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Storia dell'associazione culturale Arrivo

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Storia dell'associazione culturale Arrivo, dal 2001 al 2010. Raccolta di tutte le attività.

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di Nicola Castellini

Storia

dell’Associazione Culturale

Arrivo

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CesvolCentro Servizi Volontariatodella Provincia di Perugia

Via Sandro Penna 104/106Sant’Andrea delle Fratte06132 Perugiatel.075/5271976fax.075/[email protected]@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il patrocinio

della Regione Umbria

Stampa: Digital Point (Ponte Felcino - PG)Edizione: Febbraio 2010Progetto grafico e videoimpaginazione

Chiara Gagliano

© 2010 Copyleft Nicorights

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I QUADERNI DEL VOLONTARIATO,

UN VIAGGIO ATTRAVERSO UN LIBRO NEL MONDO DEL SOCIALE

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nel-l’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifi-co nell’area della pubblicistica del volontariato.

L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temidi interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio diesperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato orga-nizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusionedi argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quel-li presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle temati-che sociali.

La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzio-ni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alleassociazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria colla-na editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti edalle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale.

I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto perchiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi distudio ed approfondimento.

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

Un giorno di parecchi anni fa, da Ponte San Giovanni, una freccia fuscagliata. Era una freccia di carta ma non per questo meno pungente diuna freccia vera, di legno, piuma e metallo.Una freccia strana, che non va dritta, che non cade, ma che, mossa dallabassa ed alta pressione della passione e del cedimento, del rossore e delpallore di tanti bersagli più o meno casuali o karmici, ondeggia su e giùe gira in tondo attraverso le periferie delle anime e delle menti, dellospirito e dei corpi, alla ricerca del centro... . In realtà no, non si accetta questo. Il centro del bersaglio è dove la frec-cia passa, non dove arriva. Il centro da cento punti non è un luogo daavvicinare, ma un luogo da attirare, senza mediazioni.Il centro è la punta della piramide e la freccia che è Nicola non vuolescalare la piramide, non vuole entrare nel mercato, non vuole pacchesulle spalle, leccate di culo, pompini più o meno metaforici, sorrisi acentomila denti più iva.La piramide deve crollare, e la sua punta sarà sulla sabbia, a mo’ di fer-macarte per centomila poesie e racconti, e note e gesti sinceri e teatra-li.La freccia preferisce muoversi su e giù e di qua e di là evitando queibei cerchi concentrici che nascondono affiliazioni di comodo, compro-messi e la grande ombra della realtà sociale che ci vogliono insegnare,che ci raccontano come se fosse vera.Poverini gli altri, quelli che credono di vivere nel migliore dei mondipossibili. Noi sappiamo perché lo sentiamo e lo vediamo qual è ilmondo migliore. E nel momento che lo sappiamo, lo rendiamo reale.Vale per noi? Ok. Peggio per loro. Noi ci viviamo e ci piace ed è unalotta ed una ricerca, è amore e rabbia, è malattia mentale ed incoeren-za, è andare sui pattini con un pattino solo, danzando e gridando.E' iniziare qualcosa, realizzarla forse, ma mai trascinarla oltre il nostroreale: quando finiscono le pile non andiamo a cambiarle al negozio delpiano di sopra. Al contrario scendiamo nei vicoli e nelle fogne, entria-mo nei luoghi meno consoni, negli spazi più inimmaginabili, nellecaverne della nostra psiche, ad intersecare le energie che abbiamo conquelle di chi passa di là, attratto dall'aria come un sommozzatore inapnea, attratto dai colori come un cieco che si scopre pittore, recupera-ta la vista.

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

Resterà la freccia, e tutta una faretra di frecce scagliate, quando i cellu-lari ed i televisori si spegneranno, quando i nostri politici e le loro pira-midi di merda secca saranno appesi in via della gabbia al pubblico ludi-brio, alla pubblica vendetta, alla comune giustizia di chi con le cravat-te ci lava i vetri delle finestre.Ed allora potremo associarci davvero, perché sapremo che è possibilee lo sapremo perché l'abbiamo già fatto, come dei pazzi, come dei bam-bini dorati, come dei cuori infranti che non rinunciano a battere il ritmogiusto della vita.Si può dire forse che non sappiamo fare le cose, che le facciamo male,che scazziamo tutto. Fa ridere perché non è così. In verità le nostremodalità di realizzazione personale nel mondo non le decidono gli altri.A noi sta bene così, non essere mai soddisfatti, vivere come ci pare,seguire l'istinto profondo e mai e poi mai accettare di stare zitti e buonia produrre-consumare-crepare. Ed intanto, come un lago nella savana,attirare tutti gli animali, i bersagli che non muoiono quando sono col-piti ma semmai s'innamorano. Chi ha scagliato la freccia che è Nicola?Eros? O Diana in un momento di follia? Giove castrato? Mercurio dro-gato?Mah!Perugia è una piccola noia nella noia del Nuovo Ordine Mondiale.Anche gli artisti sono noiosi, a volte, nella piccola noia che è Perugianella grande noia del Nuovo Ordine Mondiale.Io mi annoio ma ogni tanto la freccia mi colpisce con stupore, novità,imprevedibilità, libertà, sincope e controtempo. E le frecce della nostrafaretra non uccidono, fanno solo il panico, e noi ridiamo, perché dalpanico si genera movimento: le zebre caricano sulle spalle le antilopianoressiche, i coccodrilli si ubriacano senza dentiera, i leoni miagola-no e cercano di salire sugli alberi. E tutti fanno pace e si danno in pastoreciprocamente, a chi ha fame.Un pasto indigesto, forse troppo salato, che deve sconfiggere l’inappe-tenza, senza orpelli da chef. La fame vien mangiando.

Fabrizio Bellini

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INDICE

Introduzione Fabrizio Bellini 4Premessa Nicola Castellini 7Statuto dell’Associazione Culturale Letteraria Arrivo 9Atto Costitutivo dell’Associazione letteraria Arrivo 12Il Futuro 29Parte Seconda 30Parte Terza 36Corso diverso di scrittura 37Programma di Studi 39Seminario “Lo scrittore relativo” cenni di paralleli orali e graffiti precedenti 44Virginia Woolf 75Isabella Santacroce 77Nostra Signora dei Turchi 81Lewis Carroll 82James Joyce 84Christine Angot 86Sibilla Aleramo 87Ringraziamenti 113Contributo letterario di una splendida associata 114Conclusioni 116Anime che hanno attraversato il nostro cammino e che ci piace fermare su carta. 118

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Il compito a cui sono stato chiamato grazie al cielo dal Cesvol, didescrivere, di fare un libro che parli dell’associazione culturale ARRI-VO mi impone di ordinare le idee e tentare di descrivere un percorsocominciato il 31 ottobre 2001 in una casa in campagna per volontà mia. Vorrei fare una premessa dicendo che questo elaborato non è frutto diun lavoro collettivo, assai complicato da eseguire con la scrittura, piut-tosto è frutto di lavoro collettivo in quanto parla di una associazione,ma è redatto dal sottoscritto quale figura trainante e di riferimento,insomma maggiormente proponente di questa strana struttura che sichiama associazione culturale ARRIVO. Oltre che rappresentante legale, mi sono adoperato, spesso con corag-gio, altre volte con testardaggine, per cercare di costruire un... bunkerin cui riversare la mia idea sociale e ci sono voluti otto anni di lavoroquotidiano prima di aprirsi all’esterno in maniera più “organizzata”,quando per organizzata si intenda avere a che fare con le esigenze del-l’arte, dell’artista, del suo credo (a) politico, della sua (in) disciplina,me compreso. Sono stato oggetto di critiche, per fortuna direi, in cui inun certo senso sono entrato in crisi per poi andare oltre, e rivedere,limare, raffinare o semplificare quasi tutto. Quando scrivo sono abitua-to a tirare fuori la mia parte istintiva, per cui scrivo di getto non piani-ficando a tavolino voci, paragrafi e sezioni e difficilmente torno a cor-reggere o fare revisioni, mi sembra uno stravolgimento della purezza.Ogni lettera messa ha una sua logica e importanza, come un BigDomino Rally. In passato ho, pentendomene, cambiato qualche virgo-la.Il fatto è che se si attiva il “censore” interno e prende il sopravvento sirischia di stravolgere il testo nella sua originaria bellezza tagliando quae là e il discorso non torna. Col mezzo informatico questo procedimen-to si è amplificato, basta pigiare un bottone e il gioco è fatto.Giochiamo.In quel periodo frequentavo un poeta colombiano conosciuto duranteun reading al locale La Tana Latina di un certo Carlos, che lo gestivada diverso tempo. Lì ci incontravi persone col comun denominatorerelativo all’arte. L’arte come tentativo di esporre le proprie idee e di farconoscere la propria cultura. Carlos è peruviano e ha suonato per annicon un gruppo chiamato Amerinka. Un mio amico che frequentava da

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anni il posto, amante della cultura sudamericana, mi invitò ad ascolta-re un poeta colombiano, Gustavo Taylor, che recitava il Don Chisciottein castigliano. Quella sera le luci erano soffuse, le candele accese, eGustavo trasudava energia ed emozione durante la sua performance.Un altissimo esempio di poesia orale, che mi colpì per intensità e uma-nità. Riuscii a parlarci al termine della sua performance chiedendogliun accendino. Il fuoco della fiamma fu subito per noi motivo di inte-resse. Gustavo abitava in una “acienda”, in una casa colonica dellacampagna di non ricordo il nome, una casa dove aveva il suo apparta-mento arredato in semplicità, con un camino, tantissimi libri, musica,videocassette. Era sposato con una donna italiana ma non vivevano piùassieme. Gustavo lavorava per conto dell’Arci e andava a insegnarequalcosa presso le carceri ai detenuti. Fin dai primi incontri a casa suacapii che quest’uomo era molto ricco interiormente. Parlavamo a lungodi letteratura, soprattutto, ideando e fantasticando di scrivere un libroinsieme. In quel periodo mi vedevo spesso con una ragazza di Città diCastello con cui avevo una relazione. Vivendo con mio padre però nonpotevamo dormire assieme, e Gustavo mi offrì le chiavi di casa percondividere i suoi spazi coi miei. Questo gesto mi portò a pensarlocome un uomo di fiducia. A poco a poco portai a casa di Gustavo unmio carissimo amico che era tornato a casa da poco dopo una lungaesperienza di ricostruzione personale in seguito a vicende personalimolto sofferenti. Daniele accettò. Seguirono altri incontri e piano pianoprese forma l’idea di costituire una associazione culturale. L’idea prin-cipale era quella di, soprattutto da parte mia, organizzare un festival diletteratura dal respiro internazionale. L’idea di tutti era di far circolarele idee, la passione per i libri, e per l’arte in generale. Daniele infatti èun ottimo computer graphic che lavora in uno studio professionale, siinteressa di pittura e fotoritocco. La base di partenza era per tutti la let-teratura, ma anche la musica. Inizialmente avevamo pensato a unaassociazione culturale LETTERARIA ma poi stabilimmo di avere unostatuto che indicasse idee a più ampio respiro. Così studiai gli statuti dialtre associazioni, e mi capitò per le mani lo statuto modello delle asso-ciazioni facenti capo all’Arci. Ne carpii i principi base, e scrivemmo lostatuto in modo che descrivesse più semplicemente possibile le futureattività dell’associazione.

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STATUTO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE LETTERARIAARRIVO

Art. 1) È costituita l’Associazione Culturale Letteraria Arrivo.

Art. 2) L’Associazione ha sede legale a Perugia, in Via Catanelli 2 06135.

Art. 3) L’Associazione non ha fini di lucro.

Art. 4) L’Associazione ha come scopo ed attività istituzionale, in par-ticolare, la promozione di attività culturali e letterarie e la costi-tuzione di un luogo di incontro fra gli associati, a scopo ricreati-vo, per contribuire allo sviluppo culturale e civile dei soci¹, perfavorire la conoscenza reciproca, e prevenire situazioni di disa-gio, solitudine, emarginazione e intolleranza.

Art 5) Possono far parte dell’Associazione tutti coloro i quali, condivi-dendo le finalità del presente statuto intendono partecipare alleattività organizzate dall’Associazione per il raggiungimentodelle stesse.

Art 6) Il fondo patrimoniale dell’Associazione è indivisibile ed è costi-tuito:

a) dal patrimonio mobiliare e immobiliare di proprietàdell’Associazione;

b) dai contributi annuali e straordinari degli associati;

c) dai contributi, lasciti ed erogazioni diversi;

d) da tutti gli altri proventi, anche di natura commerciale, eventual-mente conseguiti dall’Associazione per il perseguimento o il sup-porto dell’attività istituzionale.

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Art 7) Per tutto quanto non previsto espressamente dal presente Statutosi rimanda alla normativa vigente in materia.

¹ Questo aspetto non è accettato dalla Regione, in quanto deve rivolgersi aiterzi, e non ai soci.

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Per noi era importante il QUARTO punto perché ci riguardava, era pro-prio qualcosa che ci apparteneva per la quale volevamo combattere.Facemmo la riunione che doveva stabilire l’atto costitutivo ed il nome.Io, Daniele e Gustavo. Si era d’accordo che ci dovevano essere tre posi-zioni nel direttivo. Solo che non riuscivamo a metterci d’accordo sulnome. Io proponevo associazione culturale PUNK, per dare un segnodi protesta verso la società dormiente e ipnotizzata dalla televisione chepensavo mi circondasse. Daniele propose invece JUNGLE, per deimotivi che non ha mai spiegato, per lui era quello il giusto nome, puntoe basta. Gustavo propose KADMO, giustificando la scelta col fatto cheera il nome di un Dio della scrittura. Non riuscivamo a venirne a capo,si era in silenzio indecisi sul da farsi, quando arrivò una telefonata alcellulare di Daniele: era sua madre che lo cercava. Daniele risposesolamente con una parola, “Arrivo”. Per me era un segnale chiaro, edissi che avevamo finalmente trovato il nome, ARRIVO! Daniele fusubito concorde, mentre Gustavo aveva qualche riserva, non capiva ilperché. Era il più grande fra noi tutti e per lui le cose dovevano proce-dere piano, si riteneva un uomo di altre epoche. Gli spiegai che a mepiaceva lavorare così, cogliere l’attimo. E che poi eravamo in due adessere d’accordo, io e Daniele, per cui eravamo in maggioranza. Si sta-bilì allora il nome, associazione culturale ARRIVO, redigendo l’attocostitutivo.

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ATTO COSTITUTIVO DELL’ASSOCIAZIONE LETTERARIAARRIVO

In data 29 Ottobre 2001 alle ore 22.15 presso la futura sede sociale dellacostituenda Associazione culturale, sita in Str. S. Filippo Palazzo n.2 sisono riuniti i Sigg.ri Daniele Mazzoli, Nicola Castellini e GustavoTaylor per costituire un’Associazione Culturale Letteraria non a fini dilucro. I presenti chiamano a presiedere la riunione il Sig. CastelliniNicola il quale accettando l’incarico, nomina quale Segretario il Sig.Daniele Mazzoli. Il Presidente dell’assemblea illustra i motivi che hannospinto i presenti a farsi promotori dell’iniziativa volta a costituireun’Associazione Culturale non a fini di lucro. Tali motivi vanno ricerca-ti nella necessità di garantire uno spazio di libero confronto, di parteci-pazione attiva alla vita sociale e culturale, aperto e democratico, in cui igiovani e i cittadini tutti che lo desiderino possano sviluppare le proprieaspirazioni, nelle ragioni di quello stare insieme posto alla base della esi-genza associative. I motivi su cui si basa l’Associazione sono questi:

L’Assemblea con voto unanime dei presenti, delibera quanto segue:

1. che sia costituita l’Associazione ARRIVO;

2. che la sede dell’Associazione è fissata in Str. S. Filippo Palazzo n.2San Martino Perugia;

3. che l’Associazione non persegue finalità di lucro. È vietato distribui-re, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione, nonché fondi,riserve o capitali durante la vita dell’Associazione, salvo che la desti-nazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge.

4. che l’Associazione è un centro di vita associativa, autonoma, plurali-sta, apartitico, a carattere volontario, democratico. Scopo istituzionaledell’Associazione sono la promozione di attività culturali, turistiche, ericreative, nonche servizi, contribuendo in tal modo alla crescita cultu-rale e civile dei propri soci. L’Associazione intende attuare concreta-mente i propri scopi soprattutto attraverso le attività indicate all’art.4dello Statuto sociale;

5. che l’Associazione è regolata dallo Statuto sociale che si compone di7 articoli.

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Si procede quindi alla nomina del Consiglio Direttivo, e risultano elet-ti all’unanimità i Sigg.ri Daniele Mazzoli, Nicola Castellini e GustavoTaylor che presenti accettano la carica loro conferita. Gli stessiConsiglieri, come sopra nominati, eleggono Presidente il Sig. NicolaCastellini. L’Assemblea dichiara aperto il tesseramento per diveniresoci di detta Associazione, libero a tutti i cittadini a norma di statuto,salvo ratifica del Consiglio e fissa la durata degli organi direttivi prov-visori nominati in anni uno, termina al quale dovranno essere indetteelezioni per gli eventuali rinnovi.

Null’altro essendovi da deliberare l’Assemblea viene sciolta alle ore00.45.

Il Presidente

Nda. Come si vede c’è una discrepanza tra lo statuto e l’atto costituti-vo relativo alla sede. La ragione è che abbiamo messo lo statuto MODI-FICATO perché è quello attuale, la cui sede corrisponde alla residenzadel Presidente. I motivi vi si riveleranno proseguendo la lettura.

A questo punto non rimaneva che registrare gli atti. Mi feci prestare deisoldi necessari dalla ragazza di Città di Castello che frequentavo,Milena, a cui poi dedicai una drammaturgia, cioè un testo teatrale. Diquei soldi, diverse centinaia di euro servirono a registrare lo statuto el’atto costitutivo firmato da tutti e tre, la cui copia originale venne con-servata da Gustavo. Stavamo entrando nel mondo dell’associazioni-smo.

I primi tempi ci siamo presi dei momenti per decidere il da farsi. Nonera semplice per nessuno. Dopo qualche mese Gustavo ha un inciden-te in auto e gli viene attribuita tutta la colpa. È costretto a lasciarel’Italia, vittima anche della legge Bossi-Fini. Un duro colpo per noi.Non riusciamo neanche a salutarlo. Ci ritroviamo io e Daniele, a gesti-re un macchinario più grande di noi. Daniele con la sua calma olimpi-ca chiede di fare le cose con saggezza, lentamente. Intanto costruisce illogo e le tessere. Iniziamo quindi a tesserare le persone. La voglia di

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fare è enorme. Io che frequento il corso di teatro di Danilo Cremonte,chiamato Human Beings, conosco molte persone non italiane e parlo diquesta mia associazione. Black, un ragazzo giapponese appassionato divideo, decide di darmi una parte nel suo cortometraggio “I 47 minuti euna birra rossa”, che proietteremo tempo dopo al Circolo Island di viaMagnini. In me nasce la voglia di esprimermi teatralmente, metto suvelocemente un gruppo col quale realizziamo due rappresentazioniscritte, dirette e interpretate dal sottoscritto. La prima si chiamaMAGNUN E LAILA. Aprendo la mia enciclopedia a caso trovo uno splendido mito iranianoche sembra rifare il verso a Romeo e Giulietta, e decido immediata-mente di adattarlo, insieme a una amica nel giro di poco tempocostruiamo lo spettacolo e lo rappresentiamo dentro la chiesa di CaseBruciate², col teatrino interno, inaugurando una televisione web di unnostro conoscente. Fra il pubblico c’è tutto il corso di Human Beings.Le luci sono a cura di Massimo Guarnotta, le musiche che ho sceltosono di gusto mediorientale. Il video è disponibile sul sito di Vuze.com.È un tipo di teatro etrusco, per posizioni, posture del corpo e azioni sce-niche.

² Un quartiere di Perugia vicino la stazione centrale.

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Il discreto successo ci porta a studiare un seguito, che chiameròMAGNUN E LAILA II e rappresenterò al palco di Umbria Jazz unpomeriggio estivo del 2002 assieme all’amico Mounir e una sua cono-scente ivoriana. Arianna contribuisce con una voce preregistrata che dail richiamo alla prima rappresentazione. Il palco è quello di PiazzaleEuropa, che occupiamo. Il pubblico è affezionato, lo stesso che ha assi-stito alla prima. Rimaniamo soddisfatti, ma faremo una pausa di rifles-sione dalle rappresentazioni, che durerà circa un anno. Intanto il tesse-ramento è avviato e partecipiamo a diverse manifestazioni di protestadel centro Italia. In particolare a Firenze vengo intervistato da unavideomaker che mi chiede cosa facciamo e le rispondo che cerchiamodegli spazi, condivisibili, per dire la nostra. Ci viene in mente una sigla,OUU. Vogliamo che Arrivo sia un osservatorio universale umano, unapossibilità per dare spazio a chi non ce lo ha. La nostra rabbia nascenon a caso nel 2001, quando a livello politico le cose in Italia nonvanno molto bene. Le street e le manifestazioni hanno quello che stia-mo cercando. La protesta. Ma ancora non sappiamo canalizzarla.Aderiamo al progetto Indymedia (become a media) che ci illustra lepotenzialità dell’opensource e di un uso del web più vicino al liberoscambio delle informazioni. Il tesseramento prosegue, e cominciamo astudiare il prossimo spettacolo, che ci rivelerà a un pubblico maggiore.Succede che vado in vacanza in Sicilia con mia madre e una sua amica,in una casetta a Porto Palo di Menfi, provincia di Agrigento. Mi portovia la macchina per scrivere, una Hermes Standard grigia, svizzera.L’estate siciliana mi accende la fantasia. Scrivo di getto la favola delfuoco dopo un massaggio, e la metto assieme a una vicenda che mi èoccorsa. In pratica la ragazza che frequentavo, che mi ha prestato laconsiderevole somma per aprire l’associazione, non ha trovato simpa-tico il fatto che fossi andato in vacanza senza di lei e ha cominciato atelefonare a casa mia. Ha preteso e ottenuto un risarcimento in denaro,rimangiandosi la parola secondo la quale il suo prestito non lo rivolevapiù. Questa vicenda, raccontatami per telefono da un mio parente, mi èsembrata talmente assurda da meritare una commedia. Così decido diintitolarla Scarpe Mistiche, come omaggio a una Cenerentola rivisitatain chiave moderna. Il mio scopo era di liberarmi da questa ragazza, cosìinvento una storia di un paio di scarpe. Le stesse scarpe regalatemi

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dalla tipa. Nella scena metto una televisione con un video silente in cuiCarmelo Bene legge i canti orfici. La scena è divisa in due. Nel latodestro riproponiamo un interno di una boutique per scarpe, in quellosinistro un openspace di una maison. Prendo un mio amico scenografoe gli spiego la commedia, lui accetta anche di farne l’interprete.Mancava una figura femminile. Mi viene presentata una ragazza checonoscevo solo di vista alla quale chiedo di non bere alcoolici per qual-che giorno. Non accetta. Volevo un teatro depurativo, in cui avevomesso una battuta sui ribelli di Bouake, della Costa d’Avorio, cherimandava alla tremenda situazione del paese dell’Africa dell’Ovest diquell’anno, il 2004. Alla fine mi incappo in una ragazza ballerina pro-fessionista di danze sudamericane, una quasi campionessa italiana.Sembrava perfetta per ballare, nell’ultima parte di “Scarpe Mistiche”,una musica acida rifatta di Quizas, Quizas, Quizas, la splendida canzo-ne latina. Le prove facciam in un insolito posto, alla discoteca Normane il Presidente. Si chiama proprio così! Una discoteca rock di SanFortunato di Perugia. In cambio otteniamo la possibilità di fare unospettacolo prima dei consueti concerti del sabato. Il pubblico rumoreg-gia. In quel momento l’attore scenografo ha una reazione: chiede silen-zio accompagnando la richiesta con una bestemmia. Uno dei momentipiù esilaranti, devo dire. Non me l’aspettavo proprio questa interazio-ne in scena! Il giorno dopo esce un articolo “IL TEATRO ENTRA INDISCOTECA” in un quotidiano regionale.Eravamo così soddisfatti che replicammo lo spettacolo due volte alCircolo Arci Island di Perugia. Io arrivai con un’aggiunta scenica. Nondissi niente agli altri due attori, nulla più che c’era una sorpresa finale.La sorpresa consisteva nel fatto che avevo messo un bancale di traver-so che poggiava sul palco da un lato e sul muro dall’altro. Vicino a meavevo un’accetta. Durante il ballo finale della ragazza che si era risve-gliata dal letto dove era malata gridando che voleva fare TEATRO!(praticamente l’ultima scena prima del mio “ritocco”) presi a percuote-re il bancale. Per me era una metafora. Ma solo per me! Volevo distrug-gere le regole e affiancarlo a un fatto di cronaca: lo smantellamento delteatro alla Scala di Milano. La reazione dei due attori, specialmentedella ragazza, fu fortissima. Si bloccò in scena, smise di ballare e rima-se sulle punte. Non la rividi più.

