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Gianni VolpeI pregiati legni

A rendere considerevole il patrimonio artistico e decorativo della chiesa di San Pietro in Valle contribuiscono non poco anche i “ricchi arredi” – come li definisce l’Albrizi1 – ed in particola-re l’apparato decorativo ligneo realizzato da fa-legnami, intagliatori, ebanisti e indoratori vari. I pezzi sono tutti straordinari, senza eccezioni, con un ventaglio di forme e tipologie veramente unico. Si va infatti dai più comuni arredi e sup-pellettili (sedie, scranni, panche) ai confessionali, dalle balaustre agli inginocchiatoi, dai reliquiari al pulpito, dagli armadi della sagrestia alle can-torie; tema quest’ultimo per il quale si rimanda al successivo capitolo di Giovannimaria Perrucci e Michele Tagliabracci, Lo spazio musicale nella tradizione dei Padri Filippini di Fano. Ma non possiamo non elencare in questo contesto anche il preziosissimo crocifisso ligneo sull’altare della cappella della Natività (la terza a destra entrando in chiesa) e il busto di San Pietro collocato lungo la navata, sul pilastro di fronte al pulpito.Lo straordinario arredo è frutto della produzione di artisti e artigiani da sempre attivissimi in città nella decorazione dei luoghi sacri e che anche in San Pietro in Valle non hanno fatto manca-re i loro preziosi interventi artistici; botteghe di tradizione strettamente locale, come ha ben evi-denziato tempo fa Franco Battistelli in un saggio sull’artigianato artistico fanese:

[…] più di una chiesa fanese e del contado ha conservato e conserva significativi esempi di arte dell’intaglio (grandi altari lignei, cantorie, con-fessionali, stalli corali, pulpiti, genuflessori, ar-madi, credenze, tavoli e altro ancora) e perché sono noti i nomi di almeno tre intagliatori fa-nesi: Giovanni Battista Fontana, un certo Men-carelli e quel Girolamo Ghirlanda (o Grilanda) che nel 1692 ha lasciato nella prima campata destra della Cattedrale di Urbino una prege-vole statua lignea di san Pietro e che a Fano, nello stesso anno ebbe ad intagliare la perduta ‘cona’ per l’altare dell’Oratorio di san Filippo Neri, pagatagli cento scudi , mentre nel 1678, per l’adiacente chiesa di San Pietro in Valle, ave-va realizzato ‘un ornamento di intagli, e figure dorate’, utilizzato per ‘le quarant’hore’ e costato ‘poco meno di 500 scudini’ 2.

In una città di mare come Fano, da sempre at-tiva non solo nella tradizione peschereccia, ma pure in quella della costruzione di imbarcazio-ni, la lavorazione del legname ha sempre espres-so un artigianato di qualità. Molti documenti dimostrano come questa attività abbia radicato nei ceti popolari, tanto che molti modi per indi-care le diverse mansioni in questo settore sono poi passate ad indicare anche attività estranee al settore marinaro. Per esempio, il termine marangone (che comprendeva maestri d’ascia e carpentieri) è il più indicativo di questa commi-stione di ruoli tra costruttori di scafi e falegnami veri e propri3. Un nutrito numero di botteghe artigiane operava dunque in città distinguendo-si in lavori che hanno sempre contraddistinto l’alta professionalità e la manualità di questo settore produttivo. Ma torniamo a San Pietro e partiamo dalla scultura lignea tout court, in particolare dalle statue che ancora oggi ornano l’interno della chiesa.

I crocifissi ligneiUna prima descrizione di queste opere d’arte ci viene dal Ligi:

Nel 1675 il P. Baldassarre Ricci donò un Cristo morto di legno lavorato da buono scultore, e fu collocato nel vano dell’Altare della SS. Annunzia-ta, introdottavi la devozione in tutti i venerdì di marzo, benché questo cessasse, quando nel 1706 da P. Domenico Federici fu donato un ben scolpito Crocifisso, che oggi si venera nella capella del Sig. Cav. Lodovico Marcolini.Nel 1677 un quadretto di S. Filippo Neri, che sta-va a pie’ del Crocifisso dell’Altare Maggiore fu ven-duto al P. Gio. Batta Brisighelli, e in vece vi si pose quello delle cornici d’ebano, ove era la reliquia di S. Filippo Neri donato alla nostra Congregazio-ne dal Sig. Giulio Diotallevi della Congregazione di Roma, sebene dopo molti anni anche questo fu rimosso per collocarvi un ornamentuccio di argen-to con dentro una reliquia di S. Mutio Martire donato dal P. Camillo di Montevecchio; quan-do poi il P. Pentili della Congregazione di Roma nell’anno 1705 mandò in dono una piccola scat-tola di reliquie autentiche, fra le quali v’era anche il Legno della SS. Ma Croce, fu levata la reliquia

A fronteIl crocifisso ligneo nella Cap-pella della Natività

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non autentica dal detto reliquiario, et adattatavi la scattola accennata per esporla decorosamente, ne più il detto reliquiario si tenne frequentemente ap-peso al detto Crocifisso, ma solo nelle feste solenni si espose4.

Dalla descrizione del Ligi pare dunque che più d’uno fossero i crocifissi lignei presenti in chie-sa. Oggi, nella terza cappella a destra entrando (Cappella della Natività, poi detta del Crocifis-so, appannaggio della famiglia dei Marcolini) si trova ancora quello donato nel 1706 dall’abate Domenico Federici. Si tratta di un lavoro attri-buito dai più al cavaliere padovano Pietro Liberi (1605-1687), la cui storia però ancora non è del tutto chiarita. Il Ligi, ritornando a descrivere questa cappel-la, pur confermando ed usando praticamente la stessa espressione del documento preceden-te, ancora una volta non fa nessuna attribuzio-ne, ma si limita a ribadire che il crocifisso è “di buon autore” e che fu il Federici a regalarlo:

Il quadro dell’altare di questa capella rappresenta-va la Natività del Signore, et era stato fatto dipin-gere dal detto signor Marcolini, della qual tavola, siccome delle laterali gl’ eredi del medesimo signore ne tengono in casa le memorie. Oggi però restituito il quadro della Natività al signor Cav. Lodovico Marcolini, è stato posto in luogo di quello un Cro-cifisso di rilievo di buon Autore, che il P. Domenico Federici ha donato alla medesima capella, e come vi è intervenuto il consenso del sopradetto sig. Cav. Lodovico padrone della capella, così per salvare il jus del Crocifisso posto in luogo del quadro al me-desimo signor e suoi ne ha bisognato far seguire in strumento che fu stipulato dal Sig. Gio Batta Moranti archivista sotto li 23 novembre 1706 5.

