studenti nelle due modalità formative (in presenza e a distanza), le suddette indaginihanno messo in luce, come tendenza generale, un evidente miglioramento degli esiti delpercorso universitario degli studenti del corso a distanza rispetto agli studenti in presenza (siain termini di crediti acquisiti per anno accademico, sia in termini di voto medio, sia in ter-mini di riduzione degli abbandoni) e permesso di ipotizzare, sulla base di alcune differenzedidattico-organizzative delle due tipologie di corsi, le ragioni per cui la formazione in retenel Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione – FaD su piattaforma e-learning dell’Ateneo diRoma Tre, ottiene migliori risultati di quella in presenza (Domenici, Margottini & Cajola,2006; Ciraci, 2008, 2009a, 2009b; Domenici, 2009b; Margottini, 2009).

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1 Promosso da Gaetano Domenici, in qualità di responsabile scientifico, il programma delle attività formativeha avuto il suo inizio nel mese di novembre 2004 con 1048 iscritti. Gli iscritti al corso erano studentiadulti, con un’età media, al momento della immatricolazione, di circa 45 anni, insegnanti in servizio nellascuola dell’infanzia e primaria, in massima parte donne, dislocati su tutto il territorio della Regione Lazioe con carriere pregresse molto difformi.

2. Un’indagine esplorativa sulla percezione dell’ esperienza universitaria da partedi immatricolate over 35

Lo studio qui presentato illustra i risultati di un’indagine di tipo puramente descrittivo voltaa rilevare, attraverso due questionari strutturati, profilo, motivazioni/necessità, difficoltà, ore com-plessivamente dedicate allo studio e alle altre attività formative, opinioni sulle funzioni del tutor uni-versitario, di studentesse universitarie immatricolatesi ad un’età superiore a 35 anni al Corsodi Laurea in Scienze dell’Educazione in presenza e al Corso di Laurea in Scienze dell’Edu-cazione, modalità FaD su piattaforma e-learning, dell’Università di Roma Tre, con l’obiettivodi verificare se l’e-learning possa rappresentare una modalità più efficace nella attuazione dipercorsi universitari per la formazione di studenti adulti e lavoratori. Il lavoro si inserisce, come utile indagine preliminare, nell’ambito di una più vasta ricerca

sperimentale ancora in progress (Domenici, Biasi & Ciraci, 2012) “Le ricadute professionalidella Formazione a Distanza su piattaforma e-learning nei docenti della scuola primaria”, delDipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre, volta a verificare se,al termine del percorso formativo, ovvero dopo la laurea, vi sia stata una effettiva ricadutain termini di incremento delle reali competenze professionali negli insegnanti che hannoconseguito una formazione universitaria con modalità e-learning, sia rispetto a chi ha seguitola modalità classica di formazione in presenza, sia rispetto a chi non ha avuto nessuna for-mazione universitaria. I questionari2 utilizzati per le rilevazioni preliminari che vengono di seguito presentate

hanno avuto due tipologie di obiettivi: una prima sezione è servita a raccogliere informazioninei diversi ambiti che caratterizzano questa particolare utenza rappresentata da studenti adul-ti, lavoratori e di sesso femminile: età; titolo di studio, posizione lavorativa, se svolgono ohanno svolto attività lavorativa in ambito scolastico e da quanto tempo, in che tipologia discuola e con quale ruolo. Le altre sezioni, che maggiormente interessano ai fini dell’indagine, hanno riguardato al-

cuni aspetti discriminanti relativi alla concreta percezione della esperienza universitaria, alfine di individuare i fattori che possano aver contribuito al successo o al mancato successoformativo: motivazioni che hanno influito sulla decisione di iscriversi al corso di laurea fre-quentato; difficoltà incontrate durante l’esperienza formativa universitaria; ore complessi-vamente dedicate allo studio e alle altre attività formative; funzioni di un tutor universitario.

3. Rilevazione delle informazioni

a) Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione in presenza

• Popolazione di riferimentoLa popolazione di riferimento è costituta da studentesse (per garantire l’uniformità del

campione si è deciso di intervistare solo studenti di sesso femminile) immatricolatesi adun’età superiore a 35 anni (fino a 50 anni) a partire dall’ a. a. 2002/03, fino all’ a. a. 2006/07,al Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione in presenza della Facoltà di Scienze della For-mazione, Università di Roma Tre. I nominativi sono stati richiesti all’Ufficio Statistico di

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2 I questionari sono stati costruiti da A. M. Ciraci.

Ateneo che ha fornito un elenco di 63 nominativi di studentesse con le suddette caratteri-stiche. L’universo di riferimento, composto da 63 nominativi, ha determinato 56 (88,9%)contatti di risposta così ripartiti: 34 numeri eleggibili (60,7%); 22 numeri non eleggibili(39,3%); contatti senza risposta (11,1%). Le interviste sono state in totale 34. • Strumento utilizzatoQuestionario telefonico, realizzato tramite metodo C.A.T.I. (Computer Aided Telephone

Interview), composto da domande ad alternative di risposta predeterminate.

b) Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione FAD e-learning

• Popolazione di riferimentoLa popolazione di riferimento è costituita, in questo caso, da docenti di ruolo in servizio

nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie della Regione Lazio, immatricolatesi a par-tire dall’ a. a. 2004/05 fino all’ a. a. 2007/08, con un’età media, al momento dell’immatri-colazione, di circa 45 anni e in massima parte donne, dunque in prevalenza con le stessecaratteristiche delle studentesse del Corso in presenza intervistate. Le interviste sono state intotale 184. • Strumento utilizzatoQuestionario autocompilato sul WEB (http://sdefad.uniroma3.it) composto da domande

ad alternative di risposta predeterminate.

4. Principali evidenze relative al profilo delle intervistate: età, titolo di studio, po-sizione lavorativa

a) Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione in presenzaLe iscritte al corso sono in prevalenza di età compresa tra 35 e 45 anni (70,6%) e in possessodi un diploma dell’Istituto magistrale (35,3%) e dell’Istituto tecnico (35,3), mentre solo il5,9% ha una laurea. La maggior parte delle intervistate svolge un’attività lavorativa (70,6%)in modo continuativo (87,5%), in full time (90,5%) e come lavoratrice dipendente (91,7%).È interessante notare che la maggior parte delle intervistate o lavora attualmente in ambitoscolastico (41,2%) o ha avuto solide esperienze lavorative in ambito scolastico (14,7%): infattiper la metà di coloro che le hanno avute in passato l’esperienza è durata almeno 3 anni,mentre tra chi attualmente lavora in ambito scolastico prevale chi lo fa da almeno 10 anni(67%). Inoltre, tra coloro che lavorano attualmente in ambito scolastico, la quasi totalitàsvolge il ruolo di insegnante (90%). Il tipo di scuola dove viene svolta l’attività lavorativa èin prevalenza quella elementare (45%) e dell’infanzia (35%).

b) Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione FAD e-learningGli iscritti al corso sono principalmente donne (97%), di età compresa tra 36 e 55 anni(78%). Dal punto di vista del titolo di studio, il campione in esame risulta molto omogeneo,quasi tutti gli iscritti, infatti, sono in possesso del diploma e di qualche corso di specializza-zione o di aggiornamento (97,1%), mentre solo il 2,9% possiede un titolo di studio univer-sitario. Due iscritti su cinque (41,8%), hanno già avuto esperienze precedenti di formazionea distanza. In relazione alla posizione lavorativa, tutti gli intervistati sono insegnanti di ruolonella scuola dell’infanzia e primaria della Regione Lazio e svolgono l’attività lavorativa infull time. Oltre i due terzi dei rispondenti (70,9%), svolge qualche incarico particolare nel-l’attuale contesto lavorativo. Il 31% dichiara che, precedentemente a quella attuale, ha svoltoaltre esperienze lavorative e tra queste prevale nettamente il lavoro impiegatizio.

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5. Motivazioni che hanno influenzato la decisione di iscriversi al Corso di Laureain Scienze dell’Educazione in presenza e a distanza dell’ Università Roma Tre

Tra le motivazioni che hanno influenzato maggiormente la decisione di iscriversi al Corsodi Laurea in Scienze dell’Educazione in presenza, prevalgono “conseguire la laurea” (100%)e “migliorare la professionalità” (91,2%). È interessante, ai fini della nostra indagine, eviden-ziare che hanno avuto una notevole influenza nella decisione di iscriversi al corso di laurearagioni come la “possibilità di sostenere esami senza frequenza” (76,5%) e la “vicinanza dellasede universitaria” (52,9%), oltre che il “favorevole rapporto costi/benefici” (50%). Questidati probabilmente si spiegano non solo con la scontata rigidità degli orari di un corso dilaurea in presenza ma anche con il fatto che si tratta in prevalenza di studenti adulti e lavo-ratori. Infatti nella decisione hanno avuto minore importanza le possibilità occupazionali(35,3%) e le sollecitazioni di amici e parenti (26,5%). Anche chi si è iscritto al corso a distanza, pur trattandosi nella totalità di insegnanti di

ruolo, lo ha fatto principalmente per conseguire una laurea (58,6%) e per migliorare in ge-nerale la propria professionalità (56,8%). Mentre è evidente che il “poter sostenere esamisenza frequenza” (33%) ha minore influenza data la nota flessibilità di spazi e di tempi tipicadei corsi a distanza.

Fig. 1: Motivazioni che hanno influenzato la decisione di iscriversi al CdL SdE in presenza e a distanza3

Dal confronto (Fig.1) emerge che le principali motivazioni/necessità che hanno indottogli studenti in presenza e a distanza ad iscriversi al Corso di Laurea in Scienze dell’Educazionesono le stesse, ovvero la necessità di “conseguire una laurea” e la “necessità di migliorare lapropria professionalità”. Si tratta, quindi, in entrambi i casi di persone interessate non solo

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3 Pur trattandosi di due diversi questionari, per maggiore chiarezza e facilità di confronto sono stati accorpatii grafici relativi alle motivazioni degli studenti del CdL SdE in presenza e a distanza in un grafico unico.

svolgono l’attività lavorativa in f O

qualche incarico particolare nell’attuale contesto lavorativo. Il 31%

d

T

A

3

al famoso “pezzo di carta” ma anche a migliorare la propria professionalità in ambito edu-cativo. Persone che hanno “scelto di voler imparare”, e lo stesso conseguimento della laureaprobabilmente è vissuto come un’occasione per riprendere un progetto interrotto, comeuna possibilità di emancipazione e di promozione sociale e professionale, come una sorta disfida con se stessi che va oltre il mero uso strumentale del titolo di studio. Infatti le “possibilitàoccupazionali e/o l’avanzamento nel lavoro” sono poco influenti sulla scelta (in presenza35,3%; a distanza 25,4%).

6. Difficoltà manifestate durante l’esperienza universitaria dagli studenti in pre-senza e a distanza

Buona parte degli studenti del corso in presenza intervistati (61,8%) ha dichiarato di averincontrato diverse difficoltà durante l’esperienza formativa e di non essere riuscita a superarle(71,4%). Le maggiori difficoltà (Fig. 2) hanno riguardato soprattutto il poco tempo dispo-nibile per impegni personali (95,2%), ma anche il mancato sostegno (80%), i rapporti congli uffici amministrativi (66,7%) e una difficile interazione con i docenti (47,6%) probabil-mente a causa di rapporti troppo formali (45%). È interessante invece notare che non harappresentato una grande difficoltà la lontananza della sede (23,8%), probabilmente perchési tratta di studenti che non frequentano sistematicamente le lezioni. Infatti questo datotrova conferma nell’importanza attribuita alla possibilità di sostenere esami senza frequenzache abbiamo indicato in precedenza come una delle motivazioni che ha influito sulla deci-sione di iscriversi al Corso (Cfr. Fig. 1). Anche tra gli studenti del corso a distanza (Fig. 3), al di là delle specifiche problematiche

di un corso on-line (come la scarsa dimestichezza con le tecnologie informatiche o i costiper dotarsi delle attrezzature), prevalgono le stesse difficoltà, ma le frequenze percentualisono molto diverse: “la scarsa disponibilità di tempo a causa di impegni scolastici e/o pro-fessionali” è un problema per il 63,6% degli studenti a distanza (a fronte del 95,2% deglistudenti in presenza); “l’impossibilità di interagire direttamente con i docenti” è un problemaper il 19% degli studenti a distanza (a fronte del 47,6 % degli studenti in presenza); “il man-cato sostegno/impossibilità di ricevere rinforzi in caso di necessità” è un problema per il14,7% degli studenti a distanza (a fronte dell’80% degli studenti in presenza). Inoltre l’11%degli iscritti al corso a distanza dichiara di non aver avuto nessuna difficoltà.

Fig. 2: Difficoltà incontrate dagli studenti del CdL SdE in presenza

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Fig. 3: Difficoltà incontrate dagli studenti del CdL SdE FAD e-learning

7. Impegno orario dedicato allo studio

Vi è un altro dato importante che emerge dai due questionari, visto che si tratta in maggio-ranza di studenti lavoratori, ed è l’impegno dedicato in una settimana allo studio del corso:oltre il 70% degli studenti in presenza dichiara di dedicare allo studio individuale mediamenteoltre nove ore alla settimana mentre tra gli iscritti al corso a distanza solo il 37,6% studia piùdi 9 ore alla settimana (Fig. 4).

Fig. 4: Impegno orario mediamente dedicato in una settimana allo studio

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P

8. Analisi dei dati e considerazioni sul ruolo dell’ e-learning alla luce dell’espe-rienza formativa del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione FAD e-learningdi Roma Tre

Premesse le cautele necessarie nell’interpretazione dei dati visto l’esiguo numero dei casiosservati relativi agli studenti in presenza, le informazioni raccolte, se pur limitate all’espe-rienza dell’Università Roma Tre, evidenziano comunque che le modalità e strategie di in-segnamento-apprendimento utilizzate dalla tradizionale didattica universitaria in presenzapoco rispondono ai bisogni formativi di studenti adulti e lavoratori (nel nostro caso in pre-valenza insegnanti o con esperienze di insegnamento alle spalle) e spostano la riflessione sulruolo dell’e-learning, anche alla luce dell’esperienza formativa del Corso di Laurea in Scienzedell’Educazione FAD e-learning di Roma Tre (scenario di riferimento delle indagini presen-tate) al fine di comprendere le ragioni per cui la formazione in rete risponde maggiormentealle specifiche necessità e riduce le difficoltà che studenti adulti e lavoratori incontrano du-rante il percorso universitario.Partiamo da quella che risulta essere la maggiore difficoltà per tutti gli studenti intervistati,

ossia avere “poco tempo disponibile a causa di impegni professionali/personali” (Cfr. Fig.2-3). L’e-learning, rispetto alla tradizionale formazione in presenza, grazie alla flessibilità dispazi e di tempi, permette a docenti ed allievi di interagire anche a grandissima distanza, bastaavere a disposizione un computer e una connessione ad Internet. Gli studenti possono, quin-di, studiare comodamente a casa, in orari flessibili, evitando il problema di orari coincidentiper studio e lavoro e senza la necessità di spostarsi. In questo modo è possibile raggiungerestudenti che abitano in luoghi collegati male, isolati, lontani da strutture tradizionali di for-mazione, e che altrimenti non avrebbero accesso ad opportunità formative. A ciò si deveaggiungere che la forma digitale consente anche una gestione più flessibile degli stessi ma-teriali didattici e quindi del tempo necessario all’apprendimento. Nel CdL in SdE FAD e-learning di Roma Tre, ad esempio, gli insegnamenti afferenti ad aree tematico-concettualiaffini sono organizzati in Moduli (ogni Modulo è costituito da 2 o 3 Insegnamenti). Sebbenelo studente abbia la libertà di seguire anche un singolo insegnamento e di sostenere il ri-spettivo esame, l’accesso ai contenuti e alle attività didattiche on-line avviene per Moduli,ossia per aggregati di materie considerate altamente congruenti per i contenuti che le ca-ratterizzano e/o per le metodologie che le contraddistinguono. In questo modo non solosi evitano eccessive ridondanze nelle questioni tematiche trattate, ma soprattutto si favoriscela connessione tra gli ambiti concettuali di diverse discipline, permettendo di scoprire dapiù punti di vista una stessa questione. Attraverso video di presentazione, mappe concettuali(anche con supporto vocale) e link (a unità di studio dello stesso Insegnamento, a unità distudio di altri Insegnamenti dello stesso Modulo, a bibliografie, a sitografie, a glossari di Mo-dulo, a documenti di approfondimento, ecc.), si operano non solo chiarimenti, integrazionie approfondimenti ma anche la connessione tematico-concettuale tra gli Insegnamenti checompongono il Modulo interdisciplinare. Avere, inoltre, la possibilità di sostenere conte-stualmente gli esami relativi all’intero Modulo, permette una capitalizzazione delle risorsesia nel momento dello studio che nel momento dell’esame finale (Domenici, 2009a). E que-sta potrebbe essere anche una delle ragioni in grado di spiegare perché, come abbiamo visto,più del 70% degli studenti in presenza dedica allo studio individuale mediamente oltre noveore a settimana, mentre tra gli studenti del corso a distanza solo il 37.6% studia mediamenteoltre nove ore a settimana (Cfr. Fig. 4). In una didattica on-line che non si limiti alla sempliceerogazione di contenuti, infatti, le tecnologie, purché adeguatamente situate ed integrate,

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“possono divenire risorse capaci di far emergere nuove forma di riflessività critica perchéinducono in qualche modo a riflettere sulle regole sottese, sui criteri interni: la conquista dilivelli di riflessione più alta (capacità di vedere i problemi secondo una pluralità di ottiche,di considerali secondo angolature inconsuete, consapevolezza dell’esistenza di relazioni piùprofonde, nascoste) rappresenta uno dei contributi più importanti che esse potranno fornireall’apprendimento” (Calvani, 2000). Anche le altre difficoltà, come l’“impossibilità di interagire direttamente con i docenti”,

l’“impossibilità di ricevere rinforzi in caso di necessità”, il “mancato sostegno affettivo e co-gnitivo” (Cfr. Fig. 2-3), manifestate in misura maggiore dagli studenti in presenza, possonoessere risolte agevolmente in un corso e-learning grazie alla presenza di tutor, all’uso di stru-menti sincroni e asincroni per la comunicazione e alla creazione di una comunità virtuale. Il feedbackcontinuo sul livello di apprendimento, assieme all’interazione docente-discenti, sono con-siderati, infatti, elementi fondamentali in un corso on-line (Coldewayet & et al., 1980; Mason& Kaye, 1989; Moore & Thompson, 1990), perché rendono il percorso più plastico e adat-tabile alle necessità formative degli studenti. In particolare la figura del tutor, praticamenteassente nella formazione in presenza, che può assumere diversi ruoli in base al modello in-segnamento/apprendimento scelto (Berge, 1998; Calvani & Rotta, 2000; Salmon, 2000; Ri-voltella, 2006; Ardizzone & Rivoltella, 2008), svolge funzioni organizzative, sociali edidattiche, di volta in volta assumendo il ruolo di “consulente” delle procedure e delle attivitàda svolgere per portare a buon fine il percorso di formazione, di “facilitatore” degli impegnida assolvere, di “agente del sostegno affettivo-motivazionale” e, per alcuni versi, anche cul-turale. Soprattutto nella fase iniziale la sua funzione è fondamentale per cogliere le caratte-ristiche individuali degli studenti (preconoscenze, motivazione, disponibilità di tempo,abitudine all’autoformazione, bisogni formativi) al fine di indirizzarli e guidarli ad utilizzare,nel modo a loro più congruo, il materiale didattico disponibile, sollecitando contestualmentele loro capacità di affrontare e risolvere autonomamente problemi. Il tutor è anche il garantedel processo formativo, gestisce i tempi, stabilisce le scadenze, verifica il rispetto delle con-segne, risolve tempestivamente le difficoltà incontrate dagli studenti nello studio dei materialiproposti e, soprattutto, rende costantemente visibile il processo di apprendimento sottoline-andone i passaggi e le svolte significative. Nel CdL in SdE FAD e-learning di Roma Tre itutor, scelti tra esperti nel campo delle scienze dell’educazione e formati agli aspetti tecni-co-comunicativi della didattica on-line, oltre a svolgere importanti funzioni sociali e didat-tiche favoriscono i rapporti con gli uffici amministrativi e permettono di svolgere le praticheburocratiche in minor tempo, cosa che rappresenta una notevole difficoltà per il 66,7% deglistudenti adulti in presenza (Cfr. Fig. 2). Non a caso dalle intervistate del corso in presenza iltutor universitario viene visto come una figura, diversa dal docente tradizionale, la cui fun-zione dovrebbe essere non tanto quella di trasmettere contenuti ma piuttosto quella di ri-solvere le difficoltà iniziali (97,1%) e quindi in grado di ascoltare le richieste degli studenti(94,1), di facilitare i rapporti con la segreteria amministrativa (97,1%), di dare chiarimentisui programmi e sui corsi di studio (94,1%) e suggerire percorsi di ricerca (94,1%), quindianche una funzione orientativa. Viene considerata meno rilevante, ma comunque utile, lafunzione del tutor nei rapporti con gli altri studenti (55,9%) e nell’uso delle dotazioni in-formatiche (64.7%) (Fig. 5).

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Fig. 5: Funzioni di un tutor universitario secondo l’opinione delle studentesse del CdL in SdE in presenza

Inoltre, come da tempo ha messo in evidenza la letteratura internazionale, una formazionein modalità e-learning attraverso comunità virtuali di studenti in contatto tra loro e con i ri-spettivi docenti e tutor, favorisce importanti momenti in cui riflettere collettivamente suobiettivi, strategie, processi, superando l’isolamento del singolo e valorizzando i suoi rapporticol gruppo (Calvani & Rotta, 2000; Gillani, 2003; Trentin, 2004; Calvani, 2005, 2011; Farooq,Carroll & Ganoe, 2007; Ardizzone & Rivoltella, 2003, 2008). In questo modo la rete si tra-sforma da semplice contenitore/trasmettitore di informazioni ad ambiente collaborativo ecooperativo, in cui i contenuti vengono generati grazie al contributo di tutta la comunitàvirtuale degli studenti e dei formatori, riportando così l’apprendimento alla sua vera naturadi processo sociale. Nel CdL in SdE FAD e-learning di Roma Tre, ad esempio, oltre a periodici“ricevimenti virtuali” in chat da parte dei docenti, sono previsti Forum di chiarimento sui ma-teriali di studio finalizzati a risolvere tempestivamente le difficoltà incontrate dagli studentinello studio dei materiali proposti e forum finalizzati a favorire la creazione di contesti col-lettivi di apprendimento e a sostenere lo sviluppo di una comunità professionale in una pro-spettiva di formazione continua, come il Forum generale in cui si può discutere di tutto anchedi argomenti non legati ai contenuti del corso e i Forum tematici previsti per ciascun Insegna-mento, in cui discutere e confrontarsi tra pari sui contenuti del corso, anche sulla base delleproprie esperienze e delle conoscenze e competenze acquisite nel contesto professionale. Infine arriviamo a quella che, come abbiamo visto, rappresenta una delle motivazioni

principali che hanno indotto entrambe le tipologie degli studenti intervistati ad iscriversi alCorso di Laurea in Scienze dell’Educazione: “sviluppare e migliorare la professionalità” (Cfr.Fig. 1). Come si sa, l’apprendimento degli adulti richiede, come presupposto indispensabile,motivazione personale e interesse ad utilizzare i saperi acquisiti (Weiner, 1972; Demetrio,1991; Bandura, 2000). Terminare un’esperienza formativa con la sicurezza di aver compresocome utilizzare le nuove conoscenze evita la frustrazione di aver ascoltato proposte stimolantie non sentirsi in grado di appropriarsene nella pratica. Un corso di laurea rivolto a studentiadulti e lavoratori non può, dunque, limitarsi solo a trasmettere saperi codificati e rigidi osemplicemente a predisporre tempi, spazi e modalità più compatibili con i loro ritmi di la-

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voro, ma deve mirare soprattutto ad una ricaduta professionale dei processi formativi attivati.Pertanto, mentre l’approccio formativo tradizionale, centrato sugli incontri in presenza, portaa separare il momento dell’ apprendimento da quello della applicazione nell’attività profes-sionale di quanto appreso, una proposta formativa e-learning, attraverso la simulazione dicontesti reali, permette allo studente di prendere decisioni, di osservarne le conseguenze edi riflettere sugli esiti via via conseguiti per “regolarli” opportunamente, favorendo la presadi coscienza delle proprie strategie di utilizzazione dei saperi posseduti, delle procedure va-lutative poste in essere e delle decisioni adottate nella soluzione di un problema specifico(Domenici, 2009c). Favorire la capacità di monitorare e valutare la propria attività cognitiva,rappresenta una leva fondamentale per acquisire una piena consapevolezza delle propriestrategie cognitive, relazionali e affettivo-motivazionali e costituisce, nei processi formativiuno dei fattori cruciali per migliorare i livelli di apprendimento degli studenti (Flavell, 1976;Bandura, 1977, 2000; Brown, 1978; Ianes, 1996). Nel CdL in SdE FAD e-learning di RomaTre, la proposta didattica è, infatti, caratterizzata dall’uso sistematico di prove di autovalutazionee di varie tipologie di esercitazioni, tutte strutturate nell’ottica di un controllo meta cognitivo(Brown, 1978), ovvero volte a sviluppare la capacità individuale di prevedere, pianificare,monitorare, valutare in modo sistematico l’attività relativa all’esecuzione di un compito spe-cifico. In particolare la procedura di autocontrollo si avvale di prove semistrutturate (Domenici,1991, 1993, 2005) che, a differenza dei test oggettivi solitamente usati, facendo riferimentoa problemi complessi e incerti come quelli che si incontrano normalmente nella vita di tuttii giorni, quindi ad un contesto significativo ed autentico, permettono a ogni studente disviluppare la consapevolezza dei propri processi cognitivi e la capacità di porre in esserestrategie per risolvere un problema applicabili in diverse situazioni. Inoltre, essendo possibileper ogni prova monitorare il processo di autovalutazione effettuato attraverso feedback con-tinui volti a dare indicazioni precise sugli aspetti positivi da potenziare, sugli errori commessie sui percorsi da seguire per rimediarvi, si rende il soggetto padrone del proprio processo diapprendimento. Anche le esercitazioni previste nel Corso si inseriscono in questo processo dicontrollo metacognitivo in quanto, anch’esse, mirano a far applicare le conoscenze in contestireali o simulati, sia in forma concettuale che operativa, attraverso proposte di attività, daquelle più consuete, come alcune situazioni problematiche nelle quali vi è la richiesta diapplicare le conoscenze apprese al fine di trovare soluzioni adeguate ai problemi posti aquelle che si configurano come vere e proprie simulazioni di contesti teorico-operativi, co-me ad esempio la proposta di “studi di caso”. La ricerca svolta nell’ambito del progettoPRIN 2006-2008, prima citato, che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di verificare se, in una pro-posta formativa e-learning rivolta ad adulti/insegnanti, il maggior utilizzo degli strumentidi autovalutazione a disposizione potesse associarsi a performance migliori, ha confermatol’ipotesi che l’autovalutazione rappresenta una variabile cruciale per acquisire in modo si-gnificativo, stabile ed efficace quanto propone la formazione, evidenziando un significativolegame diretto tra l’autovalutazione e le esercitazioni da una parte e le performance degli stu-denti (media dei voti, numero di esami e numero di crediti) dall’altra (Domenici, 2009b). Per concludere, sembra possibile affermare che, in un quadro di modernizzazione dei si-

stemi universitari, l’e-learning, in particolare nella formazione degli adulti, facilitando lepratiche formative nei diversi contesti, migliorando i risultati della formazione, offrendomaggiori opportunità di formazione permanente adeguate ai bisogni di ognuno, creandocompetenze più spendibili sul mercato del lavoro può contribuire a “sviluppare un’economiabasata sulla conoscenza e sull’innovazione” (European Commission, 2010a), capace di unacrescita economica duratura, accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativodell’occupazione e da una più grande coesione sociale. Oggi “la questione non è più saperese l’insegnamento universitario deve cambiare, ma come deve avvenire il cambiamento e

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chi saranno gli attori. Il momento non è più quello di chiedersi se le TIC sono utili al cam-biamento, ma quale posto devono occupare nella formazione e nella ricerca” (Galliani, 2004).

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Anna Maria Ciraci

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EsperienzeTutti pazzi per Wittgenstein! Insegnare filosofia on-line superando pratiche riduttive dell’e-learning

All crazy about Wittgenstein! Teaching philosophy on-line overcoming reductive e-learning practices

L’esperienza di cui si dà conto riguarda laparticolare piega che l’insegnamento di “Fi-losofia della comunicazione e del linguag-gio” (erogato in modalità e-learning) hapreso, dopo una serie di interventi didattici,ribaltando ogni iniziale previsione. Lo sce-nario in cui si è operato presentava, infatti,una gamma importante di criticità; gammariferibile all’opinabile traduzione di e-lear-ning fatta propria dall’Ateneo di riferimentoe alle caratteristiche dei soggetti iscritti alcorso: studenti adulti (età > 30 anni), per lopiù silenti in termini di partecipazione atti-va, privi, nella maggior parte dei casi, di unaforte motivazione ad apprendere e carichi dipregiudizi (per loro stessa ammissione) neiconfronti dell’intero settore filosofico. Il la-voro intende dimostrare come, attraversoscelte didattiche, opportunamente vagliate,siano stati raggiunti risultati, in termini dicambiamento, e dunque di apprendimento,non banali rispetto al quadro di partenza.

Parole chiave: apprendimento adulti, e-le-arning, narrazione, didattica, linguaggio, fo-rum.

The experience considered regards the particulartwist that the teaching of “Philosophy of Com-munication and Language” (offered through e-learning) has taken, following a series of choices,overthrowing all initial expectations. The settingin which the writer has operated presented, in fact,a substantial range of critical points concerning aquestionable translation of e-learning on the partof the University and the characteristics of the stu-dents enrolled on the course. The students areadults (aged > 30), mainly silent in terms of ac-tive participation and without, in most cases, anystrong motivation to learn and weighed down withprejudices (which they themselves admitted) to-wards the whole philosophy field. This contribu-tion aims to demonstrate how, through appropriatechoices, non-trivial results have been achievedcompared to the starting framework (in terms ofchange and therefore learning, of course).

Key words: adult learning, e-learning, sto-rytelling, didactis, language, forum.

LOREDANA LA VECCHIA • GIOVANNI GANINO*

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

* Loredana La Vecchia è autore dei paragrafi 1, 2 e 4. Giovanni Ganino è autore del paragrafo 3.

