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DIABASIS STORIE INVISIBILI E ALTRI RACCONTI DIABASIS GIORGIO MESSORI GIORGIO MESSORI STORIE INVISIBILI E ALTRI RACCONTI Giorgio Messori (Reggio Emilia, 1955-2006) è autore di racconti apparsi su numerosi libri e riviste (nel «Semplice», «Riga» e nell’antologia Narratori delle Riserve) e traduttore (Peter Bichsel, Il lettore, il narrare). Ha pubblicato con Diabasis nel 2005 il suo libro d’e- sordio, Nella Città del Pane e dei Postini (Premio Sandro Onofri 2005, Premio Nazionale di Narrativa Bergamo 2006, finalista al Premio Viareggio opera prima 2005), che è anche il suo capolavoro. Dell’amicizia con Luigi Ghirri e della sua lezione, Giorgio Messori ha fatto tesoro, scrivendone su Atelier Morandi (Palomar 1992), ideato insieme a Ghirri, e Il senso delle cose. Luigi Ghirri Giorgio Morandi (Diabasis 2005). Diabasis ha pubbli- cato postumo, nel 2007, Viaggio in un paesaggio ter- restre, resoconto – scritto e fotografato – di un “pieno di viaggi” assieme all’amico fotografo Vittore Fossati. 12,00 Il volume comprende la raccolta Storie invisi- bili , che lo scrittore aveva consegnato a Diabasis prima della morte, e altri racconti che ne rico- struiscono e completano il percorso narrativo, come il primo dei racconti inediti, Icaro, che risale alla fine degli anni Settanta. Il libro permette di entrare nel delicato e profondo universo narrativo di Messori, che, in una delle sue ultime interviste, aveva dichiarato di avere «sempre creduto che i racconti, più che i romanzi, siano più vicini alla vita». Le storie invisibili di Messori sono esemplari ritratti e frammenti di vita, raccontati con la misura, il pudore, il realismo visionario che contraddistinguono l’inconfondibile voce dello scrittore reggiano. «Era più che altro la luce a trasformare il mondo in uno sterminato paesaggio interiore, che gli faceva sen- tire una sensazione di tepore.» AL BUON CORSIERO

Storie invisibili e altri racconti

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GIORGIO MESSORI

STORIE INVISIBILI E ALTRI RACCONTI

Giorgio Messori (Reggio Emilia, 1955-2006) è autoredi racconti apparsi su numerosi libri e riviste (nel«Semplice», «Riga» e nell’antologia Narratori delleRiserve) e traduttore (Peter Bichsel, Il lettore, il narrare).Ha pubblicato con Diabasis nel 2005 il suo libro d’e-sordio, Nella Città del Pane e dei Postini (Premio SandroOnofri 2005, Premio Nazionale di Narrativa Bergamo2006, finalista al Premio Viareggio opera prima 2005),che è anche il suo capolavoro. Dell’amicizia con LuigiGhirri e della sua lezione, Giorgio Messori ha fatto tesoro,scrivendone su Atelier Morandi (Palomar 1992), ideatoinsieme a Ghirri, e Il senso delle cose. Luigi GhirriGiorgio Morandi (Diabasis 2005). Diabasis ha pubbli-cato postumo, nel 2007, Viaggio in un paesaggio ter-restre, resoconto – scritto e fotografato – di un “pieno diviaggi” assieme all’amico fotografo Vittore Fossati.

€ 12,00

Il volume comprende la raccolta Storie invisi-bili, che lo scrittore aveva consegnato a Diabasisprima della morte, e altri racconti che ne rico-struiscono e completano il percorso narrativo,come il primo dei racconti inediti, Icaro, che risalealla fine degli anni Settanta. Il libro permette di entrare nel delicato e profondouniverso narrativo di Messori, che, in una dellesue ultime interviste, aveva dichiarato di avere«sempre creduto che i racconti, più che i romanzi,siano più vicini alla vita». Le storie invisibili diMessori sono esemplari ritratti e frammenti divita, raccontati con la misura, il pudore, il realismovisionario che contraddistinguono l’inconfondibilevoce dello scrittore reggiano.

«Era più che altro la luce a trasformare il mondo inuno sterminato paesaggio interiore, che gli faceva sen-tire una sensazione di tepore.»

AL BUON CORSIERO

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A l B u o n C o r s i e r o

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Si ringrazia Fabrizio Cicconiper avere gentilmente fornito la fotografia di copertina

In copertinaBiH-Tuzia 2005, fotografia di Fabrizio Cicconi

Progetto grafico e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-528-1

© 2008 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 I-42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

[email protected] www.diabasis.it

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Giorgio Messori

Storie invisibili e altri racconti

A cura di

Gino Ruozzi

D I A B A S I S

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Introduzione

Gino Ruozzi

Nella presentazione di alcuni racconti editi e inediti di Gior-gio Messori e Beppe Sebaste sul quotidiano «il Manifesto» del 13novembre 1988 Gianni Celati scriveva che «mi sta a cuore questalinea di ricerca che si rifà alla variante introdotta da Robert Wal-ser nelle pratiche letterarie: scrittura come passeggiata senza me-ta, cerimonia che celebra l’esperienza sfuggente. Per gli attualifunzionari della letteratura, che capiscono solo l’obbligo dellafinzione romanzesca, questa linea di ricerca è forse inutile. Ma iocredo che quando (tra pochissimo) tutto il campo della lettera-tura ufficiale sarà composto solo da prodotti prefabbricati, loscandalo walseriano acquisterà un’importanza sempre maggiore.Parlo di scandalo perché la letteratura industriale non può nonproporre libri promessi al successo, legati a qualche fantasia dicattura che alcuni chiamano “realtà” e altri “strategie testuali”.Mentre Robert Walser ci offre una scrittura che dichiaratamentenon cattura nulla, né la cosiddetta vita, né la supposta realtà, né isentimenti: e però al tempo stesso celebra affettuosamente tuttociò che ci sfugge, l’indefinibile esperienza del mondo che non hasostanza al di fuori dei racconti che ne facciamo»1.

