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A settant’anni dalla Liberazione non è facile tracciare un consuntivo di quanto l’antifascismo e la Resi- stenza incidano oggi sulla coscienza delle persone e sulla conduzione della vita pubblica. La distanza tem- porale, accentuata dal ritmo accele- rato dei cambiamenti strutturali e culturali intervenuti, si fa sentire in misura rilevante. La semplice rico- struzione storica è insufficiente a rendere ragione del significato profondo di “fatti” che rinviano a “valori” - si tratta evidentemente di “valori civili” - che hanno segna- to di sé la vita di un popolo. La trama, che lega tra loro gli eventi a cui si allude, è riconducibile a un tessuto etico-culturale, che sembra essersi lacerato nel corso del tempo. La lotta partigiana, di cui la “Valtoce” fu protagonista, è stata anzitutto una lotta per la libertà. Il rifiuto del fascismo non era soltanto rifiuto di un regime autoritario, di una dittatura politica che si impone- va con la forza bruta, anziché usare le armi della ragione. Era anche (e soprattutto) il rifiuto di una ideolo- gia, di una concezione dell’uomo e della vita incentrata su un nazio- nalismo esasperato, sulla violenza e sulla guerra come strumenti di conquista e di assoggettamento dei popoli, sul maschilismo e sul culto della personalità e, infine, sull’antisemitismo e sul razzismo. La libertà, che era al centro di tale lotta, è dunque un valore complesso, che affonda le sue radici nel ricono- scimento e nel rispetto della dignità della persona - di ogni persona - in quanto essere unico e irripetibile e, per chi aderisce a una visione cri- stiana della vita, “immagine di Dio”. Il principio kantiano secondo cui ogni soggetto umano va sempre trat- tato come “fine” (e mai come “mezzo”) si coniuga qui strettamente con la famosa “regola d’oro” della tradizione ebraica (divenuta in se- guito il principio ispiratore anche di gran parte dell’etica laica), la quale recita: “Non fare all’altro quello che non piace sia fatto a te”. Ma questo non basta. In realtà, proprio per i motivi segnalati, perché la libertà diventi appannaggio reale di ogni persona, essa viene imme- diatamente connessa ai valori della uguaglianza e della giustizia, della fraternità e della solidarietà sui quali si è ricostruita nel dopoguerra la vita democratica. Pur nella diversità delle posizioni presenti all’interno del mondo variegato della Resistenza - posizioni che si sono spesso anche aspramente scontrate - è indubbio che dalla convergenza attorno a que- sti valori è nata la Carta costituzio- nale, che costituisce ancora ai nostri giorni (almeno per la prima parte che ha i connotati di una vera e propria etica pubblica) una pietra miliare per la costruzione di una convivenza civile ordinata e pacifica. La domanda che nasce spontanea è allora: che cosa rimane oggi di quella lezione di vita? Che signifi- cato può (deve) rivestire oggi il mes- saggio che viene dalla lotta partigia- na e che è stato sigillato con il sangue di molti martiri? La risposta non è facile. Non si tratta di riproporre in maniera mummificata un passato che non ritorna (e non può ritornare); si tratta piuttosto di “fare memoria” di esso, ricuperandone il senso - i valori ricordati - e rendendolo attuale attraverso una mediazione creativa. “Fare memoria” significa infatti ri- leggere il passato a partire dal pre- sente per aprire orizzonti nuovi che alimentino la speranza nel futuro. Il cammino della libertà e della giustizia, allora iniziato, è ancora lungo e impegnativo. Se infatti è vero che alcune conquiste possono ritenersi ormai acquisite, non è meno vero che molto resta ancora da fare, e che affiorano oggi nuovi pericoli nei confronti dei quali non si può (e non si deve) abbassare la guardia, ma è invece necessario esercitare una severa vigilanza. Le spinte indi- vidualiste sempre più marcate, che scambiano la libertà con una forma di libertarismo egoista ed anarchico, la rivendicazione dei diritti alla quale non corrisponde l’acquisizione dei doveri, e infine l’affermarsi della ideologia del mercato, in cui a pre- valere sono le logiche utilitariste dell’efficienza produttiva e del con- sumo, sembrano oscurare la tensione agli ideali della responsabilità e del “bene comune”, che sono la molla fondamentale di ogni autentica cre- scita umana e di ogni progresso civile. Tutto questo in un mondo che si è fatto, negli ultimi decenni, più complesso, grazie all’avanzare del processo di globalizzazione, che ridisegna in senso universalistico i confini della vita sociale e politica, determinando l’insorgenza di un pluralismo ideologico, culturale e religioso del tutto inedito, che esige, per essere correttamente compreso e opportunamente governato, la ri- cerca di una piattaforma valoriale unitaria, frutto del confronto e della interazione tra diversi modelli di civiltà. La lezione dell’antifascismo e della Resistenza, che appare dunque a prima vista anacronistica, torna ad acquisire, sotto questo profilo, una grande attualità. Non solo perché i valori che essa ha espresso, in quanto discendono immediatamente dalla dignità della persona umana, conser- vano un carattere assoluto. Ma so- prattutto perché tali valori sono la risultante di un processo storico sof- ferto, che ha contribuito ad affinare gli spiriti e che ha alimentato la fiducia, sia pure passando attraverso il crogiolo di pesanti conflittualità, nella ricchezza delle differenze e nella fecondità di un dialogo animato dalla ricerca della comune umanità. Rievocare oggi quegli eventi, che hanno consentito al nostro paese di uscire dalla dittatura per riconqui- stare la libertà e la democrazia, diventa allora (e non può che diven- tare) sollecitazione a ricordare con riconoscenza chi ha testimoniato con il dono della propria vita la fe- deltà ai valori richiamati e impegno a continuare a lottare perché diventino patrimonio universale, e concorrano alla costruzione di un mondo nuovo, pacificato e solidale. Giannino Piana Supplemento a “Comune Informa” - Periodico di informazione a cura del Comune di Ornavasso Con la battaglia di Megolo si chiuse la prima fase della Resistenza novarese. Il 13 febbraio 1944 al Cortavolo la formazione di Beltrami venne at- taccata in forze dagli uomini del capitano Simon. Alcuni reparti riuscirono faticosamente a sgan- ciarsi, ma il gruppo di Beltrami restò intrappolato. Insieme a Beltrami morirono altri dieci partigiani, tra cui Antonio Di Dio. Con la morte di Beltrami la Brigata Patrioti Valstrona, nata nel dicembre del 1943 dalla fusione del gruppo di Beltrami con la formazione di Di Dio, si disperse, nonostante il tentativo di Alfredo Di Dio di rimettere insieme i diversi gruppi. Alfredo Di Dio era stato arrestato il 23 gennaio 1944 a Milano, dove era sceso per procurare armi e finanziamenti. Incarcerato a Novara, venne rilasciato il 6 marzo. Tramite Carletto Leonardi tornò subito in montagna, ma si rese presto conto che senza Beltrami erano venuti meno i presup- posti che tenevano unita la formazione. Decise, allora, di dar vita a una nuova formazione. Cominciò, quindi, a tessere una serie di contatti, sia con i Comitati di liberazione nazionale, sia con i gruppi disposti ad aderire al nuovo progetto, in cerca di uomini e sostegno logistico. La base operativa di questa complessa azione fu Borgo- manero e gli uomini che lo sostennero più da vicino furono l’avvocato Giacomo Luigi Borgna e don Antonio Vandoni, coadiutore della parrocchia di San Bartolomeo. Per potersi muovere più liberamente in pianura, senza dare troppo nell’occhio, Alfredo Di Dio venne associato allo studio Borgna quale praticante. I contorni della nuova formazione vennero stabiliti in una riunione tenuta nello studio di Borgna il lunedì di Pasqua del 1944, a cui parteciparono Giacomo Luigi Borgna, don Antonio Vandoni e Alfredo Di Dio, reduce da un lungo giro tra le formazioni del Cusio e dell’Ossola. Di Dio pensava di costruire la formazione intorno ai principi che lo avevano spinto a scegliere di combattere la guerra parti- giana. Di sentimenti monarchici, era mosso anzitutto dalla fedeltà al giuramento al re che aveva fatto come soldato. Il suo obiettivo principale era costituito dalla liberazione dell’Italia dall’occupazione tedesca e giudicava con molta diffidenza la politicizzazione delle formazioni partigiane. Cresciuto in ambienti cattolici, aveva assorbito il naturale anticomunismo dell’associazionismo religioso e l’estraneità com- pleta alla dimensione politica. L’antifascismo era stata una dolorosa conquista personale, maturata lentamente, man mano che l’età adulta gli per- metteva di prendere coscienza della reale natura del regime. Giacomo Luigi Borgna, invece, oltre ad aver percorso con totale adesione l’esperienza del Partito popolare, che proprio quella sera ricordò al suo giovane interlocutore con grande trasporto, aveva compreso con grande lucidità la direzione che stava assumendo la lotta parti- giana, inserito com’era nel punto nevralgico della direzione del Cln provinciale. Nella primavera del 1944, infatti, il Cln stava cercando di trasformare gradualmente le disperse bande partigiane in un esercito. Un percorso segnato da scontri e conflitti e mai pienamente risolto, ma che diede una nuova direzione alla guerra partigiana. Contemporaneamente, però, apparve subito chiaro che il Comitato di liberazione nazionale non sarebbe mai diventato un soggetto politico unico, ma sarebbe rimasto il luogo di coesistenza delle diverse forze politiche, la cui forza sarebbe stata misurata anche dalla consi- stenza delle formazioni partigiane di riferimento e dalla quantità di territorio che sarebbero state in grado di controllare. Questo processo generale si intersecava nel novarese con la situazione che si era creata dopo la battaglia di Megolo e la dispersione della formazione di Beltrami. Il carisma del Capitano aveva raccolto fin dalla sera dell’8 settembre 1943 tutti coloro che sentivano di dover agire per difendere l’integrità nazionale, sia che fossero spinti da appartenenze politiche, sia che fossero spinti dalla fedeltà al re, sia che sentissero semplicemente di dover agire, senza avere ancora un’idea precisa su quanto stava davvero succedendo. La sua autorevolezza aveva, poi, fatto della sua formazione il punto di riferi- mento dei primi gruppi che si stavano costituendo nelle cittadine e nei paesi per alimentare la guerra partigiana. Anche la strategia delle bande comu- niste, in primo luogo quella di Moscatelli, fu quella di evitare accuratamente di entrare in competi- zione con Beltrami e, anzi, non pochi furono i comunisti che si unirono alla sua formazione, a cominciare da Gaspare Pajetta e Gianni Citterio, che morirono a Megolo con lui. Alla morte di Beltrami nessuno fu in grado di ereditarne il carisma, tanto più che le spinte verso la politiciz- zazione delle formazioni stavano diventando sempre più consistenti. Per questo Borgna insistette sulla necessità che la nuova formazione fosse espressione della Democrazia cristiana. Don Vandoni, cui premeva soprattutto dar vita a una presenza cattolica anche senza legami con il partito, assunse una posizione di mediazione, riconoscendo la validità della linea patriottica di Di Dio, ma sottolineando che lo sviluppo del Cln stava andando nella direzione illustrata da Borgna e che quindi era assolutamente necessario uniformarvisi. Posizione sulla quale nacque il I° Gruppo Ossola, che nelle parole di Di Dio era una «formazione anzitutto militare, ma di ispirazione cristiana come siamo tutti noi e quanti vorranno seguirci». Nella nuova formazione confluirono il gruppo di Cesare Bettini, proveniente dalla Patrioti Valstrona; i gruppi cattolici di Ornavasso, che faceva capo al dottor Venturelli, di Omegna, che faceva capo a Gino Zanni e a Giuseppe Annichini, e di Casale Corte Cerro, che faceva capo a Enrico Massara, anch’egli proveniente dalla formazione di Beltrami; il gruppo di Renato Boeri, che operava sul Mottarone; il gruppo milanese di Eugenio Cefis e il gruppo democristiano di Busto Arsizio, che faceva capo a Giovanni Marcora, Luciano Vignati e Alberto Gritti. Quando la nuova forma- zione si spostò dal Verbano in Ossola, per sfug- gire all’offensiva che i tedeschi scatenarono in primavera, poteva contare su circa 250 uomini. I contatti tra Borgna e Di Dio venivano tenuti da Aristide Marchetti. Il nome Valtoce fu adottato in una assemblea cui parteciparono tutte le componenti della formazione, che si tenne il 1 luglio 1944 alla Madonna del Boden. Giovanni A. Cerutti È con estremo piacere oltre che con malcelato orgoglio che l’Ammini- strazione Comunale ha deciso di ristampare, in occasione del 70° anniversario della Liberazione, l’edizione del ventennale del giornale della “Valtoce”. La “Valtoce” infatti non solo ebbe il suo inizio nella primavera del 1944 presso l’Osteria Vallesano di via del Bosco ad Ornavasso quando il gruppo di giovani del paese decise di unirsi ad Alfredo Di Dio per dare vita ad una formazione partigiana aperta a tutti, apolitica, cattolica, caratterizzata da una rigorosa disci- plina militare e che si prefiggeva come scopo primario la liberazione dell’Italia dal fascismo e dai tedeschi, non solo ebbe per lungo tempo il proprio comando al Boden e diede un fondamentale contributo per la liberazione del territorio ed alla Re- pubblica dell’Ossola, ma soprattutto ha incarnato e rappresenta tutt’ora l’indomito spirito degli Ornavassesi. Proprio per tale ragione i contrasse- gni della “Valtoce” sono stati apposti sul gonfalone del Comune di Orna- vasso e quest’ultimo è stato fregiato della medaglia d’argento al merito civile con la seguente motivazione “piccolo centro di rilevante impor- tanza strategica, animato da profon- da fede negli ideali di libertà e de- mocrazia, partecipava, con eroico coraggio, indomito spirito patriottico ed altissima dignità morale, alla guerra di Liberazione, esponendosi alle ritorsioni delle truppe nazifasci- ste ed offrendo numerosi esempi di generoso spirito di solidarietà uma- na. Luminoso esempio di elevate virtù civiche, di incrollabile fermezza ed amor patrio. 1943 -1944”. A ciò deve ovviamente anche aggiungersi il riconoscimento concesso, unita- mente a tutta la Valle Ossola, della medaglia d’oro al valor militare. Questa ristampa, alla quale sono stati allegati contributi attuali, si prefigge quindi di onorare il valore ed i sacri- fici di chi ha combattuto per la nostra libertà con un fazzoletto azzurro al collo ed avendo come unico motto “la vita per l’Italia”. Ad essi va il nostro imperituro grazie. Filippo Cigala Fulgosi Dopo 70 anni Per una memoria creativa della Resistenza La nascita della Valtoce

