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STORIA CULTURALE : George Orwell e Hannah Arendt

GEORGE ORWELL

Seguendo il corso vi siete trovati di fronte ad un percorso tutt'altro che sistematico, concentrato piùche altro su singoli autori, figure e momenti che si sono succeduti in maniera molto lontana dallescansioni dei manuali: nell'organizzazione di questo corso abbiamo privilegiato alcuni momenti ealcune figure della vicenda culturale del '900.In questa chiave, i protagonisti della vita culturale su cui ci siamo soffermati trovano una loro col-locazione nella vicenda complessiva del secolo (Keynes ad esempio dà una risposta alle conseguen-ze economiche e sociali della crisi del ’29). Quanto a George Orwell, di cui parliamo oggi, la suavicenda personale e il suo percorso di scrittore si incastrano in maniera esemplare nello svolgersidel '900,

Partiamo dal libro che gli ha dato la fama, 1984, terminato di scrivere nel 1948: il titolo è giustifi-cato dal rovesciamento di questa data. Il libri disegna una distopia.

• UTOPIA = disegna un mondo in forte misura auspicabile, al limite della fantasia; • DISTOPIA = è un mondo non è auspicabile, è un incubo e diversamente dalle utopie (che

non si sono mai realizzate), le distopie possono, anzi tendono a realizzarsi;Orwell descrive con maestria i sentimenti di chi vive dentro questo incubo.

Il libro ha un immenso successo commerciale. Precedentemente il suo autore era abbastanza notocome saggista e giornalista (scriveva anche recensioni cinematografiche, tra le altre dei film diChaplin). Ma era anche un romanziere. Giornalista regolarmente stipendiato lo fu per due brevi periodi, prima in un quotidiano poi allaBBC dove, durante la seconda guerra mondiale, scriveva i testi delle trasmissioni radio di propagan-da rivolte organizzava all’India (una colonia inglese: il problema infatti è di convincere gli indiani,che subiscono l’oppressione coloniale britannica, ad appoggiare la Gran Bretagna contro il nazi-smo).

La società che descrive 1984 è modellata sul regime sovietico e su quello nazista.Parla di una società in cui le persone vengono sottoposte ad un quotidiano controllo, le tv non sonousate solo per guardare cosa succede"al di fuori" della propria casa, ma sono un occhio che guarda"dentro" le case degli abitanti.L'occhio che guarda dentro le case è una figura concretissima e simbolica allo stesso tempo: IlGrande Fratello. Orwell conosceva bene il totalitarismo. Quando scrive 1984 il Nazismo è statosconfitto pochi anni prima e l'URSS è nel suo momento di maggiore forza.L'idea di Totalitarismo disegnata coglie anche aspetti di società che Orwell stesso considerava de-mocratiche, come quella inglese: durante una guerra anche una società democratica è sottopostacontrolli oppressivi che limitano le libertà dei cittadini. Quando Orwell disegna in forma roman-zesca il regime totalitario ha ben presenti la Germania naziasta e l’URSS, ma il suo sguardo sa co-gliere anche pericoli ( o peggio ancora, promesse) di totalitarismo che pervadono le società demo-cratiche: questa è la ricchezza dell'analisi di Orwell.Il grande fratello è la figura che sta al vertice della macchina totalitaria. Nel regime disegnato in1984 viene inventata una Neolingua, che trasforma il parlare comune, forzandolo verso un lin-guaggio funzionale al totalitarismo. Il protagonista del romanzo, Winston Smith, lavora in un uffi-cio particolare, una specie di archivio in cui le memorie del passato vengono continuamente rielabo-rate in funzione della volontà politica del momento. Nel disegnare questo archivio Orwell "ci pi-gliava", anche se lui non aveva notizie al riguardo, quella di rielaborare fotografie e notizie in fun-zione della congiuntura politica di chi comandava in quel momento era una pratica diffusissimanell'URSS:

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• ESEMPIO = inizio del 1917, primi segnali di quella che sarà poi la Rivoluzione d'Ottobre.La Russia sta combattendo la Prima Guerra Mondiale con esiti disastrosi disastrosa contro laGermania. Lenin, esule Svizzera, tornerà in patria in treno attraversando la Germania conl’assenso delle autorità tedesche, che lo lasciano passare per consentirgli di far quello chepoi farà, la Rivoluzione, con la conseguenza di far uscire la Russia dalla guerra. Lenin arri-va quindi alla Stazione Finlandia di Pietroburgo (che durante la guerra aveva cambiato nomein Pietrogrado, poichè il suffisso "_burg" è di derivazione tedesca, sarebbe risultato moltoimbarazzante, invece"_grad" è un suffisso slavo). Sceso dal treno improvvisa un comiziocon altri dirigenti del Partito Bolscevico tra cui Trockij. La figura di Trockij la ritroveremopiù tardi nella propaganda stalinista a rappresentare il nemico mortale della costruzione diuno stato sovietico. La fotografia che scattarono quel giorno alla stazione Finlandia a Leninverrà utilizzata durante lo Stalinismo ma con l'effige di Trockij cancellata.