Giorgio Messori ha sempre praticato con coerenza e creativitàquesta linea di ricerca narrativa e questo libro di racconti lo mo-stra con chiarezza. Il volume è composto di tre parti: la raccoltaStorie invisibili, che Messori aveva preparato per la stampa pri-ma della morte; un gruppo di racconti editi dal 1983 al 1995; unaltro gruppo di racconti, inediti, databili dalla fine del 1978 al2005. Il libro testimonia quindi il percorso quasi trentennale diMessori narratore, dagli esordi al brusco tragico epilogo; vieneperciò dopo e nello stesso tempo prima dei due libri pubblicatinegli ultimi anni: il diario narrativo Nella città del pane e dei po-stini (2005), scaturito dal fondamentale soggiorno in Uzbekistan,

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e il postumo Viaggio in un paesaggio terrestre (2007, frutto dellacollaborazione con il fotografo Vittore Fossati); infine si ricolle-ga al debutto compiuto insieme a Beppe Sebaste nel volume aquattro mani L’ultimo buco nell’acqua (1983).

Storie invisibili è una raccolta di racconti, la misura narrativacongeniale a Messori. I suoi testi brevi sono frammenti e spacca-ti di vita, di esperienze, di emozioni, di percezioni, nella preva-lente dimensione personale dell’incanto. Credo sia esemplare unpassaggio del racconto Il villaggio di Atrani, in cui due coniugianziani raccontano all’io narrante «degli artisti che erano passatidi lì, e si erano fermati incantati»; il testo, di un nitore emblema-tico, prosegue in una sospesa luminosità paradisiaca e il villaggiocon i suoi candidi abitanti diviene nelle parole del celebre dise-gnatore olandese Escher «una specie di casa ideale, da cui affac-ciarsi per veder girare il mondo. Proprio il mondo, la terra e tut-to quel che c’è sopra». Questo è lo sguardo gratuito e pieno distupore, quasi di preghiera, che distingue i racconti di Messori2.Sull’influsso di Walser si è soffermato lo stesso scrittore in unodei suoi più significativi interventi di poetica: «Amo molto leg-gere Walser. Non riesco però a leggerlo tutto d’un fiato. Ognitanto devo interrompere la lettura perché avverto una leggeraebbrezza, un capogiro che mi costringe a fermarmi, magari pertornare indietro di qualche pagina, oppure non fare niente perun po’. Eppure la lettura di Walser mi assorbe completamente,mi cattura come poche altre. Ma spesso vengo scosso da una sor-ta di eccesso d’intensità. Intensità di cui Walser era consapevole,e che l’ha portato a prediligere la forma del racconto breve, cherispetto al romanzo ha questo vantaggio: l’impressione che sipossano raccogliere infinite storie in qualsiasi momento, coglien-do qualsiasi occasione. Basta girare gli occhi per incontrare sem-pre un’altra storia. […] Il passeggiare, il vagabondare, che è unpo’ il tratto distintivo di tutta la prosa di Walser, non è una for-ma, ma un’ipotetica estensione dello spazio, che si può aprire il-limitatamente ai possibili incontri col mondo»3. Accanto a Wal-ser ha un rilievo determinante la lezione di Kafka, filtrata anchedall’interpretazione di Benjamin: «Kafka ha saputo cogliere an-che il minimo gesto in tutta la sua ampiezza e intensità. Un’in-tensità spesso drammatica, a volte comica. […] Difficile catalo-garlo, chiuderlo in qualche schema o interpretazione. Più che

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uno scrittore, è un intero continente da esplorare, un continentein cui ci si può perdere in modo salutare»4.

Nel percorso narrativo di Messori, pur con qualche eccezione(per esempio uno dei primi racconti, Il romanzo di Icaro, termi-nato nel 1978-1979 e qui pubblicato per la prima volta), si pro-cede cronologicamente dall’esterno verso l’interno. I raccontipubblicati in Esplorazioni sulla via Emilia (1986) e in Narratoridelle riserve (1992) muovono da viaggi all’aperto, come del restoi volumi Nella città del pane e dei postini e Viaggio in un paesaggioterrestre. Sono testi di contemplazione del mondo, passeggiatewalseriane effettuate in un nutriente dialogo con l’arte fotografi-ca dell’amico Luigi Ghirri. In Storie invisibili l’occhio passa dal-le strade agli interni delle case, dalla luce al buio, in atmosfereper lo più chiuse e oscure, con un crescente onirico senso di me-stizia e di angusta malinconia, angosciante e protettiva a un tem-po; spazi e atmosfere che rinviano alle tane di Kafka, di Melville,di Flaiano. Lo stupore bianco di molti primi testi si è evoluto inuna meraviglia sovente notturna e saturnina in cui Messori ha co-niugato la meditazione del presente con una costante riletturadel passato, una rivisitazione tenace e inquieta delle eredità in-fantili e familiari. Ne sono un limpido esempio i due racconti cheaprono la raccolta: La bistecca (che per il titolo e l’ambientazionetriestina non può non ricordare la celebre «scorciatoia» La bi-stecca di Svevo di Umberto Saba) e Film di una volta, in alcuneprecedenti stesure rispettivamente intitolati Gli zii di Trieste e Lastoria del nonno che non ho mai conosciuto. Ai quali, sempre inchiave infantile e familiare, va aggiunto il terzo racconto, La fieradi San Pellegrino, protagonisti, nella desolata periferia di ReggioEmilia, la madre e l’io narrante bambino.

Nel corso degli anni Messori attua un radicale cambiamentodi prospettiva (o un sostanziale approfondimento) e alla descri-zione della superficie predilige quella del sottosuolo: un sotto-suolo di confine, orizzontale più che verticale. Egli focalizza unpaesaggio nascosto, posto ai lati e tra le pieghe di quello palese;l’acuta percezione del suolo si accorda con la consapevolezza diuna quantità di «storie invisibili» che popolano il mondo e ne co-stituiscono la trama profonda. Sono per lo più storie di «personeinvisibili», sconosciute alla macro e micro storia del mondo, in-dividui solitari la cui vita scivola via occulta e silenziosa, spesso

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schiacciati da un’offesa subita, che può essere quella leopardianadella stessa esistenza («la sensazione che se stai perdendo qual-cosa, anche una cosa importante come l’infanzia, non sei propriotu che la stai perdendo, perché il cielo e la luna, le stelle, il soleche tramonta, ti dicono che la perdita è nell’ordine delle cose»,Dimenticarsi). Messori invita a «guardare il mondo da un’altra fi-nestra» (Un salto fuori), a mutare il nostro punto di osservazionee uscire dall’ovvietà per immaginare vite e soluzioni diverse, co-me accade nelle storie Bosco giapponese e La luna di Giacometti.Talvolta per osservare il mondo da un’altra finestra e aprire unnuovo terapeutico sipario (La bistecca) occorre tornare bambini(Un’idea da vendere) o lasciarsi turbare da un incontro (Colpo divento). Si tratta di eventuali Uscite di sicurezza, come dichiara iltitolo di uno dei primi racconti editi (1983).