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Tutti pazzi per Wittgenstein! Insegnare filosofia on-line superando pratiche riduttive dell’e-learning

1. Premessa sulle cattive pratiche di e-learning

«Mi piace molto insegnare; soprattutto perché, mentre insegno, apprendo»

(da: Fernando Sorrentino, Siete conversaciones con Jorge Luis Borges, 1996)

Sebbene non possa contare, al pari dell’omologa attività presenziale, su una storia radicata,l’e-learning ha oramai una propria tradizione, tant’è che in Italia si contano ben tredici Uni-versità che basano la loro attività formativa esclusivamente su di esso. Il che non è un male,anzi, una presenza così importante, induce a indagare cosa, nel concreto, significhi agire talemodalità di insegnamento/apprendimento e, anche, come la stessa venga attualizzata, rispettoalle indicazioni provenienti dal dibattito scientifico. Sul versante teorico, infatti, il costruttoe-learning ha connotazioni chiare, avendone la comunità di riferimento, nel corso degli ul-timi tre lustri di ricerca in materia educativa (ma tutto partì da più lontanto, da quando ilcomputer entrò sperimentalmente nelle aule scolastiche, si veda, a tal proposito, Cox, 2013),sia precisato la geografia teorica sia circoscritto la dimensione concettuale. Sotto questo ri-guardo, dunque, siamo legittimati a chiamare qualcosa “e-learning” quando, grazie ad unlavoro di progettazione (auspicabilmente basato su pedagogie del Web e sul riconoscimentodei nuovi ruoli che insegnanti e studenti sono destinati ad assumere), si giunga alla confi-gurazione di uno spazio multidimensionale, tecnologico e insieme cognitivo (in cui insiste-ranno anche tutte quelle risorse e quegli strumenti – materiali didattici – che, attenendotipicamente alla sfera della comunicazione, innescano rapporti significativi tra gli individui– di scambio, ma anche di conflitto, di adattamento, di autoregolazione), tale da identificarsicome ambiente di apprendimento di “buona qualità”. In un ambiente di rete siffatto, evolutoe dal versante tecnologico e da quello didattico, “ad apprendere – come afferma Maragliano(2008, p. 99) – non è il singolo ma la comunità, […] si mette il singolo nella condizione dielaborare e condividere con altri una porzione aperta di conoscenza, non si ascolta solo ildocente e si parla solo se interrogati, ma tutti ascoltano tutti e tutti parlano a tutti”. Colle-gando docenti, discenti, materiali didattici, testi (di qualsivoglia natura) è l’ambiente stesso,dunque, che assurge, a mano a mano che le interconnessioni diventano sempre più fitte, alruolo di docente. Muovendosi in questo spazio, gli attori dell’azione formativa sono chia-mati, reciprocamente, alla presenza, all’esserci l’un per l’altro, alla partecipazione attiva, sivuole dire. Non solo. Così agendo, essi plasmano la propria esperienza apprenditiva e creanouniversi nuovi di significati – ossia modi nuovi di leggere e interpretare la realtà. Bisogna,infatti, considerare che l’apprendimento, come del resto è contemplato dalle teorie di matricecostruttivista – teorie che fin dagli albori hanno epistemicamente giustificato e supportatol’e-learning –, accade nel mentre dell’impegno che gli individui assumono nell’inviare ericevere feed-back, nell’interagire sociale, nel cooperare. Esso, pertanto, se ne può concludere,è modellato dalle forme che tali azioni assumono. Per dirla con Galliani (2004, p. 4) “l’ap-prendimento è un processo non elettronico ma psichico, complesso e costitutivo del soggetto

che, incorporando conoscenze attraverso esperienze contestualizzate e socializzate, modificacapacità, comportamenti, competenze”.Ora, sul ruolo che l’interazione ha nell’apprendimento on-line, si è concentrata l’atten-

zione di molta ricerca, i lavori di Moore (1989, 1990, 1991) e di Bereiter & Scardamalia(1994), sono stati tra i primi, si ricorda, a far emergere la dimensione decisiva di questa va-riabile. Dagli stessi, quello che, in questa sede, torna utile riportare è l’idea che non sia suf-ficiente riconoscere valore all’interazione in quanto tale perché un’esperienza diapprendimento possa dirsi felice o di successo, ma, piuttosto, che occorra rendersi conto diquanto la sua significatività rimandi alla filosofia educativa sottesa ai diversi soggetti/entiche, a vario titolo, rientrano nel progetto stesso di formazione. A dire, il docente, i singolistudenti, il particolare oggetto d’insegnamento, i tecnologi, i fattori ambientali non sononeutri, ognuno di essi ha un peso nel determinare la qualità dell’azione dialogica e, comenel gioco del domino una tessera, cadendo, fa collassare le altre, così nel sistema formazione,la debolezza di un elemento codifica per quella dell’altro. Il fatto è che, nell’approntare un percorso di e-learning, bisogna essere disposti a “pren-

dersi cura” dell’evento non solo a livello di media ma, e soprattutto, a livello della relazione.Il che si traduce in azioni di presa in carico responsabile dell’altro in quanto soggetto con:(1) proprie credenze sul mondo; (2) un modo suo di discriminare, narrare e attraversare quelmondo; (3) un personale stile cognitivo; (4) un suo mix di competenze e di negligenze. Cosìcome, in egual misura, bisogna sentire forte l’engagement culturale, il rispetto verso il sapere,in generale, e i singoli domini di conoscenza, in particolare. Sapere che è da intendersi comela risultante del rapporto dialettico che il soggetto instaura con quanto lo circonda, al finedi decifrarlo e definirne il senso, e che prevede, per dirsi scientificamente corretto, un’im-postazione metodologica1. Ebbene, il pensiero che l’e-learning autorizzi a mortificanti tagli e semplificazioni nella

proposta formativa e culturale (con l’intento di facilitarne l’impatto e di aumentarne l’appealverso categorie di soggetti che, probabilmente, in altra situazione rinuncerebbero ad avvi-cinare gli studi universitari) dei contenuti scientifici – si permetta l’empirica constatazione– è uno dei vizi più diffuso tra coloro che ricoprono ruoli-chiave nelle stanze del governodegli enti eroganti quel servizio (non si dimentichi il peso che, nelle Università telematiche,hanno le società di capitali che a latere ne accompagnano l’operato). In questa prospettiva,si tenga ancora presente che l’e-learning, come soluzione tecnologica per la formazioneprofessionale e superiore degli adulti (Galliani, 2002a) è una forza economica di non pocarilevanza (un aspetto spesso tralasciato dai ricercatori). Si vuole dire che questa variabile, ri-tenuta indipendente, contribuisce a determinare la particolare curvatura che le azioni di-dattiche delle istituzioni considerate seguiranno. Molto prosaicamente, le UniversitàTelematiche, nella maggior parte dei casi, hanno un’impronta aziendale che, giocoforza, siriverbera su tutti i momenti del loro operare. Se poi si considera che ogni processo produt-tivo diventa tanto più redditizio quanto più si riesce a renderlo seriale (la famosa catena dimontaggio), allora è facile concludere che, anche nel caso dell’e-learning, si avrà un profittopiù alto automatizzando le procedure! Tali considerazioni vanno, nell’ottica di chi scrive,esplicitate in quanto il tacerne rischierebbe di inficiare ogni tentativo di analisi avente adoggetto quelle situazioni empiriche (didattiche) su cui, in definitiva, si alimenta lo stesso di-scorso teorico e scientifico.

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Loredana La Vecchia, Giovanni Ganino

1 Per chi scrive, è importante far comunque salva “la visione scientifica del mondo” e dunque sottolinearecome, pur riconoscendo che la verità scientifica non possa mai dirsi assoluta, esista una dimensione oggettivadel sapere.

Ebbene, l’esperienza di seguito presentata ha come sfondo di accadimento proprio un’isti-tuzione accademica telematica2, la cui ragione culturale è centrata sull’e-learning, ma le cuilinee di attuazione stridono con il significato, epistemicamente condiviso dal settore di ri-cerca, di e-learning stesso. In breve, la struttura su cui si impiantano i singoli insegnamentiè semplicistica nella sua concezione: un numero di videolezioni, accompagnate da altrettantedispense testuali (scaricabili dagli studenti all’avvio di ogni videolezione) e contenenti, incoda, il relativo test di autovalutazione (10 item con quattro possibilità chiuse di risposta, priveperò di qualsiasi messaggio compensativo – utile a spiegare perché quella data sia corretta ono. Se lo studente compie un errore è banalmente invitato a rivedere l’argomento della do-manda). Null’altro è previsto. Non sono ammesse altre fonti di informazioni: al docentenon è data la possibilità di indicare un programma che contempli lo studio di un saggiocritico, di un’opera fondamentale, per esempio. Al massimo è concessa l’indicazione di let-ture, ma a puro titolo facoltativo. Sul piano, poi, dell’interazione, dello scambio costruttivoin ambienti progettati allo scopo, l’offerta si limita all’apertura istituzionale di un forum. Ildocente trova lo strumento forum, però, anche in questo caso, impatta una serie di limiti –sia di natura tecnologica (non è possibile, per esempio, intervenire sulla sua architettura, èuna semplice dotazione standard) sia di natura pedagogica (ai fini dell’insegnamento/ap-prendimento l’attività di forum non viene presa in considerazione). Volendo (ma giova ri-cordare che in contesti e-learning tale azione sarebbe dovuta), ad esempio, nel proprio corsodisciplinare, incentrare una sua parte sul lavoro di rete – attivo, partecipato e, perché no, conuna attribuzione di valore in termini di crediti – ci si trova davanti al più inspiegabile deirifiuti, da parte di chi ha la responsabilità didattica della Facoltà o del Senato. In linea con ilquadro descritto, il comportamento degli studenti (predominanza assoluta di adulti) è rigo-rosamente impeccabile: privi, nella maggioranza dei casi, di una qualche motivazione ad ap-prendere, silenti, poco inclini alla curiosità intellettuale e con concezioni scientifiche ingenue.Eppure, come si dimostrerà, anche in questo depauperato frame, sotto la spinta di quell’as-sunzione di responsabilità di cui si scriveva poc’anzi, è stato possibile creare un’esperienzanon banale, si crede, di accompagnamento educativo nel processo di apprendimento.

2. Analisi dell’esperienza didattica svolta in contesto e-learning

L’esperienza di cui si dà conto riguarda la particolare piega che l’insegnamento di “Filosofiadella comunicazione e del linguaggio” (afferente al Corso di laurea in “Scienze dell’educazionee della formazione”, a. a. 2011/12) erogato in modalità e-learning, ha preso, dopo una seriedi scelte operate in termini di strategia didattica, ribaltando ogni iniziale previsione. I criteriadottati nella selezione dei passaggi indicati nel lavoro, nonché dei materiali provenienti daglistudenti, quale testimonianza delle loro modalità di leggere, argomentare e valutare critica-mente quanto proposto, agli esordi e a mano a mano che il percorso si sviluppava, rimandanotipicamente ai metodi qualitativi della ricerca. Come è noto, nello spazio del paradigma qua-litativo, la teorizzazione “emerge direttamente dai dati”, quest’ultimi godono di priorità as-soluta e nell’approcciarli l’atteggiamento più consono è quello definito dell’attenzionefluttuante (permette, diversamente dall’attenzione focalizzata – selettiva e analitica – di cattu-rare aspetti nuovi, “verità” altre, multiformità del reale, perché lo sguardo usato è mobile, siposa sull’insieme e ne rileva, più liberamente, gli elementi anomali, i tratti che, sotto qualche

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2 Università Telematica Pegaso con sede a Napoli.

rispetto, incarnano novità, lasciando presagire, all’osservatore, una “scoperta”). Così proceden-do, si giunge ad una concettualizzazione di quanto indagato: descrivendo gli eventi, compiendocollegamenti tra le diverse fasi (anche in modalità circolare) è possibile arrivare ad una sensataspiegazione della serie stessa di avvenimenti/interazioni/sequenze fatte oggetto di ricerca(Strauss, Corbin, 1990). In somma, la trama dei fatti genera la teoria entro cui quei fatti sonoriconoscibili e possono essere interpretati. Seguendo questa prospettiva epistemica, nello spe-cifico del lavoro, si è descritta l’esperienza a partire da dati che ne costituivano il contesto –l’istituzione formativa e l’atteggiamento degli studenti. Si è quindi proceduto collegando traloro le diverse azioni compiute dal docente e dai discenti; azioni che coincidono con i testirispettivamente prodotti, durante il periodo didattico dicembre 2011/marzo 2012, nel forumdisciplinare. Da quei testi, riportati nel prosieguo dello scritto e selezionati tenendo in contola categorizzazione identificata da Booth e Hultén (2003)3, è possibile testimoniare il cam-biamento avvenuto tra gli studenti, almeno rispetto alla variabile “motivazione ad apprendere”e, nel contempo, ricavare le indicazioni generali circa le relazioni che si sono create tra i diversieventi (gli stimoli forniti e le risposte da essi innescate), giungendo alla teorizzazione, ovvia-mente locale e contestuale, entro cui l’esperienza tutta acquista senso.Lo scenario in cui si è operato presentava, come abbiamo visto in premessa, una gamma

importante di criticità. Gamma riferibile sia alle politiche adottate dall’Ateneo sia alle caratteri-stiche dei soggetti iscritti al corso. Nello specifico si trattava, almeno agli inizi del corso, di 50soggetti, ma si tenga in conto che negli Atenei telematici di norma le iscrizioni ai corsi di laureasono sempre aperte, da qui l’aleatorietà nel conoscere, da parte dei docenti, il numero effettivodei partecipanti ai varî insegnamenti. Nell’anno immediatamente precedente, inoltre, molti diquegli stessi studenti, senza troppi ambagi, avevano più volte dichiarato i loro pregiudizi, e quindiil loro generale disinteresse, nei confronti del sapere filosofico4. In buona sostanza, la natura diquei pregiudizi è riferibile al mancato riscontro del legame esistente tra l’attività speculativa in-carnata dalle figure storiche dei filosofi e il contingente, nonché a passati scolastici, per la maggiorparte di loro segnati da insuccesso personale nei confronti della filosofia, che mal li disponeva alconfronto. Una scissura evidentemente profonda, resa ancor più marcata dalla difficoltà di ma-neggiare, per così dire, il linguaggio formale della disciplina stessa, il suo impianto rigoroso, al-tamente astratto, e, purtroppo, da una certa disabitudine alla riflessione critica: la loro lettura delmondo sembrava poggiare esclusivamente su un’inelegante e fallace visione prosaica. L’imper-meabilità a quel tipo di studi, pertanto, era conseguenziale. Nella fase d’avvio dell’insegnamento,dunque, le prospettive apparivano drasticamente frustranti. In questo contesto, la prima sceltaeffettuata è stata quella di comportarsi alla stregua di un coach5, puntando su un approccio col-loquiale (ben sapendo che a nulla sarebbe valso strutturare, in quella cornice, l’insegnamento se-

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Loredana La Vecchia, Giovanni Ganino

3 Secondo gli Autori i contributi si possono, in rapporto ai verbi usati nelle proposizioni, identificare in:“partecipatorio” (quando chi scrive identifica se stesso, confermando la sua presenza; pone domande; fariferimento ad altre persone o alle affermazioni di altri), “fattuale” (quando chi scrive affronta questionispecifiche, problemi in essere nella discussione, esprimendo il proprio parere o chiedendo chiarimenti einformazioni sugli stessi), “riflessivo” (quando chi scrive puntualizza qualcosa che era implicito nella di-scussione; esprime accordo o disaccordo, fornendo una qualche giustificazione circa la posizione assunta;problematizza; confronta uno o più punti di vista), “di apprendimento” (quando chi scrive espone e argo-menta in modo raffinato il proprio pensiero, sì da diventare elemento cruciale della discussione stessa).

4 Occorre precisare che il Corso di Laurea prevedeva anche gli insegnamenti di “Storia della filosofia” e“Logica e Filosofia della scienza” – entrambi affidati a chi scrive. Proprio durante gli esami finali di tali di-scipline, gli studenti avevano espresso il loro pensiero e il loro particolare modo di vedere le cose.

5 Come è noto l’idea che il docente debba comportarsi da “allenatore” si sta sempre più consolidando nellepratiche educative, a più forte ragione in situazioni di e-learning.

condo i dettami più classici dell’e-learning – fornire link a documenti e a fonti altre o segnalareletture di approfondimento, ad esempio, era perfettamente inutile se non addirittura contropro-ducente). In quella veste, l’obiettivo che ci si è posti è stato catturare l’attenzione, agendo un com-

portamento di seduzione (nell’accezione data al termine di “condurre” – dúcere – “a sé”).Ispirandoci alla lezione di Borges6, è parso utile tentare di suscitare entusiasmo, sì da innescareun desiderio di ricerca, di “fare scoperte”, mettendo in preventivo l’eventualità che, in certimomenti, sarebbe stato funzionale deviare dal cammino canonico del programma di studio. Iprimi post inseriti corrispondevano a quello che in scherma (si permetta l’analogia) si chiama“invito”: tecnicamente lo schermidore abbassa la sua arma e apre, indifeso, l’altro all’azione.Così, nel nostro caso, usando la retorica dell’invito, appunto, si è veicolato il seguente messaggio“non c’è intenzione offensiva da parte del docente, questo spazio è vostro, potete, praticandolo,trarne qualche beneficio”. In essi, poi, si sottolineava il bisogno di ricevere un parere in meritoalle videolezioni, alle dispense, ai test di autovalutazione inseriti, giusto per sapere se lo stile, iltono e il linguaggio usati fossero o meno adeguati, risultassero o no intelligibili. Insomma, siè cercato di far leva anche su una sorta di “principio di carità” – era il docente a chiedereaiuto. Le prime risposte (Tabella n. 1) non hanno tardato a venire e subito è apparso chiaro ildesiderio, fin lì evidentemente represso, di colloquiare, di confrontarsi con qualcuno. Emblematico, in questo senso, il feed-back, di tipo “partecipatario”, ricevuto da una stu-

dentessa. Prendendo spunto da una considerazione fatta sul valore del procedimento logico,poneva delle domande a più ampio raggio e, auspicando il conforto di un parere, esprimeva– come si può constatare dal testo di seguito riportato – persino la possibilità che tale scam-bio potesse rivelarsi d’aiuto ai fini di altra disciplina.

«Sono […] e rubo un attimo del suo e del mio tempo (tra una lezione e l’altra), perfare un mio modestissimo intervento circa il bla bla bla [così era stato definito, per sot-tolinearne il carattere amicale, il dialogo che si intendeva proporre - NdA] piacevolis-simo che lei sta cercando di instaurare con noi. […] Ho letto di Wittgenstein che la logica mostra quello che il linguaggio dice. In genereciò che si mostra è la realtà, ciò che si dice è il linguaggio. Ma sembra, soprattutto oggi,che la realtà di ciò che si mostra non corrisponda a quello che generalmente diciamoe viceversa. Non sempre l’uomo è pronto a sostenere la realtà anzi spesso fa decisamente il contra-rio....e come se si negasse l’evidenza dei fatti reali.Perché l’uomo spesso non esprime ciò che costituisce la realtà dei fatti allo stesso mododella logica? Perché in determinati contesti sociali si infrangono norme e si fa decisa-mente il contrario di come andrebbe fatto? Mi piacerebbe ricevere una sua personale interpretazione oltre al fatto di poter scam-biare quattro chiacchiere anche perché potrebbe aiutarmi nella preparazione di un esa-me che dovrò sostenere prossimamente riguardo ai fenomeni di devianza e criminalità».Autore: Roberta - 2012-02-05 13:40

Rotto il silenzio, però, i problemi legati all’insegnamento specifico restavano tutti. Daicommenti, dalle argomentazioni, dai ragionamenti postati appariva manifesto il disagio deglistudenti nell’accedere all’oggetto stesso del sapere; visioni ingenue delle cose, procedure ditipo euristico, povertà di vocabolario e la mancanza di conoscenze puntuali circa alcuni

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6 Il riferimento è alle “Lezioni sulla letteratura inglese” tenute da Borges nel 1966 all’Università di BuenosAires, pubblicate nel 2000 grazie alle registrazioni e trascrizioni effettuate da un gruppo di studenti cheseguì quel corso.

concetti scientifici (l’evoluzione,7 per esempio) davano la misura del gap esistente (due con-tributi “fattuali” a riprova).

«L’evoluzione è parte del dinamismo della vita. Nella vita sono presenti anche fenomenidi “involuzione”, generalmente causati dall’uomo e a questo proposito che penso chesempre di più possiamo e dobbiamo permetterci un’evoluzione più umana che nondisumana». Autore: Adele DD- 2012-03-12 13:04

«Gentilissima Professoressa, vorrei per favore, mi “illuminasse”. Mi sembra di capire,che l’evoluzione consiste nello sviluppo della razionalità dell’uomo che permette quindidi predominare, controllare e sottomettere gli istinti primordiali di cui noi tutti siamoancora dotati? Spero di aver percepito bene il messaggio». Autore: Claudia S - 2012-03-13 15:53

In estrema sintesi, era fin troppo evidente la ridotta competenza/propensione alla rifles-sione genuinamente astratta, a tenere distinti i piani del discorso e a maneggiare le parole –i messaggi poc’anzi segnalati ne sono prova. Inoltre, non c’era un senso del gruppo, chi ri-spondeva si rivolgeva direttamente al docente, visto come l’unico depositario del sapere,senza tener conto di quanto era già stato espresso dai propri pari né, di converso, venivamanifestata una qualche intenzione di coinvolgere o chiamare in causa gli altri. A dire, eranato un rapporto di reciproco riconoscimento tra le parti, ma non si riusciva a compiereun salto di qualità.Ora, in siffatti momenti, un docente percepisce tutta la difficoltà del suo ruolo: un banale

errore, infatti, potrebbe per sempre precludergli la possibilità di entrare significativamente incontatto con i suoi discenti. Chi scrive avvertiva, pertanto, l’urgenza, di non perdere l’attimononché la necessità di dare una struttura più articolata a quel parlare. Selezionando ad hoc tragli argomenti già affrontati nelle videolezioni e nelle relative dispense, con scadenza regolare,chi scrive ha iniziato a lanciare delle piccole sfide sul forum. La forma comunicativa usata eraun ibrido, a metà strada tra il dialogo socratico (Vlastos, 1994) e la narrazione, e questo a frontedi due considerazioni: gli uomini di ogni tempo e di ogni dove (1) hanno una spiccata voca-zione per l’affabulazione, vista la natura “verbivora”8 della nostra specie, e (2) si mettono fa-cilmente in competizione, vista la loro natura egocentrica. In questa fase del processo diinsegnamento/apprendimento l’obiettivo che ci si è posti è stato quello di allenare gli studential rigore del ragionamento, dunque a compiere un lavoro di partecipazione nel forum piùraffinato. Gli argomenti privilegiati, per i quesiti à la Socrate, riecheggiavano, concettualmente,i paradossi della logica classica e, di rimando, i grandi problemi aperti dalla riflessione filosoficain tema di linguaggio. In somma, ci si è adoperati nella produzione di piccoli testi narrativi9

capaci di indurre critical thinking, presentandoli, tuttavia, con tono leggero, in modo tale che siavesse la percezione di partecipare quasi ad un gioco di società: inserendoli nel forum, venivarichiesta, infatti, la collaborazione nel trovare una soluzione plausibile al problema sollevatodalla storia stessa. L’unica regola che veniva posta (per inciso, sempre rispettata) era quella diservirsi esclusivamente delle proprie competenze, facendo finta che null’altro al mondo esi-stesse. Un esempio.

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7 Sulla teoria darwiniana era stata impostata l’argomentazione atta a fornire giustificazione del sorgere, nellanostra specie, del linguaggio articolato. Avere chiaro come l’evoluzione funzioni, era condizione necessariaper la corretta comprensione del discorso sviluppato nella videolezione e nella dispensa di riferimento. Siera dato per scontato che quella condizione fosse assolta, dal forum però è emerso il contrario.

8 L’aggettivazione, inusitata, si deve a Pinker (2007), è stata scelta per la forza con cui veicola l’idea ad essasottesa.

9 Si è guardato, su tutti, a Bruner (1996).

«Non vi ho ancora detto che posseggo un cane, figlio del mio precedente bovaro delbernese. Si chiama Apollo e credo (come tutti i proprietari di cani – a proposito chitra di voi ne possiede uno?) che capisca i miei discorsi. Il suo affetto è sincero, non mitradirebbe mai (penso) e so che non potrebbe decidere di mentirmi. Attende pazienteil mio rientro a casa e mi accoglie sempre con grandi feste. Eppure non posso rivolgermia lui dicendo: ti lascio cibo e acqua a sufficienza, c’è una persona che si occuperà di te,io rientro il prossimo giovedì, aspettami. Mi piacerebbe sapere perché secondo voiApollo non può aspettare che io rientri il giovedì».

Inoltre, anche per il feed-back fornito alle soluzioni che si ricevevano (spesso non for-malmente valide) si è privilegiata la formula della narrazione. Non veniva data la rispostaesatta, ma chi scrive raccontava la propria esperienza circa il modo in cui, da studente, avevaimpattato la stessa classe di problemi. Al massimo, quando i discorsi si avvitavano su aspettiforvianti, veniva dato un breve resoconto della situazione e quindi una sommaria indicazionecirca le cose meritevoli di ulteriore approfondimento. Il successo riscosso da tale genere di stimolo è stato inaspettato. Gli accessi al forum sono

cresciuti in modo esponenziale (vedi Fig. 1, 2 e Tab.1) e, cosa ancor più interessante, dopoun paio di presentazioni di questo tipo, gli studenti hanno iniziato (mai si era verificato pri-ma) a colloquiare tra di loro – ragionando insieme, riflettendo criticamente sui propri ealtrui contribuiti, aiutandosi vicendevolmente. La scelta operata si è così rivelata una vera epropria chiave di volta, finalmente eravamo diventati una vera comunità e i messaggi riportatipossono ben restituirne l’idea.

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Fig. 1: Nel mese di febbraio la discussione era inesistente, come dimostra l’assenza di pagine indicanti un thread

Fig. 2: Nel mese di marzo la situazione è completamente cambiata, sono presenti 20 pagine indicanti l’avvenuto sviluppo di una discussione

Tab. 1: Numero di risposte/interventi degli studenti ricevuti nel forum dall’avvio dell’insegnamento

«Nel caso specifico del cane Apollo, siamo di fronte ad una standardizzazione delleazioni, ed alla ripetitività delle sue aspettative, e non può aspettare e comprendere chepotrei tornare il prossimo giovedì, perché alla base di tale impossibilità di comprenderlo,c’è il fatto che con le mie azioni quotidiane “trasferisco al mio cane delle informazioni”(attraverso le mie azioni) che lo stesso “inquadra” come aspettative spazio�temporali,ma l’animale non recepisce l’intenzionalità, ne tanto meno la causalità e nemmenodegli stati mentali. Diciamo, quindi che lo stesso attiva una capacità stimolo�segnale infunzione di una mia ripetitività dell’azione (per esempio tornare dall’ufficio semprealle ore 18) in sostanza il cane non coglie quell’agente intenzionale nel processo diperseguire un determinato scopo.Ricordate il film HACHIKO?? (storia vera). Il cane Hachi continuò ad attendere ilsuo padrone alla stazione anche dopo la sua morte per ben 10 anni !! questa è la dimo-strazione di quanto detto precedentemente. Ringrazio tutti della Vs cortese attenzioneed ovviamente attendo riscontri (devo capire ed imparare come tutti Voi). Un caro sa-luto a tutti». Autore: Rosario C - 2012-03-14 18:02

«Caro Antonio io ho un cane di nome Michael che tutte le mattine, quasi alla stessaora, tranne la domenica, porto a casa di mio padre. Nonostante tra una domenica eun’altra c’è un intervallo di sette giorni il mio cane sa che tutti i giorni può chiedermidi andare da mio padre, nel senso che all’avvicinarsi dell’ora prestabilita inizia a saltarea correre e si agita, però sa che di domenica questa cosa non è possibile e continua adormire. Quindi su quest’aspetto non sono d’accordo con te... diciamo che in parte lapenso come Rosario, per quanto riguarda gli altri animali, per i cani a mio parere vafatto un discorso a parte, nel senso che il cane che vive in una famiglia percepisce l’in-tenzionalità e gli stati mentali dei componenti di quella famiglia, le cause che hannodeterminato tali stati mentali […] » Autore: Michelina I - 2012-03-14 19:07

«Ho 3 cani, per un periodo ne ho avuti 8 (la mia piccola ha avuto i cuccioli), ma sen-tendomi un pò la loro ‘mammina’ non riesco ad immaginare altra cosa se non che ilcane attende per affetto e per mancanza, il proprio ‘compagno umano’, so che sicura-mente non è la risposta corretta, ma essendo compagna di cani, mi piace pensarla così».Autore: Claudia S - 2012-03-15 08:29

«Ciao Claudia, ti comprendo, ho anch’io un cane e condivido il tuo pensiero, pur sa-pendo che la risposta è sbagliata ma non riesco a distaccarmi dalla situazione senti-mentale... è per questo che ieri ho chiesto di affrontare il problema sotto un altro aspettoe di spronarci a vicenda... sto cercando di analizzare la situazione in modo diverso, marimango ingabbiata nei miei pensieri...penso che a questo punto è necessario l’inter-vento della professoressa che sicuramente ci riporterà sulla retta via..grazie». Autore:Michelina I - 2012-03-15 09:23

Sebbene, leggendo gli interventi, non si possa inferire che le affermazioni denotino un lu-cido procedimento deduttivo o siano frutto di una brillante capacità di articolare compiuta-

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Loredana La Vecchia, Giovanni Ganino

Dicem

2011 Gen 2012

Feb 2012

Mar 2012

Risposte/ interventi

0 5 3 228

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mente le informazioni provenienti dalle videolezioni/dispense, innegabile è la presenza di unaserie di segnali – grazie ai quali tutti e quattro i post possono essere definiti di tipo “riflessivo”– indicanti: (a) una maggiore attenzione nello sviluppare la propria idea, giustificando, conmetodo che riecheggia quello induttivo, quanto si va dicendo (è il caso, per esempio, usato daRosario C che cita l’occorrenza particolare – Apollo e Hachiko – quale “prova” della bontàdella spiegazione data); (b) un guardare criticamente alle proprie e altrui visioni, arrivandoanche all’autovalutazione (le risposte di Claudia S e Michelina I); (c) la consapevolezza di farparte di una comunità e quindi la necessità di negoziare/condividere il proprio pensiero; (d)la disponibilità a cambiare angolo visuale (evidente nelle parole di Michelina I). Sulla stessa scia e con un netto affinamento del discorso, sebbene si tratti sempre di con-

tributi di tipo “riflessivo” (non possiamo, infatti, con serenità affermare che siano del tipo“di apprendimento”), si posizionano le risposte date alla storia/problema della tigre – rica-vata a partire dall’asserto di Wittgenstein (1953, tr. it. p. 292): “Se un leone potesse parlare,noi non lo capiremmo comunque”.

«[…] Comunque sono d’accordo con te che bisogna tornare allo studio e in propositovorrei ritornare sulla Tigre perché ho pensato che se la tigre potesse parlare noi, nonla comprenderemmo per la semplice ragione che parlerebbe il “TIGRESE” .. :-) Bat-tutaccia :-) - Prof. non me ne voglia - male che vada la Prof. mi lincia.. :-)». Autore:Antonio R - 2012-03-16 19:40

«Un traduttore competente della lingua tigrese, credo che non mi servirebbe a molto,perché oltre a conoscere il significato delle parole dette dalla tigre, per avere vera co-municazione, dovrei conoscere il suo stato mentale e capire l’intenzionalità del suo di-scorso; cioè il tipo di comunicazione che avviene normalmente tra esseri umani, capirequelle che Grice chiama implicature». Autore: Salvatore B - 2012-03-19 22:53

Alla luce dei risultati raggiunti (vediTab. 2) e del clima creatosi, intuendo che si potevastressare ulteriormente il gruppo, chi scrive ha agito un’ulteriore scelta, vale a dire quella ditacere volontariamente (nessun apporto quindi è stato fornito sul versante del forum discipli-nare), in modo da provocare un dibattito tutto gestito in autonomia. L’obiettivo perseguito,in questa terza fase, è stato quello di emancipare gli studenti dal docente, rendendoli prota-gonisti del proprio apprendimento. Pertanto, essi sono stati semplicemente invitati a visionareil film di Derek Jarman, sceneggiato dal filosofo Terry Eagleton, su Wittgenstein (fornendoi relativi link a you tube).

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gestito in autonomia. L’obiettivo perseguito, in questa terza fase, è s

Numero di interventi/risposte per studente

(marzo 2012) Antonio R 53 Chiara A 6 Roberta F 38 Domenico C 6 Michelina I 28 Michela LS 2 Salvatore B 22 Maria DR 2 Rosario C 19 Maurizio V 2 Pietro DG 12 Filomena C 1 Claudia S 10 Lucia S 1 Massimiliano P 9 Vincenzo G 1 Adele D D 8 Ivo B 1 Antonella A 6 Dario C 1

Tab. 2: Dettaglio interventi/risposte dei singoli soggettia seguito dello stimolo, di tipo narrativo, ricevuto

Nonostante il silenzio del docente, l’attività sul forum è stata vivacissima (i contributi, sipotrà apprezzare, rispetto agli esordi, sono sempre con più forza di tipo riflessivo): sponta-neamente, hanno iniziato ad aprire dibattiti sulle scene del film, formulare le loro ipotesisulla filosofia dell’Autore, criticare certe sue posizioni, consultare altre fonti, chiedere conforza l’aiuto del docente. Tutto ciò, si badi, è avvenuto praticamente in tempo reale, nel senso che il loro dialogare,

partecipare, interrogarsi si è svolto in lassi di tempo contigui, guardando l’ora d’invio deimessaggi si scopre infatti che lavoravano in modalità quasi sincrona e il più delle volte fino anotte tarda. Dal forum di quei giorni:

«[…] L’omino verde, il Marziano, che ruolo ha nell’immaginario di Wittgenstein? Rap-presenta il suo IO? Rappresenta la sua coscienza? Rappresenta il Dio in cui lui noncrede? Rappresenta il suo dubbio sull’esistenza del mondo visto che dice: se spediscoquesta lettera a new york, sarà rafforzata la mia convinzione dell’esistenza di un mondoal di fuori della mia mente?». Autore: Antonio R - 2012-03-26 00:07

«L’uomo tende alla ricerca della perfezione. Semmai un giorno riuscisse a raggiungerlasarebbe la fine di tutto, perché sono proprio le imperfezioni che che stimolano l’uomoalla ricerca, che danno vita a nuovi modi di pensare e di agire, che cambiano intere ge-nerazioni. Questo è il senso del racconto alla fine del film?». Autore: Roberta F- 2012-03-26 00:16

«Hai visto che si è allontanato da Cambridge, e poi ha chiesto di ritornarci quandodoveva morire? è stata una continua ricerca del senso della vita... ha cercato di sfuggireall’insegnamento della filosofia ma alla fine ha dovuto prendere coscienza che lui è ilfilosofo e allontanarsi da essa sarebbe stato come allontanarsi da se stesso..ha dato unasenso alla vita attraverso la morte..è Fantastico!! adesso ho finito di vedere il film». Au-tore: Michelina I - 2012-03-26 00:28

«‘se la gente non facesse qualche volta cose stupide niente di intelligente sarebbe maifatto’. Penso che l’omino rappresentasse un linguaggio a lui incomprensibile perchénon appartenente al nostro mondo, alla nostra forma di vita”. Autore: Roberta F -2012-03-26 00:33

Erano, dunque, tutti pazzi per Wittgenstein e completamente cambiati nei confronti delladisciplina stessa, se non nell’approccio generale alla conoscenza, un esempio è il post di Mas-similiano P, con quel suo dichiarare che senza l’attività svolta non avrebbe potuto goderel’opera filmica. Possedevano ora, alle soglie dell’esame finale, una visione del mondo com-pletamente mutata e anche nei confronti dell’e-learning (quello conosciuto in precedenza)nutrivano ora seri dubbi.