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Eravamo sempre più infognati nella “controcultura”. Organizzammodue laboratori di teatro totale al Centro Sociale Autogestito di PonteSan Giovanni e un laboratorio di cartapesta che durò ben poco. Il tea-tro invece richiamava gente, non della struttura ospitante che sincera-mente in me vedevano un visionario. L’estate seguente facemmo labo-ratorio ai giardini del Frontone. Cominciavamo alle cinque del pome-riggio per circa due ore. Avevo conosciuto una ragazza del gruppo stu-dentesco “Mediattori” la quale era rimasta favorevolmente colpita dalvideo che avevamo girato di Scarpe Mistiche, con sequenze a colori ein bianco e nero. Alessandra, la sorella dell’ideatore di TrasimenoBlues, vedeva in me delle potenzialità. Di lei mi colpì la sua spensiera-tezza e il suo muoversi di bacino. Aveva seguito un corso di commediadell’arte e mi insegnò la tecnica dell’evitamento. In quel periodo por-tavo i capelli punk, poi li scolorii, infine li feci rossi come il cantantedei Prodigy, un gruppo a me caro per diversi motivi. Non è questa lasede per parlare di quello che mi portò la loro musica. Ciò che ci inte-ressa è il fatto che abbinavo il mio taglio di capelli diritto con certelinee da trasporre in fase performativa, e in fase di pensiero. Arrivaredritti alla meta. Alessandra mi mostrò un’altra via. Con le aperture deipiedi in fuori, secondo un’antica tecnica portata avanti dalla mascheradella commedia dell’arte (Arlecchino e Colombina soprattutto).Spostava l’asse e il peso del corpo insieme al piede a lei esterno, alpiede della stessa direzione in cui voleva andare. Era una dimostrazio-ne di aggiramento, invece che prendere le cose di petto...mi dimostra-va che c’erano altre possibilità di continuazione scenica, e quindi dellavita. Fu una gran bella lezione per me³. Intuivo in lei una straordinariaforza di stare sulle scene, che denotava profonda cultura e potente per-sonalità. Cominciammo a frequentarci sempre di più, nelle nostrerispettive case, fino a quando non riuscì a prendere la laurea in scienzedella comunicazione e ad avere per regalo dalla sua famiglia Camilla.Camilla era il nome che aveva dato alla sua videocamera, con cuiriprendeva i concerti che organizzava suo fratello. Mi fece delle ripre-se di quando cantavo la “Canzone del Frontone”, uno stornello in dia-letto perugino abbastanza conosciuto. Usammo tutto il nostro materia-le per rappresentare Glacoma Sicu, il quarto spettacolo che avevo scrit-to in Sicilia che doveva simbolicamente aprire il terzo occhio, per farci

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vedere meglio la realtà. Riuscimmo a strappare una data a Ponte SanGiovanni al Settembre Ponteggiano. Fummo infastiditi dall’atteggia-mento locale di distacco e incredulità. Nel gruppo faceva parte PaolaPaoloni, che in seguito produsse assieme all’allora suo compagnoFrancesco Follieri il video su un personaggio vivente di Perugia, ilcompagno Paolo Vinti, fratello del segretario di RifondazioneComunista sezione di Perugia. Con noi c’era anche Massimo, un ragaz-zo magrissimo soprannominato per paradosso “Il Macho”, che io chia-mavo Maciste. Daniele si occupò della locandina.

³ In realtà questa tecnica si rivelò infelice, per motivi legati ad un apprendistatoteatrale professionale di ben altro livello. L’evitamento può essere utile in unacircostanza necessaria, usato cioè come eccezione.

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Facemmo lo spettacolo la sera. Io interpretavo un intellettuale irlande-se, un certo Joyce. Alessandra un folletto con i pois che nelle retroviemovimentava la scena. Paola una bambina che racconta la favola delfuoco, in cui una mamma e un figliolo vengono allontanati dai sotter-fugi della strega cattiva con un incantesimo in cui venivano resi muti,che il fuoco sciolse. Francesco fece delle riprese allucinanti. Se nefregò completamente di ciò che accadeva in scena e riprese particolariinutili, tipo l’angolo del boccascena, facendo uno zoom esagerato.Tuttavia l’attenzione del pubblico veniva risvegliata dalla proiezione incontemporanea della battaglia dei pupi siciliani con la solita idea dirompere lo spazio scenico con l’aggiunta di un telo, che faceva ancheda quinta e ci permetteva di proteggerci per il cambio abiti durante lospettacolo. Replicammo lo spettacolo due volte a distanza di dieciminuti. Tra il pubblico c’era Elena Succhiarelli, che diventerà la miapiù grande amica di sempre. Si avvicinò timida e mi chiese se cono-scessi “Finale di partita”, di un certo Beckett. Noi avevamo messo deglioggetti di cartapesta. Una maschera enorme che portavo al contrariofiniva la commedia. Quella sera conobbi anche un’amica di Paola, unaragazza norvegese letteralmente entusiasta del nostro spettacolo.Diventerà la collaboratrice più assidua dell’associazione culturaleArrivo. Tornati a casa, dopo cena, troviamo sul tavolo di marmo dellacucina una lettera con busta gialla. La apriamo, e scorgiamo un timbro.

(non metterò più note. Arrangiatevi.)

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Da quel momento però successe una cosa strana. La compagnia sisciolse così come il laboratorio e non facemmo mai più nulla. Avevoteorizzato che eravamo arrivati al massimo. Di più non potevamo fare,tutto quello che volevamo dire lo avevamo detto. Era quindi fisiologi-co fare altro. Da tempo sentivo l’esigenza di formalizzare un desiderio.Volevo creare una casa editrice. Avevo fatto delle foto a un ceppo tro-vato sulla riva del mare d’Agrigento in cui avevo conficcato un caccia-vite, e levigato le pareti con attrezzi di scultura comperato all’uopo.Quel ceppo era l’immagine, il logo, che doveva avere la casa editrice.Il suo nome iniziale doveva essere “Staceppa editore”. Non piacquemolto agli altri, e optammo per Edizioni Arrivo. Editai e stampai unromanzo che avevo scritto nel 1997 a Londra, in sole undici copie, per-ché era il mio numero fortunato. Pagai di tasca mia, come molte altrecose. I soldi infatti non venivano né dagli spettacoli, interamente auto-prodotti ed a ingresso rigorosamente gratuito, né dalle tessere (ci scoc-ciava chiedere denaro agli amici). Il romanzo si intitolò Blocchi di soli-to, ne donai una copia alla Biblionet, la biblioteca di Ponte SanGiovanni. Proposi agli associati due cose. Ci vedevamo ora a casa diuno, ora a casa dell’altra. Sempre con del cibo caldo. A volte il cibo lor-dava i fogli dove segnavamo le idee. Iniziai a diffondere la mia ideaprincipe: un festival di letteratura. Avevo anche scritto un raccontoimmaginario descrivendo i sette punti principali del festival. Avevamofatto fare dei segnalibri con le giornate immaginarie del festival di let-teratura. Erano argomenti stupendi che avrebbero dovuto richiamare,nel mio sogno, autori importanti. Ma il festival imponeva dei costi altiper cui il Cesvol ci consigliò di analizzare i bandi europei. Uno in par-ticolare poteva fare al caso nostro, Cultura 2000. Ci rendemmo contoperò che era farraginoso, perché richiedeva partner europei di almenotre nazioni diverse. Così presi a sognare di invitare Irvine Welsh e NickHornby, Isabella Santacroce, Baricco, Erri De Luca, Juliette Lewis,Elisabetta Cavallotti, gli Estasia, il balletto nazionale della Costad’Avorio, Asia Argento, Ted Green. Logicamente il direttivo mi preseper pazzo, allora rivelai che ero in contatto con una vineria di PortaSant’Angelo, il quartiere popolare di Perugia, che poteva ospitarci peruna stagione di reading. Stabilimmo il sabato come giornata ideale, ioleggevo sempre il mio romanzo autoprodotto, Fabrizio Bellini il suo

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corto Una giornata immaginaria, Stine Neby Baardseng propose unalettura di un poeta suo conterraneo norvegese, Daniele portò Svevo...conoscemmo alcuni strani elementi che si associarono e arrivarono unpo’ di soldi dalle tessere. Partecipammo anche a un festival di musicaelettronica chiamato “Né Santi Né Morti” organizzato dal gruppo arti-stico I Raiconi de Strozzacapponi, costituitisi per l’occasione comeassociazione culturale “Si Può Fare”. Iniziammo a redigere articoli e adaumentare i contatti. Le partecipazioni portano sempre qualcosa dibuono, socialmente. L’interesse per la lettura e la scrittura si amplificò.Ideammo un laboratorio di NON scrittura in cui criticavamo tutti i corsidi scrittura creativa ribadendo che erano inutili, che la scrittura è crea-tiva e non ha bisogno di corsi costosi per imparare a scrivere. Ora checi penso abbiamo fatto sempre iniziative gratuitamente. Il nostro labo-ratorio dopo poche riunioni al Circolo Island si trasformò in TLO, iro-nicamente chiamato Trattamento Letterario Obbligatorio, che terminòcon la scrittura del racconto collettivo “I MITI” pubblicato su splinder,un blog gratuito, e una torta dolce al tiramisù con la forma delle tre let-tere citate. Intanto ottenemmo un finanziamento per aver partecipato aun bando di Informagiovani. Il nostro progetto per la redazione apertadi un giornalino web che si occupava di musica e teatro. Io facevo ilbarista al Circolo Island che all’epoca organizzava concerti stuzzican-ti, era ancora permesso di suonare la musica dal vivo. Ogni volta chec’era un gruppo musicale chiedevo loro se potevo intervistarli primadel concerto. Tutti accettavano e si finiva per parlare di teorie musica-li, spiritualità, matematica, esegesi del gruppo e motivo del nome, lorosi gasavano e suonavano contenti. Io ributtavo tutto sul web nello spa-zio del giornalino, poi oscurato, e una volta intervistai un altro perso-naggio particolare del perugino, Giorgio Straccivarius. Giorgio avevaun nome di battesimo normale, troppo, che non si addiceva a un perso-naggio di teatro quale lui era. L’intervista, che era esilarante e deliran-te, terminò con un applauso del pubblico di due persone su quattro. Lealtre due eravamo io e Giorgio, e pure noi due applaudimmo, come iveri poeti sanno fare, immaginando un giorno una platea ampissima.Assieme a questa iniziativa portai avanti, aderii a un progetto socialedel Cesvol che prevedeva la pubblicazione in una collana “I Quadernidel Cesvol”. Consegnai la copia di un racconto intitolato PSIK, versio-

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ne semiseria delle peripezie di un ragazzo normale che si imbatte nelleistituzioni psicologiche e non solo. Lo spunto per fare una rassegnasulla follia venne immediato. La rassegna, chiamata CREPE, fu quan-to di più impensabile potessi mai immaginare. Il libro fu presentato aUmbria Libri 2007, a cui partecipai tornando da Bruxelles, dove abita-vo, per presenziare. Durante il mio soggiorno in Belgio feci una cosache odiavo. Ideai un concorso letterario. Mi dissi, sempre più solo coni miei deliri artistici, che siccome non amavo l’idea che sta alla base deiconcorsi letterari, la competizione, era giusto che l’affrontassi. E feciquello che fanno tutti. Intascai il denaro senza pubblicare nulla. Inrealtà il concorso si svolgeva interamente sul web, perché non volevosprecare la carta derivante dagli alberi. Avevo previsto due sezioni, A eB. La prima prevedeva la pubblicazione al primo dei dieci racconti per-venuti in ordine temporale. Il primo che spediva vinceva. E l’invio deiracconti non prevedeva una quota di iscrizione. La sezione B era lega-ta al pagamento di dieci euro. Accettarono in quattro. Io rimanevo sbi-gottito ogni volta che si doveva partecipare a un concorso letterario delfatto che si dovesse pagare una quota, così feci lo stesso. Per me erarubare soldi e speranze. Tuttavia pubblicai i racconti sul sito di word-press, dedicato ad Arrivo. Sfido chiunque a rintracciarlo. Il sito corri-sponde a www.arrivo.wordpress.com; l’unico racconto che ho amato ditutti quelli arrivati (una ventina forse) era L’UOMO SENZA DOPO-DOMANI. Autore Simone Repetto. Un autentico trip esilarante e didenuncia sociale del mondo del lavoro. Ne è stato in seguito tratto unospettacolo teatrale, o meglio un monologo. Lo misi in settima posizio-ne. Con il Circolo Island partecipammo ad un’iniziativa nominata“Peripheral Pulses” in estate alla Terrazza del Mercato. Diedi un miotesto ad un mio amico che studiava teatro al CUT in un progetto chia-mato “Verso una compagnia teatrale atipica” che coinvolgeva utenti delcentro salute mentale e l’Odin Teatret, ci misi un proiettore video conun panno che accoglieva in diretta le scritte che digitavo al computer, eun dj che metteva i Suicide. Una ragazza del pubblico, nel momento incui Luca, l’attore, si rotolava per terra in preda a feroci attacchi di pani-co in piena estasi Stanislavskjiana, si alzò per soccorrerlo mentre iomandavo sul proiettore la scritta “QUALI SONO I MIEI DIRITTI?” sumusica appunto dei Suicide, compulsiva, mandata da Dj Jaxxx, ideato-

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re della rassegna. Questo in piena estate, mentre la gente era in vacan-za e amava divertirsi e rincoglionirsi. Raccogliemmo anche l’invito del“Boccio”, che lavorava nella circoscrizione di Madonna Alta, un quar-tiere perugino dove tra l’altro sono nato, a fare una lettura durante unaserata di liscio presso la struttura La Piramide, in mezzo a persone disessant’anni che non so cosa pensassero quando leggemmo testi anti-proibizionisti. Lo stesso anno partecipammo all’iniziativa ponteggianachiamata Fuori dalle Scatole, con i nostri soliti pazzeschi reading di let-teratura autoprodotta. Jaxxx fece uno stand di stencils a cui aderirono iragazzini hip-hop del quartiere. L’anno dopo non fu più possibile par-tecipare perché litigammo con tutti, che non vedevano bene la nostra“poesia”. Eravamo talmente poco allineati che il nostro esserci creavadisturbo perché li metteva con le spalle al muro. Fabrizio per esempioquando leggeva con le sue t-shirt pazzesche dei CCCP nel 2005 facevacadere i fogli per terra apposta. E il testo era irritante ma magnetico,vitreo, ipnotico, funzionava. Applicava una trama feroce e molto auto-referenziale ma solo nei sentimenti e le emozioni stralunate del prota-gonista, con uno spleen evidente e rinunciatario, per certi versi. Avevauna magia speciale, una presenza magica e incantatoria, totalmentepost-punk. Il prato che ospitava i suoi sostegni podologici sembrava undisegno. O forse lo era veramente. A livello burocratico intanto conti-nuava il delirio più tagliente. Avevo fatto convenzioni solo per il gustodi farle, alla Camera di Commercio avevo iscritto l’associazione comeproduttori di video da esportare in Danimarca! Ero convinto di poterlavorare con la Zentropa di Lars Von Trier. Lavoravo molto di e-mail.Avevo aperto due accounts, spedendo e ricevendo un quantitativo innu-merabile di documenti. Mi sentivo solo, sempre. Cercavo nel web quel-lo che la realtà non voleva darmi, un ascolto. Non venivo ascoltato,indicevo riunioni e la gente non veniva più, facevo locandine stampateal Cesvol dei corsi e non rispondeva nessuno. Non capivo che mi stavochiudendo per proteggere l’associazione. Era come un bambino per me.Lo scrissi anche. Conservo tutto, file, piccole locandine, recensioni suigiornali, video, testi teatrali, documenti burocratici, comunicazioni diservizio, progetti, scontrini, vario fogliame. Il timbro. Compravo libridi tasca mia e li intestavo ad Arrivo, timbrandoli, per farne una minibi-blioteca.

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Ci sono titoli importanti come Il Pasto Nudo, Jung, Micromega,e...Giorni Felici, secondo me la drammaturgia più assurda della storiadel teatro moderno. Che manco a dirlo mi regalò Alessandra. A questopunto della narrazione viene spontanea una considerazione fuori dallerighe: la gestione di “questa” associazione culturale porta a delleresponsabilità verso terzi molto importanti, in quanto un Presidentebene o male è il rappresentante maggiore, il front-man. Col tempo si èverificata una soggettivazione della figura di Arrivo verso il sottoscrit-to. “Arrivo sei tu!” mi è stato più volte ripetuto. Questo problema si èverificato anche in sede laboratoriale. Il mio tentativo era quello di faregruppo, eppure il gruppo stesso sembrava avesse bisogno di un leader.Un leader a cui in certi casi opporsi con tutte le forze. Questo gioco siè rivelato difficile da continuare in quanto la struttura associativa diArrivo, riferita al direttivo composto da tre persone e poi da due inseguito alla mancanza del vicepresidente, è diventata poco democrati-ca. Col tempo alcune figure importanti si sono delineate. Tra tesoriere,direzione artistica, rappresentanza legale, tenuta contabile e altro inpratica il mio volontariato è diventato una ragione di vita, di essere.Mio malgrado ero completamente dentro il vortice e mi ritrovavo sem-pre più solo. Potevo certo contare sull’aiuto di Daniele, e lo cercavospesso. Ma Daniele aveva un lavoro fisso, e da costruire un suo futuro.Non faceva combaciare il suo futuro con quello di una associazione. Iosì. Non so da dove venga questa mia fissa, probabilmente dalla summagenitoriale, o da una necessità di trovare uno spazio nella società.Cercare di far passare un messaggio forte come quello di offrire dellepossibilità di interazione artistica per rimuovere o parzialmente risolve-re problematiche personali degli associati, trovare attraverso la culturaun terreno in comune in cui esprimersi liberamente. Ma c’è pure del-l’altro. Quando si fonda un’associazione è come mettere un seme. Essocresce, si nutre della terra, si fa legno, foglie, frutti. Poi cade e diventacarta.

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Nella carta noi crediam. Con rapido excursus arriviamo al 2009, annoin cui vinciamo un altro bando Informagiovani per il progetto MOE-SIA.Sei curioso di sapere cosa è Moesia?

Il progetto si trasforma in una vera e propria battaglia e malintendimen-ti con il nucleo iniziale proponente interno all’associazione di cui pre-ferisco mantenere il riserbo. L’otto di marzo facciamo il primo incon-tro ufficiale per reperire persone partecipanti, con un banchetto all’in-terno dell’Hacklab del Circolo Island. C’è una sovrapposizione con lesommosse perugine, un gruppo di femministe attive che avevano pre-notato l’evento da tempo. Il risultato è mastodontico. Circa 100 perso-ne tra musicisti, scrittori, donne politicamente incazzate, fotografi,aspiranti performer, attori, cani, rockers, dark, elettronici, fonici, fobi-ci e maniaci. Un delirio in cui io non riesco neanche a cenare, non hoproprio fame, mi nutro esclusivamente di acqua del rubinetto. Unasignora acqua, gratis. Le discussioni fioriscono sui concetti musicali,sul tono di una esecuzione, sui tempi di attuazione, sul senso di farlo.C’è chi teorizza dal 2005 un evento del genere; chi già sta provando damesi sapendo che prima o poi, chi è impegnatissimo ma può trovare unbuco, chi crea nuovi gruppi female, intanto le altre associazioni chehanno vinto il bando proseguono a binari dritti, e si arriva in prossimitàdella scadenza. Siamo a Pasqua, arriva la prima trance di euro dalcomune, i soldi spariscono a velocità della luce. Troviamo un paio disale di registrazione/studio che non utilizzeremo. Girano voci contra-stanti sull’andamento del progetto, ogni giorno c’è qualcosa di strano.In pratica tutti se ne vanno, non reggendo il ritmo dei cambiamenti e lemutazioni; mettere insieme due arti come la poesia e la musica è comefriggere patate bagnate sull’olio bollente; mi vengono in mente para-noie tipo che posso finire in prigione come unico responsabile legaledel progetto, e chiedo aiuto, come sempre. Trovo due persone di cuiuna ha registrato, autoprodotto, arrangiato e mixato un pezzo intitolato“Non sense” apposta per MOESIA. Le chiedo di inviarmi una sua foto.Mi invia un primissimo piano con la bocca imbronciata, mi piace cosìtanto che decido di stampare il cd con quella foto, bucandolo in mezzocome ogni cd.

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L’altro pezzo è un preregistrato a Roma da un tipo alto, magro ed ema-ciato che parla poco e suona la chitarra Stratocaster applicando una suapoesia in maniera penetrante con dei riff barrettiani. Mi spedisce unautoritratto a cui taglierò la testa. Con Daniele recuperiamo l’etichettaEDIZIONI ARRIVO che utilizzammo per il primo romanzo, cambian-do solo i colori. Il terzo e ultimo pezzo lo registriamo all’OfficinaStudios di Balanzano con un micrifonaccio puzzolente attaccato al miopc per presa diretta in registrazione. Avevo, con faccialibro (o face-book), conosciuto da pochissimo una ragazza di Perugia una notte incui conversammo sul senso dell’isolamento, sul sentirsi soli anche inmezzo alla gente e tutti questi concetti latenti nella società giovanileperugina, la cosiddetta fregheria. Le spedii un mio componimentoassolutamente folle ma con un suo senso poetico forte. Ci incontram-mo e di colpo accettò di accompagnarmi all’Officina. Era imbarazzatama anche contenta, le mostrai il microfono e le sue potenzialità. Lesseil brano con calma, con voce molto calma, troppo. Alla fine lo lessianche io allungando l’apparato fonico dell’ugola e il suono che ne usci-va, soprattutto nelle vocali, era irritante ma gradevole. Mi piaceva gio-care con gli schemi del canto per stravolgerli, trasmutarli. Il pezzo erafatto. Sembrava tutto così strano e assurdo, avevo portato a termine ilprogetto. Mancava di completare la locandina che aveva fatto Paracon,che si dilettava egregiamente con la computer grafica. La nascita dellalocandina era legata a due scannerizzazioni, con la chitarra e la bic sullecorde, chiusa con un panno nero che avvolgeva tutto lo scanner, e undisegno stilizzato della testata del giornale Le periferie, di cui parleròin seguito. Scelsi uno stile che richiamava un certo gusto per la distru-zione, ripresi l’abstract che aveva eseguito e ci applicai un effetto apuzzle.Stampammo trenta promo cd su busta trasparente e fissammo la datacon i tre locali che dovevano ospitare, nello stesso giorno, la presenta-zione ufficiale del cd prima della scadenza, peraltro prorogata, del pro-getto. Nel frattempo mi tolsero la patente. Questo aspetto, invece di ral-lentare il lavoro, lo ha migliorato. Mentre prima mi prodigavo a destrae a manca per i contatti, ora razionalizzo e sono per forza legato a orariche non stabilisco io. Ciò mi disciplina. Ma un altro progetto ha avutoluogo, a partire dall’Agosto del 2008. Una idea di fare un foglio infor-

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mativo in un formato atipico come l’A3, con un nome particolare, Leperiferie. Il progetto si era dato una scadenza temporale di un anno, incui si potesse scrivere in team degli articoli correlati da immagini acolori con l’aiuto degli sponsor. Abbiamo trovato solidarietà impensa-ta, poi è arrivata la crisi economica. Il primo numero parlava di PonteSan Giovanni come periferia principale, assieme a quella di S. Sisto, diPerugia. Ma il nostro era un intento differente, volevamo sì parlaredelle banlieues ma con una accezione allargata non solo a Perugia mauna antropologia delle città diciamo, o quanto meno un riflettere dicosa è una periferia. In pieno decentramento urbano riflettendo sullacementificazione selvaggia e sulle parvenze di parchi nuovi inadattialle esigenze dei giovani volevamo arrivare a qualcuno e qualcosa, e cisiamo in parte riusciti anche grazie a una intervista del Cesvol reperi-bile sul sito perugino in cui Silvana Leoni mi intervista proprio quan-do sono a Roma per lavoro. Il secondo numero è dedicato per contrap-punto al centro, e diventa di due fogli. La particolarità dalla prima usci-ta è che il foglio in fronte è diritto, mentre nel retro è a rovescio. Questoporta a girare il foglio, con l’idea da parte nostra di catturare l’attenzio-ne del lettore o quanto meno smuoverlo. Arriva l’autunno e entriamonel programma di Umbria Libri in cui presentiamo il progetto ad unpugno di persone, in quanto ci hanno messo in una programmazionetotalmente periferica. Prima di noi infatti c’è un Ministro che fa unaconferenza pubblica alla sala della partecipazione di Palazzo Cesaroni,sforando i tempi di 40 minuti. In pratica noi di un’ora prevista, aveva-mo rimasto 20 minuti perché alle 19 l’usciere doveva chiudere.L’assurdità della situazione in realtà rispecchiava benissimo il nostrostile, in periferia appunto, a lato, rispetto ai poteri centralizzati. Arrivala terza uscita, e il giornale da tre colonne si trasforma in un capolavo-ro visivo: si accostano dipinti, foto e immagini a tema fatte apposta dainostri artisti con delle liriche, poesie e miniracconti con comun deno-minatore la femminilità. La scelta dei colori, l’accostamento poetico eil design in generale è talmente bello che non riusciamo più ad andareoltre. Un ultimo tentativo fu la redazione del numero dedicato aimigranti, ma ormai tornare alle tre colonne stava diventando ingom-brante e ridondante di immagini rispetto alla pulizia della precedenteuscita. Inoltre in primavera ci fu una fuga di notizie secondo le quali

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stavano intensificando i controlli, e dato che noi non eravamo registra-ti in tribunale, né avevamo un direttore responsabile dell’ordine deigiornalisti, rischiavamo multe. Non potevamo per niente stampare unciclostile interno dell’associazione che informava delle attività, perchéavevamo forse infondato timore che facessimo reato. Ora capisco inve-ce che forse era esaurita la vena, che non avevamo più niente da dire.Ci siamo attaccati all’illegalità (di un freepress?) per nascondere altro.Sotterraneamente comunque il tam-tam funzionava, e la gente ci cono-sceva. Ma noi abbiamo sempre filtrato, fatto cernita, su eventuali col-laborazioni e proposte senza base solida, solo per il gusto di fare qual-cosa.