Ogni «invisibile» può avere il suo momento di riscatto da unaquotidianità incolore e marginale, provare un’emozione che glialleggerisce e cambia, almeno per un po’ (e quasi paradossal-mente), il sentimento del mondo; così succede al bambino im-paurito e incupito della Fiera di San Pellegrino, improvvisamen-te e felicemente trasformato non dalle giostre ma dall’incontrocon i bambini argentini: «Era bastato tirare un calcio forte a unapalla, mirare il più lontano possibile per avere tutta quella bal-danza. Anche il buio e il freddo non facevano più paura. E le ve-trine dei negozi, attraversando la città, erano illuminate a festa».

La fiducia nelle storie è stata un elemento di continuità nell’i-dea e nell’esercizio della letteratura di Messori. Le storie, soprat-tutto le piccole storie, mimetiche della fragilità creaturale, sonostate il fulcro della sua passione e del suo lavoro («Fin dall’inizio,da quando ho cominciato a scrivere, ho sempre creduto che iracconti, più che i romanzi, siano più vicini alla vita. Non ho maiamato la cosiddetta fiction, dentro cui un romanzo rimane spes-so ingabbiato. Perché la vita è fatta di tanti frammenti che mal siadattano a entrare nell’orizzonte di un romanzo compiuto»). Inuna delle interviste rilasciate dopo l’uscita del libro Nella città delpane e dei postini («l’Unità», 2 agosto 2005) egli informava dellaprossima uscita di Storie invisibili definendole «raccontini» edenunciava ancora una volta l’obiettivo di «ridurre il linguaggio alminimo, a un minimo di cose, come ha sempre fatto Morandi eanche Ghirri, specie nei suoi ultimi anni»5.

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Il tema delle storie e del loro racconto è al centro del libro Illettore, il narrare di Peter Bichsel (Der Leser, Das Erzählen, 1982)tradotto da Messori e pubblicato nel 1985 dalla casa editriceÆlia Lælia di Reggio Emilia, di cui lo scrittore fu tra i fondatori.Nella Nota alla traduzione posta all’inizio del testo Messori sot-tolinea questo passaggio essenziale della poetica di Bichsel: «Sivedrà anche, leggendo questo libro, come per Bichsel ogni rifles-sione intorno a questi temi diventi naturalmente “racconto”, ecome pure ogni riflessione sul narrare sia anch’essa narrazione.“In genere”, ha detto una volta in un’intervista, “cerco di spiega-re tutto con delle storie, e cerco di pensare in storie e non in fat-ti astratti»6. Sono asserzioni in perfetta sintonia con la poetica e illavoro narrativo di Messori, per il quale appunto «ogni riflessio-ne sul narrare» è «anch’essa una narrazione». Questa persuasio-ne critica e narrativa è evidente fin dai primi racconti Uscite di si-curezza (1983) e Le storie nelle storie (1984), in cui racconto eriflessione sul racconto sono intimamente intrecciati, inscindibi-li. All’influsso dichiarato di Bichsel si accompagna quello di Tho-mas Bernhard, specie per le storie di confine (per esempio Il li-mite boschivo), che Messori ricorderà anche nel volume Viaggioin un paesaggio terrestre.

La scelta di scrivere «racconti brevi», spesso nell’ottica impli-cita dell’apologo, è già evidenziata nel sottotitolo della raccoltad’esordio L’ultimo buco nell’acqua (1983), firmata insieme a Bep-pe Sebaste. Nella Prefazione gli autori affermano di credere che«coi suoi punti di discontinuità e i suoi ingressi multipli, questotesto componga un mondo, una storia, senza essere un romanzo.Un po’ come il gesto di gettare un sasso nell’acqua, e perdersi se-guendo le onde che si allargano a partire dal “centro”: quel buco,naturalmente, non esiste, così come i cerchi sono forse infiniti, fi-no a non poterli più riconoscere nella loro tautologica vastità»7.Anche le storie invisibili sono buchi nell’acqua; forse, rispetto airacconti iniziali della prima raccolta, sono più probabilmente bu-chi nella terra, meno indefiniti, più concreti, ferite aperte e rico-noscibili in un corpo materiale.

Di frequente negli ultimi racconti si affacciano timori di ma-lattie (raffreddore, polmonite, ulcera perforata), che riemergonoda una intrinseca e radicata eredità infantile. Tangibile e invisibi-le sono poli che più che respingersi si attraggono e mescolano.

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Gli «invisibili» di Messori sono persone che soffrono, provano«disperazione», «desolazione», disagi paralizzanti; alcuni deside-rano uscire dal proprio corpo per sentire attimi di sollievo; altriper essere dimenticati e annichilirsi, scomparire dalla vista altrui;alcuni sono angeli, altri sognatori; per tutti il percorso nel mondoè una prova dolorosa. In questa precaria passeggiata umanaascoltare e raccontare storie è insieme un fondamentale eserciziospirituale e una elementare e non banale uscita di sicurezza.

Note1. G. Celati, «il manifesto», 13/14 novembre 1988, p. 11 (terzo appuntamento

della rubrica Narratori delle riserve, in cui Celati presenta alcuni testi di Messori eSebaste con una prefazione intitolata Robert Walser, lezione di scandalo). Nellapresentazione del racconto Forse l’esilio comincia nei sogni a occhi aperti pubbli-cato da Messori in Narratori delle riserve (Feltrinelli, Milano 1992, pp. 179-194)Celati afferma che «Giorgio Messori scrive come è: uno silenzioso che ama ascol-tare. La sua è il contrario d’una scrittura estrosa e immaginativa, ed ogni sua parolasembra uscire da un grande disorientamento, in cerca di una estrema limpidezza.È una scrittura applicativa, forse proprio per lasciarsi alle spalle i sogni ad occhiaperti, dove spesso comincia il nostro esilio dal mondo» (p. 178).