Supplemento a “Comune Informa” - Periodico di ... · Ma questo non basta. In realtà, ... Tutto questo in un mondo che si è fatto, ... Cefis e il gruppo democristiano di Busto

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A settant’anni dalla Liberazionenon è facile tracciare un consuntivodi quanto l’antifascismo e la Resi-stenza incidano oggi sulla coscienzadelle persone e sulla conduzionedella vita pubblica. La distanza tem-porale, accentuata dal ritmo accele-rato dei cambiamenti strutturali eculturali intervenuti, si fa sentire inmisura rilevante. La semplice rico-struzione storica è insufficiente arendere ragione del significatoprofondo di “fatti” che rinviano a“valori” - si tratta evidentementedi “valori civili” - che hanno segna-to di sé la vita di un popolo. Latrama, che lega tra loro gli eventia cui si allude, è riconducibile a untessuto etico-culturale, che sembraessersi lacerato nel corso del tempo. La lotta partigiana, di cui la“Valtoce” fu protagonista, è stataanzitutto una lotta per la libertà. Ilrifiuto del fascismo non era soltantorifiuto di un regime autoritario, diuna dittatura politica che si impone-va con la forza bruta, anziché usarele armi della ragione. Era anche (esoprattutto) il rifiuto di una ideolo-gia, di una concezione dell’uomo edella vita incentrata su un nazio-nalismo esasperato, sulla violenzae sulla guerra come strumenti diconquista e di assoggettamentodei popoli, sul maschilismo e sulculto della personalità e, infine,sull’antisemitismo e sul razzismo. La libertà, che era al centro di talelotta, è dunque un valore complesso,che affonda le sue radici nel ricono-scimento e nel rispetto della dignitàdella persona - di ogni persona - inquanto essere unico e irripetibile e,per chi aderisce a una visione cri-stiana della vita, “immagine di Dio”.Il principio kantiano secondo cuiogni soggetto umano va sempre trat-tato come “fine” (e mai come“mezzo”) si coniuga qui strettamentecon la famosa “regola d’oro” dellatradizione ebraica (divenuta in se-guito il principio ispiratore anche digran parte dell’etica laica), la qualerecita: “Non fare all’altro quello chenon piace sia fatto a te”. Ma questo non basta. In realtà,proprio per i motivi segnalati, perchéla libertà diventi appannaggio realedi ogni persona, essa viene imme-diatamente connessa ai valori dellauguaglianza e della giustizia, dellafraternità e della solidarietà sui qualisi è ricostruita nel dopoguerra la vitademocratica. Pur nella diversità delleposizioni presenti all’interno delmondo variegato della Resistenza- posizioni che si sono spesso ancheaspramente scontrate - è indubbioche dalla convergenza attorno a que-sti valori è nata la Carta costituzio-