«Buongiorno a tutti, dopo aver visto il film, alcune considerazioni (certo che se unmese fa mi avessero fatto vedere il film è probabile che dopo 20 minuti avrei alzatobandiera bianca....): a livello personale, l’insegnamento più grande è che nulla deve es-sere dato per scontato o definito ma essere sempre messo in discussione, e direi che inquesto Wittgenstein con il suo continuo struggersi e tormentarsi, ne è testimone emaestro. L’alieno: secondo me rappresenta l’altro da se, lo stimolo a mettere in discus-sione teorie e credenze, a tenere perennemente “allenata” la mente ad essere critico -non ritengo che rappresenti la coscienza (anche perché potremmo chiederci: ma la co-scienza esiste? e se si dov’è localizzata? seguiamo una teoria materialista e quindi dicia-mo che è in qualche parte del nostro corpo, o seguiamo una teoria dualista e diciamoche è immateriale, ma se così fosse, come potrebbe interagire con il nostro corpo????ok ad un altro capitolo....) […] ». Autore: Massimiliano P - 2012-03-26 10:49

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Loredana La Vecchia, Giovanni Ganino

«Ciao Salvatore, grande emozione e soddisfazione studiare così... non credi?». Autore:Roberta F - 2012-03-26 17:59

«Sicuramente Roberta; magari l’avessimo fatto anche con gli altri esami». Autore: Sal-vatore B - 2012-03-26 18:10

Il film, a posteriori, si può affermare, ha agito da catalizzatore, ha funzionato da innescoper una vera e propria ristrutturazione semantico-cognitiva di quanto avevano impattatonell’intero percorso formativo. Degna di nota è l’incentivazione ad approfondire alcuni degliaspetti toccati nell’opera. Ad esempio, la figura di Bertrand Russell ha destato una grandecuriosità intellettuale; per proprio conto gli studenti hanno rintracciato documenti sulla suaattività e, prendendo a modello il lavoro svolto insieme, si sono cimentati alla soluzione dell’“antinomia del barbiere”. Anche in questo caso, la sfida (auto-lanciata) è stata il gancio peraffrontare un argomento disciplinare difficilmente metabolizzabile se presentato in prece-denza e in altro modo. Finalmente, nulla era più come prima.

3. L’audiovisivo quale oggetto di mediazione nei “giochi linguistici”

Guardando, con debita distanza, all’esperienza appena descritta, si può, con una certa tran-quillità, affermare che, quanto svolto, sia stato effettuato nel tentativo di riportare l’evento di-dattico nel suo alveo elettivo – il linguaggio. Come segnalato da Postman (1985) èl’educazione al linguaggio che consente, da un lato, di mettere gli studenti nella condizionedi porre domande e, dall’altro, di produrre significati, rappresentazioni sensate del reale, ri-flessioni. L’ultimo dei testi (il film di Derek) proposti agli studenti ne restituisce la cifra epiace riflettere, in questa sede, proprio su di esso. La scelta di inserire il rimando al testo fil-mico come ultimo atto del percorso intrapreso, aggancia, attualizzandola, quella prospettivapedagogica che ha nella comunicazione mediatizzata il suo baricentro (Galliani, 1979). Ap-pare chiaro, infatti, che quel testo è divenuto “oggetto di istruzione” in quanto artefatto sim-bolico capace di mediare la relazione instaurata in quel gruppo (Galliani, 2002b; Messina2002) e in quel particolare contesto di apprendimento.Ora, riconoscendo che la nostra è una specie simbolica, che ha costruito il suo rapporto

con il mondo basandolo proprio sulla capacità di elaborare/combinare simboli, è lecito af-fermare, con Goodman (1968), che il loro uso ha come fine ultimo la comprensione. “Lasimbolizzazione, dunque, va giudicata fondamentalmente dal fatto che serva più o menobene allo scopo cognitivo” (Ivi, p. 217). I meccanismi dei varî linguaggi (gestuale, parlato,scritto, audiovisivo, digitale) sottintendono costruzioni simboliche che, a loro volta, per as-solvere alla propria funzione conoscitiva, denoteranno o esemplificheranno l’oggetto cui siriferiscono. Un testo finzionale come il Wittgenstein della nostra esperienza ha quindi la stessacapacità di una serie di proposizioni di generare conoscenza: il circuito che si crea tra il do-minio finzionale e il dominio reale è un’esperienza a tutti gli effetti e come tale ci permettedi “produrre e presentare fatti” che alla fin fine servono e ci soccorrono nell’interpretaredel mondo. L’artificium (Vertecchi, 1994) dell’azione didattica è stato reso, grazie all’entratain scena di un oggetto di mediazione, reale: infatti gli studenti hanno riconosciuto nell’operafilmica qualcosa che già era contemplata nel loro orizzonte di senso, ma di pari passo hannoanche dovuto ridefinire, rinegoziare, rielaborare e pertanto trasformare quel senso, poichéuna nuova versione/visione dei fatti si è presentata. Eppure, molte pagine sono state scritte contro lo strumento audiovisivo, basti pensare

alla condanna espressa da Giovanni Sartori (2004) nei confronti della televisione e delle im-

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magini, considerate più capaci di distruggere che di creare sapere. Di converso, senza negarela preoccupazione per dinamiche da deriva, resta il fatto che le idiosincrasie non falsificanole ragioni che spingono all’utilizzo di quei mezzi e dei rispettivi linguaggi. L’analogico at-tiene comunque ad un universo di significazione, e i simboli che usa, per quanto sintattica-mente differenti da quelli delle lingue naturali, rispondono pur sempre, per dirla con laLanger (1942, tr. it., p. 134) “all’ufficio della formulazione logica, della concettualizzazione”.E anche il più semplice dei messaggi mediatici, inoltre, prevede, nella sua costruzione, unaqualche impalcatura per cui, parafrasando Goodman, non si costruisce qualcosa assemblandoa caso i pezzi. L’artefatto mediale, contrariamente a quello che si può d’acchito pensare, an-corché simbolicamente basato sulla semplificazione analogica, non rende più semplice lacomprensione dell’oggetto a cui si riferisce, tutt’altro. Esso ne restituisce una dimensionecomunicativa più ricca, più complessa e forse proprio per questo più immediatamente ri-conoscibile come attinente ai propri vissuti. In altre parole, dal modo in cui l’artefatto ana-lizza, discrimina, organizza e manipola simboli, noi fruitori possiamo, in base ai nostriinteressi, alle nostre competenze, alla nostra personale ricerca, comporre e ricomporre si-gnificati, in un rapporto dialettico continuo – interagiamo con ermeneutiche possibili, se-condo logiche di opposizione e sconfinamento. E soprattutto attivando logiche tipiche dellanarrazione, per cui sempre più si stanno sperimentando tecniche digitali per stimolare ap-prendimenti (vedi, Petrucco, De Rossi, 2009).Nel caso di specie, si trattava di muoversi entro un universo narrativo composito: il film

utilizza un impianto scenico che rimanda alla tradizione teatrale, è stato girato su sfondonero in un teatro di posa ed è praticamente privo di ogni arredo se non quello strettamentefunzionale alla storia, alterna vicende senza rispettare l’ordine passato-presente. Wittgensteincontemporaneamente è sia bambino sia adulto, usa finzioni nella finzione, il marziano verdeche intrattiene discussioni filosofiche con Wittgenstein, ad esempio, i dialoghi spesso si ri-ducano ad espressioni aforistiche. Agli studenti, dunque, era richiesto un investimento per-sonale, per approcciarne il messaggio, elevato in termini di attenzione e di motivazione. Lavisione, si intende dire, non poteva semplicemente scivolare loro addosso. E, nonostante ledifficoltà, l’oggetto ha espletato il suo ruolo di veicolo d’apprendimento perché ha costrettoi suoi fruitori a interagire attivamente con esso: per carpirne il significato, dovevano entrarein contatto con i suoi “giochi linguistici”, mettendo alla prova i propri. Nel compiere questolavoro, evidentemente, hanno dovuto attivare, richiamare quell’insieme di conoscenze cheEco definisce enciclopediche ricavate dall’attività di forum (e, si presuppone, anche dallostudio). Si è trattato pertanto di riconoscere gli elementi concettuali comuni ad entrambigli strumenti e di collegare inferenze e definizioni dei due contesti, per giungere a una nuovarealtà di senso, realtà sottoponibile, quasi in un ciclo infinito, ad altre verifiche per attestarnel’accettazione/negazione da parte della collettività. Il che è un altro dei modi con cui pos-siamo indicare il processo di apprendimento che, sviluppandosi secondo le linee presentatenel corso dell’esperienza comunicativa presentata, possiede tutte le caratteristiche per atte-starsi come apprendimento aperto alla continuità, al divenire nei diversi contesti culturali edi vita.

4. Indicazioni per una conclusione

Dalla descrizione di questa esperienza didattica e dalle testimonianza degli adulti-studenti,le conclusioni che si possono inferire hanno a che vedere con due generi di discorsi. Il primo chiama in causa la responsabilità accademica di fronte alla qualità delle offerte di e-

learning provenienti da università non statali. Occorre, infatti, che la comunità di riferimento

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Loredana La Vecchia, Giovanni Ganino

estenda il suo sguardo su tali realtà, e, si badi, non nel senso di un’azione inquisitoria, ma diuna galileiana attività di ricerca. Non si può, a parere di chi scrive, affrancare degli intericontesti dall’onore della “prova”. Chiedersi come lì venga declinato il concetto di e-learning,quali linee concettuali e metodologiche siano seguite, nonché quali prassi messe veramentein atto, sembra cosa legittima. Il secondo, invece, è più puntualmente riferibile ai “fatti” alle azioni presentate. In accordo

con gli studi prodotti nel settore, emerge, anche da questa nostra esperienza, la necessità dioperare con grande flessibilità, e fors’anche con creatività, entro però un quadro strategicoben delineato (Frignani, 2003). L’insegnamento/apprendimento in modalità non presenziale,infatti, ha, per sua natura, una serie tale di variabili da renderlo processo, oltre che complesso,delicato, facilmente collassabile nell’insuccesso e/o nella banalità. L’errore che rischia dicompiere chi non analizzasse compiutamente le voci di quella serie, è di immaginare chetutto si limiti a confezionare dei Pdf, registrare delle lezioni e rispondere, di tanto in tanto,a qualche richiesta avanzata dagli studenti. E sempre sulla scia della letteratura, l’interazione si conferma la pratica più significativa

dell’e-learning. Creare comunità, riuscire a coagulare interesse intorno a nuclei dei saperidisciplinari, discriminare i tempi d’intervento, i materiali, i linguaggi per rendere gli studentiautori consapevoli del proprio apprendimento è la sfida più grande che un docente deveessere disposto ad accettare. Non è semplice, e concretamente richiede un investimento no-tevole di se stessi, anche in termini personali oltre che professionali, ma l’e-learning nonlascia scappatoie: almeno per chi ci crede.

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RicercheValutare per migliorare: un’esperienza da cui partire

Assess to get better: an experience

L’INVALSI, con il concorso dei fondi strut-turali europei, ha messo a punto e sviluppatoil progetto pluriennale Valutazione e Miglio-ramento che ha l’obiettivo generale di co-struire un modello di valutazione esterna dellescuole finalizzato al miglioramento, in gradodi integrare dati quantitativi e qualitativi. Daquesto conseguono una serie di obiettivi spe-cifici: sperimentare il quadro di riferimentoteorico elaborato dall’INVALSI (VALSIS) inmodo da testarne la tenuta, definire una me-todologia per le visite di valutazione, delinearecompetenze per va lu tatori/ispettori, validarestrumenti di rilevazione per l’osservazione sucampo, elaborare rapporti di valutazione chemettano in evidenza punti di forza dell’effi-cacia scolastica e di difficoltà del servizio sco-lastico e che siano punto di partenza per larealizzazione di azioni di miglioramento. L’ar-ticolo presenta l’esperienza di valutazioneesterna di 88 scuole del primo ciclo (fase 2del progetto).

Parole chiave: valutazione esterna, efficaciascolastica, quadro di riferimento, metodi divalutazione, valutatori/ispettori, migliora-mento.

The National Institute for the Educational Eval-uation of Instruction and Training has developedthe project Evaluation and Improvement (Valu-tazione e Miglioramento), using the EuropeanStructural Funds. The project has the overall ob-jective to build a model of external evaluation ofschools aimed at improving and able to incorporatequantitative and qualitative data. From this it fol-lows a series of specific objectives: to test the theo-retical framework developed by INVALSI(VALSIS) to test the seal, to define a methodo-logy for the assessment visits, outline competenciesfor evaluators / inspectors, validate data collectioninstruments for the field’s observation, elaborateevaluation reports that highlight strengths and dif-ficulties of the effectiveness of school education ser-vice as a starting point for the implementation ofimprovement actions. The article presents the ex-perience of the external evaluation of 88 first cycleschools (Phase 2 of the project).

Key words: external evaluation, school ef-fectiveness, framework, evaluation methods,evaluators / inspectors, school improve-ment.

DONATELLA POLIANDRI • PAOLA MUZZIOLI • ISABELLA QUADRELLI • SARA ROMITI

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

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Valutare per migliorare: un’esperienza da cui partire

1. La valutazione esterna delle istituzioni scolastiche

In molti paesi europei ed extraeuropei istituzioni statali o organismi indipendenti compiono,attraverso team di valutatori / ispettori / osservatori, visite nelle scuole al fine di controllarnela qualità, per valutarne l’aderenza alle linee di indirizzo nazionali, agli standard educativi oalle disposizioni normative. I diversi sistemi si sono dotati negli anni di quadri teorici di ri-ferimento, contenenti standard o criteri, e di figure professionali per svolgere visite nellescuole e stilare rapporti valutativi (Cardone, Muzzioli, Poliandri e Romiti, 2010).Tra le esperienze internazionali di valutazione esterna delle scuole quella con la più lunga

tradizione è sicuramente rappresentata dalla struttura inglese. In Inghilterra l’Ofsted (Officefor Standards in Education, Children’s Services and Skills) è un organismo indipendente dal-l’amministrazione scolastica incaricata di condurre visite valutative nelle scuole. I valutatori,con contratto a tempo determinato con la struttura, innanzitutto esaminano la documenta-zione inviata dalla scuola e altre evidenze disponibili nelle banche dati, quali i risultati deglistudenti agli esami finali, il rapporto di autovalutazione, il rapporto dell’ultima valutazione ef-fettuata. Durante la visita l’ispettore capo per prima cosa convoca lo staff della scuola per unbreve incontro, in cui formula alcune ipotesi iniziali in merito agli apparenti punti di forza edi debolezza emersi dalla lettura della documentazione. Gli ispettori svolgono osservazioninelle classi, esaminano i lavori degli studenti, controllano la documentazione della scuola, ana-lizzano i questionari compilati da genitori, studenti e personale, incontrano il personale, glistudenti e gli amministratori locali. A conclusione della visita ogni ispettore compila unagriglia di valutazione di due pagine, in cui per ciascun aspetto oggetto di osservazione (circa30 aspetti, variabili in relazione alla tipologia di scuola) esprime un giudizio su quattro livelli,da 1 (eccellente) a 4 (inadeguato). Dopo la visita, di norma il giorno dopo, l’ispettore caposcrive un breve rapporto (max. 2000 parole) e entro 15 giorni lo invia alla scuola, che ha ilcompito di distribuirlo alle famiglie. Il rapporto è inoltre pubblicato sul sito dell’Ofsted. Se lascuola è collocata in una categoria di attenzione, perché gli standard educativi o gestionalinon sono stati giudicati adeguati, ma gli ispettori ritengono che possa comunque raggiungerestandard più elevati in futuro, riceve delle indicazioni che servono a orientare verso il miglio-ramento, altrimenti gli ispettori segnalano all’amministrazione che debbono essere adottatemisure speciali. Le misure speciali consistono nel ricevere un supporto intensivo da parte delleautorità locali, ulteriori finanziamenti e risorse, e una nuova valutazione ravvicinata da partedell’Ofsted fino a quando la scuola non è più valutata come inadeguata. In questo caso l’ispet-torato si occupa esclusivamente della valutazione, in quanto gli ispettori devono possedere,oltre a un profilo pedagogico, anche specifiche competenze in campo valutativo (percorsi divalutazione e ricerca, formazione specifica, esami universitari sulla certificazione). Il supportoal miglioramento è offerto da altri enti preposti.Questo tipo di valutazione in Italia, dove pure sono molte le esperienze di autovaluta-

zione / valutazione interna implementate a livello territoriale, ancora non è strutturato a li-vello nazionale. Infatti nonostante la recente normativa1 attribuisca a un Corpo Ispettivo lavalutazione delle istituzioni scolastiche, la funzione tecnica ricoperta dagli Ispettori del Mi-nistero è attualmente piuttosto lontana dal profilo inglese e più simile all’ispettorato francese2

che in effetti non svolge attività di valutazione esterna delle istituzioni scolastiche secondoil modello Ofsted. Come conferma un recente Atto di indirizzo del Ministro3, i Dirigenti tec-nici sono chiamati a svolgere una molteplicità di compiti, che spaziano dalla consulenza esupporto alle scuole alle attività di studio e ricerca per il MIUR, dalla formazione del per-sonale alla vigilanza durante gli esami, da accertamenti di tipo amministrativo a verifichedelle prestazioni del personale. In questo quadro compiti più propriamente valutativi nonsembrano assumere un ruolo centrale. Se è vero che per il perseguimento degli obiettiviconnessi allo svolgimento della loro funzione “i dirigenti tecnici hanno accesso alle scuolestatali e non statali, a tutti i dati relativi alla valutazione delle istituzioni scolastiche raccoltidal Sistema Nazionale di Valutazione, nonché alle informazioni raccolte dal sistema infor-mativo del Ministero”, nell’Atto di indirizzo non viene però loro assegnato un mandatosulla valutazione delle scuole e, soprattutto, non vengono delineate le competenze profes-sionali che dovrebbero essere possedute per svolgere tale incarico.Fra le esperienze che, negli ultimi anni, possono essere ricondotte alla valutazione esterna

delle scuole nel nostro paese, sono da ricordare il Monipof4 che ha coinvolto un numero moltoelevato di scuole fra il 1998 e il 2001 e integrato tecniche di rilevazione quantitative con tec-niche qualitative (Comitato paritetico nazionale per il monitoraggio dell’autonomia scolastica,2001; De Anna, 2001), e le due sperimentazioni attuate nella provincia di Trento fra il 2005 eil 20085, grazie alle quali sono state condotte visite di osservazione da valutatori esterni.

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1 D.L. del 29 dicembre 2010, n. 225 – Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventiurgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie – convertito con modificazioni nellaLegge 26 febbraio 2011, n. 10 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materiatributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.

2 In Francia l’Ispettorato generale della Pubblica Istruzione e della Ricerca (dell’IGAENR – Inspection gé-nérale de l’amministrazione de l’Éducation nationale et de la Recherche) fornisce al Dipartimento dellaPubblica Istruzione pareri e proposte. La sua missione è quella di esaminare e valutare le strutture checompongono la rete scolastica, il loro adattamento alle esigenze didattiche, i piani per le attrezzature, l’im-piego di personale, organizzazione materiale e il funzionamento delle istituzioni e la gestione dei mezzifinanziari stanziati dal Dipartimento.

3 D.M. del 23 luglio 2010, n. 60 – Atto di indirizzo, emanato ai sensi dell’articolo 9 del D.P.R. 20 gennaio2009, n. 17, con il quale vengono determinate le modalità di esercizio della funzione ispettiva.

4 Il monitoraggio di tipo quantitativo – condotto da INDIRE in collaborazione con i Nuclei provinciali asupporto dell’autonomia – è consistito nell’elaborazione di informazioni sintetiche riguardanti i Piani del-l’offerta formativa (POF) di circa il 70% delle scuole italiane. Il monitoraggio d’aiuto – di tipo qualitativo– è stato rivolto a circa 1000 scuole l’anno per un biennio, attraverso il contatto diretto. Questo monito-raggio, condotto da gruppi regionali di ricerca facenti capo agli IRRSAE (Istituti di Ricerca Regionali,di Sperimentazione e Aggiornamento Educativi), è avvenuto sulla base di un protocollo nazionale. Durantele visite gli osservatori hanno tenuto conto di quattro dimensioni: il dichiarato, l’agito, il pensato e il per-cepito. A conclusione delle visite ciascun team ha compilato collegialmente una Scheda di rilevazione,sulla base della quale è stato costruito per ciascuna scuola un macroindicatore.

5 L’esperienza condotta nella Provincia di Trento nell’anno scolastico 2005/2006 è importante perché, puravendo coinvolto nella sperimentazione un ristretto numero di scuole, ha attinto al patrimonio di esperienzegià realizzate per valutare le scuole nei sistemi di valutazione europei, a partire dall’idea dell’integrazionetra un’autovalutazione di tipo strutturato condotta dalla scuola e la successiva valutazione esterna Nell’annoscolastico 2007/2008 la provincia di Trento ha promosso una seconda sperimentazione, affidandola al-l’Università Cattolica di Milano, con l’obiettivo di testare un modello di valutazione esterna con costi

Un tipo di valutazione che sia in grado di fornire informazioni utili sia in merito ai ri-sultati degli apprendimenti (attraverso le rilevazioni periodiche), sia relativamente ad aspettidi tipo organizzativo e didattico (anche attraverso visite di osservazione), e al contempo aiutile istituzioni scolastiche a trasformare i risultati della valutazione in azioni di miglioramento,diventerebbe un reale strumento a supporto della qualità per il nostro paese (Cipollone &Poliandri, 2012). Il progetto Valutazione e Miglioramento si inscrive in questa tradizione.

2. Il progetto ‘Valutazione e Miglioramento’

Il progetto pluriennale Valutazione e Miglioramento (VM) condotto dall’INVALSI con ilcontributo dei fondi strutturali europei6 ha lo scopo di monitorare e accompagnare verso ilmiglioramento le scuole destinatarie dei fondi europei FSE e FESR PON, collocate nelleregioni Obiettivo convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia)7. VM si propone dimonitorare le capacità progettuali e gestionali delle scuole, condurre osservazioni in pro-fondità delle singole istituzioni scolastiche in una prospettiva di valutazione sistemica e so-stenere le scuole nella realizzazione di azioni di miglioramento. L’attenzione è rivolta anchea diffondere buone pratiche individuate a livello nazionale e internazionale. Il progetto si articola in tre fasi successive:

• la Fase 1 – Ricognizione iniziale – ha l’obiettivo di valutare la qualità progettuale, l’effi-cienza organizzativa e quella gestionale delle singole istituzioni scolastiche nell’attuazionedei PON Istruzione. Per realizzare questo obiettivo viene utilizzata la tecnica dell’auditesterno; Dirigenti tecnici del MIUR esaminano la documentazione prodotta dalle scuoleper ottenere i fondi FSE o FESR, e conducono visite per parlare con gli operatori delprogetto e i destinatari delle azioni. Al termine dell’analisi compilano una scheda strut-turata ed esprimono giudizi sintetici sui diversi aspetti della progettazione e gestione deiPON (scuole 1° ciclo a.s. 2009-2010; scuole di 2° ciclo a.s. 2010-2011);

• la Fase 2 – Diagnosi complessiva – si prefigge di identificare i punti di forza e i nodi criticidel servizio scolastico offerto attraverso l’osservazione sul campo delle attività didattichee in laboratorio, l’analisi dei principali documenti della scuola (POF e Programma an-nuale), la realizzazione di interviste alle diverse componenti scolastiche. Una coppia diosservatori conduce visite di osservazione di tre giorni nelle scuole, utilizzando diversetecniche di ricerca qualitativa. A conclusione delle osservazioni, i team stilano una Rap-

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contenuti. Le visite sono state condotte da un unico valutatore esterno, che ha avuto soprattutto il ruolodi consulente e accompagnatore verso un percorso di progressiva autonomia delle scuole, per acquisire lacapacità di rendere conto della propria attività. Il valutatore aveva il compito di sviluppare una valutazionefinale sulla base delle informazioni raccolte e documentate nella griglia. Si veda Allulli (2008).

6 Programma Operativo Nazionale del Fondo Sociale Europeo “Competenze per lo Sviluppo” e ProgrammaOperativo Nazionale del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale “Ambienti per l’Apprendimento” dellaprogrammazione 2007/2013 nelle regioni dell’obiettivo “Convergenza” – Programmazione e gestionedelle risorse nazionali del Fondo Aree Sottoutilizzate.

7 Le scuole possono utilizzare risorse del FSE per attività formative rivolte a studenti, docenti e genitori, ele risorse del FESR per acquistare dotazioni e laboratori. La finalità complessiva dell’azione del ProgrammaOperativo Nazionale – Istruzione (PON) della programmazione 2007/2013 promossa dall’ UFFICIOIV – Programmazione e gestione dei fondi strutturali europei e nazionali per lo sviluppo e la coesionesociale (MIUR), riguarda sia la riduzione della dispersione scolastica, sia il miglioramento degli apprendi-menti degli studenti.

porto di Valutazione per ciascuna istituzione scolastica osservata a partire da un format ela-borato da INVALSI, integrando la parte qualitativa con informazioni quantitative presentiin diversi database (dati sugli apprendimenti collezionati dall’INVALSI, informazioni dicontesto, di bilancio, ecc.) (scuole di 1° ciclo a.s. 2010-2011, parte 2011-2012; scuole di2° ciclo a.s. 2012-2013);

• la Fase 3 – Intervento migliorativo – per sostenere e affiancare la comunità scolastica inazioni di miglioramento. Dall’analisi dei risultati emersi nelle fasi 1 e 2, viene elaboratoun piano di miglioramento: esperti esterni affiancano – in presenza e a distanza – i teamdi valutazione interni alle scuole e seguono la progettazione e gestione delle azioni dimiglioramento nei settori della didattica o del management scolastico (scuole di 1° cicloparte a.s. 2011-2012, a.s. 2012 - 2013; scuole di 2° ciclo 2013-2014).

La Fase 1 del progetto VM è cogente per tutte le scuole destinatarie dei Fondi FSE eFESR individuate; per le Fasi 2 e 3 è stato chiesto alle scuole di aderirvi. Inoltre, data l’ope-razione di grande respiro, le azioni di progetto sono state pianificate fino alla fine del 2014.Per quanto le azioni coinvolgano complessivamente 250 fra istituti comprensivi e scuole

secondarie di primo grado e 110 secondarie di secondo grado, collocate nelle regioni Obiet-tivo convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), il presente contributo illustra in par-ticolare la Fase 2 del progetto ossia l’esperienza di valutazione esterna - ancora in corso - di88 istituzioni scolastiche di primo ciclo.

3. Il quadro di riferimento VALSIS (Valutazione del sistema scolastico e delle scuole)

L’intero impianto del progetto Valutazione e Miglioramento poggia su un vasto studio condottodall’INVALSI, denominato VALSIS (Valutazione del sistema scolastico e delle scuole), che, a partiredall’esplorazione e classificazione degli indicatori utilizzati da molti paesi per valutare i proprisistemi scolastici, delinea una proposta articolata di indicatori e aspetti per la valutazione delsistema scolastico e delle scuole italiani (Poliandri, 2010). Complessivamente gli indicatorie aspetti individuati all’interno del Quadro di riferimento sono 222 (32 di contesto, 42 di input,118 di processo, 30 di risultato), di cui quelli specifici per la valutazione esterna della singolaunità scolastica di 1° ciclo sono 184 (24 di contesto, 38 di input, 115 di processo, 12 di ri-sultato). Il modello alla base del documento conclusivo di tale studio, il Quadro di riferimento teorico

della valutazione del sistema scolastico e delle scuole, è riconducibile al CIPP (CIPP: Context,Input, Process, Product): la valutazione per poter essere pertinente e corretta deve considerareil collegamento esistente fra il contesto, gli input, i processi ed i conseguenti risultati (Stuf-flebean, 1968). Il modello CIPP va inteso non tanto come un modello in cui i risultati sonolegati da un rapporto deterministico alle altre variabili, ma come uno schema o approccioconcettuale tale da permettere di categorizzare aspetti ritenuti rilevanti (Scriven, 1991), chealmeno su un piano logico possano offrire un quadro completo degli effetti e delle possibilicause, fornendo elementi informativi alle differenti teorie che, provando a spiegare il com-plesso delle relazioni esistenti fra i diversi fenomeni in campo educativo, possono così com-petere. Il punto di forza del modello CIPP è la sua flessibilità; esso risponde all’esigenzaeuristica di generare indicatori educativi e/o aspetti considerati rilevanti per descrivere ilfunzionamento del sistema scolastico, individuare un nesso causale, evidenziare criticità sucui intervenire o elementi positivi; per questo motivo il modello permette di esplorare piùprospettive di indagine della qualità e/o della produttività del servizio scolastico (Poliandri,2010). L’intento è quello di fornire una definizione operativa del concetto di ‘qualità’ della

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scuola, attraverso l’individuazione degli indicatori e l’attribuzione di un valore a ognuno diessi, che possa anche essere usata come guida per la costruzione di strumenti per la valuta-zione interna/autovalutazione delle Istituzioni scolastiche.Il quadro di riferimento tiene conto di quattro dimensioni: il contesto in cui le scuole

sono inserite (aspetti demografici, economici e socio-culturali nei cui confini la scuola sitrova ad operare e che ne determinano la sua utenza); gli input, ovvero le risorse di cui lascuola dispone per offrire il proprio servizio (umane, materiali, ed economiche a disposi-zione); i processi attuati, ossia le attività realizzate dalla scuola (l’offerta formativa, le scelteorganizzative e didattiche, gli stili di direzione); i risultati ottenuti, sia immediati (percentualidi promossi, votazioni conseguite agli esami di stato) sia a medio e lungo periodo (livellodelle competenze possedute, accesso al mondo del lavoro).

4. Gli strumenti del progetto ‘Valutazione e Miglioramento’

La fase della “definizione del problema” si è concretizzata nella stesura di un quadro di ri-ferimento - elaborato sulla base delle ipotesi di ricerca - che spiega perché certi elementisiano necessari in relazione a esplicitati obiettivi di conoscenza. Successivamente è stato ne-cessario passare dalla concettualizzazione del problema alla fase di “costruzione della baseempirica” su cui operare, e alla definizione di procedure e protocolli standard (Agnoli, 2004).In molti casi i dati necessari alla costruzione degli indicatori descritti nel quadro di rife-

rimento sono stati elaborati a partire da data base esistenti; in altri il gruppo di ricerca IN-VALSI ha costruito specifici strumenti di rilevazione8 per il progetto VM al fine di rilevareinformazioni sulla qualità progettuale e sui processi didattici e organizzativi messi in attodalle scuole9 integrando tecniche di ricerca quantitative con tecniche qualitative.Complessivamente quindi le fonti informative e gli strumenti del progetto VM sono:

• Dati descrittivi di struttura in possesso dell’INVALSI (dati relativi alla valutazione degliapprendimenti e delle competenze, o tratti dal Questionario studente e dalla Scheda raccoltainformazioni di contesto10); oppure dati già presenti nei data base del MIUR (come la di-sponibilità di computer o la percentuale di studenti ripetenti) e di altre fonti istituzionali(ISTAT, Ragioneria di Stato, ecc.).

• Dati rilevati attraverso un Questionario scuola elaborato dal gruppo di ricerca, rivolto aiDirigenti scolastici, per avere informazioni su quegli aspetti che non vengono raccoltidal MIUR, ma che sono ritenuti importanti (ad esempio il livello di partecipazione deigenitori o l’utilizzo di prove di valutazione strutturate per gli studenti).

• Informazioni rilevate attraverso un ciclo di visite presso le scuole coinvolte nel progettoValutazione e Miglioramento, per osservare in modo strutturato i processi didattici e orga-nizzativi attuati a livello di scuola e di classe (anche con osservazione diretta delle lezioni),intervistare i diversi attori coinvolti nel processo educativo (dirigente, insegnanti, studenti,

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8 Per approfondimenti sulle fonti e gli strumenti considerati, si veda il capitolo Le fonti dei dati nel Quadro diriferimento teorico della valutazione del sistema scolastico e delle scuole (Poliandri, 2010).