2. «A questo proposito mi viene in mente che Franz Kafka diceva più o meno,lo cito a memoria, che scrivere è come pregare, che ogni scrittura dovrebbe ten-dere alla preghiera. Perché la scrittura, la poesia, il canto, professano sempre, al-meno nei momenti più alti, una profonda devozione al mistero, che come tale ri-mane però insondabile, inafferrabile, anche se mai lo si è sentito così vicino. Ed èanche vero, come diceva un altro poeta, che bisogna avere sempre molto rispet-to per il mistero, quando si ha la fortuna d’incontrarlo» (G. Messori, V. Fossati,Viaggio in un paesaggio terrestre, Diabasis, Reggio Emilia 2007, pp. 64-65).

3. Il foglio bianco, gli spazi bianchi, in «Riga», n. 2. Leggere e scrivere, 1992,pp. 217-225.

4. Un breve consiglio per leggere Kafka, in «Shorties», n. 1 [Diabasis, ReggioEmilia], 1999, pp. 27-28.

5. R. Carnero, «Con Ghirri cerco le parole al minimo», «L’Unità», 2.8.2005, p. 21.6. G. Messori, Nota alla traduzione, in P. Bichsel, Il lettore, il narrare, Ælia

Lælia, Reggio Emilia 1985, p. 8.7. G. Messori, B. Sebaste, L’ultimo buco nell’acqua, Ælia Lælia, Reggio Emi-

lia 1983, p. 6.

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Nota bio-bibliograficaGiorgio Messori nasce a Castellarano (Reggio Emilia) il 28 luglio

1955.Nel 1982 si laurea in Filosofia all’Università di Bologna con una tesi

in Estetica dal titolo Forme narrative in Peter Handke, relatore LucianoAnceschi.

Nel 1982 fonda con Carlo Bordini, Daniela Rossi, Beppe Sebaste lacasa editrice Ælia Lælia, con sede a Reggio Emilia, di cui sarà presiden-te fino alla chiusura nel 1990.

Nel 1983 pubblica con Beppe Sebaste il volume di «racconti brevi»L’ultimo buco nell’acqua (Ælia Lælia, Reggio Emilia).

Nel 1985 pubblica la traduzione del volume Der Leser, Das Erzählendi Peter Bichsel (1982): Il lettore, il narrare, Ælia Lælia, Reggio Emilia(poi Marcos y Marcos, Milano 1989).

Nello stesso anno collabora, insieme ad altri scrittori e fotografi, alprogetto di descrizione della Via Emilia organizzato dalla Regione Emilia-Romagna. Il suo contributo narrativo sarà pubblicato l’anno seguente nelvolume Esplorazioni sulla via Emilia. Scritture nel paesaggio di ErmannoCavazzoni, Gianni Celati, Corrado Costa, Daniele Del Giudice, AntonioFaeti, Tonino Guerra, Giorgio Messori, Giulia Niccolai, Beppe Sebaste, An-tonio Tabucchi, Prefazione di Italo Calvino, Feltrinelli, Milano 1986.

Dopo avere insegnato italiano in Svizzera, dal 1987 al 1999 insegnamaterie letterarie nelle scuole superiori di Reggio Emilia.

Nel 1988 insieme a fotografi e altri scrittori partecipa al progetto didescrizione del Lago Lemano in Svizzera, che confluirà nel volumeL’Arc lémanique. Vingt et un récits sur le lieu, Favre – L’Hebdo, Lau-sanne 1988; volume collettaneo con testi di Gerald Bisinger, NicolasBouvier, Michel Butor, Gianni Celati, Maurice Chappaz, Vince Fascia-ni, Leslie Kaplan, Jean-Marc Lovay, Erica Pedretti, Beppe Sebaste e fo-tografie di Gabriele Basilico, Jacques Berthet, Luc Chessex, NicolasFaure, Luigi Ghirri, Anne-Marie Grobet, Claude Nori, Olivier Richon,Christian Vogt, Manfred Willmann.

Nel 1990 visita con l’amico fotografo Luigi Ghirri gli studi di Gior-gio Morandi a Bologna e Grizzana, da cui scaturiranno mostre, pubbli-cazioni e saggi sull’opera del pittore (tra cui Atelier Morandi, Con-trejour-Palomar, Parigi-Bari 1992).

Nel 1992 partecipa al volume Narratori delle riserve curato da Gian-ni Celati (Feltrinelli, Milano).

Negli anni seguenti pubblica racconti e saggi in riviste (tra cui «Ri-ga», «Il semplice», «Inchiostri») e traduce insieme a Gianni Celati le li-riche di Hölderlin raccolte nel volume Poesie della torre (Feltrinelli, Mi-lano 1993).

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Dall’agosto 1997 al gennaio 2002 intraprende un progetto di descri-zione e riflessione sul paesaggio insieme al fotografo Vittore Fossati eviaggia in Italia, Svizzera, Francia, Olanda e Germania visitando i luo-ghi di Petrarca, Giacometti, Courbet, Cézanne, Vermeer e Friedrich. Itesti di Messori e le fotografie di Fossati saranno pubblicati nel 2007 nelvolume postumo Viaggio in un paesaggio terrestre (Diabasis, ReggioEmilia).

Dal 2000 al 2005 insegna lingua e letteratura italiana nell’Universitàdi Tashkent in Uzbekistan.

Nel 2003 sposa Lyuda, con la quale diventerà padre di Michele. Nel 2005 pubblica il volume Nella città del Pane e dei Postini (Diaba-

sis, Reggio Emilia), racconto della sua esperienza in Uzbekistan; con que-sto libro nel 2005 vince il Premio Sandro Onofri per il reportage narrati-vo ed è finalista al Premio Viareggio; l’anno successivo vince il PremioNazionale di Narrativa Bergamo.