nale, che costituisce ancora ai nostrigiorni (almeno per la prima parteche ha i connotati di una vera epropria etica pubblica) una pietramiliare per la costruzione di unaconvivenza civile ordinata e pacifica. La domanda che nasce spontaneaè allora: che cosa rimane oggi diquella lezione di vita? Che signifi-cato può (deve) rivestire oggi il mes-saggio che viene dalla lotta partigia-na e che è stato sigillato con il sanguedi molti martiri? La risposta non èfacile. Non si tratta di riproporre inmaniera mummificata un passatoche non ritorna (e non può ritornare);si tratta piuttosto di “fare memoria”di esso, ricuperandone il senso - ivalori ricordati - e rendendolo attualeattraverso una mediazione creativa.“Fare memoria” significa infatti ri-leggere il passato a partire dal pre-sente per aprire orizzonti nuovi chealimentino la speranza nel futuro. Il cammino della libertà e dellagiustizia, allora iniziato, è ancoralungo e impegnativo. Se infatti èvero che alcune conquiste possonoritenersi ormai acquisite, non è menovero che molto resta ancora da fare,e che affiorano oggi nuovi pericolinei confronti dei quali non si può(e non si deve) abbassare la guardia,ma è invece necessario esercitareuna severa vigilanza. Le spinte indi-vidualiste sempre più marcate, chescambiano la libertà con una formadi libertarismo egoista ed anarchico,la rivendicazione dei diritti alla qualenon corrisponde l’acquisizione deidoveri, e infine l’affermarsi dellaideologia del mercato, in cui a pre-valere sono le logiche utilitaristedell’efficienza produttiva e del con-sumo, sembrano oscurare la tensioneagli ideali della responsabilità e del“bene comune”, che sono la mollafondamentale di ogni autentica cre-scita umana e di ogni progresso civile. Tutto questo in un mondo che siè fatto, negli ultimi decenni, piùcomplesso, grazie all’avanzare delprocesso di globalizzazione, cheridisegna in senso universalistico iconfini della vita sociale e politica,determinando l’insorgenza di unpluralismo ideologico, culturale ereligioso del tutto inedito, che esige,per essere correttamente compresoe opportunamente governato, la ri-cerca di una piattaforma valorialeunitaria, frutto del confronto e dellainterazione tra diversi modelli diciviltà. La lezione dell’antifascismo edella Resistenza, che appare dunquea prima vista anacronistica, torna adacquisire, sotto questo profilo, unagrande attualità. Non solo perché ivalori che essa ha espresso, in quanto

discendono immediatamente dalladignità della persona umana, conser-vano un carattere assoluto. Ma so-prattutto perché tali valori sono larisultante di un processo storico sof-ferto, che ha contribuito ad affinaregli spiriti e che ha alimentato lafiducia, sia pure passando attraversoil crogiolo di pesanti conflittualità,nella ricchezza delle differenze enella fecondità di un dialogo animatodalla ricerca della comune umanità. Rievocare oggi quegli eventi, chehanno consentito al nostro paese diuscire dalla dittatura per riconqui-stare la libertà e la democrazia,diventa allora (e non può che diven-tare) sollecitazione a ricordare conriconoscenza chi ha testimoniatocon il dono della propria vita la fe-deltà ai valori richiamati e impegnoa continuare a lottare perchédiventino patrimonio universale, econcorrano alla costruzione di unmondo nuovo, pacificato e solidale.Giannino Piana

Supplemento a “Comune Informa” - Periodico di informazione a cura del Comune di Ornavasso

Con la battaglia di Megolo si chiuse la prima fasedella Resistenza novarese. Il 13 febbraio 1944al Cortavolo la formazione di Beltrami venne at-taccata in forze dagli uomini del capitano Simon.Alcuni reparti riuscirono faticosamente a sgan-ciarsi, ma il gruppo di Beltrami restò intrappolato.Insieme a Beltrami morirono altri dieci partigiani,tra cui Antonio Di Dio. Con la morte di Beltrami la Brigata PatriotiValstrona, nata nel dicembre del 1943 dallafusione del gruppo di Beltrami con la formazionedi Di Dio, si disperse, nonostante il tentativo diAlfredo Di Dio di rimettere insieme i diversi gruppi.Alfredo Di Dio era stato arrestato il 23 gennaio1944 a Milano, dove era sceso per procurarearmi e finanziamenti. Incarcerato a Novara, vennerilasciato il 6 marzo. Tramite Carletto Leonarditornò subito in montagna, ma si rese presto contoche senza Beltrami erano venuti meno i presup-posti che tenevano unita la formazione. Decise,allora, di dar vita a una nuova formazione. Cominciò, quindi, a tessere una serie di contatti,sia con i Comitati di liberazione nazionale, siacon i gruppi disposti ad aderire al nuovo progetto,in cerca di uomini e sostegno logistico. La baseoperativa di questa complessa azione fu Borgo-manero e gli uomini che lo sostennero più davicino furono l’avvocato Giacomo Luigi Borgna edon Antonio Vandoni, coadiutore della parrocchiadi San Bartolomeo. Per potersi muovere piùliberamente in pianura, senza dare tropponell’occhio, Alfredo Di Dio venne associato allostudio Borgna quale praticante. I contorni dellanuova formazione vennero stabiliti in una riunionetenuta nello studio di Borgna il lunedì di Pasquadel 1944, a cui parteciparono Giacomo LuigiBorgna, don Antonio Vandoni e Alfredo Di Dio,reduce da un lungo giro tra le formazioni delCusio e dell’Ossola. Di Dio pensava di costruirela formazione intorno ai principi che lo avevanospinto a scegliere di combattere la guerra parti-giana. Di sentimenti monarchici, era mossoanzitutto dalla fedeltà al giuramento al re cheaveva fatto come soldato. Il suo obiettivo principaleera costituito dalla liberazione dell’Italiadall’occupazione tedesca e giudicava con molta

diffidenza la politicizzazione delle formazionipartigiane. Cresciuto in ambienti cattolici,aveva assorbito il naturale anticomunismodell’associazionismo religioso e l’estraneità com-pleta alla dimensione politica. L’antifascismo erastata una dolorosa conquista personale, maturatalentamente, man mano che l’età adulta gli per-metteva di prendere coscienza della reale naturadel regime. Giacomo Luigi Borgna, invece, oltread aver percorso con totale adesione l’esperienzadel Partito popolare, che proprio quella seraricordò al suo giovane interlocutore con grandetrasporto, aveva compreso con grande luciditàla direzione che stava assumendo la lotta parti-giana, inserito com’era nel punto nevralgico delladirezione del Cln provinciale.Nella primavera del 1944, infatti, il Cln stavacercando di trasformare gradualmente le dispersebande partigiane in un esercito. Un percorsosegnato da scontri e conflitti e mai pienamenterisolto, ma che diede una nuova direzione allaguerra partigiana. Contemporaneamente, però,apparve subito chiaro che il Comitato di liberazionenazionale non sarebbe mai diventato un soggettopolitico unico, ma sarebbe rimasto il luogo dicoesistenza delle diverse forze politiche, la cuiforza sarebbe stata misurata anche dalla consi-stenza delle formazioni partigiane di riferimentoe dalla quantità di territorio che sarebbero statein grado di controllare. Questo processo generalesi intersecava nel novarese con la situazione chesi era creata dopo la battaglia di Megolo e ladispersione della formazione di Beltrami. Il carismadel Capitano aveva raccolto fin dalla sera dell’8settembre 1943 tutti coloro che sentivano didover agire per difendere l’integrità nazionale,sia che fossero spinti da appartenenze politiche,sia che fossero spinti dalla fedeltà al re, sia chesentissero semplicemente di dover agire, senzaavere ancora un’idea precisa su quanto stavadavvero succedendo. La sua autorevolezza aveva,poi, fatto della sua formazione il punto di riferi-mento dei primi gruppi che si stavano costituendonelle cittadine e nei paesi per alimentare la guerrapartigiana. Anche la strategia delle bande comu-niste, in primo luogo quella di Moscatelli, fu quella

di evitare accuratamente di entrare in competi-zione con Beltrami e, anzi, non pochi furono icomunisti che si unirono alla sua formazione, acominciare da Gaspare Pajetta e Gianni Citterio,che morirono a Megolo con lui. Alla morte diBeltrami nessuno fu in grado di ereditarne ilcarisma, tanto più che le spinte verso la politiciz-zazione delle formazioni stavano diventandosempre più consistenti. Per questo Borgna insistette sulla necessitàche la nuova formazione fosse espressione dellaDemocrazia cristiana. Don Vandoni, cui premevasoprattutto dar vita a una presenza cattolicaanche senza legami con il partito, assunse unaposizione di mediazione, riconoscendo la validitàdella linea patriottica di Di Dio, ma sottolineandoche lo sviluppo del Cln stava andando nelladirezione illustrata da Borgna e che quindi eraassolutamente necessario uniformarvisi. Posizionesulla quale nacque il I° Gruppo Ossola, che nelleparole di Di Dio era una «formazione anzituttomilitare, ma di ispirazione cristiana come siamotutti noi e quanti vorranno seguirci». Nella nuovaformazione confluirono il gruppo di CesareBettini, proveniente dalla Patrioti Valstrona;i gruppi cattolici di Ornavasso, che faceva capoal dottor Venturelli, di Omegna, che facevacapo a Gino Zanni e a Giuseppe Annichini, e diCasale Corte Cerro, che faceva capo a EnricoMassara, anch’egli proveniente dalla formazionedi Beltrami; il gruppo di Renato Boeri, che operavasul Mottarone; il gruppo milanese di EugenioCefis e il gruppo democristiano di Busto Arsizio,che faceva capo a Giovanni Marcora, LucianoVignati e Alberto Gritti. Quando la nuova forma-zione si spostò dal Verbano in Ossola, per sfug-gire all’offensiva che i tedeschi scatenaronoin primavera, poteva contare su circa 250 uomini.I contatti tra Borgna e Di Dio venivano tenutida Aristide Marchetti.Il nome Valtoce fu adottato in una assemblea cuiparteciparono tutte le componenti dellaformazione, che si tenne il 1 luglio 1944 allaMadonna del Boden.