Un lavoro del genere fa Winston Smith nel suo archivio.

Nella vicenda del libro il mondo di cui fa parte Smith è diviso in 3 grandi stati che si fanno la guer-ra fra di loro e cambiano continuamente alleanze: il lavoro di Smith consiste anche nel riscrivere idocumenti del passato in modo da giustificare sempre le nuove alleanze.Anche questa è una cosa che conosce bene perchè poco prima della guerra URSS e Germania sonoalleate.Il libro disegna una società totalitaria ispirandosi al periodo in cui viene scritto, siamo infattiall'indomani della Seconda Guerra Mondiale ed è iniziata la Guerra Fredda.La fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945 vede tra i perdenti:

• Giappone;• Germania;

: Italiae tra i vincitori:

• USA;• Inghilterra;• Francia;• URSS (nel 1941 l'Alleanza con la Germania che dura dall'inizio della guerra, verrà meno

perché Hitler invaderà l'URSS che combatterà con coraggio, anche a detta degli alleati oc-cidentali, per liberarsi);

C'è una contrapposizione di tipo ideologico che differenzia i due sistemi :• USA = Capitalismo Democratico;• URSS = Totalitarismo, Socialismo.

La guerra finisce in un clima per cui in un primo momento sembra che questi due sistemi, cos ì lon-tani, abbiano trovato nello scongiurare l'enorme pericolo del Nazismo una sostanziale unità d’inten-ti. Nel 1945 viene fuori l'orrore della Shoah e si capisce con più forza qual è il pericolo che ilmondo civile aveva corso: questo è uno dei motivi del provvisorio riavvicinamento.Passa poco tempo e , usando le parole di Churchill, "una cortina di ferro” si è interposta tra mondooccidentale e orientale: Una “cortina” passa in Europa lungo la linea che divide gli stati democraticida quelli comunisti ( sono gli stati che faranno parte del Patto di Varsavia, ossia quegli stati liberatidal nazismo dall'Armata Rossa, la cui presenza nell’immediato dopoguerra e l’affermazione e inbuona misura l’imposizione di regimi comunisti. Parliamo di

• Romania;• Ungheria;• Bulgaria;• Cecoslovacchia;• Germania Est (vs Germania Ovest, legata agli USA);

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Non è un dominio propriamente di tipo coloniale quello che l’URSS esercita su questi paesi ma èun'oppressione a volte violenta (carri armati russi in Ungheria, 1956; in Cecoslovacchia 1968)La Germania è un punto di frizione tra questi due sistemi. Quando prende corpo la Guerra Freddauno dei suoi più importanti scenari è il paese più avanzato d'Europa a livello industriale e che ora,sconfitto, doveva pagare i suoi debiti.La Guerra Fredda è soprattutto di propaganda, ma in certi momenti diventa calda: nel 1950-3 conla guerra di Corea e più tardi con la guerra del Vietnam

Tornando a Orwell, il grande successo del libro è dovuto anche al fatto che trova un pubbli-co interessato a questo tema, che conosce il totalitarismo.Viene usato propagandisticamentedagli USA contro l'URSS (una delle letture che si possono fare di quest'opera porta infatti auna critica radicale del regime sovietico).

L’aspetto forse più interessante della della figura di Orwell si origina dal fatto che fosse un autore eun intellettuale di sinistra, con un percorso di sinistra e che la sua denuncia del totalitarismo di toc-chi violentemente l’URSS, che invece continua ad essere difesa da gran parte dell’intellettualità disinistra mondiale. Non è un caso che un mio libro su Orwell, abbia come sottotitolo La solitudinedello scrittore.

