28
Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv / 89 7. Manuel Piraino Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza [email protected] 1. Nel groviglio teoretico rappresentato dalla Critica del Giudizio 1 c’è un aspetto sul quale si sono misurati, secondo intenti diversi e arrivando a diverse conclu- sioni, la maggior parte dei pensatori che hanno tentato di comprendere in pro- fondità la terza opera critica kantiana, certamente la più complessa. Goethe, tra i primi, notava nella terza Critica l’indubbia originalità e acutezza di aver le- gato in una sola opera l’indagine del giudizio sul territorio dell’artistico e di quello sul territorio della natura. Poi mi capitò fra le mani – scrisse in un saggio sulla nuova filosofia – la Critica del Giudizio […]. Vidi qui esposti uno accanto all’altro gli oggetti più diversi delle mie fatiche, prodotti dell’arte e della natura trattati gli uni come gli altri, giudizio estetico e giudizio teleologico illuminantisi a vicenda. Sebbene non fosse sempre possibile accordare il mio modo di vedere con quello dell’autore e, qua e là, sembrasse sfuggirmi qualcosa, le grandi idee maestre di quell’opera erano perfet- tamente analoghe a quanto fino allora creato, fatto e pensato; la vita interna sia dell’arte che della natura […] erano in quel luogo chiaramente discusse. I pro- dotti di questi due mondi illimitati dovevano esistere per sé, e ciò che coesisteva —————————— 1 Le edizioni prese in esame in questo lavoro sono: I. Kant, Critica del Giudizio, Tea, Torino 1995, testo provvisto della “Erste Einleitung” e la seconda, la nuova edizione cura- ta da E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della facoltà di giudizio, Einaudi, Torino 1999, testo al quale però manca la prima introduzione kantiana.

Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di ......Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / / leitmotiv / 89 7. Manuel Piraino Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

  • Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    89

    7. Manuel Piraino Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    [email protected]

    1.

    Nel groviglio teoretico rappresentato dalla Critica del Giudizio 1 c’è un aspetto sul quale si sono misurati, secondo intenti diversi e arrivando a diverse conclu-sioni, la maggior parte dei pensatori che hanno tentato di comprendere in pro-fondità la terza opera critica kantiana, certamente la più complessa. Goethe, tra i primi, notava nella terza Critica l’indubbia originalità e acutezza di aver le-gato in una sola opera l’indagine del giudizio sul territorio dell’artistico e di quello sul territorio della natura.

    Poi mi capitò fra le mani – scrisse in un saggio sulla nuova filosofia – la Critica del Giudizio […]. Vidi qui esposti uno accanto all’altro gli oggetti più diversi delle mie fatiche, prodotti dell’arte e della natura trattati gli uni come gli altri, giudizio estetico e giudizio teleologico illuminantisi a vicenda. Sebbene non fosse sempre possibile accordare il mio modo di vedere con quello dell’autore e, qua e là, sembrasse sfuggirmi qualcosa, le grandi idee maestre di quell’opera erano perfet-tamente analoghe a quanto fino allora creato, fatto e pensato; la vita interna sia dell’arte che della natura […] erano in quel luogo chiaramente discusse. I pro-dotti di questi due mondi illimitati dovevano esistere per sé, e ciò che coesisteva

    ——————————

    1 Le edizioni prese in esame in questo lavoro sono: I. Kant, Critica del Giudizio, Tea, Torino 1995, testo provvisto della “Erste Einleitung” e la seconda, la nuova edizione cura-ta da E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della facoltà di giudizio, Einaudi, Torino 1999, testo al quale però manca la prima introduzione kantiana.

    mailto:[email protected]

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    90

    esisteva bensì per l’altro, ma non espressamente a causa dell’altro (e viceversa) 2.

    Proprio sopra questo legame si sono dibattute diverse linee interpretative e sempre sopra questo si sono trovate le maggiori difficoltà ermeneutiche; dalle riflessioni goethiane fino all’immediato pensiero contemporaneo, e in questa delicata vicinanza e tutt’altro che immediata corrispondenza si è scorta una delle centralità della Critica del Giudizio. A motivo di questo ostinato interesse si può perciò senza forzature affermare che proprio in questo labile trait d’union stia una ineludibile chiave di volta dell’ermeneutica critica kantiana. Senza, in-fine, una fondata comprensione di questo filo e della connessa intima unità della terza Critica, si rischierà sempre di cadere nell’interpretazione di questo momento del pensiero kantiano come di un accidente non ben giustificato e dall’inconsistente peso teoretico rispetto alle prime due Critiche, finanche ri-spetto alle successive riflessioni; insomma un incidente di percorso di un grande filosofo che in vecchiaia cominciava, ahimè, a perdere colpi. Proprio partendo da questa unità e dalla sua intima e complessa omogeneità, in questo lavoro indagheremo tre paragrafi centrali, per posizione e interesse, del-l’introduzione definitiva alla Critica: il IV, V e il VI.

    Prima di tutto è opportuno però evidenziare, almeno fugacemente, il te-sto dove più fortemente viene sottolineata la necessità del terzo lavoro critico. Toccherà così alla “Erste Einleitung” dipanare quello che è certamente il pri-mo nodo da sciogliere: quale sia la domanda originale di cui la Critica del Giudi-zio comincia la risposta, in che punto stia il problema originante di questo in-tricato lavoro.

    Una prima consapevolezza che si deve evincere studiando la struttura e il materiale trattato dalle due introduzioni, è che queste sono il risultato di due momenti distinti di riflessione sul quasi medesimo punto di interesse. Sono due sguardi che colgono solo potenzialmente lo stesso oggetto: uno lo vede in lontananza, non ancora compiuto; l’altro lo osserva dalla giusta distanza e ri-flette facendosi certo sfuggire il minor numero di contorni. Questo non impli-ca però che il primo sguardo non sia attendibile, anzi, nella sua inevitabile par-zialità e approssimazione guarda all’oggetto del suo interesse con più fatica e sforzo, riuscendo a evidenziare aspetti certamente essenziali non individuabili secondo la più conveniente prospettiva. Fuori di metafora, l’angolo di visuale della “Erste Einleitung” risulta essere ancora molto sommario; la stesura di ——————————

    2 J.W. Goethe, “Einwirkung der neuen Philosophie”, in Naturwissenschaftliche Schriften; ed. it. “Influenza della filosofia recente”, in La metamorfosi delle piante, tr. it. di B. Maffi, a c. di S. Zecchi, Guanda, Parma 1983, p. 138.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    91

    questo scritto anticipa l’effettivo lavoro critico, ne risultano perciò decisamen-te segnate la struttura e la direzione. Ancora provvisoria e non certa nell’esito, risulta essere d’altra parte molto precisa e attenta a quelle che potrebbero dirsi le premesse teoriche sopra cui la terza Critica si fonda. È perciò un’introduzione ricca ma tuttavia monca: in sostanza nebulosa nelle prospettive ma ben salda nei punti problematici originanti, e per questo noi qui ce ne serviremo 3.

    La seconda introduzione, dall’altra più corretta angolatura, guarda al la-voro praticamente finito riuscendo perciò a trattare in modo sicuramente più ortodosso e adeguato (fin nelle sue potenzialità di sviluppo) il materiale della terza Critica. “Si tratta di un testo fortemente strutturato, di una profondità fulminante e di una chiarezza esemplare: il che non vuol dire, naturalmente, privo di interne tensioni.” 4 A motivo di questa chiarezza e profondità noi “ce ne serviremo come guida alla comprensione complessiva dell’intera terza Criti-ca” 5. Così questa introduzione definitiva, ponendosi temporalmente alla con-clusione del pensiero critico kantiano, non può che riprendere in mano tutto il lavoro e il materiale utilizzato accennando, nella brevità e nella densità dello scritto, ai suoi decisivi risvolti teoretici. “Sembra del tutto giustificato af-fermare che essa offre il disegno più attendibile, più coerente e più nitidamen-te messo a punto del pensiero complessivo della terza Critica” 6.

    2.

    “Niente è tanto incomprensibile come la risposta a una domanda che non si pone” 7, e così noi, nella “Erste Einleitung”, rintracciamo i problemi originanti la terza Critica o le premesse teoriche che permettono di capire la domanda di cui la Critica del Giudizio comincia la risposta. Le incomprensioni sulla Critica del Giudizio è indubitabile che siano in gran parte cresciute sull’ignoranza circa il motivo, la domanda o la ferita che avevano stabilito i presupposti e giustificato ——————————

    3 Cfr. L. Anceschi, Da Bacone a Kant, Il Mulino, Bologna 1972, in particolar modo il saggio conclusivo intitolato Considerazioni sulla “Prima Introduzione” offre un valido e chiaro confronto tra le due diverse introduzioni alla Critica del Giudizio.

    4 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giudi-zio, cit., p. XXVI.