9 Per approfondimenti relativi a questi strumenti di rilevazione si veda il sito del progetto Valutazione e Mi-glioramento <http://www.invalsi.it/invalsi/ri/audit/>.

10 Il gruppo di ricerca ha messo a punto un Questionario studente e una Scheda raccolta informazioni di contestoper informazioni aggiuntive sulle famiglie (INVALSI, 2011) a corredo delle prove di Italiano e Matematicadel Servizio Nazionale di Valutazione.

famiglie), raccogliere materiale documentario e valutare la qualità progettuale delle scuolesui fondi PON (Rubriche di valutazione; Wiggings, 1996). Tali strumenti possono esserericondotti alle seguenti macro-categorie:– incontri con le persone, ossia interviste strutturate e semi-strutturate con singoli egruppi (il Dirigente scolastico, gli insegnanti, gli studenti, i genitori) per indagare leopinioni degli attori coinvolti in relazione a processi a livello di scuola e di classe (adesempio in merito a progettazione del curricolo e dell’azione didattica, forme di va-lutazione interna e autovalutazione, uso dello spazio e delle infrastrutture, partecipa-zione e coinvolgimento del territorio, clima di scuola, strategie didattiche);

– osservazioni strutturare di attività didattiche svolte in classe e in laboratorio; questistrumenti permettono di indagare il setting dell’attività, le modalità di reazione deipartecipanti agli stimoli (studenti e insegnanti), le azioni e i contenuti veicolati in re-lazione a processi (ad esempio la Scheda di Osservazione in Classe raccoglie infor-mazioni relativamente a: articolazione del gruppo classe, interdisciplinarità, attività direcupero e potenziamento, attenzione agli alunni con bisogni educativi speciali, uti-lizzo della flessibilità oraria, trasmissione di strategie per l’apprendimento, metodi diinsegnamento che attivano la partecipazione degli allievi);

– studio di documenti significativi (ad esempio il POF, il Programma annuale, il pattodi corresponsabilità, il piano di formazione insegnanti) sui quali è possibile condurreanalisi testuali computer assistite e analisi di statistica testuale.

• Informazioni apprese grazie ad alcuni strumenti (questionari genitori e insegnanti, schede,griglie di rilevazione, ecc.) messi a disposizione delle scuole per fare autovalutazione.L’INVALSI infatti, per il progetto VM, affianca e supporta i processi di valutazione in-terna/autovalutazione realizzati dalle scuole.

Di seguito sono presentati a titolo esemplificativo due fra gli strumenti utilizzati nel pro-getto VM:• il Questionario scuola, che, somministrato direttamente dall’INVALSI, è utile per com-prendere l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni scolastiche;

• la Scheda di osservazione in classe, utilizzata dagli Osservatori della Fase 2 per rilevare leopportunità di apprendimento in classe.

4.1 Uno strumento per comprendere l’organizzazione della scuola

Il Questionario scuola rivolto al Dirigente scolastico raccoglie informazioni di base sulla scuola(numero di studenti e insegnanti) e le sue strutture, che hanno lo scopo di fotografare la si-tuazione di partenza in cui le scuole operano (input), e indaga sui processi attuati a livello discuola durante l’ultimo anno scolastico. Vengono esplorati una molteplicità di aspetti qualila progettazione iniziale, la collaborazione tra insegnanti, le attività di formazione realizzateper gli insegnanti, i progetti attuati, e le attività di valutazione interna. Inoltre, lo strumentoindaga anche alcuni aspetti legati alla dimensione del contesto, quali i contributi di enti esoggetti esterni e la partecipazione – anche economica – dei genitori. Di seguito sono presentati due esempi di aree relative alla dimensione dei processi indagate

attraverso il Questionario scuola:• Area Forme di valutazione interna / autovalutazione L’utilizzo che una scuola fa dei risultati degli studenti, in particolar modo delle provestandardizzate sia del Servizio Nazionale di Valutazione, sia di altre rilevazioni che rispet-tino criteri di qualità analoghi (prove oggettive per classi parallele, definizione a priori

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dei criteri per la correzione, tabulazione e analisi dei risultati), forniscono delle indicazionisulla e per la scuola: ad esempio la possibilità di comparare i propri risultati con quellinazionali o dell’area geografica di appartenenza, o di confrontare i risultati tra le classi,oppure di analizzarli per i diversi sottoambiti disciplinari. La capacità di un’organizzazionedi riflettere sui propri risultati è considerata un criterio di qualità, e - in una logica au-tovalutativa - premessa per la predisposizione di azioni di miglioramento. Al Dirigentescolastico viene pertanto richiesto di indicare se e come vengono utilizzati i risultati deglistudenti nelle prove standardizzate. Nell’Area Forme di valutazione interna / autovalutazione sono presenti indicatori relativianche ad altri processi autovalutativi, quali la rilevazione delle opinioni del personale, larilevazione della soddisfazione dei genitori, il monitoraggio del POF. Altri indicatori an-cora riguardano la presenza di un gruppo formalizzato per la valutazione interna, il ri-corso a figure esterne per sostenere la valutazione interna, e le spese sostenute nel triennioin questo settore.

• Area Collaborazione fra insegnantiMolti studi sulle scuole efficaci hanno posto al centro dell’attenzione l’impatto positivoche la collaborazione fra insegnanti (Brownell e Chriss, 2002; Norman, Golian e Hooker,2005), il lavoro in team, l’assunzione collettiva di responsabilità in determinati settori pos-sono avere sulla riuscita scolastica degli studenti, sulla professionalità dei docenti e sullecondizioni che favoriscono eque opportunità di apprendere all’interno delle istituzioniscolastiche. Una serie di studi condotti nelle scuole superiori USA hanno indagato quellecircostanze in grado di supportare una distribuzione più equa degli apprendimenti ri-spetto al background socio-economico e culturale degli studenti in Matematica e Scienze.Queste scuole mostrano tratti identificabili: la scuola ha elaborato un curriculum comunerigoroso e imprime una forte spinta organizzativa dei corsi di studio. Nei dipartimentidi matematica gli insegnanti che hanno lavorato insieme per la riuscita dei propri studentihanno contribuito sostanzialmente a questa organizzazione (Lee, Bryk e Smith, 1993;Lee, Smith e Croninger, 1997; Gutiérrez, 1996). La motivazione secondo la quale l’in-terdipendenza fra docenti sia inerente alla professionalità degli stessi è molto semplice(Horn, 2008): nessuno educa da solo uno studente o una studentessa. Bambini e ragazzidurante il proprio percorso educativo si ‘muovono’ tra un insegnante e l’altro; è quindicompito del corpo docente rendere questi ‘movimenti’ coerenti. Per indagare la colla-borazione tra insegnanti si è scelto di utilizzare un indicatore di partecipazione degli in-segnanti ai gruppi di lavoro. Attraverso il Questionario scuola si richiede al Dirigentescolastico di indicare il numero degli insegnanti partecipanti a diversi gruppi di lavoro,sul totale degli insegnanti della scuola. Per approfondire il tema dei gruppi di lavoro, altridue indicatori danno conto della numerosità di argomenti sui quali sono stati attivatigruppi di insegnanti in ciascuna scuola, e della tipologia degli argomenti (progettazione,valutazione, continuità, orientamento, raccordo con il territorio, ecc.).

4.2 Uno strumento per osservare le opportunità di apprendimento in classe

Per la fase 2 del progetto di VM è stata predisposta una Scheda di osservazione in classe. Conquesto strumento si intende osservare con quale frequenza durante la mattinata vengonocolte determinate azioni che – in base alla letteratura e all’esperienza condotta durante laFase 2 Pilota del progetto – sono considerate di qualità. Queste azioni sono registrate insessioni temporali di 15 minuti ciascuna. La soggettività dell’osservazione è controbilanciatadalla presenza di due osservatori indipendenti, che compilano contemporaneamente due

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schede in classe senza confrontarsi tra loro. Come d’uso quando vengono impiegati due co-dificatori indipendenti (Kirk e Miller, 1986; Hughes e Garret, 1990; Neuendorf, 2002; Krip-pendorf, 2004), a conclusione dell’osservazione vengono costruiti degli indici di accordointersoggettivo per valutare l’attendibilità dello strumento. Gli indici di accordo che sonostati elaborati in seguito alla fase pilota del progetto raggiungono un accordo intersoggettivosoddisfacente.Sono oggetto di osservazione sia le azioni degli insegnanti sia quelle degli studenti; ad

esempio per l’indicatore “Articolazione del gruppo classe” viene rilevato quante volte du-rante la mattinata gli studenti ascoltano l’insegnante o un loro compagno, quante volte la-vorano individualmente, quante lavorano in gruppi. Per questo indicatore l’attenzione èdunque focalizzata sulle azioni che svolgono gli studenti.Per ricomporre l’indicatore “Attenzione agli studenti con disabilità e con bisogni edu-

cativi speciali (BES)” vengono osservate le azioni svolte dall’insegnante, dall’eventuale inse-gnante di sostegno, dagli studenti con disabilità certificata e dagli studenti che, pur nonavendo una certificazione, sono segnalati dall’insegnante come studenti cui dedicare un’at-tenzione speciale (ad esempio studenti con problemi psicologici, o studenti stranieri da pocoin Italia). I due osservatori annotano quante volte durante la mattinata gli insegnanti si ri-volgono a questi studenti (con domande, lodi o rimproveri), quanto spesso li seguono (guar-dando il loro lavoro, accostandosi al loro banco o sedendosi vicino), con quale frequenzaassegnano loro compiti differenziati rispetto al resto della classe. Per quanto riguarda gli stu-denti con disabilità e BES, gli osservatori registrano la frequenza con cui svolgono attivitàdel tutto uguali agli altri, simili agli altri ma semplificate, completamente diverse dagli altri,oppure non svolgono alcuna attività. Devono infine registrare sulla scheda quanto spessol’insegnante di sostegno aiuta gli studenti disabili e con BES a partecipare all’attività in classe,e con quale frequenza li segue in un’attività diversa da quella del resto della classe.Un ulteriore indicatore, denominato “Strategie per l’apprendimento”, riguarda la tra-

smissione da parte dell’insegnante di strategie che permettano agli studenti di apprendere inmodo autonomo. Nella scheda è possibile registrare la frequenza con cui l’insegnante dà istru-zioni sulle strategie e i metodi da seguire (ad esempio come fare uno schema, come scrivereun riassunto, come sottolineare), oppure la frequenza con cui incoraggia gli studenti a con-trollare le proprie azioni (ad esempio rileggere quanto hanno scritto), o ancora la frequenzacon cui fornisce agli studenti feedback sullo svolgimento delle loro attività, dando indicazioniin positivo o in negativo sulla loro prestazione. La Scheda di osservazione tiene inoltre sottocontrollo l’utilizzo della risorsa tempo, non solo prevedendo una registrazione delle azioniogni 15 minuti, ma anche registrando per ogni ora di lezione l’inizio e la fine teorici e l’inizioe la fine effettivi. Anche l’ingresso in ritardo degli studenti viene registrato; questi dati per-mettono di ragionare su quanto efficacemente è ottimizzato il tempo in classe.

5. La formazione degli osservatori e le attività svolte

A seguito della positiva esperienza di osservazione sul campo effettuata su 12 scuole delleregioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia nell’a.s. 2009-2010 durante la Fase 2 Pilota, siè ritenuto opportuno estendere il modello già sperimentato, con gli adeguati aggiustamenti,al numero completo di scuole della Fase 2 (88 istituzioni scolastiche). Coppie di osservatorihanno condotto visite di osservazione di tre / quattro giorni fra il mese di marzo e quellodi maggio 2011, a partire da un protocollo elaborato dal gruppo di ricerca INVALSI.Dopo aver esaminato i criteri utilizzati da diversi paesi europei per selezionare figure con

compiti di valutazione (Eurydice, 2003), si è scelto di individuare due profili differenti per

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la conduzione delle osservazioni: un profilo ‘interno’ al mondo della scuola (Dirigenti sco-lastici e insegnanti che hanno maturato competenze professionali non solo legate all’inse-gnamento, ma anche alla gestione e organizzazione scolastica, alla valutazione eautovalutazione, e in campo pedagogico-didattico) e uno con competenze metodologichematurate nel campo della ricerca nelle scienze sociali e/o nella valutazione (tecniche di ri-levazione, gestione e valutazione dei processi formativi, gestione e valutazione delle istitu-zioni scolastiche o delle organizzazioni). Infatti le qualifiche richieste prevalentemente peri valutatori esterni in Europa sono legate alla formazione da insegnante o a un’esperienzaprofessionale in campo educativo, associate però a competenze in ambito metodologico/va-lutativo acquisite attraverso corsi specializzati e/o attraverso il superamento di esami con ilrilascio di certificazioni. Da una parte il coinvolgimento di un insegnante o di un Dirigente scolastico aggiunge

un elemento di valutazione tra pari (peer evaluation) al processo di osservazione, dall’altro lafigura con competenze metodologiche garantisce un utilizzo degli strumenti e delle proce-dure tale da rendere comparabili i dati rilevati. I ruoli dei due osservatori all’interno dellescuole non sono fissi ma vengono scambiati in base a precise esigenze di ricerca, per quantosiano distinti nelle diverse tecniche di intervista (conduttore e recorder); durante l’osservazionein classe e in laboratorio, le schede vengono compilate simultaneamente, ma in modo indi-pendente. Entrambi i ruoli sono comunque coinvolti in tutte le procedure di raccolta deidati perché è fondamentale l’integrazione costante delle competenze metodologiche conquelle in ambito educativo.I quaranta osservatori, selezionati con una procedura comparativa condotta a livello na-

zionale, hanno partecipato al Seminario Strumenti per valutare le scuole che si è tenuto a Romaa marzo 201111, dove sono stati coinvolti in cinque giornate di formazione specialistica in-tensiva. La formazione ha consentito agli osservatori di conoscere il piano di visita e le pro-cedure di osservazione, condividere le finalità e le caratteristiche degli strumenti d’indagineelaborati dall’INVALSI12, comprendere i ruoli di ciascuno dei due osservatori, acquisire fa-miliarità nell’utilizzo degli strumenti d’indagine attraverso simulazioni, apprendere le mo-dalità di restituzione dei dati attraverso gli strumenti on-line13. Il percorso di formazione siè articolato sia in incontri in plenaria, durante i quali sono stati presentati gli strumenti e lemodalità di utilizzo e proposti momenti di dibattito, sia in esercitazioni pratiche in gruppidi lavoro. Le esercitazioni in gruppo hanno previsto:

• la condivisione delle aspettative e la realizzazione di gruppi coesi per il confronto sulleazioni di osservazione ed il supporto fra pari;

• simulazioni dell’Intervista al Dirigente scolastico e delle Interviste di gruppo con insegnanti, ge-nitori e studenti, attraverso role playing strutturati di tipo formativo inseriti all’interno diuno scenario unico per tutte le sessioni di lavoro;

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11 Le presentazioni oggetto del primo Seminario con gli osservatori ‘Strumenti per valutare le scuole’ che si èsvolto a Roma dal 21 al 25 marzo 2011, sono disponibili nell’area Documenti, Fase 2 del sito del progettoValutazione e Miglioramento <http://www.invalsi.it/invalsi/ri/audit/doc_fase2.php> [Data di accesso: aprile2011].

12 Sono a disposizione degli osservatori coinvolti nella Fase 2 del progetto dispense relative agli strumenti dirilevazione elaborate dal gruppo di ricerca INVALSI (L’intervista al Dirigente scolastico, L’osservazione in classee in laboratorio, L’intervista di gruppo con insegnanti, genitori e studenti) dove vengono indicate tutte le procedurenecessarie all’utilizzo delle diverse tecniche e alle modalità di compilazione.

13 Il gruppo di ricerca INVALSI ha implementato una piattaforma on-line per l’acquisizione dei dati allaquale gli osservatori della Fase 2 possono accedere attraverso un’area a loro riservata.

• simulazione dell’Osservazione strutturata in classe e in laboratorio attraverso la visione e l’ana-lisi di video di lezioni condotte in scuole primarie e secondarie di primo grado, con osenza l’utilizzo della Lavagna Interattiva Multimediale (LIM), e di laboratori di scienze ecomputer.

Durante le visite di osservazione gli osservatori INVALSI hanno utilizzato diversi stru-menti di rilevazione e svolto diverse attività: hanno intervistato in modo strutturato il Di-rigente scolastico, raccolto della documentazione, osservato con schede strutturate le attivitàin classe e in laboratorio, osservato in modo partecipe e foto documentato gli spazi, svoltoincontri di gruppo con rappresentanze di insegnanti, genitori e studenti (con uso della tec-nica del Nominal Group, e di strumenti quali il differenziale semantico e la scala a ordina-mento forzato).I due osservatori in modo indipendente hanno osservato una classe di primaria e una

classe di secondaria di I grado per un’intera mattinata. Il focus dell’osservazione infatti è ri-volto al processo di apprendimento-insegnamento, non alla singola ora di lezione o al singoloinsegnante; in questo senso la qualità del servizio offerto dalle diverse classi della scuola do-vrebbe essere considerato come uniforme. Per lo stesso motivo agli incontri di gruppo hapartecipato un numero limitato di studenti, genitori e insegnanti (ciascun gruppo era costi-tuito da circa 15 persone), in rappresentanza delle diverse componenti scolastiche. Gli os-servatori inoltre, a partire da un format base predisposto dall’INVALSI, hanno contribuito astilare il Rapporto di Valutazione e individuato le piste di miglioramento per ciascuna istitu-zione scolastica.

6. Il Rapporto di valutazione e le piste per il miglioramento

Ciascuna istituzione scolastica ha ricevuto un Rapporto di valutazione personalizzato, redattodalle coppie di osservatori, a partire da un format predisposto da INVALSI; la struttura delrapporto segue l’ordine degli indicatori del Quadro di riferimento VALSIS, elaborato dal-l’INVALSI. Tali indicatori sono riconducibili a tre principali tipologie: 1) indicatori che for-niscono semplicemente delle informazioni, e non danno luogo a un particolare giudizio(quante unità scolastiche, quanti alunni, ecc.), offrendo dati che servono a programmare,non a valutare (ad esempio sapere quanti alunni stranieri ci sono serve a indicare che lascuola dovrà programmare interventi specifici); 2) indicatori rilevati per approfondire de-terminati aspetti (ad esempio il contenuto dei progetti, gli argomenti della formazione degliinsegnanti), ossia con una valenza descrittiva; 3) indicatori che si riferiscono a variabili allequali si attribuisce un valore, ossia un criterio di qualità: positivo se si pensa che favoriscal’apprendimento, negativo se si pensa che sia un ostacolo (ad esempio le richieste di trasfe-rimento dei docenti). In alcuni casi è sufficiente sapere se tale criterio esiste o meno (si con-sidera positivamente ad esempio che una scuola abbia definito un curricolo di scuola), manella maggioranza dei casi questo non basta, poiché interessa sapere anche in che misura ilcriterio esiste e quanto questa misura sia ritenuta accettabile (ad esempio quali attività lascuola realizza per favorire la continuità).Gli indicatori e aspetti VALSIS per i quali è stato possibile reperire dati e/o informazioni

al fine di elaborare una restituzione alla scuola utile per il miglioramento sono stati 115,molti dei quali corredati dalle descrizioni qualitative degli osservatori.Per alcuni degli indicatori è stato possibile offrire un confronto tra la situazione della

singola scuola e il dato medio nazionale (ad esempio per le assenze del personale, trattedalla così detta “scheda Brunetta”), per altri indicatori la prestazione della scuola è stata

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Donatella Poliandri, Paola Muzzioli, Isabella Quadrelli, Sara Romiti

messa a confronto con i dati INVALSI. I risultati alle prove di apprendimento sono staticonfrontati con i risultati medi del campione di scuole dell’Esame di stato a.s. 2009-10 ealcuni dati strutturali confrontati con i dati medi delle scuole partecipanti all’indagineQuestionario di sistema nell’a.s. 2006-2007 (i cui studenti facevano parte del campione na-zionale delle prove di apprendimento del Servizio Nazionale di Valutazione). Ci sono in-fine alcuni indicatori (raccolti con il Questionario scuola 2010-11, o con l’osservazione sucampo) per cui è stato possibile offrire solo un confronto tra l’andamento della scuola equello delle altre scuole partecipanti al progetto, non avendo un campione nazionale diriferimento.Per molti indicatori si sono stabiliti dei livelli teorici entro cui posizionare le scuole (ad

esempio per la partecipazione dei genitori alle elezioni degli organi collegiali sono state de-finite quattro fasce, da “Partecipazione bassa” a “Partecipazione alta”). Per altri sono statiinoltre costruiti indici che aggregano più informazioni (come per la partecipazione dellefamiglie alle attività della scuola).Dopo una breve introduzione che presenta la tipologia di dati e di informazioni presenti,

la struttura del Rapporto è così articolata:

• una breve scheda di sintesi della scuola con dati strutturali (numero di studenti, rapportostudenti insegnanti, tipologia di territorio in cui la scuola insiste, ecc.);

• la presentazione del contesto, evidenziando in particolare la partecipazione della comunitàe dei genitori alla scuola;

• le caratteristiche dell’utenza e le risorse (Input) e in particolare: le caratteristiche dellescuole e quelle degli studenti, le risorse umane e quelle materiali;

• i dati di processo in atto tra scuola e territorio, quelli a livello di scuola (progettazione,capacità di miglioramento e vita scolastica) e a livello di classe;

• i risultati degli Esami di Stato alla prova INVALSI;• una sintesi complessiva di tutti i punti di forza e di debolezza emersi nelle Aree di inte-resse;

• i possibili percorsi di miglioramento per l’anno scolastico successivo.

Ciascuna sottoarea è corredata da una Sintesi che evidenzia i punti di forza e di debolezzadella scuola emersi nelle Aree di interesse. In coerenza con le sintesi, sono individuate tre oquattro piste di miglioramento fra le quali ciascuna istituzione scolastica potrà scegliere perattuare il suo piano di miglioramento e gli indicatori di riferimento per la valutazione ex-post dell’intervento.

7. Conclusioni

I dati della Fase 2 del progetto VM sono in fase di elaborazione e, molto presto, costituirannoun vasto data base di informazioni rilevate con tecniche quantitative e qualitative tale dapermettere al gruppo di ricerca di rendere noti gli esiti (positivi e/o negativi) del percorsofatto e la tenuta complessiva del modello. Al momento, il principale risultato relativo alla Diagnosi complessiva delle scuole (Fase 2),

alla luce delle esperienze europee e di quelle italiane precedentemente descritte, riguardal’effettiva realizzazione di un percorso sistematico di valutazione esterna per un vasto numerodi istituzioni scolastiche che, a differenza di altri modelli sperimentati in Italia, ha indagatonon solo aspetti organizzativi e di progettazione, ma anche il processo di insegnamento/ap-prendimento in classe e in laboratorio, consentendo così una valutazione più analitica e ap-

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profondita del servizio offerto, mettendo alla prova una complessa metodologia. Questo neifatti ha permesso di sperimentare strumenti di rilevazione per l’osservazione su campo, pro-tocolli e procedure di rilevazione.Il secondo risultato ottenuto è consistito nella reale restituzione alle scuole della grande

mole di dati raccolti (gli 88 Rapporti di valutazione redatti dagli osservatori per ciascuna isti-tuzione scolastica), e quindi nella messa in campo anche di un’azione di comunicazione di-versa, atta a trasformare gli esiti della valutazione in azioni concrete; questi dati possonoinfatti essere utilizzati dagli operatori in un’ottica auto valutativa e come base di partenzaper la realizzazione di piani di miglioramento (Fase 3 di VM). Il terzo risultato concerne l’avere delineato le competenze professionali e i requisiti ne-

cessari per la costituzione di nuove figure con funzioni valutative, nell’averle selezionate,formate e sperimentate sul campo. Infine il Quadro di riferimento teorico della valutazione del sistema scolastico e delle scuole

(VALSIS) rappresentando una definizione operativa del concetto di qualità’ della scuola,ha provato a rendere trasparente lo ‘sguardo esterno’ sull’offerta formativa e il servizio sco-lastico.Invece, alcune problematiche di carattere generale emergono in modo evidente sia per

ciò che riguarda la Fase 2 di VM nello specifico, sia rispetto al contesto più ampio nelquale si inscrive il progetto. Innanzi tutto le scuole hanno ‘scelto’ di partecipare alla Fase2; essendosi auto selezionate non costituiscono quindi un campione rappresentativo taleda poter da una parte validare definitivamente strumenti e procedure di rilevazione, dal-l’altra di permettere alle scuole di confrontare i propri dati con quelli di un campione. Larestituzione alle scuole, come già indicato, permette il confronto su differenti dimensioni(organizzative, didattiche, funzionali, ecc.), ma allo stato attuale tale confronto è in preva-lenza possibile solo all’interno del gruppo di scuole partecipanti al progetto; questo nonconsente di operare reali confronti per norma e/o individuare benchmark nelle varie di-mensioni indagate. Inoltre, rappresentando la prima grande operazione sistematica di va-lutazione esterna, pur avendo fornito alle scuole determinati criteri per l’individuazionedelle classi da osservare e delle persone da invitare per le differenti interviste individualie di gruppo, non è stato possibile campionare le classi o scegliere casualmente gli studenti,i genitori o gli insegnanti da intervistare. Se questo ha permesso al progetto di non in-contrare resistenze di alcun tipo da parte di operatori e utenti, di fatto, in alcuni casi, è ac-caduto che gli osservatori di VM si imbattessero, durante le visite, in ‘teatrini’ appositamentecostruiti per loro o in gruppi del tutto definiti dalla dirigenza, inficiandone la reale pos-sibilità di indagine. È evidente che una sperimentazione più robusta del modello dovràtener conto di questioni così imprescindibili.Più in generale, gli spunti di riflessione e di attenzione che il progetto offre hanno a che

vedere con la possibilità o meno di estendere l’esperienza di valutazione esterna a un numeropiù ampio di scuole e/o all’ipotesi di applicazione del modello a livello nazionale; ciò im-plicherebbe inevitabilmente un grande dispendio in termini di risorse economiche e umane.A questo si associa infatti la necessità di reclutare, fornire di status e formare un corpo di os-servatori / valutatori in grado di svolgere questo mestiere. A livello di sistema rimane quindiaperta la questione più importante ossia, nel costituendo sistema nazionale di valutazione,chi effettivamente sarà chiamato a valutare e chi invece a sollecitare e monitorare i percorsidi miglioramento delle singole scuole.

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Donatella Poliandri, Paola Muzzioli, Isabella Quadrelli, Sara Romiti

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Donatella Poliandri, Paola Muzzioli, Isabella Quadrelli, Sara Romiti

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StudiSafety of educational environment:psychological and pedagogical aspects

Sicurezza dell’ambiente educativo: aspetti psicologici e pedagogici

The article is devoted to the concept of thepsycologically safe educational enviroment. Metodological and the theoretical bases ofpsychological safety of educational enviro-ment are presented.A particular attention is devoted to the im-pact of this construct on communicationbetween peers.The article suggests criteria to evaluate psy-chological safety and ways of its organiza-tion.

Key words: the educational environment,psychological safety, personal development,pedagogical interaction, peer interaction.

L'articolo affronta il tema della sicurezza psico-logica nell'ambiente educativo, presentandone lebasi teoretiche e metodologiche.Il concetto di sicurezza psicologica viene esaminatoconsiderando le modalità organizzative che con-sentono di ottenere un ambiente sicuro e i criteri che ne consentono la valutazione, conparticolare attenzione al problema della comuni-cazione tra pari.

Parole chiave: ambiente educativo, sicurezzapsicologica, sviluppo personale, interazioneeducativa, interazione fra pari

VLADIMIR KOVROV • ANTONOVA ANNA

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

Safety of educational environment:psychological and pedagogical aspects

In the last 10 years the term «safety» has become one of the most important terms in almostall spheres of life of modern man. In education it is the main criteria for the successfuledu cational process, for its integrity and consistency, as well as to develop a humanistic,learner-oriented and comfortable educational environment for children.Educational institution (kindergarten, school, liceum and etc.) is the main social envi-

ronment for children. Such competences as tolerance towards other people, ability to livewith people of different cultures and nations, responsibility for one own’s actions, ability totake part in cooperative decisions, to regulate conflicts without violence, are formed there. But at the same time the educational environment of educational institutions can be

dangerous for children and may contain risks and threats for their physical and psychologicalhealth. Safety absence in an educational environment has a negative influence on the suc-cessful development of the child’s personality and his self-actualization. A child does not always understand the level of danger, or does not know how to cope

with the existing threat. Threats, dangers may come from nature (the elements, floods, tor-nadoes, hurricanes, earthquakes, fires, mudslides, etc.), from the material world (gas explo-sions in the house, cut glass, the risk of material objects – old houses, damaged furniture,etc.), from other people (adults, parents, teachers, peers in a social environment, students),from himself. That’s why there is a need in a specific pedagogic activity and pedagogicalprotection for children.In psychology such category as “safety” has been used since the 1920s.According to the concepts of humanistic psychology (Abraham Maslow, Carl Rogers

and others), the desire for security is one of the vital human needs. Maslow highlights theneed for security as one of the basic human needs: humans desire to feel safe, get rid of fearand life misfortune [10]. Fromm [5] said that freedom from cruel social, political, economical and religious limi-

tations has demanded a compensation in the form of feeling safe and being belonging tosociety. He supposed that this gap between freedom and safety had become the reason ofdifficulties in human being.Horny [11] in social-cultural theory of personality marked 2 childhood needs: satisfaction

need and safety need. In a child’s development the main need is a safety need (being lovedand protected from danger and hostile world). And when it is not satisfied, the basic hostilityevolves. As a result, child feels fear, helplessness and guilt that appear in interaction withother people in present and in the future.In 1970s the term “psychological safety” appeared in industrial and engineer psychology.

It was connected with “patterns of human activity in situations of physical danger and theways of searching assurance of one own’s safety” [Kotik M., 5]In last 15 years this term is connected with organizational psychology. Edmondson, A.

[6] points out that psychological safety is a shared belief that the context is safe for inter-personal risk taking. In psychologically safe teams, team members feel accepted and respect-

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ed. Also, psychological safety is defined by how group members think they are viewed byothers in the group, but trust is defined by how one views another. So, they place an emphasison the fact, that psychological safety is focused on being respected by the referential group[7]. Psychological safety is an integrative term [11], so it can be viewed:

• as a process. Every time the participants of the social environment meet each other, thepsychological safety evolves anew;

• as a condition that provides basic protection and safety of personality and society;• as a characteristic of one’s own personality. It characterizes its protection of destructive in-fluences and inner resource for resistance to harmful actions.

The term “safe learning environment” in the psychological-pedagogical science andpractice appeared relatively recently. When the development of a child is healthy, he feels confident and has a psychological

resistance to difficult situations. But when a child does not believe in the success of his ownactions, has fear of humiliation or feeling of loss of parent’s love – all this means that thechild’s need in safety and protection are not satisfied. In this case the development of per-sonality can be slowed down. Therefore, a teacher should organize such environment, whichhelps children satisfy the basic need in safety, teaches how to cope with difficult situationsand shows his own way to achieve inner stability.The elaboration of the concept of psychological and pedagogical safety of educational

environment is based on certain concepts: danger, safety, threats, risks, challenges, educationalinstitution, educational environment.Yasvin asserts that educational environment is a system of influences and conditions for per-

sonality formation according to a given sample, as well as opportunities for its development,which are contained in the social and spatial-objective environment. [13]But what are the differences between danger, risk and threat in this concept?Danger is a probability of being harmed that is determined by objective and subjective

factors. Risk is a probability of upraise of negative consequences of a person’s own activity. Threat is a complex of conditions and factors that endanger the vital interests of the in-

dividual, society and state.The Institution of developmental physiology of the Russian Educational Academy found

out the main risk factors at school:

1. Stressful teaching tactics;2. Mismatch of learning methods and technologies to the age and functional abilities ofstudents;

3. Inadequate literacy of parents in the sphere of health of their children;4. Very intensive educational process;5. Premature preschool systematic training;6. Functional illiteracy of teachers in matters of protection and promotion of health;

Medical, psychological and pedagogical practices show that a large number of studentsare in a state of chronic fatigue, which leads to neuro-psychological exhaustion. Moreover,many researches have shown that pedagogical errors or incorrect pedagogical technologieshave negative effect on a child’s mind. This leads to psychological maladjustment, which hassuch consequences as

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Vladimir Kovrov • Antonova Anna

• Low level of cognitive activity;• Low level of motivation in the learning activity;• Instability of the emotional sphere;• A high level of anxiety;• Aborted communication skills.