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Il Futuro

Premesso che esiste solo il presente, il futuro lo vediamo e non lovediamo. Da un lato c’è la voglia di gestire un posto, fare progetti,coinvolgere persone, dall’altro quello di rimanere dietro le quinte, easpettare. Godot permettendo. I giornali, in particolare il giornalistaFilippo Costantini che ci segue da anni, e in passato Nicola Bistoni peril Corriere dell’Umbria prima di fondare e fallire il progetto editoriale“La sera”, ci hanno intervistato e regalato visibilità e spazio su carta.Oggi noi stiamo lavorando, ma la concorrenza è spietata e ben nota, gliagganci di alcune note associazioni ben solidi e fruttuosi, le conoscen-ze cementate, che il giardino fertile non esiste. Non c’è trippa per gatti.Nonostante questo noi proseguiamo fin quando per gioco-forza nonsaremo costretti a chiudere e ognuno per la sua strada, certi di aver con-diviso qualcosa di utile e importante e di aver tessuto una rete di con-tatti e informazioni che possono sempre servire, o che qualcun altroraccoglierà in altre esistenze. È abbastanza inutile parlare di progettifuturi nel momento in cui ancora non si sa nulla di certo, ma qualcosalentamente, coi suoi tempi, si sta smuovendo. La fiducia in un avveni-re, più che un mondo migliore (migliore di questo?) ci porta a ricerca-re, a sperimentare nuovi linguaggi, scelte, percorsi, con la semplicitàche ci ha da sempre contraddistinto. Si cresce non solo di età ma diesperienze. L’entusiasmo applicato alla costanza porta a dei risultati.L’unione di intenti è la chiave per arginare la depressione economicache stiamo attualmente vivendo, oltre che un certo senso di instabilitàe precarietà. Senza fare demagogia, noi siamo apartitici e apolitici epreferiamo rispondere e parlare con le azioni. Il web ci da una manocon i servizi di contatto e ricerca, con le tantissime e-mail ricevute emandate, le password, le novità al passo coi tempi... ma il cammino èlunghissimo e sappiamo quanto impegno occorre per portare a terminequalcosa. Il punto è che si può in ogni istante decidere di non portarloa termine.

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Parte Seconda

La conduzione di questa associazione culturale mi ha portato diversevolte ad andare dallo psicologo. Una volta mi è stato detto che dirige-re una ass cult può anche far strippare, può anche dare motivo a depres-sione, ansia, stress e gravi patologie mentali. Allora mi sono chiesto,perché CREARE una associazione culturale? Per potenziare un interes-se, per crearsi uno spazio mentale inattaccabile, per costruire unbunker, una solida e impenetrabile autodifesa da una società opprimen-te, addormentata dalla televisione e rincoglionita? Per portare avantiuna battaglia politica contro chi vuole frazionarci, disunirci e separarcial fine di meglio controllarci? Per impedire di attuare i principi dellacostituzione secondo alcuni obsoleti e modificabili in nome di una eco-nomia mondiale egemone dove il Dio denaro sostituisca il Dio reale? Ildiritto all’associazionismo per fini filantropici o per semplici interessicomuni, che non ledano la società e, per esempio, non complottino uncolpo di stato o l’omicidio verso personaggi dittatoriali “regolarmente”eletti è un sacrosanto diritto. Quando George Orwell scrisse 1984 pre-vedendo un grande fratello che tutto sapeva e controllava non si scosta-va molto per esempio da certe fughe di informazioni di spionaggio econtrospionaggio internazionale, che han determinato servizi segreti acontatto con poteri forti e scandali watergate e via dicendo. Dire laverità in faccia a volte provoca delle reazioni violentissime, mobbing,persino reclusione. Andare contro certe radicate credenze, mostrando ilfalso, in passato ha messo al rogo sia uomini che donne. Scoprire checerti sentieri, certi solchi creati da qualcuno, che poi han fatto breccia,sono inadatti crea scompiglio. L’Italia negli ultimi venti anni ha scara-ventato dalla finestra la sua identità e cultura, soggiogata da trasmissio-ni televisive e poteri mediatici talmente devianti che alla fine il popolocrede che il falso sia il vero. È stata smantellata l’intera costituzione,non di fatto, ma con le azioni. L’istruzione non ha più molto senso,nemmeno le Università si sono adeguate coi tempi, quelle pubblichesono lasciate allo sbando, i migliori professori se ne sono andati via, oin pensione, o reclutati da Università privatizzate. Si ritorna al proble-ma a monte. Le caste ricche o ricchissime hanno accesso alla migliore

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istruzione. Gli altri si ritrovano con un pugno di mosche.Neomedievalismo o cosa? Questa egemonia della cultura, una volta inmano alla Chiesa, per esempio, determina a livello globale un appiatti-mento tremendo, dove le migliori menti, fresche e con voglia di fare, disperimentare, di nutrirsi delle proprie intuizioni, vengono continua-mente martellate e pian piano messe a tacere, perché la struttura ospi-tante, le strutture scolastiche, sono pensate per questo, con struttureverticali in cui i vertici sono quelle persone che hanno il potere, e chea loro volta devono rispondere a superiori, a ministri, a quei quattro ocinque elementi che controllano l’intero stivale. La repressione aumen-ta, e di conseguenza la voglia di trasgredire. Il problema legato aglialcolici tra minorenni, il rafforzamento dei controlli alcool-test e con-seguenti multe salatissime, con perdita di lavoro perché non si ha piùla macchina per andare al lavoro, allo studio, a fare una passeggiata suun monte. Quando c’è repressione si scatena una voglia di rivoluzione.La voglia di rivoluzione porta a repressione sempre maggiore. Un caneche si morde la coda. Jung aveva trovato delle soluzioni, degli archeti-pi, aveva teorizzato questo cerchio chiuso a serpente, come forma dipatologia mentale da analizzare per una salute mentale e di tutto il fun-zionamento umano. Anche lui è stato adattato, modificato, nel suo mes-saggio. Questo tritacarnone che divora, ingloba, fa proprio qualsiasiconcetto, persino la spiritualità e la religione, per vendere prodotti efare slogan commerciali e di propaganda un giorno si romperà.L’associazionismo sta in disparte ed aspetta. Aspetta il 2011 anno euro-peo in cui verranno sanciti diritti importanti e riconoscimenti di unaattività silente e invisibile quale quella dell’aggregazionismo culturale,del volontariato. Lo stesso concetto dell’economia legata al denaro saràmodificato. L’attivismo porta dei risultati concreti. Sentirsi dentro,DENTRO, e non fuori. Non essere fruitori, diventare parte di una frui-zione. Questo è il senso di Arrivo, un senso di accoglienza e valorizza-zione delle proprie risorse e dei componenti interni all’associazione,mantenendo le differenze in modo coattivo. Andare avanti, linearmen-te, e non in circolo. Ci vogliono anni di preparazione e di praticantato,militanza volontaria, per impratichirsi con certi schemi, di comporta-mento, di attuazione, di progettazione, di relazione con le istituzioni. Ilfatto è che se ci si sofferma solo sul proprio territorio, sul proprio

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comune, si rischia l’affossamento delle idee, la non condivisione, lanon circolazione, e decadono. Esportare le proprie idee significa nonimporle, ma scambiarle. Un’opera di integrazione dall’una e l’altraparte, capire che forse dall’altro capo del mondo ci sono esseri umaniche hanno LE LORO ABITUDINI e che ai loro occhi siamo noi a sem-brare strani. L’Unione Europea è fatta di tante etnie diverse, di econo-mia composta da stati tra loro anche in competizione, e non è il centrodel mondo; può essere il centro del SUO mondo, per l’Europa èl’Europa la più importante, perché deve tutelare i suoi interessi e garan-tire agli abitanti della sua terra una dignità.Nella mia città la tendenza, dopo gli anni ottanta, in cui c’era un asses-sore alla cultura, il sig. Abbondanza, che tanto ha contribuito all’attua-zione di una cultura innovativa, è quella di annaffiare ognuno il proprioorticello. Le compagnie di teatro si fanno la guerra e a quelle nate dapoco rimangono le briciole. Da una parte abbiamo il circuito buono,capitanato dallo Stabile, il Teatro Stabile dell’Umbria, con le sue sta-gioni fatte per creare consenso e guadagno, politico. Dall’altro abbia-mo Batik, Liminalia, e realtà antropologiche consolidate che provano adire altro. Questi due elementi vanno a formare una cupola impenetra-bile in cui non c’è scambio. In pratica la cultura a Perugia è in manoalla cupola. Non c’è una zona franca, di incontro, di coabitazione e sin-dacalismo tra le parti. Non c’è proprio. Se esaminiamo, lasciando starei giornali, quattro, presenti a Perugia, oltre quelli free press, perché nonne vale la pena tanto sono i palazzinari a gestirlo, come da tradizioneitalica degli ultimi trenta anni, se esaminiamo dicevo l’editoria perugi-na, che dovrebbe essere un fiore all’occhiello di ogni capoluogo diregione, e specie su Perugia, città anticamente dello studio, che dovreb-be offrire una offerta adeguata alla domanda, che dovrebbe essere sti-molata alla quantità studentesca, che dovrebbe stimolare la qualità,eppure l’editoria perugina si fonda sulla saggistica universitaria epoche avventure legate al dialetto, o testi di insegnamento della linguaitaliana; comprensibilissimo, visto che abbiamo la terza più antica uni-versità per stranieri (piena di professori antipatici, a detta di alcuni stu-denti, eheh) o tutt’al più una vaga offerta di cataloghi artistici legati aPietro Vannucci, o i vari futuristi umbri, il Pintoricchio, tutta gentesepolta. Ma permane un penetrante senso di impotenza verso una

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superficialità e provincialismo che investe i palazzi del potere, i varigabinetti del sindaco, gli sciapi, sciapissimi presidenti di giunta provin-ciale, consigli sconsigliabilissimi a chiunque, piani di urbanistica simi-li alla nettezza urbana, con discorsi triti e sorpassati in cui ora, peresempio, ci si è forse resi conto che ci sono gli spacciatori, nel 2009,allora mettiamo i cani a fiutare le persone alle undici di sera alla RoccaPaolina questi argomenti a noi ci stanno cari, perché non se ne scrive,e ce n’è bisogno. Molti li pensano, ma non si esprimono perché non stabene. La sovrintendenza ai beni culturali occupa uffici e spazi dal pano-rama bellissimo e la loro porta è spenta, fumante, nascosta, parassita-ria, massonica. Le vie del centro vetrinette e pizzeria al taglio medio-rientale. La Nuova Oberdan, del ceto medio borghese, ha appoggiopolitico per smantellare a suo piacimento il piano regolatore, il merca-to coperto, le botteghe oscurissime, i cappellai, i solatori. Un senso diinadeguatezza, di colpa, di oscurantismo, di continuo pericolo e para-noia pervade, traspira dalle pareti della città. Si celano lombrichi tra lemura medievali che mangiano la calce e cagano fluidi mentali verdi. Ipiccioni ammutoliti beccano e volano pesanti nelle ali richiuse tra bustidi poveracci impietriti nei giardini di un poeta davanti all’albergo fasci-sta. Tutto è sommo come il punto più alto di Porta Sole, dove laBiblioteca Augusta ospita noia annoiata tra noie in parto. La collinarePerugia ti lascia cadere tra le sue cosce, rifiuta la mano tesa, senzaguanto, tuba e carota. L’editoria perugina non esiste. Non si investesulla varia, ora si chiama così la narrativa.., non lo fa e basta. Noiabbiamo una casa editrice spaventatissima che mai si sognerebbe dientrare in mercato, casomai di uscirne, di sancire l’uscita a prescinde-re, di non entrarci mai. Tanto è la mentalità di non investire che rice-viamo, di stare fermi, calmi, buoni, in attesa della morte, che non arri-va mai. Il giorno, il Tempo trascorre come un supplizio invece che unadelizia. La luce solare infastidisce, le farfalle vanno uccise perché peri-colose. La stazione dei treni di Ponte San Giovanni è un cesso rotto chenessuno ripara. Han dato in appalto le pulizie a una fantomatica ditta diFoligno che lavora così bene che ora è diventato il covo e il letto disenza tetto. Anche loro han diritto a dormire, si dirà. Chi arriva a PonteSan Giovanni in treno e si reca all’uscita trova un cartello, al settembre2009 in cui sto scrivendo, che non è un cartello, ma un foglio di carta

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con dello scotch rosso attaccato alla porta di uscita con scritto USCI-TA, a mano. Ponte San Giovanni è Milano2. Non è Milano2. Ponte SanGiovanni ha 25000 abitanti, il decimo agglomerato urbano di tutta laregione, ma è una frazione del comune di Perugia, perché troppo vici-na, 6 chilometri di salita, dal centro di Perugia. Ci si va solo a dormiree a mangiare, neanche a bere. L’ottimismo viene preconfezionato conpromesse di una via principale, via Manzoni, di extralusso. In effetti loshopping è esclusivo, come cura verso l’ansia si dirà. In piena crisi eco-nomica nascono boutiques come funghetti. Noi di Arrivo vorremmo organizzare una mostra di tre giorni a fineanno in uno spazio pubblico come l’ex chiesa di Santa Maria dellaMisericordia. Ospitare opere d’arte, nei suoi muri e pavimenti e pan-nelli. Il comune non ci assiste, si attacca che non ci sono spazi, che nonci sono soldi. Non vogliamo spazi e soldi. Vogliamo fare una mostra. E la faremo. Abbiamo amici che dipingono, fotografano, creano daanni ma non hanno mai avuto l’occasione di esibirsi, di far vedere illoro LAVORO. Gente che non ha uno zio che è un dirigentedell’Unicredit o Cassa di risparmio, che fa l’impiegato negli ufficiparastatali, quelli che una volta erano uffici pubblici e che ora danno inappalto a privati i servizi. Pubblici. Arrivo ama la musica. Siamo stati a intervistare Gleison Tullio, brasi-liano che suona la chitarra e la pedaliera campionando durante il live.Siamo stati a intervistare Sauro Cosimetti, il dj più importantedell’Umbria da 25 anni. Provate a domandare a un ventenne se cono-sce Sauro, provateci. La musica è con lui e con noi, la notte, i balli, leattenzioni, le coccole, la leggerezza. Il night life è espressione di feli-cità, di bei vestiti, di scambi. Di nuove storie, baci, amore, passaggi inmacchina, stereo, mix, quei dischi che ruotano, le valvole, ilvolume...le tracce, i solchi, l’energia dirompente e a volte consapevol-mente trattenuta. Abbiamo ottenuto i migliori risultati se, in situazionedi performance, eravamo capaci di mantenere la calma, la razionalità,il controllo.In ogni caso la nostra associazione, come quasi tutte del resto, prova asostenersi con persone che han bisogno a loro volta di sostegno. In que-sto senso il nostro statuto ci aiuta, perché cercare di prevenire situazio-ni di difficoltà attraverso la proposta associazionistica è il nostro inten-

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to, comune ai principi solidi di altre. La solitudine, il senso di inade-guatezza, questa sensazione di non riuscire a stare al passo coi tempi,di cercare di riuscire a capire cosa succede, quali sono i meccanismisociali e in che modo stanno cambiando, noi cerchiamo una rispostaattraverso l’arte, proponendo arte, dando una lettura della nostra realtà.La realtà è spesso confusa e deformata, c’è bisogno di aggiungere emescolare stili, generi, creare un gran melting pot ma organico e orga-nizzato. Per fare questo c’è bisogno di tempo, di lasciare delle scie, deisemi, dei messaggi senza la pretesa che vadano consumati e raccolti abreve termine. Spesso un errore è quello di fare tutto e subito e preten-dere risposta immediata. Voler sempre di più e meglio, quando invecela mentalità dell’altro ha bisogno di pensare, assimilare, digerire elasciar sedimentare.

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Parte Terza

Vorrei con questa conclusiva parte integrare quanto detto finora dicen-do che vorremmo organizzare l’associazione in modo normale con unaricostituzione del direttivo tramite elezioni democratiche ad alzata dimano, redigere verbali, diventare adulti. Io dal canto mio ho piacere aproporre in queste pagine un corso che torni all’origine dell’associazio-ne, riferito cioè all’amore per la scrittura.

150 mm d’introduzione

Questo “materiale saggistico” da me scritto è nato (1) in seguito ad unmio REPORT del seminario “LO SCRITTORE RELATIVO” tenutosia Perugia nel Giovedì del 28 di Novembre, durante la rassegna diUMBRIA LIBRI 2003. Esponevano gli scrittori Giulio Mozzi e LivioRomano. Coordinava il filologo Alberto Castelvecchi. Al termine delseminario chiesi ed ottenni dal dott. Castelvecchi il suo indirizzo e-mail.

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CORSO DIVERSO di SCRITTURA

CARTELLAA>introduzione alla scrittura (15 min)

“Quantunque sia incapace di enunciarsi, di enunciare, l’amore vuolenondimeno clamarsi, declamarsi, scriversi ovunque: “all’acqua,all’ombra, ai monti, ai fiori, all’erbe, ai fonti, all’eco, all’aria, aiventi...”. Basta che il soggetto amoroso crei o costruisca qualcosa, chesubito è colto da una pulsione di dedica. Tutto ciò che fa, subito, eancora prima che sia finito, egli vuole donarlo alla persona che ama,per la quale ha lavorato o lavorerà. La scritta del nome dirà per chi è ildono.Tuttavia, fatta eccezione per il caso dell’Inno, che confonde l’invio conlo stesso testo, ciò che segue la dedica (e cioè l’oggetto che è stato fab-bricato) ha poco a che vedere con questa dedica. L’oggetto che io dononon è più tautologico (io ti dono ciò che ti dono), ma interpretabile;esso ha un senso (dei sensi) che va molto al di là del suo indirizzo; ioposso sì scrivere il tuo nome sull’oggetto, ma in realtà e per “loro” cheesso è stato scritto (gli altri, i lettori). È dunque per una fatalità dellascrittura stessa che non si può dire che un testo è amoroso, ma soltan-to, al limite, che è stato confezionato “amorosamente”, come un dolceo una pantofola ricamata.Anzi, neppure come una pantofola, giacché la pantofola è stata confe-zionata per il tuo piede (la tua misura e il tuo piacere); il dolce è statofatto o scelto per il tuo gusto: fra questi oggetti e la tua persona vi è uncerto qual adeguamento. Ma nel caso della scrittura, essa non disponedi questa condiscendenza. La scrittura è asciutta, ottusa; è una specie dirullo compressore; essa va avanti indifferente, indelicata; piuttosto chedeviare dalla sua fatalità (del resto enigmatica), essa ucciderebbe“padre, madre, amante”. Quando scrivo, devo arrendermi a questa evi-denza (che, in base al mio Immaginario, mi strazia): nella scrittura nonc’è alcuna indulgenza; c’è semmai un terrore: essa soffoca l’altro, che,

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invece di cogliervi il dono, vi scorge un’affermazione di dominio, dipotenza, di compiacimento, di solitudine. Da questo nasce il crudeleparadosso della dedica: io voglio ad ogni costo darti ciò che ti soffoca.(Spesso, noi verifichiamo che un soggetto che scrive non possiedeaffatto la scrittura della sua immagine privata: chi mi ama “per quelche sono”, non mi ama per la mia scrittura (e io ne soffro). Senza dub-bio, amare contemporaneamente due significanti nello stesso corpo, ètroppo. Ciò avviene assai di rado. E se per caso si verifica, allora è laCoincidenza, il Bene Supremo).

Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso

> approccio critico (5 min)

Nell’interpretare un testo è necessario criticarlo, quindi distaccarsene.Tanto più il testo colpisce quanto più è facile staccarsene. Se si riescein ciò, si diventa critici di se stessi, della propria scrittura, e della con-cezione creativa della propria scrittura. La crisi dello scrittore è unabuona base per acquisire consapevolezza e rafforzare lo stile. Il soprac-ciglio si alza scettico e si ridistende.

> presentazione del corso (30 min)

L’associazione letteraria ARRIVO che rappresento presenzia il corso elo promuove confezionandosi all’interno di un percorso creativo ediverso e inaugura una stagione di letteratura che ha la presunzione dianalizzare clichès narrativi di aiuto per superare l’autocoscienza delgruppo e produrre schemi finissimi di studio e lavoro.

. consegna ai corsisti del programma di studi

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PROGRAMMA di STUDI

CARTELLA A

.introduzione alla scrittura

.approccio critico

.presentazione del corso

.visualizzazione del percorso di studio

.ricerca e approdo a un’antologia

CARTELLA B

.la scrittura

.cenni di autrici, cenni di autori

.inizio di confronto tra stili, generi e testi uomini e donne

.il sessismo e il razzismo nei giudizi del lettore

CARTELLA C

.sviluppo di una poetica

.esempio di poetica dell’abbandono

CARTELLA D

.il rispetto per il lettore

.l’autore scrive con umiltà

.confronto con scrittura audace e elitaria

CARTELLA E

.il testo narrativo

.i flussi dello scrivere

.il cambio dei livelli

.le chiavi

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CARTELLA F

.dentro la scrittura

.incipit

.introduzione

.epitaffio

.inizio

.svolgimento

.conclusione

.ripresa

.intoccabilità (BLOCCHI DI SOLITO)

CARTELLA G

.fenomeni ESP

.intervista a W. Burroughs – overwriting

.scrittura ilozoica

CARTELLA H

.la scrittura nel teatro e nel cinema

.accenni al panpsichismo e al mito collettivo

CARTELLA I

.distacco tra scrittura inconscia e ipereale

.equilibrio interiore per scrivere liberamente e con serenità

CARTELLA L

.trappole nella scrittura

.esempi di testi scadenti

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CARTELLA M

.esempi di scrittura eccellente

.Joyce

.Campana-Bene

.Angot-Santacroce

.Aleramo-Woolf

.Berto

CARTELLA N

.scrittura elaborata semplice

.Alice di L. Carroll

.Il Battello a Vapore di NCC

CARTELLA O

.La droga della scrittura

.Come vivere e scrivere

.Venir pubblicati e sussidiati

.Sindacato che non c’è.

CARTELLA P

.diventare agenti di se stessi

.scuole importanti e da dimenticare

.presentazione di festival di letteratura

.direttivo

CARTELLA Q

.Valutazione orizzontale della produzione letteraria del corso

.concezione di antologia letteraria

.analisi delle singole capacità dei corsisti

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(1) Prima del Natale arriva la sua email di risposta, che in qualchemodo mi ha dato spunto e stimolo per generare il suddetto “materialesaggistico”.Ho infatti interpretato la sua email di risposta come un invito adampliare un discorso interiore de-scrittivo, il CORSO DIVERSO diSCRITTURA.Dalla frequentazione a Milano del corso di sceneggiatura di Cinelifedall’autunno 2002 alla primavera 2003, dove ho abitato in casa delladott.ssa Laura Carcano, ne è venuta fuori questa prima parte.

> visualizzazione del percorso di studio

> ricerca e approdo ad un’antologia (20 min, da far leggere a turno)

Un’antologia è un punto di partenza, per un viaggio nelle onde dellanave del destino, in cui ogni rematore approda tenace e orgoglioso perun’oasi di pace, refrigerio e spirito comunicativo narrando metodica-mente il movimento della superficie che percorre insieme ai compagnistipati allegramente e bellamente nell’area di lavoro. La fantasia dirige regale e maestra nell’albero più alto, dove il più altopunto si orizzonta gridando guidato dal vento eterno, dal mutare delvento e del volo dei gabbiani, di acqua salata, di cibo marino e di brevidiscese in nuotate d’apnea e pronte risalite a cercare bocche d’ossige-no di respiro armonioso e freschezza d’ambiente laddove sintassi recla-ma sinuosi lacchè andando alla fine di un buon caffè già preso, di già,e certo di dire un discorso di narrazione in movimento costretto inavanti, a linee decise, mettendo radici ben piantate a terra.

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CARTELLA B) la scrittura

Definire la scrittura in poche lugubri righe assume il sapore di un com-pendio, di per sé inaccessibile. L’apertura del proprio scrigno interiorestipula un contratto personale decente, completo, assoluto. Nel fogliolascio andare pezzi di me, liberi di vagare in bianco e nero. Più è durala corteccia, migliore sarà il risultato all’atto dell’abbattimento. Il risul-tato che conta è l’abbattimento della corteccia, lo sfogliare, il pulire,l’eliminare strati superficiali ed arrivare al nocciolo, toccare il sacrofuoco, riscaldarsi assieme a lui, come una cipolla sfondata, dal contor-no piangente, che offre il suo dentro a colui che non si ferma al primopianto, alle prime difficoltà. La scrittura sa ricompensare chi ne fa per-sonalissimo uso come un signore apparentemente sgarbato, brusco,indecente premia inaspettatamente il suo servitore. Lui aspetta e saquando trovarti, e quando ti trova è il momento giusto, quello chemagari hai aspettato per anni e per il quale hai perso le speranze, haiabbandonato le aspettative. Quel signore non vuole il tuo successo, telo da. E tu, sei pronto a coglierlo? Ti chiede di trasformare l’amarezzain saggezza, il dolore in destino, la delusione e lo sconforto in punti diforza. Ti aiuta a trovare il tuo livello, di creare il tuo spessore, in unassurdo gioco di incastri che sarà chiaro solo ed esclusivamente all’at-to di scrivere.