Sempre nel 2005 viene pubblicato presso Diabasis, nel libro-catalogoIl senso delle cose. Luigi Ghirri, Giorgio Morandi, a cura di Paola Bor-gonzoni Ghirri il suo testo Le mattine del mondo. L’incontro di LuigiGhirri con l’opera e i luoghi di Giorgio Morandi. The mornings of theword. Luigi Ghirri encounters the work and word of Giorgio Morandi.

Il 12 giugno 2006 Giorgio Messori muore a Montericco di ReggioEmilia.

Ringrazio Daniele Benati, Carlo Bordini, Rocco Brindisi, Gianni Celati,Beppe Sebaste, Daniela Messori, Lyuda Krapivina Messori, Roberto Mes-sori per il prezioso e costante aiuto nella cura di questo volume.

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STORIE INVISIBILI

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Il passato è un paese lontano in cui tutto si svolge in maniera diversa.

Marcel Proust

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La bistecca

Prima c’era un lungo viaggio in treno, poi mi trovavo in unaltro posto, un altro letto, i soffitti più alti. E fuori c’era il mare eil cielo di Trieste.

Mia nonna, anche d’estate, aveva sempre uno scialle sulle spal-le. Così anche a me non sembrava mai ci fosse caldo, e quel cielochiaro e il mare azzurro mi davano la sensazione di un’estate arti-ca. Inoltre mia nonna era ossessionata dal pensiero che prendessifreddo, e mi ficcava sempre il giornale sotto le braccia quando leappoggiavo nude al tavolo di cucina. Non voleva che mi amma-lassi proprio a Trieste, a casa di suo fratello.

Questo fratello, che chiamavo sempre zio, era ossessionatoanche lui da spifferi e correnti d’aria, e a casa sua teneva semprele finestre chiuse e le tapparelle giù. Da anni era diventato purevegetariano, perché una volta aveva visto i resti di un disgrazia-to che s’era buttato sotto il treno. Da quel momento in poi, rac-contava la nonna, lo zio era non s’era più mosso dalla città e nonaveva neanche più mangiato della carne perché gli ricordavatroppo quel corpo macellato sui binari. Mangiava solo uova,formaggi, qualche volta del pesce.

Così quando mia nonna mi dava la bistecca, perché dovevocrescere e farmi del sangue, lo zio per non vedere tirava su letapparelle e si metteva alla finestra. Allora, grazie alla bistecca,finalmente si apriva il sipario su un cielo azzurro e l’aria frescache veniva dal mare.

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Film di una volta

Mio nonno, di ritorno da un campo di prigionia, aveva tro-vato la sua casa svaligiata, solo mobili vuoti e i muri bianchi esporchi. Poi un giorno era andato da un cugino e aveva scoper-to che il suo servizio da tè era tutto lì, a casa del cugino. Peraccoglierlo il cugino gli aveva addirittura servito il tè in quelletazze, così abituato a vedersele in casa da non ricordare neanchepiù di chi fossero. E il nonno uscendo aveva deciso di andarse-ne il più lontano possibile, schifato da simili parenti.

Lasciò il suo paese di montagna per trasferirsi in una grandecittà di mare. Voleva cambiare aria, dare altri colori alla sua vita.In una città grande c’era più lavoro e per un reduce c’eranoanche delle facilitazioni del governo. Si ricordava di un compa-gno di prigionia, veniva dalle sue parti, che diceva che uscito dalì sarebbe andato in una città piena di cantieri e di sporcizia, chedove ci sono cantieri e sporcizia ci sono anche dei soldi. Era unprigioniero che non aveva la nostalgia degli altri, al campo lochiamavano “il mulo”, sopportava ogni fatica e diceva che lì alcampo non era tanto diverso dalla vita di fuori: mangiare esgobbare senza crepar di fame e di fatica. E forse il nonno locercava invano con gli occhi “il mulo”, avrebbe voluto averlovicino mentre si aggirava inquieto per i cantieri del porto.

Non lo incontrò mai e smise pure di girare per il porto percercar lavoro. Sapeva leggere, era quasi ragioniere, bastavaprendere il giornale con gli annunci. Al porto c’era un’attivitàtroppo febbrile per chi aveva ancora nostalgia della calma dellemontagne. Meglio il caffè o una panchina al sole a sfogliare ilgiornale. E con lui c’erano tanti altri a sfogliare giornali e riem-pire panchine, tanti altri a fare code dopo aver letto gli annuncisui giornali. Il nonno si poteva concedere il lusso di aspettare,mettersi in coda e sperare. Qualche soldo lo aveva preso ven-dendo la casa e il podere, sarebbe potuto rimanere due anni

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nella pensione dov’era, aveva calcolato. E fare calcoli era la cosache aveva studiato meglio prima che venisse la guerra.

Lo trovò, dopo qualche mese, un posto da contabile in unacompagnia assicurativa. Ufficio decente, paga buona in tempi dimiseria, da rimaner tranquilli nella solita pensione e concedersiogni tanto qualche svago. E con un lavoro sicuro anche l’attivitàfebbrile dei cantieri non lo turbava come prima. Abitava in unabella città che offriva lo spettacolo del porto nel tragitto fra lapensione e l’ufficio, l’ufficio e la pensione, e per strada c’era l’o-dore forte del mare che faceva dimenticare i prati fioriti, le mon-tagne innevate, e il nonno era ancora giovane da sognare unavita lunga e scordarsi la tristezza dei reduci, il disgusto deiparenti. Cominciò ad andare al caffè anche di sera, a frequenta-re i cinematografi, conoscere delle ragazze.

Col tempo diventò una mania quella di andare al cinemato-grafo. Si poteva vedere tutto il mondo, città ancor più grandi, sivedeva l’America. Ma vedere i film gli faceva venir nostalgia delpartire, come era già partito una volta per la guerra, poi dalcampo di prigionia, poi ancora dalle sue montagne. Che sensoaveva rimanere per sempre in quell’ufficio, in quella città? Allavoro tutti lo lodavano e lo stipendio era buono, ma oltre ilmare c’erano ancor più soldi e oceani interi da mettere fra lui etutti i suoi parenti ladri. Di là c’erano ancora più cantieri e spor-cizia, denaro che circolava e uomini e donne da ogni continen-te. E far dei calcoli è uguale in tutte le lingue del mondo, è unmestiere che va bene dappertutto.