Il mondo a quei tempi era diviso tra partigiani della democrazia politica e del capitalismo (USA) epartigiani del comunismo (URSS). Ma non tutti i partigiani dell’URSS sono da considerarsi stalini-sti. I comunisti italiani ad esempio sono nel dopoguerra molto legati all'URSS e prendono una posi-zione a loro favore, ma se avessero vinto le elezioni in Italia non avrebbero mai adottato i sistemi diStalin. La sinistra internazionale non ha nel complesso posizioni staliniste ma l'URSS è consideratacomunque, seppur coi suoi limiti e difetti, la casa madre dei lavoratori. Orwell è un uomo di sinistra che si schiera nella Guerra Fredda dalla parte delle democrazie occi-dentali, dicendo a colleghi intellettuali "State attenti che voi non dicendo la verità su che cos'èl'URSS, state disperdendo il patrimonio della sinistra che prima di tutto è un patrimonio di verità".Secondo Orwell il nucleo teorico e psicologico su cui si basa il totalitarismo è il rifiuto, o meglio latotale indifferenza alla verità. Nei paesi comunisti la verità è per definizione solo quella pronun-ciata dal regime. Parola chiave = VERITA' . Diversamente da altri pensatori del '900 Orwell è con-vinto che esista una verità e una giustizia basate su valori universali.Orwell nasce in India nel 1903, figlio di un funzionario della polizia coloniale che lavorava all'inter-no di un ufficio che si occupava del commercio della droga. Ritornerà con la mamma e le sorelle inInghilterra a 4 anni, il padre rimarrà qualche altro anno in India. La famiglia non è molto benestan-te, i funzionari coloniali tornati in patria non hanno i privilegi e il trattamento che hanno in India,Ma la famiglia di Orwell ha un'origine aristocratica, e per questo motivo si considera parte integran-te della classe dominante. Questo spiega con mandino il giovane Orwell a a studiare nell ’esclusivaEton. Una volta terminato il college non andrà all'università, farà un concorso e farà lo stesso me-stiere del padre. Arriva in Birmania nel 1928 e vi rimarrà per 5 anni. Deciderà di lasciare la poliziacoloniale, poiché si sente come un aguzzino nei confronti della popolazione birmani. Si presenterà ai genitori dicendo che vuole diventare uno scrittore e partirà alla volta di Parigidove farà il barbone con lo spirito dello scrittore, cioè pet riferirne in un libro. Lavorerà comesguattero nei ristoranti, frequenterà ricoveri di mendicità, dormirà per strada, ma sa che dovrà scri-vere di quello. Il libro si intitolerà “Senza un soldo Parigi a Londra" e in esso assumerà un modo discrittura che non è quello proprio del romanziere : parlerà in prima persona della sua esperienzama senza il patto col lettore per cui si presenta come un narratore veritiero. In "Giorni in Birmania"il riferimento autobiografico è ancora più tenue, anche se presente: c'è un un personaggio descrit-to in terza persona, un commerciante, di cui si racconta la storia per parlare e denunciare il sistemadi oppressione coloniale. "La strada di Wigan Pier" è ambientato negli anni post crisi del '29, quan-do in Inghilterra si ha una prolungata disoccupazione di massa e ciò comporterà la cancellazione di

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intere comunità, in particolare villaggi minerari. Orwelll racconta in presa diretta la realtà del suotempo, si reca in uno di questi villaggi minerari e ce li racconta in prima persona, autorappresentan-dosi come un giornalista-scrittore. Un suo libro importante quasi come 1984 è quello relativo allaGuerra Civile Spagnola, che scoppia nel 1936 dopo che le sinistre vincono le elezioni a Febbraio ecercano di realizzare un programma di riforme socialiste, tra cui una riforma agraria. Ciò significauno sconvolgimento dei rapporti sociali in gran parte del paese, nelle campagne infatti è particolar-mente forte il dominio delle vecchie classi dirigenti.L'esercito non guarda con simpatia le sinistre algoverno perché vicino alle classi dirigenti tradizionali e perchèé teme di perdere molti privilegi. Imilitari attuano un colpo di stato nel luglio 1936 che riuscirà a metà, perché Madrid e Barcellonanon vengono conquistate. A difesa del governo legale nascono le milizie repubblicane, mentre indifesa della capitale accorreranno milizie di stranieri militanti nei partiti comunisti e antifascisti,prendendo il nome di Brigate Internazionali. Madrid e Barcellona cadranno rispettivamente alla finedel 1938 e nei primi mesi del 1939Orwell è uno tra i molti inglesi che vanno a Barcellona per combattere contro i militari che hannopromosso il colpo di stato e che hanno come leader Franco. Alla fine del 1936 Orwell partirà a Pa-rigi per accreditarsi presso gli organizzatori delle Brigate Internazionali, poi prenderà un treno e,dopo aver attraversato i Pirenei arriverà a Barcellona e verrà reclutato in un gruppo chiamatoPOUM (Partido Obrero de Unificaciòn Marxista), un piccolo partito di sisnistra con una fisionomiaparticolare perchè antistalinista. Ciò lo mette in contrapposizione con i comunisti spagnoli chesono aiutati soprattutto dall'URSS.Dalla parte di Franco troviamo i regimi totalitari europei, l'Italia ha infatti un forte peso nel colpo distato perché Mussolini fornisce Franco di armamenti e uomini, tanto che in alcune battaglie trovia-mo italiani che combattono contro altri italiani.Orwell verrà mandato sul fronte d'Aragona a 150 km da Barcellona, dove farà il suo dovere di sol-dato, ma nel Maggio del 1937 ci saranno degli scontri interni allo spiegamento repubblicano, la cuiragione è politica:

• da una parte troviamo il POUM composto da esponenti di una sinistra radicale (ritenuti sim-patizzanti di Trockij, quindi da liquidare: in quel periodo infatti Stalin aveva l'ossessione pa-ranoica di voler liquidare Trockij);

• dall'altra i comunisti che sono pronti a fare molti compromessi per governare, e mettono alprimo posto l'unità delle diverse componenti sociali dello schieramento contro Franco;

il conflitto da politico si trasforma a un certo punto in conflitto armato: Anarchici ed esponenti delPOUM occupano il palazzo della Telefonica in Plaza Catalunya: la risposta delle milizie comuni-ste è quella di assediarlo. Orwell senza entusiasmo si trova a parteggiare per il POUM. Poi lasciaBarcellona, e quando vi ritornerà scoprirà di essere oggetto delle ricerche da parte dei comunistiche stanno liquidando fisicamente gli oppositori. Orwell riuscirà, assieme alla moglie, a sfuggireagli stalinisti e a tornare in Inghilterra.In “Omaggio alla Catalogna”, che Orwell scriverà appena tornato in Inghilterra, troviamo raccon-tato in chiave autobiografica queste vicende. L'aspetto che più interessa Orwell in questa narrazio-ne, ed è anche ciò che gli rende odiosi i comunisti/stalinisti non è il fatto che rispondano col fuocoall’ offensiva degli anarchici, ma i contenuti deliberatamente falsi della propaganda contro di loro.In questo uso della menzogna vede la chiave stessa del totalitarismo "Il motore primo della macchi-na totalitaria -scrive Orwell- non è lo stivale del potere che ti preme sulla faccia e ti schiaccia, mala falsità”. In questo senso, possiamo considerare “Omaggio alla Catalogna” come una premessa di“1984”

Hannah Arendt*

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Arendt, Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover1906 - New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciatouna originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici esociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg conJaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavoròa Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti,dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruc-tion. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago(dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il proble-ma dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomocon gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitari-anism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importantianalisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania na-zista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgeredell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della societàdi massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cuiprincipio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The hu-man condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sferapubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonistadella vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo ilmodello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità delmale come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli indivi-dui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi dellarivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre li-bertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle fun-zioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). Inpolemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe comefilo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronteall’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumiPensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind(post. 1978; trad. it. La vita della mente).

The origins of totalitarianism

The fact that Hannah Arendt was a Jewish refugee from Nazi oppression cannot bedivorced from The Origins of Totalitarianism. Written with eminent scholarship thebook nevertheless is a passionate condemnation of totalitarianism. Arendt, in short,was searching for the intellectual roots of the movement that had displaced her from