    5 Ibidem. 6 E. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla “Critica del Giudizio” di Kant, Uni-

    copli, Milano 1998, p. 15. 7 R. Niebuhr, Il destino e la storia. Antologia degli scritti, BUR, Milano 1999, p. 67.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    92

    l’ultimo sforzo critico. Che non vi fosse un reale problema, un interrogativo vivo, in questa origine, giustifica in gran parte il frettoloso e superficiale studio del pensiero kantiano e ne fortifica e aggroviglia ancor di più la forte eteroge-neità o addirittura la totale incoerenza di materiali trattati. Così Scaravelli nelle sue “Osservazioni sulla Critica del Giudizio” 8, in Scritti kantiani, pone fortemen-te l’accento sull’insistenza della “Erste Einleitung” sul problema detto del terzo molteplice 9. I dati e i passaggi presi in esame sono numerosissimi e pongono in evidenza in modo precipuo l’aspetto dal quale Kant comincia la riflessione in-sistendo soprattutto sul filo di continuità che la lega a quella della Critica della Ragion Pura.

    Così, al principio del paragrafo IV della “Erste Einleitung”, scrive Kant, guardando proprio al particolare della continuità, che

    nella Critica della Ragion Pura abbiamo visto che la natura, come insieme di tutti gli oggetti dell’esperienza, costituisce un sistema secondo leggi trascendentali che l’intelletto fornisce a priori. […] Proprio per questo l’esperienza, in quanto in generale possibile da un punto di vista oggettivo, deve costituire (nell’idea) un si-stema di conoscenze empiriche possibili, secondo leggi sia universali che parti-colari. Ciò è infatti richiesto dall’unità della natura […]. In questo senso bisogna considerare l’esperienza in generale, secondo leggi trascendentali dell’intel-ligenza, come un sistema e non come un mero aggregato 10.

    Fino a qui pare non ci siano debolezze o vuoti nel discorso kantiano, nessun problema all’orizzonte: si richiede semplicemente una natura non caotica e governata da un ordine conoscibile e ordinabile dall’intelletto e dalle sue leggi. Ma il passaggio del paragrafo prosegue indicando proprio la ferita di cui ac-cennavamo; non tutto ha infatti trovato giustificazione e ordine con il pensie-ro cominciato con la prima Critica. Prosegue Kant:

    Da questo però non consegue che la natura costituisca, anche secondo leggi empiriche, un sistema afferrabile dalla facoltà conoscitiva umana, né che la completa interconnessione sistematica dei suoi fenomeni in un’esperienza, quin-di la stessa esperienza come sistema, sia possibile agli uomini 11.

    E proprio in questi passaggi Kant esplicita il punto critico: ——————————

    8 Cfr. L. Scaravelli, Scritti kantiani. Osservazioni sulla “Critica del Giudizio”, La Nuova Italia, Firenze 1968.

    9 Ivi, pp. 357-368. 10 I. Kant, “Erste Einleitung”, in Critica del Giudizio, cit., p. 105. 11 Ivi, p. 102.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    93

    Infatti potrebbe darsi che la multiformità ed eterogeneità delle leggi empiriche fosse così grande, da consentirci sì una parziale unificazione delle percezioni in una esperienza, secondo leggi empiriche particolari occasionalmente scoperte, ma non mai di ridurre queste leggi empiriche a una famiglia sotto un principio comune: questo, quando […] la multiformità ed eterogeneità di queste leggi, as-sieme alle forme naturali corrispondenti, fosse infinitamente grande, e ci presen-tasse un grezzo, caotico aggregato senza la minima traccia di un sistema, che pu-re dobbiamo presupporre secondo leggi trascendentali 12.

    Insomma è l’unità ciò di cui si è alla ricerca e ciò di cui ancora non si ha l’adeguato possesso; la Critica del Giudizio scommette e investe tutte le sue carte semplicemente sull’unità dell’esperienza a dispetto di tutte le possibili eteroge-neità e multiformità o dei modi di presentarsi a noi dell’esperienza e della sua occasionale unità. Comincia perciò con la consapevolezza di questa mancanza la terza Critica: non tutto ha trovato adeguata sistemazione attraverso la sintesi indagata dalla Critica della Ragion Pura e l’urgenza di questa terza sta tutta nel-l’insistenza con la quale Kant batte sopra questo punto nella “Erste Einlei-tung”. L’ordine è presupposto dall’intelletto, ma l’ordine non è garantito solo dall’intelletto. Infine, sinteticamente, si potrebbe dire che l’unità dell’espe-rienza non può essere raggiunta unicamente mediante le leggi trascendentali della natura cioè mediante i principi o giudizi sintetici della prima Critica.

    Scaravelli, pensando proprio a questa manchevolezza e alle ragioni che avevano mosso la riflessione kantiana nella produzione di questa complessa opera, insisteva sul fatto che la garanzia più efficace nella distinzione fenome-nica non stesse nella prima quanto nella terza Critica; all’estremo possiamo af-fermare che la prima mi porta a riconoscere come qualcosa possa essere e non possa non essere concepito, ma un fenomeno non può essere singolarmente concepito se non al di fuori del giudizio sintetico e dell’Analitica dei principi.

    Perché a garantire questa possibilità che mi fa uscire dalla “immagine” di un omogeneo indistinto fluire […] e mi fa entrare in una “immagine” di quid distin-ti, occorre una facoltà di cui, sebbene sia una facoltà a priori, la Critica della Ra-gion Pura non aveva il compito di cercar la costituzione, intenta com’era a risol-vere tutt’altro problema 13.

    È attraverso una sottile distinzione che si trova in una nota della “Erste Einlei-tung” 14 che Scaravelli intuisce un decisivo risvolto del pensiero kantiano. Il ——————————

    12 Ibidem. 13 L. Scaravelli, op. cit., p. 424. 14 Cfr. I. Kant, “Erste Einleitung”, in Critica del Giudizio, cit., p. 98.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    94

    concetto sul quale sofferma la sua attenzione è quello di unità analitica riferita alle conoscenze empiriche secondo la loro necessaria comunanza di leggi tra-scendentali; in contrapposizione Kant scrive di una unità sintetica quale sistema dell’esperienza di cui si ha il bisogno anche per ciò che esse (conoscenze) han-no di diverso. Ciò che era sintetico nella Critica della Ragion Pura viene detto in questa analitico, evincendone perciò una nuova concezione e un rinnovato a-spetto problematico. Unità analitica rimanda in questo senso all’idea di un tes-suto compatto o addirittura, potenzialmente, sempre e ovunque identico a sé, dove paradossalmente non v’è distinzione tra tutti quanti i fenomeni i quali mostrano necessariamente in comune le leggi dell’intelletto, costituendo infine questo tipo di trama o di indistinguibile unità 15.

    Si evidenzia in questo modo il ruolo che è chiamata ad assumere la facol-tà di giudizio. Questa, pur avendo un ambito di azione vago o di difficile pre-cisazione, si presenta qui per ciò che è: una facoltà conoscitiva, affatto partico-lare, che pur non producendo concetti (come l’intelletto) o idee (come la ra-gione) di alcun oggetto, si dimostra in qualche modo sintetica: “Perché è facol-tà di sussumere solo concetti dati per altra via” 16. Ciò nondimeno si comincia con questo bisogno e con questa nuova facoltà a colmare la distanza tra l’uomo e il mondo, fino ad assicurare la conoscenza a un principio ef-ficacemente unitario e che compia e concluda le premesse dell’intelletto.

    È quindi una facoltà conoscitiva che supporta, per così dire, l’intelletto nella sua strutturale mancanza, cercando nella materia, nell’infinita varietà e molteplicità caotica delle intuizioni empiriche e delle sue leggi un’impronta di intelligibilità altrimenti impossibile. Ricerca perciò un vestigio e “apprende dunque come intelligibile anche ciò che sfugge al nostro intelletto” 17, non ar-rendendosi di fatto alla sua prima insufficiente sintesi.

    Perciò è vero che l’esperienza costituisce un sistema secondo leggi trascendentali […], ma le leggi empiriche ammettono una tale infinita molteplicità, e tanta è l’eterogeneità delle forme della natura relativa all’esperienza particolare, che il concetto d’un tale si-stema secondo queste leggi (empiriche) riesce necessariamente del tutto estraneo all’intelletto; d’una siffatta totalità non si riesce a concepire né la possibilità, né tanto meno la necessità 18.

    ——————————

    15 Cfr. L. Scaravelli, op. cit., p. 349 e sgg. 16 I. Kant, “Erste Einleitung”, in Critica del Giudizio, cit., p. 97. 17 S. Vanni Rovighi, Introduzione allo studio di Kant, La Scuola Editrice, Brescia 1968, p.

    302. 18 I. Kant, “Erste Einleitung”, in Critica del Giudizio, cit., p. 97.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    95

    Ed è proprio per questo motivo che il giudizio si presenta come “presupposto […] indispensabile per una completa connessione conforme a leggi, cioè per un’unità empirica delle esperienze” 19.

    Così Kant pone attraverso questa nuova facoltà il principio sintetico riso-lutore dell’impasse critica. Il giudizio in questo modo pensa, presuppone nella natura una finalità formale, una legalità in sé contingente ma ciononostante as-solutamente necessaria per un’esperienza coerente e che non fa altro che for-nire un principio per la connessione sistematica dei fenomeni e delle leggi em-piriche e che dobbiamo ammettere a priori 20.