Così un giorno il nonno s’imbarcò per l’America senza darepiù notizie di sé. Finì per prendere anche lui la strada del porto,della gente che ogni giorno vedeva seduta sulle banchine coifagotti della biancheria, i cesti con la tovaglia sopra. Lui magariper il viaggio aveva comprato una valigia di cuoio, un bel baule.Ma la vita gli aveva insegnato a guardar dritto senza pensare adaltro, come un mulo delle sue montagne. Poi il nonno non avevaneanche più famiglia, rotto i ponti con tutti, e aveva imparatoche si può sempre ricominciare da capo. Basta saper fare i cal-coli giusti, senza mai rischiare troppo. In fondo non ci vuoleneanche un gran coraggio.

Mia nonna raccontava che col nonno andava sempre al cine-ma a guardare i film d’amore. Erano storie bellissime, mi dice-

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va sempre la nonna, e succedeva pure che tornassero a vederelo stesso film due volte ma il biglietto lo pagava sempre lui, ilnonno. Perché era un uomo buono e generoso il nonno, un verosignore. Poi non si sa come aveva deciso di smetterla con l’uffi-cio e il solito caffè, la ragazza che a volte si portava dentro lapensione ma non somigliava alle attrici del cinema.

Il giorno del mancato appuntamento, quando mio nonnoaveva già preso il battello per l’America, il nonno e la nonna sidovevano incontrare come al solito davanti al botteghino delcinema. La nonna lo aspettò per ore, fino all’ultimo spettacolo.Guardava sempre fuori e quel giorno pioveva forte, le stradedeserte, e mia nonna fin da subito si sentiva qualcosa. Non gliaveva neanche mai detto d’essere incinta, non ne aveva mai tro-vato il coraggio.

Forse perché sentiva in lui un’inquietudine che non sapevaconsolare, e non voleva dargli altri pensieri. Oppure aveva sem-plicemente una gran soggezione del suo uomo.

D’altronde le cose allora andavano così, mi diceva mianonna. E mio nonno era un vero uomo, che misurava sempre leparole che diceva. Però il cinema lo emozionava sempre, e se ilfilm era bello dopo gli venivano da raccontare tante cose: laguerra, la prigionia, le sue montagne.

Dalla guerra aveva tenuto qualcosa anche mia nonna, unposto da operaia in fabbrica, e per fortuna che con lei lavoravaun’amica che la copriva sempre, quando si vedeva col nonno. Isuoi genitori erano all’antica, della sua storia d’amore non ave-vano mai saputo niente.

E per non dirgli niente mia nonna finì per scappare anche dicasa, dopo che fu sicura che il nonno era partito per l’America.Andò a stare dall’amica che lavorava con lei in fabbrica, e unpo’ alla volta si costruì una vita. Il nonno prima di partire leaveva lasciato un biglietto, alla pensione, con poche righe. Lechiedeva semplicemente di non cercarlo, che se le cose fosseroandate bene si sarebbe fatto vivo lui.

Lui non si è più fatto vivo e la nonna non l’aveva mai cercato.Quando il nonno e la nonna s’erano conosciuti il cinema eramuto, e quando mi capita di vedere dei film muti mi sembrasempre che gli attori abbiano dentro una paura che non capisco,ma che mi ricorda i racconti di mia nonna. Anche nei film comi-

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ci, perché soprattutto le attrici sono sempre turbate da qualcosa.Alcune facce d’attore sono invece più calme, se non devono

per forza fare i cattivi. Sono facce che riescono a calmare perfinole attrici impaurite, a volte si può dire che le proteggano anchesolo con lo sguardo, uno sguardo carico di parole che non si pos-sono dire. E ogni volta che vedo un film del genere, un vecchiofilm muto con dentro una storia d’amore, tutte le volte mi chie-do se quel film l’hanno magari visto anche il nonno e la nonna.

E chissà in che modo il nonno guardava la nonna?

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La fiera di San Pellegrino

L’odore di campagna invadeva la città quando arrivavano legiostre della fiera di San Pellegrino. Era una campagna buia, tetra,che si snodava lungo un viale di periferia e segnava l’inizio dell’in-verno, la stagione più lunga dell’anno. Da lontano s’intravedeva-no appena le luci delle piccole giostre, sparpagliate sul viale da cuicontinuavano a passare le macchine che non s’accorgevano diniente. Quando invece arrivavano le giostre di San Giuseppe, cheannunciavano la primavera ed erano molto più grandi, la città siprecipitava tutta ai giardini pubblici e i giardini pubblici diventa-vano un’altra grande città dentro una città in festa.

Invece andare alla fiera di San Pellegrino era come perdersiin una campagna abbandonata. Sparivano i colori, rimanevasolo l’odore di caldarroste, il profumo di legna bruciata. Qual-cosa da sentire senza riuscire più a vedere niente di bello, comeuna notte improvvisa che ci sorprenda in un luogo sconosciuto.

Alla fiera ci andavo sempre con mia madre, che voleva con-solarmi dell’inverno e non si rendeva conto che mi faceva usci-re dalla luce calda della città. Venivo preso da una paura strana,muta, pensavo solo che il tempo passava e volesse ricordarmiche dovevo crescere e che la vita era brutta. Fra l’altro la scuo-la era già iniziata da un pezzo e il maestro aveva già cominciatoa minacciarci. Ogni mattina ci provava i pennini e quelli che siaprivano a forchetta venivano sbattuti via, con un paio di sber-le agli scolari negligenti.

Mia madre non si rendeva conto che andare alla fiera di SanPellegrino era come prolungare la scuola anche di sera. Nonc’era neanche più il tepore della casa, solo il cappotto pesante,il berretto, la sciarpa, l’equipaggiamento con cui andavo ognigiorno a scuola. In più c’era ancor più strada e un freddo ancorpiù forte che arrossava la faccia e bloccava i pensieri.

Alla fiera c’era la solita giostra, quella coi cavalli. Non so quanti

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giri potessi fare, cosa vedevo girando intorno alla campagna buia.Ogni tanto appariva mia madre, seduta sulla panchina. A volte

c’era anche una sua amica accanto a lei, una signorina magra piùvecchia di qualche anno che insegnava l’inglese nelle scuole. Ave -va un nome buffo, si chiamava “signorina Carina”, scritto propriocosì all’anagrafe, e aveva anche una madre.