Stefano Tomani Amiani nella sua Guida Stori-co Artistica di Fano lo segnala come un pezzo di grande rilievo del pittore Pietro Liberi6. A tutt’oggi la storiografia artistica lo dà al Liberi suffragando una tradizione non del tutto accer-tata7. Infatti in altri testi è riportata la notizia che questa statua, venuta dalla Germania, fu opera di un fiammingo8.Resta il fatto che le biografie dell’artista lo de-

scrivono sostanzialmente come pittore (il Me-schini considerava il Liberi “il più dotto dise-gnatore della scuola veneziana” del suo tempo, come a dire che il suo ambito è ben altro9) e non citano alcun lavoro scultoreo, tanto meno ad intaglio10.Sue opere (quadri) furono acquistate dal Fede-rici, donate all’Oratorio e poi rivendute, come ha scoperto Giuseppina Boiani Tombari nelle sue ricerche11. Ma c’è anche da aggiungere che il Federici nella donazione di libri e oggetti alla Congregazione spesso include pezzi provenienti dalla Germania, come ci conferma ancora una volta il Ligi:

Nel 1680 di luglio il P. Domenico Federici donò un calice grande d’argento con figure smaltate la-vorato in Germania […]12.

In conclusione resta il sospetto che anche il cro-cifisso della chiesa fanese altro non sia che pezzo, come dire “lavorato” in Germania, passato per le mani del Liberi e poi finito a Fano tramite il Federici. Il busto di San Pietro Si trova sul pilastro di sinistra della navata della chiesa, proprio di fronte al pulpito. Il Ligi nel suo testo dedicato alla Congregazione dell’Ora-torio appunta:

Donò a questo nuova sposa il signor Guido Nolfi una Testa di Bronzo ritratto di S. Pietro Apostolo e questa adattata su un busto di legno colorito de uniformità della Testa, nell’anno 1619 fu collocata come gioia in una delle colonne con la sua inscrit-tione a lettere d’oro su piccola pietra di paragone, come pur oggi si vede13.

Il Tomani Amiani nella sua Guida citata, de-scrivendo anch’egli questo monumentale pezzo scultoreo, ci fornisce altri dettagli, nonché il te-sto della lapide alla quale poc’anzi faceva riferi-mento il Ligi:

Risalendo alla sinistra in una nicchia dorata ed in-cavata nel Pilastro della prima arcata, posa sovra largo mensolone, fin dal 1619, un busto colossale

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Il busto di San Pietro sul pi-lastro della navata di fronte al pulpito in una vecchia foto d’archivio

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Il busto di San Pietro sul pi-lastro della navata di fronte al pulpito

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di legno, la cui testa in bronzo di antico getto e di atletiche e squisite forme, rappresentante oggi S. Pietro fu dissotterrata dall’alveo del Tevere nel 1600, ed acquistata dal benemerito cittadino no-stro Guido Nolfi, il quale ne volle donata a questa Chiesa. Una breve epigrafe sottoposta alla menso-la ricordava ai venturi un cotal atto di religiosa larghezza; ma poiché al tempo in che viviamo più non si legge, ne sapremmo addurne scusa o ragione, teniamo buono il riportarla in stampa, unico modo di riporre in onoranza quegli atti pii e cortesi, che talvolta un mal genio sembra voler cancellati a tut-ta forza dalla memoria degli uomini.

DIVI PETRI ECCLESIAMPETRI AENEO INSIGNI CAPITEGUIDO NOLFIUS DECORAVIT

PRESB. GRATI, POSUEREMDCXIX14

Giuseppe Scipione Scipioni nel suo saggio de-dicato alla chiesa fanese mette in dubbio che si tratti veramente di un’effigie del santo:

E fu in questa occasione [consacrazione della chiesa nel 1616 nda] che Guido Nolfi, largo pa-trocinatore di ogni cosa bella e utile alla sua città natale, come dotto e ricco cittadino, donò una testa di bronzo ritrovata nel Tevere l’anno 1600, che fu battezzata per la testa di S. Pietro, sebbene nulla osti che rappresenti piuttosto un imperatore o un console romano: sorte non dissimile da quella che ebbe il S. Pietro del maggior tempio della cristiani-tà. Tale testa adattata su un busto di legno colorato a bronzo e annerito costituì la statua che, l’anno 1616, fu posta sul pilastro di fronte al pulpito con l’iscrizione che v’è ancora15.

Relativamente all’autore della parte bronzea, Lui-gi Serra16 e Cesare Selvelli17 lo attribuiscono a Daniele da Volterra; attribuzione ancora oggi ri-petuta dalla “guida rossa” delle Marche del TCI18. Concludiamo questo tema con il riproporre il testo di un elzeviro scritto nel 1997 dal profes-sore Aldo Deli e che ancora oggi resta attuale:

Un tempo era un onore e un dovere dei cittadini rendere belle le chiese o per i villici rendere belle le

edicole, le ‘figurine’ sparse nei viottoli della campa-gna. Un modo, direte, tutto esteriore; un modo che però faceva sentire la Fede anche come Cultura: uno dei tanti modi!. Tempi lontani; c’è speranza che non siano morti.Qualcuno certamente conoscerà la storia del busto di S. Pietro posto in posizione eminente in una ben lavorata nicchia della chiesa di S. Pietro in Valle a Fano. La più bella chiesa barocca delle Marche! Il busto di S. Pietro merita due parole nonché un monito all’attuale proprietario (il Comune).Correva l’anno 1600 e a Roma, nel Tevere, venne pescata una testa bronzea di buona fattura e in ottime condizioni: vi ravvisarono una testa di S. Pietro. Nessuno seppe dire quando e come quella testa fosse capitata nel fiume. La testa del Santo venne nelle mani di Guido Nolfi, alto funziona-rio di Curia, che certamente l’acquistò da un an-tiquario. Dopo averla fatta inserire in un busto ligneo, che la completava e abbelliva, la regalò ai padri oratoriali di S. Pietro in Valle perché la col-locassero nella loro nuova chiesa fanese. Gli ora-toriali trovarono degno posto al busto nel 1619. Il complesso è eccezionalmente bello. Ma, ecco il solito ma, i tarli non hanno avuto nessun rispet-to del busto ligneo che ha urgente bisogno di una disinfestazione per essere restituito allo splendore e al vigore originali. La chiesa è del Comune. Qual-cuno dovrà pur pensarci: le cose belle, quelle che fanno ‘cultura’ costano; ma sono soldi spesi bene19.