Giovanni A. Cerutti

È con estremo piacere oltre che conmalcelato orgoglio che l’Ammini-strazione Comunale ha deciso diristampare, in occasione del 70°anniversario della Liberazione,l’edizione del ventennale del giornaledella “Valtoce”.La “Valtoce” infatti non solo ebbeil suo inizio nella primavera del 1944presso l’Osteria Vallesano di viadel Bosco ad Ornavasso quando ilgruppo di giovani del paese decisedi unirsi ad Alfredo Di Dio per darevita ad una formazione partigianaaperta a tutti, apolitica, cattolica,caratterizzata da una rigorosa disci-plina militare e che si prefiggevacome scopo primario la liberazionedell’Italia dal fascismo e dai tedeschi,non solo ebbe per lungo tempo ilproprio comando al Boden e diedeun fondamentale contributo per laliberazione del territorio ed alla Re-pubblica dell’Ossola, ma soprattuttoha incarnato e rappresenta tutt’oral’indomito spirito degli Ornavassesi.Proprio per tale ragione i contrasse-gni della “Valtoce” sono stati appostisul gonfalone del Comune di Orna-

vasso e quest’ultimo è stato fregiatodella medaglia d’argento al meritocivile con la seguente motivazione“piccolo centro di rilevante impor-tanza strategica, animato da profon-da fede negli ideali di libertà e de-mocrazia, partecipava, con eroicocoraggio, indomito spirito patriotticoed altissima dignità morale, allaguerra di Liberazione, esponendosialle ritorsioni delle truppe nazifasci-ste ed offrendo numerosi esempi digeneroso spirito di solidarietà uma-na. Luminoso esempio di elevatevirtù civiche, di incrollabile fermezzaed amor patrio. 1943 -1944”. A ciòdeve ovviamente anche aggiungersiil riconoscimento concesso, unita-mente a tutta la Valle Ossola, dellamedaglia d’oro al valor militare.Questa ristampa, alla quale sono statiallegati contributi attuali, si prefiggequindi di onorare il valore ed i sacri-fici di chi ha combattuto per la nostralibertà con un fazzoletto azzurro alcollo ed avendo come unico motto“la vita per l’Italia”. Ad essi va ilnostro imperituro grazie.Filippo Cigala Fulgosi

Dopo 70 anniPer una memoria creativadella Resistenza

La nascita della Valtoce

Uno degli elementi distintivi della Divi-sione partigiana “Valtoce” era, oltreal caratteristico fazzoletto azzurro, ildistintivo da petto costituito da un fregioin stoffa rettangolare anch’esso azzurrorecante una stelletta d’argento, con untriangolo tricolore all’altro estremo. Seil tricolore richiamava l’Italia - ed ilmotto della formazione era appunto “Lavita per l’Italia” - la presenza di quellastelletta non era casuale, tenuto contoche dal dicembre del 1871 le stellettemetalliche a cinque punte costituisconoil segno dell’appartenenza alle ForzeArmate, quale “…distintivo più carat-teristico dell’uniforme del soldatoitaliano”, un distintivo caro ad AlfredoDi Dio, il comandante “Marco”, chevolle la formazione partigiana “Valtoce”militare nel senso migliore del termine.Significativo come la stelletta rappre-sentasse in qualche modo un segno diideale continuità con le Forze Armateitaliane e le sue tradizioni, mentre percontro i reparti della Repubblica SocialeItaliana pur indossando il grigioverdeportavano però al bavero il gladio romano.Ma al di là della simbologia, l’improntadata da “Marco” alla sua formazione nonriguardava solo l’aspetto organizzativo,volto a trasporre in un reparto partigianoe perciò destinato alla guerriglia unaorganizzazione di tipo militare, superandole carenze strutturali, logistiche e gerar-chiche di formazioni nate sul campo edin clandestinità e destinate ad operare incondizioni assai diverse rispetto a quelle diun esercito regolare, ma andava ben oltre.Per altro nel Regio Esercito la forma-zione del personale in generale e degliufficiali in particolare, era ordina-riamente rivolta alla preparazione aiconflitti convenzionali e solo nell’ottobredel 1942 l’Ufficio Addestramento delloStato Maggiore pubblicò, con dirama-zione fino a livello di reggimento, lacircolare n. 36.000 avente come titolo“Combattimenti episodici ed azioni diguerriglia”, firmata dal Capo di StatoMaggiore dell’Esercito generale Ambro-sio, basata sull’esperienza al fronteorientale ed in Jugoslavia, esaminandoi problemi tattici e logistici derivanti daquel differente modo di combattere perbande, che oggi sarebbe definito comeconflitto asimmetrico.Superando le pur esistenti problematicheoperative, per Alfredo Di Dio il caratte-rizzare militarmente la sua formazionepartigiana era anche assunzione di unimpegno a garantire l’imparzialità poli-tica e partitica nella lotta di liberazione,facendo prevalere il bene della Patriasu qualsiasi altra considerazione contin-gente. Come ha scritto Enrica Andoardinel suo lavoro sulla Divisione Valtoce,contenuto nel libro “Cattolici e azzurri”edito nel 1973 dall’Istituto Storico dellaResistenza nella provincia di Novara eValsesia, la formazione “…sarà secondogli intendimenti di Di Dio, prettamentemilitare, senza interferenze di caratterepolitico, e avrà come unico scopo quello

di salvare l’Italia. E’ già presente inquesto programma un inizio di polemicaverso le formazioni di colore, in parti-colare nei confronti dei comunisti. DiDio riteneva che costoro non avesserocome scopo immediato quello di liberarel’Italia dagli occupanti, ma quello dipreparare, con le armi e gli uominidestinati alla lotta contro i tedeschi, laguerra civile e la rivoluzione politica.Egli infatti non poteva certo condividereun tale programma, ma soprattutto eraconvinto del fatto che le due istanze nondovessero convivere; cioè prima oc-correva, indipendentemente dalla fedepolitica, cacciare gli stranieri dall’Italia,e poi in un secondo tempo cercare lasoluzione al problema dell’assetto po-litico del paese”.Il concetto di formazione partigiana“militare” e perciò prioritariamentestrutturata ed organizzata all’esclusivoservizio dell’Italia, appare come coerenteprosieguo dell’impegno assunto da partedi chi entrava a far parte delle ForzeArmate con il giuramento alla Patriaed anche al Re ma mai al fascismo, cosìcome nella formula introdotta nel1929 durante il periodo della dittatura.Un concetto, quello del comandante“Marco”, che attraverso l’impronta“militare” data alla “Valtoce” anticipavain qualche modo quanto si sarebbe poidelineato nel dopoguerra, in sede diredazione della nuova Carta costitu-zionale, nel momento in cui si dibattevacirca la definizione del ruolo delleForze Armate nel contesto dello Statorepubblicano sorto dalla Resistenza.Significativo in proposito come nel corsodei lavori preparatori alla Costituzione,quando venne discusso l’art. 52 - ed inparticolare il comma secondo il quale“L’ordinamento delle forze armate siinforma allo spirito democratico dellaRepubblica”- davanti ad alcune per-plessità e dubbi espressi dai componentidella Costituente, che attraverso quellafrase temevano una possibile politi-cizzazione degli organismi militari, ilrelatore on. Umberto Merlin risposeche invece “… noi vogliamo l’esercito(termine inteso quali FF.AA. - n.d.a.)come istituzione al di fuori e al di sopradella politica, composto da uomini deditisoltanto al servizio della Patria…”.Oltre settant’anni dopo, nonostante lasospensione dell’art. 52 della Costitu-zione nella parte relativa all’obbligo dileva e l’introduzione del modello pro-fessionale e l’arruolamento volontarioanche femminile, quel concetto dipartigiano “militare” imparziale, al difuori e al di sopra della politica, è quantomai attuale, un concetto che Alfredo DiDio aveva fatto proprio, condividendolocome valore concreto insieme a coloroche gli furono al fianco nella lotta diliberazione, testimoniando a Finero conil suo estremo sacrificio che “La vitaper l’Italia” non era solo a parole ilmotto della “Valtoce”.Pier Antonio Ragozza

Le stellette della “Valtoce”