A un certo punto mi capitò una palla fra i piedi, e quella fuuna cosa che mi diede una grande speranza. Le tirai un calcioper mandarla nella zona dei bambini che giocavano, ma la pallasi fermò contro un albero e i bambini si misero tutti a ridere. Erotra bambini che non avevano il grembiule della scuola, nonerano i miei bambini della scuola severa, i soldati scelti dellascuola elementare “Giosuè Carducci”. Non avevano neanche ilcappotto che m’infagottava tutto, solo maglioni sporchi di fangoavevano, e giocavano e ridevano e davano calci a una palla.

Mia madre mi strattonò mentre correvo all’albero per ripren-dere la palla. “Dài che dopo sudi”, mi diceva. “Solo un tiro” horisposto, e ho calciato con tanta forza che i bambini hannoapplaudito. Anche Sivori, il mio calciatore preferito, avevo lettosull’album che aveva cominciato a dare calci sulla strada, in unaqualche periferia dell’Argentina. “Mamma, sono argentini?” leho chiesto mentre attraversavamo la strada. Non so neanchecos’abbia risposto ma io ero già convinto di sì. Magari il giornodopo avrei potuto chiederlo anche al maestro, se era di buonumore. Si poteva fare anche bella figura, a scuola, non c’eranosolo le sberle per i pennini spuntati.E quando ripassai dalmagazzino che puzzava di bruciato, al cane che abbaiava rispo-si con un fischio forte, la lingua fra le dita, e dentro di me erofelice, felice e sicuro nella presa sicura della mano di mia madre.

Non vedevo l’ora d’arrivare a casa a guardare il libro di geo-grafia, che fra tutte le cose senza senso che si dovevano sapere dipaesi lontani, come che c’erano le mucche e si faceva il latte, e cheerano ricchi di cereali, rame e bauxite, fuori da tutte queste cosesenza senso avrei potuto mettere giostre e bambini, che almeno liavevo visti di persona che giocavano a palla, i bambini argentini.

Era bastato tirare un calcio forte a una palla, mirare il piùlontano possibile per avere tutta quella baldanza. Anche il buioe il freddo non facevano più paura. E le vetrine dei negozi, attra-versando la città, erano illuminate a festa.

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Dispiaceri in casa

Ogni volta che vado a scuola immagino sempre di essere dal-l’altra parte, di essere anch’io un bambino che dalla finestra spiail suo maestro che si avvicina a scuola. E rivedo immancabilmen-te gli stessi gesti, precisi, del mio vecchio maestro che percorre inbicicletta il cortile della scuola, la cartella di cuoio grezzo aggan-ciata al manubrio e lo sguardo fiero. Ma ricordo anche tuttoquello che si sapeva o si presumeva di lui, fuori dal cortile e dalleaule. C’era chi raccontava di una moglie sempre in casa, che alcu-ni miei compagni avevano visto stirare nel buio di un vecchioappartamento. Della figlia si sapeva meno, soltanto ch’era giova-ne e aveva i capelli ossigenati. E questa cosa dei capelli biondi,ossigenati, ci faceva immaginare che fosse una puttana.

Forse era per questo, per nascondere dei dispiaceri, che ilmaestro beveva troppo e già alle nove di mattina tirava fuori labottiglia di Punt & Mes. Poi richiudeva l’armadietto e comin-ciava a infuriarsi. Ci insultava dandoci soprannomi offensivi:quello grasso era la balena, il più timido una mummia, sedutoaccanto al ghiro che per svegliarlo doveva sempre percuoterloin testa col borsellino gonfio di monete. E incominciavano bottee punizioni, c’inveiva contro che non capivamo niente, che unaclasse così sarebbe andata a finir male, che non sapevamo nean-che farci il fiocco sul grembiule che bastava tirare con un ditoche il nodo si scioglieva subito. Ma noi a volte lo scusavamo,quando non eravamo troppo spaventati. C’erano cose che gliavvelenavano la vita, e lui non voleva facessimo la fine di suafiglia, fuori tutte le sere non si sa con chi. Doveva avvertirci deipericoli, educarci ad essere obbedienti e ordinati. Non ci vuolniente a rovinarsi.

In una scuola basta che si sparga la voce che un maestro hadei problemi in casa che gli si perdona tutto. Bisogna solo averel’aria un po’ truce, sfuggente. Ce n’era uno, quest’anno, che non

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faceva uscire i bambini nemmeno per pisciare. Alla fine dell’an-no, per ringraziarlo, gli hanno regalato un televisore a coloriperché si era sparsa la voce che avesse solo quello in bianco enero. C’era anche qualcuno che aveva detto ch’era stato a casasua e la moglie non usciva mai, stava tutto il giorno in vestaglia.Forse beveva di nascosto, e qualcuno a casa del maestro ha vistopure un lucchetto per chiudere l’armadio dei liquori. Un figlio,poi, l’hanno anche visto con dei drogati.

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Gli uomini sulla luna

Vittorio era il più bravo della classe, il migliore anche allelezioni facoltative di latino. Forse era anche il più povero perchéaveva sempre gli stessi vestiti e lo stesso berretto coi paraorec-chie di lana. Suo padre non c’era, non so se morto o sparito, e luiviveva con la madre e una nonna paralitica, una minuscola vec-chietta che guardava sempre dalla finestra i binari della ferrovia.

Forse a scuola Vittorio era il più bravo di tutti perché eraanche il più triste. Ma anche a me come a lui piaceva l’aria fred-da della sera, il panino sbocconcellato sotto i lampioni accesi,quando d’inverno uscivamo assieme dalle lezioni facoltative dilatino. Ci fermavamo sempre dal salumiere all’angolo a farcifare un panino con la mortadella.

A Vittorio la scuola piaceva, i panini pure, e gli piaceva gio-care al totociclo perché vinceva quasi sempre. Si comportavaesattamente come in classe, anche quando giocava al totocicloriusciva a stare sempre molto attento, concentrato, senza farsiinfluenzare da quello che dicevano gli altri.