Il busto di San Pietro, parti-colare delle chiavi

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Qui e nella pagina a fronte Il pulpito con la sua ricca de-corazione dorata

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Il pulpitoCome si diceva all’inizio, oltre queste opere d’arte, la chiesa di San Pietro in Valle conser-va anche arredi e mobili di grande manifattura. Uno dei più rappresentativi è il pulpito.Si trova sul lato destro della navata e presenta una struttura chiusa su tre lati, con all’interno lo scranno di seduta. E’ opera molto ricercata, fatta di legno dorato e dipinto, con angoli inclinati e smussati e una ricca trabeazione, curatissima nel dettaglio. La balaustra è ornata da pilastrini torniti a fuso e tutte le decorazioni intagliate e le cornici sono dorate a foglia. Negli anni scorsi il manufatto è stato sottoposto ad un completo re-stauro, interamente finanziato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Fano ed approvato dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico delle Marche di Urbino.

Il Genuflessorio dei PuttiIl cosiddetto Genuflessorio dei Putti è un pezzo veramente straordinario. Già il Francolini, nella seconda edizione della sua Guida di Fano, del 1873, lo segnalava con queste parole:

Innanzi all’altare maggiore di questa chiesa è un genuflessorio, ammirato lavoro in noce e di perfetta scoltura”20.

Il pezzo ha dimensioni molto aggraziate, circa 1.20 cm di lunghezza, 0.90 di larghezza e 0.70 di altezza, con il piano di appoggio, sagomato e a spigoli arrotondati, retto lateralmente da due putti più alti, aiutati da altri due più bassi a braccia alzate posizionati sotto la piana di legno.Anche il piano inferiore, per poggiare le ginoc-chia, presenta sagomature e arrotondamenti tali degli spigoli da sembrare accogliente e morbido come un cuscino. Una composizione plastica veramente particolare ed efficace, ben riuscita tecnicamente e che ben si accordava con lo stile barocco del resto dell’arredo. Maddalena Trionfi Honorati nel suo testo Arredi lignei delle Marche lo attribuisce all’intagliatore francese Dionisio Plumier21.

Inginocchiatoi, banchi ed altri lavori ligneiLa Trionfi Honorati, poc’anzi citata, nel suo testo dedicato ai migliori esempi di artigianato artistico del legno nelle Marche, mostra la foto-grafia di un altro inginocchiatoio, della tipolo-gia “a cassone”, anch’esso collocato nella chiesa di San Pietro in Valle22. Si tratta di un tipico mobile a panca, ma del quale non abbiamo po-tuto rintracciare la storia. Per descrivere questo e gli altri tipi di arredo ancora sparsi nella chiesa occorre pertanto rifarsi a quanto scriveva tempo fa Franco Battistelli:

Sempre del primo Fontana si sa inoltre che ebbe a disegnare ‘i banchi e i coretti’ del ricordato (e oggi scomparso) Oratorio di San Filippo Neri, ‘prima che si cominciassero [ad opera del bolognese Lau-ro Buonaguardia] le pitture e fu nel 1695, quan-do ‘sotto il 30 decembre hebbe il suo emolumento per il palco da piedi scudi 42 e baiocchi 26’. Tutto ciò induce a pensare che anche parte degli arredi

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lignei dell’adiacente fastosa chiesa di San Pietro in Valle possano aver avuto nel Fontana il loro auto-re, anche se pare difficile potergli attribuire gli ar-tistici confessionali o il busto ligneo in cui fu adat-tata la cinquecentesca testa bronzea di San Pietro (ripescata a Roma nelle acque del Tevere) […]” 23.

Ad un “mastro Fontana” fa riferimento anche il Ligi per la realizzazione di torcieri e leggii di legno:

Nell’anno 1678 furono fatti lavorare da M.ro Fon-tana sul torno due torcieri di legno per collocare dentro la cappella Maggiore a certi bisogni in nostra Chiesa, e di fattura valsero quattordici paoli.[…]Nell’anno 1688 il Fratel Matteo Pitocco della no-stra Congregazione donò due tele negre per copri-re il Catafalco il giorno de Morti, e doi banchetti d’abeto per compire il detto catafalco. In questo medesim’anno furono levati i cuscini dagl’Altari, e fatti lavorare da M.ro Fontana falegname tanti

Leggii di pero colorito di negro, che pur’oggi si ve-dono in ogni capella della nostra Chiesa24.

Ma la lista non si ferma qui. Sempre il Ligi se-gnala inoltre che:

[…] sportelli di noce intagliati fatti lavorare da un Mastro forestiero che arredavano la cappella della SS. Annunziata.[…]Del 1679 Ms. Nicola Candiotti fece lavorare a tor-no due aste, e colorite, e dorate, le donò alla Chiesa nostra per sostener le lampade alla Cappella della Madonna e del S.to Padre.Nel 1687 da un intagliatore anconetano, che stet-te alcuni giorni in Casa nostra furono lavorate le cartelle della Gloria, del lavabo e dell’Inprincipio, e fatte dorare furono collocate in ogni altare delle Cappelle della Nostra Chiesa.Del 1687 la sedia di corame, che stava appresso l’Inginocchiatore del Governatore in nostra Chiesa, fu levato e postavi una sedia migliore, che donò la

Il Genuflessorio dei Putti (Fano, Pinacoteca Civica)

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Sig.ra Francesca Contessa Bonarelli. Nello stess’an-no per opera del P. Camillo di Montevecchio et a tutte sue spese furono fatti tutti i Banchi di Noce per il Coro con i piedi di doi Bandinucci e più fu-rono rinovati i Banchi del Magistrato, gl’inginoc-chiatori per il Vescovo e Governatore, gl’altri due inginocchiatori lunghi presso al Confessionale sotto l’Organo. Di più donò lo stesso P. Camillo gli strati tutti con li suoi guanciali per coprire nelle feste so-lenni i detti inginocchiatori; […] e più donò una sedia con doi banchettini di riccami per il celebran-te e cantorini nelle feste solenni ai Vespri, e cinque sedie di Broccatoni per li Magistrati; e fece indorare quattro reliquiari per l’Altar Maggiore, dove altri quattro piccoli Reliquiari donò Donna Antonia Ligi, che hanno dentro oggi di quattro Agnus di cere benedette, ma collocati su altro altare in Chie-sa nostra. Di più il detto P. Camillo Montevecchi nell’anno 1689 donò un crocifisso d’argento con la sua croce d’ebano per l’Altar Maggiore […]25.