    Il giudizio permette così in qualche modo anche il definirsi e l’effettivo compiersi del processo conoscitivo attraverso questa presupposizione che es-so attua a proprio vantaggio, indicata già nella “Erste Einleitung”, in modo e-stemporaneo e senza decisive specificazioni, come finalità formale della natura; non producendo direttamente conoscenza (almeno non in senso stretto), “per quanto certo possa presupporre una conoscenza come sua condizione deter-minante” 21. Verrà chiarito più avanti che cosa sia più precisamente questo ti-po di finalità; qui basti riflettere sul giudizio come forza integrativa posta al fianco dell’intelletto e della sua prima azione sintetico-conoscitiva per l’unità dell’esperienza.

    Kant insiste spesso sul concetto del “presupporre” in riferimento alla fa-coltà del giudizio, e inevitabilmente se ne evince una certa dipendenza, una connessione, non diretta ma certo presente, tra il giudizio trascendentale di conoscenza dell’intelletto e il giudizio riflettente prodotto della facoltà di giu-dizio; v’è una sinergia, una stretta, sebbene diversa, collaborazione nella for-mazione di una unità dell’esperienza, nel giudizio un’anticipazione di cono-scenza da una parte, ma anche in un certo qual modo, un suo compimento dall’altra. Scrive ancora Kant: “Questo presupposto è il principio trascenden-tale del giudizio. Questa facoltà infatti non si limita a sussumere il particolare sotto l’universale (il cui concetto è dato), ma anche, reciprocamente, trova l’universale per il particolare” 22. Trova la regola, la legge per la materia del-l’esperienza. ——————————

    19 Ivi, p. 98. 20 Cfr. ibidem. 21 Ivi, p. 100. 22 Ivi, p. 103.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    96

    3.

    Senza veli si presenta così nella “Erste Einleitung” l’obbiettivo della ricerca e dello studio della Critica del Giudizio, problema non da poco e che potremmo definire come il problema tout court della filosofia, il tradizionale rapporto par-ticolare-universale, l’unità della conoscenza e il nostro rapporto, omogeneo o eterogeneo che sia, col mondo. I paragrafi IV, V e VI dell’introduzione defini-tiva risultano importanti fino a essere decisivi proprio perché presentano in modo estremamente chiaro e puntuale la prosecuzione di queste premesse e la presentazione del problema della facoltà di giudizio e della possibilità di questa di presentarsi effettivamente come facoltà vera e propria.

    Le prime parole del paragrafo IV dell’introduzione definitiva partono da lontano:

    La facoltà di giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come com-preso sotto l’universale. Se è dato l’universale […], allora la facoltà di giudizio, che sussume sotto di esso il particolare […] è determinante. Se invece è dato so-lo il particolare, per il quale essa deve trovare l’universale, allora la facoltà di giu-dizio è semplicemente riflettente 23.

    Questi passaggi toccano sinteticamente tutti gli aspetti perché, anche in con-nessione con la “Erste Einleitung”, possa essere colta la precisa fondazione di questa nuova facoltà e in forma estremamente breve viene così ripreso il nesso con la prima Critica e la sua continuità di intento. L’intelletto sussume, deter-mina e ordina secondo le sue leggi trascendentali, secondo le sue categorie e forme pure; pare tutto possa trovare un’adeguata collocazione, ma qualcosa rimane fuori, le maglie alla fine dei giochi non si mostrano così serrate come buona parte del primo lavoro critico pareva volesse significare 24. È attraverso un inciso (con tanto di “trattini”) che Kant riprende il punto della dis-sertazione della “Erste Einleitung”:

    —————————— 23 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 15. 24 Anche se in verità i riferimenti circa alcuni aspetti delicati o problematici sul-

    l’utilizzo e l’efficacia del modo determinante dell’intelletto già nella Critica della Ragion Pura erano stati fugacemente integrati, non ancora trascendentalmente, attraverso la distinzione tra uso apodittico e uso ipotetico della ragione, primitiva scansione tra ciò che nella terza Critica diverrà la differenza tra giudizio determinante e giudizio riflettente. Si veda in merito a questi aspetti, oltre al saggio già citato di L. Scaravelli, il lavoro di S. Marcucci, Studi kan-tiani II: Kant e l’estetica, Fazzi editore, Lucca 1988.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    97

    Solo che ci sono così molteplici forme della natura, per così dire così tante mo-dificazioni dei concetti trascendentali universali della natura, le quali sono lascia-te indeterminate da quelle leggi che l’intelletto puro dà a priori, poiché tali leggi riguardano solo la possibilità di una natura (quale oggetto dei sensi) in genere, che per ciò debbono esserci anche leggi che, in quanto empiriche, possono, sì, essere considerate contingenti secondo il modo di intendere del nostro intelletto, e che però, se le si debbono chiamare leggi (come pure richiede il concetto di natura), debbono essere considerate necessarie a partire da un principio, sebbene a noi scono-sciuto, dell’unità del molteplice 25.

    È utile qui sottolineare due importanti aspetti: le leggi dell’intelletto riguardano solo la possibilità di una natura in genere, il che non vuol dire altro se non che “non è possibile una qualsiasi esperienza o conoscenza o natura se non sotto la con-dizione di un rapporto necessario tra fenomeni, ma tale condizione non con-tiene anche il principio per specificare tale rapporto necessario nei vari casi concreti” 26. Ancora attraverso una perifrasi delle parole kantiane 27 diremmo noi come l’intelletto stabilisca con assolutezza il fatto che a un cambiamento stia una causa scatenante, ma gli oggetti delle conoscenza empirica, il reale, è tuttavia determinato o determinabile attraverso un’infinità di altri modi, diversi e numerosi; è un groviglio che si infittisce proporzionalmente procedendo nel-l’indagine, invece di semplificarsi si aggroviglia e confonde, tanto che la pos-sibilità di perdersi non risulta infine così remota. Cassirer, riferendosi al-l’identico passaggio, scriveva come fosse una semplificazione il pensare che il reale empiricamente effettuale ubbidisca al principio universale della causalità: infat-ti è evidente il fatto che le diverse serie causali compenetratesi nella natura, in fin dei conti, abbiano provocato una tale complicazione del reale da renderci impos-sibile la separazione e l’ordinamento dei fili dal fitto intrico del reale; è prati-camente inattuabile il rintracciarli e seguirli uno per uno 28.

    Quindi, e questo è il secondo aspetto, dal punto di vista dell’a priori ab-biamo necessariamente a che fare solo con una natura in generale e non con nature particolari o specificamente diverse, le quali appartengono alla cono-scenza empirica, della scienza in senso proprio. È dunque in gioco un certo modo di guardare alla natura, un particolare sguardo, diverso e ulteriore rispet-to allo sguardo ortodosso dell’astratta conoscenza scientifica. In definitiva, at- ——————————

    25 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 15, corsivi miei. 26 E. Garroni, op. cit., p. 42. 27 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 18. 28 Cfr. E. Cassirer, Kants Leben und Lehre, Berlin 1918; ed. it. Vita e dottrina di Kant, tr.

    it. di G.A. De Toni, La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 347.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    98

    traverso un’ermeneutica ardita si potrebbe dire che Kant, parlando di natura in genere, si riferisca semplicemente all’intelletto e alla sua dinamica determinan-te e al fatto che questa non può raggiungere che un’idea molto semplificata del reale; la specificità della natura, le sue infinite potenziali e fattuali particolarità sono necessariamente obliate dall’intelletto, trascurate per orientare le sue strumentazioni altrimenti impotenti nella comprensione e nell’ordinamento delle cose, in ultimo nell’unità dell’esperienza. In questa direzione non si fa fa-tica a scorgere nella definizione della legalità del contingente, ma ancora di più, nello statuto epistemologico del particolare e del contingente 29, uno dei più interessanti temi qualificanti dell’opera. “I concetti e i principi dell’intelletto non si modifi-cano a rigore, ma costituiscono condizioni necessarie perché, insieme a ulte-riori condizioni che sono proprie del giudizio, una qualsiasi conoscenza parti-colare ed effettiva abbia luogo” 30. L’intelletto non ha per Kant l’assoluto do-minio in merito all’ambito della conoscenza e dell’avvicinamento al reale; le sue leggi e le sue categorie non costituiscono che un aspetto della compren-sione, decisivo e ciò nonostante parziale. Si parla qui di ulteriori condizioni, e nel passaggio testé citato le parole di Kant si riferiscono a un principio a partire dal quale si riconsiderano le leggi trascendentali; infine non rimane che dire di un evidente ampliamento e complicazione certo, ma anche completamento, degli strumenti volti all’indagine per un sistema coerente della natura e una u-nità non occasionale. Così la risposta, lo sforzo e infine l’integrazione si ap-poggiano tutti attorno a quella vaga definizione di quel principio: sebbene a noi sconosciuto, contingente dal punto di vista dell’intelletto, d’altra parte necessario e in qualche modo legislativo, capace di quell’unità del molteplice che risulta es-sere l’esito fecondo della Critica del Giudizio. In definitiva sono due tipi di inte-ressamento e di avvicinamento al reale, che non possono prescindere l’uno dall’altro; senza le strutture dell’intelletto, senza l’apparato categoriale e le forme pure non si potrebbero avere le premesse per una conoscenza del mondo, ma senza il completamento del giudizio non sarebbe possibile quella basilare distinzione del mondo nei suoi diversi e vari fenomeni naturali. “Un tutto, già colto sotto le intuizioni pure dello spazio e del tempo e sotto i con-cetti puri dell’intelletto, e che in essi ha già ricevuto la sua oggettivazione, ora ottiene un senso nuovo in quanto il rapporto e la dipendenza reciproca delle sue parti vengono subordinate a un nuovo principio” 31. ——————————

    29 Cfr. F.

    Menegoni,

    Critica

    del

    Giudizio.