Alla fine degli anni ottanta un grup-po di amici partigiani della DivisioneValtoce e delle altre formazioni chediedero vita al RaggruppamentoAlfredo Di Dio decise di acquistareda una famiglia privata la casa sitaall’attuale civico n. 131 della viaAlfredo Di Dio, attualmente ospitan-te oltre al museo partigiano la biblio-teca comunale, al fine di allestireall’interno dell’immobile un museodedicato alla resistenza locale eprincipalmente alla storia partigianadella Divisione Valtoce comandatada Alfredo Di Dio.L’immobile fu scelto perché nelcorso dell’autunno 1944, durante gliattacchi sferrati dalle forze nazifa-sciste al fine della riconquista delterritorio libero della RepubblicaPartigiana dell’Ossola, la casa fucolpita dall’artiglieria nemica, comeconfermano le schegge dei proiettilivisibili presso l’attuale strutturamuseale.Al fine di gestire anche dal punto divista finanziario il Museo, fu costi-tuita dai partigiani, come risultadall’apposita certificazione dellaCancelleria Società Commercialipresso il Tribunale di Milano, indata 14 gennaio 1986, la società“Raggruppamento Alfredo Di Dio- Società Cooperativa a Responsa-bilità Limitata” con sede a Milanoin via Griziotti 4.La consistenza non trascurabile deglioneri economici e fiscali connessialla gestione della società fannopropendere i soci a favore dellaliquidazione e dello scioglimentodella compagine societaria e a fa-vore della cessione a titolo gratuitodell’immobile ospitante il Museoal Comune di Ornavasso.Nell’anno 1992 la società “Rag-gruppamento Alfredo Di Dio - So-cietà Cooperativa a ResponsabilitàLimitata” è messa in liquidazionee sciolta.I partigiani, ex soci della società infase di scioglimento, in data 8 feb-braio 1992, decidono di costituireun’apposita sezione Verbano CusioOssola dell’Associazione Raggrup-pamento Patrioti Alfredo Di Dio.Compito primario della sezioneVCO risulta essere la gestione delMuseo Partigiano in collaborazionecon il Comune di Ornavasso.Il 25 marzo 1992, il Consiglio Co-munale di Ornavasso mediante ledelibere n. 7 e 8, ha disposto diaccettare la donazione proposta dallasocietà cooperativa costituita daipartigiani per la gestione del Museo.Mediante questo atto la strutturamuraria che ospita il museo è stataceduta gratuitamente al Comunedi Ornavasso, il quale Comune hariconosciuto la piena autonomiadell’Associazione Raggruppamen-to Patrioti Alfredo Di Dio nell’alle-stire, organizzare e gestire gli spazimuseali.Le autorità comunali, acquisendola proprietà dell’immobile, si sonofatte carico delle spese strettamentecollegate alla conservazione e allafunzionalità ricettiva dell’edificio.Il museo, negli anni, ha ospitatonumerosi visitatori ed è stato fre-quentato da scolaresche provenienti

da varie zone d’Italia, collaborandosempre con la Biblioteca Comunalee con le Scuole elementari e mediedi Ornavasso.Alcuni visitatori sono giunti nonsolo dal Piemonte e dalla vicinaLombardia, ma anche da altre regio-ni d’Italia. Si è altresì segnalata lapresenza di visitatori stranieri, inparticolare dalla Svizzera e dal Co-mune elvetico di Naters.Di particolare rilevanza è risultataessere la visita di un gruppo di rap-presentanti e volontari del Museodella Fortezza di Naters nel 2013,alla quale nel medesimo anno hafatto seguito una visita di collabo-ratori del Museo ornavassese pressoil museo svizzero: si è trattato diun proficuo scambio culturaleall’insegna del reciproco interessee della cordialità, preludio di futureiniziative che potranno coinvolgerei due enti museali.Negli ultimi anni il museo ha cono-sciuto importanti ed indispensabiliinterventi.Prima è stato interessato dalla ristrut-turazione dello stabile al fine diadeguare l’edificio che lo ospita alleattuali disposizioni vigenti in materiadi sicurezza e agibilità, in seguitoha avuto luogo l’opera di riallesti-mento, il tutto grazie ai generosifinanziamenti della FondazioneCariplo e alla collaborazione con leautorità comunali.Il Museo si è arricchito così di unanuova sala al piano terreno intera-mente dedicata a Ornavasso nellaResistenza; essa consente agli orna-vassesi più anziani di spiccare untuffo nel loro passato, rivedendofotografie, narrazioni di episodi le-gati alla loro infanzia o gioventù epermette ai più giovani di compren-dere quale fosse il contesto storicoe sociale nel quale operavano ipartigiani e i fautori della Resi-stenza; è stata resa possibile graziealla disponibilità di molti cittadiniornavassesi che hanno deciso didonare al museo scritti, corrispon-denza, fotografie, tessere, medaglie,cassette audio relative ai loro cariimpegnati nella Resistenza. I parti-giani, vale a dire i diretti testimonidegli avvenimenti storici oggettodell’esposizione museale, hanno fon-dato il museo e procurato il materialeivi esposto. Il museo di Ornavasso,proprio perché sorto per iniziativadi un gruppo di partigiani, hapermesso di calare nella loro realedimensione i protagonisti della Re-sistenza, rendendoli di carne e ossa

e sottraendoli a quella dimensioneestremamente idealizzata del-l’olimpo degli eroi ove paiono essereconfinati dal comune sentire dellapopolazione.Ricordo ai lettori che saranno sempregraditi ulteriori contributi da partedi chiunque intenda fornire materialerelativo alla storia della Resistenza,assicurando un ulteriore arricchi-mento della dotazione museale.La struttura del Museo, inoltre,consta di ulteriori tre sale: la salastorica posta al piano terreno e altredue sale disposte al primo pianodell’edificio.Tra i cimeli ospitati dalle due saleal primo piano merita una particolaremenzione il telo del paracaduteutilizzato per gli aviolanci da partedegli alleati alle formazioni partigia-ne, reperto che riesce a trasmettereparticolari emozioni ai visitatori,soprattutto ai giovani studenti. IlMuseo Partigiano non vuole essereun semplice ricovero di cimeli ereperti sugli avvenimenti dellaResistenza, ma un centro di pro-pulsione di iniziative culturali,rispettando così i propositi dei suoifondatori.Per iniziativa dell’associazione chegestisce il museo hanno avutoluogo in questi anni, alla presenzadi un pubblico appassionato, pre-sentazioni di libri, letture e rap-presentazioni teatrali, in modo daattualizzare e diffondere il piùpossibile, in particolar modo tra legiovani generazioni di oggi, i con-tenuti etici e i valori per i quali igiovani patrioti di allora hannocombattuto.I visitatori del Museo, godono delprivilegio di poter conoscere unaccompagnatore d’eccezione, ilPartigiano della Valtoce SergioCerri, classe 1926, insignito deltitolo di Cavaliere della RepubblicaItaliana conferitogli il 4.11.2014per Ordine al Merito della Re-pubblica Italiana dal PresidenteGiorgio Napolitano. L’Associa-zione che gestisce il Museo aderiscealla F.I.V.L. di cui è presidentenazionale il partigiano GuidoDe Carli.Ricordo, infine, che per ragioni or-ganizzative il Museo è disponibileper visite di gruppo o individualiprevia prenotazione telefonica con-tattando il Comune di Ornavassoovvero il n. 380/5035749.Il Presidente del Museo PartigianoRaggruppamento Alfredo Di DioEmanuele Rossi

IL MUSEO PARTIGIANOraggruppamento Alfredo Di Dio

La mattina del 10 settembre del 1944,in Domodossola liberata entrano i patriotidelle formazioni partigiane tra una follaesultante. Mentre nella prima notte siriaccendono le luci per le strade e nellecase, ritornano dalla Svizzera i fuo-riusciti, dagli importanti nomi e dalleeroiche personali storie di antifascismo;alcuni di essi costituiranno la Giunta diGoverno Provvisoria. Inizia quel brevema intenso periodo di 44 giorni, riccodi significati civili, culturali, politici. Intanto fervore di partecipazione alla vitadella zona liberata dell’Ossola, sonopubblicati due giornali ufficiali dellaGiunta di Governo: Liberazione e ilBollettino quotidiano di Informazioni,una vera e propria Gazzetta ufficialedella Giunta. Ogni formazione vuoleavere il proprio giornale, anche la Valtoceha il suo foglietto ed è, come il fazzolettodistintivo, azzurro: “valtoce, volantinodella divisione e degli aderenti allaformazione” (cm.17x24,5), ne uscirannootto numeri. Il 15 Ottobre Giorgio Buri-dan, dal Comando della Valtoce a Ba-ceno, in un rapporto al S.I.P. di Giorgio I(Aminta Migliari) sulla drammaticasituazione di quel momento, scrive chel’avv. Mari (Natale Menotti) e il Com-missario Filopanti (Emilio TranquilloColombo) “fanno opera e propagandadi quieto vivere temendo che l’azzurroValtoce venga ancora a turbare il loroburocratico sonno”. Sono, infatti, moltovivaci i toni del foglietto azzurro e fervidele polemiche che esso provocò con laGiunta. Racconta Aristide Marchetti,(Ribelle, Hoepli, Milano 2008): “27 set-tembre. Il secondo numero del volantinoValtoce è giunto questo pomeriggio alfronte di Ornavasso. Distribuzione ecommenti. Un vivace e polemico articolodel commissario ‘Giorgio’ è, per cosìdire, l’editoriale odierno”, nell’articolo,di cui Marchetti riporta una parte, defi-nisce quali siano gli ideali e la posizionepolitica della Divisione, che è innanzituttomilitare, definisce tutto il programmadella Valtoce nel motto “La vita per l’Italia”e risponde a quelli che la chiamano conmalevola ironia “Opera pia”, - “operapia” fin che volete ma in gamba acombattere - così scriverà Giorgio Boccain Una repubblica partigiana.Questo polemico confrontarsi tra ilValtoce e i giornali della Giunta nonostacolò l’amicizia tra Giorgio Buridan,redattore del Valtoce, e Livio Oddicini,redattore di Liberazione.Gli articoli del volantino non sono firmati,con l’eccezione della Relazione del-l’attacco a Gravellona Toce, firmatadal tenente Dido (sul n. 4 del 29 set-tembre).Enrica Andoardi in Cattolici e Azzurri,(ISRN, Novara 1973) attribuisce erro-neamente la direzione dei piccoli fogli“Valtoce” a Giovanni De Micheli Rolli,ma il nome Giovanni De Michele Rolli(e non De Micheli) appare come di-rettore soltanto dal n. 11 del 1 Giugno1945 del nuovo “Valtoce”, quindi dopola Liberazione.“VALTOCE”, anno II, 1945 - Il volan-tino della 1° Divisione del Raggrup-pamento Divisioni Patrioti Cisalpine“Alfredo Di Dio”Dopo la morte a Fìnero del comandanteAlfredo Di Dio “Marco”, il suo vice Eu-genio Cefis “Alberto” assume il comandodegli uomini della Voltoce, che nelleprime ore del 23 ottobre, dopo l’ultimaresistenza alle forze nazifasciste inVal Formazza, raggiungono attraversoil Passo San Giacomo la Svizzera, dovei partigiani sono internati in apposticampi. Giorgio Buridan, fugge a feb-braio del 1945 dal campo Thörigen,Canton Berna, verso il Ticino, dove amarzo 1945 a Lugano presso il Con-solato americano incontra il coman-dante Alberto (Eugenio Cefis), il quale“mi reca buone notizie della mia fami-glia e mi affida al rientro la direzionedell’intero Ufficio Stampa”.Attraverso la montagna del Limidarioancora innevata, Giorgio rientra il 3aprile in Italia e a Gignese, diven-tata sede della ricostituita Valtoce,