Il Ligi termina poi l’elenco degli arredi con una lista “d’altri mobili avuta in Casa in varie occa-sioni”, così descritti:

[…] un leggio dorato e per le messe all’Altar mag-giore avuto per dono da Frate Matteo Pitocco, e dal Fratell’Antonio Magi; un Baldacchino grande lavorato avuto per dono del P. Camillo, e l’ultimo ornamento d’intagli e figure dorate fatto da M.ro Girolamo Grillanda (vedi scheda La bottega dei Grillanda di Gianni Volpe), che alla Congregazio-ne ha costato poco meno di 500 scudini, con altri Mobili, che si saranno forse trascurati di porre alla notizia, non se ne fa qui se non confusa memoria26.

Anche in sagrestia c’erano mobili di pregio. Ce lo dice sempre il Ligi nella sua storia della Con-gregazione:

Ai mobili della Chiesa devono ragionevolmente

Inginocchiatoio di San Pietro in Valle (da Trionfi Honorati)

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aggiungersi i mobili anche della Sagrestia, come le Tovaglie, Pannicelli, Camici, Pianete, Piviali, Parapetti d’Altare, e Argenti che si conservano in buona parte entro un Armadio di noce lavorato dal M.ro Paolo Grillanda nell’anno 1665 per il prezzo di 70 scudi27.

Non si tratta ovviamente degli arredi della sa-grestia odierna, ma della precedente, trasforma-ta in forme neoclassiche da Pietro Ghinelli, per la quale si rimanda alla scheda Il restauro degli elementi lignei della sagrestia di Gianni Volpe.

Curiosità finaliSempre dal Ligi abbiamo tratto queste “notizie sparse” che comunque hanno a che fare con il nostro tema. La festa dei falegnami (marangoni) a San Giuseppe, spesso si teneva proprio a San Pietro in Valle. L’appunto che segue ci ricorda quella tenutasi il 19 marzo del 1625:

Adi 19 marzo 1625 tutti i marangoni della città si unirono a far celebrare la festa di S. Giuseppe in Chiesa nostra, che però diedero doi scudi28.

Nel 1690 è registrata la notizia della sistemazio-ne della scala di legno che porta al campanile:

Nel mese d’Agosto l’anno 1690 fu rinnovata la scala di quercia al campanile, e rifatto di nuovo il pennello, e insieme indorato29.

Nel giugno del 1661 si prese infine un provvedi-mento del tutto particolare:

Ne mese di giugno l’anno 1661 furono fatti appli-care i sportelli ali confessionali di Chiesa per levare à secolari l’occasione d’entrarvi a dormire mentre si celebrano i divini officij30.

Balaustra del presbiterio, particolare del cancelletto

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Uno dei confessionali della chiesa e particolari del me-desimo

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Note

1. A. Albrizzi, Quadro storico-topografico della città di Fano, Venezia 1763, p. 2. F. Battistelli, Fanesi illustri del secolo XVII, in A. Deli (a cura di), Fanno nel Seicento, cit., p. 328; F. Battistelli, Intagliatori e intar-siatori a Fano e dintorni fra XVII e XIX secolo, in G. Calegari, P. Giannotti, Il mobile pesarese. Dai maestri artigiani alla produzione industriale, Urbania 2000, p. 62. 3. il termine, di derivazione veneziana, stava ad indicare sia i lavora-tori del legno delle navi che quelli delle case. Venezia, città d’acqua, mescola inevitabilmente queste due figure essendo stati necessarii in quel contesto lavoratori del legno che avevano dimestichezza sia con le imbarcazioni, le palate, i pontili, le palificazioni subacque e sia con le case stesse, fondate sull’acqua. Alla fine la corporazione dei marangoni riuniva tutti i lavoratori del legno, sia marittimi che della terraferma. Cfr. M. Bartoletti, Una città adriatica fra Medioevo e Rinascimento Documenti della marineria di Fano nei secoli XIV-XV-XVI , Urbania 1990 , p. 61.4. J. Ligi, op. cit., pp. 82-83.5. J. Ligi, op. cit., p. 97. Il documento redatto il 23 novembre 1706 di cui parla il Ligi è riportato nell’appendice documentaria redatta da Giuseppina Boiani Tombari alla fine di questo stesso volume. Cfr. BFF, Mss. Federici, n.185, p.151: “La famiglia Marcolini essen-do divisa in tre rami si unì a fabbricare tre cappelle di marmo ma-gnifiche nella chiesa di San Pietro e cioè l’altare maggiore e 2 prime laterali e cioè San Paolo e della Natività di N.S. con una sepoltura in mezzo comune alle tre famiglie.” 6. S. Tomani Amiani, op. cit., p. 162.7. Il Selvelli nella sua ultima edizione della Guida di Fano del 1943 scrive di “un Crocifisso scultoreo di Pietro Liberi padovano, che, secondo un’antica guida, l’avrebbe fatto in Germania” (p. 72), mo-dificando così quanto scritto nella edizione del 1909 (“un Crocifisso in rilievo del Liberi”, p. 34). G.Calegari, Cappella Nolfi e chiesa di S. Pietro in Valle, in A. Deli, Fano nel Seicento, Age, Urbino 1989, p, 154. sottolinea che “questa scultura in legno ne rivela grandi capa-cità realistiche” [del Liberi]. A. Deli, L’abate Domenico Federici, in F. Battistelli (a cura di), Biblioteca Federiciana Fano, Firenze 1995, pp. 19. Anche Franco Battistelli si allinea alla tradizione che lo attribu-isce al Liberi: “Per quanto riguarda le opere più propriamente scul-toree si tratta invece, almeno nei casi più rilevanti, di commissioni esterne all’area marchigiana come quella del bel Crocifisso attribuito al padovano Pietro Liberi, donato nel 1706 dall’abate Domenico Federici ai Padri Filippini per la terza cappella sulla destra della chie-sa di San Pietro in Valle”. F. Battistelli, Intagliatori e intarsiatori a Fano e dintorni fra XVII e XIX secolo, in G. Calegari, P. Giannotti, Il mobile pesarese. Dai maestri artigiani alla produzione industriale, Urbania 2000, p. 65. Cfr. F. Battistelli (a cura di), Biblioteca Federi-ciana Fano, Firenze 1994, p. 19. 8. Le “guide anonime” conservate presso la Biblioteca Federiciana di Fano e pubblicate con commento critico da parte di F. Battistelli in Anonimi Sec. XVIII, Pitture d’Uomini Eccellenti, che si vedono in diverse chiese di Fano, “Quaderni di Nuovi studi fanesi”, Fano 1995, pp. 31-39, riportano spesso questa notizia. G.S. Scipioni, La chiesa di San Pietro in Valle, in “Rassegna Bibliografica dell’Arte Italiana”, anno I, fasc. 11-12, 1898, p. 233, solleva anche lui qualche perples-sità sul Liberi : “La cappella della natività del Signore fu fatta erigere e ornare dalla Congregazione, ceduta poi per 440 scudi ai signori Marcolini. I quali vi avevano collocato un quadro fatto dipingere da loro, ma fu tolto ben presto per porvi il Crocifisso di legno che v’è ancora, dono del Padre Domenico Federici e che si dice opera del cavaliere Liberi, mandata di Germania; nel manoscritto citato è detto solamente di Buono autore.” 9 G. Meschini, Della origine e delle vicende della pittura in Padova, Padova 1726, p. 112.10. Nato a Padova nel 1605, il Liberi fu un uomo di varia e am-pia cultura, come testimonia l’elenco dei libri che formavano la sua biblioteca. Visse un’esistenza audace ed avventurosa e la sua vita fu