    Introduzione

    alla

    lettura,

    NIS,

    Roma

    1995,

    cap.

    I.

    30 E. Garroni, op. cit., p. 43. 31 E. Cassirer, op. cit., p. 348.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    99

    Il nuovo principio capace di questa ricercata unità, viene spiegato e di-scusso da Kant nello stesso paragrafo IV: “Un tale principio trascendentale, la facoltà riflettente di giudizio può darlo quindi come legge solo a se stessa, non ricavarlo da altrove (ché altrimenti sarebbe facoltà determinante di giudizio), né prescriverlo alla natura, poiché la riflessione sulle leggi della natura si regola sulla natura” 32.

    Arriviamo così direttamente a uno dei punti assolutamente più vitali e comprensivi della terza Critica che, proprio evidenziando la distanza dal giudi-zio determinante, permette uno sguardo unitario alla varietà dei materiali trat-tati in questo scritto. Kant definisce in modo parziale, ma significativamente forte, la natura di questo principio atipico, e ne motiva la sua essenziale scono-sciutezza. È sconosciuto proprio perché non assolutamente o definitivamente conoscibile e conosciuto. Non ci sono concetti per la spiegazione di questo principio, non può essere docile a un dispiegamento razionale, è un principio che più avanti lo stesso Kant dirà euristico; noi, parafrasando, potremmo dire che è semplicemente un efficace tentativo di avvicinamento al reale e che tro-va di continuo risposte positive alle sue interrogazioni. Non lo si spiega con concetti o idee, non riguarda l’intelletto e la rigidità dei suoi parametri, è mobi-le, indicibile perché ipotetico e non apodittico, perché regolativo e non costi-tutivo, riflettente e problematico perché non determinante e assoluto. Ma ar-riviamo direttamente a questo principio mai compiutamente conoscibile eppur necessario, questo principio che come comune denominatore apre e aggiusta tutta una serie di interpretazioni e prospettive altrimenti monche.

    Ora, questo principio non può essere altro che questo: poiché le leggi universali della natura hanno il loro fondamento nel nostro intelletto, che le prescrive alla natura […], le particolari leggi empiriche, rispetto a ciò che vi è lasciato indeter-minato da quelle [leggi universali dell’intelletto], debbono essere considerate se-condo un’unità tale, come se, anche qui, l’avesse data a vantaggio della nostra fa-coltà conoscitiva un intelletto (sebbene non il nostro), per rendere possibile un sistema dell’esperienza secondo leggi particolari della natura 33.

    È in questo primo passaggio che viene accennata quell’idea di conformità e adeguatezza che le nostre facoltà conoscitive riscontrano, o meglio pongono loro stesse, nel rapporto col mondo; alla base sta proprio la presa di coscienza di una certa convenienza, di una armonia o accordo del fenomeno uomo con ——————————

    32 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 16. 33 Ibidem.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    100

    il più vario, molteplice fino all’infinito, fenomeno mondo. Questo è il princi-pio della facoltà di giudizio, in questa formulazione la partenza di ogni indagi-ne sul reale, quasi come esigenza insopprimibile 34, questo il presupposto trascenden-tale che il giudizio riflettente pone come premessa nell’investigazione della na-tura. E sempre Kant precisa: “È solo alla facoltà riflettente di giudizio che questa idea serve come principio, per il riflettere, non per il determinare” 35. Questo tratto verrà poi ripreso attraverso il concetto di eautonomia 36, ma è cer-to che questi contorni contribuiscono a definire l’essenza di questa nuova fa-coltà e del suo ancor più singolare principio che essa stessa pone sopra di sé. E con parole certo più familiari e meno anguste Kant riprende il concetto, scrivendo:

    Allora il principio della facoltà di giudizio, rispetto alla forma delle cose della na-tura sotto leggi empiriche in genere, è la conformità della natura a scopi nella sua molteplicità. Vale a dire, la natura viene rappresentata da questo concetto come se un intelletto contenesse il fondamento dell’unità del molteplice delle sue leggi empiriche 37.

    Così, a differenza dei fenomeni dipendenti da leggi semplicemente mec-caniche, il tutto presuppone le parti e le parti il tutto, come se un qualche pro-getto li precedesse; questo risulta essere l’escamotage o l’ipotesi persuasiva: è una soluzione euristica, un tentativo non scientifico che non determina nulla se non l’assecondamento per via ipotetica del cenno indiscutibile che ci viene dalla natura. “La molteplicità dei fatti sembra, per così dire, acconciarsi alla nostra conoscenza, sembra quasi venirle incontro e mostrarlesi ar-rendevole” 38. Questo tipo di considerazione serve, cioè, a fare unità laddove il nesso delle cause efficienti non ci soccorre più: invece di guardare dietro, alle nostre spalle, guardiamo in avanti, a ciò cui un determinato fenomeno o mo-mento naturale possa servire. In questo punto comincia a distendersi tutto il pensiero della terza Critica, in quest’idea di conformità troviamo l’argomento di tutto il suo lavoro.

    Schopenhauer notava nel 1859, nell’appendice dedicata alla filosofia kan-tiana presente nel suo Die Welt als Wille und Vorstellung, che nella parte della ——————————

    34 Cfr. E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., p. XXXV.

    35 Ibidem. 36 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § V, p. 21. 37 Ivi, § IV, p. 16. 38 E. Cassirer, op. cit., p. 350.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    101

    Critica del Giudizio dedicata alla critica del giudizio teleologico “forse più che altrove poteva essere riconosciuto il singolare talento di Kant di rivoltare un pensiero da ogni parte esprimendolo in una molteplicità di modi, fino a farne diventare un libro” 39. Ma, nonostante la miopia di Schopenhauer che non fece caso al fatto che il pregio dell’opera poteva essere esteso non solo alla seconda parte sulla teleologia ma anche alla prima sull’estetica, avendo questa per oggetto il me-desimo pensiero, ciò che effettivamente può lasciare disorientati e giustifica in parte Schopenhauer è l’eterogeneità e, senza il dovuto allenamento, la distanza abissale tra la prima e seconda parte della discussione sul principio della “con-formità a scopi”.

    Nella conclusione del IV paragrafo tuttavia Kant lascia intendere l’esat-tezza e la linearità, pur nella difficoltà e nelle tensioni, delle tematiche presenti:

    La conformità della natura a scopi è quindi uno speciale concetto a priori che ha la propria origine unicamente nella facoltà riflettente di giudizio. Ai prodotti del-la natura infatti non si può attribuire qualcosa come un riferimento della natura stessa, in quei prodotti, a scopi, ma si può usare quel concetto solo per riflettere sulla natura rispetto al collegamento dei fenomeni, in essa, dato da leggi empiri-che. Questo concetto è pure del tutto diverso dalla conformità pratica a scopi (dell’arte umana o anche dei costumi), sebbene venga pensato in analogia con essa 40.

    Altri hanno detto bene come “a una riflessione estetica bisogna giungere at-traverso la questione epistemologica perché poi quella risulti fondativa e della conoscenza empirica e della facoltà di giudizio in genere” 41. E questo è preci-samente ciò che accade nel processo che porta alla definizione di questo lavo-ro. L’origine è quella epistemologica ma lo sbocco è in prima istanza quello di un’estetica, di una riflessione centrante il giudizio di gusto e la conformità e-semplare del fenomeno bello, e dall’altra la declinazione analogica in chiave conoscitiva (gnoseologica) del giudizio teleologico. Attraverso questi spiragli passa così una possibilità in più per la comprensione della comunanza e del-l’omogeneità dei materiali indagati nella terza Critica, permettendo il supera-mento della frattura tra le due parti dell’opera e un visione comprensiva. Il ——————————

    39 A. Schopenhauer, “Die Welt als Wille und Vorstellung”, in Arthur Schopenhauer’s Sämtliche Werke, 6 voll., a c. di E. Griesebach, P. Reclam, Leipzig 1858; ed. it. dell’“Ap-pendice sulla Critica della filosofia kantiana”, in Il mondo come volontà e rappresentazione, a c. di G. Riconda, Mursia, Milano 1969, p. 570.

    40 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 17. 41 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-

    dizio, cit., p. XXXII.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    102

    problema è quello dell’unità dell’esperienza. La facoltà è quella di Giudizio. Il mo-do e la dinamica sono quelli del giudizio riflettente e il principio è quello della con-formità a scopi o, più trivialmente e diffusamente detto, principio teleologico. I cam-pi d’azione di questa facoltà, della sua dinamica, del suo principio sono media-tamente quelli dell’esperienza scientifica, della conoscenza in genere e, senza me-diazioni, quelli della conformità pratica a scopi, picco più significativo e sor-prendente ovvero momento del fenomeno bello.