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SEMINARIO “LO SCRITTORE RELATIVO”cenni di paralleli orali e graffiti precedenti

Completamente irrobustita teoria del parallelismo di scrittura dove unbuon oratore si svuota della sua personalità, e ne assume dal giardinofertile panpsichico dove un altro scrittore vive, ricongiungendo il ritodel medium, dando vita a un evento performativo che si fonde con lelettere che fuoriescono dall’ugola dell’interprete. Nell’asse d’acciaio cisono avamposti di training poco autogeno, ma piuttosto gestibile e diriferimento. Si diffonde l’opinione dei primi graffitari delle caverne, del loro segnoparallelo alla loro vorticosa oralità, dando ora simbolismi che nel pre-passato non lo erano, quanto una meno mediata comunicazione.Lo scrittore che legge diventa il lettore che scrive. Nella lettura orficasi arriva a elementi meditativi di yoga ascoltato, e quello è. L’anticageometria spaziale e le onde dei flussi emozionali di un grande umanocorrispondono a epistole grafiche di leggii non occasionali, fermano ilsecondo e agiscono dentro il quark, frazionando l’intero concetto dellapercezione del mondo, inteso come quanto di energia. E se il mondonon fosse tale, e si reggesse per specchi, se fosse immagine di altro, eil pensiero sia gestito dal mito collettivo, come stavano scoprendo nellaProtogrecia?Lo specchio è il mondo, niente di più reale del riflesso capovolto, con-statato dalla retina oculare, e nel sillabario utilizzato si compiono con-tinui eventi di insiemi di segni riconosciuti di un popolo, un piccolomagnete riesce a tenere collegate lettere, che prima durante poi lateral-mente circolari son dette lette messe a giacere nel silenzio che parla.

) cenni di autrici, cenni di autori

Ambivalentemente al concetto di scrittura si determina un’eclisse didivisione, ideando un ermafrodita, un hermes, una figura dedita al rac-conto, all’originale romanzo, al frammento poetico, all’andatura espo-

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sitiva che viene dalla trasmissione dei muscoli terminali delle dita dellamano, o dell’insieme del semicerchio con l’avambraccio seguito e spal-la fino all’occhio, al suo protrarsi sul foglio, nelle righe della cartainchiostrata che vien fuori inchiostrandosi pian piano. In un pragmati-co temporale teorico ipotizzabile con gli autori e le autrici si possiedela possibilissima voce inchiostrata di Isabella Santacroce, nome d’artesibillino, abbracciare focosamente il palpitìo di Christine Angot gene-rando tranquillità e angoscia di sapore e odore fortunatamente dopato.Si possiede insomma la possibilità di accostare le due scrittrici perquello che ne concerne la scelta del livello tensonarrativo e del ritmocanterino, neuroblasfemo e sillogico della traccia sonora del loro fra-seggio. Le spalle temporali della scrittura nel nostro ambito le trovere-mo sorrette da Sibilla Aleramo e Virginia Woolf, per chiare ragioniemotive e di sentimento sparso che ben si confrontano e si accompa-gnano a Carmelo Bene e Lewis Carroll. Joyce e Campana non sarannogelosi se collocati a ombrello, il cui manico viene sorretto oggi daGiuseppe Berto. Se ne deduce che la disparità sessuale a cui faremo poiriferimento vuole fuori un altro nome, ma anche NO.

> Inizio di confronto tra stili, generi e testi uomini e donne

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James Joyce Lewis Carroll

A heavy tramcar honkingits gong slewed between.Lost it. Curse your noisypugnose. Feels locked outof it. Paradise at the peri.Always happening likethat. The very moment.Girl in Eustace street hal-lway. Monday was it set-tling her garter. Her friendcovering the display ofEsprit de corps.

“Ulysses”

Però non smetteva lo stes-so e versava lacrime sulacrime, finchè intorno alei si formò un vero laghet-to che arrivava fino a metàdella sala ed era profondoquasi dodici centimetri.

Cap 2

“Alice nel paese delle

meraviglie”

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Carmelo Bene Giuseppe Berto

L’attesa che lo separavadal selciato era almeno trevolte quella del suo balco-ne, già tante volte calcola-ta da lui e sperimentata.Non ci pensava nemmeno.Urtò involontariamente laboccetta della sua medici-na e si chiuse gli orecchiper risparmiarsi lo schiantosulla strada. Sentì...colpito.

Senza capitolo

“Nostra signora dei tur-

chi”

Ero sotto l’ombra dei portici stillatadi goccie e goccie di luce sanguignane la nebbia di una notte di dicem-bre. A un tratto una porta si è apertain uno sfarzo di luce. In fondo avan-ti posava nello sfarzo di un’ottoma-na rossa il gomito reggendo la testauna matrona, gli occhi bruni vivaci,le mammelle enormi: accanto unafanciulla inginocchiata, ambrata efine, i capelli recisi sulla fronte, congrazia giovanile, le gambe lisce eignude dalla vestaglia smagliante: esopra di lei, sulla matrona pensiero-sa negli occhi giovani una tenda,una tenda bianca di trina, una tendache sembrava agitare delle immagi-ni, delle immagini sopra di lei, delleimmagini candide sopra di lei pen-sierosa negli occhi giovani.Sbattuto alla luce dall'ombra deiportici stillata di gocce e gocce diluce sanguigna io fissavo astrettoattonito la grazia simbolica eavventurosa di quella scena. Già eratardi, fummo soli e tra noi nacqueuna intimità libera e la matronadagli occhi giovani poggiata perfondo la mobile tenda di trina parlò.Cap. I “La notte”

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Christine Angot

No, è immondizia. È la perfettaesemplificazione di ciò che miopadre ha fatto a me e mia madre,al nostro rapporto, che era belloprima che conoscessi lui. Perniente immondo, al contrario.Quando è nata Léonore, presen-tivo tutto questo. Il fatto che duedonne insieme preannuncianol’immondizia. Per questo hovoluto chiamarla Léonore, peressere sicura Mio oro, amoremio, mio oro. Lé-onore. Nonor,il mio amore d'oro. Per esseresicura.Per essere sicura; sicura, sicura,sicura. Che non sia un braccia-letto placcato dove basta gratta-re con una punta dell’unghia, esi sprofonda come un dito nelburro, non sarebbe oro affatto.

“L'incesto” (Cap. No man's

land)

Isabella Santacroce

Il porcellino d’India dorme nellavandino e scappa quando accen-do la luce per vestirmi alla meglio.29 in punto. Il mattino è pronto enon trovo frutti rossi, solo bananenere svenute da millenni. Cos’è giusto, cosa non lo è, c’èchi ha tentato di spiegarmelo inuna vecchia cucina italiana e par-lava professore tenendomi le spal-le strette e usava parole conve-nienti ripetendo troppe voltemorale e immorale, paradiso einferno, luce e buio, bianco e nero,tieni cari questi insegnamenti, lavita è dura e tu sei fragile, mia pic-cola Misty.

“Destroy” (pag 68)

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Sibilla Aleramo

Franco. Ora son di nuovo quisola, ho la tosse, mi sentomale. Lui, dov’è? Non sente il biso-gno di sapere come sto, néquello di sorreggermi, di alle-viarmi, di dirmi parole ditenerezza.E pure, e pure, che cosa sareb-be la sua vita se io sparissi?Mi ama, perché mi sottrae aquesta verità che ci fa lumino-si?

10. Dicembre, pomeriggio

“Un amore insolito”

Virginia Woolf

Sono state queste domande, GentileSignora, a farci rimandare così alungo la risposta alla Sua lettera. Sonodomande molto difficili e forse ancheinutili. Ma Le pare possibile non por-sele, di fronte alle richieste di questosignore. Vuole sapere come lo possia-mo aiutare a prevenire la guerra.Vuole sapere come lo possiamo aiuta-re a difendere la libertà; a difendere lacultura. E poi, guardi queste fotogra-fie: ritraggono cadaveri e macerie.Ammetterà che di fronte a questerichieste e di fronte a queste fotogra-fie, Lei deve riflettere molto attenta-mente prima di mettersi a ricostruire ilSuo college; deve chiedersi quale è loscopo dell’istruzione universitaria,quale tipo di società, di esseri umanideve proporsi di produrre. E comun-que io Le invierò una ghinea per rico-struire il Suo college soltanto se Leisaprà dimostrarmi che la userà perprodurre il tipo di società, il tipo dipersone che possano contribuire a pre-venire la guerra.Ma in che senso...a noi viene più faci-le offrire che non a voi.

“Le tre ghinee”

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> il sessismo e il razzismo nei giudizi del lettore

Il superamento del sessismo e del razzismo è rapporto essenziale per lascrematura di una corretta lettura, essenziale e diretta a un approcciostaccato e discontinuo per recuperare un metro ampio e flessibile digiudizio e anche rigido e brevissimo nel suo riproporsi. L’assenza deidubbi sarebbe utopica, ragion per cui esistono aspetti di sessismo-raz-zismo nel lettore.La figura del lettore può auguratamente coincidere con quella delloscrittore, e quindi riversarsi implacabile nel suo stile di scrittura, nelsuo modo e modulo produttivo di unità di narrazione.Se gli occhi dell’attore, inteso come autore di scrittura, sono aperti atrecentosessanta gradi le condizioni necessarie per scrivere sono ulti-mate, chiare, delineate. Non esistono più ostacoli per una nuova presadi coscienza dell’atto letterario.

> sviluppo di una poetica

La poetica caratterizza spesso un periodo produttivo dello scrittore, epuò sintetizzare la realtà che lo circonda e viceversa. Se si applica unfiltro emotivo a ciò che quotidianamente ci accade e si registra, il distil-lato tenderà ad accumularsi, e a prender forma e vita propria. Questanuova coscienza va a formare il terreno per una poetica.Facciamo un esempio, ma ancora è presto. Lo scrittore assume un’otti-ca personalissima alla realtà, vedendola come tematica artistica, ocome POETICA. L’immaginario personale si amplifica e si stringe, edalla parte destra del cervello vengono fuori percorsi di scrittura conte-nuti da una poetica, perché si è formata, sta lì, e guida una parte dellacreatività. Lo scrittore si riconosce, si esamina, trova la sua poetica, laanalizza e la tira fuori, dandole una vera e propria forma visiva. Le cir-costanze determinanti la poetica sono, come esaminato, quanto più lanostra vita automaticamente ci presenta e noi richiamiamo dall’esternocerti segnali, perché ci servono e sono in noi e vogliamo dar loro un’e-spressione corrispondente alla realtà.Quante volte è capitato di desiderare e aspettare a suggello del deside-rio un segnale anche piccolo, infinitamente impercettibile? E di coglie-

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re quel segnale come propiziatorio alla realizzazione del desiderio?Questo senso del simbolico, oltre ad agire sull’atto poetico, è parte inte-grante della vita, e noi ne facciamo parte. Ho quindi introdotto il con-cetto del pampsichismo.

> esempio di poetica dell’abbandono

Ciechi occhiocchi dalla luce

accecanti accecanoin cerca di cecità

cantando e suonandoancora una volta

una celeste armoniauna piacente nenia

uno stomacoaccoglie

biberon domesticie quel succo frullato

di pera offertoaiuta e consolasua vera dimora

in un letto contieneun corpo carino

un lieto corpicinoun caldo abbraccino

di tramonto mattutinodi spenta candelache fiaba ristoradi verde catrame

ne pullulan, ne pullulanlontani

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

pensiericontortiarcignidi feralucente

di fuoco serpenteun colore non ha

chi ha inteso CAPRA’

oh, sì, serafinadi flauto bambinanell’etero andaredimora irrorare

in canto in tantodi gioiagioire

di stirarminon voglio

di fresco trifogliodi viaggio coccina

di vasca supinadi rima baciata

mi aspetta sbocciataseduta scalino

toccava la guanciai capelli dalla boccalevava non nascosta

cambiava la rimacrogiuolo in cimanon torna la seraautunno impera

sistemato dal ventoprovo affetto

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e vaga reginaaspetto da tempo

che si incocciperversa

nel giusto contestosu treno binario

su casco non tornodov’è il trifogliofortuna è andato

ma il gambo commiatoin tasca l’ho accolto

dopo un taglio col coltoin pieno regimeacuisce le piumedi treno randagioin sasso bucato

si blocca, di solito

un brusco ricordodi storia improntastampata in pronta

profumo caffédal bosco in te

capace cappellocotanto indossatodi trame sfiorateintrecci di paglia

dal fumo non abbaiacomplesso di colpa

che avviluppae costringe

a nuove ripicchea picchi di dolore

a gambe addormentatesul grifo appoggiate

sul chiostro in silenzio

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

lui che può, morendo,

tenersi ben strettoil suo cassonetto

mai pieno abbastanzacom’è sua usanza

di ritmo tribalene è pieno, mortale

di tondo giraril mio collo

respiraanidridi e siliciumiattendendo portoneschioccare di chiavenel mio chiuso cuoreche non si vuol aprire

non ogginon oggi

attendo istruzionipopoli affini

uniamo gli sforzi

mischiamo gli intentidi pace perisce

l’arguto poltronesi spacca potente

di profumo di rosae questo vale

per attimini sconosciutie quindiacquista

significato.

NCC

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In teatro l’oggetto amoroso che scompare, si dilegua, lascia un vuotocostituisce un classico tema di poetica dell’abbandono. Si badi che amonte c’è volontà di interpretare, e rappresentare, questa dinamica insenso poetico, con un narrare teatrico incisivamente pregno di poesia.La figura abbandonata allora in primis continuerà esterrefatto a cerca-re o a parlare o a muoversi come se non fosse stato abbandonato, deli-neando atteggiamenti in questa ottica, creando una surrealtà, dove c’èun personaggio che da l’impressione, perché è il personaggio che locrede, di avere davanti l’altra persona. Come? Questa è la poetica del-l’abbandono. In base al livello emozionale l’interprete entrerà dentrouna sua visione che per sua fortuna è visibile, cioè esternata.L’esplosione della passione, del sentimento che non trova il soggettoamoroso può allora spegnersi come una candela senza stoffa, e i gestisi fanno fermi, c’è un blocco emotivo essenziale, una concezione dispe-ratamente nuova della realtà. La poetica è la soluzione alla pazzia: il senso terribile di abbandononon germoglia in dentro, emplodendo (e quindi generando malattiamentale) ma si consuma in teatro, nel palcoscenico e qui entra la dram-maturgia dell’autore, quando previsto, a ruolo di personificazione deldolore, dando gesti incerti all’interprete, accenni di sguardo che cercalontano, lontano, lontano, e allora l’attore aspetta, e il tempo vienescandito da un soffio di vento che entra dalla finestra, aspetta e il segna-le è arrivato, il vento indica che la vita va avanti, e il blocco può essersuperato, se c’è volontà. La poetica non diviene quindi un rifugio del-l’artista, ma un’interpretazione, un trampolino espressivo per esistere,per andare avanti nella sua ricerca, nel percorso da adottare alla suaevoluzione.

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CARTELLA D

> Il rispetto per il lettore

Una delle tematiche più importanti, meno sviluppate e poco considera-te per lo/la scrittore/rice è il considerare che davanti a un libro da lui/leiscritto c’è un’altra persona. Quella persona, che legge, ha i suoi occhipoggiati sulle righe stampate, e li scorre assimilandone la scrittura.Dalla stessa traspare sempre un messaggio, anche quando non c’è infat-ti il messaggio appare chiaro: non c’è. Con questo concetto si puòintrodurre l’idea di un NO MESSAGE, intesa come scrittura piatta,documentarista, di maniera, espressiva, realista, del vero. Impossibilenon considerarlo. Quando ciò si verifica è stata fatta una tale opera dipulizia e semplicità che è come sedersi su una comoda poltrona, met-tere i piedi sui carboni accesi del camino, e aspettare. La cosa più dif-ficile, e parliamo ormai di tecnica, è quella di rendere non tanto imper-sonale, quanto assolutamente priva di messaggio e di soggettiva lanostra narrazione. Una tela bianca concettualmente è molto potente,quindi un foglio bianco. Nel momento in cui si poggia la penna non sisa se verrà letto, non ci si mette nell’ottica “questo è per il lettore”. Nonsi scrive un libro con l’idea che lo legga la persona viva a cui lo si dedi-ca. Chi maneggia il nostro libro può sentirsi felice di non essere rispet-tato, quando è una DICHIARAZIONE D’INTENTI dello scrittore. ...È grave il contrario.

> l’autore scrive con umiltà

L’universo immaginario si esterna nel viaggio interioredell’autore/trice che parte e arriva in uno spazio-tempo da lui definitoman mano. Questa regoletta rappresenta una virgola del discorso umile,cioè del “sentire” la propria scrittura. Esercizio umano è proprio que-sto. Si scrive per se stessi, per primi. Si rispetta, ovvio, la propria per-sona. Non credo necessaria la scrittura terapeutica, che libera l’incon-scio, lo allarga, rimuove paure ataviche, fornisce elementi di monolo-

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go interiore, spalanca cancelli di flussi di coscienza. I vecchi e nuovimostri non si impossessano dell’importanza virginale del foglio bian-co. Veramente, lo aumentano, divorando orgogliosi tutte le briciole diORGOGLIO-UMILTA’. Sa riconoscere, l’individuo con la penna,quando bara, e non fa niente per mascherarlo.

...“Possiedo soggioganti lamenti che possiedo e soggiogo nei lamentidell’animo di Poseidone, che assona il creato che è dato conoscere, maoscure forze sepolte battono il tempo, e lamentano viscere, lamentanodalle loro viscere una vita soppressa, una vita soppressa da altri, ma lalampada si sta aprendo, calma, torva, sapiente, e un vago incenso,denso nel suo, sale e sale e sale ancora, nutrendo l’aere, e riempiendomolecole di materia nobile, perché amorosa. La punizione è finita, ordunque, e il maligno è liberato, che di maligno, poi, niente ha.Comprimo sentimenti di odio. Li affetto, li sconquasso, scomunicandola mia rabbia e lesta piano si rintana nella lampada. Ma un nuovo ritmoha oggi il mondo, una vaghissima luce d’orizzonte ciauscola e scodin-zola nefasti, grandiosi e imperiali glacomi, glacomi speranze non piùabbandoni che sciolgono nebbia e si addensano unite gocce di sangue,di sperma e lacrime d’oro. Né più infausti ripieghi, né più sottomissio-ni di qualsiasi origine, né mai più. Non c’è tempo per il non fasto, il nonsfarzo, la non fierezza del sé, Dio unico. Signori rivoluzionari, genteadorante la massa, prìncipi dei movimenti, liberatevi dal mostro checombattete, le paure possano asciugarsi, lo sconforto una sciarpa cheripara, la mente serve per mentire.”

> confronto con scrittura audace e elitaria

All’epoca carolingia la paleografia fu rinvigorita e rinfrescata incisiva-mente, andando a costituire la base per la scrittura moderna. Se parlia-mo di audacia abbinandola a controcorrente, ed elitaria a classica dipochi, otteniamo un doppio effetto e causa delle affermazioni che nonsoddisfa il concetto del titolo di questo paragrafo. Compito dell’orato-re odierno è quello di sollevare interrogativi, insinuare dubbi, scatena-

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re incerti pensieri, allo scopo di decostruire e decontestualizzare cristal-lini archetipi letterari e lasciarli così. Questo approccio naturalistico esemi deterministico compone allora novità. Per accedere agli archivid’elite vanno posseduti patentini di pubblicista del grottesco, e quantopiù ci si distacca dal testo tanto più si utilizza ironia. Tuttavia l’audacia necessita l’autore di un puntiglio maximo che faribaltare sì l’automobile dello scritto ma immediatamente la traduce, ela distrugge. Esempio: amo lei, la uccido, poi descrivo il suo corpoinerme con amore distorto, efficace, astuto, audace e diafano. Vadooltre. Elaboro la storia. Esce fuori. Non ne esistono altre simili. Vengoinfluenzato e influenzerò. La storia è mia. Lascio il dubbio sull’esem-pio. Mi scrivo addosso. Provoco me e il rapporto con il lettore/audito-re. Mi pongo su un livello raffinato e sottilissimo.

...Cerco di carpire il sentimento di amore-odio, di trasferirlo altrove eproseguire, ancora una volta e per sempre, oltre.

CARTELLA E

> Il testo narrativo

Quando si compone il testo l’autore/trice lo sente, e molto. È naturale,e funziona. Il testo narrativo da solo funziona. Si compone non comework in progress, ma come due negazioni. È. Presenta una struttura, uncodice, ben chiara perché si compone. Non è che va spiegata a priori lastruttura (a meno che non sia una scelta dell’autore/trice) del testo, nonè che va trattata seguendo un percorso interno mentale scritto, se è chia-ro che se non si toccano certi tasti, e non si prosegue a toccarli, nonvengono fuori per incanto e da soli i righi familiari. Cioè familiari lodiventano un attimo dopo creati, quando hanno superato lo statoembrionale, questione di secondi. La produzione letteraria sembra unvomito, snaturata, non lineare. Più lo è maggiori possibilità di capola-voro si sommano avvalendosi dell’idea di rilettura a distanza di tempo.

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Questo lo ho scritto io, non mi ricordo, è bellissimo. Questo l’ho scrit-to io, e mi ricordo, e sto provando le stesse sensazioni del momento incui le scrivevo, e mi piace, perché son cambiato/a e tutto ciò mi serve,è per me energia vitale. Il narcisismo distorto è quello non riconosciu-to. Ma il testo va riletto, e corretto, o tagliato e lasciato tagliato?

> i flussi dello scrivere

Il vomito è un flusso. Il torrente emotivo non sempre può risultare spia-cevole. La comunicazione vera è solo iniziata. Da ora in avanti noncontrollando i movimenti delle mie mani posso andare avanti per tantotempo, abbinando a vari livelli simboli codificati che generano scrittu-ra. Su questa frase lascio spazio meditativo e un’ipotesi di aspettative adomande anche non espresse nell’immediato.

> Il cambio dei livelli

Il registro narrativo si confà al cambio dei livelli, ai coups de théatre ea elementi di base di fattura coinvolgente, se possibile non anestetica.Stimolare la lettura significa agire e interagire nella traccia, nel traccia-to, nella tessitura della trama. Intendo il finire periodo. Cambiare livel-lo significa sospendere l’azione e riprenderla (se è utile) in seguito.Utilizzare il tempo del verbo appropriatamente, con libertà dal presen-te al passato. Se talvolta sembra di non avere il giusto tempo, il tempoche scorre, il tempo scorrevole, è tuttavia NECESSARIO lasciardecantare il proprio scritto, e leggerlo dopo un po’. Alcuni errori di nar-razione acquistano fascino ed eleganza delineando uno stile forse acer-bo e imperfetto, ma di efficacia enorme. Alcuni errori o sgravi possonoessere addirittura messi a bell’apposta, quasi programmati, proprio perdare un tocco artistico diverso dal solito classico registro narrativo per-fetto, bello ma un poco scolastico. Nella narrazione il cambio dei livelli è anche visualizzato graficamen-te. L’editing di un nuovo paragrafo si trova staccato dalla riga prece-

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dente. La struttura anglosassone della narrativa arrabbiata di HORNBYe WELSH segue una narrazione simile alla trama di un film diTarantino; io lascio cadere la mia narrazione. Ne inizio di nuova.

> le chiavi

Ovviamente le chiavi di lettura e scrittura possono non coincidere. Nelsecondo caso le creiamo noi. La padronanza della lingua è sufficientea creare chiavi. Chiavi che poi vanno interpretate, fatte proprie. Le chiavi aprono cancelli e percorsi di racconto, prati di racconto,metafore e allusioni, i giochi di parole di Lewis non solo hanno ridu-zione di chiavi, ma probabilmente ne creano la matrice. Se analizziamola chiave vediamo che è costituita da un “cannello” pieno o vuoto(maschile e femminile quindi) alla cui estremità è fissata la “mappa”variamente sagomata. In enigmistica, e nei vari usi delle scritture segre-te, indica il cifrario necessario per decifrare quanto scritto in modo con-venzionale. La pagina 1744 dell’enciclopedia Motta riporta questa ter-minologia. Traslarla, adattarla alla nostra scrittura, al caso nostro, èfacile.

CARTELLA F

> dentro la scrittura

La realtà del romanzo è dentro l’autore/trice e consuma energia. Questaenergia non sempre è ben convogliata. I blocchi di energia ostacolanola realtà del romanzo. L’unica soluzione è fermarsi, lasciar scorrere iltempo, fare altro. Il romanzo si farà da solo, sarà lui che chiamerà l’au-trice/tore e darà le necessarie indicazioni. Si decanta, e poi si evolve,per mezzo della mano del suo autore, della sua autrice.L’interiorizzazione è legata all’espressione andare oltre. Posso vedere

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una testaccia e la terra della testaccia, dove contiene radici, pensare alleradici della famiglia, dove in superficie appare il bello, che si nutre diacqua e così dicendo alterno il personale all’aggettivo. Credo che dallascrittura non si esca mai. Per questo dobbiamo proteggerci.Attualmente è fondamentale vivere in mezzo alle persone, procurarsiappuntamenti che lasciano il segno in senso costruttivo, agire amando-ci, cioè amando se stessi. Il personaggio del nostro racconto può nonassumere una o più delle nostre personalità, in questo caso si ha la sen-sazione di perfezione, e il lettore coglierà questa asetticità o imperso-nalità o freddezza e la assimilerà. Se ricordiamo il discorso sulla scrit-tura come messaggio dell'autore/trice al lettore/trice (viceversa, è giàteatro) consapevole, si spalancano porte possibili.