segnata da un lungo peregrinare condito da avventure di sapore ro-manzesco. Dopo una prima formazione presso il Padovanino partì nel 1628 alla volta di Costantinopoli. Salpato da Costantinopoli nel 1632 su una nave greca, fu fatto schiavo da “due vascelli di Bar-beria”, condotto a Tunisi, vi rimase alla catena per otto mesi. Tra il 1633 e il 1636 seguì il cavaliere Antonio Manfredini in alcune spe-dizioni contro i Turchi sotto lo stendardo del Granduca di Toscana. Nel 1637 partì per Lisbona passando per Genova e la costa francese, soggiornò anche a Madrid e successivamente si trasferì a Barcellona. Da qui ritornò in Francia, a Marsiglia, e di nuovo a Livorno. Nel 1638 lo sappiamo in viaggio per Roma mentre l’anno successivo è documen-tato prima a Siena e poi a Firenze, dove dipinge l’affresco con la Gloria di Casa Medici nell’Oratorio dei Vanchetoni. Nel 1643 è di nuovo a Venezia dove, inizialmente, viene menzionato come imitatore di Guido Reni. Tra le lagune soggiornò fino alla mor-te, salvo un viaggio a Vienna, dove Leopoldo I lo creò conte palatino dell’Impero (1658), ed una breve tournée in Germania, Boemia e Un-gheria, dopo la quale rientrò ancora a Venezia con grandi onori. Venne anche insignito dal doge Molin del titolo di cavaliere di San Marco. A testimonianza dell’elevata posizione economica e sociale raggiunta, il Liberi si fece costruire tra il 1671 e il 1673 dall’amico Sebastiano Maz-zoni un palazzo sul Canal Grande (palazzo Moro-Lin). La sua influen-za valse inoltre a promuovere il Collegio dei pittori veneziani, separato dalla Fraglia dove trovavano sistemazione anche semplici artigiani qua-li ad esempio i doratori, e del quale fu nominato nel 1682 primo prio-re. Pietro Liberi si spense a Venezia il 18 dicembre 1687. Per maggiori informazioni si rimanda a G. Gualdo Priorato, Vita del Cavaliere Pietro Liberi scritta lui vivente dal conte Galeazzo Gualdo Priorato vicentino l’anno MDCLXIV, Vicenza 1818) e alla voce Pietro Liberi curata da Alberto Crispi nel Dizionario biografico degli Italiani, vol. 65 (2005).11. Documento del 28 gennaio 1735 riportato nel’appendice docu-mentaria redatta da Giuseppina Boiani Tombari alla fine di questo stesso volume: La Congregazione dei Vescovi e Regolari trasmette al vescovo di Fano il memoria presentato dai Padri dell’Oratorio di San Filippo Neri di Fano affinchè informi la medesima sopra il contenuto. “Eminentissi-mi e Reverendissimi Signori. La Congregazione e Padri dell’Oratorio di S.Filippo Neri di Fano devotamente rappresentano all’Eccellen-ze Vostre aver essi trovato nell’eredità lasciatagli dalla bo:me: del P. Federici diversi mobili e quadri Sacri e Profani per la maggior par-te però copie di diversi autori ad essa Congregazione superflui, quali ritrovandosi in necessità di risarcire la sua chiesa e di fare degl’uten-sili sagri per la sagrestia, come pianete, camisci et altro, supplicano pertanto l’Eccellenze loro degnarsi concederli la licenza di vendere li suddetti mobili per convertirne il di loro ritratto nelli suddetti risar-cimenti et utensili. […]” Nel processetto inserito si trova la risposta del vescovo che attesta la veridicità dell’esposto dei Padri dell’Oratorio ribadendo che il padre Federici per testamento lasciò i suoi beni alla Congregazione e che fra quelli mobili vi sono 12 quadri superflui per il valore di circa quattrocento scudi, come attestato “da pubblici docu-menti”, che vorebbero vendere per impiegarne il ricavato per l’acquisto di utensili per la sagrestia e per risarcire la chiesa. I “pubblici documen-ti” sono costituiti da due perizie sottoscritte ed autenticate dal notaio. La prima, in data 9 marzo 1735, è di Arcangelo Fontana e Bernardo Bianconi che attestano: Noi sottoscritti periti nell’arte di falegname cioè io infrascritto Arcange-lo Fontana e Bernardo Bianconi nell’arte di indoratore attestiamo e ri-feriamo rispettivamente: per risarcire li pilastri della Chiesa di S.Pietro ora di stucco con ridurli di legno che ascendano al n.80 in circa, di spesa per legname e fattura vi vogliano scudi sedici romani e per indorare e risarcire ove bisogna li detti pilastri ed altro daneggiati vi si richiedono tra oro e fattura scudi cento di paoli e così riferiamo rispettivamente aco col nostro giuramento. In fede.Io Arcangelo Fontana perito falegname affermo quanto sopra mano propria.Io Bernardo Bianconi perito indo-ratore affermo quanto sopra mano propria. Segue la sottoscrizione in data 9 marzo 1735 del notaio Bartolomeo Bettini che avviene nel sacello della chiesa di San Pietro alla presenza dei testi Camillo Ar-cangeli e di Carlo Bernardini. La seconda perizia allegata è datata 2