“VALTOCE” 1944Il volantino azzurro

incontra il comandante “Alberto”. Diquesto incontro e dell’incarico avuto dalui di formare un giornale del Raggrup-pamento Divisioni Patrioti “Alfredo DiDio”, che ora riunisce la Divisione Val-toce e la Divisione Alto Milanese, scriveGiorgio Buridan il 18 aprile: “Alberto miincarica di formare al più preso un effi-ciente giornale del Raggruppamento……mi recherò a Busto Arsizio, sedeclandestina del Comando del Rag-gruppamento. ... Decido di riprendereil vecchio ‘Valtoce’, da me fondato altempo dell’occupazione ossolana. …Trascorro le giornate riordinando ilmateriale che già posseggo ed aggiungonuove idee. Ma il vecchio spirito della‘Volante’ riaffiora”. Avvengono i primicontatti con quelli che saranno i colla-boratori nella redazione del nuovo“Valtoce”, con una prima base a Mas-sino, vicino a Lesa. I nomi dei collabo-ratori, oltre all’amico Franco ritrovato eanche lui fuggito dalla Svizzera, sonoDomenico, un ex ufficiale di collega-mento con gruppi garibaldini, che“diviene il segretario e l’amministratoredell’Ufficio Stampa”, e l’avvocatoGiannino, dei quali non siamo riusciti atrovare altre notizie.In data 7 maggio 1945 a Giorgio Buridanviene rilasciato un documento in cui“Alberto” dichiara che il CommissarioPolitico di Brigata nella Divisione Valtoce,anziano della formazione, è inquadratocome Commissario di Raggruppamentoper l’Ufficio Stampa.Non si sono trovate molte notizie sulgiornale Valtoce del 1945 Enrica An-doardi, nel già citato “Cattolici e az-zurri”, fornisce qualche notizia sulgiornale: nel marzo del ‘45 a BustoArsizio si decise la ripresa della pubbli-cazione chiamando a costituire la reda-zione i partigiani Alberti (Eugenio Cefis),Bertolotti e Vanini. Non si sa come acco-stare a quelli indicati da Giorgio Buridanquesti nomi, che non si trovano mai innessuno dei numeri di Valtoce a disposi-zione; riscontrabile e quindi certo è chefino al numero 9 del 18 maggio le unichefirme sono quelle del Commissario diguerra “Giorgio” (Giorgio Buridan) edel dottor Coramina, autore anchedella rubrica fissa “Giannino medita”.Soltanto dal numero 11 del 1° giugnoappare il nome del direttore: GiovanniDe Michele Rolli. In un documento dell’archiviodell’INSMLI, C39, 4., riportato dall’An-doardi, sono definite le linee programma-tiche a cui dovrebbe attenersi il Valtoce:“Il patriota Alberti [Eugenio Cefis “AlbertoAlberti”] prenderà visione del foglio inquestione e in accordo con il comandodella Valtoce dovrà immediatamente sta-bilire i contatti con le persone citate sulfoglio stesso e provvedere a pubblicareil foglietto, nonché a diffonderlo e renderlogradito. Nella sua posizione dovrà asso-lutamente fare anche da censore delfoglio, curando che non vengano sfioratielementi di politica ma si trovi sempreun binario di stretto militarismo. Il fogliodovrà portare articoli vari di propagandaantinazifascista, commenti di azioni dinostri uomini, articoli con commenti diazioni di uomini di altre formazioni, bol-lettini delle azioni della div. Raccontinidi atti eroici della div., stralci di articolitratti da altri fogli del Raggr. E osserva-zioni di punta per portare sulla giustavia comandanti che si trovassero in errorefacendo notare qualche inconvenienteche si produce nelle formazioni, prenden-do uno stile elegante ma deciso, evitandoche gli articoli producano screzi tra leformazioni”.Due firme siglano il documento: Il Comm.Pol. Giorgio [Aminta Migliari] e il Com.Mil. Capri [Enrico Mattei].Nella lettura degli articoli pubblicati siha l’impressione che “Giorgio” e “Dott.Coramina”, uniche firme del giornale nellaprima metà dei numeri usciti, si sentisseropiuttosto liberi, per nulla condizionati dadirettive precise e autoritarie per quantoautorevoli.Nel suo diario Giorgio Buridan raccontadel 24 aprile alla ricerca infruttuosa diuna tipografia che “mi stampi l’articolosull’insurrezione, che ho frettolosa-mente composto, ed altri appelli allapopolazione”, e della notte tra il 24 e

VALTOCE IL GIORNALE DELLA DIVISIONEil 25 aprile passata a scrivere, conl’Avvocato e Domenico, sulla battagliaa Baveno, e “una breve storia dellaValtoce”, iniziando “un altro pezzo sullastoria del Raggruppamento”, ma diquesti articoli non si è trovata traccia.Il 28 aprile scrive Giorgio “Abbiamo inmacchina più di 2000 copie del ‘Valtoce’,che è appena uscito con il resocontodelle battaglie svoltesi…da Lesa a Mi-lano è tutto un panneggiamento di tri-colori e di rosse bandiere comuniste,socialiste e recanti il bell’emblema diGiustizia e Libertà”. Passiamo velociper gli abitati lanciando a fasci i giornaliche la gente raccoglie avidamente.”.Può essere questo il giornale senzanumero, dove accanto alla prima partedell’articolo di Giorgio Buridan dedicatoai fratelli Di Dio, a firma del Dottor Co-ramina si trova, sotto il titolo “I fatti”, lastoria di quegli ultimi giorni, dai sabo-taggi per salvare le dighe del Toce, dell’8e 10 e 13 aprile, la marcia del Valtoceverso Milano, con la liberazione di Ome-gna, Baveno, Stresa, Belgirate, Lesa,Meina, Arona:“La Valtoce marcia. LaValtoce vince. La Valtoce dilaga e ster-mina, libera e redime. Con i canti deisuoi ragazzi, riconduce la vera Italia nelleterre d’Italia.”. La sera del 28 si lavora alnuovo numero, il 29 vi è la sfilata, di cuila cronaca nel numero 2 del 30 aprile ènell’articolo “Fiori e pallottole” che portala firma di Dottor Coramina, ma compostosu appunti di Giorgio Buridan, lo stessonumero porta l’articolo “La colonna infame”,a firma di Giorgio, sulla Colonna Stamm.