    È proprio nel paragrafo IV che in modo più immediato Kant deriva e scandisce l’ordine del suo pensiero che ha come primo spunto quello della considerazione epistemologica generale, e la fondazione dello scritto si im-pianta proprio sopra questo particolare; il problema teleologico viene così ri-dimensionato ma precisato (il problema degli organismi e delle scienze organi-che in generale), e quindi della natura in quanto organismo ideale si mostra es-sere una discendenza dell’originale aspetto epistemologico ed estetico. È con questo sguardo, riportando la conformità all’originale istanza epistemologica del principio, che cogliamo il suo non riguardare affatto esclusivamente gli or-ganismi in senso stretto. Una volta chiarito l’ambito di validità di tale princi-pio, che vale per il giudizio e mostra quindi il suo carattere estetico, soggettivo e costruttivo, pur essendo un principio a priori possiamo esplicitare

    che la CdG si articola in omologia con la struttura esplicita dell’opera, nei tre momenti, distinti e logicamente successivi: 1) posizione del problema epistemo-logico generale: formulazione del principio di finalità, ulteriore ai principi del-l’intelletto, come principio costruttivo che condiziona la possibilità di specificare quei principi in leggi empiriche […] 2) trattazione del principio di finalità in quanto se ne fa un uso puro ed esclusivo, o quanto meno dominante, cioè in quanto principio motivante del giudizio, di tipo soggettivo ed estetico (Critica del Giudizio estetico); 3) trattazione del principio di finalità in quanto applicato a un ambito particolare dei fenomeni (gli organismi) che rappresentano sue speciali “esibizioni” (Critica del Giudizio teleologico) 42.

    La “Erste Einleitung” si è mostrata utile in questo: aver esplicitato inequivo-cabilmente come il primo aspetto della Critica non risulta essere quello sempli-cemente gnoseologico, cioè riguardante un mero problema conoscitivo e di apprensione, ma appunto epistemologico nel senso proprio del suo riguardare la possibilità stessa del darsi della conoscenza, delle condizioni della cono-scenza, della sua stessa essenza nel nostro strutturale rapporto col mondo. Chiarite le radici della riflessione, si palesa una scansione che anche a detta di ——————————

    42 E. Garroni, op. cit., p. 33.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    103

    Kant ha il suo picco più significativo nel luogo dove la conformità a scopi più immediatamente si dà alla coscienza dell’uomo e cioè attraverso il fenomeno artistico e il fenomeno naturale del bello. Da questa visione la seconda parte sul giudizio teleologico si presenta quasi come appendice all’effettiva modalità del giudizio; una derivazione analogica della naturale conformità del fenomeno appresa nel giudizio estetico. Il giudizio estetico e il giudizio teleologico sono le due forme, l’una soggettiva, l’altra oggettiva (sebbene di fatto sempre sog-gettiva), attraverso le quali si realizza il giudizio riflettente: il primo ha esem-plarmente per oggetto il piacere del bello e la facoltà con cui si giudica questo piacere, cioè il gusto; il secondo ha per oggetto la conformità della natura che esprime l’accordo della natura stessa con le facoltà dell’uomo; l’uno è appreso immediatamente, l’altro mediato dal primo attraverso la modalità del fenome-no della conformità a scopi.

    4.

    Il paragrafo V prosegue il discorso sulla facoltà di giudizio e indaga il principio della conformità della natura a scopi affrontando la sua pretesa attraverso la deduzione trascendentale del principio rinvenendo “a priori nelle fonti della conoscenza il fondamento di un tal modo di giudicare” 43.

    Viene ripresa in questa direzione la connessione e il chiarimento del rap-porto tra l’indagine della prima Critica e quella presenta nella terza, tra il giudi-zio determinante di conoscenza e il giudizio problematico di riflessione. Nel-l’esperienza inevitabilmente il giudizio dell’intelletto si pone come necessario e assolutamente costitutivo attraverso le leggi che poggiano sulle categorie ap-plicate alle condizioni formali pure. Questa declinazione o possibilità di giudi-zio è governata dalla facoltà dell’intelletto e accumula qualcosa che potremmo forse dire “conoscenza razionale”; infine, poggiando sulla dinamica del giudi-zio determinante, sussume sotto leggi date il materiale offerto dall’esperienza. Il punto della deduzione si sofferma perciò sul peculiare rapporto stante tra la necessità e la contingenza nel giudizio riflettente, mettendolo in contrasto con l’assoluta necessità del giudizio logico.

    Risultano effettivamente angusti questi passaggi e veramente incompren-sibile questa pretesa nel nostro rapporto col reale; infine la necessità del giudi- ——————————

    43 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 17.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    104

    zio riflettente per l’unità dell’esperienza non si dimostra e non può dimostrar-si. Un parziale chiarimento Kant lo compie precisando i termini di questa ine-vitabile contingenza ma altrettanto presente necessità:

    Dobbiamo quindi pensare nella natura, rispetto alle sue leggi semplicemente empiriche, una possibilità di leggi empiriche infinitamente molteplici, che sono tuttavia contingenti per la nostra intelligenza (non possono essere conosciute a priori), e rispetto alle quali noi giudichiamo come contingente l’unità della natura secondo leggi empiriche e la possibilità dell’unità dell’esperienza […]. Ma poiché tale unità deve essere necessariamente presupposta e ammessa, ché altrimenti non po-trebbe verificarsi una interconnessione completa delle conoscenze empiriche per un tutto dell’esperienza […], allora la facoltà di giudizio deve ammettere per il suo proprio uso, come principio a priori, che ciò che per il modo umano di in-tendere è contingente nelle leggi particolari (empiriche) della natura contenga tuttavia un’unità legale, per noi certo insondabile, eppure pensabile, per il legame del suo molteplice in un’esperienza in sé possibile 44.

    C’è molto in questi aspetti di ciò che abbiamo seminato nei passaggi preceden-ti: quest’unità richiesta dell’esperienza non viene ricavata allo stesso modo di come si ricavava l’unità del giudizio logico di conoscenza nella sintesi intellet-tuale del reale; non è attraverso la necessità o l’assolutezza di categorizzazioni dell’intelletto che perveniamo a questa interconnessione delle leggi empiriche. È un bandolo intricato di cui viene rintracciato il filo attraverso la contingenza di un’ipotesi, un tentativo, una riflessione posta da parte della facoltà di giudi-zio. Necessario e però contingente dal punto di vista dell’intelletto, il giudizio riflettente della facoltà di giudizio pensa la natura nei riguardi della sua varietà di leggi empiriche secondo il principio della conformità a scopi, secondo l’unità forte ma provvisoria di una ipotesi 45.

    Kant arriva così all’esito di questi densi passaggi: il concetto della con-formità a scopi non è un concetto della natura né della libertà e non attribuisce nulla all’oggetto, al reale,

    ma rappresenta l’unico modo in cui dobbiamo procedere nella riflessione sugli oggetti della natura in vista di un’esperienza completamente interconnessa, ed è quindi un principio soggettivo (massima) della facoltà di giudizio; perciò, come se fosse un felice caso che viene incontro ai nostri intenti, siamo anche rallegrati (propriamente liberati da un bisogno), quando troviamo una tale unità sistemati-ca tra leggi semplicemente empiriche, sebbene dovevamo del pari ammettere

    ——————————

    44 Ivi, § V, p. 19. 45 Ivi, § V, p. 18.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    105

    necessariamente che una tale unità ci fosse, pur senza essere in grado di inten-derla e di dimostrarla 46.

    È questa la prova, il riscontro; tale sospirata e guadagnata unità non fa altro che rispondere affermativamente al nostro interrogativo o ipotesi di partenza. Si unisce in ciò anche una percentuale sentimentale di soddisfazione e com-piacimento tanto che, scrive ancora Kant,

    per convincersi della giustezza di questa deduzione del concetto in esame, e della necessità di ammetterlo in quanto principio trascendentale di conoscenza, si pensi solo alla grandezza di tale compito: a partire da percezioni date di una na-tura che contiene una molteplicità, forse infinita, di leggi empiriche, fare un’esperienza interconnessa; il quale compito sta a priori nel nostro intelletto 47.