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her native Germany and had made her a refugee in a world decidedly unfriendly to-ward Jews. The work is divided into three sections: “Antisemitism,” “Imperialism,” and “Totalita-rianism,” with the last two parts having been revised in the 1958 and 1966 editions. Itis Arendt’s thesis that the two most important contributions to totalitarian movementshave been anti-Semitism and imperialism. In the first three chapters, Arendt discussesthe origins of anti-Semitism and the position of the Jews in Western European soci-ety, particularly in the late eighteenth and the nineteenth centuries. She differs frommany scholars in taking issue with the Jew-as-scapegoat analysis of anti-Semitism;instead, she attempts to demonstrate that anti-Semitism arose from several causes. Itwas a consequence of the declining importance of Jews, particularly Jewish bankersin the nineteenth century, the rise of the nation-state, and the emergence of a newtype of nationalism in which the Jews were perceived as an alien element in the na-tion. Moreover, Jews had historically aligned themselves with the nobility, a classthat had been in a position of power and so was able to protect them. Now, the nobil-ity was seen as the major impediment to the formation of unified nation-states, andthe Jews were perceived as the nobility’s lackeys.Part 2, “Imperialism,” consists of five chapters. Each discusses an aspect of imperial-ism, but the thrust is the development of racism as a consequence of imperialism andthe consequences of racism. Imperialism and racism went hand in glove, according toArendt, and it was imperialism that brought Europeans into contact with nonwhitepeoples, peoples the Europeans believed to be culturally inferior and who were in-creasingly seen to be racially inferior as well.Given the presence of such colonial populations, Europeans were more easily able toabandon whatever moral scruples they possessed. The natives thus were never giventhe rights that the inhabitants of the home countries were afforded, and, particularlyin Africa, brutality—even mass murder—was not unusual.The expansionist climate would result in the pan-movements in Europe. The philo-sophy of these was that all people who spoke a particular language as their mothertongue were of that nationality. For example, and regardless of political frontiers, allwho spoke German were Germans and belonged within one unified German state. Inshort, imperialism aided the formation of supernationalist sentiments, and, by thesame token, supernationalist emotions helped to create the collective mass conscious-ness necessary for the development of totalitarianism.The third and final section of The Origins of Totalitarianism, which consists of fourchapters, deals directly with totalitarianism, concentrating on Nazi Germany andCommunist Russia, although more space is given to the former than to the latter.Given a climate of anti-Semitism and supernationalism, Arendt adds another element:“mass man,” the refugee within his own society, a man led by declassed intellectuals. A new factor was added in the twentieth century: the presence in great numbers ofmass men. These atomized individuals had no attachment to job, family, friends, orclass. They were available to follow a leadership that allowed them to gain identity ina mass movement. No matter how brutal or irrational such a movement might be, itnevertheless offered a sense of identity to those who had never sufficiently gainedone or who had lost the one they had possessed.

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Eichmann in Jerusalem

Eichmann in Jerusalem was originated when Hannah Arendt went to Jeru-salem in order to report, for The New Yorker, on the trial of Otto AdolfEichmann, who was accused of crimes against the Jewish people, crimesagainst humanity, and war crimes. The trial began in April 15, 1961. TheNew York Times had announced Eichmann's capture by Israeli agents inArgentina, in May 24, 1960. Israel and Argentina had discussed Eich-mann's extradition to Israel, and the United Nations finally decided the leg-ality of Jerusalem Trial. Arendt's first reaction to Eichmann, "the man in the glass booth," was —nicht einmal unheimlich — not even sinister." She argues that "The deedswere monstrous, but the doer ... was quite ordinary, commonplace, andneither demonic nor monstrous." Arendt's perception that Eichmannseemed to be a common man, evidenced in his transparent superficialityand mediocrity left her astonished in measuring the unaccounted evil com-mitted by him, that is, organizing the deportation of millions of Jews to theconcentration camps. Actually, what Arendt had detected in Eichmann wasnot even stupidity, in her words, he portrayed something entirely negative,it was thoughtlessness. Eichmann's ordinariness implied in an incapacityfor independent critical thought: "... the only specific characteristic onecould detect in his past as well as in his behavior during the trial and thepreceding police examination was something entirely negative: it was notstupidity but a curious, quite authentic inability to think." Eichmann had always acted according to the restrict limits allowed by thelaws and ordinances. Those attitudes resulted in the clouding between vir-tues and vices of a blind obedience. In fact, it was not only Eichmann, asan isolated person, who was normal, whereas all other bureaucrats weresadist monsters. One was before a bureaucratic compact mass of men whowere perfectly normal, but whose acts were monstrous. Behind such ter-rible normality of the bureaucratic mass, who was able to commit thegreatest atrocities that the world has even seen, Arendt addressed the ques-tion of the banality of evil. This normality opened up the precedent regard-