Si ha in questo periodo del Valtoce lacronaca di quei primi giorni dopo laLiberazione, il ricordo dei compagnicaduti, le riflessioni sul recente passatoe sul presente già investito di granderesponsabilità, e c’è anche il ritornoalle feste più riservate, con sguardidivertiti come quello su Rino Pachetti,comandante della Valtoce che, in viaPalestro al Comando della “Lorenzini”,durante la festa per gli ufficiali della Val-toce, è notato mentre “con una scollatis-sima signora in abito verde, procedeva,per la sala, ad occhi socchiusi ed eviden-temente sognava l’assalto al fortino diStresa”!Maria Silvia Caffari

Tra le motivazioni alla medaglia d’oro alvalor militare conferita ad Alfredo Di Dio,oltre ai meriti militari, si legge: “...dotatodi alte qualità educative...” e sorprendeancor più scoprire che egli morì a 24anni, da poco compiuti. Dunque qualecapacità educativa può essergli statariconosciuta? E quale formazione pote-vano ricevere dei “ribelli”, dei “fuori legge”clandestini e affamati, durante la lorovita alla macchia? Essere diventati“fuori legge” innanzi tutto non significavaessere senza legge, bensì essersi messifuori dalle leggi di Mussolini per staredalla parte dell’Italia, in uno spazio nor-mativo che si riferiva al periodo prece-dente il ventennio fascista.Le scelte individuali, spesso dettate daragioni contingenti, dovevano tuttaviafondersi in una scelta collettiva. Gli orien-tamenti politici dovevano attendere laliberazione dal nazifascismo per esserecompiutamente esercitati ed espressi.La lotta per la libertà doveva essereconiugata con una rigorosa disciplinamilitare. Il desiderio in molti di cambia-mento istituzionale doveva confrontarsicon un referendum popolare. Questacomplessità di idee e questa diversità diposizioni richiedeva una capacità di gui-da di alto livello, di grande equilibrio efermezza, ma anche la consapevolezzadi dover esercitare una forte azioneeducativa per una corretta convivenzacivile, per una positiva prestazione militaree per l’efficacia nell’azione.Di poche parole, ma attento ai particolarie rispettoso dei suoi uomini, AlfredoDi Dio era un comandante consapevoledelle necessità educative dei partigiani,di provenienza eterogenea, ma animatida un unico grande obiettivo: liberarel’Italia dai nazisti e da quei fascisti aoltranza, che non avevano saputo pren-dere le distanze dal potere di Hitler.“Marco”, nome di battaglia, era all’epocastudente di giurisprudenza a Pavia, eraentrato all’Accademia Militare di Modenaed assegnato sottotenente istruttore alprimo reggimento carristi di Vercelli;severo e amato da tutti i suoi uomini delprimo Gruppo Ossola, poi Valtoce, a chimilitava nella divisione Valtoce impartivadunque un’educazione militare sianell’uso delle armi, che nella conoscenzadelle leggi di guerra, ma dava soprattuttol’opportunità di curare anche l’aspettospirituale della formazione nella dimen-sione laica e in quella religiosa per lapresenza costante dei sacerdoti, alcunipartigiani essi stessi, come don Sisto

Bighiani e don Massimo Ghilardi “donBurla”, altri parroci o coadiutori e animatoridei giovani dell’Azione Cattolica, comedon Giovanni Garavaglia, per citare soloqualcuno di un lungo elenco.La Divisione Valtoce, dichiaratamenteapolitica e apartitica, si ispirava nei valorie nei principi di cui era promotrice allospirito del Risorgimento, che traeva linfada Mazzini, Gioberti, Tommaseo, Rosminie che voleva un’Italia libera e unita,perché “... una d’arme, di lingua, d’altare,di memorie, di sangue e di cor...”(A.Manzoni); così il motto della Valtoce“La vita per l’Italia” esprimeva in sintesiquesto spirito risorgimentale. La prioritàdata all’educazione militare e all’azionebellica, la necessità quotidiana di pro-curare cibo sufficiente per tutti erano allabase della vita di ogni giorno, ma con-temporaneamente non si trascuravala necessità di sostenere i valori laici ecristiani che davano il senso compiutoal sacrificio di una scelta irta di pericolie di privazioni, dove la morte era semprein agguato.Il bisogno di manifestare le proprie posi-zioni autonome, trovava la sua naturaleespressione sul volantino azzurro intito-lato Valtoce nel periodo dell’Ossola libe-rata, a settembre – ottobre 1944, duranteil quale fu designato addetto stampaGiorgio Buridan, all’epoca giovanestudente del gruppo comando delladivisione. Il giornale fu sospeso con ilripiegamento in Svizzera e ripresoalla fine delle ostilità nell’aprile 1945.Oltre all’esperienza di educazione che ipartigiani vivevano nella realtà di quelloche oggi verrebbe definito un “progettoeducativo”, durante il periodo della GiuntaProvvisoria di Governo dell’Ossola libe-rata si sentì impellente la necessità diaffrontare i problemi della scuola in vistadell’apertura del nuovo anno scolastico1944/45; se ne occuparono figure diprimo piano: il prof. Carlo Calcaterradell’Università di Bologna, il prof. Gian-franco Contini dell’Università di Friburgo,il prof. Mario Bonfantini e il Commissarioall’istruzione don Gaudenzio Cabalà.Costoro non si limitarono ai problemicontingenti di copertura delle cattedre,del calendario e degli orari, della dispo-sizione di lasciare liberi gli edifici scolasticiper l’avvio del nuovo anno, del pagamen-to degli stipendi agli insegnanti e agli altriaddetti, ma affrontarono di petto la que-stione dei programmi e degli orientamentipedagogici e didattici di un’Italia chestava riconquistando la libertà, mentre

dappertutto imperversava ancora la guer-ra! Ed eccoli all’opera per una dichiara-zione di principi in cui si legge: “... Leparole educare o rieducare non possonosignificare se non rifare spiritualmentel’Italia, preparando gli Italiani ad esserese stessi con piena coscienza della tra-sformazione che oggi si svolge nellasocietà europea e negli stati di tutto ilmondo con esigenze di carattere univer-sale....” si indica una scuola umanistica“... nel senso più largo che questa parolaaveva già nei tempi migliori della culturaitaliana, vale a dire, nel senso che pergradi siano armonicamente sviluppateed educate negli alunni tutte le formedello spirito che innalzano e tempranol’uomo, tenendo presenti le fondamentalisue esigenze gnoseologiche, religiose,morali, civili, estetiche, scientifiche, sociali,politiche....” concludendo che la scuoladovrà essere “progressista e attiva”,ispirandosi alle teorie più avanzate nelmondo da Rousseau, a Pestalozzi aFroebel con finalità sociali che pongonoalla base il lavoro e la partecipazioneattiva degli studenti. Per la realizzazionedi questi principi erano necessari nuovitesti scolastici, la soppressione del librodi Stato alle elementari, per cui la com-missione si mise al lavoro e si invitaronogli insegnanti a sostituirsi con iniziativeproprie e ad avvalersi del gran libro dellanatura!Ecco ancor oggi potremmo così definirei confini della libertà d’insegnamento,gli orientamenti europei e globali dellacultura e della formazione, l’attenzionealle metodologie più avanzate e attive!Loro hanno avuto 44 giorni di tempoed una giunta “provvisoria” di governo;noi, grazie a loro, 70 anni di libertà enumerosi governi più o meno stabili:cosa abbiamo fatto finora? Quali pro-spettive ai giovani? Quali strategie difronte alle nuove trasformazioni in atto?Quale lezione dal passato? Anche dellalibertà bisogna saper riconoscere lagenesi, il perimetro e le potenzialitàin ogni campo, a partire dall’educazione.

INTITOLAZIONE SCUOLEAlcune scuole sono state intitolate avalorosi partigiani patrioti della Valtocecaduti per l’Italia: scuola primariaAlfredo Di Dio Ornavasso; scuolaprimaria Mario Greppi San DonatoMilanese; accademia d’armi Alfredo eAntonio Di Dio Emma Cremona.

Margherita Zucchi

Quale educazione? Quale scuola?

supplemento al n. 15 del giornale Sabato,settimanale di informazione per Novarae provincia, che ora esce magicamenteda un cassetto dove è stato conservatoper lunghi anni dalla signora ValeriaCrosa Lenz e gentilmente concesso dainipoti Mario e Roberto Cantamessi perla duplicazione.Il Comune di Ornavasso e i volontari delMuseo della Resistenza, raccolgono que-sto piccolo tesoro dimenticato che riemergedal passato e che, meglio di qualunquealtra cosa, ci permette ora di commemorareil 70° anniversario del sacrificio della propriavita di Edmondo Rossi, comandante dellabrigata Antonio Di Dio, di Mario Albertini,di Sergio Bovo, di Sergio Jonghi, di EnricoMenconi, di Andrea Oliva, di Aldo SaglioSalti, i Ribelli per Amore. Ma oggi, alsettantesimo della Liberazione Nazionale,sentiamo che sono quei caduti per laPatria a rivolgerci la domanda sul sensodel loro sacrificio e sull’attualità del mes-saggio della Resistenza.