    In merito a questo passaggio, notava Scaravelli, parrebbe di essere tornati al problema della Critica della Ragion Pura, se non si tenesse presente la grande di-stanza kantiana posta tra la sensazione in quanto semplice modificazione della sensibilità, di cui parlava la prima Critica, e la percezione di cui si parla nella ter-za 48. Ancora Scaravelli notava come Kant, presentandosi questo possibile fraintendimento, avesse subito precisato i termini di questo pensiero scrivendo di seguito che

    l’intelletto è, sì, in possesso a priori di leggi universali della natura, senza di cui questa non potrebbe essere oggetto di un’esperienza; ma oltre a ciò esso ha ancora bisogno di un certo ordine della natura, nelle sue regole particolari, che possono diventargli note solo empiricamente e che rispetto a esse sono contingenti. Queste regole […] l’intelletto deve pensarle come leggi (cioè in quanto necessarie), ché altri-menti esse non costituirebbero un ordine della natura, sebbene non ne conosca la necessità o possa mai intenderla. Quindi, sebbene esso non possa determinare nulla a priori rispetto a essi (oggetti), deve però, per ricercare queste cosiddette leggi empi-riche, mettere a fondamento di ogni riflessione su di esse un principio a priori, vale a dire: che sia possibile secondo quelle leggi un ordine conoscibile della natura […]. Questo armonizzarsi della natura con la nostra facoltà conoscitiva è presupposto a priori dalla facoltà di giudizio per la sua riflessione sulla natura secondo le sue leggi empiriche, mentre nello stesso tempo l’intelletto lo riconosce oggettivamente come contin-gente e soltanto la facoltà di giudizio lo attribuisce alla natura come conformità trascendentale a scopi (in riferimento alla facoltà conoscitiva del soggetto): per-ché, senza presupporlo, non avremmo un ordine della natura secondo leggi empiriche, né di

    ——————————

    46 Ivi, § V, p. 20. 47 Ibidem. 48 Cfr. L. Scaravelli, op. cit., p. 377.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    106

    conseguenza un filo conduttore per un’esperienza da compiersi con quelle leggi, in tutta la loro molteplicità, e per una loro ricerca 49.

    Viene sottolineato in questo modo che l’unità della natura sta sì a priori nel-l’intelletto (come la prima Critica afferma), pur tuttavia questa unità non risie-dendo unicamente nell’intelletto. L’accordo intelletto-natura è presupposto a priori anche dalla facoltà di giudizio, ed è proprio in questo accordo che risie-de il presupposto che permette di concepire un ordine di cui si ha bisogno per seguire la trama della natura nella sua infinita varietà empirica: filo conduttore per un’esperienza da compiersi con quelle leggi, in tutta la loro molteplicità, e per una loro ricer-ca.

    Così, anche dove non può esserci una rigida determinazione categoriale che ci permetta l’ordinamento totale dell’esperienza e dei fenomeni indagati, pur non potendosi offrire alcun principio determinato, pur non potendo de-terminare granché il nostro intelletto, vi è una funzione dei concetti diversa e, ciò nondimeno, fondante un certo tipo di conoscenza o meglio, di compren-sione del reale. “Infatti non di conoscenza di oggetti si tratta qui (di una dot-trina), ma di comprensione (di una critica)” 50. Si posiziona in questo contesto anche una peculiare specificazione dell’ambito di azione del giudizio riflet-tente: da una parte esso collabora e sostiene il giudizio determinante ma da un’altra angolazione esso ha un ruolo di assoluta predominanza rispetto ad al-tri contesti conoscitivi. Scrive Kant nella “Prefazione” alla Critica:

    C’è dunque un campo illimitato, ma anche inaccessibile per la nostra facoltà co-noscitiva nel suo complesso, vale a dire il campo del soprasensibile, in cui non troviamo alcun territorio e sul quale perciò non possiamo avere un dominio […] né per concetti dell’intelletto, né per concetti della ragione 51.

    È perciò anche in questo territorio dell’ineffabile, dove non può essere data conoscenza attraverso il consueto uso determinante del giudizio, che la facoltà di giudizio si adopera problematicamente, regolativamente, nella riflessione dei fenomeni per trovare orientamento e di conseguenza per trovare la possibilità di formulare giudizi e quindi, se non conoscenza, almeno comprensione. È un tipo di giudizio, questo, che semina briciole, sassolini meglio, e che cerca nella possibile irriducibilità della natura, nel suo intreccio inestricabile di leggi, un ——————————

    49 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., p. 20, corsivi miei. 50 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-

    dizio, cit., p. XXIX. 51 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 11.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    107

    ordine, un bandolo, riuscendo a cogliere come “intelligibile anche ciò che sfugge al nostro intelletto” 52. I sassolini che l’uomo mette sulla strada della comprensione per non smarrirsi non sono altro che il principio della confor-mità a scopi.

    E con ciò la facoltà di giudizio sarà non solo un’ulteriore facoltà richiesta per ri-solvere certi problemi particolari o certe difficoltà residue, ma addirittura “la fa-coltà critica per eccellenza”, la facoltà che permette di parlare di sistema di facol-tà rispetto a un fondamento inconoscibile, e in genere di esercitare lo stesso compito critico rispetto a oggetti per definizione inconoscibili […]. Insomma: il determinato e nello stesso tempo il suo sfondo soprasensibile in funzione del quale si può parlare determinatamente di tutto ciò 53.

    È Kant che spiega in modo limpido come la facoltà riflettente del giudizio […] è quindi solo un principio di riflessione su oggetti per i quali ci manca del tutto, oggettivamente, una legge o un concetto dell’oggetto che sia sufficiente come principio per i casi che occorrono. Ora da-to che senza principi non può essere permesso alcun uso delle facoltà conosciti-ve, allora in questi casi la facoltà riflettente di giudizio dovrà servire da principio a sé stessa […], deve solamente servire da principio a se stessa […], deve servire in quanto principio solo soggettivo per l’uso conforme a scopi delle facoltà co-noscitive, cioè per riflettere su una certa specie di oggetti 54.

    La facoltà del giudizio ha così una matrice soggettiva mediante la quale non al-la natura ma più precisamente a se stessa (perciò eautonomia), prescrive un principio per riflettere sulla natura, per comprenderla nel suo groviglio empiri-co e nella sua infinita complessità. Questo tipo di sguardo coglie e si misura così anche con ciò che per sua natura è assolutamente indeterminato e dif-ficilmente ordinabile: è permesso così un radicale ampliamento della pos-sibilità stessa della conoscenza fino a oggetti che potremmo dire non stret-tamente conoscibili secondo la modalità esclusivamente categoriale o intellet-tuale. Questo angolo della filosofia trascendentale, proprio sorgendo dal sen-sibile, osa spingersi fin dove il sensibile è già altro; è un cogliere “il sensibile nella sua non sensibile globalità e ricercando necessariamente le condizioni li-minari della sua conoscibilità e pensabilità […], facendo trasparire dal sensibile ——————————

    52 S. Vanni Rovighi, op. cit., p. 302. 53 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-

    dizio, cit., p. XXXI. 54 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., p. 218.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    108

    il soprasensibile, dall’empirico il trascendentale […]” 55. È un principio del giudizio per il giudizio stesso, per l’efficienza della sua azione e perché sia am-messo un ordine, una comprensione e una pensabilità anche per oggetti e con-fini oltre ciò che è strettamente sensibile. In questa ampiezza di raggio si pone l’azione riflessiva del giudizio.

    5.

    Il paragrafo VI conclude il trittico del nostro pensiero che seguendo quello kantiano ha rintracciato, sviluppato e messo in luce le premesse e in parte gli esiti della Critica del Giudizio. In questo paragrafo però succede qualcosa di nuovo e all’interno della linearità della riflessione si avverte se non una discre-panza certo qualcosa di cui non si scorgeranno più tracce evidenti nello studio kantiano. Nei passaggi di questo paragrafo Kant accenna a una relazione pre-sente, anche se non facilmente scorgibile, tra il giudizio di conoscenza e il sen-timento di piacere. “Il raggiungimento di ogni intento è legato con il sentimen-to del piacere” 56, e tra gli intenti possibili viene inteso qui anche quello già detto nel paragrafo precedente e brevemente accennato anche nei passaggi di questo, ovvero la grandezza del compito dell’unità dell’esperienza, data la molteplicità della natura e la sua infinita varietà di leggi empiriche, il raggiungimento di un’esperienza interconnessa. Come si presenti e si articoli questa possibile comunanza, tra il fine conoscitivo e il sentimento di piacere, è l’approdo che in questa sezione vorremmo raggiungere. Prima di qualsiasi nuovo passaggio però, è bene concentrare anche solo brevemente l’attenzione sui caratteri del sentimento di piacere all’interno del pensiero kantiano. Cassirer, in modo sin-tetico ed efficace, diceva che il sentimento è l’espressione soggettiva di ogni finalità o conformità che ravvisiamo nell’ordine dei fenomeni 57. Ma attraverso questa precisazione tutto il nostro dire si plasma; diventa perciò cruciale que-sto tipo di vicinanza, comunanza quasi. Stando così le cose, infatti, il senti-mento risulta non essere altra cosa rispetto alla conformità a scopi di cui fin qui abbiamo parlato; quasi si potrebbe dire che è l’altro lato della conformità, il suo lato soggettivo. Da una parte sta perciò il sentimento di piacere e dispia- ——————————

    55 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-dizio, cit., p. XLV.

    56 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § VI, p. 22. 57 Cfr. E. Cassirer, op. cit., p. 359.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    109

    cere, ed è la parte della soggettività, dall’altra congiuntamente alla facoltà co-noscitiva superiore di giudizio la conformità a scopi, ovvero il suo lato ogget-tivo. Infine, essendo conformità a scopi e sentimento i due lati di uno stesso princi-pio, è necessario cominciare a interrogarsi direttamente sui possibili risvolti di questa identità e corrispondenza, tradotta nell’opera kantiana attraverso l’eterogeneità delle tematiche trattate.