Psychologically safe educational environment helps to avoid such psychological malad-justment.Methodological and theoretical base of psychological safety of the educational environ-

ment is presented by Baeva (the professor of Herzen State Pedagogical University, Saint Pe-tersburg, Russia)Baeva [3,11] considers psychologically safe environment as such environment, where the

majority of participants (students, teachers and parents) have a positive attitude towards it,have high satisfaction index of interaction and protection from psychological abuse.Ter-Akopov [12] offers a broader definition of psychological safety. According to his

ideas, it is such internal state, that’s characterized by the absence of danger for the psyche ofthe person, and includes a complex of specific actions for elimination such danger.Mirimanova [8] points out that psychological safety of modern educational environment

is directly related to the conflict and proneness to conflict in this educational space. Theconflict can be either a factor of development of personality, or a factor of psychologicalsafety/unsafety. School conflicts, especially in adolescence, are associated with violence, ag-gression, and take various forms: insults, accusations, threats, shouting, quarrelling, fighting,revenge, etc. Also conflicts are accompanied by strong emotional experience, which leadsto certain strategies of behaviour. Non-constructive conflict leads to psychological violenceand brings down the index of psychological safety. Psycho prophylaxis of these conflicts,risks and threats can be one of the most important grounds for modelling psychologicallysafe educational environment.Psychological safety is also an indicator of the effectiveness of the entire educational in-

stitution. But understanding psychological safety as one of the ways of pedagogical work isnot quite correct. Psychological safety is possible only when all the activities of the educa-tional institutions are solved efficiently, then there will be a psychologically safe environmentand sense of comfort for all its participants.The category of psychological safety is determined by Baeva [1, 3, 11] in 3 aspects:

• As a condition of educational environment that is free from psychological violence ininteraction, that proves satisfaction of need in personal trustful communication, that hasreferential meaning and support mental health of its participants.

• As a system of interpersonal relationships, which gives the participants a sense of belong-ing (the reference value of the environment), convinces a man that he is out of dangerand strengthens his mental health.

• As a system of measures to prevent threats for productive development of personality.

Today some of the researchers, regarding the influence of the processes of the social en-vironment on man, maintain such type of communication as intrapersonal communication.Baeva [3,4] claim that intrapersonal communication is one of the positive results of humanmental development, that shows the rate of his personal growth.They propose to consider intrapersonal communication as a possible indicator of the de-

velopment of personality in the educational environment. Effective intrapersonal commu-nication, which leads to self-actualization, is possible only in psychologically safeenvironment.

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The criteria of safety of the educational environment are:

• Satisfaction of the educational process;• Comfort of the educational environment;• Psycho-social and legal defence of all participants of the educational process at all levels;• Understanding that the child is a subject of his own development;• Psychological and pedagogical culture of teachers, staff, administration of the educationalinstitution;

• Social creativity of students as a condition of positive socialization;• The well formed, objective assessment and self-assessment by all participants of the edu -cational environment in an atmosphere of care, protection, well-being and freedom ofchoice in activities and communication.

But the three main criteria of psychological safety are: absence of psychological violencein interaction, satisfaction of need in personal trustful communication and referential mean-ing of this environment, that supports mental health its participants.

Pedagogical safety of educational environment is a system of pedagogical techniques,which helps to organize environment free from threats to physical and mental health of itsparticipants (first of all, students and teachers) Kovrov [8] supposes that school is a stress-producing area, because, in fact, everything is

regulated and determined there by special rules, and its participants have few variables ofbehaviour within these limits. That’s why it is necessary to give students and teachers a tech-nology of safe interaction in violent educational space. Educational environment - it’s not only physical space of the educational institution (its

physical state, color, design, organization, etc.), but it is also a relationship, as well as an activityof students and teachers in this environment. But if a teacher is too authoritarian, whetherhe is a wonderful teacher-master, his hard work algorithm will cause some problems in re-lationships and in a student’s motivation. If a teacher is too humane it also will cause tensionin the educational environment because in a short period of time teachers are obliged togive the big program of basic education to students. Learning becomes violent from themoment, when student realizes that the received information requires efforts to be stored,transmitted and assimilated. Most of students do not understand why they need to spendtime and effort to assimilate completely unnecessary knowledge (in their opinion). There-fore, an optimal way of giving knowledge for students and teachers should be found.Pedagogical protection can be made directly or take preventive forms.Direct pedagogical protection is a system of actions, provided by teacher through intervention

in difficult or dangerous situations for the child where there is a threat to life, health ormental-skills or when there is a need for immediate protection of the rights and dignity ofa child. It is a cooperative activity of teacher and student to find a specific pathways to un-derstand the situation and achieve such result, in which there is no need for external pro-tection. In direct contact with the student, the teacher explains, directs the child to reflecton the dangers and finds ways to resolve the arising problem. Direct pedagogical protectionin practice is carried out in cases of physical, mental violence, moral cruelty by immediatecessation of negative actions, involvement of the competent authorities, sending a child toa psychologist, a medical room or a physician specialist.

Preventive pedagogical protection is such methods in which a teacher resolves the dangerousand difficult situation without the direct intervention into it. Among preventive measurescan be, for example, attraction of the child’s parents to participate in class activities. Preventive

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protection assumes the creation of safe environment in a team, that excludes possibility ofbeing threated by the peers in future.The authors of the article made a research to find out an index of psychological safety

at different schools [2]. The sample consisted of students of 12-15 years of age of fourMoscow schools. Schools were divided into 2 groups: low index of psychological safety andhigh level of it. We found out that at schools with low level of psychological safety, students’ interactions

with peers were ambivalent. On the one hand, there was freedom in communication andteenagers could express all their feelings and thoughts. On the other hand, there were ten-dencies to ignorance of the point of view of other people. Also there was a high index ofdemonstrative leadership. Students defended exclusively their own interests and showed ag-gressiveness in individual activity. Achievement of their own interests for them is more im-portant than interpersonal relations. Very often students behavior was driven by negativeemotions, insults, intentions to make harm to another teenager. Or they manipulated eachother. Such ambivalent behavior of students towards each other mirrors in students’ images of

educational environment. Teenagers thought that it is not psychologically safe, not com-fortable, they didn’t feel protected from psychological violence, but they have been satisfiedby it already. We suppose that teachers there are inconsistent in their pedagogical methods.This leads to “double standard policy” in communication and establishing aggressivenessand hostility as a norm of behavior. So, we can see that there exists psychological violence in interaction with peers which

leads to reduce of the reference of educational environment.Relations with teachers were also ambivalent. On the one hand, students said that there

were trust, honesty and help in communication with adults. On the other hand, teenagersalso pointed at such communication problems as aggressiveness, lack of understanding, warpjudgment of teachers. These results could be connected, first of all, with professional defor-mation of teachers, and also with the fact that teachers can’t keep pace with the extremelychanging teenagers.Lack of interesting upbringing activities with a strong pro-social orientation reduces stu-

dents’ satisfaction of the educational environment, and increases the expression of psycho-logical violence, the aggressiveness and non-constructive conflicts in interaction.At schools with low level of psychological safety students are bot involved into the school

life. They feel bored there and don’t feel referential meaning of the school.At schools with high level of psychological safety students were more involved into

school life. Students name positive changes in their character and personality as an impactof the school. They pointed that their communicative skills, personality development, andself-confidence had grown.Students described their relations with other students as trustful, authentic and full of

freedom in self-expression. The level of conflict was low there, communication was veryhelpful and supportive. Students tried to listen to each other, to cooperate and were tolerantin interactions. The level of intergroup competition was very low there.Students at these schools described their relationships with teachers as friendly and ac-

cepting. These relations were characterized by honesty, politeness; there were no negativeevaluation of children personalities by teachers; they try to listen to the students’ opinions.Adults do not try to change the teenager’s personality in violent, prescriptive or authoritarianway, but show teenager’s abilities and ways of his development. Students feel the uncondi-tional acceptance from teachers, and feel their own right for being unique. And the moti-vation for study was high there.

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But on the other hand teachers at that schools tend to pedagogical manipulations andstudents feel that. In pedagogical staff we found out a tendency to be guided in pedagogicalactions not by desires of children’s community, but by own representations what is necessaryfor teenagers. We suppose that it is connected with a teachers’ position in relations with students. In

communication teachers present themselves as an embodiment of authority and knowledge.In this case there is no “head-to-head” relation with teenagers and in difficult situations(preparation to examination or for significant actions) and sometimes teenagers understandthis behaviour as disrespect. One more reason is that teachers have in image of ideal students.But in attempt to comply with this ideal they forget about real students and can’t keep pacewith the extremely changing teenagers. At present, we consider such behaviour as a risk forpsychological safety which, in case of continuation and stability of such behaviour fromteachers, could develop into threat both for the psychological safety of school, and the sta-bility of educational system as a whole. So, we can see that psychologically safe environment has an impact on learning activity

of students, on their personal development and self-actualization.For achieving safety in educational environment the following tasks should be resolved:

• Organization of learner-centred education with a glance to the individual psycho-phys-iological and social abilities of students;

• The formation of the personal needs and professional guidance according to knowledgeof individual characteristics and capabilities of students

• Health control and adaptation of students to educational institution;• Organization of leisure, correctional and rehabilitation activities for students and teach-ers.

• Selection the optimal educational technologies, lesson plans with taking into accountage, sex, psychological makeup, environment;

• Development of raw talents and creativity of every child, teen, youth, implementationof their aptitudes and abilities in various fields of human activity and communication

• Optimization of psychological circumstances of students and teachers.

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StudiUniversity-Business Dialogue: quali implicazioni nella ricerca pedagogica e didattica?

University-Business Dialogue: what the possible results on education and learning research?

University-Business Cooperation e KnowledgeTriangle emergono tra le parole chiave del-l’agenda europea di riforme concernente lamodernizzazione dell’istruzione superiore.Sono numerosi, infatti, i documenti redattidalla Commissione che evidenziano la ne-cessità di promuovere la collaborazione delleUniversità con il mondo delle imprese e dirafforzare il rapporto tra Istruzione/Forma-zione, Ricerca e Business/Innovazione, rico-nosciuti come key drivers per una societàbasata sulla conoscenza.L’obiettivo del contributo è riflettere su co-me queste due esortazioni possano concre-tizzarsi in ambito umanistico e, precisamente,in ambito pedagogico-didattico. L’attenzionesi focalizzerà prevalentemente sul University-Business Dialogue a partire da una prima partedi ricostruzione della genesi del rapporto traUniversità e mondo extra-accademico e me-diante una seconda parte di riflessione suidocumenti europei dell’ultimo decennio de-dicati alla questione.

Parole chiave: University-Business Dialogue,Knowledge Triangle, istruzione superiore,ricerca, storia delle università, sapere scien-tifico

University-Business Cooperation and Know -ledge Triangle are some of the key-words amongthe European Reforms about the modernizationconcerning Higher Education. In fact, the EuropeanCommission has published different documentsabout the increasing need to promote a positive cooperation between University and the BusinessWorld, and to strengthen the relationship betweenEducation and Learning, Research and Business/Innovation, which are all considered key drivers of asociety based on knowledge.The main goal of this work is to reflect on thepossible ways these aspects could coexist and bepracticed in humanistic areas. The main concernfocuses on the University-Business Dialogueand follows the birth and the evolution of the re-lationship between University and extra-academicworld, while the second step is about a criticalanalysis of the European documents of the lastdecades about the question itself.

Key words: University-Business Dialogue,Knowledge Triangle, Higher Education, re-search, history of Universities, scientificknowledge

DANIELA FRISON

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

University-Business Dialogue: quali implicazioni nella ricerca pedagogica e didattica?

Introduzione

University-Business Cooperation e Knowledge Triangle emergono tra le parole chiave dell’agendaeuropea di riforme concernente la modernizzazione dell’istruzione superiore (Commissionof the European Communities, 2011). Numerosi sono infatti i documenti redatti dalla Com-missione che evidenziano la necessità di promuovere la collaborazione delle Università conil mondo delle imprese e di rafforzare il rapporto tra Istruzione/Formazione, Ricerca e Bu-siness/Innovazione, riconosciuti come key drivers per una società basata sulla conoscenza(Swedish National Agency for Higher Education, 2009).Come queste due esortazioni possono essere recepite dalle Social Sciences and Humanities

(SSH), così come vengono definite all’interno del Framework Programme 7 e Horizon 2020,i programmi europei di ricerca e innovazione e, in particolare, nell’ambito della ricerca pe-dagogica e didattica? Per riflettere sulle opportunità di sviluppo del dialogo università-im-presa e contestualizzarle in ambito pedagogico, il presente contributo ripercorrerà, nella suaprima parte, la genesi di questo stesso dialogo nella storia delle università, per focalizzarsipoi, nella seconda parte, sui documenti europei che nell’ultimo decennio hanno affrontatola questione.

1. Dalle universitates medievali alle università di Humboldt e Newman

La storia delle universitates ci rimanda indietro alla società comunale del XII° secolo. È qui,infatti, che emerge una nuova istituzione culturale che si sviluppa intorno a gruppi di studentiche da più parti si raccolgono in sedi prestigiose (Bologna, Parigi, Oxford) attratti da maestricelebri per le loro conoscenze e le loro abilità nel comunicare il sapere. Gli scolari si aggre-gano, si organizzano e, gradualmente, studenti e professori si associano in gruppi distinti. L’organizzazione dell’emergente università si fa via via più composita e animata e s’in-

tensificano i movimenti di professori e scolaresche verso nuove mete, vivacizzando così unamobilità resa possibile dal fatto che le stesse materie (il diritto, la teologia, la medicina e learti liberali), con i medesimi contenuti, erano proposte in tutte le università, con un rico-noscimento immediato dei percorsi da parte di tutte le realtà europee. Ciò consentiva aglistudenti, nella loro peregrinatio academica, di stabilirsi lungo il loro percorso di studi pressopiù università: italiane, spagnole, portoghesi, tedesche, inglesi, francesi, olandesi… garantendouna forma già avanzata di quella che con parole attuali potremo definire validazione dei saperiformali. Una omogeneità di fondo ha dunque contraddistinto gli atenei europei almeno fino

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al XVI° secolo: essi costituivano realtà aperte, dotate, si potrebbe dire, di una dimensioneinternazionale e radunate intorno a preoccupazioni esclusivamente teoriche e speculative(Stracca, 1979; Del Negro, 2002).Sarà l’età moderna ad apportare significativi mutamenti nel profilo che l’Università aveva

delineato per sé fin dalle sue origini. Con lo sviluppo dei nascenti Stati e l’attenzione allaformazione delle classi dirigenti e del clero, il legame tra la ricerca intellettuale e la sua ap-plicazione pratica si fa sempre più concreto e necessario. Gli stessi insegnanti universitariiniziano a manifestare verso questo stesso legame un atteggiamento di crescente fiduciasconfinando dall’originaria vocazione esclusivamente teorica dell’università, verso una mis-sione maggiormente tesa al progresso. Di fatto, tuttavia, l’avanzamento delle scoperte scien-tifiche in Europa si compie prevalentemente fuori dalle Università. Sono le accademie, igiardini botanici, gli osservatori, i laboratori ad avanzare il diritto di paternità su numerosegrandi scoperte scientifiche dell’epoca dando avvio ad un processo, progredito fino ai nostrigiorni, che vede una parte importante della ricerca svilupparsi al di fuori delle mura uni-versitarie.E proprio gli italiani si sono distinti per primi, nel corso del XVI° secolo, seguiti dagli

olandesi e, gradualmente, dal resto d’Europa, orientandosi verso la creazione di laboratoriesterni all’università consentendo a chi non volesse in alcun modo accettare tale “compro-messo”, di condurre le proprie ricerche fuori dalle sedi universitarie (De Ridder-Symoens,2006). Dovremo infatti attendere fino al termine del XVIII° per un primo moto di rinnova-

mento che sarà opera del filosofo e diplomatico tedesco Wilhelm Von Humboldt (1767-1835), animatore di una prima apertura delle istituzioni universitarie alla ricerca applicata. Nella sua direzione degli studi prussiani, Humboldt si è infatti impegnato nel sostegno

di un profilo unico di “insegnante-ricercatore”. L’università da lui diretta mira a concentrarenelle mani di un’unica figura accademica saperi e “pratiche” fino a quel momento patri-monio di più esperti: l’insegnamento, compito dell’università, e la ricerca, opera del labora-torio e dell’accademia. Affidare ai professori universitari solo l’insegnamento e la diffusionedella scienza e non, anche, la sua produzione e il suo sviluppo, è per Humboldt, un vero eproprio “torto”. Le università, per il filosofo, hanno infatti il compito di contribuire all’avan-zamento della ricerca e della conoscenza scientifica, dotandosi di quella vivacità e di quelloslancio che possono trarre proprio dal nutrimento che la ricerca procura allo studio e al-l’insegnamento. Inoltre, l’università si avvia ad intrattenere relazioni con il mondo economicoe produttivo preoccupandosi di “mettere la scienza a disposizione dell’industria” (Olivier-Utard, 2003, traduzione nostra). La fermezza e il rinnovamento delle posizioni di Humboldt non sono destinate a restare

confinate nella Germania del XIX° secolo dove, nel 1809, egli fonda l’Università di Berlino.Anche l’Inghilterra, verso la metà del 1800, promuove la centralità degli esercizi di labora-torio nella formazione universitaria favorendo gradualmente un avvicinamento sistematicodegli studenti alla ricerca. E, oltre oceano, saranno gli Stati Uniti, verso la fine del secolo, adaccogliere il modello tedesco, creando le università di Johns Hopkins nel 1873 e di Chicagonel 1890 ed estendendolo, successivamente, ad atenei storici quali Harvard e Yale. L’impresa humboldtiana di rinnovamento dell’istituzione universitaria di inizio ‘800 con-

sente, dunque, una prima “forma” di attenzione al contesto economico produttivo: un primocollegamento tra due mondi fino a quel momento mantenuti rigorosamente distinti e lon-tani l’uno dall’altro; distinzione da sempre proclamata e garantita dalla natura opposta e dal-l’opposta vocazione di università e accademie. Tuttavia è importante evidenziare come questo

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primo link tra università e territorio non attenui la supremazia della prima sul secondo: èancora la comunità scientifica universitaria a dettare le regole della produzione e dell’“uso”del sapere; sapere che, per la prima volta, può essere “concesso” al mondo economico per ilsuo avanzamento e che trova in centri di eccellenza e istituti deputati la propria sede di“raccolta e stoccaggio” per il mondo imprenditoriale.Emergono, dunque, chiaramente due peculiarità di questa embrionale relazione univer-

sità-imprese. Essa si fonda, in primo luogo, sull’applicazione dei risultati della ricerca generatanei laboratori universitari ma non ancora su una sua “generazione” sul campo: gli obiettividi fondo dei lavori degli scienziati rimangono teorici (Olivier-Utard, 2003). In secondoluogo, le discipline coinvolte in questo primo tentativo di avvicinamento tra università eimprese sono quelle “scientifiche” propriamente dette: la matematica, la fisica, la meccanica,la chimica, ecc. Ad essere tutt’altro che d’accordo con l’impostazione humboldtiana è il teologo inglese

John Henry Newman che, a metà del 1800, si esprimeva con riflessioni assolutamente op-poste circa il rapporto tra didattica e ricerca. Il suo libro, The idea of university (2008, ed. or.1852) è una collezione di riflessioni di filosofia dell’educazione a servizio della nuova uni-versità cattolica irlandese. Egli vi sostiene che finalità primarie dell’università siano il ragio-namento e la diffusione del sapere e non certo il suo sviluppo e avanzamento: questoobiettivo venga lasciato alla cura delle accademie letterarie e scientifiche. Peraltro, questa ri-partizione del lavoro intellettuale tra accademie e università è, per Newman, imposta dallanatura stessa delle cose che rende la scoperta e l’insegnamento due funzioni diverse e net-tamente distinte. A riguardo, per esprimere al meglio la sua posizione egli trova supportonelle parole del Cardinale italiano Giacinto Gerdil che sosteneva: “Non esiste alcuna veraopposizione tra lo spirito delle Accademie e quello delle Università; hanno solamente dueprospettive differenti. Le Università hanno la finalità di insegnare le scienze agli allievi cheintendono formarsi ad esse; le Accademie si propongono delle nuove ricerche da sviluppareper l’avanzamento delle scienze stesse” (Newman, 2008-1852, p. xii, traduzione nostra). Nel corso del Novecento, a ravvivare il dibattito contribuiscono l’espansione dell’obbligo

scolastico (in Italia nel 1962) e la massificazione della frequenza universitaria (1969) e laconseguente necessaria revisione del ruolo del docente, il cui operato non si rivolge più adun numero limitato di studenti. Un ripensamento della didattica diventa, dunque, incom-bente. Così come diviene, incombente, una ridefinizione dell’identità dell’istituzione uni-versitaria stessa. Di fronte alla massificazione è necessario chiedersi se l’università possapermanere nel suo status di istituzione di alta cultura o debba rivederlo e riconfigurarsi comeagenzia formativa nella quale il ruolo della didattica e lo spazio assegnato e riconosciutoalla ricerca debbano essere altrettanto ristrutturati.

2. Verso nuovi paradigmi di produzione del sapere scientifico: il Modo 2 di Gib-bons e la triple helix di Etzkowitz & Leydesdorff

Un tale ripensamento coinvolge, inevitabilmente, la produzione stessa della ricerca. I modellilanciati da Humboldt e Newman si erano proposti, peraltro riuscendovi, di influenzare pro-fondamente la didattica universitaria, tracciando delle linee di incontro, il primo, e di de-marcazione, il secondo, tra i ruoli di insegnante e di ricercatore e condizionando, per questavia, la logica stessa di produzione del sapere scientifico. Ed è proprio su tale logica di produzione che porta il contributo di Gibbons che, nel

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1994, ipotizza che l’università sia interessata da un nuovo modo di generazione del sapere,centrato su problematiche “fornite” dal mondo produttivo o dal potere pubblico. L’équipedi Gibbons ipotizza, inoltre, che tale metamorfosi abbia avuto inizio già a partire dagli anni’40 favorendo lo spostamento verso un nuovo paradigma di università, in netta rottura conla dimensione “fondamentale” che aveva caratterizzato questa istituzione fino alla primametà del XX° secolo: si tratterebbe di una “nuova” università costretta a rinunciare al mo-nopolio della produzione del sapere (Milot, 2003). In The new production of knowledge (Gib-bons et al.,1994), infatti, l’autore rintraccia i nuovi punti cardinali del sapere scientifico:eterogeneità, interdisciplinarietà, molteplicità dei luoghi di produzione e, soprattutto, pro-duzione in contesti di applicazione. L’università risulterebbe dunque, in questo nuovo mer-cato del sapere, solo uno tra i molti fornitori possibili: imprese private, istituti ministeriali,think-tanks, ecc. Si tratterebbe di una “liberalizzazione” del sapere scientifico che, nelle previsioni di Gib-

bons, potrebbe minacciare il modus operandi che, fin dalle sue origini, aveva connotato l’uni-versità. Il rischio prospettato dall’autore sarebbe l’incapacità delle antiche universitates dirispondere alla richiesta di saperi specializzati. Per farlo dovrebbero orientarsi verso un Modo2 di produzione dei saperi, ancorato all’attribuzione di una nuova dimensione pratica all’at-tività scientifica e contrapposto a quello tradizionalmente esercitato dalle università e de-nominato Modo 1. Il Modo 2, precisato come transdiciplinary, broad and transient, heterogeneous,multi-centered, accountable e riflexive, se non assecondato dall’Università, andrebbe inevitabil-mente ad erodere il potere produttivo, economico e politico dei suoi ricercatori e dei suoisaperi (Gibbons et al., 1994).L’opera di Gibbons ha evidentemente costituito negli anni della sua apparizione un suc-

cesso sia epistemologico che politico data la portata paradigmatica delle sue affermazioni.The new production of knowledge ha, però, anche stimolato proposte alternative a quella diGibbons, (mappate in una ricognizione di Hessel e Van Lente, 2008) accanto a riletture dellastoria delle università e del loro rapporto con il mondo economico-produttivo (Pestre, 1997;Gaudin, 1998; Albert, Bernard, 2000; Gaudin, Gingras, 2000; Grossetti, 2000). In particolare, secondo Etzkowitz e Leydesdorff (1996; 2000; Leydesdorff, Mayer, 2006)

non sarebbe la molteplicità di produttori di saperi a connotare di novità il panorama uni-versitario. Il paesaggio composito di università ed accademie prima, l’università humbol-dtiana poi ed alcuni “casi” come quelli delle università di Berlino e di Strasburgo, andrebberoin effetti a confutare l’ipotesi di un assoluta novità del Modo 2 identificato dal gruppo diGibbons. Pur ammettendo un link con il mondo produttivo assolutamente debole ed in-formale, sottomesso alla supremazia universitaria, è indubbio che i due mondi siano statientrambi fervidi produttori di saperi già prima degli anni ’40 (Etzkowitz, Leydesdorff, 1996).Secondo gli autori la novità nella produzione del sapere scientifico starebbe piuttosto inuna triple helix tra università, industria e governance pubblica, testimone di una evoluzioneimportante nell’organizzazione dei saperi ma, tuttavia, lontana da una rottura radicale conil passato come quella proposta da Gibbons (ibidem). Alla fine del XIX° secolo, ci ricordano Etzkowitz e Leydesdorff (2000a), ha avuto luogo

una vera e propria rivoluzione all’interno delle università, una rivoluzione che ha affiancatola ricerca alla loro prima missione di insegnamento. Ma la centralità che la conoscenza e laricerca hanno gradatamente acquisito nella società della conoscenza ha, inevitabilmente, pro-mosso la nascita di una terza missione: il ruolo dell’università nello sviluppo socio-econo-mico (ibidem). Gli autori parlano addirittura di una seconda rivoluzione universitaria che paresvilupparsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e che vede in una nuova articolazione

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dei rapporti tra università, industria e stato la sede di rinnovate possibili strategie di crescitaeconomica e di trasformazione sociale (ibidem, p. 137). Pur sottolineando come tali rapporti siano stati investiti da profondi cambiamenti, essi

non mettono in dubbio la centralità del ruolo delle università nella produzione del saperee tantomeno ne teorizzano un possibile declino come, invece, prospettato da Gibbons. De-lineano, piuttosto, un modello a tripla elica in cui i confini netti delle tre sfere istituzionalidell’università, del mondo economico e di quello pubblico, vengono a sfumarsi e ad acca-vallarsi consentendo la nascita di organismi ibridi che ne fungono da interfacce.

3. Il University-business dialogue nelle politiche europee in materia di Higher Edu-cation

Dopo aver illustrato le posizioni di Gibbons e di Etzkowitz e Leydesdorff in merito alle rela-zioni tra mondo accademico ed economico, veniamo all’attuale dibattito europeo in materiadi Higher Education restringendo il campo ai principali documenti che rimandano esplicita-mente al dialogo università-impresa. Modernizzare le università europee e favorire la ricercapromuovendo nuovi partenariati tra università e business costituiscono, infatti, i must che laCommissione porta all’attenzione del mondo politico europeo proponendo esperienze e in-coraggiando nuove opportunità di dialogo pubblicate all’interno dello Spazio Europeo dellaRicerca con il supporto dei Forum UE on Continuing Education and Lifelong Learning (2008) eon University-Business Dialogue (Commission of the European Communities, 2009).Il proposito è quello di rintracciare nella produzione più recente a livello europeo le

motivazioni e le finalità che hanno condotto la Commissione Europea ad istituire agli inizidel 2008 il Forum on University-Business Dialogue e avere così un quadro sufficientementeesaustivo che consenta di individuare le declinazioni europee del rapporto tra mondo acca-demico e mondo produttivo. Dai documenti presi in considerazione esso sembra dover con-tribuire, innanzitutto, al perseguimento di tre obiettivi principali: potenziare la ricerca,migliorare le competenze dei lavoratori dell’UE, promuoverne l’imprenditorialità (Com-mission of the European Communities, 2008). Il tutto ad un livello di eccellenza consentitoda alti livelli di perfezionamento e abilità di transitare nelle diverse discipline. È infatti all’ec-cellenza che gli atenei europei devono puntare, anche superando l’annosa questione chevuole la ricerca fondamentale in opposizione alla ricerca applicata. Il confine tra l’una el’altra si fa sempre più fluido e la seconda potrebbe divenire opportunità di sviluppo per laprima senza che questa perda il suo carattere fondamentale ma consentendole, invece, a pro-pria volta, di alimentare la ricerca applicata (Milot, 2003). Se nel passato quest’ultima ha po-tuto subire l’indifferenza di parte della comunità scientifica poiché ritenuta comemaggiormente orientata al mercato più che al progresso della conoscenza, per i motivi sopraesposti oggi l’università non può più permettersi un simile atteggiamento di superiorità(Commission of the European Communities, 2008) e “a cultural change is needed: univer-sities must stop thinking as apart from business” (Commission of the European Commu-nities, 2008b, p. 9).Ecco, dunque, che la Commissione auspica non solo un incontro ma la vera e propria

costruzione di un ponte di collegamento e di passaggio tra università e imprese affinché, si-nergicamente, possano sostenere il trasferimento di conoscenze e di innovazione. La comu-nicazione tra le loro differenti culture e l’incontro del senso e del significato che, per ciascuna

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di esse, hanno la ricerca e la diffusione dei suoi risultati condurrebbe, così, a quella che laCommissione definisce una fertilizzazione incrociata (Commission of the European Com-munities, 2006) da promuovere attraverso un’attenzione all’interdisciplinarietà e alla tran-sdisciplinarietà e favorendo l’incontro tra ambiti “complementari o apparentati (compresele scienze umane, le scienze sociali, le abilità imprenditoriali e manageriali) […] e l’intera-zione tra studenti, ricercatori e gruppi di ricerca grazie a una maggiore mobilità tra disci-pline, settori e ambiti di ricerca”, (ibidem, p. 9). Il riferimento alle scienze umane incoraggia l’avanzamento della nostra riflessione seb-

bene l’attenzione venga posta prevalentemente sull’ambito scientifico-tecnologico e lo stessoEuropean Forum on cooperation between Higher Education and the Business Community, del 20081,tenda a circoscrivere il terreno di incontro tra mondo accademico e produttivo intorno afinalità di innovazione tecnologica. Il dibattito avviato dalla Commissione in materia di modernizzazione delle università e

di promozione dei partenariati tra mondo universitario e aziendale culmina infatti in undocumento dell’aprile 2009 dal titolo A new partnership for the modernisation of universities: theEU Forum for University Business Dialogue (Commission of the European Communities, 2009)e l’istituzione di un forum università-imprese quale piattaforma europea per il loro dialogo.Ciò a cui punta l’Unione è l’incidenza della cooperazione sulla gestione o sulla cultura or-ganizzativa dei due settori. Esperienze quali conferenze, tirocini e progetti a quattro manidovrebbero aumentare e migliorare. Accanto ad esse dovrebbero essere potenziate le attivitàextracurricolari come, ad esempio, il sostegno accordato da parte di imprese incubatrici osocietà di consulenza a studenti e personale universitario affinché possano essere intrapresinuovi progetti imprenditoriali. E ancora, sostiene la Commissione, “le università dovrebberocoinvolgere gli imprenditori e gli uomini d’affari nella formazione relativa all’imprendito-rialità, ad esempio tramite la partecipazione all’attività didattica di importanti personaggidel mondo imprenditoriale in veste di professori invitati” (ibidem, p. 5). Il tutto con l’obiet-tivo di promuovere il trasferimento di conoscenze tra università e imprese e il coinvolgi-mento delle Piccole e Medie Imprese (ibidem). La centralità della collaborazione tra università e imprese viene evidenziata anche dalla

European University Association nel documento European Universities’ charter on lifelong le-arning (2008). Il documento, redatto sotto forma di impegno da parte delle università asso-ciate nel perseguire e implementare strategie di lifelong learning, evidenzia come “universitiesare aware of the need to engage in and reinforce dialogue with society more broadly […].This can best be achieved by strenghtening partnerships at different levels” (p. 4). “Stren-gthening the relationship between research, teaching and innovation in a perspective of li-felong learning” (p. 6): questo il proposito delle università verso una valorizzazione dellaprospettiva del lifelong learning come opportunità di esplorazione di nuovi ambiti e nuovemetodologie di ricerca e il potenziamento del sopra citato Knowledge Triangle (Education, Re-search, Business/Innovation).

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1 Segnaliamo che hanno avuto luogo, fino ad oggi, quattro Forum: il primo, Forum on cooperation between Hi-gher Education and the Business Community, nel 2008; il secondo Universities and businesses meet at Europeanforum to discuss cooperation, a febbraio 2009; il terzo University-Business Cooperation for smart, sustainable andinclusive growth a maggio 2010; infine, il quarto ed ultimo forum ad oggi realizzato University-Business Coo-peration: a strategic partnership to deliver Europe 2020 a marzo 2011. Per un approfondimento si rinvia allospazio web dedicato ai Forum, accessibile al link http://ec.europa.eu/education/higher-educatio -n/doc1261_en.htm.