È stato il mio primo vero amico Vittorio. Non tanto come coe-taneo, anche se avevamo la stessa età. L’amicizia dei coetanei laconoscevo già, era fatta di altre cose: c’erano i giochi, le bande.Con Vittorio invece non parlavamo quasi, non giocavamo maiassieme. E io fra l’altro al ciclismo ho sempre preferito il calcio.

Non c’entravano gusti, interessi. Non so neanch’io cos’avessiin comune con lui, ma gli ero grato che mi passava i compiti dilatino e mi piaceva camminargli vicino senza dover dire niente.

Non ci vedevamo molto, a parte le ore facoltative di latino.Però a volte veniva a casa mia a guardare la tivù perché in casanon l’aveva. Guardava sempre documentari scientifici o garesportive. E naturalmente era venuto anche quella notte chesono scesi gli uomini sulla luna. C’era tutta la famiglia riunita afar le ore piccole, davanti alla televisione, e c’era anche lui, Vit-

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torio, l’unico estraneo, che gli brillavano gli occhi di felicità estanchezza a guardare quella trasmissione che non finiva mai.Era contento di assistere personalmente a qualcosa che si sareb-be studiato a scuola, di vivere un giorno da ricordare.

Abbiamo fatto l’alba, era estate, e visto che c’era luce l’ho riac-compagnato a casa. A un certo punto Vittorio si è anche ferma-to a guardare il cielo con un’espressione soddisfatta, ma senzadire niente. Si capiva che era soddisfatto perché schioccava sem-pre la lingua, come Sherlock Holmes, come se in un attimo fosseriuscito a vedere nel cielo invisibili meccaniche celesti.

A dir la verità non c’era molto da vedere, l’aria era umida egià incombeva la cappa dell’estate. Ma si vedeva ancora abba-stanza bene un pezzo di luna, la luna del mattino, e forse ancheVenere si vedeva, oppure Marte, comunque l’ultima stella cheva giù. Vittorio sicuramente sapeva se quella stella era Venere oMarte, ma quand’era concentrato su qualcosa non lo interrom-pevo mai con delle domande. Era questa la nostra amicizia.

Così anche se ci capivo poco ho guardato anch’io a lungo ilcielo, il cielo di un’alba d’estate, come se dovessi ficcarmi in testaun ricordo indelebile. Poi ha aperto il salumiere all’angolo e cisiamo fatti fare un panino con la mortadella, come d’inverno.

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Giorgio Messori

Storie invisibili e altri racconti

Introduzione, Gino Ruozzi

STORIE INVISIBILI

La bistecca Film di una voltaLa fiera di San PellegrinoDispiaceri in casaGli uomini sulla lunaSale da balloUn poeta mancato?Vocazioni precociLe canzoni del mareUn salto fuoriMalattie infantiliLa comunità del Bar 2000La corsa del trenoMorire a NataleUn’idea da vendereL’amante timidoIl cinema a MilanoLa neve a ZurigoColpo di ventoLa casa che non c’èDimenticarsiBosco giapponese. Una novellaLa luna di Giacometti. Cronistoriadi un’opera mai vista

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ALTRI RACCONTI

RACCONTI EDITI

Uscite di sicurezzaLe storie nelle storieIo non sogno maiLa speranza degli abitanti di MikronForse l’esilio comincia nei sogni a occhi apertiImmortalitàCongestioneIn camera mia

RACCONTI INEDITI

Il romanzo di IcaroIl villaggio di AtraniEsercizi spiritualiMobiliaNotte d’amore a Bukhara

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OPERE DI GIORGIO MESSORI PRESSO DIABASIS

Nella Città del Pane e dei Postini, 2005

Le mattine del mondo. L’incontro di Luigi Ghirri con l’opera e i luoghidi Giorgio Morandi. The mornings of the word. Luigi Ghirri encountersthe work and word of Giorgio Morandi, in Il senso delle cose. Luigi Ghir-ri, Giorgio Morandi, a cura di Paola Borgonzoni Ghirri, 2005.

Viaggio in un paesaggio terrestre, (postumo, con Vittore Fossati), 2007.

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Libro di

Racconti invisibili

dalla scrittura delicata e intensa

di autore così assoluto e discreto

da rischiare in vita l’invisibilità

questa opera di Giorgio Messori

viene stampata nel carattere Simoncini Garamond

su carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni

dalla tipografia SAGI

di Reggio Emilia

per conto di Diabasis

nel novembre dell’anno

duemila

otto

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Al Buon Corsiero

Manlio Cancogni, Sposi a Manhattan

Manlio Cancogni, L’impero degli odori

Giovanni Michelucci, Lettere a una sconosciuta

Carlo Frabetti, I giardini cifrati

Emilia Bersabea Cirillo, Fuori misura

Silvio D’Arzo, Casa d’altri. Il libro (a cura di Andrea e Paolo Briganti)Andrea Briganti, Ramblas e altri racconti iberici

Foscolo Focardi, L’anglista sentimentale

Stefano Scansani, Orapronòbis

Roberto Amato, Le cucine celesti

Manlio Cancogni, Gli scervellati

Stefano Scansani, L’Amor morto

Eugenio Turri, Il viaggio di Abdu

Gino Montesanto, Cielo chiuso

Tano Citeroni, Il canto del verzellino

Nicolas Bouvier, La polvere del mondo (di prossima nuova edizione)Giorgio Messori, Nella Città del Pane e dei Postini

Emilia Bersabea Cirillo, L’ordine dell’addio

Roberto Amato, L’agenzia di viaggi

Salimbene de Adam, Cronaca (traduzione di Giuseppe Tonna)Antonio Bassarelli, Di Elena e dell’ombra

Manlio Cancogni, Caro Tonino

Racconti dalla Bosnia, a cura di Giacomo ScottiNicolas Bouvier, Diario delle isole Aran

Vittore Fossati, Giorgio Messori, Viaggio in un paesaggio terrestre

Francesco Petrarca, Lettere all’imperatore (a cura di Ugo Dotti)Adriana Zarri, Vita e morte senza miracoli di Celestino VI

Aleksandar Gatalica, Secolo

Rino Genovese, Ci sono le fate a Stoccolma

Alessandra Sarchi, Segni sottili e clandestini

Evgénij Rejn, “Balcone” e altre poesie (a cura di Alessandro Niero,prefazione di Iósif Bródskij)Cesare Padovani, Paflasmós

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