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> Incipit

Il mosaico, il tetto, il suono e il tocco iniziale della prima delle molterighe del nostro futuro figlio (tale è l'opera scritta, sembra) affermaqualcosa. Si è detto “in giro” dell'importanza di un incipit che catturisubito l'attenzione. Può essere un metodo. Un buon inizio, un inizioforte, da' la misura del grado di intensità del grado che dà la misura del-l'inizio. Se andiamo oltre il concetto che le lettere si formano da soleper mezzo delle mani, braccia, nervi, retina, cervello e pensieri, psichee quindi anima nostra attraversiamo il campo dell’inconoscibile. Conquesta espressione si intende la quarta dimensione, via, anche per lascrittura. Un'ipotesi di quarta scrittura è data dalle pose del corpo, e daimovimenti del protagonista, inteso come scrittore/rice. Ad ogni azionepuò corrispondere una o più lettere. Tornando all’incipit diremmo chel'insieme delle relazioni che si verificano nell’istante in cui si cominciauna narrazione scritta determina l’incipit, la fiamma anzi la scintillainiziale, proprio perché si chiama incipit. Nella teoria dell'affermazio-ne (che è poi negazione) esistono vie sopra e sotto, o oblique o a cer-chio. La scrittura occidentale, da sinistra a destra, ha una logica accet-tata. Andrebbe studiata casomai non tanto la scrittura di altre civiltànon meno vicine alla nostra, quanto piuttosto una scrittura diversa, cioèche non implichi l’uso affermativo, negativo, orizzontale, verticale,obliquo o a cerchio, che vada OLTRE l'uso geometrico per cui qualcu-no l'ha destinata.

> Introduzione

È indispensabile preparare il lettore/rice a una comodità mentale che lopredisponga all'esame del trattato letterario, di qualsiasi forma. Nelcontenuto va tenuto conto oltre che dell'approccio della materia (gliocchi che scorrono i caratteri stampati su sfondo bianco, le mani chetoccano la superficie solitamente liscia delle pagine) della dimensio-ne nuova, ma anche antica (vedi clichè) con cui si appropinqua la

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nostra vittima. È fondamentale classificarla come cavia, nel nostrolaboratorio mentale di scrittura, la persona a cui è in finale diretto illibro che andiamo a fare, dove alla parola “persona” ognuno può attri-buire il più personale significato, dare cioè la più intima figura.ES: “Vivere è un lento allenamento. Ci sono tanti modi in cui spiegarecome funzionano le cose. E si può anche credere che esista una fre-quenza perfetta con cui si emette il respiro. Non è facile trovarla. È unaricerca di sintonia dal primo all'ultimo sospiro. Simpatia e ostilità tra lepersone si rivelano nel RITMO con cui i polmoni consumano aria.L'atmosfera si espande e si scalda quando espirano, e si contrae quan-do si inspirano”

da “CHEMICAL USA” di D. BROLLI pag 135

> epitaffio

Uno/a scrittore/rice giornalista confonde e mescola gli articoli e ne faun libro. Intende l'epitaffio come il sottotitolo. È esatto. Quando è fattoper il lettore/rice è ben fatto. Quando scritto per l'autore/rice è un capo-lavoro. Può costituire la traccia, il motivo portante, o invece un blocco,un paletto nell'ingranaggio che ci si mette come una sorta di sfida pervedere se si riesce ad arrivare alla fine, al concepimento finito. Quindiil soffio iniziale tocca, lascia la traccia, segnala un nuovo insieme dipensieri che prendono forma, e vengono fotografati, vengono fermati,come un rullio sbloccato, un fluire di introspettivo mondo che vienealla luce, un percorso di strade appena costruite, con sopra autovetturecariche di significanti, che non sembrano mai avere fine, eppure diviaggio si tratta.

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> Inizio

Imboccato il sentiero lo si percorre registrando tutto quello che è den-tro di noi e fuori dal finestrino. Abbiamo a disposizione gli strumenti,elencati e codificati come i cambi di livello, e abbiamo scelto, o stiamoscegliendo, il mezzo. La nostra Fantarca, la nostra astronave è già par-tita, e il primissimo tragitto ci lascia febbre emotiva, calore, ci riempiel'organismo, ci prepara l'intero corpo al viaggio verso l'orgasmo.

> svolgimento

Le peripezie nella scelta del percorso, cioè dello svolgimento, narrati-vo a volte danno l'idea, la dimensione, per la stesura di un altro libro.Si potrebbe scrivere appunto un libro tecnico dove metto gli scarti, iminipensieri, o i pensieri-verità, i pensieri-guida, che mano a mano ilnostro inconscio focalizza. I personaggi della narrazione, oltre cheavere una loro biografia (a noi la scelta se farla a priori e poi utilizzar-la negli episodi della loro vita nel libro, o crearla oggettivamente inbase alle esigenze, o al caso voluto e non). La successione degli even-ti, i colpi di scena, le sequenze ambientali. Singolarmente aridi, nell'in-sieme portano l'autore/rice a un rapporto di piacere totale, di godimen-to settimo, e lo armonizzano. La terapia della scrittura è in pratica basa-ta su questa figura, su questo concetto. Persino l'uso delle ripetizioni èutile, e fissa argutamente nel foglio le immagini prima accennate, poiaffermate e sempre più chiare, quindi sempre più forti ed efficaci. Lostimolo della curiosità dell'utente viene così soddisfatta.

> Conclusione

To come down, to chill out. È una scelta. Succede dopo l'orgasmomaschile. Si è speso tutto, si sono accese lampadine di energia, brucia-

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ti nel senso di attivati neuroni impensati, il rapporto autore/lettore sicontrae, si capovolge, si sublima. Il gioco non è spettrale. È così.Naturale. Non c’è magia. Si è strappato un contenitore e ne è venutofuori il contenuto, registrato in pagine. Semplice. Riduttivo. Non è poco essere riduttivi. Il “lavoro” è concluso, le redinisi distendono. No. Non può essere proprio così. Fino all'ultimo l'insicu-rezza emerge, dal punto di vista dell'autore/rice. Molti intravedono unaliberazione nel sentir finito il libro, la narrazione. In realtà se si è sen-tita accesa la fiamma della poesia, la favola della prosa, se si son toc-cati i paradisi infernali dei nostri interni narratori, questi non se nevanno più. E vanno alimentati, loro lo richiedono. Ci si sente megliodopo aver esternato scrittura. Credo che ogni conclusione non sia cheun nuovo inizio.

> Ripresa

Puntuali le mani cercano la penna, o la tastiera. Lo strascico del quan-to scritto emerge. È come un saluto, come un bisogno di ritornare inpalcoscenico dopo la fine per raccogliere gli applausi. Come un epilo-go necessario per poter veramente concludere e staccarci dal racconto,e sapere senza sentire che si lascia un mondo, quello attraversato dalviaggio dell'astronave narrativa, per atterrare con una diversa visione epresa di coscienza della vita. Un occhio si è aperto, che può far male eva quindi protetto.

> Intoccabilità

Nel processo terminato di gestazione dell'opera ciò che più conta è chenon ci sono infermiere e genitrici che accudiscono il nativo, perché ècosì. Il compito dell’autrice/ore è quello di proteggere il lavoro, e ilsuono delle sue frasi. La pulizia che certi editori e correttori di bozze

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esigono e richiedono io la trascuro, io non la considero. La considerocome consiglio, e sento come mi risuona dentro. Ma le lettere che hoscritto sono un BIG DOMINO RALLY, quindi se le aggiusto o leaggiusto-elimino mi crolla tutto. Se incido sulla pietra una frase quellaè e rimane, ed emana vibrazioni raccolte nel preciso istante in cui èvenuto al compimento. Un work in progress retorico.

>fenomeni ESP

Questa cartella è molto importante, racchiude l'universo interiore del-l'artista che scrive. Ci sono forme di scrittura documentarista, giornalistica, di verismo,realismo, iperealismo fino allo splatter, neuroromanticismo e unanuova forma che sto creando e studiando di neoletteratura del sempli-cismo. L'idea del clipwriting, della scrittura istantanea, non ha ancoraun brevetto. Si può dire che tutto ciò che non è istantaneo è ESP.Chiariamo il primo concetto. La scrittura in tempo reale è quelladell’SMS, del qui e ora, vedo e trascrivo, ma anche “sento” e scrivo,traendo spunto da un frammento di realtà che mi è vicino, da un detta-glio a cui mi capita di rivolgere attenzione e poi ispirazione, o vicever-sa. Il rapporto conosciuto di ricetrasmittente per mezzo della mente-calamita e braccia che registrano esternando movimento delle mani equindi penna-inchiostro-foglio. Chiaro. La scrittura istantanea va oltre,nel senso che interiorizza ed esteriorizza insieme, ed è perciò moltopotente, piena e densa. Ha molte chiavi di lettura e sintetizza livelli. Lascrittura istantanea in tempo reale può esser considerata come un’im-provvisazione continua e destrutturata in maniera devastante macostruttiva dove l’artista che scrive diviene il protagonista di un happe-ning anomalo, diverso, sublime che lo vede mediare tra il suo pubblicoe il suo interiore, ponendosi a metà strada tra i due poli e quindi nor-malmente utilizza la macchina elettronica per captare e fermare il pro-cedimento. La sua scrittura viene proiettata su schermo attraverso unlettore ottico che traduce i segnali del computer. L’effetto è immediato,dà la dimensione sia delle scritture parallele e cioè dello scrittore in

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mezzo alle persone, che di medium psichico, dove i presenti sono rac-colti e catturati da spettatori-attori che interagiscono cioè con la singo-la energia personale creandone una di massa per mezzo dell’artistascrittore/rice.Il fenomeno ESP è tutto quello che non avviene nella scrittura sopradescritta. In pratica la figura isolata dell’autore/rice che si concentra,che entra nella dimensione del viaggio narrativo, percorre una dilata-zione spazio-tempo, insomma può scrivere una storia che si svolge a1000 km di distanza in un’epoca che non è quella vissuta IN QUELMOMENTO dall’autore/rice. C’è una trasposizione fisica. Si vienecatapultati in un meccanismo finissimo di irrealtà globale e realtà psi-chica personale.

Questo è il fenomeno ESP.

Se ora io scrivo che ascolto le onde radio di una stazione milanese neldopo cena e che sono appoggiato coi gomiti ad un tavolo che contienefoglio che si riempie mano mano con l’inchiostro della mia penna aran-cione sorretta dalla mano destra sto scrivendo nel primo o nel secondocaso?Già, potremmo dire che il fenomeno ESP nella scrittura è il cerchio checontorna il nucleo.

> intervista a W. Burroughs

La lezione di Burroughs per chi scrive è quella dell’overwriting.Chi si imbatte in un blocco è perché ha scritto troppo, e invece di rive-dere, lasciar decantare, assimilare i suoi scritti, è andato avanti, ha con-tinuato e continuato, lasciandosi prendere, uscendo dall’intreccio.Questo è frequente. Non si scrive a tema, rispettando alla lettera il sog-getto. Il flusso ininterrotto può capitare che dilaghi, e quando succedeè un bene, perché naturale. Diversamente si parla di catastrofe, dovel’autore/rice continua nella sua scrittura laddove dovrebbe fermarsi a

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riflettere, e più sente che sta facendo una cazzata più va avanti.Vedremo in una successiva analisi esempi di scrittura da prendere amodello per poterle evitare, nel senso di non commettere i medesimierrori.

> scrittura ilozoica

La scrittura ilozoica è una scrittura che suggerisce immagine partendodal mondo naturale, come base, cioè tutto il mondo.In passati illustri l’imagismo e il vorticismo mescolati al futurismo traMarinetti e i poeti inglesi del Joyce, Yeats, Pound venivano mediati dalgadda nel suo descrivere iloplastico alla Fiera di Milano nelleMeraviglie d’Italia. La matrice si completa lentamente, con cognizionedi tempo sempre più, oltre che di SPAZIO. Un concentrato di essenzia-lità, che arriva lontano. Vicino a noi il flusso intenso del morbido scri-vere, dell’intrigo del concetto, del semplicissimo illusionistico, o, daCocteau, dei riflessi degli specchi che farebbero bene a riflettere prima.Nel Calderon va messo pure un altro ingrediente che distingue questotesto. Esiste da anni, e tuttavia l’ufficio dell’arte si sta aprendo comple-tamente all’odierno e moderno concetto di marketing.Azzeccare la definizione che il marketing è ilozoico e l’ilozoismo è ilmarketing, applicando il presente. Questi cerchi che si chiudono antici-pano l’argomento teatrale, questo scrivere circolare, questo cane gattoche si morde la coda si differenzia da certe liriche di Campana, il qualeripete e ripete una intuizione di frase per dare enfasi, per acquistaretempo, e questo è già cinema, o lezioni di flussi di coscienza. Bensì sipuò facilmente concepire senza eccessiva immaginazione questo scri-vere non tanto come ipereale o concettuale, quanto pratico. La lezionepsicologica si frantuma rispetto a quella spirituale. Oltre lo spirituali-smo si torna al personale. Certe conclusioni e considerazioni su inte-grazione depressiva decadono totalmente.L’Otello che si uccide e accompagna all’estremo il sangue della suaamata col suo esegue una tragedia, lui non si domanda il perché, comenon ci si chiede il perché l’egocentrico non abbia soddisfazione sessua-

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le: perché troppo impegnato su se stesso. Narciso o Boccadoro? Lalezione europea, le sue origini elleniche, il trasporto tedesco, il mondolatino, le influenze nordafricane, il pensiero che viaggia, la scoperta deldecimo pianeta, i rumori del mondo, le enciclopedie attendono, i padrimai abbastanza, l’espressione preferita per quello che può significare.

CARTELLA H

> la scrittura nel teatro e nel cinema

Agli occhi di un iniziato, nel senso più distaccato, può sembrare utile,e lo è, leggere “ABC della Drammaturgia” della Dino Audino. Lo fac-cia, sapendo che da ogni libro ci sono elementi scoperti da altri: o li sicopiano, copia e incolla, o li si evita. Considerando che a certe conclu-sioni lo scrittore ci arriva sennò non scriverebbe, lo scrittore che leggele conclusioni di altri scrittori dovrebbe avere un’intelligenza sensibilenel ritenere qualcosa come “Sì, questo è già stato scritto".Se non può leggerlo tutto, il libro di ogni libro, lo scrittore possiederàl’intuito, la percezione, il panpsichismo necessario al suo.Mi sembra normale scrivere che nel teatro la scrittura vien da sé. Basta,è sufficiente mettere insieme elementi che poi si gestiscono smussandogli errori. Chiunque scrive si espone, e quindi è soggetto a critiche e ainevitabili lacune. L’intelletto si sviluppa e si avviluppa. Ogni cosa èopinabile. Non ci si rispecchia prima di riflettere...il contenitore sugge-rito dalle sei lettere “teatro”, il contenuto, il contenente...lascio insospeso questa voce della cartella per riprenderla subito. Sorprendere sìma in maniera sfacciata o garbata, sottile o equilibrata, in bilancia o incapricorno, alla lunga o subito, tattica o strategia? La lezione del tre,della carta con tre coppe e una casa ci aiuta. La dinamica creativa perl’elemento di scrittura teatrale/teatrica accende la fiamma che si ali-menta solo passando alla fase successiva. La decantazione di quanto ildelicato meccanismo ha prodotto non secerne nulla di tangibile se nona livello di onda e di vibrazione. Il senso del tempo ne determina la

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nascita, la gestazione. Si sedimenta e questo è. Ritengo normale e cicli-camente normale la vitalità dello scritto trasformarsi in azione.L’azione teatrale è incorporata nell’attore che interpreta quanto legge,è il grado che la sua lettura paventa, il tasto che smuove. L’istinto ani-male non è ancora preso in considerazione. Ma quali elementi, conquali parametri, con quali clichè è ingiusto fare drammaturgia? “Ognicosa è teatro” è un’affermazione. Opinabile. Ribaltabile. “Ogni teatro ècosa." Si potrebbe continuare per altre quattordici frasi che tengonoconto solo delle parole e non delle lettere e degli spazi tra esse. Eppureuna singola lettera è concepita con un’intensità sua, una sua significa-zione ancora poco definibile. Occorre ritrovare la gentilezza dei nostrisei e sette anni primi di vita per apprendere la pedagogia della scrittu-ra. Si ipotizza nell’autore la nascita della scrittura. Il momento creati-vo viene alimentato. Non importa se decade con la critica o si alimen-ta con la fiducia. Lo scrittore deve attingere dal suo universo, contaresolo su se stesso. Questa è l’unica lezione che può trasmettere.C’è una lezione da considerare. L’ufficio del Dogma, in quella danesecultura mai vichinga, mai così vichinga, geniale per aver ripulito ilcinema dal maquillage ridondante di certe commercialissime e quindianticommerciali produzioni cinematografiche. L’edizione di Cannes2003 è il simbolo e la totale prova non tanto della geopolitica dell’isti-tuzione quanto dell’importanza assoluta e spietatamente bella di arriva-re secondi. Ciò da dei sortilegi, ciò da dei privilegi. L’improvvisazionee la commedia dell’arte non hanno parallelismi. Si negano. È perfettoconsiderare la sceneggiatura come forma di scrittura che interagisce,che mescola il suo arianesimo fondamentale con il sionismo delle altreparti, dei compartimenti comunicanti che compongono una produzio-ne.

Per chi suona Dino Campana? Per aladino. Il mito di Magnun e Lailasi affida il genio della composizione. Questo astuto concetto, la com-posizione, non va ingerito, mangiato, assimilato, digerito.

> Accenni al panpsichismo e al mito collettivo

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Con riferimento alla psicanalisi, alla psicologia e alla psichiatria parlia-mo di panpsichismo e del giardino fertile creativo depositario di arche-tipi di scrittura, di modelli strutturali antropologici a cui nostro malgra-do ci rivolgiamo. Per la teoria secondo la quale tutto (pan) è già scrittooccorre decostruire e ribaltare tal concetto. L’intreccio drammaturgicoche snodiamo nella stesura del testo ha delle radici sinuose in questo.Jung ne parla apertamente. Questa è la necessaria premessa per undiscorso ampio e concreto che sublima, fissa e suggella codesto nostrostudio di lettere. In particolare occorre considerare la trasmissione dipensiero, le influenze, le ondate di artistico sentire, la comunione dellesensazioni che porta al genere, dove a un certo punto si arriva a scrive-re di argomenti comuni non solo grazie al preciso momento storico chesi vive e a quello individuale che è diretta conseguenza e viceversa.Trasmissione che ha fondamento nel pan, nell’intero vissuto del piane-ta in cui camminiamo. Questa importanza va capita, va presa, assimi-lata, fatta propria, insomma considerata. Le necessità naturali nonvanno snobbate o combattute ma vissute. Ignorare aggrava. In pocheparole un genere si crea facendo riferimento più o meno consciamenteal mito collettivo, ove inteso come pozzo archetipo presente in tuttol’inconscio umano, di quei miti con cui veniamo a contatto fin da bam-bini. Dal mito collettivo attinto lo si lascia come scivolare addosso, egustarne la risonanza in noi. Ce ne liberiamo trasferendo filtrato ilnostro nuovo elaborato su carta o schermo. Ne risulta, da questa ricet-ta, l’elaborazione più semplice del concetto primitivo di scrittura, intutta la sua scorrevolezza.

CARTELLA I

> distacco tra scrittura inconscia e ipereale

La scrittura del lavoro e il lavoro di scrittura appare tale ma non lo è,almeno non del tutto. Nel processo fin qui analizzato sia creativo inte-riore che creativo esteriore, nel processo quindi di input output della

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scrittura, si pone il problema della sua nascita. Dove e come la scrittu-ra nasce, ha luogo, si sviluppa, ha una sua struttura, ne segue il traccia-to e le possibili deviazioni? Quali sono le chiavi da aprire? In cinema-tografia, il dettaglio ipereale da quel tocco necessario e caratterizzanteper rendere concreto un progetto compositivo, per dargli corpo, forma,sostanza. In realtà ci sono dei frammenti di sensazione, di percezione,di trasporto che coagulano il sangue del nostro battere e percuotere itasti, rollare l’inchiostro di una penna nel foglio, importa quale forma-to, importa a quale ora, se a stomaco pieno o a mente ansiogena. Certoche nel pc ogni tanto appaiono involuti sconvenienti. Ma questo è unaltro discorso, che va tuttavia tenuto a suo buon conto. La distinzionea compartimenti è in questo caso normale. Lo scindere, il decostruire,il riconoscere e il saper riconoscere sia parole chiave significanti checapirne la radice, l’origine più nascosta, più intima ma anche rilassan-te, la morbida via di mezzo, è parte vitale del sistema descrittivo.

>equilibrio interiore per scrivere liberamente e con serenità

L’impossibilità circostanziale vuole e alimenta l’eremita, il senso lican-tropo e alienato, di altri pianeti, in altri pianeti, che vuole la società. Noisiamo qui a distruggere questo stereotipo. Distillando e filtrando anostro vantaggio il calderone informativo e conducendo la distorsionedi cui sopra a un’armonia e tranquillità primordiale e mammifera checi riguarda, diremmo che chi scrive è per vocazione e per scelta di cam-mino coinvolto nell’autoaffermazione elementare e completa della suavita. Suo compito naturale e mai forzato il comprendere le leggi fonda-mentali che lo metteranno nella condizione personale e universale discrivere al meglio. La scrittura è di per sé catartica, puoi scriveresott’acqua o fare l’amore sul fuoco. La gioia di liberarsi di pesi e misu-re interiori e non solo è inimmaginabile e come tale va provata. Cosa ecosa e cosa c’è al mondo di più bello e leggero della scrittura? Non so,ma per arrivare a scrivere liberamente e con serenità ci vuole equilibriointeriore che si raggiunge attraverso la scrittura libera e serena.Facilissimo. Non si può vivere in una campana, di vetro, e si può vive-

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re sempre in una campana di vetro. La realtà dei fatti impone allo scrit-tore di vivere adeguatamente, cioè bene. Le sue storie hanno bisognodi respirare, e lui o lei, mater o pater, subiscono un cambiamento antro-pologico all’atto della creazione e concepimento che ovviamente nonsostituiscono il parto vero, del bambino in carne e ossa, ma comunquesono predisposti essi stessi per legge naturale a creare un ambiente alloro intorno, e adattare il loro intorno a livello sottile a una tangibilearmonia e rilassatezza che il nascituro porta, comporta chiede e richie-de. Non ci sarà complesso di Edipo, o di Medea, in quanto il libro è unlibro e non una persona. Semplicemente capibile perché è così.

CARTELLA L

> trappole nella scrittura

La definizione di trappola può valere a patto di aver ben compreso ilsenso della scrittura. Frequentemente succede di leggere un pessimolibro, ed è una fortuna immensa per capire quello che non si deve fare.Il mestiere dello scrittore impone scelte che vengono e si riversano nelquotidiano. Non si improvvisa nulla, ma la mestieranza la si costruiscein ogni attimo. Non si tratta di missione, ma di vocazione.L’inespressione orale di alcuni nostri pensieri, di alcune verità persona-li non rivelate o che facciamo una fatica bestiale a riconoscere, perpaura per esempio, nella scrittura sono spesso e per fortuna celate,mascherate, incellophanate. Pure se si legge qualcosa di valido, e diefficace per il nostro interiore, e il nostro inconscio gode e gode, dob-biamo allontanarcene il più facilmente possibile: questione di anni o disecondi. I primi a fare e capire erano i secchioni della nostra scuola, perchi ha avuto un’istruzione pubblica. Noi siamo quelli che potevano ren-dere di più, avevano delle potenzialità ma non si applicavano. Quelliche si chiedevano insomma il perché dovevano imparare determinatecose piuttosto che altre, in base a quale scala dei valori? La società, irapporti umani, ma se tutto cambia abbastanza velocemente, perché

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non crearsi un proprio mondo reale, non surreale? Il gioco vale, e valela pena confondere e confondersi, entrare e uscire dalla letteratura,essere parte attiva, attore o attrice di un racconto, giocare tantissimo,mai smarrendo la chiave. La necessaria sofferenza di una personalitàsensibilissima può e deve sfruttare l’arte per liberarsi, per catarsi, perarrivare a una pulizia dell’anima, al niente, al vuoto assoluto, allo svuo-tamento mentale, alla lievitazione dei pesi mentali, all’aura pura.Trasmutazione di sofferenza. Trasformazione in saggezza. Attraverso ildivertimento. Ad ognuno il suo.

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VIRGINIA Woolf

Poiché, già all’età di sei anni, apparteneva a quel numeroso clan chenon sa isolare un sentimento dall’altro, ma non può impedire alle pro-spettive future, con le loro gioie e le loro pene, di distendere una nubesu quanto è a portata di mano, poiché per gente di questa natura, sindalla prima infanzia, ogni rivolgimento della ruota della sensazione hail potere di cristallizzare e fissare il momento da cui dipendono le tene-bre o lo splendore, J R, seduto sul pavimento a ritagliare le illustrazio-ni del catalogo dei Magazzini Militari, mentre sua madre parlava, cir-condò l’immagine di un frigorifero di una gioia celestiale.