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I PREGIATI LEGNI

novembre 1734 ed è di mano di Giuseppe Foschi pittore: “Un qua-dro che rappresenta S.Antonio col Bambino sc.10 Quadro bislungo che rappresenta un ratto [probabilmente ritratto] origina di Pietro da Cortona sc.25. Il ritratto dell’imperatrice Eleonora con corni-ce grande dorata sc.15. Un quadro che rappresenta S.Apollonia con cornice nera e cristallo sc. 24. Un altro simile che rappresenta S.Lucia sc. 30. Un quadro grande che rappresenta il Bambino, la Beata Vergine e S.Giuseppe con Due Angeli con cornice nera e filo d’oro sc.18. Un quadro bislungo rappresentante Deum? Con di-verse figure originale del Liberi sc. 10. Un quadro che rappresenta la fucina di Vulcano con cornice del Liberi sc. 100. Un quadro che rappresenta Iezabelle divorata da cani originale del Girolamo sc. 100. Un piccolo quadro con entro due piccole storie in tela rotonde con cornice sc. 5. Un quadro che rappresenta il Redentore legato sc. 6. Un quadro che rappresenta una storia ovato con cornice sc. 15”.12. J. Ligi, op. cit., p. 91.13. J. Ligi, op. cit., p. 38. Di questo busto si legge anche in Anonimi sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F. Battistelli, Quaderno di “Nuovi studi fanesi”, Fano 1995, p. 72. Cfr Catalogo delle migliori pitture, sculture ed architetture della città di Fano del manoscritto del marchese Ricci conservato presso la bi-blioteca pubblica Mozzi-Borgetti di Macerata riporta che: La testa di metallo posta nella nicchia di fronte alla cattedra si dice antica e ritrovata nel Tevere l’anno 1600.14. S.Tomani Amiani, op. cit., p. 165.15. G. S. Scipioni, op. cit., p. 231. Cfr. O.T. Locchi, La Provincia di Pesaro ed Urbino, Editrice “Latina Gens”, Roma 1934, pp. 510-511.16. L. Serra, Elenco delle Opere d’Arte Mobili delle Marche, in “Ras-segna marchigiana per le arti figurative, le bellezze naturali, la musi-ca”, anno III, num. X.-XII, luglio-settembre 1923, p. 393.17. C. Selvelli, Fano e Senigallia, Bergamo 1931, p. 81. 18. Guida TCI, Marche, Milano 1979, p. 164.19. L’articolo San Pietro in bronzo e in legno….tarlato comparve su “Il Nuovo Amico” nel 1999 ed è stato poi ripubblicato in A. Deli, I merli di Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Società Tipografica, Fano 2008, p. 40.

20. E. Francolini, Guida di Fano, Fano 1877, p. 57. Il Selvelli nella sua Guida di Fano, Fano 1924, p. 53, lo definisce “un bel lavoro di scultura in legno”, mostrandone addirittura una fotografia. Cfr. C. Selvelli, Fano e Senigallia, Bergamo 1931, p. 84; O.T. Locchi, La Provincia di Pesaro ed Urbino , Roma 1934, p. 509. Sempre il Selvelli nella sua ultima edizione della Guida di Fano, presentandolo come un “lavoro d’arte di robusta vivace scultura in legno” annotava anche che “ordinariamente” il mobile era posto davanti all’altare”, come peraltro mostrano tutte le cartoline dell’interno della chiesa degli anni Cinquanta-Sessanta. Il mobile è oggi conservato presso il Mu-seo Civico della città, dove fa bella mostra nel grande salone centrale.21. M. Trionfi Honorati, Arredi lignei nelle Marche, Bergamo 1993, p. 75, scrive: “Avvicinerei al nome del Plumier il bellissimo inginoc-chiatoio della chiesa di San Pietro in Valle a Fano, oggi in Pinacoteca, con quattro putti che lo reggono a fatica”. Cfr. F. Battistelli, Intaglia-tori, cit., p. 64.22. M. Trionfi Honorati, op. cit., p. 76.23. F. Battistelli, Intagliatori, cit., p. 64.24. J. Ligi, op. cit., pp. 83 e 85-86. 25. Ibidem, pp. 84-85.26. Ibidem, pp. 92-93.27. Ibidem, p. 86. Cfr K. Del Baldo, La bottega degli scultori Grillan-da di Fano, in Scultura e arredo in legno fra Marche e Umbria, a cura di G.B. Fidanza, Atti del primo Convegno, Pergola 24/25 ottobre 1997, Perugia, p. 181.28. Ibidem, p. 95.29. Ibidem, p. 97.30. Ibidem, pp. 96-97.

Armadi intagliati dal bolo-gnese Francesco Grimaldi e completati dal Fontana nel 1678-79 per la Biblioteca Fe-dericiana (da Trionfi Hono-rati)

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Si tratta di una delle più importanti e longeve botteghe artigiane fanesi dedite alla lavorazione del legno, spesso indicata nei documenti sotto il nome di Grilanda, Grillanda o Ghirlanda. Una bottega attiva almeno per un secolo (prima metà del XVII secolo - prima metà del XVIII secolo) attraverso le figure di Paolo – il primo esponente documentato –, Giacomo, Girolamo, Giovanni Battista, Giu-seppe e Michele, ultimo rappresentante.Paolo Grillanda (1621-1691), che sembra essere stato il capostipite, viene segnalato nei documenti come marangone (falegname); una qualifica che nel nome molto ha a che fare con la lunga tradizio-ne fanese di lavorazione del legname legata agli ambienti marinari. Katja Del Baldo, che ha svolto ricerche approfondite per ricostruirne la storia familiare, sostiene che forse non è originario di Fano, essendo il cognome poco diffuso in città.1 Girolamo (1652-1712) e Giovanni Battista (1617-1716) sono i due figli di Paolo che ne ereditano l’attività.2 Giuseppe Grillanda (Ghirlanda), figlio di Giro-lamo e nipote di Paolo, fu attivo tra il 1720 e il 1753.3 Stando alle ricerche svolte da Katja Del Baldo compaiono nel novero dei Ghirlanda anche Domenico Antonio e Michele, anche se non del tutto definita è la loro parentela, né tanto meno la loro attività in relazione alla ben nota bottega artigiana fanese.4