I documenti esplorati, tutti esplicitamente collegati alla promozione del dialogo univer-sità-impresa, riportano riferimenti diretti ed intuitivamente immediati all’innovazione scien-tifica e tecnologica e alle potenzialità di un avvicinamento delle università al business. Il giàcitato documento The Regional Dimension of the European Research Area evidenzia la centralitàde: “la creazione o il potenziamento di reti di cooperazione tra imprese o gruppi di impresee centri di ricerca e università; l’interscambio di personale tra centri di ricerca, università eimprese, in particolare PMI; la divulgazione dei risultati di ricerca e l’adeguamento tecno-logico delle PMI; il sostegno agli incubatori di nuove imprese collegati alle università e aicentri di ricerca; la promozione delle spin-off nate da centri universitari o grandi impreseoperanti nel settore tecnologico e dell’innovazione” (COM 2001/549 def, p. 17).Le implicazioni di un rafforzamento del University-Business Dialogue nell’ambito della ri-

cerca pedagogica e didattica risultano invece meno dirette ed immediate e nei documentiè assente o solo implicito il riferimento ad esperienze o possibilità di connessione relative aquesto specifico settore. Com’è dunque possibile per l’area pedagogico-didattica declinare l’esortazione della

Commissione making the knowledge triangle work (Commission of the European Communi-ties, 2011)? The State of European University-Business Cooperation (UBC), report elaborato dalScience-to-Business Marketing Research Centre (2011), per la Direzione Generale dell’Istruzione edella Cultura della Commissione Europea può essere di supporto in questa direzione. Lo studiosi è infatti proposto l’obiettivo di evidenziare il livello di diffusione dell’UBC nel sistemaeuropeo dell’Istruzione Superiore, con particolare riferimento ad otto diverse modalità dicooperazione tra Higher Education e Business: collaboration in Research & Development (R&D);academic mobility; student mobility; commercialisation of R&D results; curriculum development & de-livery; Lifelong Learning (LLL); entrepreneurship; governance (Commission of the European Com-munities, 2011, p.6). Osservando le otto tipologie di collaborazione e le attività in cui essesi sostanziano così come declinate in Figura 1, si intravedono gli ambiti in cui il contributopedagogico e didattico si è principalmente sviluppato: academic mobility, student mobility, cur-riculum development and delivery, lifelong learning, entrepreneurship. Sempre lo stesso ente di ricerca ha condotto nel medesimo anno una mappatura di 30

good practice case studies in University-Business Cooperation (Science-to-Business Marketing ResearchCentre, 2011b) cercando di evidenziare i principi guida di ciascuna esperienza di UBC oltreal livello di trasferibilità in altri contesti. Tra i 30 progetti mappati, prevedono indubbiamenteun importante contributo della ricerca in ambito pedagogico e didattico quelli volti a: pre-parare gli studenti all’inserimento professionale e alla vita professionale; promuovere unacultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità e formare all’innovazione e all’imprendi-torialità; identificare e rispondere ai bisogni di apprendimento nei contesti professionali; ac-compagnare gli studenti nelle loro esperienze di mobilità e di training (ibidem). Si tratta diattività trasversali che, evidentemente, si affiancano e aggiungono alla molteplicità di colla-borazioni che l’area pedagogica ha già in essere con organizzazioni socio-educative e sco-lastiche con le quali condivide il comune focus di interesse, ma che i documenti europeisulla cooperazione tra università e imprese invitano a superare e ad ampliare, allargando ildialogo al mondo delle organizzazioni in senso lato. A tale proposito il già citato documentodella European University Association (2008) intravede nelle strategie accademiche di lifelonglearning nuovi input per la ricerca e la messa a punto di metodologie innovative che tragganonutrimento e stimoli proprio da questo ampliamento della definizione di learners e dallosviluppo di nuove e più diffuse partnership.

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Figura 1 – Result-level of UBC (Science-to-Business Marketing Research Centre, 2011, p. 27)

4. Alcuni spunti di riflessione sul dialogo università-impresa in ambito pedagogicoe didattico

La genesi del rapporto tra università e territorio, il riferimento ai documenti europei che lopromuovono e agli ambiti in cui si è concretizzato, ci consentono di tracciare alcune rifles-sioni conclusive sul University-Business Dialogue, declinandole con preciso riferimento al-l’ambito pedagogico e didattico. Partiamo dalla domanda di ricerca, in prima istanza: una domanda che, in una pluralità e

molteplicità di “produttori di sapere” (Gibbons et al., 1994) è bene definire nei termini di“chi la pone a chi?”. L’eredità medievale avrebbe assicurato una risposta ovvia, garantita dal-l’autoreferenzialità della ricerca fondamentale. Le nuove dinamiche di produzione del sapere,della sua sostenibilità e della sua conseguente accountability, hanno invece imposto la revisionedi una tale ovvietà. È ancora l’università a definire gli ambiti e gli obiettivi della ricerca ac-cademica? O può essere il territorio, con le sue problematiche, ad orientarla? Il processoche scaturisce da questa secondo possibilità è forzatamente multisfaccettato e transdisciplinare

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i documenti europei sulla cooperazione tra università e imprese invitano a superare e ad

a

(Gibbons, 1994), diventando un processo che ridefinisce i “saperi” accademici e le loro “sedi”(non più soltanto l’università), aprendoli alla contaminazione e alla negoziazione. Si profila,da una parte, un’istituzione accademica chiamata ad “accompagnare” le organizzazioni, lecomunità educanti, i singoli, affiancandoli per poter trarre da loro le sollecitazioni per losviluppo di una ricerca empirica situata che dà e riceve nutrimento dal “campo”. Dall’altraparte, le organizzazioni vengono chiamate alla responsabilità di un ruolo formativo che lesollecita alla disponibilità e alla collaborazione con l’accademia. Allo sguardo pedagogico ilcompito di accompagnare il processo di revisione in atto che è, prima di tutto, un processoformativo che vede sempre più i nuovi lifelong learners appartenere contemporaneamente oalternativamente all’uno e all’altro dei due contesti qui presi in considerazione.La necessità di negoziazione emerge come seconda istanza guida. Il superamento della li-

nearità originaria, che ha contraddistinto il processo di produzione del sapere quanto menofino alla “seconda rivoluzione universitaria” a cui hanno fatto riferimento Etzkowitz & Ley-desdorff (1996), ha significato la generazione di spazi e conoscenze ibride nel tentativo diconciliare le esigenze accademiche e quelle delle imprese rendendo imprescindibili tentatividi negoziazione tra i due interlocutori. E rendendo così pressante la ricerca di quella che,prendendo a prestito le parole di Stengers e Prigogine (1981), potremmo definire una nuovaalleanza fondata sulla negoziazione delle domande di ricerca, degli strumenti di indagine,delle modalità e dei tempi delle indagini stesse e, ancora più, della valorizzazione dei risultatie delle sue ricadute nei contesti di applicazione. La ricerca applicata si è tradizionalmentepreoccupata dello sviluppo di soluzioni pratiche e specifiche in ambito tecnico e tecnolo-gico. La sfida maggiore coinvolge, dunque, le scienze umane, meno coinvolte in collabora-zioni con il mondo delle imprese, nonostante, come sostiene Munari (2011), “molte dellecompetenze e delle conoscenze situate richieste da questo nostro mondo contemporaneosempre più connesso e imprevedibile riguardano le dimensioni psicologiche, antropologichee culturali che permeano ogni attività lavorativa”. L’interesse pedagogico può trovare nellarelazione con le organizzazioni nuove sollecitazioni che possono toccare l’analisi delle pra-tiche professionali, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, i processi di change manage-ment, i processi di passaggio generazionale d’impresa e, più ampiamente, tutti i processi diapprendimento e di formazione che a vario titolo coinvolgono i nuovi learners nei contestiprofessionali.Una terza istanza, strettamente connessa alle due precedenti, è quella della transdisciplina-

rietà, istanza richiamata particolarmente da Gibbons (1994) ma già celebrata dalla sfida dellacomplessità e dalla definizione che Isabelle Stengers ci propone nei termini di “risveglio a unproblema”, di “arricchimento delle relazioni con il mondo” e di “estensione dei confini diciò che può essere considerato oggetto di ricerca e di narrazione” (Bocchi, Ceruti, 1985, p.X). Si tratta di una transdisciplinarietà che si impone fortemente sulle pretese disciplinari del-l’università medievale e che si delinea quale nutrimento principale di una ricerca disponibilea coniugare, sinergicamente, scienze umane e saperi d’impresa (Munari, 2011).Una quarta istanza, anch’essa in stretta connessione con le precedenti, è la produzione

del sapere scientifico in contesto di applicazione. Non una novità, dunque, rispetto alla tra-dizione delle accademie medievali ma di certo un elemento che merita attenzione se situatoentro il contesto universitario e ancor più umanistico, poiché produrre sapere in un contestodi applicazione significa uscire dall’omogeneità che aveva contraddistinto le sedi del saperenel passato universitario. Ciò determina la necessità di confrontarsi con una nuova eteroge-neità: l’eterogeneità delle residenze possibili del sapere scientifico e, così pure, dei suoi prac-titioners. Vengono aggiornate ed ampliate le possibili “sedi” dei saperi che vedono così

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arricchite le loro sorgenti di provenienza e contemporaneamente si modificano i possibili“interlocutori” dei saperi stessi. Lo studente e la comunità scientifica non sono più i soli in-terlocutori di un sapere così rivisitato e composito. Ad essi si affiancano le organizzazionicon i loro operatori.Una simile eterogeneità definisce una quinta ed ultima istanza che possiamo rintracciare

dall’excursus qui elaborato: la riflessività. Una riflessività che si declina in due nuove, differenti,responsabilità del sapere. Da una parte, il “nuovo” sapere scientifico, prodotto in un contestodi pluralità, ha responsabilità sociali di cui prima non era gravato. I molteplici interlocutoricon cui interagisce impongono su di esso esigenze di valutazione e di riflessione ex-ante, initinere ed ex-post, obbligandolo ad una riflessione costante su se stesso, ad un’auto-analisidelle proprie ricadute, sociali innanzitutto ma anche economiche, e della propria accounta-bility. Dall’altra, riprendendo Munari e la sua riflessione sul rapporto tra scienze umane e saperid’impresa, va evidenziato che “nel contesto contemporaneo, caratterizzato da un tessuto estre-mamente complesso di interrelazioni ove qualsiasi evento – economico, sociale, culturale,tecnologico, mondano, ecc. – può essere connesso con qualsiasi altro” è “importante restituiread ogni forma di apprendimento” e di ricerca, aggiungiamo, “la sua dimensione politica”,intesa come “necessaria condivisione di responsabilità” (Munari, 2011, p. 13).Le riflessioni tracciate potrebbero indubbiamente riguardare il dialogo tra università e

impresa e la ricerca in senso lato. A renderle propositi cruciali per l’ambito pedagogico edidattico è la dimensione formativa di cui il contesto accademico e quello organizzativopossono farsi portatori mediante la promozione di partnership progettuali e di ricerche incollaborazione. Il dialogo università-impresa può così farsi dialogo formativo, in grado di pro-muovere l’emergenza di nuove forme di organizzazione del sapere (Munari, 2002), di unsapere epico (Munari, 1993) e composito che si arricchisce grazie alla dimensione partenarialedella ricerca e all’apporto che tutti gli attori, dell’università e dell’organizzazione, possonofornire.

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Studi

El practicum en la formación universitaria

The practicum in higher education

La importancia del PRACTICUM en los di-seños curriculares de las carreras universita-rias se ha ido incrementando en los últimosaños y se ha consolidado definitivamente ennumerosas universidades. Esa creciente rele-vancia, obliga a hacerse algunas preguntas.¿Para qué sirve el Practicum?¿Tiene que vercon el conocimiento del escenario profesio-nal y la transición al empleo o cumple otrosobjetivos más ambiciosos? ¿Qué aprenden losestudiantes durante las prácticas? ¿Qué lesaporta a su formación? Estas son las preguntasa las que trata de responder este artículo. Seresalta la importancia del Practicum en la for-mación integral de los estudiantes universi-tarios y se analiza su naturaleza desde tres ejesde análisis: (a) el Practicum como compo-nente curricular de las carreras universitarias;(b) el Practicum como situación de aprendi-zaje y (c) el Practicum como experienciapersonal.

Palabras clave: Practicum, Enseñanza Uni-versitaria, Diseño curricular en la EducaciónSuperior; Aprendizaje experiencial, Buenasprácticas en la enseñanza universitaria; For-mación en alternancia.

The importance of the Practicum into the curricula ofHigher Education has increased in recent years, be-coming firmly consolidated in most universities. Thisgrowing importance, forces us to introduce some ques-tions. What is the Practicum intended for? Does ithave to do just with knowledge of professional con-text and with the transition to work or it is orientedto meet other more ambitious goals? What do stu-dents learn during external practices? What are theircontributions to the integral formation of students?These are the questions that this article intends toanswer. The author highlights the importance of thePracticum in the comprehensive training of universitystudents and analyzes its nature from three perspec-tives: (a) the practicum as part of university curricu-lum, (b) the practicum as a privileged context forlearning, and (c) the practicum as a personal expe-rience.

Key words: Practicum; Higher Education;Curriculum Design in Higher Education;Experiential Learning; “Good Practices” inHigher Education; Training Through Part-nership.

MIGUEL A. ZABALZA BERAZA

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

El practicum en la formación universitaria

Introducción

De ninguna manera podría decirse que la Universidad resulta invisible en la sociedad actual,más bien al contrario, está sometida a un constante escrutinio que le obliga a ir con pasolento y a la defensiva, tratando de justificar todo lo que hace o propone, perdiendo autono-mía al ritmo de las progresivas decisiones políticas que restringen sus ámbitos de decisión ylimitan sus recursos. Aquella universidad que se refugiaba en los claustros, que se sentía libredel mundanal ruido para poder crear y pensar en libertad se ha convertido en un nuevoagente social, se ha metido de lleno en la batalla científica, cultural, social y política. No solose ha hecho visible sino que ha asumido el riesgo de concitar sobre sí expectativas y ame-nazas, demandas y desafíos. Se espera de ella que se convierta en motor del desarrollo cien-tífico y cultural de la sociedad a la que pertenece; en generadora de cohesión y desarrollosocial a través de las herramientas de la cultura común y la profesionalización de las jóvenesgeneraciones.

Con todo, este escenario que para la universidad europea nació en la Sorbona (1998)1 yse confirmó en Bolonia (1999)2 ha supuesto un importante proceso de reformas e inquie-tudes. Nos hemos mantenido durante la última década navegando entre una constelaciónde directivas y normas portadoras de la exigencia de cambios para diseñar un Espacio Eu-ropeo de Educación Superior, que incluyera en su seno, un espacio europeo de investiga-ción3. El resultado de tantos años de dimes y diretes es variable y depende mucho de quienlo valore. Bolonia ha generado filias y fobias por igual y, probablemente, tanto avances comoretrocesos en el diseño de los programas formativos universitarios. Siendo eso así, de lo queno cabe duda es de que los aires profesionalizadores que la filosofía de Bolonia comportaba(la career education, esto es, la vinculación entre formación y trabajo con el propósito demejorar la empleabilidad) ha supuesto un fuerte impulso en la potenciación de los periodosde prácticas en empresas e instituciones ajenas a la universidad pero que se han vinculado aella bajo diferentes tipos de convenios de colaboración. El PRACTICUM, que la legislación

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1 Declaración conjunta para la armonización del diseño del Sistema de Educación Superior Europeo. Ver enhttp://www.crue.org/export/sites/Crue/procbolonia/documentos/antecedentes/1._Declaracixn_de_la_Sorbona.pdf (consultado el 11 de Junio de 2013).

2 El Espacio Europeo de la Enseñanza Superior. Declaración conjunta de los ministros europeos de educación reunidosen Bolonia el 19 de Junio de 1999. Ver en http://www.crue.org/export/sites/Crue/procbolonia/documen-tos/antecedentes/2._Declaracixn_de_Bolonia.pdf (consultado el 11 de Junio de 2013).

3 Comité para el Espacio Europeo de Investigación (ERAC, 2000). Espacio Europeo de Investigación. Ver enhttp://www.oficinaeuropea.es/politicas-ue-de-i-d-i/espacio-europeo-de-investigacion

española define como “conjuntos integrados de prácticas a realizar en centros universitarios o vincu-lados a la universidad por convenios o conciertos que pongan a los estudiantes en contacto con los pro-blemas de la práctica profesional”4, es hoy mucho más fuerte de lo que lo era en los años 90 ycomo toda iniciativa educativa que crece rápidamente precisa de momentos de reflexión yde fijación de su sentido curricular para evitar que se convierta en una pieza suelta del sis-tema formativo y deje de cumplir la función que tiene encomendada.

1. El practicum en la Universidad

Cuando hablamos de PRACTICUM estamos integrando en esa categoría todo un conjuntode actuaciones curriculares con contenidos y sentidos diferentes y a las que se ha dado, tam-bién, diversos nombres. Se trata de periodos de formación que, aunque integrados en susplanes de estudios, los estudiantes realizan fuera de la institución académica. Aunque yaexistían en muchas carreras, por ejemplo en la formación de profesores (Michelini, 2003) oen ciencias de la salud (Dunn y Barnard, 1992), ha sido en los últimos años cuando se haido consolidando esta modalidad formativa que complementa los estudios académicos conlas prácticas en centros de trabajo. Siguiendo la estela de las carreras que ya contaban conprácticas externas consolidadas, poco a poco se han incorporado a ese modelo otras muchascarreras en las que las prácticas constituían solo un complemento opcional y limitado quese ofrecía a unos pocos estudiantes. Cerrado ya el proceso de Bolonia podría decirse que,al menos en el contexto español, todas las carreras cuentan con periodos de Practicum. Ycomo suele acontecer en este tipo de procesos, la fase de atención a los aspectos adminis-trativos y organizacionales (que han requerido mucha atención por ser muy diferentes a losaplicados a los otros momentos más académicos e indoor de la formación) ha dado paso aconsideraciones que nos llevan a temas de calidad. No basta con contar con prácticas exter-nas, es necesario que esas prácticas sean de calidad y cumplan los objetivos formativos quese les atribuyen.

Tres consideraciones justifican, por tanto, este trabajo:1. El Practicum existe y, de hecho, se ha generalizado a la mayor parte de las carreras uni-

versitarias. Los estudiantes pasan parte de su tiempo en empresas e instituciones dondeconocen in situ el trabajo de los profesionales de su ramo y participan, en la medida enque se lo permiten, en las actividades que allí se desarrollan.

2. En algunas carreras la relevancia curricular de ese periodo de prácticas externas es muyalta, llegando a constituir en torno al 30% del periodo formativo. Exige, por tanto, unafuerte atención a sus características y ha de ser planificado de forma tal que resulte untiempo valioso y eficaz en la formación de los estudiantes. Ello exige un notable empeñoa gestores y docentes universitarios.

3. En este contexto, la cuestión de la calidad y de las “buenas prácticas en el PRATICUM”se convierte en una consideración ineludible (Shulman, 1986; Zabalza, 2012). Curiosamente, el amplio debate que existe en la actualidad sobre la enseñanza universi-

taria y la amplísima bibliografía que se ha ido generando durante todos estos años al respecto,apenas si le prestan atención al Practicum que se ha convertido en el missing point de los tra-

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Miguel A. Zabalza Beraza

4 BOE del 12-Enero-1993.

bajos sobre la nueva universidad que pretendemos consolidar. En nuestra opinión se tratade un olvido que precisamos subsanar. Sobre todo, porque estamos convencidos del granimpacto formativo que el Practicum está llamado a ejercer sobre la formación de nuestrosestudiantes. Pero para que esa expectativa se cumpla es necesario que contemos con prácticasexternas de calidad (Zeichner, 1986, 1990). Ryan, Toohey y Hughes (1996) hicieron unarevisión de trabajos en lengua inglesa que demuestra la preocupación internacional por eltema. Y en el contexto español e iberoamericano, nuestro equipo de investigación ha idotrabajando en ello desde 1985 manteniendo un Congreso Internacional bianual sobre estatemática (los Simposios de Poio5).

Esta relevancia del periodo de prácticas se justifica por muchas razones. Razones vincu-ladas al desarrollo institucional en unos casos (buena parte de las universidades están intere-sadas en vincular sus planes estratégicos a mejoras en la formación de los estudiantes y ellopasa por ofrecer buenas prácticas a los estudiantes), razones coyunturales en otros (el EEESha ido priorizando una mayor orientación profesionalizante de las carreras y ha incorporadoa la agenda de las preocupaciones universitarias la problemática del empleo de sus estudian-tes) e, incluso, planteamientos didácticos de última generación (la idea de que una adecuadaformación requiere de una correcta conjunción entre aprendizajes en contextos académicosy aprendizajes en contextos reales que permitan vincular lo conceptual e informativo conlo práctico y situacional, enfoque más en línea con la propuesta de la formación basada encompetencias, Baldacci, 2003).

Estamos, por tanto, ante una profunda innovación curricular que supone importantesmodificaciones en la forma de pensar la universidad y la formación que los estudiantes re-ciben en ella:a) Se renuncia al sentido excluyente de la universidad como contexto formativo que actúan

cerrado sobre sí mismo y sobre su propia lógica formativa. Nuevos agentes formativosentran a formar parte del plan de formación: tanto la institución académica como el pro-fesorado están llamados a compartir la función formativa con otras instituciones y otrosprofesionales.

b) Se enriquecen los escenarios de formación y sus contenidos. Los estudiantes se formana través de las disciplinas académicas y las coreografías didácticas propias de la universidadpero también a través de la participación en actividades de tipo profesional supervisadaspor profesionales en ejercicio.

c) Se diversifica el estatus de los estudiantes y los compromisos que asumen. Durante susperiodos de prácticas desarrollarán tareas y asumirán responsabilidades diferentes a lasacadémicas al tener que responder a las demandas que les plantean tanto los empleadoresque los integran en sus organizaciones como los sujetos con los que entran en relacióncomo estudiantes en prácticas.

d) Se amplia y enriquece el contexto de aprendizaje. Ya no se trata solo de aprender a travésde las explicaciones del profesor, de los libros o las actividades de laboratorio programadasen sede académica. El espectro de las experiencias de aprendizaje se amplía a los contextosreales de trabajo. Y en ese doble juego de referentes teóricos y prácticos se facilita la com-prensión y el dominio de los contenidos a aprender.

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5 Puede encontrarse una amplia información en http://redaberta.usc.es/poio

Entramos con ello en el ámbito más estricto de la formación y, en sentido más profundo,en el ámbito de la calidad de la formación. El Practicum constituye no una mera aproxima-ción a los contextos profesionales para que los estudiantes se sientan más motivados por lacarrera que estudian, sino una nueva manera de afrontar su formación diversificando los es-cenarios y agentes formativos y enriqueciendo los significados de las cosas que van apren-diendo. El buen Practicum permite a los estudiantes tomar contacto con la realidad para laque se preparan como futuros profesionales pero ha de posibilitar, a su vez, que esa expe-riencia sea rica formativamente y cumpla sus objetivos de cara al aprendizaje. Este objetivoresulta ambicioso y exige un gran control de la calidad de la oferta formativa que se hace alos estudiantes.

De hecho, se producen frecuentes contradicciones en la lógica bajo la que se organizanlas prácticas externas en algunas Facultades: como son muchos los estudiantes que han derealizar el Practicum, se les envía a centros de prácticas poco solventes y sin una infraestruc-tura suficiente de formación (bien porque no se garantiza que alguien vaya a tutorizar efec-tivamente el trabajo de nuestros estudiantes, bien porque ni siquiera nos consta que el trabajoque vayan a realizar esté directamente relacionado con el objetivo formativo de la estancia).La justificación suele tener que ver con la dificultad mencionada: “bueno, ya sabemos que noes el mejor lugar para aprender, pero por lo menos podrán enfrentarse a situaciones reales. Y, en todocaso, mejor eso que nada…”. El hecho de que la mayor parte de los estudiantes suelan regresarde las prácticas satisfechos tampoco ayuda mucho a fijar niveles de exigencia más estrictos.La necesidad de colocar en centros de prácticas a un gran número de estudiantes, tampocopermite poner el listón de las condiciones muy elevado. Sobre todo cuando las contrapres-taciones que dichos centros reciben de la universidad son nulas. Afortunadamente, inclusoen esas condiciones no favorables, las cosas van variando y desde hace ya algún tiempo laspersonas que coordinan el Practicum vigilan con especial esmero que éstas se realicen enbuenas condiciones.

Lo cual, no siempre resulta sencillo porque el Practicum posee características diferencialesbastante notables en relación al resto de los componentes del proceso formativo universitario.Como pieza novedosa en la estructura curricular de las titulaciones no siempre ha acabadopor integrarse adecuadamente en la malla curricular. En ocasiones, todavía figura como uncomponente excesivamente aislado y desconectado del resto de los componentes formativos(las clases, los seminarios, las prácticas de laboratorio, los exámenes, etc.). En algunos casos,ni siquiera ha adquirido carta de identidad curricular y aparece como algo opcional al quesolo unos pocos estudiantes pueden acceder. Tampoco es infrecuente que sus propósitos sealejen del sentido formativo de las carreras y tengan más una función socializadora (acos-tumbrarse a trabajar en una empresa o institución) y de facilitación de empleo (mejorar lasposibilidades de ser contratado en aquellas empresas en las que se hacen las prácticas). Esjustamente en este marco de condiciones institucionales y curriculares donde debemos situarel tema de la formación: para qué sirve el Practicum, qué se supone que ha de aportar anuestros estudiantes.

2. Formarse durante las prácticas

Si alguna justificación puede tener el Practicum, es que se trata de un momento curricularque complementa y enriquece la formación académica que se recibe en las aulas. Esta ideade la complementación integra dos importantes consideraciones: (a) que posee unos obje-

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tivos y contenidos formativos diferentes a aquellos que se abordan a través de las disciplinas;(b) se trata de unos objetivos y contenidos formativos vinculados a los de las disciplinas deforma tal que unos y otros configuran el proyecto formativo completo que desarrolla en esacarrera o Facultad. Es decir, son distintos pero no están desconectados. Más bien, al contrario,la relación entre ellos debe ser intensa y bidireccional.

Esta primera condición nos permite diferenciar entre prácticas externas curriculares yotras que no lo son. Solamente de las curriculares podremos decir que constituyen el Prac-ticum pues sólo ellas están plenamente integradas en el proyecto formativo de nuestros es-tudiantes. Otras prácticas ubicadas al final de la carrera, opcionales, organizadas al margende lo que es el Plan de Estudios de nuestros estudiantes no dejan de ser momentos impor-tantes en su desarrollo y en el proceso de transición entre la universidad y el puesto de tra-bajo, pero es más difícil situarlas en el marco del proyecto formativo común que una Facultadha establecido para sus estudiantes.

En consecuencia, entendemos por Practicum los momentos formativos que nuestros es-tudiantes desarrollan fuera de la institución académica pero que están plenamente integradosen el Plan de Estudios, esto es, en el proyecto formativo diseñado por la institución. El Prac-ticum debe poseer su propio espacio en ese proyecto y cumplir con la función que en él sele atribuya. Tres consideraciones podemos extraer de los párrafos anteriores:– El Practicum constituye una parte importante del curso universitario y requiere procesos

de planificación y seguimiento específicos, al igual que el resto de los componentes cu-rriculares.

– Siendo que se trata de algo muy diferente a las materias convencionales, requiere de ac-tuaciones curriculares (selección, planificación, desarrollo, seguimiento, evaluación, acre-ditación) también diferenciadas. El hecho de que en estos periodos de prácticas van aintervenir instituciones y agentes formativos distintos a los académicos complica el pro-ceso y obliga a procesos de planificación y seguimiento más cuidadosos si cabe.

– Aunque ciertas experiencias de prácticas externas han sido planificadas como algo almargen de las carreras, su sentido como Practicum altera ese estatus independiente y lasvincula al conjunto de las disciplinas y experiencias formativas que los estudiantes hande desarrollar durante su carrera. No actúan como experiencias independientes sinocomo acciones complementarias del resto de actuaciones formativas, cuyos objetivos de-ben compartir, cuyos contenidos deben ayudar a comprender mejor, cuyas competenciasdeben consolidar en contextos diferentes a los académicos. En realidad, el Practicum re-sulta un recurso curricular cuya principal aportación reside en generar un contexto ex-periencial enriquecido que permite una mayor integración entre teoría y práctica, entrelos aprendizajes disciplinares y la aplicación del conocimiento en espacios profesionalesreales. Como ha señalado Levy-Leboyer (1997), “las experiencias obtenidas de la acción, laasunción de responsabilidades reales y el enfrentamiento a problemas concretos aportan competenciasque la mejor enseñanza jamás será capaz de proporcionar”(p.27).Desde esta perspectiva curricular, los mismos propósitos formativos (en términos de ob-

jetivos, aprendizajes y competencias) que se atribuyen a las diversas disciplinas del currículohabrán de proyectarse, adaptadas, a las diferentes situaciones en que la los estudiantes realizansu Practicum. Tomando en consideración todo lo hasta aquí señalado, el análisis del com-promiso formativo del Practicum (las exigencias que plantea un buen Practicum, capaz decumplir la función formativa que se le encomienda) nos plantea la necesidad de abordarlodesde una triple perspectiva: (a) como componente curricular; (b) como momento de apren-dizajes; (c) como oportunidad de desarrollo personal.

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3. El practicum como componente curricular

Considerar las prácticas externas como parte del currículo formativo de las diversas Facul-tades o Escuelas Técnicas requiere analizar en qué medida se cumplen las siguientes condi-ciones:a) Contar con un contexto de convenios y acuerdos con empresas e instituciones relevantes

donde los estudiantes puedan desarrollar unas prácticas eficaces. Esos convenios deberíanestablecer con claridad los compromisos que cada institución asume.

b) Una buena integración en el proyecto global de la titulación.c) Una buena estructura interna como documento curricular.d) Recursos materiales y personales puestos a disposición del desarrollo del plan de prácticas.

No podremos desarrollar buenas prácticas si no contamos con centros de prácticas capacesde responder a los propósitos formativos que se les plantean (por ejemplo, si en ellos no serealizan tareas pertinentes a la carrera de nuestros estudiantes, si no poseen la tecnología re-querida, si la institución no tiene experiencia en tareas formativas, si no buscan la formaciónde nuestros estudiantes sino su aprovechamiento como mano de obra barata). Por ese motivoes tan importante que los acuerdos interinstitucionales dejen claros los compromisos quelas instituciones participantes asumen y las contraprestaciones que entre universidad y centrosde prácticas se establecen (De Gregorio, 2003).

Tampoco lograremos desarrollar un buen Practicum si el proyecto que lo desarrolla nocumple con las características propias de toda planificación didáctica: una buena contextuali-zación; una explicitación de los propósitos formativos que incluyan el conjunto de aprendizajesy competencias que le corresponde desarrollar; los conocimientos conceptuales y operativosque se espera obtener durante las prácticas; las actividades o experiencias que se desarrollarándurante el periodo de prácticas; los sistemas de supervisión que acompañarán las prácticas; laforma en que serán evaluados los resultados de aprendizaje y el propio programa de prácticas.

Con frecuencia, el periodo de prácticas se desgaja en exceso del conjunto de las disciplinasy otras acciones formativas que incluye una carrera universitaria. La tendencia a la atomiza-ción de las acciones formativas y a la segmentación de las mismas como unidades indepen-dientes (los modelos curriculares por yuxtaposición donde cada disciplina o unidad curricularsigue un proceso separado y sin apenas relaciones entre ellas) afecta gravemente a la articu-lación curricular y a la necesaria complementación en-tre las unidades curriculares. La conocida escalera deHarden (2000) marca los 11 peldaños que separan unaestructura de unidades curriculares separadas (isolation)de un planteamiento transdisciplinar o modular. UnPracticum funcionando aisladamente (como una disci-plina desligada del resto y con un profesorado distinto)tiene pocas posibilidades de cumplir con su función deintegración entre teoría académica y práctica profesio-nal. Por el contrario, desarrolla bien su función cuandose inserta en los diferentes clusters de materias que for-man parte de una titulación organizada como un pro-yecto formativo bien integrado. En ese sentido loscurrículos modulares o los organizados por competen-cias (los situados en la parte alta de la escala de Harden)

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son aquellos en los que el Practicum encuentra mejor acomodo y ofrece resultados forma-tivos más interesantes.