Pag 1 (traduzione di Anna Luisa Zazo)

Così con le lampade tutte spente, la luna tramontata, e una pioggia sot-tile che tamburellava sul tetto iniziò un diluvio di immensa oscurità.Nulla, sembrava, poteva sopravvivere a quel diluvio di immensa oscu-

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rità. Nulla, sembrava, poteva sopravvivere a quel diluvio, alla profusio-ne di oscurità che, strisciando dai buchi della serratura e dalle fessure,si insinuava nelle imposte, entrava nelle stanze da letto, inghiottiva quiuna brocca e un bacile, là un vaso di dalie rosse e gialle, e ancora gliangoli acuti e la solida forma di un cassettone.

Pag 135 di “Gita al faro”

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ISABELLA Santacroce

Con Isabella Santacroce attraversiamo un territorio quasi virale, mala-to e quindi curativo, con una scrittura ribelle, ipnotica e subliminale.Gli ordini eseguiti in certe pagine di Destroy, la sottomissione tempo-ranea, i giochi di potere esistono e lei li mette alla mercè di tutti, sba-ragliando, portando alla luce elementi mobbing, giocando con lamagia, scrivendo di episodi che nella realtà esistono a dismisura, nelquotidiano, il lettore viene catturato e inglobato nel coito della narra-zione, imprigionato, mangiato e digerito. Alla fine della lettura esci dalsuo stomaco con una sensazione che qualcosa non va, e va cambiato.Questo influisce sulla produzione letteraria.

A un altro livello, il suo pensiero andava sul fatto che in un corso discrittura si insegnava l’uso della parola scritta, ma non quali erano lecomodità che ognuno dovrebbe avere nell’atto stesso della scrittura,come una buona impostazione dell’asse macchina da scrivere e braccia,che coincide con l’altezza dello stomaco, se si vuole scrivere con lo sto-maco, chiaro. Avere a disposizione fogli bianchi nei paraggi, per nonvedersi interrompere il martellìo fluente, cosa che inevitabilmenteaccade una volta che il foglio viene riempito. A monte decidere qualemezzo di scrittura utilizzare, e per questo avere una certa dimestichez-za con le proprie decisioni, e perseguire lo scopo piacevolmente. Lerighe composte infatti si impregnano dello stato d’animo dello scritto-

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re, specie nella prima stesura. Vengono dotate di vita propria, cometante cellule le lettere hanno il proprio dna nell’inchiostro usato. Simaterializzano e prendono vita a campi magnetici, raggiungendo loscrittore e stabilendo biunivoche funzioni vitali.Il braccio del ritorno a capo determina attimi di riporto al ricomincia-re, e questa monotonia ripetuta alla lunga sensaziona il tempo, fotogra-fa i suoi granelli, orizzontalmente si parallela all’incedere verticale diclessidra. Consapevole della sua ricerca entra nella dimensione del nontempo, fermandosi ad ascoltare lo scalpiccio ritmico della macchinapianoforte da scrivere, come se il resto si fermasse da solo, per asso-nanza. E, compiacente, vede scorrere il rullo e immaginarsi un giorna-le circolare, affascinandosi cosmicamente d’infinito. Ogni ché acquistabeltà e si illumina, rifiorisce, offre, risplende vigore e tonicità, vibraconsunto ragguardevole commiato da quello che è stato e ciò che, tra-sformandosi, sarà. Bizzarro, per non averlo scoperto prima.

CANTI ORFICI

Questo libro è magico. Concepito in manicomio, per errore della casaeditrice Vallecchi di Firenze, ha una antropologia evidente e nascostadi base che entusiasma la concezione di ciò che vuole essere e ciò chevuol dire essere donna. L’autore arriva a una poetica assolutamente ecompletamente inconoscibile, in quanto certa. Evidente il dettaglio,assoluto lo stato d’animo. L’uso di diminutivi ripetuto accentua percontrasto l’amore e la passionalità totale per figure umane che la natu-ra ha predisposto a femminee. Sono versi costanti, c’è una riletturasemplicemente mai fatta prima della poesia, della forma poetica, dellaprosa poetica. Il lettore conosce le presenze dello scrittore attraverso illibro. Le presenze che hanno attraversato il libro sono tutte fermate sucarta. La natura protagonista in quanto tale, si mescola con le emozio-ni, diventando natura emotiva, profumi dimenticati e quindi presentipiù che mai, con manifestazioni oltre comprensibili. Si agisce sull’inu-mano, sull’eterno, c’è una tale fermezza, una tale concreta e palpabilearmonia del verso, delle lettere, un fuoco quasi stabilito da tempo, daltempo, una freschezza del sentimento bianco, del neoclassico ripulito,

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della scrittura intesa come scultura e incisione mentale e sulle pietre.Se ne stupisce solo ora di come la diffusione dello scritto non sia cosìimportante, se si pensa che all’inizio l’autore riportava i primi denarivendendolo personalmente. In Campana, lettore di molte madrelingue,si percepisce lo sfruttamento subìto a più livelli, si percepisce la suasofferenza dovuta ad altri che ne succhiavano la sua linfa vitale. Cosac’è di più immenso dell’orfismo, cosa c’è di più lirico, di più maledet-to in senso buono, di più forte di un uomo innamorato di tutte le donne,della sua natura, della natura che prende vita, inconsistentemente magi-ca, fermandola? Come rendere vitale il verso, l’immagine e il dettagliotremendo, senza sforzo, quella parte nascosta di ogni persona, quellaparte più viva e autentica, smascherata, quella parte più viva e autenti-ca smascherata? Carmelo Bene lo ha proposto in un audiovisivo poiscoperto e diffuso e valorizzato da Aldo Nove. Vedere Bene narrar let-tura è già di per sé eterno. La sua B viene prima della C. Loro due ave-vano qualcosina da dire, lavoravano nei fantasmi, Bene e Campana. Sipuò uscire dalla lettura e dall’ascolto profondamente, profondamentearrabbiati. Dino Campana lo si riconosce da un verso.

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OH SERAFINA

Il sapore di un incontro mentale inaspettato. Il rifugio nel mondo deivolatili. La disperazione di chi non sa che la vita non è così brutta comequella vissuta dal protagonista nella prima parte del libro. La salvezza in un istituto di cura. La descrizione del mondo industria-le, di un industriale troppo umano, tanto e tanto debole. La donna ope-raio che si riscatta. Il flauto, il calore e l’alone di un incontro. Magia dibrividi di piacere, il carro, l’arca con gli animali, un’arca vera, non fan-tastica, non fantarca. Solo il titolo è capolavoro, solo quello basta aindicare lo stato d’animo in maniera e modo scrittivo normale, norma-le e efficace, asciutto e semplice. Siamo nell’Italia dei miracoli, respi-riamo atmosfera del nord, umanissima come una lotta sindacale, al con-trario. Berto stampa lettere una dietro l’altra con una concezione nor-male, di chi non prova sforzo nella professione, di chi sa bene abbrac-ciare il pianto e la cupa disperazione della pazzia, di chi sa riscattarsianche e solo grazie alla scrittura e all’osservazione del mondo anima-le, di chi sa cogliere l’attimo e portarlo alla fruizione di una paginainchiostrata.

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NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI

Gli anni sessanta, la riforma strutturale della battitura scritta, le nonregole del gruppo ‘63, l’energia per sempre riportata dall’autore fannodi questo impasto letterario una cosa da Sugarco. C’è quasi una magia,una specie di portafortuna nel possedere il libro. Il Bene brucia dentro,scoperchia verità difficili, pone continui e continui interrogativi nontanto esistenziali quanto interni all’interrogazione, con un occhio alperché, alla motivazione ci si interroga interrogati. Lo scorrimentodelle righe del libro suggerisce molto, e per certi versi è vicino, semprepiù vicino a Dino Campana. La lettura del libro avviene solo ed esclu-sivamente al punto e al momento giusto, è un poco il libro che indicaquando e come vuole essere letto. Se si rispetta regala soluzioni.Dovrebbe essere così per qualsiasi lettura, ma questa, in questa, è piùevidente, questa ne è evidente. Cosa cattura, cosa colpisce, cosa fa ladifferenza, da cosa si distacca, dove va e vuole non tanto arrivare mafar arrivare Carmelo, quali intuizioni ci apre, come vuole farci final-mente ragionare per conto proprio attraverso il suo inchiostro?

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LEWIS Carrol

Inghilterra in terra. Nuove forme e nuovi contenuti perché la forma nonè sostanza. Questo è certo. La creazione di nuove parole, la strutturadella grammatica non solo mentale linguistica assume toni bambini,didattici, comunicativi. Si torna a una concezione pura del sapere, delpassare informazioni con la scrittura, e una seria collezione di riferi-menti e rimando e meravigliose terre fantastiche, paradossali, quasi dirifugio in un mondo archetipo, originario, con sentori egiziani. Con sentori egiziani riferiti a commistioni tra uomo e animale, a para-goni ovvi, attingendo da un immaginario veramente anglosassone, dauna presenza presente e costante della visione di Blake, distaccandosiimmediatamente. Psicologicamente perfetto il suo modo di scrivere hauna radice appena da romanzo di formazione, attribuendo significazio-ni giornaliere al suo porsi davanti al virgineo foglio. La tradizioneinglese colpisce per via del suo armonizzarsi, dell’espressione artisticadella lettura come catarsi, come cura verso i malesseri, come antidotocontro le depressioni. Una lettura felice e infelice può determinare laguarigione mentale da gabbie personali, in cui lo scrittore odierno eeterno può incappare per effetto della sua fantasia.

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Ribaltando e superando il concetto la scrittura cura. Il collegamentocon la Woolf è qui. Il celeste, il celeste è il colore che viene alla luce,ci si figura. Celeste come armonizzazione di parti inanimate o troppoanimate di noi scrittori, di parti brucianti sottili e impegnate chissàdove, di spicchi disordinati, di metastasi impazzite per definizione, dimalate informazioni scambiate nelle cellule di un panpsichismo collet-tivo e individuale, di quello che determina la scelta di alcuni tasti piut-tosto che di altri, di come si forma automaticamente e per sempre ilnostro modo di scrivere, il nostro orgoglio di espressione, il nostro infi-nito totale unico verso, universo, pluriversale antidoto alla paura, allarabbia, all’impotenza, all’antinarcisismo e quindi al narcisismo, al rico-noscerci socialmente utili perché ci esponiamo, esponendoci all’espo-sizione della critica, trasformando l’errore in un punto di forza, nonpermettendo ad alcun maestro di correggerci semmai il perfetto contra-rio, diventando grandi e decisi giorno dopo giorno, acquisendo disin-voltura e fiducia nei personali mezzi, oppure no, oppure lasciare sem-plicemente fluire tutto.

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JAMES Joyce

Circolare flusso, concentrazione mondiale riferita alla circolarità del-l’energia che parte dall’oriente e arriva ad occidente, del qui, due ditasotto l’ombelico. Collegata alla mente si arriva alla fontana, e tuttoquello che ci circonda. L’opera del signor irlandese passa per Trieste,per Svevo e non solo. La statua della capitale dublinese, la cui parolarammenta Berlino. JJ spazia nelle matematiche, nella libera espressio-ne compositiva e composizionale, concatenando epistemologiche inco-noscibili connessioni innestate da lui e lui stesso. I suoi occhiali, e lelenti relative, davano ai suoi occhi, due, una visione d’insieme fuori dalcomune, acuendo fino allo spasimo la sua sensibilità. Forse potevaveramente e finalmente vedere le energie degli esseri umani muoversi,interagire per effetto di un dialogo, di un pensiero più incisivo di unaltro. Capire Joyce è capire l’espressione del potere, dove un dominan-te è per definizione colui che comunica a un livello altro, colui che noncomunicando comunica tutto. Come saper veder duettare le aure deipersonaggi, e non lasciarsi intimidire da questa nuova consapevolezza.

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Vestire i panni di JJ comporta il tocco al battito, il tocco al battito feb-brile, infernale, del profondo della Terra. Dà un’acquisizione superio-re, senz’altro. Lui elimina i confini, li cancella. Cosmopolita della cul-tura come vera evoluzione e scoperta. La trasversalità di una buona let-teratura genera cambiamento e quindi ordine. Ci si scorda troppo spes-so della nostra origine umana.

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CHRISTINE Angot

Ansia patogena e virale. Velocità descrittiva. Un rullo che ha fame e sinutre delle pupille del/la lettore/trice. Un connubio impercettibile maevidente tra la sua Francia interiore e altro. Il rapporto continuante coltelefono. Fresca di natura e gradevole di aspetto non aspetta, finisce.Uso corto della punteggiatura, finalmente. Nella sua epoca lei rispec-chia i tempi affrettati e affettati. La erre la lascia ad altri microfoni.

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SIBILLA Aleramo

La pace dei sensi nella donna che scrive va di pari passo con un certocalore e riconoscimento per il suo lavoro, che lavoro non è. Piacere sì.Bella e impegnata la sua voce in capitolo. Chi sei per affermare taledefinitiva sentenza? Chi sei tu dunque che ti fermi e analizzi moti d’a-nima, portando a compimento assolutezze dolci, profonde, con abbrac-ci rivelati, con abbracci rivelati, con struggenti rivelazioni per il mondomaschile, per l’amore verso la maschile presenza e frequentazione delpoetico movimento che definirlo in un preciso momento storico è ridut-tivo? Il suo è un abbraccio antico, contadino, raffinatissimo, molto dif-ficile da ritrovare, nella sua completezza urge un miglioramento e unaricerca costante, un cammino a prendere la vita in mano, nelle dita, neisuoi diari confortanti. Non è un capolavoro, il suo, non è un capolavo-ro il suo...eppure la femminilità evidentissima, quasi virile, del suoaccostamento espressivo aiuta e facilita a capirne l’ambientazione cal-dissima, mammifera, orribilmente incolpe, registrando la sua societàintesa come relazione. Alcune pellicole cinematografiche mettono inevidenza aspetti e parti di personalità interpretative che vogliono farderivare l’essenza della scrittrice, anche in Sibilla, oltre che in Virginia.

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I loro nomi hanno difficoltà di riproduzione, oggi. Il giorno della vitto-ria elettorale, intesa come suffragio universale decretato dall’acquisto edall’acquisizione del/la lettore/rice subisce senza farlo. Si rigenera,dando forza a chi pretende di impossessarsi non tanto di vestiti altrui,quanto di ritrovare i propri.

Giuseppe Berto

“Il carro si mosse, lento e solenne, e cominciò il lungo viaggio verso LaFinca, che stava dall’altra parte di Milano, in terra di Pavia. Quattro gior-ni e tre notti durò il viaggio, nelle strade intasate di macchine, bloccatedai semafori, rese pazzamente aggrovigliate dai sensi unici. I milanesinon facevano commenti, ormai non avevano occhi e pensieri che per iloro traffici. Alcuni pensarono che stessero girando un film, ma non eracosa che li riguardasse. Solo un signore, dall’aspetto di colonnello dicavalleria, che però era anche associato al World Wildlife Fund, si tolseil cappello al passaggio. E un bambino raccontò ad una bambina, che erala sua amichetta, d’aver visto uno dei carri di Federico Barbarossa, cheforse s’era attardato nel viaggio verso la Terra Santa, ma la bambina nongli credette. Era prima dell’alba, quando passarono per la Piazza dellaScala dove c’erano solo alcuni spazzini, i quali protestarono perché ibuoi ogni tanto lasciavano cadere una di quelle tortate puzzolenti allequali essi non erano più abituati. Augusto Secondo cercò di spiegare loroche quella puzza era una puzza sana, mentre quella degli autobus facevamorire, ma essi non se ne dettero per intesi. Allora Augusto Secondolasciò perdere, e proseguì per Porta Ticinese. La passò con qualche dif-ficoltà, perché già cominciava il traffico intenso, metà gente voleva usci-re da Milano e metà gente voleva entrarci. Poi, fuori porta, le cose anda-rono meglio, però ci volle ancora un giorno di cammino, prima che lacittà finisse. E poi un altro giorno di cammino, e arrivarono alla Finca.Era una vasta tenuta piena d’alberi e già abitata da una grande quantitàd’uccelli. C’era anche una bella casa, con un cortile contornato da porti-ci, e lì finalmente il carro si fermò. La grande gabbia venne aperta, e tuttigli uccelli volarono intorno, di nuovo liberi, in un cielo più bello.

Liberamente tratto da “Oh, serafina”

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testo del Berto introvabile a tutt’oggi

> esempi di testi scadenti

Nella normalità rientrano tutti. Codesta normalità presenzia certo piat-tume e contrario di sobrietà. L’ampolloso, il ripetitivo, l’acquisto inuti-le e idiota di testi di molto pubblicizzati, pompati, palestrati in senso dievidenza e non per indotto e deduzione portano alla decadenza. Questotrattato diverso sulla scrittura farebbe bene a essere considerato scaden-te, se per fortuna e disgrazia allo stesso tempo personaggi retorici insenso negativo non sporcassero la grazia che la scrittura comporta.Ghostwriters, tutti quelli che scrivono per altri, sono spesso e spessospesso. Persone che non si rendono conto dell’importanza della missio-ne, il non lasciare in sospeso, il non ripetitivo, il non già detto, il nonansiotico respiro di un testo normale, l’aria che trasuda da una unicaprima impressione definitiva e razzista, odiosa e impunita, un dettatoscolastico, una revisione non richiesta, la deregulation, la possessionedei diritti in verticale ma in senso casuale, sì, ma sconnesso rendono lavisione globalizzante della scrittura difficile, noiosa, abulica, insignifi-cante, sprecando idee, inchiostri, legno, occupando posti in librerie,dando spazio a presentazioni promozionali, facilitando l’ingresso dieditori che fanno pagare autori, inteso come pagamento concreto in ter-mini monetari, volto a una produzione angosciosa perché viziata in par-tenza. Di vizi il mondo dell’editoria è parente con quello di rampanti-smo politico, giornalistico, plagiatorio. Un buon utilizzatore delle let-tere inevitabilmente incappa nei pescecani, e per certo li saprà ricono-scere col passare del tempo e delle esperienze. In merito esistono infor-mazioni anche devianti su questo o quell’editore. Ma se è vero che c’èun tempo per tutto, c’è pure un tempo per una caduta di costume, di unastrumentalizzazione premeditata, di un nascondersi dietro ad un nome,di un paranoico enfatico “non ricordo cosa", di un livellamento appiat-tito partito del marketing e della ricerca commerciale che si avverte nelsuo silicico artificio, nel suo odoroso male di novità, nel servizio aservire, nella prostituzione prima mentale e poi delle dita che compon-

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gono, nella sicurezza dettata ancora dalla monarchia liberista di unacensura, commerciale per di più. Non è vero che cognomi famosi fannobest-seller. Non è vero che Banana Yoshimoto favoleggia. Che Kitanosia freddo. Non è vero, ma è vero. Altrui persone che decidono. Chefanno le leggi. Che predispongono perché tutta l’umanità sia d’accor-do. Che regolano le economie sentimentali. Dipende dalle latitudini,dalle longitudini, dai paralleli. Che congiunzione cubana, banale.Questo è un esempio di scrittura scadente.

CARTELLA M

> esempi di scrittura eccellente

Dal basso parte la protesta trasversale della cultura per risvegliare uni-versi di differenze etniche, mantenere radici di dialetto, di appartenen-za, trovare nuove forme consociate, analogie significanti e ficcanti.Probabilità di stabili tartufi dall’intrigante olfatto boschivo, per cac-cianti disarmati, per calori elettivi di sensi allargati, per imbarazzismigià coniati e attuali, per superare e oltre andare arrossamenti e scambidi personalità. Il personaggio vive e vegeta, ha una sua biografia, unsuo sistema nervoso e una sua infatuazione. Debole affronta il viaggioche lo racconta nel libro attivamente, interagendo con l’autore. È di porpora, si annusa la sua stampa nell’aria, si immagina l’accensio-ne del furgone pieno di freschi libricini, di bolle accompagnatorie eimbocchi autostradali, di scarichi di magazzino, di successi e insucces-si e ristampe, di neoletteratura, di osservatori universali umani, di ceppieditoriali, di squilli eccellenti, di cambio, cambio di società, di positi-vismi e cospirativi acquari fenomenici, di giacenze accanto alla poltro-na, al sofà, al letto singolo. Dalla stanza tutta per sé partì tutto, e anco-ra non si è fermato.

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CARTELLA N

> scrittura elaborata semplice

Nella surrealtà saggistica di questo trattato appare costante e ovvio ilriferimento all’onirico sentire e al capace immaginario dell’autore chedetermina termini. Il neologismo del grafismo. Si utilizza l’irreale sur-realtà per arrivare al reale. Con questa premessa ci si accinge a discu-tere il mondo fiabesco antico e moderno, ove si intende il quotidiano el’attualità come l’opposto, ironicamente. L’elaborazione della compo-sitiva letteraria, staccata per definizione dall’oralità, semiologicamenteha qualche funzione. Il calore e l’armonia di un testo scritto per le fascedi età più bisognose trova fondamento da semplicismi indistinti tra l’in-teriore e l’esterno, unendo le differenze e amalgamando, mescolando,impastando dualità.

> Alice di L. Carroll

La meraviglia del mondo di Alice corre e concorre a. Il rimando e i rife-rimenti. Gli animali, gli animali, soprattutto. Le porte e gli specchi e ilgrifo e la chimera, il cilindro e la regina conducono a tarocchi, a sim-boli mistici, a naturalissimi percettivi istanti anche ultraterreni di emo-zione provocata, generata, causata dalla lettura. Ci si risponde chieden-doci se Carroll invece di trasfigurare la realtà, non creasse, oltre alloscarto necessario per il lettore, un costruttivo vedutismo contenitivoglobale, partendo dal tappetino, dal carpet di casa sua. Escludendo lasua direzione, sia che andava che tornava la sua casa rappresentava unasoglia, un varco, un’estetica borderline, insomma e quindi. La colloca-zione della differenza tra spionaggio industriale e comunicazione atti-va aumenta, ed è facilmente riscontrabile nell’autore, inteso in sensoampissimo. Il vagare terminologico risulta compreso, l’incomprensibi-lità della pressione letteraria si risolve, la logica moderna concretizzapedagogie semmai utili a certi verticali sensi, la sintesi espansa bom-barda il risultato della riga nel libro. Questi elementi si risolvono da

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soli, e il fenomeno della scrittura elaborata da noi è dentro quello cheproduciamo, semplicemente.

> il Battello a Vapore di NCC

IL BATTELLO A VAPOREPREMIO LETTERARIO Di narrativa per ragazziCitta di Verbania 2000VIII Edizione

Lire 30 milioni

Marinava la scuola per andare a fare lunghe passeggiate sulla riva delmare Azzurro, meditando sulla bellezza dei suoi piedi che si muoveva-no sollevati dal suolo. Simone era un ragazzino lieve e vivace che benamava confondersi con le persone e scambiare un sorriso di amicizia,felice. Il suo passato lo spingeva a cercare complicità nella vista delmondo che girava, girava, come una gran bella trottola colorata. Perquesto aveva scelto il bagnasciuga di Mordava, dove ci sono sempreallegri pescatori trionfanti del loro bottino, pronti alla battuta in cam-bio di nulla. Simone era certo di incontrare un suo amico, Giacomo,che aveva recentemente perduto un affetto durante una regata. Si avvi-cinò leggiadramente al barcone di legno oliato del suo amico, ma nonne scorse nessuna presenza.Con voce acuta chiamò il nome di Giacomo:“Giacomo, Giacomo!!”Dopo pochi istanti dall’immobilità della barca si ode un tonfo:“Putupum!! Ahio, che botta!!"Simone ha uno spavento e, sgranando gli occhi:“Che succede?"“Ahio, non riesco a muovere più la mia gamba!"“Oh, Giacomo! Sei tu!!”“Già, sono io!”