La bottega dei Grillanda fu certamente ubicata in centro a Fano, ma purtroppo non se ne ha una collocazione precisa.5 La tipologia dei lavori eseguiti è davvero variegata andando dalle sedie ai tavoli, dagli armadi alle cassapanche, dalle cornici agli altari, dai cori alle sculture fino a piccoli oggetti e utensileria varia. Tutti lavori comunque di falegnameria, intaglio e scultura, mai di doratura; ope-razione questa di esclusivo appannaggio di specialisti in questo tipo di decorazione, che lavoravano successivamente alla realizzazione dei pezzi e direttamente nei luoghi di destinazione.6 I Grillanda ebbero come clienti soprattutto le compagnie religiose e le confraternite, a vario titolo. Nel loro raggio d’azione, oltre ovviamente alla città di Fano, dove per un certo periodo hanno dete-nuto il monopolio del settore, c’erano il contado e gli altri castelli delle Marche settentrionali e della Romagna. Tra i lavori di maggior spicco realizzati dai vari componenti della famiglia, si segnalano, a Fano, quelli nel Palazzo malatestiano, nella Cattedrale e in diverse altre chiese (Corpus Domini, San Lorenzo, San Giovani filiorum Ugonis, San Pietro in Valle, Santuario della Madonna del Ponte7, San Tommaso, Santa Maria Nuova8, Santa Lucia nel complesso di Sant’Agostino9). Altri lavori furono eseguiti a Roncosambaccio e a Carignano, nel fanese, e a Ginestreto e Novilara, nel pesarese. Anche a Pesaro viene segnalato un lavoro nella chiesa di San Rocco10.Ad Urbino sono noti invece alcuni lavori nella Cattedrale, così come nella chiesa della SS. Resurre-zione di Barchi11, mentre per l’area a nord delle Marche si parla di alcune opere a Montegridolfo e a Valdragone di San Marino12.

(GV)

La bottega dei Grillanda

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1. K. Del Baldo, La bottega degli scultori Grillanda di Fano, in Scultura e arredo in legno fra Marche e Umbria, a cura di G.B. Fidanza, Atti del primo Convegno, Pergola 24/25 ottobre 1997, Perugia 1999, pp. 181-190; Ead., I Grillanda (o Ghirlanda): nuovi documenti e nuove opere della bottega, in Nuovi contributi alla cultura lignea marchigiana, a cura di M. Giannatiempo Lopez, A. Iacobini, Sant’Angelo in Vado 2002, pp. 145-164.2. A proposito di Girolamo, Franco Battistelli aveva già segnalato il ruolo di primo piano nel panorama dell’artigianato fanese: “ Girolamo Ghirlanda (o Grilanda) che nel 1692 ha lasciato nella prima campata destra della Cattedrale di Urbino una pregevole statua lignea di san Pietro e che a Fano, nello stesso anno ebbe ad intagliare la perduta ‘cona’ per l’altare dell’Oratorio di san Filippo Neri, pagatagli cento scudi , mentre nel 1678, per l’adiacente chiesa di San Pietro in Valle , aveva realizzato ‘un ornamento di intagli , e figure dorate’, utilizzato per ‘le quarant’hore’ e costato ‘poco meno di 500 scudini’ “. F. Battistelli, Fanesi illustri del secolo XVII, in A. Deli (a cura di), Fano nel Seicento, Arti Grafiche Editoriali, Urbino 1989, p. 328; F. Battistelli, Intagliatori e intarsiatori a Fano e dintorni fra XVII e XIX secolo, in G. Calegari, P. Giannotti, Il mobile pesarese. Dai maestri artigiani alla produzione industriale, Il lavoro editoriale, Urbania 2000, p. 62.)3. La discendenza di Giuseppe da Girolamo è stata recentemente attestata in uno studio di padre Silvano Bracci (S. Bracci, Le statue lignee e gli stucchi, in G. Volpe, S. Bracci (a cura di), La chiesa di Santa Maria Nuova a Fano dalle origine agli ultimi restauri, Fano 2010, p. 206.4. Un Antonio Maria ed un Gaetano Ghirlanda sono segnalati nell’elenco degli artigiani del legno a Pesaro rispettivamente nel 1804 e 1884. Cfr. G. Calegari, P. Giannotti, op. cit, p. 166.5. K. Del Baldo, La bottega, cit., pp. 182-184 e nota 13.6. Ibidem, p. 184.7. M. Belogi, Chiese della diocesi fanese, Grapho5, Fano 2009, p. 205, dove si segnala il grande crocifisso ligneo sull’altare maggiore, realizzato da Giro-lamo nel 1710. Ringrazio Guido Ugolini per questa ed altre segnalazioni nell’area fanese.8. Catalogo delle Pitture esistenti nella Città di Fano nel secolo XVII con correzioni ed aggiunte di autore ignoto, a cura di R. Mariotti, Società Cooperativa, Fano 1909, p. 20. Per l’attività di Paolo e Giuseppe Grirlanda in questa chiesa si rimanda a S. Bracci, op. cit., pp. 199-209.9. Si veda il documento del 1664 riportato in Giuseppina Boiani Tombari, Fonti d’archivio per la chiesa e il convento di Sant’Agostino, in G. Volpe (a cura di), Il complesso monumentale di Sant’Agostino a Fano dalle origini agli ultimi restauri, Tecnostampa, Ostra Vetere 2011, p. 302.10. K. Del Baldo, I Grillanda, cit., pp. 147.11. M. De Santi, A. Rebecchini, Inaugurato il Crocifisso di Mastro Ghirlanda, in “Il Nuovo Amico”, 27 settembre 2009.12. K. Del Baldo, La bottega, cit., pp. 184-186.