Ni qué decir tiene que el Practicum constituye un componente curricular que requierede recursos apropiados. Dado que se trata de una acción formativa out-door y claramente di-ferenciada de las clases y sesiones de laboratorio que se realizan en sede universitaria, el pro-fesorado que se dedique a tutorizar el Practicum (mejor combinado con la impartición deotras materias para evitar el aislamiento curricular al que nos hemos referido) debe teneralguna experiencia en las tareas profesionales de la carrera y conocimiento de la dinámicade trabajo en los contextos profesionales a los que acuden los estudiantes en prácticas. Otrosrecursos materiales e informáticos serán necesarios para facilitar la movilidad de nuestrosestudiantes, para gestionar el proceso y tener un seguimiento constante de la situación delos estudiantes e, incluso, para poder contar con algún tipo de contraprestaciones a los pro-fesionales que se van a encargar de atender y completar la formación de los alumnos. Resultadifícil ser exigente con las prácticas si éstas están pobremente dotadas, si se les hace dependerexclusivamente de la buena voluntad y la disponibilidad solidaria de las personas que losacogen.

En definitiva, la dimensión curricular del Practicum debe garantizar que la propuesta deprácticas externas que hagamos a nuestros estudiantes esté bien integrada en el proyectoformativo que les ofrece la Facultad en la que se forman. No se trata de enviarlos fuera dela universidad para que se involucren en las actividades que vayan surgiendo, sino de hacerlocon un plan de formación bien diseñado y que esté en consonancia con las diversas fases desu avance en la carrera universitaria que cursan.

4. El practicum como situación de aprendizaje

Aunque, en algunos casos, se intenta justificar el tirocinio por su importancia como transiciónal empleo, no es ése su auténtico sentido se si analiza bajo la perspectiva del Practicum. Elobjetivo de las prácticas es completar los aprendizajes y la formación que se obtiene en launiversidad. Lo importante no es tener un programa vistoso o una oferta de posibilidadesamplia y variada. Al final, lo que importa es lo que los estudiantes aprenden durante ese pro-ceso. Eso es lo que va a legitimar la aparición del Practicum en nuestras titulaciones y loque constituirá el criterio clave para su valoración como buena práctica: que los alumnos yalumnas que lo realicen obtengan aprendizajes relevantes para su formación. Y eso depende,entre otras cosas, de varios aspectos que podríamos considerar en este apartado:a) La organización interna del proceso de prácticas que se ofrezca a los estudiantes.b) El tipo de actividades y/o de compromisos que se les soliciten o encomienden.c) El tipo de supervisión que se establezca.d) El vigor y profundidad de la experiencia en relación al contexto profesional en el que

desarrollen su Practicum.e) El propio diseño de la coreografía de aprendizaje que se haya planteado.

Se dice que todo aprendizaje se produce como un proceso, esto es, algo que sucede enel tiempo, que posee una duración y que está constituido por un conjunto de fases secuen-ciadas que conducen, o eso pretenden, al resultado formativo que se desea alcanzar. Esa na-turaleza procesual de los aprendizajes es la que nos lleva a reclamar una estructura de fasesprogresivas en el diseño del Practicum. Resulta fácil entender que todo Practicum precisa

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de una fase de preparación (normalmente en el propio centro universitario), una fase de des-arrollo y una fase posterior de revisión de lo realizado. Cada una de dichas fases, y sobre todola fase de desarrollo del Practicum, requiere, a su vez, estar organizada internamente aco-giendo otras subfases que mejoren su funcionalidad dentro del plan de prácticas.

Muradas y Porta (2007) insisten en la importancia de una fase de preparación que orienteel trabajo a realizar por los estudiantes a través de las consignas que les transmiten los super-visores sobre las tareas a realizar durante el periodo de prácticas y la forma de llevarlas acabo. Su investigación comprobó cómo, por ejemplo, el nivel de reflexión de los estudiantessobre las prácticas realizadas correlacionaba de manera directa con el desarrollo de esa faseinicial de preparación. En la fase de desarrollo se ha constatado el fuerte impacto que sobreel desarrollo del Practicum poseen tanto los modelos de supervisión habilitados (las visitas a loscentros por parte de los supervisores académicos, las tutorías virtuales, los encuentros inter-medios para revisar el desarrollo del proceso, etc.) como el hecho de establecer una secuenciade fases que lleven a los estudiantes y a los centros de prácticas a organizar las tareas a realizarproponiéndose objetivos intermedios y rotando por diversos departamentos de la institucióndonde se realizan las prácticas. Con respecto a la fase final, resultan elementos básicos delPracticum la naturaleza y contenidos de los productos finales que se soliciten a los alumnosen prácticas: los diarios, las memorias, los productos multimedia, los portafolios, etc. Cadauno de ellos posee virtualidades formativas diversas y propicia diversos modos de aprendizajey evaluación.

Un segundo aspecto importante en este apartado tiene que ver con el tipo de experien-cias y/o actividades que se soliciten a los estudiantes en prácticas. Con frecuencia, suelendepender más de la coyuntura institucional que de lo previsto en el propio plan de prácticas.La presión de lo cotidiano es inevitable y, a veces, el estudiante en prácticas se ve involucradoen las tareas que van surgiendo tengan o no que ver con los propósitos de aprendizaje desus prácticas. Este hecho no tiene por qué ser perjudicial, siempre que comporte una in-mersión realista y global del estudiante en la vida de la institución. Pero actúa en detrimentode su formación si, por tener que ir apagando los fuegos que van surgiendo en el centro deprácticas, se le impide aprender cosas nuevas de una forma organizada y bajo la supervisiónde su tutor o si tal implicación lo lleva a la realización de tareas marginales o ajenas a superfil profesional (si lo que le mandan hacer son cosas irrelevantes o superficiales desde elpunto de vista de la profesión para la que se prepara; la excusa habitual de que aquí “todostenemos que hacer de todo” vale como justificación ocasional pero no puede convertirseen una regla permanente). También resulta importante que el Practicum, en sus sucesivosperiodos, vaya permitiendo a los estudiantes hacer un recorrido representativo por las diversassecciones o modalidades de trabajo que se lleven a cabo en la empresa o institución en laque realiza sus prácticas. Quienes organicen el Practicum deben estar muy atentos a esta di-versificación. Algunas empresas e instituciones (las escuelas, por ejemplo), siguen un ritmoestacional con acciones o prioridades diversas en distintos momentos del año, otras llevan acabo actuaciones especializadas en sus diversos sectores o departamentos. En resumen, aque-llas prácticas en las que los alumnos van progresando en su nivel de responsabilidad, en lasque poco a poco van asumiendo compromisos relevantes para el funcionamiento de la or-ganización en la que se integran, son las más interesantes y las que acaban teniendo mayoreficacia formativa en los estudiantes.

En tercer lugar, un elemento esencial del Practicum es la supervisión. Dada la complejidadde un proceso formativo que se desarrolla fuera de la institución universitaria, que coimplicaa diversas instituciones y personas, que se desarrolla en diversas fases y con objetivos nor-

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malmente complejos, la tarea de supervisión se hace aún más importante, si cabe. Por ello,supevisar el Practicum es una tarea compleja que requiere de competencias específicas (Ron-dini, 2003). Sin una adecuada supervisión, la experiencia del Practicum corre el serio riesgode quedarse en un conjunto de momentos extra-académicos, normalmente gratificantes,pero con escasas aportaciones a la formación de nuestros estudiantes. Por eso es tan impor-tante la supervisión: a través de ella se alinean los propósitos formativos del Practicum, sereajustas cuando se producen desviaciones, se potencia la sinergia entre los diversos impli-cados (especialmente entre tutores y alumnos en prácticas) y se orienta a cada estudiante enparticular sobre cómo está afrontando y viviendo la experiencia.

El siguiente aspecto a considerar es la calidad de las experiencias que ha proporcionadoel Practicum a nuestros estudiantes. Dos cuestiones son especialmente relevantes en estepunto: si las experiencias vividas son relevantes para la profesión y si el contexto en el quese han vivido ha permitido a nuestros estudiantes aprender realmente cosas novedosas paraellos (y previsiblemente para su profesión). Vivir y experimentar algo relacionado con laprofesión (aunque no sea novedoso) resulta importante para todo estudiante. Pero si a esose añade la posibilidad de aprender cosas nuevas, ésa es una plusvalía importante para el Prac-ticum. Algunos centros de prácticas son interesantes y acogedores para nuestros estudiantes(les ofrecen la oportunidad de experimentar actividades prácticas vinculadas con la profesión)pero no son empresas o instituciones con un gran nivel de innovación (por el tipo de tec-nología que emplean, por el tipo de actividades que desarrollan, por el tipo de personal quetrabaja en ellas). Nuestros alumnos harán un buen Practicum de aproximación a la profesiónpero no es fácil que aprendan cosas nuevas o que tengan que enfrentarse a sistemas produc-tivos o tecnológicos punteros. En el otro polo tenemos las empresas con sistemas productivosmás innovadores, con profesionales de más nivel, con tecnologías de última generación. Esposible que la flexibilidad y apertura de estas empresas para acoger alumnos sea más escasa,que se corra en ellas el riesgo de que nuestros estudiantes acaben haciendo actividades mar-ginales, etc. Pero pese a todo, conviene ser ambiciosos y perseguir modelos de Practicumque incorporen aprendizajes innovadores y de alto nivel.

Finalmente, si entendemos el Practicum como momento y situación de aprendizaje, im-portará mucho tomar en consideración de qué manera se ha organizado ese proceso, bajoqué enfoque de aprendizaje y priorizando qué tipo de dimensiones o propósitos formativos(Lodini, 2003; Zabalza, 2013).

El tipo de aprendizaje que se genera a través del Practicum es, ante todo, un “aprendizajeexperiencial” (Kolb, 1984), esto es, un aprendizaje que se alcanza a través de la experienciapráctica y personal del aprendiz. Y, en tal sentido, posee su propia coreografía (Zabalza, 2005).Siguiendo a Oser y Baeriswyl (2001) este tipo de aprendizajes posee una coreografía com-pleja destinada a establecer una red de conexiones entre lo que los sujetos van haciendo enel centro de prácticas con lo que han aprendido en las aulas y con lo que se describe en labibliografía científica. La secuencia de fases que constituye un proceso de aprendizaje ex-periencial es la siguiente:1. Anticipación del plan de acción a desarrollar (momento en el que se establece lo que se piensa

hacer, manipular, construir, resolver, etc.) y de los problemas previsibles. Es la fase de prepa-ración del Practicum que requiere dos tipos de intervenciones. La primera es remota yse refiere a la necesidad de convenir con los centros de prácticas el diseño básico de loque los estudiantes harán durante las prácticas. La segunda es próxima y tiene que vercon el momento en que se presenta el Plan de Prácticas a los estudiantes y se consensuancon ellos los aspectos que requieran acuerdo mutuo.

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2. Realización de las actividades previstas en los correspondientes contextos de prácticas.3. Construcción del significado de la acción llevada a cabo a través de un intercambio comunicativo

(contar lo que se ha hecho, cómo y por qué). Este es el momento en el que los estudiantesreconstruyen su experiencia a través de narrativas (verbales o escritas) que les permitendotar de sentido y de significado a las cosas que han hecho durante las prácticas.

4. Generalización de la experiencia a través de la identificación de los elementos comunes a las ex-periencias de los diversos sujetos. Es un momento de aprendizaje coral que permite aprenderno sólo de la propia experiencia (necesariamente limitada) sino, también, de la experienciaque han vivido los demás durante el Practicum. La anécdota puede convertirse en categoríasi se van uniendo las experiencias de los diversos estudiantes. Eso permitirá a cada uno deellos hacerse una idea más global de lo que el Practicum aporta en sus estudios.

5. Reflexión sobre experiencias similares existentes en la bibliografía, en los libros de texto, enbases de datos, en Internet, en los temas trabajados en clase, etc. Éste es un salto de granmagnitud. Con frecuencia, los estudiantes tienden a contraponer lo que han vivido ensus prácticas con lo que han estudiado. Lo que se está buscando es no solo evitar esa con-traposición, esa ruptura entre teoría y práctica, sino avanzar en la dirección contraria, quese acostumbren a acudir a la teoría para ir resolviendo los problemas que plantea la prác-tica. Leer sobre aspectos que han aparecido en el Practicum resulta muy importante.

Y junto a los aprendizajes vinculados a la profesión, el Practicum ofrece un contextorico de oportunidades para avanzar en las competencias genéricas de la formación: la refle-xión, el saber observar, el adaptarse a una situación nueva, la capacidad para planificar y llevara cabo un proyecto, el conocimiento in situ de la profesión y de las formas habituales de serdesempeñada, etc.

5. El practicum como experiencia personal

Las particulares características del periodo de prácticas hacen que posea una dimensión per-sonal que desborda ampliamente los objetivos de aprendizaje que se le hayan atribuido. Encualquier caso, el que tenga lugar esta experiencia personal y que el estudiante aprenda autilizarla en beneficio de su formación global es, también, uno de los objetivos fundamentalesdel Practicum. Va de seu que cada sujeto va a vivir el Practicum de una manera particular.Manera que, en parte, dependerá de la propia naturaleza del periodo de prácticas (dóndevaya, qué tenga que hacer, cuánto rompa con sus rutinas habituales, qué esfuerzo le exija,etc.) y, en parte, del talante con que cada estudiante afronte y se involucre en la experiencia.Desde esta perspectiva de lo personal, el practicum es, ante todo, un encuentro. Un encuentroconsigo mismo, un encuentro con profesionales reales, con los responsables de las organiza-ciones en las que se integran, con el trabajo que se les encomienda (que casi siempre requiereque pongan en marcha recursos personales de diverso tipo), con los clientes-pacientes-per-sonas que atienden, etc. (Zabalza, 2013). Al final, el Practicum tiene mucho de personal. Yahabía recordado Gardiner (1989) esa múltiple estructura formativa del Practicum señalandoque las experiencias de formación deben impactar tanto en lo que él denominaba aprendi-zajes públicos (es decir, aprendizajes pertenecientes al currículo formal) como en los aprendi-zajes personales (esto es, aquel tipo de mejoras que tienen que ver con el propio desarrollopersonal de los estudiantes). Partiendo de esa idea, identificaba tres niveles en la formaciónde los futuros profesionales:

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1. El primer nivel se centra en lo que se ha de aprender, los contenidos (que a veces se con-vierten en resultados o metas concretas que se han de alcanzar y que aparecen como re-quisitos para graduarse).

2. El segundo nivel se refiere al desarrollo personal y a la forma en que cada estudiante cons-truye los significados de lo vivido en el periodo de prácticas a partir de su propia expe-riencia personal.

3. El tercer nivel se refiere al meta-aprendizaje: a cómo cada uno/a llega a identificar y hacerseconsciente de su propio estilo de aprendizaje.

Aunque toda la experiencia universitaria podría leerse desde esta triple perspectiva, esprobablemente el Practicum, más que el resto de los componentes de la titulación, el mo-mento formativo que mejor puede alinearse con la consecución de los niveles 2 y 3 de estaclasificación de Gardiner. Las particulares condiciones en que se desarrolla (fuera de la ins-titución académica y de su cultura), las dimensiones de los sujetos que se ven envueltos enla acción (no sólo su inteligencia sino también sus emociones, sus actitudes, su capacidad decompromiso, etc.), las diversas actividades a desarrollar (algunas de gran novedad para los es-tudiantes, otras de notable complejidad, otras que implican el trabajar coordinadamente conotras personas, etc.) hacen del Practicum un momento muy especial de la formación uni-versitaria. De ahí su importancia en la formación personal de nuestros estudiantes.

Entre los aspectos que convendría analizar en este apartado están los siguientes:a) La dimensión axiológica y/o social de las prácticas.b) El encuentro consigo mismo.c) El componente emocional de las actividades del Practicum.d) La forma de asumir los niveles de compromiso establecidos.

En primer lugar, cada vez son más, y más interesantes, las experiencias de prácticas ex-ternas que han tomado en consideración el componente axiológico y solidario de estemomento formativo. Algunas instituciones y coordinadores de prácticas insisten en la im-portancia de este periodo formativo para desarrollar y poner en práctica valores y actitudesque se mencionan en las competencias a adquirir en la carrera pero que nuestros estu-diantes pocas veces tienen posibilidades de ejercer en los contextos académicos (con todolo que ello supone de estructura, supervisión, colaboración interinstitucional, etc.): el res-peto a la diversidad, la multiculturalidad, el apoyo a los más necesitados, la implicación enproyectos de mejora social, el bilingüismo efectivo, etc. Una pedagogía universitaria quequiere ir un poco más allá de los meros aprendizajes técnicos. Los modelos curricularesactuales ya suelen incluir este componente en diversos momentos de la formación (en losintercambios, en la realización de proyectos, en la oferta de materias optativas, etc.). Pero,sin duda ninguna, es el Practicum el momento privilegiado para propiciar esta dimensiónformativa. Así van surgiendo las “prácticas solidarias”, las que se llevan a cabo a través deONGs o de instituciones directamente vinculadas con el desarrollo social, etc. En estoscasos, los aprendizajes más puramente académicos se complementan con oportunidadesde experimentar el vivir y comprometerse en la ayuda a personas o grupos con necesidadesespecíficas. Especial mención merecen, en este sentido, las numerosas experiencias de Prac-ticum que se vienen haciendo en los últimos años en torno al “aprendizaje servicio” (Puigy otros, 2007, Martínez, 2010).

Por otra parte, el Practicum es un momento privilegiado para que los estudiantes puedanchequearse a sí mismos y conocer de primera mano sus puntos fuertes y débiles tanto en lo

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personal como en la forma de aprender (Moliterni, De Stasio y Carboni, 2011). Es una ex-periencia que suele estar cargada de elementos emocionales y, también, metacognitivos. Estees otro de los aspectos de las prácticas que las diferencia muy claramente de las actividadesacadémicas convencionales (las clases, los seminarios, el trabajo en los laboratorios, etc.). ElPracticum exige del estudiante que ponga en marcha todos sus recursos, tanto lo que sabecomo lo que es. La máscara y el personaje que puede mantener durante las actividades aca-démicas, desaparece cuando ha de enfrentarse a una situación de trabajo real en compañíade otros profesionales de los que pretende aprender. El Practicum le requiere otro tipo decompetencias bien diversas de aquellas que ha de utilizar en las clases. Obviamente, esta con-dición es más atribuible a unos tipos de prácticas que a otros. Los estudiantes que duranteel Practicum han de verse con niños, con enfermos, con clientes de diverso tipo, con sujetosdiversos a los que han de atender, etc. tendrán una especial oportunidad para revisar sus ca-racterísticas personales en relación con ese tipo de actuaciones profesionales. La ConferenciaNacional Permanente de Decanos de las Facultades de Ciencias de la Formación de Italiaconfeccionó en 1997 la Carta Nazionale Sul Tirocinio donde se destaca este especial objetivodel Practicum En ella se dice lo siguiente:

“Dal punto di vista pre-profesionale, è ugualmente irrenunciabile, come per tutte le altre professioniche prevedono degli interventi sull’uomo (a partire naturalmente dalla medicina), prevedere delleopportunità e delle occasioni programmaticamente definite attraverso le quali lo studente- futuroprofessionista- possa: - prendere conttato con la realtà lavorativa che lo attende; -vedere dal vivoil dispiegarsi dell’azione pedagogica nei vari setting educativi; -mettersi pesonalmente alla prova,sia pure temporáneamente e con tutti i supporti necessari; -verificare, nei limiti del possibile, lacongruità della sua scelta professionale”

Finalmente, y dentro de la misma línea de consideraciones, podemos señalar la impor-tancia del Practicum para ir propiciando la asunción de compromisos personales, unos re-lacionados directamente con la profesión para la que se forman, otros vinculados aactividades genéricas de la institución en la que se realizan las prácticas. Se trata de unacualidad importante de las buenas prácticas en el Practicum: la posibilidad de que los es-tudiantes que lo realicen puedan-deban asumir responsabilidades (siempre relativas y su-pervisadas, obviamente, pues se encuentran en periodo de formación). Esos compromisosy responsabilidades irán en aumento a medida que los sujetos van aproximándose al finalde su formación. Pero es una de las características más importantes de un buen Practicumy la que tanto estudiantes como empleadores (o gestores del Practicum) suelen valorarmás: la capacidad de comprometerse y asumir responsabilidades por parte de nuestros es-tudiantes. En ese sentido, hay prácticas que son frías y burocráticas porque en ellas los es-tudiantes tienen escasas oportunidades de compromiso y responsabilización. Y las hay másintensas y exigentes donde, a veces desde el primer día, cada estudiante se ve enfrentadoa su propia responsabilidad y ha de poner en marcha todos sus recursos para afrontar lastareas que se le han encomendado y que dependerán de él. Aunque a veces les cuesta asu-mir este tipo de responsabilidades, luego vienen encantados de sus prácticas y es, justa-mente, una de las cosas que más valoran de ellas.

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En conclusión

Ir de prácticas no es solamente dejar por unos días las tareas académicas para irse de visita auna empresa o una institución relacionada con la futura profesión. El Practicum constituyeuna parte sustancial de la formación y juega un papel muy importante en la misma. Siempre,claro está, que sea un Practicum de calidad. Su capacidad de impacto formativo en los estu-diantes va a depender de que el contexto en el que se realice el Practicum ofrezca buenasoportunidades de aprendizaje y de que su propia estructura interna como proceso formativoresulte adecuada. Por tanto, como pieza curricular, el Practicum debe poseer la condiciónde coherencia (que sus propósitos y el tipo de acciones que incluya estén bien alineadas conel proyecto formativo que la carrera plantea), centralidad (que tales propósitos y acciones re-sulten importantes para la profesión) y complementariedad (que el periodo de prácticas cons-tituya un todo integrado con el conjunto de actividades de la carrera, de forma que serefuercen mutuamente).

Pese a su novedad en la estructura ordinaria de los estudios universitarios, es justo reco-nocer que se ha avanzado mucho en los últimos años, sobre todo en aquellas carreas que nocontaban con experiencia en ese tipo de programas formativos. También debemos aceptarque nos queda mucho por mejorar. Como puede observarse, el Practicum constituye unproceso de aprendizaje muy completo desde la perspectiva de su organización pero muycompleto en lo que se refiere a sus aportaciones formativas.

Un buen Practicum, tiene que responder a las exigencias que le plantean los tres ámbitosen los que juega un papel relevante: el currículo, el aprendizaje y el desarrollo personal. Encada una de esas dimensiones podemos definir indicadores o metas que nos permitan valorarhasta qué punto nuestro Practicum está cumpliendo efectivamente su función formativa. Yde esta manera podremos ir introduciendo los reajustes que consideremos pertinentes. Endefinitiva, lo que se pretende es que tanto la importancia del Practicum en las titulaciones,como su impacto efectivo en la formación de nuestros estudiantes (y no solo en su empleo)sea cada vez mayor. Y más reconocido por los responsables universitarios.

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Studi

Il mediatore turistico, per un turismo di qualità

The touristic agent, for a qualitative tourism

Il livello di accesso alla pratica turistica e laqualità della sua piena fruizione rappresen-tano due interessanti declinatori della qualitàdei sistemi di servizio che il sociale forniscealla persona in risposta a bisogni che questaesprime: bisogni di esistere, di essere, di agire,di godere, di affermarsi.Di qui la necessità di fornire un fondamentoteoretico alla prassi turistica, nel sua relazio-ne domanda/offerta, che si presti ad esseredi qualità, ossia in grado di garantire ai suoiutilizzatori lo svolgersi di ogni possibile for-ma di fruibilità, senza alcuna esclusione. Ilche richiede unitarietà d’intenti, visione in-tegrata dei problemi, forte interazione isti-tuzionale, disponibilità di professionistidotati di competenza professionale “media-tiva”, di tipo pedagogico, e il cui filtro pro-gettuale ed operativo è rappresentato da unamatura coscienza sociale a base inclusiva/in-tegrativa.

Parole chiave: inclusione, turismo, media-zione, bisogni speciali, persona.

The level of access to the touristic practice and thequality of its full enjoyment represent two inter-esting indicators of the quality offered by the wel-fare service to the person, as the answer to his/herown needs: needs of living, being, acting, enjoying,and of self-realization.Hence, the necessity of providing the touristic prac-tice with a theoretical foundation, regarding thedemand/offer relationship, which has to be of highquality, so as to guarantee its users with all kindsof accessibility, without any exceptions. All of thisrequires common purposes, an integrated point ofview regarding problems, a strong institutional in-teraction, availability of professional people en-dowed with professional “mediation” competence,of a pedagogic type, and whose operational plansare made up of a mature social conscience, on aninclusive/integrative basis.

Key words: inclusion, tourism, mediation,special needs, person.

ANNAMARIA CURATOLA

© Pensa MultiMedia Editore srlISSN 2038-9736 (in press) / ISSN 2038-9744 (on line)

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • anno VI – n. 10 – giugno 2013

Il mediatore turistico, per un turismo di qualità

1. L’accoglienza come presupposto giustificativo per la delineazione di nuove figureprofessionali per il servizio turistico

Le società del nostro tempo, grazie anche all’enorme sviluppo che ha assunto la tecnologiariferibile ai sistemi della comunicazione e dell’informazione, oltre che a quelli dello sposta-mento nello spazio fisico, sono caratterizzate da una sempre maggiore disponibilità di tempolibero cui è correlata una crescente domanda per l’ottimizzazione qualitativa della sua uti-lizzazione. È una domanda che trova giustificazione in un crescente bisogno di ampliamentodelle conoscenze e di soddisfacimento delle varie e complesse esigenze del corpo e dellospirito nella realtà di un contesto di vita caratterizzato da forte stress relazionale, lavorativo,esistenziale. Un contesto che registra, altresì, una consistente crescita dell’attenzione perl’ambiente e la sua tutela, per le variegate realtà etniche e culturali, per la tutela delle identitàstorico-antropologiche, per il controllo delle risorse tecnologiche e produttive presenti sulterritorio.

Ovviamente, le risposte alla domanda di accessibilità e di fruibilità turistica non possononon generare e sostenere opportunità crescenti di offerta di servizio, variamente codificate,in grado di incidere anche profondamente sulla tipologia delle strutture ricettive, sulle mo-dalità dell’organizzazione della rete dei servizi e sull’efficienza dei mezzi di collegamentotra aree anche estremamente distanti, sulle strategie comunicazionali, relazionali e di mar-keting. Ciò grazie al supporto di una tecnologia avanzata che consente di ampliare a dismi-sura gli interessi, le conoscenze, le domande, le offerte, lo spostamento, il confronto, etc.

In questo scenario, che è esistenziale ma è anche economico e di mercato, non può esseretralasciato nulla. Bisogna garantire la tutela e la valorizzazione dei beni e delle risorse, sianaturali che culturali, così da ampliare e sostenere le molteplici e variegate opportunità perla fruizione integrale del tempo libero. Si avverte pure la necessità che le domande di frui-zione turistica siano efficacemente coniugate con l’efficienza e la concorrenzialità dei servizie dei relativi costi, garantendone la più totale accessibilità e, soprattutto, basate sulla qualitàdell’accoglienza.

È, quest’ultimo, forse il nodo cardine su cui si giocano la credibilità dell’offerta, la forzae la continuità della domanda, la difesa della consistenza del mercato e la forza del sistemaproduttivo, con effetti diretti sul benessere sociale. Il riuscire ad affrontare in modo razionaledetta questione, in termini di qualità ed efficienza, non è sicuramente semplice, ma diventavitale per un territorio, quale quello italiano, ricco di risorse turisticamente fruibili. Eccoperché il suo approccio richiede forte responsabilità, esteso coinvolgimento inter-istituzio-nale e sociale, una formazione qualificata e mirata, una forte attenzione per il mercato, lapiù totale valorizzazione delle risorse (ambientali e culturali). Il tutto per rendere l’offertadel servizio turistico sempre più stimolante, competitiva ed efficace. Ciò soprattutto con lapresa d’atto e la convinzione che l’intero territorio italiano rappresenti un patrimonio ine-stimabile di beni ambientali e culturali, in grado di sostenere ogni possibile domanda turi-stica. Renderlo integralmente fruibile costituisce enorme opportunità sia culturale cheeconomica, in grado di risolvere molte questioni di benessere sociale. Di conseguenza deve

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diventare un impegno prioritario per tutti, dai responsabili della politica e dell’amministra-zione pubblica ai privati che agiscono a pieno titolo nella promozione e nell’offerta di unsistema produttivo basato sui servizi turistici. A sentirsi coinvolti devono essere anche i singolicittadini che, direttamente o indirettamente, condividono le risorse territoriali e traggonovantaggi dal flusso turistico.

Il mostrare di saper “coscientizzare”, in termini di forte responsabilità, il senso e la portatadi un’offerta turistica il cui livello di qualità va a declinarsi soprattutto con il livello e le mo-dalità dell’accoglienza, rappresenta un segnale di piena maturità civile e sociale. Condizionepromozionale essenziale, questa, per favorire nei “fruitori” del servizio turistico il sostanziarsidella più completa “ottimizzazione” della loro disponibilità a intraprendere un percorso diesperienze il cui grado di soddisfacimento, nei suoi esiti, diventa l’indicatore positivo piùrilevante di giudizio, tale da stimolare l’implementazione di ulteriori esperienze e, di riflesso,il coinvolgimento di altri potenziali fruitori.

L’offerta di un prodotto turistico “integrato” e di ottimo livello qualitativo, il cui cardineè rappresentato dalla tipologia e dal livello dell’accoglienza, senza alcuna esclusione di utenza,è condizione strategica per un positivo ritorno d’immagine, con l’effetto di una sicura im-plementazione dei benefici economici e, di riflesso, anche sociali. Non è azzardato, perciò,affermare che la crescita del flusso turistico dipende anche dall’accoglienza e dal grado disoddisfazione che l’esperienza fruitiva rende possibile.

Per acquisire una sempre più consistente quota di mercato, è fondamentale che le orga-nizzazioni, le agenzie, le strutture e gli ambienti di fruizione turistica siano in grado di ga-rantire adeguati livelli di fruibilità, con una capacità di servizio rispondente ai più variegatibisogni dei clienti, ma che siano soprattutto basati su un livello di accoglienza la cui tipologiarisponda ad espliciti e documentabili connotazioni di “qualità”. Connotazioni declinabilicon l’assunzione di precisi indicatori riguardo l’offerta di un servizio turistico in grado dicorrispondere al variegato esprimersi dei bisogni e/o delle attese del possibili suoi fruitori.Tra i più importanti, possono essere annoverati:– la formazione e l’aggiornamento professionale degli operatori di tutta la filiera turistica;– i comportamenti individuali degli operatori;– l’organizzazione e la gestione dei servizi in una logica di qualità e di sostenibilità;– l’offerta differenziata del prodotto e/o del pacchetto turistico;– le forme dell’informazione e della comunicazione;– le tecniche e gli strumenti della mediazione dei beni ambientali e culturali;– il possesso di solide competenze digitali da parte dei medesimi operatori.

2. L’esigenza di figure professionali ad alto coefficiente di formazione

Il più urgente, quanto delicato, problema da affrontare, nel quadro di detti indicatori, è quellodegli operatori del servizio turistico, di coloro che in concreto vanno a interfacciarsi con ifruitori del servizio stesso.

L’esigenza principale è quella di disporre di operatori particolarmente qualificati, le cuicompetenze professionali devono scaturire dalla combinazione integrata di diversi fattori. Ilprincipale di essi riguarda la tipologia e il livello delle conoscenze scientifiche e culturali diriferimento, che devono essere di tipo multidisciplinare e riferibili a vari campi del saperescientifico e culturale: da quello della comunicazione a quello della conoscenza del territorio,da quello della metodologia dell’organizzazione a quello del marketing turistico, da quellospecifico della elaborazione statistica dei dati a quello della psicologia sociale e del compor-tamento.

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Non meno importante, inoltre, è il possesso di conoscenze e di abilità d’uso di appropriatetecniche e procedure metodologiche di indagine, di raccolta e di elaborazione dei dati.

Al riguardo meritano di essere segnalati i risultati di un’indagine effettuata in Grecia inordine alle competenze informatiche degli operatori turistici (Lazarinis, & Kanellopoulos,2010). In questo lavoro viene efficacemente rappresentato quanto essenziali siano le abilitàtecnologico-informatiche per gli operatori del settore turistico ambientale e quanto le com-petenze connesse siano auspicate dalle aziende del settore per la creazione di un’offerta qua-lificata e di alto livello. Per contro si evidenzia come vi sia poca corrispondenza con le abilitàpreviste dall’ECDL (European Computer Driving Licence), con le conoscenze possedute daglioperatori intervistati e, soprattutto, con le aspettative di formazione e delle esigenze di ap-profondimento professionale avvertite dagli operatori stessi.