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Simone vedendo l’amico immobilizzato in modo goffo non può tratte-nere una leggera risata:“Ha ha ha!”“Invece di fare quella faccia furba perché non sali e aiuti a rialzarmi?”Simone porge una mano all’amico indifeso non prima di essere saltatosopra la barca, ma cade a sua volta sul pavimento scivoloso pieno dianguille e totani. Il suo viso va a sbattere contro quello di un pesce daun chilo, che sembra guardarlo scherzosamente. “E tu cos’hai da guardare, eh?”Nel frattempo Giacomo è riuscito a rialzarsi con le sue forze. Ora è ilsuo turno di prendere bonariamente in giro l’amico.“Ma lo sai che sembri proprio un tonno?”“Tante grazie, ma veramente ero venuto per aiutarti...”Simone accetta di venir sollevato dalla mano di Giacomo, e i due rie-scono a trovare un posto per sedersi sulla panca vicino al timone. L’ariadel mattino diventa tiepida e il libeccio scompone appena l’orizzontemarittimo e forma onde bianche visibili fino a un chilometro dalla riva.L’odore del pesce fresco riporta Simone alla realtà.“A che devo la tua visita?” chiede Giacomo.“Mi presti il libro dei venti?”“Per farne cosa, dei coriandoli?”. Così dicendo Giacomo aggiunge unpezzo di stoffa ai suoi calzoni consunti e strappati.“Mi piace leggere i tuoi libri”.“Questo libro mi ha aiutato molto durante i miei viaggi. È un libro sem-plice e generoso”.“Saprò conservarlo con cura, e usarlo bene, non avere dubbi”.“Dubbi non ne ho, ma di una cosa sono assolutamente certo”“Quale?”“Del tuo buon uso, no?”“Giacomo, sei il mio migliore amico!”Dopo aver preso commiato dall’amico e averlo aiutato ad aggiustareun’asse di legno Simone sbarca a terra con in mano il suo prezioso librodalla copertina rigida di pelle rossa. In preda ad un’insolita euforia siabbandona, all’ombra di un pino, alla lettura del capitolo dedicato aEolo. Che bellezza, che splendore! La lettura era così avvolgente eprofonda che Simone sprofondò lentamente in uno stato di dormiveglia

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in cui si vedeva a cavalcare una nuvola spinto dal soffio di un irsutosignore che maneggiava un forcone azzurro. Passarono molti minutiprima che lo stridio di un gabbiano lo destasse dal suo soave sogno.Simone si alzò troppo in fretta mosso dallo spavento, e la testa comin-ciò a girare. Si decise a continuare la sua preziosa camminata, maprima si levò le scarpe a mocassino e rimase a piedi nudi a godersi iltepore dell’acqua limpida e schiumosa che solo la battigia può dare.Ora il suo stomaco cominciava a lamentarsi dolcemente, ciò significa-va che era giunta l’ora di consumare la merenda.“Simone! Simone!”“Ciao, Giulia” schizzandole un fiotto d’acqua.“Mia madre ha fatto la focaccia....ne ho per entrambi...vuoi?”“Come hai fatto a indovinare che avevo fame?”“Beh, è l’ora della merenda, no?”“Mettiamoci al riparo dall’ombra.”“Questo sole mi scalda l’anima”“Giulia, la tua focaccia è tanta, ne offro un pezzo ai pesci”“Dove li vedi?”“Guarda...”, e lancia delle briciole giusto a un paio di metri dalla riva.Un’anguilla coraggiosa sguscia sopra lo specchio dell’acqua e ingoia,ammiccante, pochi pezzi.Da dietro i pini spunta un pallone bianco. Giulia si alza e lo bloccaprima che possa bagnarsi. “Ehi, grazie per averlo preso”, dice un bambino biondo coi calzoncinicorti e le ciabatte.“Come ti chiami?”“Sono Matteo, e tu?”“Mi chiamo Giulia, e lì c’è Simone, che sta dando da mangiare alleanguille”“Le anguille sono belle”“Tieni”, Giulia gli rilancia il pallone.Pum, con un colpo di testa Matteo colpisce la palla che va a finire neipressi di Simone.“Questo è un pallone di gomma”, dice Simone portando il suo libro aprotezione dell’acqua come a fermare la palla.“Facciamo il bagno?”

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I tre ragazzini giocano a pallavolo dentro l’acqua. Il cielo sembra piùlindo del sole a mezzogiorno. Da lontano l’orizzonte contorna due figu-re di battelli e Simone pensa al giorno che effettuerà la sua prima tra-versata. Il pallone gli arriva in fronte senza che lui se ne accorga. “Ahio!”“Ah ah ah, ma dove guardi, sciupone!”La palla ha un moto ribelle e se ne va via con la corrente al largo,seguendo il sogno di Simone. Nel cielo si fa spazio l’oscurità di unanuvola appena minacciosa, ma il chiarore dell’acqua rassicura l’am-biente e gli animi. “Ragazzi, comincio a sentire freddo!”, dice Giulia che scomparesott’acqua, in direzione della palla.“Sì, anch’io!”, e Matteo segue la direzione presa dalla sua nuova amica“Bè, ragazzi, vi seguo...”. In breve Simone si ritrova circondato diacqua da trattenere il respiro. Riesce a seguire i movimenti dei suoiamici grazie alle mani che annaspano davanti dal centro ai lati, a mò diranocchio. La bella chioma di Giulia viene continuamente ondulata. “Ahhhhh, aria!”, trionfante, “ma dove siete andati, eh?”, si chiedeGiulia“Cucù cucù!"Da dietro Matteo fa il verso dell’usignolo con le mani alle orecchie.“Sembri una sirenetta, ah, ah!”“E tu un mulo marino!”“Ah, sì? Beccati questa” spingendo getti d’acqua a Matteo, che rispon-de alla battaglia scherzosa. Intanto anche Simone è tornato a galla eassiste pacifico alla confusione dei due amici, assumendo spontanea-mente la posizione supina. “la la lallalala...lalla la la...oh oh oh oh la lala lalala…io mi sen-to unma-ri-na-io, e mi sento molto be-ne, lalla lalla lalla la..e un bel gior-noe un bel gior-no la ma-nie-ra ci sarà....non ho fret-ta, non ho fret-ta, mala bar-ca ci sarà, e io sogno, e io sogno, que-sta barca che co-lo-reha....lalla lalla lalla la.”“Se tu so-gni, se tu so-gni, il tuo so-gno si avve-re-rà.”.“e il so-gno avve-ra-to che di-ven-ta realtà”“fa pau-ra, fa pau-ra, que-sta è la ve-ra ve-ri-tà!”“Evviva, evviva!!”

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I tre amici si abbracciano felici per questi momenti di gioco che prelu-dono ad un’amicizia spensierata e solare. Il sole è veramente alto e ilcielo vitreo fa da tetto. Simone si tocca la pancia. Dopo essersi stacca-to da Matteo e Giulia percorre il tratto solitariamente e guadagna lariva, sedendosi infine lì dove le onde si fanno piccole e per nienterumorose. Alcune gocce fluttuano verso il pavimento di sabbia scuraandando a salutare un ragnetto. “Ora ti sfido a chi arriva prima...lì”, fa Matteo“Lì dove?”“Lì...lì!!”“Vuoi dire dove sta quel gabbiano?”“Non è un gabbiano”“Sì che lo 蔓Ma i gabbiani stanno al mare”“Già, nel mare Azzurro...”“Simone, ci dai il via?”“No”“Dai!!”“Pronti...partenza...via!” Matteo è più lesto a muoversi, ma Giulia dopo la sorpresa iniziale sem-bra nuotare meglio. Nel frattempo il gabbiano ha preso il volo, infasti-dito dal troppo rumore e dai due ragazzi che schizzano minacciosi insua direzione. Passa una manciata di attimi e Matteo, incuriosito, alzalo sguardo verso Giulia che lo precede di un paio di metri.Tecnicamente la ragazza assume una forma sinuosa e animata, mentreMatteo bada più al battito dei piedi. Riesce ad affiancarsi e a procede-re alla stessa velocità. La giusta distanza li divide senza venire violata.La scia termina contemporaneamente, ma è Matteo che le fa notare laloro meta, volata via senza preavviso.“Dov’è andato, il gabbiano nostro?"“Se ne è volato via, via da un’altra parte, via in un’altra direzione”“Quando lo rivedo lo saluto”“Brava, io ora esco, che ho freddo”“Ciao, io proseguo ancora un pochino...”Matteo raggiunge la riva e si affianca a Simone. “Tu lo hai visto il gabbiano?”

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“Sì, sì, è volato via...”Tutti i gabbiani volano via quando sentono il rumore dell’acqua tropposmossa, fanno un percorso, e poi ritornano, arricchiti di una nuovaesperienza, quella dell’energia solare.La barca di Giacomo spunta all’orizzonte e Simone è il primo ad accor-gersene. Twoot twoot, “Ehi, Simoneeee”“Ciao Giacomo!”Giacomo con un’abile manovra cerca di guadagnare la riva, in praticasi accosta vicino a Simone e Matteo. “Ragazzi, come va?”Non tanto male, e a te?”“Va bene, venite su, che ho messo sul fuoco qualcosa”“Arriviamo”I due amici saltano sulla barca dove nella cucina sbuffa una pentola conacqua calda, patate e carote.Matteo è il più lesto a prendersi una buona manciata di carote e condir-sele con olio, aceto e sale.Simone invece preferisce una fumante zuppiera di brodo che arricchi-sce con del pane integrale. In tavola c’è pure una bottiglia contenentesucco di pesca accanto a un’altra bottiglia, più grande, di acqua difonte. Giacomo prende le due bottiglie e le fa suonare toccandole tra diloro. In pratica batte il ritmo della musica alla radio. “Ragazzi, dove siete?”, chiede Giulia, riavutasi dalla nuotata.Il primo pomeriggio fa molto caldo. Giacomo, che prende il sole stan-do all’ombra, ha delle strane visioni che le nuvole accentuano, e cosìinsieme ai suoi amici comincia a giocare di fantasia formando figure divisi nuovi e simpatici. Matteo, che non si da pace, rimane nella stiva afriggere patate per tutti. L’aria dolce dell’ortaggio che si inzuppa nel-l’olio bollente si mescola allo iodio del mare dando sfogo ad un odoredolciastro che si attacca alle narici dei ragazzi cominciandoli ad agita-re. Simone è il primo a destarsi e ad aiutare Giacomo a portare sulponte la merenda. Naturalmente è festa ancora, e la ragazza alza ilvolume della radio con musica jazz.“Giulia, fa caldo...che ore sono?”

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“Le tre, non vedi il sole pendente ?”.“Sì”

L’ombra dei corpi scompare all’apparire dicerti composti grigi chiamati nuvole. Come previsto, Giacomo issasopra le teste una colorata tenda celeste che i ragazzi apprezzano congioia e eccitazione e stupore. Ora il sole non picchia più forte sulleciglia come prima, e i respiri sono più rilassati. Ma sporgendosi a guar-dare oltre il bordo della tenda le nuvole nel cielo disegnano ancorafigure al limite dell’immaginazione...un drago...il volto di un vecchiosaggio...un cucciolo di cane...“Guarda Matteo, un cagnolino !!" urla e si sbraccia indicandolo Giulia,“un cagnolino...riesci a vederlo?"“Dove?...Laggiù?...sì, sì, ora lo vedo... e tu lo vedi quello gnomo, conun cappello lunghissimo ?"Simone intanto ride, ride assieme a Giacomo, mentre nell’acqua attor-no allo scafo della barca alcuni pesci argentei nuotano tranquilli a cac-cia delle briciole di pane che i due regalano loro.Questo breve esempio di narrativa fantastica va vista in un’ottica diedizione irrazionale, in quanto non può incidere sulla percentuale dipubblicazione dell’opera in questione, e va anzi esaminata accuratissi-mamente: dove vanno e perché si chiamano i protagonisti? Che ruoloha la natura? Che rapporto esiste col cibo? Dove è la voce narrante, achi è affidato il compito di fare le veci dell’autore, e, soprattutto chi èl’autore, se è vero che queste sequenze letterarie non hanno mai vedu-to la luce? Quale è il confine tra immaginazione e traduzione di imma-ginazione? Cosa si intende per traduzione di immaginazione, e così via.Se si pensa a rispondere all’ultima domanda sembra ovvio e conse-guenziale il concetto di messa alle stampe, a scopo propagandistico.

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Ma allora se si stampa questo libro, questo che sta uscendo ora, che stoscrivendo, lo si traduce utilizzando inchiostro e carta. In tutto ciò l’au-tore deve ricordarsi che ci sarà il giudizio di una persona che ha mezziadatti all’uopo, un produttore, una casa editrice quindi. Qui sta il con-dizionamento e il superamento della condizione ordinata, e anchesubordinata. Lo scrittore/trice può produrre valanghe di composizioni,e avere la sensazione di far bene (altrimenti che lo fa a fare), ma se siscrive addosso, fa uno spettacolo letterario per i tanti sé che la/lo com-pongono. Non esiste un compromesso, piuttosto un’accademica presadi coscienza del termine DISTACCO. Ci si deve distaccare dal testo,dalla psicologia dei personaggi, lasciarli crescere autonomamente, evi-tare di sentirsi burattinai pur essendolo in modo più dittatoriale proprioper questo. Saranno gli stessi personaggi che faranno la loro rivoluzio-ne nell’altro universo, quello reale. Attraverso il gioco degli specchitrasformeranno la loro rivoluzione in evoluzione, e la partita sarà paci-ficamente risolta. La mappa tracciata, l’incontro auspicato vicino, e ildialogo tra il creatore e i creati possibile.

CARTELLAO> la droga della scrittura

La liberalizzazione delle lettere che fanno una composizione leggibilecresce esponenzialmente, ma non tutti leggono e scrivono contempora-neamente. La visione della realtà rappresentata da un essere umano chescrive è tra il cinematografico e il drammaturgico, tra il demenziale el’interiore, tra il sovversivo e il belvedere. Chi entra nel tunnel dellascrittura è altro. L’autore scrive pensando che è un altro che scrive, cosìpuò distaccarsi da se stesso, dall’autoreferenzialità, per riappropriarsidel suo interiore, e difendere la sua privacy. Utilizzerà appositemaschere, stilemi, dilemmi, generi e usi di categoria, e sceglierà lafame o il compromesso fino alla gloria. Quella gloria che arriverà dopomolto aspettativa di attesa, giorno per giorno, rinunciando a qualcosa,rinunciando. Ogni lettera è un mattone. Un libro su commissione, un

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saggio, un libro sugli anni ottanta, costruito con certi parametri, indi-ca le pareti della fantasia, uccidendola. Il fenomeno ghost viene vissu-to arcaicamente in Italia, per fortuna. Il writer si farà allora pagare unaquota a cartella, diventando un esecutore letterario anonimo, il cuinome dell’autore risulterà di un altro, di colui disposto a pagare.Mercenario delle lettere, il ghostwriter è in affitto, pronto e disponibi-le a standard qualitativi collaudati, segno che la sua fantasia vince, èvincente, convince. La sua gloria viene alimentata giornalmente daisuccessi riscossi, a qualunque prezzo di cartella, per una produzione diadrenalina sempre più esigente. Non è previsto collasso, né recuperi inistituti tossicologici, tanto ne è dentro. L’autore fuori dai meccanismighost è un drogato. Si nutre di droga, di droga perisce. Lascia andarealtri interessi, lui/lei scrive. Si arrabbia leggendo Hitler. Ce l’ha coicapi di stato che sparlano degli intellettuali. Quando pensa, pensa allatastiera, quando parla vede comporsi una parola visualizzando il movi-mento delle dita in una tastiera. Non va mai fuori di testa, in quantovive in una condizione estatica naturale. È l’eroe e l’antieroe, il roman-tico lirico e freddo come il latte, il sognatore per scelta. Si contraddice,segue il suo istinto, il fiuto impulsivo, è un felino e cucciolo, eterna/obambino dello studio. Osserva cogli occhioni grandi, innocui, a metàstrada, indipendenti, senza giudizio, per astrarre la globale quotidianarealtà, quella imposta dagli altri, dai media, da mediaset (il set mondia-le dei media), dai potenti di massa, dai massoni, dai buoni, dai leader,da tutti quelli che cercano di entrar dentro l’inconscio, il sub e il con-scio.

Capita che l’autore sia considerato masochista, tanto che gli puoi farcomodamente male, e lui intellettualizzerà il male ricevuto con unapoetica. Il sognatore e la sognatrice.

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> come vivere e scrivere

Vivere per scrivere e scrivere per vivere, prima si nasce e poi si cresce.Nascere scrittura basta. Crescerla è naturale, lo fa da sola. Chi scrive losa. L’atto creativo è in fondo il più bello, la concezione dell’opera e lasua strutturazione, la compattezza aggiunta, l’unicità del nascituro. Ilpassaggio da opera a prodotto (fruibile) presenta difficoltà non imme-diatamente risolvibili. L’investimento di tempo e di energie da partedell’autore deve sposarsi con quello dell’editore. L’editore mette i suoicapitali nella realizzazione, nella postproduzione, introducendo scelte(carta, copertina, grafica, impaging, inchiostro, caratteri, grammatura)comuni per la nascita di un libro. Oltre a questo deve pensare alla distri-buzione, divulgazione, pubblicità e vendita a canali del libro, analiz-zando gli sbocchi e le fasce di lettori possibili. L’intreccio dell’autore/trice e editore/trice si determina con la stipula diun contratto, il contratto di edizione. Il potere contrattuale si determi-nerà in base alla forza delle parti. Nel caso di chi scrive per scelta e nonper imposizione la risoluzione dell’arcano presenta possibilistica dinatura umanistica, si tende cioè a far fare alle cose il loro naturalecorso. Se un testo è pompato spesso anche l’autore sarà tale. Avrà quin-di bisogno di un editore pompato. Un commercio e un pubblico pom-pato e una società energizzata. Energia che l’autore prenderà da diver-se fonti, per continuare a vivere e scrivere. Se è questa la sua occupa-zione, non si ha un’idea romantica, un quadro facilistico della figuradello scrittore, in quanto normalmente un bravo scrittore è un uomo dicultura, e quindi fortemente legato alle sue scelte, volute fino in fondo.Cosa determina la scrittura di uno/a scrittore/trice? Avere un altro lavo-ro garantisce a chi non può permettersi di stare alle spalle di amici,conoscenti e parenti indipendenza economica, dove per altro lavoro siintenda qualsiasi lavoro non collegato direttamente al mondo della let-teratura. Se si estende il concetto - a lavoro non nel mondo delle scien-ze umanistiche - potremmo avere delle figure (tantissime) di autori/triciperfettamente inserite in alcuni contesti che comunicano con quello let-terario in modo trasversale, ci arrivano per necessità e flusso. Il proble-ma si presenta quando un autore decide di vivere la sua vita in base alla

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professione di aspirante scrittore, quindi persona non pubblicata ma incontinua fase di proposizione dei suoi scritti. Immaginiamo che questapersona non abbia reddito, e che bruci per scrivere: questa persona nonpuò essere considerata uno scrittore. Come vive? Di ideali. Come man-gia? Di lettere. Come comunica? Con il suono dei tasti. Questa perso-na rimarrà nel limbo di desiderio a tempo indeterminato, considerandoi suoi lavori letterari dei capolavori, ma incompresi. A questo punto ocade in depressione, o si rifugia in se stesso, o va a rubare, o trova deglialleati, degli sponsor della sua vita. Si svende, partecipa a concorsi, sismarrisce, arriva il blocco, cerca altre strade: il teatro, e inizia a scrive-re drammi, il cinema, e via con le sceneggiature, la musica, e giù coitesti di canzoni. Il suo compromesso è tanto più grande quanto più pic-cole sono le sue ambizioni di successo. La sua umiltà è la sua forza. Pervivere e scrivere ci vogliono le palle da baseball.

> venir pubblicati e sussidiati

La pubblicazione di un testo letterario comporta la presentazione dellavoro ultimato o in progress a un editore, secondo la consuetudine, perdare visibilità, distribuzione e marchio. L’editore fa il suo lavoro, spes-so sminuendo l’autore convincendolo a seguire complicate strade divalutazione con tempi molto dilatati, e si appropria dell’opera costruen-doci intorno una gabbia di diritti d’autore, che andranno a costituire ilterreno per il contratto editoriale. Con questa idea idilliaca di collabo-razione si avvierà la procedura di notorietà dell’autore/trice che spessoconduce queste ultime figure al pagamento di una somma che verràrestituita in seguito con le prime vendite. Lo studio della casa editricee delle sue collane editoriali, oltre che un pizzico di esame della com-posizione delle varie redazioni, è molto importante per saper orientarsiconsapevolmente non rinunciando alla possibilità di gradite sorprese.L’ipotesi migliore è quella che l’editore, oltre ad accollarsi il costo delprodotto, realizzi un rapporto di lavoro remunerativo per l’autore/trice.La qualità del testo, e molto spesso di chi presenta il testo, potrà farvalere il diritto di ricevere una somma a titolo di anticipo, ribaltando la

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partecipazione alle spese. In questo senso si intende sussidio. Con lasomma quantificata e ricevuta l’autore/trice riceverà un gradimento, unpatrocinio, un giovamento dalla sua attività che rimane comunque vita-le, necessaria, urgente, volta alla comunicatività interiore ed esteriore,prendere dal di dentro per dare. Pragmaticamente ci sono soluzionivariegate per ovviare al problema economico in cui a volte loscrittore/trice può incappare, se sceglie di fare la professione. Il Corsodiverso di Scrittura ne è un esempio: scritto nell’arco di un anno, siporta dietro energie momentanee, sintesi concettuali e una certa dose diautocompiacimento senz’altro non facili da gestire da questo punto divista. Il sussidio di pubblicazione appare un vaghissimo approdo di unsognato territorio fatto di inchiostri e carteggi abbastanza etereo. Nonper questo viene meno al suo compito, e scoraggia da un lato certe faci-lonerie preconcette o costruzioni di difficoltà e dall’altro favorisce que-stioni fondamentali appena differenti da un esteso corso, accentuandol’impulso e la tonalità sufficiente a portare la persona a scrivere, omeglio a non scrivere.

> sindacato che non c’è

Sindacare i diritti dei lavoratori/rici, di chi lavora con i tasti e compo-ne, frutto di fantasia e realtà mescolate assieme. Tutelare chi scrive edargli dignità, garantire un salario, un moyen per vivere, per campà.Assisterlo/la e spiegare quali sono i suoi diritti, come proteggersi datrappole e ingenuità, informarlo/la delle opportunità e delle possibilità,delle royalties, delle reali opportunità di sussistenza. Non si tratta dipagare per avere una tessera che non serve a niente ed entrare in unasorta di elite di non si sa cosa, quanto di ricevere. Quando non si cono-sce si ha paura, quando si ha paura si conosce di meno. Se ci fosse chiti parla con calma e alla pari di possibili contratti, di diritti d’autorenelle sue forme più disparate, di percentuali sul prezzo di copertina, diquesto e quello, di anticipi per scrivere un buon libro, di spalle coper-te, se ci fosse chi si mette dalla tua parte e ti spiega che nel mondo del-l’editoria ci sono persone che ti fanno pagare per pubblicare un tuo ela-borato e altre che invece ti fanno mangiare e respirare allora forse

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avrebbe senso un sindacato, che si staccasse dalla logica del tessera-mento coatto e fine a se stesso e ti desse qualcosa di importante, di utilee prezioso, ciò di cui hai bisogno per continuare la tua arte con a montedelle conoscenze che invece devi far sul campo, sul campo devi fareesperienza e poi la racconti e intanto tempo, in tanto tempo che passa.

CARTELLA P

> diventare agenti di se stessi

Nel mondo dell’editoria, che si definisce dello spettacolo, trovare unagente è come darsi a un carabiniere. Conviene quando si è in perico-lo, ma rappresenta un pericolo se non si conosce bene l’agente e l’agen-te non si conosce bene fino in fondo, perché, come è giusta e sua natu-ra, si protegge. Se da un lato questo è giustificabile da certe psicosi ediffidenze dell’autore, dall’altro induce a vergognosi espedienti di con-trattazioni e giochi di potere contrattuale. Spesso l’attesa fa giocarecolpi di testa, questo un agente letterario e un addetto della casa editri-ce ai rapporti con gli autori lo sanno, e lo usano. La miglior cosa è quel-la di continuare a scrivere e autodeterminarsi. La volontà e la vogliaspianeranno rivoli inevitabili e quindi evitabili. Utilizzare questo sensodi attesa della risposta e metterlo in letteratura. Detto questo, oltre allamanualistica del caso e ai numerosi e attenti siti web collegati, si passaal concetto di diventare agenti di se stessi. L’istinto ci guida, e la nostraconvinzione. Il supporto dei risultati e un tracciato delle nostre azioni(registrando il percorso dei contatti) unito a un sapiente gioco di rela-zioni pubbliche (di scrittura) spesso salta con un malgoverno del telefo-no. L’energia telefonica può riversarsi negativamente sul nostro lavoroe sulla nostra mente. Di questo ne va preso atto e va del tiro corretto.Va. Una e-mail ricevuta provoca un’azione emotiva nel ricevente, edobbiamo distaccarci dall’ego personale e vedere le cose dal punto divista di chi le legge e le riceve, non perdendoci troppo in queste strade,mantenendo quindi la nostra coscienza e personalità. Il carabiniere è unmestiere nobile. È un difensore. Nasce per ovviare a certe mancanze. Adegli scarti tra il lettore e la realtà dell’autore che rappresenta una sur-

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realtà e una visione di ciò che vede e elabora e sente anche distaccatoe cronista dei fatti interpersonali. L’agente chiede rispetto economico,e l’autoproduzione autoriale sfavorisce in parte l’intervento dell’agen-te, anche quello di se stessi. Se ne deduce un capovolgimento delleparti e una comprensione a metà delle stesse. Non si sa più quali partiassegnare e perché, e la psicologia dei personaggi della vita odierna ècontrastata da altro. Altrove ruota la catena distributiva dei propri scrit-ti. L’autore agente non sa dove riversare, e occorre una masturbazionepersonale per trovare la soluzione, che comunque non c’è ma arriverà.In questo indefinito caos si evolve humus creativo per una ricollocazio-ne delle figure legate alla composizione letteraria. Ci sono limitazioni costruttive che fanno sì che non tutti possono scri-vere o leggere o pubblicare e venir pubblicati, letti e apprezzati e criti-cati. L’autodeterminazione di ogni elemento e azione si veste di impor-tanti segmenti e attimi e istanti (ognuno con una sua specifica, ove perspecifica si intenda funzione) liberati, e i blocchi energetici che anneb-biano una carriera si sciolgono e andranno a riempire mancanze venu-tesi a creare proprio per la loro natura. Un riequilibrio bioletterario chesfocia nell’assestamento delle condizioni apparenti concretizzato dallanascita di un libro, intendendo come cartaceo, intendendo quindi il pas-saggio da pixel a cellulosa a larga diffusione con causa. Capire e car-pirne radicalità smuove un processo. Il mattone che alza una casa (edi-trice che si voglia) sposta altri mattoni, la matrice si spoglia e la figliavince.