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G. Grillanda, San Pietro, San Paolo e l’Immacolata, altare maggiore della chiesa di San Pietro Apostolo di Carignano (sec. XVII), particolare

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Si tratta del prezioso arredo della sagrestia progettata dall’architetto senigalliese Pietro Ghinelli (si veda il capitolo Gli architetti di San Pietro in Valle di Franco Battistelli e Gianni Volpe). Chi finora si è occupato di questo tema lo ha sempre assegnato al Ghinelli, autore quindi della progettazione dell’intero ambiente1.Qualche anno fa la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano commissionò alla ditta ZenitArte il restauro dell’intero apparato ligneo che orna questo ambiente (armadi, porte e finestre). Ecco come venne descritto il lavoro nella relazione pubblicata a suo tempo nel quaderno Restauri 2002/04 cu-rato da Franco Battistelli e Claudio Giardini:

Sportelli ed antine degli armadiGli elementi restaurati presentavano una situazione complessa, riguardante la lastronatura, con parti sollevate, distaccate e mancanti di diversi elementi e di inserti decorati. Anche il retro degli sportelli mostrava crepe e mancanza di elementi che ne minavano la solidità.L’intervento di restauro eseguito sull’arredo della sacrestia è consistito in diverse fasi di lavorazione, a cominciare dallo smontaggio e dal trasporto in laboratorio. Una prima fase è consistita nel consoli-damento della struttura dal retro, con l’inserimenti di inserti in legno ed incollaggio degli stessi con l’uso di colla animale (colla caravella). In seguito si è provveduto alla stuccatura ed alla tonalizzazione con mordenti.Il restauro della lastronatura sui frontali, invece, ha preso avvio dalla riadesione delle zone di lastrona-tura che si mostravano distaccate. Nei punti in cui i distacchi si mostravano più gravi si è provveduto a staccare completamente le parti e a rincollarle in sede, dopo pulitura del supporto, con utilizzo di

Il restauro degli elementi lignei della sagrestia

Qui e nelle pagine successiveAlcune immagini della sagre-

stia e dei lavori lignei

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colla caravella. Dove invece i distacchi avevano causato la perdita della lastonatura, si è provveduto alla sostituzione delle porzioni mancanti con inserti aventi le caratteristiche delle essenze originali, noce, ebano e mogano. Gli inserti sostitutivi sono poi stati incollati in sede con colla caravella.I pezzi sostituiti e quelli riadesi sono poi stati protetti e bloccati con morsetti per garantire una per-fetta adesione al supporto. Si è successivamente eseguita una pulizia della superficie lastronata con paglietta fine, olio paglierino e petrolio bianco, materiali che si sono mostrati i più adatti allo scopo e come da campione mostrato alla Soprintendenza. La superficie interna dei frontali, invece, è stata pulita con paglietta grossa, acqua ed alcool. e tonalizzata con mordenti a base di alcool. Si è inoltre proceduto con un trattamento disinfestante, tanto sulla parte frontale che sul retro e con antitarlo Permetar, applicato ad imbibizione con pennello e con siringa. Le diverse essenze, applicate in sosti-tuzione delle originali perdute, sono poi state tonalizzate con uso di mordenti. Successivamente è stata eseguita una stuccatura delle crepe e delle lesioni presenti con impasto di gesso bolognese e colla garavella, tonalizzato con terre naturali; le microlesioni sono state trattate con cera d’api colorata.Le stuccature in seguito sono state carteggiate con carta abrasiva fine e tonalizzate, ove necessario, per integrarle completamente con i toni del legno limitrofo. Infine è stata eseguita una prima lucidatura con gommalacca a tampone sovrapponendo circa dodici strati ed una finale ad encausto, con cera d’api vergine a seguito di un leggero passaggio con paglietta fine. Gli elementi restaurati sono stati riportati nella loro sede ove si è provveduto al ripristino della strut-tura portante dell’armadio con inserimento di elementi nuovi di falegnameria ed equilibratura finale delle parti che avevano ceduto. Tutte le cornici sono state trattate con antitarlo (Permetar), pulite,

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stuccate con tonalizzazione delle stuccature e lucidate.Lo zoccolo delle armadiature si presentava molto ammalorato, soprattutto a causa dei tarli. Vi è stato eseguito un trattamento antitarlo con Permetar ad iniezione, pulitura della superficie, consoli-damento e stuccature con segatura di legno noce e colla animale. In seguito si è proceduto a leggera cartatura, tonalizzazione delle stuccature e lucidatura finale.

CassettoIl cassetto era completamente leso nella propria struttura, tanto a livello del telaio che del fondo. Inoltre il frontale presentava ammanchi della lastronatura e di alcuni elementi lignei. L’intervento di restauro a livello strutturale ha comportato la riquadratura del cassetto e la sostituzione delle liste, a compensazione delle parti mancanti. Sul frontale sono state eseguite le stesse lavorazioni delle ante degli armadi.

Porte in noceL’intervento sulle porte bugnate di accesso alla sacrestia, in legno di noce, è consistito in piccoli lavori di falegnameria, stuccatura, cartatura e tonalizzazione delle stuccature. Infine si è proceduto ad una lucidatura finale con cera d’api vergine.

FinestreLe finestre presentavano gravi problemi strutturali che ne impedivano la funzionalità (perdita di elementi delle cornici, ammanchi e fratture dei vetri che non ne garantivano più la tenuta). Anche la

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1. A. M. Matteucci, L’architettura del Settecento, Torino 1988, p. 74; M. Trionfi Honorati, Arredi lignei nelle Marche, Bergamo 1993, p. 133; Cfr. F. Battistelli, Intagliatori, cit., p. 69.2. Relazione di restauro. Intervento eseguito sopra gli elementi lignei della sacrestia, in Restauri 2002/04, Quaderni della Fondazione, a cura di F. Battistelli e C. Giardini, Fano 2005, pp. 18-19.3. M. Trionfi Honorati, op. cit., p. 81. Cfr. F. Battistelli, Itinerario Urbano, in A. Deli, Fano nel Seicento, AGE, Urbino 1989, p. 50.

struttura portante presentava elementi marcescenti e lesioni strutturali. Gli scuri, inoltre, necessita-vano del ripristino della coloritura e del decoro sul lato rivolto verso l’esterno.L’intervento di restauro è consistito in primo luogo nello smontaggio delle ante e degli scuri e nel tra-sporto in laboratorio. Si è proceduto inizialmente ad una pulitura meccanica delle superfici, eseguita con cartatura, unicamente nella parte interna degli scuri e sulle superfici non decorate. In seguito si è eseguito un trattamento antitarlo su tutti gli elementi con Permetar.Per il recupero della funzionalità delle cornici si è eseguito l’inserimento di inserti in sostituzione degli elementi lignei mancanti e di quelli ammalorati; si è provveduto all’incollaggio a morsetti, alla ricollocazione dei vetri originali e alla sostituzione di quelli mancanti o rotti con vetri vecchi. Da ultimo si è ripristinato il colore originario, con velature di tinta a calce2.Inoltre va ricordato che splendide scansie furono realizzate anche per la Biblioteca annessa alla Chie-sa. “Intagliate dal bolognese Francesco Grimaldi e completate dal Fontana, con colonne scanalate e capitelli corinzi - come ha scritto la Trionfi Honorati - , sono un bell’esempio di architettura appli-cata al mobile”3.

(GV)