    Così riprendendo da un altro lato il discorso e il concetto di conformità, individuiamo la sua parentela con il “talento” e l’“ingegno naturale” o “Mut-terwitz” della Critica della Ragion Pura. Nella prima Critica era infatti già emersa la necessità di una capacità o talento soggettivo (“Talent” o “Mutterwitz”) che ve-nisse in soccorso al giudizio dell’uomo e che permettesse l’esatta applicazione dell’universale in abstracto al caso in concreto, non essendo questo passaggio in niente automatico attraverso le dinamiche dell’intelletto: “Così che anche gli uomini più dotti possono spesso dimostrarsi stupidi nella sua applicazione [della legge, dell’universale, della norma assoluta ecc.] e quindi incapaci di retto giudizio” 58. Kant giunge così alla prima parziale conclusione della Critica della Ragion Pura nel senso di una capacità soggettiva come “dono naturale” che, pur non essendo ancora una soluzione critico-trascendentale, né ancora un’ef-fettiva presentazione della facoltà di giudizio, o di una nuova facoltà autono-ma, mostrava già nel suo uso empirico che non poteva essere semplicemente una “capacità di servizio”, tale da avere il compito dell’applicazione passiva dei principi dati dall’intelletto alla materia empirica. La soluzione richiesta doveva essere decisamente più capace.

    Si impone così, seguendo questi presupposti, la promozione che avviene con il terzo lavoro critico e in cui Kant prende coscienza del fatto che il pro-blema radicale non è semplicemente quello dall’applicazione dell’universale in abstracto al caso in concreto, ma piuttosto quello della determinazione stessa del-l’universale, del concetto, della legge 59.

    È un principio che viene compiutamente declinato nella Critica del Giudi-zio e che pur mostrandosi sconosciuto, informulabile al modo dei principi del-l’intelletto, possiede tutti i caratteri trascendentali dell’intelletto e la ragione. “È un principio e nello stesso tempo un sentimento” 60 che nasce dall’accordo delle facoltà conoscitive, “nasce cioè dalla ‘finalità soggettiva nella rap-presentazione di un oggetto’ del quale accordo siamo coscienti solo ‘estetica- ——————————

    58 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-dizio, cit., p. XXXIII.

    59 Ibidem. 60 E. Garroni, op. cit., p. 74.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    110

    mente’ cioè mediante quello stesso sentimento” 61. Si può parlare già qui per-ciò di una capacità che è un sentimento, di un principio che non si distanzia da una capacità di sentire. Ovvero la presentazione della conformità a scopi passa sempre attraverso un’epifania sentimentale; essa non può essere esibita pre-scindendo dal sentimento e questo di diritto entra sempre nelle azioni del giu-dizio.

    Prendendo alla lontana il passo del VI paragrafo possiamo iniziare a co-gliere una sfumatura che si presenta con la terza Critica nelle dinamiche della conoscenza. Si scopre in questo completamento del pensiero critico la neces-sità di cogliere nella possibilità stessa del processo conoscitivo anche un “qual-cosa” di irriducibilmente estetico, una scelta soggettiva e contingente che non può essere semplicemente derivata dai principi intellettuali o dalle sue leggi. È un Mutterwitz, è una capacità naturale e soggettiva, è un “qualcosa” che pur non essendo in se stesso strettamente volto alla conoscenza, pur non produ-cendo concetti, purtuttavia risulta vantaggioso, assolutamente necessario, per la stessa efficacia delle facoltà conoscitive e la riuscita dell’indagine o, se vo-gliamo, dell’impresa conoscitiva. Questo “qualcosa” infine non è altro se non il principio del giudizio riflettente e in particolar modo, primieramente, princi-pio di cui abbiamo detto avere solamente coscienza estetica e non logica (co-scienza non direttamente del principio quanto del suo “effetto”, cioè del sen-timento) e che si presenta come una regola “ideale” “che ha come unici rap-presentanti sentimenti singoli, i quali a loro volta […] possono essere detti ‘sentimento comune’” 62.

    Seguendo questa prospettiva si potrebbe utilizzare un termine che è sfug-gito poche volte in questo scritto 63 ma il cui valore è assoluto e che dà una chiara connotazione alla facoltà di giudizio e al suo principio, ed è il termine “applicazione”. L’idea essenziale è quella secondo cui, poste le premesse da parte dell’intelletto e delle sue categorie, si necessita di una facoltà capace di adattare queste alle diverse circostanze che il reale offre. L’ipotesi di una si-stemazione in questo senso tutta interna alla facoltà dell’intelletto è risultata di fatto impossibile sia nelle lunghe premesse della “Erste Einleitung” sia nei numerosissimi spunti dell’introduzione definitiva. Il problema si situa perciò proprio nell’attuazione delle leggi intellettuali rispetto all’infinita multiformità dell’esperienza attraverso “qualcosa d’altro”, qualcosa che ora sappiamo c’entrare con la facoltà di giudizio. “Se invece è dato solo il particolare, per il ——————————

    61 Ibidem. 62 Ivi, p. 88. 63 Cfr. questo scritto, pp. 97-98.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    111

    quale essa deve trovare l’universale, allora la facoltà di giudizio è semplicemen-te riflettente” 64. Ed è proprio il problema dell’applicazione a esigere la ricerca di un appropriato principio della facoltà che, di fronte ai fenomeni dati nel-l’intuizione, è responsabile dell’applicazione a essi di quelle leggi. Insomma la natura non può essere vista secondo due modi diversi secondo che sia in gio-co il giudizio determinante o quello riflettente; “ciò che produciamo, allorché conosciamo, è appunto una legge empirica, cioè qualcosa che richiede e il giu-dizio determinante e il giudizio riflettente” 65. La distinzione e la duplicità si pongono a livello di condizioni. È vero perciò che una qualsiasi legge empirica richiede da una parte certe condizioni intellettuali necessarie, ma dall’altra ne-cessita assolutamente di un intervento del giudizio come possibilità di specifi-cazione o applicazione di quelle condizioni dell’intelletto alle intuizioni esperi-te. Ed è vero anche che i fenomeni richiederanno, secondo la loro natura, un intervento più sostanzioso di uno o dell’altro giudizio (determinante o riflet-tente); avremo perciò inevitabilmente a che fare con esperienze che mostre-ranno diversa intensità e necessità delle facoltà conoscitive di intelletto e giu-dizio. In definitiva “non esiste un principio oggettivo, una ‘regola’ o un crite-rio, per l’applicazione dei concetti dell’intelletto a fenomeni determinati che non esiga a sua volta un’ulteriore regola che renda possibile l’applicazione di quella stessa regola, e così via” 66.

    È partendo da questo punto che si coglie l’appiglio di quell’idea di capa-cità, che è capacità estetica e soggettiva di specificare le condizioni di ap-plicazione, non intellettuale, delle leggi trascendentali, molto più vicina a un “sentire” creativo, in definitiva capacità che risulta essere un sentimento che compie e conduce in porto i nostri presupposti intellettuali. È per quella gene-ralità delle leggi e della conoscenza dell’intelletto e quindi della natura, che bi-sogna per forza, per completezza, supporre una capacità molto sviluppata di “senti-re” le situazioni fattuali opportune, cioè un principio del giudizio inteso come prin-cipio creativo e costruttivo. È in definitiva una capacità sentimentale, libera e assolutamente originale che permette la specificazione e il compimento del processo conoscitivo.

    A ragione di questa particolare declinazione il sentimento di piacere si colloca in un contesto molto più complesso e comprensivo di quanto a prima vista potesse sembrare, e la stessa rilevanza dell’ambito estetico si comprende proprio cominciando da qui la lettura. “Non solo dunque la conoscenza rinvia ——————————

    64 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § IV, p. 15. 65 E. Garroni, op. cit., p. 47. 66 Ibidem.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    112

    necessariamente anche a principi estetici, ma la stessa esperienza estetica pura rinvia necessariamente anche a principi conoscitivi” 67.

    Così, sebbene il problema della Critica del Giudizio trovi nella questione epistemologica il suo seme originante, è altresì vero che questo seme fiorisce in primo luogo nell’ambito del giudizio estetico; in questo si presenta in modo puro e diretto il concetto di conformità a scopi da una parte e dall’altra, in modo altrettanto puro e diretto, il suo lato sentimentale. È nei giudizi di gusto e nella critica del giudizio estetico che troviamo quel principio nella sua purez-za, senza derivazioni analogiche o altro 68.

    In questo senso è utile notare come “il sentimento di piacere richiama il giudicante alla coscienza immediata del principio di giudizio, mentre la con-formità a scopi è piuttosto l’espressione concettuale già analogica da parte del pensiero discorsivo di un principio che non si può esporre o addurre” 69. La reciprocità tra l’uomo e il vario fenomeno mondo, come sappiamo dalla prima parte della Critica del Giudizio, “ha il suo primo riscontro sul piano soggettivo, quando la finalità dell’oggetto viene esperita nel piacere della sua rap-presentazione si tratti della bellezza o di sentimento del sublime. […] Ora nel-l’approdo oggettivo del giudizio teleologico, Kant sembra raggiungere final-mente la fondatezza ontologica del riscontro soggettivo” 70. Sembra insomma che nel giudizio teleologico si ritrovi e si fondi quel rapporto soggettivo e di esemplare conformità che si era scoperto già nel rapporto estetico tra l’uomo e il mondo.