Sono passati dalla Liberazione 70 anni econ gli anni anche le Commemorazioni.In occasione del 20° anniversario si pub-blicava un numero speciale del Valtoce,

Mondo è stato catturato. Era tornatoa casa assieme all’amico Rini, voleva-no salutare i loro cari ma non avevanotenuto conto che esistono le spie.Scappavano ma Rini era impeditoda un piede ingessato per una ferita,voleva che l’amico corresse veloce, simettesse in salvo ma Mondo non l’havoluto abbandonare. Sono stati presi,condotti a Migiandone. Rini come feritonon poteva essere ucciso ed è statotenuto come merce di scambio, Mondocondannato a morte e fucilato sul pontedi Ornavasso. Il 25 aprile non era lon-tano. Girom è stato ferito ad un braccioin una delle ultime battaglie. Ora sono a Milano che con papà assi-sto alla grande parata. Sono allibita,va bene che vengono da tante partima sono così tanti! Sfilano i rossi,un’enormità ecco gli azzurri, veramentetroppi, finalmente un labaro con scritto“battaglione Mondo” ma quanti sono?Del vecchio battaglione solo Giromè scampato e quello nuovo non mirisulta così numeroso. Forse molti diloro sono gli eroi della Svizzera, dellaFrancia. -Papà andiamo via- Sonodisgustata, mi giro e dietro di me c’èGirom col braccio destro al collo “cheschivi” dice e se ne va scuotendo latesta. Ricordo quel braccio bianco nonso se per le bende o per il gesso. E nonci siamo nemmeno salutati. 25 aprile 2013 sono a Ornavasso, alMuseo della Resistenza. Mi guardoattorno, come è cambiato da quandol’ho visto diversi anni fa! Ora è piùbello, più moderno; foto e cimeli risal-tano bene. Prima era come uno sbiadito‘bianco e nero’, ora è un luminoso ‘acolori’. Attorno a me facce giovani, mirendo conto di essere ormai anch’io unvecchio cimelio, una dei pochi testimoniancora in vita. Mi fanno vedere articoli,foto, la giacca di Mondo. Sono tuttimolto cortesi, sono i figli, i nipoti diquelli di allora. Guardo foto, cerconomi ma di Girom nessuna traccia. Giàanni prima l’avevo cercato, nessunolo conosceva, pareva sparito nel nulla.Mi regalano magnifico mazzo di fiori.Domani lo deporrò la dove Mondo èstato ucciso.

Il Sentiero Di Dio è nato dall’intui-zione del partigiano “tenente Barba”,al secolo Vincenzo Beltrami, perrievocare l’ardire e i sacrifici dei resi-stenti, per invitare a studiare la storiache dal settembre ‘43 al 25 apriledel 1945 fu scritta a caratteri di sanguedalla parte migliore dei combattentie dalla popolazione di allora, per nondimenticare, per conoscere le amareesperienze e trarne insegnamento divita. Il sentiero Di Dio segue il tracciatodell’antica strada dei pellegrini dellaValle dello Strona verso il Santuariodella Madonna del Boden, nei giorniin cui in quel luogo, ai piedi dellaMadonna, si ritrovavano per implorarela sua protezione. Ed ancora il sentiero

dissetarsi, da un pezzo di pane pertranquillizzare la fame dei partigianio da una tana nel pavimento per oc-cultare un ferito, un fuggitivo spaesatoe tanti altri aiuti e partecipazioni,sfidando il proclama di Kesserling, lesue intimidazioni, orribili, soprattuttoperché era appurato che non eranomancate le esecuzioni. Scriveva ilTenente Barba: “Dei nostri sempliciracconti, sicuramente però rispettosidella verità di allora, il mio auspicioè che possano essere di aiuto soprat-tutto ai giovani che si avvicinano almuseo di Ornavasso per conoscere lenostre esperienze e trarne insegna-mento, perché cresca nel mondo lagiustizia e la carità così l’Olivelli

nella sua preghiera Ribelli per amore.Vittorio Beltrami, il Presidente dellaCasa della Resistenza a Fondotoce, unodei ragazzi di Rosambolmo nella prima-vera del 1944, nella presentazione dellaValle dello Strona nella bufera invocala necessità di fare memoria e richiamaalla nostra indagine una lapide postaalle porte della Repubblica dell’Ossola,che non ho mai potuto osservare, né co-noscere l’autore al quale va però la mialode ed approvazione.“Chiusa è la storiadella Valtoce ma non la sua vita. Nellaterra che bevve il suo sangue essa vive.(Da Finero in Val Cannobina, per tuttal’Ossola, sul Strona e Sambughetto,nella ValstronaMottarone, fino a n.d.s.)Nei cuori degli uomini che fremono

ne ricordava i luoghi frequentati dairibelli di un tempo il più travagliato edoloroso della nostra terra. Il sentiero ilpiù frequentato è quello scelto da Alfre-do Di Dio con il tenente Cesare Bettinie Carlo Zanini, il carabiniere, dopoessere ritornati in Valstrona il lunedì diPasqua dell’anno 1944 per ricomporre,dopo la morte del fratello Antonio aMegolo e il carcere a Novara, unaformazione riprendendo con più vigorela lotta all’oppressione nazifascista.Ed è anche il sentiero che fu percorsodai partigiani che dalla Valstronasi avventurarono nella Valle dell’Os-sola per portare il loro contributo per lapace e per la libertà partendo dalla par-rocchiale di Massiola con il patrociniodi un umile prete morto da più di unsecolo e mezzo fa, umile e generosocome quei giovani che abbandonata lacasa, senza la prospettiva di un premioo di una ricompensa, senza l’esterioritàdi sfarzose divise, ma per lo più con gliabiti laceri, vissero per lunghi mesibraccati dappertutto su questa montagna,mossi soltanto dal bisogno di reagireall’oppressione fascista.Da Massiola al santuario del Bodenla lunga via è cosparsa da numeroselocalità, teatro ognuna di una storiadella gloriosa avventura partigiana:luoghi ricordati da una tragicaconclusione o da un sorso d’acqua per

e gioiscono al suo nome. Essa vive.Nelle generazioni che verranno, cuisalvò la possibilità di esistere in libertàgiustizia essa per sempre vivrà”.La possibilità di esistere in libertà.La Libertà, il dono più grande cheDio ha fatto ad ogni uomo è una con-quista che non ammette distrazioni.Sulla scorta della linea tracciata dalmaestro Vincenzo Beltrami, il 15giugno 2015, nell’anno settantesimodella fine della Guerra di Liberazione,sarà proposta la nona edizione del“Sentiero Di Dio”, per continuare aservire con la memoria e il ricordo lacausa della Resistenza.

Paolo Rossetti

Ho 16 anni, è autunno, sono a PieveVergonte e guardo il cielo azzurro.Non una nuvola, non un aereoplano.L’Osssola è stata liberata ma gli aiutipromessi non arrivano mai. Il campodi atterraggio preparato nei pressidi Villadossola è vuoto. Niente armi,niente sostentamenti, niente di niente,anzi, gli Alleati vogliono che i parti-giani si ritirino, che abbandonino ilterritorio liberato. Ma loro si sono ri-bellati. Con poche armi, poche muni-zioni, scarso equipaggiamento voglionoessere pronti a respingere il nemicoche certo vorrà rioccupare l’Ossola.Combattono in Val Vigezzo e ad Orna-vasso. Ci sono morti, feriti, combattonofino allo stremo ma poi sono costrettia ritirarsi sulle montagne, a ripararein Svizzera assieme ai feriti. Tra di loroc’è Fausto del Ponte, fratello di unamia amica.Ora non sono più a Pieve a contemplareun cielo vuoto, a ricordare una battagliaperduta. Mi trovo in una grigia cucinadi una vecchia casa di paese, ci sono treuomini, Sono Mondo (il comandante),Mario e Girom. Loro mi hanno presceltocome contatto sicuro con la Rumiancadi cui mio papà è direttore.Lì, ho lasciato i miei 16 anni pieni diallegra spensieratezza, lì mi sono resaconto di come vivevano, braccati,sempre in allerta. Quando dovevanorifugiarsi in montagna erano guai. Glialberi spogli non davano protezione, laneve tratteneva le orme, difficile se nonimpossibile accendere un fuoco. Il fumoavrebbe segnalato la loro presenza,l’odore pure. Avevano bisogno di tutto,soldi, sale (preziosa e sicura merce discambio), esplosivi, razzi, vestiti, bian-cheria e scarpe per quelli che eranolontani da casa.E sapevano che la morte era sempread aspettarli dietro l’angolo; per loronessuna Convenzione di Ginevra. Cosìè stato. Mario è morto con altri duementre scappava su per la montagna:non volevano dare battaglia così vicinoal paese, la rappresaglia avrebbe uccisotanti innocenti. Uno di loro aveva inmano una bottiglia di glicerina che pocoprima avevo consegnato.

25 APRILE 1945

Il sentiero di Dio

Sono ancora ad Ornavasso, Margheritami porta in giro, cerco di ricordarmidove era quella casa ma troppi anni sonopassati, troppi cambiamenti. Chiedia-mo anche di Girom, ormai per me è unchiodo fisso. Mai esistito. Ci fermiamoda una vivaista, voglio prendere dei fiorida portare a Vogogna ai miei cari. Èuna parente di Rini e da lei ho alcunedelucidazioni. Stiamo per uscire quandomi viene un lampo. “Scusi signora, hamai sentito nominare Girom?” “Certo,era un grande amico di Mondo e di Rini-erano sempre assieme” “È qui? È vivo?”“Non ne so niente, so solo che era diGravellona.” Finalmente!!! Ora chiedo e spero che vengano fattericerche che anche il suo nome vengaonorato assieme a quello dei suoi com-pagni, Mondo, Mario e Rini.Avevo 16 anni, ora 87. Ma quei ricordine hanno sempre 16, vivi, presenti, avolte terribili, a volte amari. Qualcunomi fa ancora sorridere.Tu, che hai letto questo mio scritto, tiprego, guarda il cielo, unisciti a meper gridare grazie ai tanti sconosciutiGirom, ai tanti Mondo, Rini, Mario chehanno voluto combattere per amore dellaloro terra, senza nulla chiedere, senzanulla avere, donando anche la loro vita.

Ester Maimeri PaolettiLa staffetta azzurra