La corretta coniugazione di dette conoscenze con le abilità metodologiche di gestionedei dati d’informazione costituisce il presupposto dell’efficienza professionale. Un’efficienzache, sul campo, si traduce in proposte, improntate a una visione sinottica delle variabili diriferimento, in cui trovano adeguata rappresentazione la realtà dei luoghi, la disponibilità ela fruibilità di beni (ambientali e culturali) e dei servizi, e quant’altro può entrare in giocoper un’efficace proposta di esperienza turistica, considerando pure i possibili bisogni e leaspettative dei potenziali fruitori. Si tratta, dunque, di disporre di “professionisti” dotati diuna competenza fortemente sostenuta sul piano dei contenuti culturali, in possesso di ade-guata abilità metodologica basata sulla ricerca-azione, disposti a ricercare e a promuoverel’ottimizzazione delle relazioni, con una personalità disposta alla intraprendenza e alla crea-tività, oltre che in grado di adattarsi alla complessa varietà delle dinamiche psicologiche cheemergono nel corso della relazioni con i fruitori del servizio turistico, per gestirle nel modopiù adeguato. Non ultimo tra i requisiti richiesti, per la conformazione di detta competenza,è il possesso di una buona conoscenza e padronanza d’uso delle tecniche di marketing. Tuttielementi, questi, che prefigurano una formazione di base che solo specifici percorsi di laureapossono consentire, prima fra tutte quella in Scienze del turismo.

Quelli appena indicati sono fattori rilevanti di professionalità, sebbene certamente nongli unici, e lo sono nella misura in cui sono in grado di favorire gli operatori del servizioturistico nella gestione del servizio stesso, a partire dalla formulazione di valide ipotesi pro-gettuali basate su una reale “contestualizzazione” dei bisogni e delle risorse in specifici edifferenziati “servizi”.

Si pensa, dunque, ad una professionalità elevata e che è assolutamente indispensabile so-prattutto quando detti operatori sono chiamati a stabilire una linea di condotta progettualee operativa compatibile con una utenza fortemente variegata nella rappresentazione dellesue caratteristiche tipologiche e nella enucleazione dei propri bisogni. Utenza normalmenterappresentata dalle persone con “bisogni speciali”, soprattutto se esprimono limitazioni si-gnificative nella propria autonomia (disabili e anziani) e, quindi, necessitanti delle più varieforme di assistenza e di tutela. Un’utenza alla quale vanno garantiti adeguati livelli di acces-sibilità al servizio turistico, prevedendo il superamento di qualsiasi ostacolo o fattore di im-pedimento alla libera e più totale fruizione del servizio stesso.

Sul piano della più concreta esplicitazione della tipologia di dette professionalità, emer-gono in netta evidenza, le seguenti tre figure:

1. Programmatore turistico2. Promotore turistico3. Mediatore turistico.

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Per le prime due figure professionali, esiste un quadro normativo/concettuale di riferi-mento (a partire dalla codificazione ISFOL) che ne delinea compiti e funzioni, sebbene essenecessitino di una codificazione più puntuale, che sia rapportata ai percorsi formativi piùrecenti, quali le lauree nelle Scienze del turismo, e inquadrata in un’ottica sistemica checomprenda in modo “integrato” tutte le professionalità destinate ai servizi turistici.

Il mediatore turistico è, invece, una figura professionale nuova, declinata in uno studiodestinato ai bisogni speciali (Curatola, 2012).

3. Le utenze con Bisogni speciali

Il concetto di “bisogni educativi speciali” è uno dei più attuali temi di riflessione della pe-dagogia speciale. Andrea Canevaro, nei suoi lavori (1999, 2007, 2008), ha contribuito a farassociare l’accezione “speciale” alla presenza di disabilità. Dario Ianes, basandosi sul modellodell’ICF, ha ampliato la categoria dei bisogni educativi speciali definendoli come una «ma-crocategoria che comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educative-apprenditivedegli alunni, sia le situazioni considerate tradizionalmente come disabilità mentale, fisica,sensoriale, sia quelle di deficit in specifici apprendimenti clinicamente significativi, la dislessia,il disturbo da deficit attentivo, ad esempio, e altre varie situazioni di problematicità psicolo-gica, comportamentale, relazionale, apprenditiva, di contesto socio-culturale» (Ianes, & Mac-chia, 2008, p. 14). Secondo Montuschi la pedagogia speciale ha il compito di «rendere semprepiù speciale ogni forma di intervento educativo facendo diventare patrimonio comune lacapacità di cogliere i problemi e la competenza nell’affrontarli, la padronanza nell’ipotizzareopzioni nelle risposte educative» (Montuschi, 1997, pp.163-164). La risposta educativa, per-tanto, deve essere inventata di continuo e per questo richiede un “pensare speciale” cheinizia proprio dalla percezione globale della persona e dei suoi bisogni (Montuschi, 2004).

I turisti con “bisogni speciali” sono «persone che necessitano di particolari comodità e ac-corgimenti per poter viaggiare e fruire delle opportunità turistiche. Possono essere personecon disabilità (fisico-motoria, intellettiva o sensoriale), con esigenze dietetiche o con allergie,con particolari esigenze di mobilità (donne in gravidanza o persone col passeggino), con pro-blemi di salute (cardiopatici, asmatici, dializzati etc.), persone anziane etc.» (Sl&a, 2008, p. 24).

Il viaggiatore con bisogni speciali, al pari degli altri, sceglie la tipologia di vacanza in basealle proprie passioni, interessi, curiosità e aspirazioni.

Da qui muove la necessità di una figura professionale nuova, con compiti di “mediazione”tra detti bisogni e l’offerta di fruizione del servizio turistico, quella del “Mediatore turistico”.Figura professionale, questa, in grado di affrontare, per fini turistici, temi complessi di depri-vazione della salute e, ancor più, dell’autonomia.

Com’è facilmente rilevabile, dette utenze, proprio per l’eterogeneità della conformazionedei fattori personali e l’estrema varietà dei fattori ambientali, oltre che per l’infinita combi-nazione del rapporto tra detti fattori (la contestualizzazione), presentano una casistica nonfacilmente declinabile. Diventa abbastanza problematico, di conseguenza, riuscire a definire,anche in riferimento alla sola categoria generale di appartenenza, la specificità dei bisogni,che proprio per questo vengono comunemente definiti “speciali”.

Per fare un esempio, una persona con ridotta capacità motoria può avere anche problemidi intolleranze alimentari, o presentare qualche problema alla vista, o entrambi i problemi.Questa persona può essere un bambino, un ragazzo, o un senior e potrebbe anche apparteneread altra cultura o etnia. I bisogni che questa persona manifesta sono i più vari, e tutti concor-rono, nel loro insieme, a stabilire una situazione particolare di bisogno, “speciale” appunto.

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L’esigenza di promuovere in suo favore occasioni di fruizione turistica, nonché per altreutenze i cui bisogni sono in parte o in tutto assimilabili, obbliga a tenere in debito conto levariabili connesse con gli specifici stati di bisogno. Bisogna muovere da esse per affrontarele strategie e le modalità d’azione più adatte al caso, evitando attentamente di pervenire asterili e/o inappropriate generalizzazioni di proposta e di intervento.

Alla luce di ciò, appare indiscutibile che l’individuazione di detti bisogni è un atto cheentra in gioco nella contestualizzazione dell’esperienza turistica, sia come potenziale offertadel servizio, sia come risposta diretta alle richieste di fruizione delle istanze di mercato.

Soprattutto a livello progettuale, però, il servizio turistico non può che essere pensato intermini generali, ossia destinato alla pluralità delle utenze, da quelle prive di significative dif-ficoltà, fino a quelle che, in misura diversificata, sono condizionate in particolar modo nel-l’approccio alle relazioni e all’esercizio dell’autonomia.

Per tali ragioni, progetti e proposte di servizio debbono essere dotati di ampia flessibilitàe adattabilità alle specificità delle richieste. Il che non significa puntare su formule genera-lizzate di proposta per la fruizione del servizio turistico, quanto, piuttosto, prevedere e ga-rantire la possibilità di rendere adattabile il servizio, anche in itinere, alla specificità dellerichieste, con soluzioni ad hoc.

È bene ricordare, in ogni caso, che ogni persona è sicuramente un individuo a sé, per cultura,per abitudini, per livello di comunicazione o per modalità di gestione della propria autonomia,per cui ha aspettative e bisogni specifici, che possono anche coincidere con quelli normalmenteespressi dalle persone che appartengono ad altre categorie di “disabilità”. Realtà “diverse”, quin-di, possono avere bisogni “comuni” e, perciò, possono condividere gli stessi servizi, sebbenecon qualche forma di necessario adattamento (Karimi, Zhang, & Benner, 2013).

Da sottolineare che il ragionamento che ha portato alla richiesta di una figura professio-nale nuova, quella del Mediatore turistico, nel panorama complessivo dei servizi turisti, muo-ve dall’assunzione dei ruoli e dei compiti delle altre due figure professionali, quella delProgrammatore turistico e del Promotore turistico. A queste il Mediatore turistico deve fare rife-rimento per la propria azione di servizio, ma nello stesso tempo diventa ad esse comple-mentare per l’esercizio dei loro compiti promozionali e di progetto.

4. La figura del Mediatore turistico nel quadro delle professionalità turistiche

Il Mediatore turistico si configura come un professionista altamente specializzato, il cui cam-po d’intervento va oltre quello assegnato alle tradizionali figure operanti nel settore turistico1,come quello della “guida turistica” e dell’“accompagnatore”, ed a quelle più attuali quali ilresponsabile del controllo di gestione (Travel manager), il capo del ricevimento, il responsabiledell’ottimizzazione della ricettività (Sales e Revenue manager), il responsabile dell’intercon-

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1 Antonio Sereno, nell’indicare dette figure professionali sottolinea il fatto che, seppure il quadro sia «rilevanteper importanza economica e per la qualificazione del settore […] paradossalmente, le professioni del turi-smo, anche quelle più antiche e tradizionalmente collegate al settore, sono oggi prive di normativa, congravi conseguenze di fronte all’Unione europea che ha emanato una direttiva per la regolamentazionedelle professioni nel quadro della liberalizzazione del mercato. Infatti il DPR 27 aprile 2004, ha annullatol’Art. 7 della nuova legge quadro sul turismo n. 135, del 2001, e il successivo Accordo Stato/Regioni 13settembre 2002, nella parte in cui definisce le professioni turistiche e demanda alle Regioni la loro rego-lamentazione». Cfr. Professioni turistiche: novità legislative, pubblicato in Formazione e Lavoro nel turismo, 12marzo 2010, www.formazioneturismo.com

nessione del turismo con le manifestazioni esterne (Event manager), l’intermediario tra i fi-nanziatori e la gestione alberghiera (Asset manager), la guida che assiste il cliente negli acquisti(Personal shopper), i terapisti e gli assistenti che operano nei centri benessere delle strutturericettive, l’assistente telematico per risolvere eventuali problemi del pc.

Per certi versi il Mediatore turistico è anche Programmatore e Promotore turistico perchétra i suoi principali compiti ha anche quello di organizzare e gestire il servizio turistico “me-diando” la specificità dei bisogni, anche potenziali, dei clienti (espressi con la domanda direttao indotta) con tutte le opportunità che possono essere offerte dall’organizzazione del servizioe dal territorio, anche in termini di sostenibilità. È fondamentale sottolineare che, per la ca-ratterizzazione della sua professionalità, il mediatore turistico deve necessariamente essere ingrado di agire non solo in quelle situazioni in cui sono coinvolte utenze “ordinarie”, maanche in quelle in cui sono protagoniste utenze con “bisogni speciali”. Il che facilita la solu-zione di molteplici problemi connessi spesso con la presenza di operatori sociali, parenti e/oamici nella qualità di accompagnatori. Queste attività possono essere organizzate sia in pienaautonomia sia in raccordo con enti, strutture e agenzie di servizio turistico.

Il suo intervento progettuale e/o operativo, assunto sempre con corretta e responsabileottica manageriale, deve tener conto di una duplice caratterizzazione: per un verso, essererispettoso degli indirizzi di politica economica e delle norme che regolano la materia, peraltro verso basarsi su solide valutazioni etiche riguardo ai suoi possibili effetti sull’interocontesto d’azione, anche in proiezione futura. A queste condizioni deve necessariamenteaggiungersi una riflessione pedagogica, perché le parti del contesto di fruizione turistica,quelle attive (fruitive del servizio) e passive (componenti l’ambiente d’esercizio), possanoentrare in relazione e produrre esiti in grado di soddisfare le reciproche attese in modo dagarantire e implementare, il riprodursi e/o progredire della domanda/offerta di esperienzedi fruizione turistica.

Con detto ruolo, il mediatore è garanzia di un servizio turistico incentrato sulla persona(con riguardo ai suoi interessi e bisogni), pur nel rispetto più totale del contesto d’eserciziodell’esperienza turistica. Ciascun utente, infatti, deve sempre essere messo nelle condizionidi poter scegliere, liberamente, le migliori condizioni per la fruizione del servizio e potersvolgere gratificanti esperienze senza essere condizionato da ostacoli e/o impedimenti.

Per diversi aspetti tale figura è simile a quella del Promoter turistico, delineata dall’ISFOL,che è colui che, per conto dei tour operator, si occupa della promozione, presso le agenzie diviaggio, dei prodotti turistici e del marketing correlato alla vendita di particolari pac chet -ti/viaggio (a catalogo e non).

Al Promoter è richiesta una notevole conoscenza specifica dei prodotti e dei servizi pro-posti, considerato che deve essere nelle condizioni di poterli presentare adeguatamente nelmomento in cui si relaziona con gli operatori delle agenzie di viaggio. È altresì importanteche nel bagaglio del promoter figurino competenze specifiche in fatto di marketing turistico,di merchandising e di promozione delle vendite, oltre che di una conoscenza di base dell’or-ganizzazione turistica e delle norme che la regolano, tali da consentirgli di poter interpretarele esigenze dei clienti e conoscere i punti di forza e di debolezza delle offerte. Peraltro, l’ele-mento più rilevante di connotazione della sua personalità è il possesso di una spiccata abilitàcomunicativa, non soltanto con riferimento alla sua capacità di comunicare oralmente e periscritto, ma anche al possesso di significative doti di ascolto per poter meglio “leggere” e co-gliere istanze altrui.

Una capacità dialettica, infatti, è fondamentale nel momento di dover descrivere e/o pre-sentare un prodotto o un servizio. Diventa, però, altrettanto importante possedere la capacitàdi ascolto ed il saper cogliere indicazioni, esigenze ed eventuali proposte provenienti da altriinterlocutori e, più in generale, dal contesto in cui si opera.

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Il tipo di attività svolta, inoltre, richiede che il promoter sia dotato di un notevole dinami-smo e di una capacità di autorganizzazione superiore alla media, di un temperamento spic-cato, di significative doti di carisma e di team leader. Doti possibilmente abbinate ad unabuona presenza fisica.

Deve, inoltre, saper valutare le esigenze dei clienti, conoscere i punti di forza del prodottoofferto e le criticità dello stesso, così come è necessaria una conoscenza adeguata dei prodotticoncorrenti, al fine di una completa analisi dell’offerta, anche in via comparativa con i mag-giori competitors (Vergottini, 2004).

Di certo deve possedere un’approfondita conoscenza dei metodi e degli strumenti dellaCAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) (Beukelman & Mirenda 2005), indispen-sabile per facilitare la più efficace fruizione da parte del disabile (Who, 1986; National com-mittee for the communication needs of persons with severe disabilities, 1992) delle diverse offerte diservizio turistico.

Nel contesto dell’offerta turistica, certamente una siffatta declinazione del ruolo e deicompiti del promoter costituisce una novità significativa, sebbene forse sembra essere più ri-spondente ad esigenze di elevata professionalità, la proposta, formulata dalla medesimaISFOL, della più attuale figura di “Promotore di sviluppo turistico sostenibile”, cui si attri-buisce il ruolo di “coordinatore” delle iniziative di servizio turistico.

Si trattadi una funzione che, in realtà, è strettamente riconducibile alle linee guida giàtracciate per il “Programmatore e del promotore turistico”, ossia quello di un pianificatoredi progetti e di eventi per la qualificazione del servizio turistico.

Infatti, nella proposta dell’ISFOL viene chiaramente esplicitato che il Promotore di svi-luppo turistico sostenibile è colui che «coordina l’organizzazione turistica sviluppando lecapacità imprenditoriali esistenti, qualificando l’offerta turistica e promuovendo la stessa alivello nazionale ed internazionale. Rappresenta la sintesi tra domanda e offerta turistica; èorientato alla sostenibilità dei flussi turistici, aperto all’innovazione, in grado di realizzareprogetti integrati, finalizzati alla costruzione della rete ecologica nazionale in cui l’elementodi valorizzazione del parco (turismo agroalimentare) si coniuga con la tutela della stessa area(biodiversità, ecc.)» (FT, 2007).

Alla luce di dette condizioni, pertanto, la proposta di una figura professionale innovativa,quale quella del Promotore e programmatore turistico, da cui scaturisce quella del Mediatoreturistico, si presenta come un contributo di arricchimento e completamento oltremodo si-gnificativo. Infatti, la sua azione è ispirata tanto al presente quanto al futuro, come espressionedi garanzia, in termini di sostenibilità, di responsabilità e di valorizzazione, verso il territorioe il sociale.

Appare di per sé abbastanza evidente che dette figure si trovano a svolgere compiti ab-bastanza correlati e interdipendenti, in un campo d’azione e di esercizio professionale piut-tosto ampio che riguarda almeno tre distinti livelli di operatività:

1. nelle strutture della pubblica amministrazione (da quella regionale a quella provinciale ecomunale). Sono chiamati a formulare ipotesi di iniziativa politica e di orientamentoamministrativo, ad individuare gli obiettivi da perseguire, le possibili strategie d’azione ele modalità di raccordo interistituzionale, nonché a monitorare la funzionalità delle pro-poste e l’efficacia dei loro esiti;

2. negli enti e nelle agenzie di raccordo tra domanda e offerta turistica (tour operator, agenzieturistiche, aggregazioni e associazioni di categoria, gruppi in rete, etc.) – devono forma-lizzare possibili e concrete proposte di fruizione turistica;

3. sul campo, sono tenuti ad attuare attività concrete di servizio turistico.

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Le varie funzioni, a seconda delle situazioni, sono orientate verso la priorità del serviziodi “promozione” oppure verso quello della “programmazione” o, infine, quello della “me-diazione”, come anche verso un servizio che implichi reciprocità e contestualità tra diversefunzioni. L’obiettivo precipuo è quello di stabilire un efficace raccordo tra domanda e offerta.Compito, questo, di fondamentale valenza per una maggiore qualità del servizio turisticoofferto, anche se sembra assurgere a maggiore importanza e a più completa esplicitazione ilruolo del “mediatore turistico”.

Questi deve essere in grado, tra l’altro, di promuovere e di tutelare i sentimenti di identitàe di appartenenza al territorio e alla cultura, nel tentativo di conciliare anche le divergenzeche scaturiscono dal confronto tra culture diverse. Un confronto che nell’attuale contestosociale appare sempre più problematico e complesso.

Per rispondere in maniera adeguata ed in tempi brevi alle istanze e alle esigenze dei suoiinterlocutori, il mediatore turistico deve essere in grado di agire sull’esistente, manipolando,in modo creativo e funzionale, quanto vi è a disposizione nel territorio, ma deve anche porsi“in prospettiva”, per migliorare, attraverso la rilevazione attenta delle problematiche e dellaproposta di efficaci forme di approccio ai beni ambientali e culturali, la corretta fruizionedelle risorse ambientali e territoriali. Con il suo atto di mediazione, cioè, deve contribuirealla valorizzazione del territorio e al miglioramento della qualità della vita. L’obiettivo èquindi di natura pedagogica, perché si basa sul presupposto che ogni persona possa e debbadiventare coprotagonista di controllati e valoriali processi di sviluppo culturale e sociale.

Con questa prospettiva, ogni luogo urbano città deve essere concepito e vissuto comeun sistema aperto a tutti, in cui ognuno si identifichi nei processi di innovazione e cambia-mento culturale ed in cui le modalità di gestione dei servizi resi alla persona – al pari deiservizi tesi al contesto fisico, strutturale economico e normativo – costituiscono ulterioreobiettivo qualificante.

L’attivazione di un metodo unitario, di azione con una “cabina di controllo”, è il marchiodistintivo di un salto di qualità, della trasformazione di intenzioni comuni in progettualitàe realizzazioni concrete. Non si vuole sognare la città “ideale” di Tommaso Campanella,bensì edificare una “città educativa” aperta così come presentata da Franco Frabboni, in cuitutti i cittadini sono protagonisti nelle scelte e nelle modificazioni delle loro numerose mor-fologie, quale espressione di autentica diversità. Una “città-si”, «una città/altra (dotata diprogetti, idee, speranze, utopie)» (Frabboni, 1998, p. 78) all’interno della quale tutti i “puntino” si trasformano in “punti si”. Una città costellata di tante stelle-si, illuminata con «il cielodell’educazione» (Ibidem).

Il territorio diventa, di conseguenza, «il luogo di vita del soggetto, come anche dei gruppiin relazione tra loro, esso dovrà assumere delle connotazioni che lo qualifichino come sor-gente di vita, come luogo di felicità, come habitat ideale. L’ideale educativo è custodito inquesto impegno volto ad elevare l’ambiente come una specie di nicchia gioiosa, che nobilital’uomo, venuto al mondo per operare su esso, al fine di migliorarlo, renderlo accogliente edutilizzarlo orientandone e guidandone la crescita e lo sviluppo» (Rosati, 1998, pp. 18-19).

All’interno di ciascun ambiente la fruizione del tempo libero, quale quello destinato allavacanza, rappresenta un diritto inalienabile, dal momento che la vacanza «si configura comeun momento di continuità tipizzata nel complesso organico delle esperienze educative, inquanto tende ad assumere un carattere di coerenza con l’intero progetto e disegno educativoe, nello stesso tempo, ad accentuare i tratti di esperienza che riconosce nella gioiosità il pro-prio tono ed accento caratterizzanti» (Scurati, 1986, pp. 187-188).

Per le ragioni finora espresse, il mediatore turistico deve principalmente essere in gradodi presentare, in chiave educativa, la cultura ed i beni nei quali questa si configura, per con-sentire una positiva rappresentazione del tempo vissuto, il consolidarsi del senso etico e la

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percezione di sé come soggetto attivo e responsabile nella gestione del complesso delle re-lazioni (Curatola, 2008). In tal modo egli non può sottrarsi al ruolo, esplicito e non, di con-tribuire ad una vera e propria “coscientizzazione”, secondo l’accezione indicata da P. Freire(1971, 1973; Araâujo Freire, 2004).

Il Mediatore turistico è anche un vero e proprio “agente culturale” allorquando si rela-ziona con le agenzie educative, prima fra tutte la scuola, mediante un’azione di “mediazione”tra i bisogni formativi degli allievi in età evolutiva e le potenzialità fruitiva delle risorse am-bientali, assunte anche con l’ottica della sostenibilità della loro utilizzazione e/o sviluppo.Funzione mediativa che implica il suo coinvolgimento nella progettazione e nella realizza-zione di iniziative di scoperta e di fruizione del territorio, mirate ad orientare i soggetti informazione, e con essi l’intera comunità di appartenenza, verso una più approfondita cono-scenza, tutela e valorizzazione delle identità e delle risorse territoriali, da quelle storico-cul-turali a quelle etno-antropologiche, da quelle della fisiche a quelle economiche-produttive.

Un servizio turistico che è capace di guardare al territorio nella sua duplice, ma integrata,valenza connotativa: l’essere “entità fisica” ed essere “spazio culturale”. Ciò perché il terri-torio è, di fatto, il risultato della continua ed inesorabile trasformazione operata dall’uomo,nel tentativo di renderlo adattivo ai propri bisogni esistenziali; un contenitore inesauribiledi conoscenze e di esperienze in grado di promuovere e di sostenere efficaci processi for-mativi e di socializzazione (Baldassare, & Scisci, 2002).

Peraltro, il territorio, in ragione dell’eterogeneità che lo caratterizza, tanto nella sua di-mensione fisica quanto -se non soprattutto- in quella antropologico-culturale, favorisce losvolgersi dei processi d’indagine sui vari profili multifattoriali (naturali, culturali, sociali),con cui è strettamente correlata la maturazione della personalità e la costruzione delle iden-tità (personali e sociali). Non a caso il territorio è stato considerato ed utilizzato come «auladidattica decentrata» (Loiodice, 1998, p. 223.) assumendo una rilevante funzione formativa.

In un’ottica siffatta, chiunque si trovi ad interagire con il territorio, per esempio nel “mo-mento” dello svolgersi dell’esperienza turistica, deve avere contezza dell’importanza del pa-trimonio di vita e di aggregazione, dei valori positivi insiti in questa fondamentale risorsa dapreservare, sempre, così come eventualmente da riprogettare, specie quando vi è la necessitàdi rendere più positivi i modi di essere e le condizioni di vita individuale all’interno di esso.

Una completa lettura-esplorazione del territorio, anche con visite guidate mirate, con-sente di conseguire molteplici obiettivi formativi, anche di tipo tematico: si possono acquisiree/o confrontare conoscenze, sperimentare valide forme di cooperazione, costruire e/o ri-formulare le proprie idee con nuove prospettive, giungere alla consapevolezza che territorioè un patrimonio da preservare, una risorsa fondamentale da tutelare.

In questa dimensione, che ci si muova in una logica non meramente utilitaristica di tipoproduttivo-economico ma si guardi in una prospettiva idonea a cogliere ogni più insita po-tenzialità di sviluppo, il Mediatore turistico diventa assoluto coprotagonista delle relazionicon il territorio. Egli, pertanto, nell’approcciarsi all’attività da realizzare, non potrà esimersidall’assumere una visione integrata dei diversi fattori chiamati in causa, quali la specificitàdelle utenze (per ciò che riguarda bisogni e attese di servizio), il tempo libero (nel suo po-tenziale di esercizio e di realizzazione esistenziale), le risorse di riferimento (economiche,umane, territoriali), le dinamiche interpersonali, nonché il controllo dei riscontri e degliesiti di servizio prodotti.

Le multifattorialità e l’eterogeneità di dette istanze rappresentano una opportunità d’eser-cizio turistico estremamente rilevante, anche se danno luogo a difficoltà di risposta di servizioaffatto trascurabile. Tuttavia, questi fattori sono così dinamici e mutevoli, anche per il con-solidarsi di una società sempre più multiculturale e sempre più protesa verso nuovi imputsdi confronto, da non poter essere standardizzati in precise unità di riferimento che siano

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utili per l’assunzione di iniziative progettuali e di servizio turistico.Tuttavia, il considerarli contestualmente, con una visione olistica e con un’attenzione

privilegiata verso i “bisogni speciali”, è la condizione più efficace per riuscire a conseguireelevati standards nella gestione del servizio turistico.

5. Il Mediatore turistico come referente privilegiato delle persone con “bisognispeciali”

Con riferimento specifico all’offerta di servizi turistici per l’utenza con “bisogni speciali”, idati statistici evidenziano come ad oggi i risultati raggiunti non si possano considerare sod-disfacenti, sia sotto l’aspetto quantitativo, sia riguardo il profilo.

Detta valutazione prende in esame l’intero comparto dei servizi: dai sistemi della comu-nicazione e dell’informazione ai mezzi di viaggio, dalle strutture della ricettività agli impiantiper la fruizione dell’offerta di servizio, dai modi dell’accoglienza alle competenze richiesteper il personale preposto ai servizi, fino all’assunzione del criterio fondamentale del moni-toraggio e del controllo della qualità delle prestazioni offerte/ricevute.

Da qui scaturisce una richiesta di mercato, sempre crescente, per l’implementazione delleiniziative, ma anche l’esigenza di un’attenzione sempre più mirata nei confronti dell’utenzacon bisogni speciali. I protagonisti di tale nuova prospettiva, in primo luogo, sono certamentegli Enti e le agenzie preposte alla promozione e all’offerta del servizio turistico, ma anchegli Enti pubblici, chiamati a recitare un ruolo dominante nella vita associativa, fornendogiustificate scelte di orientamento e di supporto anche economico alle politiche di svilupposociale (Curatola, 2010).

Per poter garantire un ottimale livello di qualità nell’offerta dei servizi turistici, diventafondamentale che tutti i soggetti coinvolti nella gestione e nell’erogazione di tali servizi, purnel rispetto della specificità delle rispettive competenze, propongano e sostengano le proprieazioni con una visione unitaria e integrata delle problematiche da affrontare.

Ai fini del conseguimento di un risultato soddisfacente, in primo luogo è determinanteil livello di ottimizzazione delle modalità organizzative e gestionali dei servizi stessi; ma di-venta altresì essenziale coniugare l’opera con un buon potenziale d’uso dei moderni sistemidi programmazione e di promozione, dei mezzi d’informazione e di comunicazione, dellesempre più sofisticate tecniche di marketing, nonché con una maggiore attenzione per le ti-pologie di utenza e per i relativi bisogni.

Non a caso si insiste sempre più sulla necessità ineludibile di promuovere e di sostenereun’efficace coniugazione tra la domanda di fruizione turistica, proveniente da utenze, anchecon “bisogni speciali”, di fatto sempre più esigenti, e l’offerta di servizi di fruizione ad essacorrelabili. Servizi che devono avere connotazioni di qualità e, pertanto, risultare efficace-mente improntati a criteri di affidabilità, concorrenzialità e accessibilità. In questa direzioneè necessario che gli agenti dell’intera filiera turistica possiedano un’adeguata conoscenzadelle problematiche riconducibili all’utenza, segnatamente con riferimento alla specificitàdella domanda dell’utenza con “bisogni speciali”, al fine di potere efficacemente “mediare”la domanda di fruizione del servizio con le possibili offerte.

Tale opera di mediazione, per un verso, richiede evidentemente un’attenzione appro-fondita per gli aspetti organizzativi e strutturali del servizio, avuto riguardo alle caratteristicheproprie dell’oggetto della “relazione” turistica; per altro verso, prevede una specifica com-petenza nella individuazione e nella gestione dei modi e dei mezzi più idonei per favorirnela fruizione.

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Nel novero delle problematiche da affrontare, certamente in primo luogo figura quellarelativa al superamento di eventuali ostacoli e/o barriere che limitano o impediscono al-l’utenza di avere accesso all’oggetto della mediazione turistica.

La riduzione o l’eliminazione delle barriere non attiene solo all’ambiente fisico, ma ancheal profilo culturale di una società aperta e rispettosa dello stato di diritto; una società che ècapace di proiettarsi positivamente verso il futuro, assumendo l’ottica della sostenibilità el’obiettivo della tutela e della valorizzazione delle identità, come anche delle diversità e del-l’ambiente stesso. Per cui è di fondamentale importanza l’assunzione contestuale della per-sona e dell’ambiente, nella loro specificità identitaria e nella loro possibile messa in relazionequale condizione determinante per la progettazione di servizio turistico di qualità.

Un ambiente in cui sono presenti barriere, ad esempio, può limitare, anche significativa-mente, la performance di una persona, mentre altri ambienti con caratteristiche diverse, ricchi difacilitatori possono favorirla o addirittura implementarla. Investire sui facilitatori significa, infatti,includere «aspetti come un ambiente fisico accessibile, la disponibilità di una rilevante tecnologiad’assistenza o di ausili e gli atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità, e includonoanche servizi, sistemi e politiche che sono rivolti ad incrementare il coinvolgimento di tutte lepersone con una condizione di salute in tutte le aree della vita» (ICF, 2001, p.169).

Ogni ausilio, arredo o dispositivo deve essere progettato secondo il principio dell’UniversalDesign, secondo il quale ogni attività di progettazione, applicata alla realizzazione di qualsiasitipo di prodotto e ambiente (naturale, costruito, virtuale), deve tener conto delle necessitàdi tutte le persone, muovendo da alcuni inderogabili principi di carattere generale quali:equità e flessibilità, semplicità ed intuizione (l’uso del prodotto deve essere facile da capire,indipendentemente dalle conoscenze, dal linguaggio, dall’esperienza e dalle capacità di unapersona), accessibilità all’informazione, tolleranza agli errori, sforzo fisico minimo, dimen-sione e spazio per l’uso adatto a qualsiasi utente, senza limiti per la capacità di movimento,la postura e la dimensione del corpo (Laurìa, 2003). Cosicché, i diversi prodotti pensati erealizzati, nella loro fruizione d’uso, per le persone con disabilità (provvisoria o conclamata),devono sempre e comunque essere resi accessibili a tutti, recuperando il principio che fu diMaria Montessori, per cui gli ausili, gli interventi, le strategie e i percorsi formativi pensatiper le persone con disabilità, sono generalizzabili per tutti a condizione che siano ispirati acriteri di forte razionalità (ONM, 2000).

Solo un “mediatore turistico”, dotato di siffatte competenze programmatiche e promo-zionali, e con un’elevata formazione pluridisciplinare, può affrontare efficacemente dettequestioni e rendere il servizio turistico di “qualità”. Un servizio che trova collocazione inun progetto generale di implementazione economica e di sviluppo sociale e che, ispirato alprincipio di sostenibilità ambientale, si caratterizza per la sua rispondenza alla specificità deibisogni, anche di quelli “speciali”.

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