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ing the possibility that some attitudes commonly repudiated by a society— in this case the Nazi German attitudes — find as a locus of manifesta-tion the common citizen, who has not reflected on the content of the rules.Arendt emphasizes that the absence of critical thinking was commonamong "Eichmanns." Such absence could directly affect the evil-doing thatbecame banal by the fact that this block of Eichmanns did not exercisetheir capacity of thinking.Thus, for Arendt, it is not true that "there is anEichmann in each one of us," and that the banality of evil has a common-place in each of us. In fact, there was a deep inclination of a whole societyto not exercise the faculty of thinking. The notion that the banality of evil has "no-roots" is inherently connectedwith Arendt's understanding that only the faculty of thinking can reach theprofundity, and consequently reach the roots. In one of the clearest mo-ments about this Arendt says: "I mean that evil is not radical, going to theroots (radix), that is has no depth, and that for this very reason it is so ter-ribly difficult to think about it, since thinking, by definition, wants to reachthe roots. In other words, the more superficial someone is, the more likelywill he be to yield to evil. An indication of such superficiality is the use ofclichés, and Eichmann, ...was a perfect example." "Thinking is the only activity that needs nothing but itself for its exercise." Let us raise the question that comes naturally from the two former topic:How, then, does the faculty of thinking work in order to avoid evil? Firstof all, according to Arendt, the moral and ethic standards based on habitsand customs have shown that they can just be changed by a new set ofrules of behavior dictated by the current society.In Personal Responsibilityunder Dictatorship, Arendt emphasizes: "It was as though morality, at thevery moment of its collapse within an old, highly civilized nation, stoodrevealed in its original meaning, as a set of mores, of customs and man-ners, which could be exchanged for another set with no more trouble thanit would take to change the table manners of a whole people." (28) Thence-forth, Arendt claims the bridge between morality and the faculty of think-ing. In this same article quoted above she asks how is was possible thatfew persons resisted the moral collapse and had not adhered to the regime,despite any coercion. Arendt herself answers: "The answer to the ...ques-tion is relatively simple. The nonparticipants, called irresponsible by themajority, were the only ones who dared judge by themselves, and theywere capable of doing so not because they disposed of a better system ofvalues or because the old standards of right and wrong were still firmlyplanted in their mind and conscience but, ... because their conscience did

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not function in this, as were, automatic way, ... they asked themselves towhat an extent they would still be able to live in peace with themselvesafter having committed certain deeds; and they decided that it would bebetter to do nothing, not because the world would then be charged for thebetter, but because only on this condition could they go on living withthemselves." Arendt clearly attributes to the faculty of thinking the presupposition forthis kind of judging extremely necessary in times of moral collapse, that isto say, "when the chips are down." Arendt argues: "The presupposition forthis kind of judging is not a highly developed intelligence or sophisticationin moral matters, but merely the habit of living together explicitly withoneself, that is, of being engaged in that silent dialogue between me andmyself which since Socrates and Plato we usually call thinking." One of Arendt's main concerns about the faculty of thinking was the factthat a whole society can succumb to a total changing of its moral standardswithout its citizens emitting any judgment about what has happened.Arendt chooses Socrates as her model of thinker, "a citizen among cit-izens," insofar Socrates thought "...simply for the right to go about examin-ing the opinions of other people, thinking about them and asking his inter-locutors to do the same." Socratic thought follows an aporetic movement,whose argumentation does not intend to achieve any concept or definitionabout the inquired subject. Arendt had claimed that "If there is anything inthinking that can prevent men from doing evil, it must be some propertyinherent in the activity itself, regardless of its objects." Such a form of pre-venting evil is located in the process of thinking itself. This Socratic move-ment of thinking provokes essentially the perplexity, putting the estab-lished standards in movement, as if the perplexity has the power to dis-lodge the individuals from their own dogmas and rules of behavior. Taking the Socratic propositions, Arendt points out the only criterion thatSocrates attributes to the faculty of thinking: "agreement, to be consistentwith oneself, its opposite, to be in contradiction with oneself, actuallymeans becoming one's own adversary." What Arendt has pointed out in claiming such criterion of noncontradic-tion, as a sine qua non condition for the thinking process, is to stress howdangerous the deeds can be when the actor does not exercise the inner dia-logue with himself in order to examine the events in front of his eyes.Arendt is trying to avoid adherence by men to any moral, social, or legalestablished standards without exciting their capacity of reflect, of thinking,based on an internal dialogue with themselves about the meaning of such

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happenings. The thinking process, by its inner form of working, wants toreach the roots, which compels meaning through remembrance. The banal-ity of evil which appeared through Eichmann made evident how superfi-cial the phenomenon of evil could show its face. The evil could spread outas fungus under the surface, by a mass of citizens that did not reflect onevents, did not ask for significance, nor made a dialogue with themselvesabout their own deeds. Arendt says: The greatest evildoers are those whodon't remember because they never given the matter a thought; nothing cankeep them back because without remembrance they are without roots.

* I testi su Hannah Arendt sono tratti da diverse fonti, tra cui la Enciclopedia Trecca-ni e un saggio di Bethania Assy, The Banality of Evil.