    Ma questo tipo di sentimento niente ha a che fare con la facoltà di desi-derare, ma è posto in riferimento all’oggetto da conoscere, quindi a priori è va-lido perciò per ognuno. Così il raggiungimento della conoscenza porta con sé conseguenze che investono anche un ambito non propriamente conoscitivo. Scrive Kant:

    In effetti, seppure non riscontriamo in noi, e neppure possiamo riscontrare, il minimo effetto sul sentimento del piacere e a partire dalla concordanza delle percezioni con le leggi secondo concetti universali della natura (categorie), poi-

    ——————————

    67 Ivi, p. 92. 68 Cfr. E. Garroni, l’intero capitolo IX intitolato significativamente “Il principio este-

    tico nella teleologia, nella scienza, nella riflessione critica,” in Estetica ed epistemologia. Rifles-sioni sulla “Critica del Giudizio”, cit., pp. 107-125.

    69 E. Garroni e H. Hohenegger, “Introduzione”, in I. Kant, Critica della facoltà di giu-dizio, cit., p. XXXIX.

    70 V. Melchiorre, Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant, Mur-sia, Milano 1991, p. 45.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    113

    ché con ciò l’intelletto procede in modo inintenzionale, d’altra parte la scoperta dell’unificabilità di due o più leggi empiriche eterogenee della natura sotto un principio che le comprende entrambe è motivo di un piacere assai notevole, spesso perfino di un’ammirazione, addirittura di un’ammirazione tale che viene meno anche se si è già abbastanza familiari con il suo oggetto 71.

    E la precisazione riguarda i giudizi logici di conoscenza che non interessano questo tipo di risvolto sentimentale; l’ordinamento sintetico attraverso le di-namiche del puro giudizio determinante e delle sue categorie non implica am-mirazione, ma è nell’esperienza sintetica della dinamica creativa del giudizio ri-flettente che incontriamo quella risposta di ammirazione e soddisfazione; nella riuscita della sua azione si scopre un risvolto sentimentale. È una capacità sen-timentale che permette l’unione, ed è in un sentimento di soddisfazione che ri-torna l’unità trovata. Ma questo rapporto nonostante i numerosi e pur interes-santi aspetti che possono essere qui resi espliciti risulta di difficile coglimento:

    Certo, non proviamo più un piacere avvertibile nell’afferrabilità della natura e nella sua unità dell’articolazione in generi e specie, per cui, soltanto, sono pos-sibili concetti empirici, con i quali la conosciamo secondo le sue leggi particolari; ma un piacere c’è stato certamente a suo tempo e, solo perché la più comune esperienza non sarebbe possibile senza di esso, si è mischiato via via con la semplice conoscenza e non è stato più particolarmente notato 72.

    La difficoltà perciò si presenta in questa sorta di miscuglio e indistinzione tra la componente sentimentale e la componente più strettamente sintetica. Nel tempo, nell’esperienza, i livelli si intrecciano e si compenetrano tanto che ogni determinazione e distinzione risulta praticamente impossibile, e in definitiva la più comune esperienza non essendo possibile senza questa compenetrazione non è pos-sibile eliminare questa incoscienza del sentimento del piacere.

    Occorre qui chiudere con una serie di precisazioni che mostrino, per quanto è possibile, almeno una omogeneità di intenti anche in questo scritto. La prima precisazione la riprendiamo da qualcosa che abbiamo già accennato rispetto all’esperienza. È una generalità, forse ovvia, ma che permette di co-gliere una forte diversità di gradazione e conseguente elasticità del pensiero kantiano. Il punto è precisamente quello che in ogni esperienza si palesi la ne-cessità di un intervento sinergico di giudizio determinante e giudizio riflet-tente, ma è certo che questa sinergia dogmaticamente vera per ogni indagine è ——————————

    71 I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., § VI, p. 23. 72 Ibidem.

  • Manuel Piraino

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    114

    verosimilmente diversa nella partecipazione per ogni diversa natura e tipo di indagine. C’è una grande varietà di esperienze il cui contenuto eccede la misu-ra dell’intelletto, e l’intensità di questa eccedenza è infinitamente varia; da que-sta si mostra la conseguente necessità di un intervento calibrato delle facoltà conoscitive di intelletto e giudizio. In tutti i giudizi la partecipazione della fa-coltà di giudizio si adegua al livello del bisogno dell’indagine, secondo cioè la natura dell’indagato, così identicamente l’intelletto; insomma una diversità di avvicinamento ed equilibrio che dipenderà dalla natura dei fenomeni coi quali veniamo in rapporto.

    Leghiamo in questo punto quello che si è mostrato, quasi spontaneamen-te, essere una ponderosa varietà nel modo di manifestarsi dell’ambito senti-mentale. Cogliamo qui a posteriori i caratteri del sentimento che si sono evi-denziati, mostrando primariamente la decisiva importanza nella Critica del Giu-dizio e in generale la decisività nel compimento del processo conoscitivo. Sen-za infine voler forzare eccessivamente la riflessione kantiana, sembra qui che si possano distinguere tre diverse gradazioni della componente estetica nelle di-namiche conoscitive. Potremmo addirittura arrivare, attraverso questi tre mo-menti, a scorgere una sorta di circolo virtuoso del sentimento nel processo di indagine e conoscenza.

    Ma, andando con ordine e cominciando dal primo momento, notiamo come nella formulazione del principio del giudizio 73 abbiamo colto una pos-sibilità del suo presentarsi: è il modo della simpatia, potremmo dire, nel senso di una naturale inclinazione delle nostre facoltà conoscitive superiori, istintiva e originale, verso il mondo fenomenico. È la natura che pare acconciarsi al no-stro presentarsi utilizzando le parole di Cassirer; si mostra in questo modo, al nostro apparato, una sorprendente adeguatezza del reale. Prima di ogni deter-minazione intellettuale è presente così naturalmente una connotazione di sim-patia nel nostro rapporto col mondo fenomenico, una conformità che si tradu-ce nell’essere già predisposti a ricevere del mondo senza venirne sotterrati. È un’anticipazione, il riscontro del trovarsi in qualche modo già a casa nostra, un rapporto che si produce nella direzione di una rassicurazione, le avvisaglie del compiersi di un sentimento che ci permette di continuare l’avvicinamento prima di affondare il colpo effettivo della conoscenza, e in fondo non è che il principio del giudizio tradotto soggettivamente e suggestivamente: come se qualcosa, un intelletto, avesse dato i fenomeni e le leggi a vantaggio delle no-stre facoltà conoscitive per renderci possibile l’unità dell’esperienza. L’espe- ——————————

    73 Cfr. ivi, § IV, p. 16.

  • Sul legame del sentimento di piacere con il giudizio di conoscenza

    Leitmotiv – 4 / 2004 http: / / www.ledonline.it / leitmotiv /

    115

    rienza si confà così alle nostre facoltà. La seconda possibilità è quella che abbiamo detto essere dell’applicazione,

    in questo senso sono oltremodo significative le parole di Kant circa il compito del giudizio riflettente che deve essere quello di cercare l’universale, la regola o la legge sotto la quale sussumere il particolare che abbiamo incontrato. È in qualche modo il compimento del processo di conoscenza che si attua dopo le premesse poste dall’intelletto grazie all’intervento del giudizio che colma il di-vario che si è posto tra l’infinita varietà di leggi empiriche e l’estrema semplici-tà delle leggi trascendentali dell’intelletto e ne permette una duttilità di azione.

    La terza è quella dell’esito del giudizio riflettente e delle sue applicazioni indirizzate al compimento del processo conoscitivo; ebbene anche questo momento viene interessato dal sentimento di piacere nel senso di una am-mirazione per una raggiunta e quasi insperata unità. Certo ora è difficile la co-scienza di questa soddisfazione ma, nonostante la sua ombrosità, non si può negare, a detta di Kant, che un piacere a suo tempo c’è stato, e ancora c’è, seb-bene celato, latente quasi, nell’abitudine della comune esperienza.

    Secondo questa scansione in un ultimo sforzo potremmo individuare una sorta di circolo virtuoso che interessa un primum della conoscenza che è dato dalla disponibilità del reale nel farsi conoscere, una predisposizione che rico-nosciamo sentimentalmente nella conformità del reale; un secondo aspetto che ri-guarda la concretizzazione della conoscenza attraverso l’applicazione come capaci-tà sentimentale di specificazione delle leggi trascendentali; infine il sentimento di piacere come soddisfazione del raggiunto approdo conoscitivo e unitario del-l’esperienza che è divenuta nostra e che ha portato alla comprensione (cono-scenza e pensabilità) di questo nostro pezzo di mondo nel quale ci siamo im-battuti.