> Scuole importanti e da dimenticare

Le università, i corsi di scrittura (creativa) a pagamento, i laboratoridentro le biblioteche, non sono così interessanti quanto un vero corsodi NON scrittura. Partendo dal concetto di negazione, si è facilitatisemplicemente perché la scrittura è già creativa da sola, senza che civenga insegnato alcun che se non il rispetto per il proprio lavoro.Aumentare il narcisismo serve assai, nel senso che ci si può vendere enon svendere, perché si è consapevoli del proprio potere letterario e ci

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si è autoriconosciuti. Se ci presentiamo sicuri e centrati otterremo otti-mi risultati. Le scuole spesso mettono in evidenza carenze e vizi cheminano la nostra autostima, spesso gli insegnanti fanno valere il lorosapere saccente per sentirsi estremamente superiori perché questa è lacultura occidentale. Una scuola di ideogrammi, questa sì può servire.Anni fa la scuola Omero di Roma e la scuola Holden di Torino mi sem-bravano il massimo della domanda creativa, ma poi i risultati arrivanolo stesso anche se non si spendono cifre astronomiche per apprenderedelle tecniche che lasciano il tempo che trovano, definitivamente.

>Presentazione del Festival di Letteratura

Il Festival di letteratura odierno si riconduce al triangolo temporale dipassato presente e futuro contenendo una concezione iniziatica, unevento unico e ripetibile a patto che per sua natura si sia determinato.È come un programma informatico con anima e meccanismi naturaliperché già attivati. Parlando del Festival ideato dall’associazionismo dielementi tra loro non sempre vicini fisicamente ma piuttosto in formaenergetica, si evidenzia l’aspetto natale per il principio della prima edi-zione e mantenendo il generato verso di nomadismo e ispirazione arti-stica: in sostanza il festival è itinerante nella maniera in cui dice da solodi andare. Organizzato con metodo e disciplina dal sottoscritto, cerca ditrasformare i coni d’ombra e le scarse decisionalità in punti di forzache, piuttosto che trasformare ne trae beneficio, superando anche ilconcetto di work in progress. La molteplicità degli elementi che locostituiscono sono dettati dalla percezione del tempo, del tempo chepassa, come passa, e del concetto dell’attuale. L’istante diverso dall’at-timo ma non solo. L’individuazione di pensieri umani si accosta al tea-tro emozionale, popolare e satirico, per approcciarsi allo spirito eviden-te e alla conseguenziale terrena presenza di un vedutismo che tornaall’uno e scivola l’intimo, l’occhio e il cuore romantico, per ribadirnel’antiromantico.

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> Direttivo

Direttamente da un mio narrare, passo la palla a un accento inesistentein cui. Esso dovrà, per quindi, valutare queste righe:

“Buona vita, felice di unione felice. Nell’organizzare un festival,Punky redige i sette argomenti principali e ne costruisce una relazione.Il rapporto uomo_donna a inizio millennio costituisce una plurale rela-zione dove lo sviluppo dei turbamenti di coppia genera instabilità.L’emancipazione femminile, presente non solo nelle immagini dicomunicazione pubblicitaria, produce libertà cambiando lo stato socia-le e formando nuovi nuclei familiari. Single non soli. La rabbia delladonna spaventa per le infinite conseguenze. L’uomo, il maschio umano,si lancia verso narcisismi concessi e conquistati. Lo scambio di infor-mazioni aumenta e gli elementi caratterizzanti i due sessi si assottiglia-no e si acuiscono. La donna interagisce sulla psicologia maschile sen-tendo dentro la sua naturale condizione mammifera, l’uomo garantisceapollinea azione attraverso l’impossessamento dell’icona patriarcale.L’armonia e il calore si fondono da un lato, dall’altro possono degene-rare nell’esatto opposto, scatenando giochi di potere dannosi e laceran-ti. In questo caso lo scellerato uso della pedagogia indotta può sfociarein fenomeni sadomaso seri e quindi nascosti. Il potere della conoscen-za magica fa intravedere porte di risoluzione al conflitto in una ottimi-stica (e quindi dell’Acquario Cospirativo senso) e progressista visionemondiale dell’argomento in questione. Il secondo argomento tratta delMobbing, del rapporto sudditante nel mondo del lavoro. L’orizzontalitàdei rapporti ne è l’opposto. La gestione del potere delle informazionifatto in modo occulto conduce a un approccio nel settore lavorativoverticale, aumentando la paranoia latente e la precarietà. Ci si sentecontrollati quotidianamente, e la privacy crolla. La reperibilità mobileattiva nell’uso dei mezzi di comunicazione da cortile, la sospensionedella chiarezza determinata dalla possibilità di cambiamento perenne ei tempi mai veramente determinati di inizio e fine rapporto costruisco-no le fondamenta per un continuo lacerante senso di inferiorità superio-rità sfiaccando i compiti e le resposabilità a favore di corporativi di

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comunicazione e alleanze circostanziali dove ognuno è solo in mezzoa tutti. La predisposizione a favorire e sfavorire elementi umani inqualsiasi ambito lavorativo non tutelato e anche tutelato aziona un mec-canismo previsto nelle aziende dei rispettivi uffici del personale. Lacontinua selezione a crescita competitiva comporta una ridislocazionedel lavoratore, visto come forza lavoro e non come persona. Lo sbilan-cio delle prestazioni remunerative si aggrava e l’incomunicabilità va aparare in forme violente di credenze religiose fanatiche ove intesoanche l’idolatrazione di personaggi nello sport e nello spettacolo e nelleuniversità. La protezione dei propri interessi relegata a terzi rassicura,mentre baroni e burattinai diventano i nuovi strozzini emozionali. La ricerca del finanziamento, della sponsorizzazione, del consenso, cri-stallizza superiorità impedendo di crescere normalmente e ubidendo alogiche precostituite. Il terzo argomento tratta dell’Ecosofia, contrazio-ne e non costrizione della filosofia ecologica. La fotosintesi clorofillia-na e la cromaticità dei petali dei fiori. La funzione vegetale e comefanno a crescere le piante nel cemento, il rapporto con la natura di ogniessere umano e le storie ad essa collegate. L’identificazione con ilmondo vegetale e i suoi poteri curativi, l’olfatto esaltato dal profumo edall’essenza, la trasfigurazione verde, l’anima della pianta che comuni-ca e vive, l’impollinazione, il nutrimento, l’importanza dell’acqua, ilruolo del parassita, l’aura e l’influenza magnetica loro, nel nostro pam-psichismo collettivo, nel nostro immaginario anche non onirico. La pianta o il pianto, la terra o il terriccio, il frutto della pianta chediventa un fermento, si alcoolizza e suggerisce Dioniso, il rapporto conla letteratura ecologica, che si armonizza per effetto naturale, e permet-te di scrivere. Il concetto di armonia, di pulizia mentale, di terapia dellascrittura, il problema irrisolto del perché un colore in natura è tale, cosadetermina il colore, quale combinazione fotonica lo determina, che col-legamento ha nei rimandi psicologici, che distacco necessita per torna-re semplicemente natura. Il quarto argomento si chiama Grounding. Si intende il grounding filosofico orientale, il chakra sacrale, e perestenzione il rapporto con la madre Terra, con la nascita e crescita, conle proprie radici, anche culturali, con lo scambio di tali culture, conmamma Africa. L’energia primordiale della Genesi, quindi. Nel grandecaos della nebulosa nella detonazione iniziale che creò il nostro piane-

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ta si andarono a formare forme di azione motoria inversamente propor-zionali al fattore tempo. Più si andava avanti maggiore era la stasi.Dalla stasi nasce il concetto di Grounding, visto come nutrimento. Il quinto argomento parla di Clipwriting: la scrittura a immagini.Riprendendo concetti di imagismo anglosassoni abbinati all’applicati-vo del semplicismo si fotografa l’Attimo e lo si riporta .fermandolo. permezzo della scrittura. Il termine viene da “videoclip”, ed è stato adat-tato al mondo compositivo letterario. Si tratta di scrittura istantanea intempo reale, fatta in qualsiasi istante. Prende elementi di attualitàimmadiata, quella che l’autore vede intorno a sé, intendendo il “qui eora in questo luogo”. Il concetto di clipwriting viene concretizzato construmenti idonei che si basano sull’asse occhio, mente, braccia, dita,tasti, trasmissione dati, proiezione, superficie proiettata. L’input el’output. Le lettere che ne escono sono proiettate all’atto di essere com-poste, create. La sessione di clipwriting procede come un classico ini-zio, svolgimento e fine. Il suo processo attiva una percezione sottilissi-ma della realtà e difficilmente classificabile. Non c’è più alienazionema un big happening, dove ognuno è protagonista, dove ogni elemen-to registrato dal clipwriter diventa protagonista, dove c’è assenza perdefinizione del fenomeno esp della scrittura, inizialmente. Il sesto argo-mento posta la Scrittura Creativa. Questa sezione è divenuta oggetto distudio di alcune università e fonte di ricezione per molte scuole priva-te, infine attività prevalente di strutture letterarie di produzione di scrit-tura ove si intende, con questa definizione, un superamento del concet-to di casa editrice, un ampliamento: assumendo un ruolo di casa di pro-duzione letteraria Creativa essa afferma la creatività della scrittura,ribaltando il concetto che la scrittura è creativa. Il settimo argomento èil Dogma, la corrente cinematografica che ha origine in Danimarca. I Manifesti con le regole per i registi, la diffusione dei principi cultura-li sicuramente di protesta creano un’onda di pensiero nella settima arte.Il sistema religioso romano viene trattato e analizzato all’interno deimotivi del Dogma, il sistema dei Santi religiosi viene toccato e affron-tato sotto un’ottica distaccata, diventa una materia di studio e analisisociale, una metafisica essenziale per la pellicola cinematografica, tra-scendendo il quotidiano, collocando il desiderio immortale, arrivandoa coincidenze, nel senso di coincidere, con il mondo dello spettacolo,ove si intenda anche quello letterario”.

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CARTELLA Q

- Valutazione orizzontale della produzione letteraria del corso

- concezione di antologia letteraria

- analisi delle singole capacità dei corsisti

Appendici

> appendice a “la scrittura nel teatro e nel cinema”

Nel teatro la scrittura è teatrica. O teatrika. Basterebbe questo. Se si ècapito l’ilozoismo, e non si è capito, e si capirà, capendolo in seguito,come dovrebbe accadere, si capisce il senso di questa cappa.Distaccandoci dal canovaccio, utile e prezioso, e dal copione, dalla ste-sura di un copione per esempio desunto da un romanzo e trasformato,il romanzo, dalla “drammaturgia", si distilla una scrittura teatrika.Spontanea, densa, creatrice, punto di riferimento iniziale e finale.Assoluta. Suscettibile di variazioni, lievi, che la aggiustano, proteggen-dola. L’inizio è un accenno, se volete, alle tematiche sviluppate succes-sivamente svolte fino all’atto conclusivo, finale, di ringraziamento edistruzione per “rinnovo locale". Senza voltare troppo pagina, la tradi-zione orale per chi scrive nel teatro si identifica, trova espressioneorale, appunto, e quella è. Se scrivo pensando di parlare mi attorializ-zo. “La mente serve per mentire” è una scrittura nata con queste tipo-logie. Il gioco letterario si forma da solo, mai forzato, sempre sussurra-to, che lascia parlare e andare quella parte dormiente infuocata sgoccio-lante fulcro perno paletto dell’autore. Autore di sé stesso. Che trovaappagamento, che sfocia il fiume della voce interiore, che materializzae modula il suo asse creativo interno, che esterna, creandolo, un enne-simo parto, un partire nel viaggio per tornare al principio, al contattocon sé. Il nocciolo è avviato, qualcosa è cambiato, si è mosso, antici-

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pando ancora, dando ragione e disconoscendo altrui conclusioni, armo-nizzando le nostre critiche, giungiamo a una semplice e pulita conclu-sione. Coreografi dell’illusione teatrale scriviamo mai troppo sibillinecomposizioni, entrando nel merito, scavando nella polvere leggera,respirandoci dentro, ammirandone l’estasi naturale, la potenza biologi-ca, l’energia prima e creatrice. Coccole della scrittura di scena. I dialo-ghi e i monologhi. Righe e colonne di geometrie d’umano. Negazionedell’arte per vendere, distacco occorre distacco. Questa è una lezionevera e propria. Dà nervosismo a chi la sta scrivendo, quella tensionenecessaria e automatica per andare nel teatro. Dall’ingresso di carta.

Signori...io attorializzo.

> Sindacato che non c’è

In Italia ci son accenni di sindacati per artisti e scrittori, che tuttaviasono a pagamento, come ogni sindacato. Il problema è che sembranosovrastrutture inutili, in quanto tali. In Inghilterra per esempio vieneconsiderato uno scrittore pubblicato caduto in rovina, e sostenuto inmutuo aiuto anche in termini economici fintanto che non riuscirà a risa-lire l’inchiostro di china. C’è un problema di casta, perché la scrittriceo lo scrittore entrano in una casta dove ci sono squali, padroni e gentedi mestiere che non bada a risvolti di pagina, ma al prodotto e alla pro-duzione, non capisce che chi scrive ha bisogno di tempi terribilmentemorti per far macerare una bozza di testo, senza spremere le meningi.Loro non lo capiscono tanto, e spesso alcuni fanno valere il loro pote-re mediatico, costruendo un’immagine quasi da assessore italiano allacultura. È una questione di diritti insindacabili avere le possibilità dicomunicare il proprio interiore senza remore, e per questo è necessarioun sindaco.

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> Diventare agenti di se stessi

Il miglior sindaco è se stessi. Se si ha un buon rapporto con la propriamente, coi propri mezzi impressivi, non occorre pur occorrendo unagente letterario, una sorta di figura in voga che corrisponde all’editor.Se non si ha un magnate alle spalle queste persone possono chiederelauti compensi, e far buon viso ai Baroni, come si dice. Occorre anco-ra una volta interrogarsi, e partire dal piccolo. Cominciare con l’intui-to una ricerca di editore, senza pagare copie d’acquisto obbligatorie,perché queste implicano un investimento che invece deve fare la casaeditrice. A volte l’editor è semplicemente un responsabile di bozze, cheda suggerimenti (inutili) per fare le correzioni necessarie secondo loroprima di andare in stampa. Essi non capiscono che le lettere che l’arti-sta compone sono tutte di conseguenza, e solo spostare una virgola puòfar cadere un castello di romanzo. È opportuno frequentare caffè nontanto letterari, quanto quelli che hanno luogo di incontro tra artisti, didiversi generi d’arte. C’è empatia e scambio relazionale oltre che men-tale, per crescere e incrociare diversi progetti, così che possano unirsipresentazioni personali e collettive con commistione di generi qualipittura (una pagina di un libro è un quadro a prescindere) e quant’altro.Il miglior agente di se stessi è l’intuito, del cuore.

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RINGRAZIAMENTI:

Questo libro è il frutto di un progetto sociale a cui abbiamo aderito pro-postoci dal Cesvol di Perugia. Dopo quasi un anno di telefonate, incon-tri, riunioni e discussioni anche accese siamo arrivati alla conclusioneche il mezzo editoriale, IL LIBRO, è quello a noi più congeniale. Non ci dimentichiamo però della preziosissima consulenza e stima delProfessor Tullio Seppilli, della Fondazione Celli, il cui aiuto è statofondamentale per far chiarezza sotto diversi aspetti, non ultimo quellodell’intelletto, e del Professor Piergiorgio Giacchè. La loro competen-za in ambito antropologico è stata importante. Non ultima la presenza spirituale e non solo di una cara amica, ElenaSucchiarelli, grossa sostenitrice del mezzo poetico espressivo e nonsolo. Grazie di cuore. Babbo, grazie pure a te che mi supporti...

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CONTRIBUTO LETTERARIO DI UNA SPLENDIDA ASSOCIATA

“UN MOMENTO DI GIOCO E DI LIBERTÀ”

Spesso ci sentiamo vincolati dagli impegni quotidiani, dagli orari edalle regole sociali.Ad esempio, bisogna vestirsi adeguatamente, parlare, muoversi in alcu-ne, varie, maniere...a seconda dei diversi appuntamenti, nei variambienti. Molte volte bisogna “dare l’esempio” ai bambini. Ma la partepiù primitiva, naturale e “sregolata” che c’è in noi, il “bambino cheportiamo ancora dentro”, ne risente: non si esprime appieno, spessonon si libera. Spesso, a molti di noi, capita di dire, o pensare: - adessofumo una sigaretta e sto in pace, in libertà. Come se cercassimo di rita-gliarci del tempo per noi stessi. Ma allora perché, invece, non riserva-re dieci minuti al giorno (quasi tutti i giorni) “solo per noi”, in totalelibertà e naturalezza? Ad esempio, ognuno a suo modo, può fare que-sto: parlare, disegnare, muoversi..”così come ci viene” più istintiva-mente possibile, usare molto la fantasia, senza farci condizionare dalleregole sociali. Questa può diventare un’abitudine interessante e tera-peutica.

PERCHE MANTENIAMO I VIZI?

L’uomo nel corso della storia ha manifestato la tendenza a farsi con-dizionare, in molte occasioni, dalla parte più fragile di se stesso; di con-seguenza si è trovato, alcune volte, a regredire invece di progredire.D’altra parte è vero che gli uomini amano molto seguire, con impegno,ideali di valorosità, di rettitudine. In genere, ogni persona sviluppadelle proprie virtù, così come dei propri vizi. Contribuiscono ad influi-re in questo il contesto in cui si vive e gli avvenimenti della propria sto-ria personale. Ma perché i vizi nel proprio comportamento tendono adessere mantenuti nel tempo? Debolezza interiore? Tendenza a sceglie-re “la via più facile” nel raggiungere gli obbiettivi? Non è solo una que-stione morale. Ci sono ragioni psicologiche da prendere in esame.A tal proposito il centro antifumo “Oggi smetto”, svolge un utile servi-

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zio informativo e di sensibilizzazione. Grazie ad esso ho potuto dedi-care maggior attenzione alla qualità della mia vita. Ciò che è importan-te, a mio avviso, è trovare e conoscere le ragioni dei nostri comporta-menti negativi e cogliere le opportunità per accrescere la nostra “con-sapevolezza".

Laura ADRIANI

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CONCLUSIONI

Allo stato attuale delle cose personalmente dopo otto anni di presiden-za e di combattimenti comincio a vedere uno spiraglio e sopratutto aveder realizzato un articolo del nostro semplice statuto, così importan-te: quello di evitare fenomeni di intolleranza, emarginazione e solitudi-ne attraverso l’arte. Spesso i nostri progetti erano viziati di autoreferen-zialità e non riuscivano a scollinare. Oggi, con la formazione di ungruppo, di una collettiva che si riunisce settimanalmente c’è un cammi-no non più solipsistico bensì comune e questa mi sembra la miglior vit-toria contro un tempo, il nostro, che giocoforza ci vuole disgregati,forse per controllarci meglio. Allora, la nostra è una battaglia chediventa politica nel senso migliore del termine. L’unione fa la forza ela propone come esempio. Verrà il giorno che le istituzioni si pieghe-ranno alle nostre richieste e ci concederanno una sede pubblica. Non èpiù una persona nelle vesti di chi scrive a portare avanti le proprie ideecondivisibili, ma è la condivisione stessa a farlo, attraverso il gruppo.Ci si può permettere anche di star male, perché sostituti tireranno il car-retto dello zoppo mulo. E il cammin proseguirà. Il nostro presente, ilnostro tempo, è fatto di telefonate e appuntamenti per incontrarci e par-lare di speranze, di arte, di visioni davanti a un bancone di un bel bar,condito da sorrisi e sguardi accesi, attivi, profumati. Tutto il lavoro,tutte le convenzioni, gli atti e i documenti prodotti, l’attivazione laten-te di una casa editrice a nome di Arrivo, e le altre infinite possibilitàbloccate per scarsa partecipazione avranno un decollo, una collocazio-ne e anche la mia ansia e preoccupazione per il futuro, il mio pessimi-smo che nel tempo è montato nel vedere mancanza di personaggi e dipasseggeri del carro, sta “guarendo”. Occorre agire in profondità.Guardare le lezioni del passato, attualizzarle e prendere coscienza deimutamenti quotidiani per risalire la china. L’associazionismo conti-nuerà ad essere osteggiato perché forse fa paura, perché è un mondoparallelo che non considera fondamentale l’aspetto del profitto ma loelude attraverso la partecipazione e i veicoli filantropi. Il suo messag-gio è forte, contrastante con tanto pallore e asetticità che contraddistin-gue la nostra società. È una botta di colore e di innocua follia al grigiu-

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me che infesta le relazioni umane appassite davanti alla televisione ealle preoccupazioni economiche. È spensieratezza che trova la suaragion d’essere nel biancore dei denti mostrati da una bocca sorriden-te.

Vostro per sempre,Nicola Castellini

Noi, l’associazione culturale Arrivo

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

Pietro ZanchiSara MenichelliValeria BoriaElena SucchiarelliAndrea BerrettaMarco CastelliniClaudio CastelliniLamberto CastelliniFrancesco CastelliniFausto BuraLaura ArianiFabrizio BelliniLuca RondoliniSimona TeneriniRaffaela BelardinelliSusanna BeliaGiorgio MariottiGiacomo OlivaNicola TomassoniAlessandro MangiaAlessandra Di MaggioPaola PaoloniPaolo RomanucciFrancesco FollieriStine Neby BaardsengArianna CensoriMounir MoumadiIsmail Ait MbarekLuca RondoliniTeresa GrassaniMassimo BoccardiniCarlo FlorisPaolo NebbiaiVincent UrbaniWilliam Vecchietti

Nadia Casini

Chiara DionigiGianluca Dionigi

Silvia MigliosiPaola Santoni

Daniele CovaronoVincenzo e Astolfo Lupia

Marialuisa PastòElisabetta Casamassima

Marco Pascal TribolatiPatrizio Silvi Antonini

Maurizio PulvirentiGianluca Orrico

Marco ZenGiulio Valerio Cerbella

Tiziana CavallucciFrancesca Cantoni

Carla Maria MurgiaEleni Somarakaki

Francesco TrabolottiNadia Samira Manganello

Florian OberrauchMarco Nanini

Francesca CiciollaRaffaele Fiore

Francesca GigliarelliMarco Lovisco

Giuseppe MazzeoConcetta Grassi

Elena TocciSabrina DarqueMassimo Valeri

Silvio NoceraGiorgia Ferro

Giacomo GuarinoOriana Persico

Davide Tomaselli

Anime che hanno attraversato il nostro cammino e

che ci piace fermare su carta

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

Paola ChiappiniSarah MinciottiFrancesca DurantiCatia PallianiAviero SalviaAngelo MorettiIsmaele MarongiuAndrea FringuelliSabrina AngelucciLuca RezzollaUmberto GerosaRoberta De OvidiisGianni MaestrucciCiro BorrelliLeonardo RamadoriLaura MommiAlessia AlessiRiccardo SchippaDaniele PasseriniMeri ValentiAlessandro DominiciFederico TurreniDaniele MinestriniDaniele MazzoliChristian SorciPeppe PepeEvi CampetellaMartina EscherBlack FortunatoClaudio CrispoltoniBeatrice BassiniLaura TofaniFrancesco EvangelistaNausica ZoccoMichele PattoiaGiulia MasiniManuel LeoniMartina TilliSilvia LauraMarino Ficola

Chiara AngeliGiusi Capitini

Lucano BiscariniPeppe Cavallari

Marco SportolaroLavinia PelaracciEugenio Palumbo

Nadia PasanisiClara Vincenti

Massimo SilenziRosaria Di Chiara

Annalisa SalaNicla Sentimenti

Giancarlo VoltoliniNicola Marfisi

Luigia PrimianiClaudia Cenci

Valentina CasinelliPaola Ester Segurafuentes

Gustavo TaylorAlessia Magarini Montenero

Andrea ZanchiBrigitte Bahoua

Alessandra MiloneMonia Cincis

Michela MariottiPaolo Milani

Raffaele OttolenghiStefano Baffetti

Paolo DelpinoMartina Priorini

Leone DalbertoGiancarlo Imbastoni

Gloria GerechtFrancesco Zuccherini

Floriano La GattaFranco Chilese

Eleonora CaponiElena Loriedo

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Noi, l’associazione culturale Arrivo

Daniela MarinoChiara DozzoLaura SantiGianluca BertoniChiara GaglianoSalvatore FabrizioPiergiorgio GiacchèTullio SeppilliAndrea MortoliniClaudia CancellottiSamir HarpPaolo VintiVittoria BartolucciSimone BoccardiniGianluca LiberaliRiccardo CassieriSamih al QasimMichela PazzagliaMaurizio TomaselliAndrea CernicchiFabrizio CroceNicoletta VintiPiercarlo PettirossiAlessandro Urbani

Ponte Solidale PerugiaLavanderia M.C s.n.c. Bastia

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Massimo GuarnottaDanilo CremonteRoberto Ruggieri

Odin Teatret

Annalisa Rocca