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Titolo or~~inale: A/cb/w~e, ro ~I~~~,I/IL.UIIOII .JOI/ IVIU,P,F YYI~>I~~<J TITUS BURCKHARDT ALCHIMIA Significato e visione del mondo A curu di Ferdl'rzundo Brziilo UGO GUANDA EDI'I'ORE I N I'ARhlA

Titus Burckhardt - Alchimia

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Titus Burckhardt . Alchimia ITA

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Titolo o r ~ ~ i n a l e : A/cb/w~e, ro ~ I ~ ~ ~ , I / I L . U I I O I I .JOI/ IVIU,P,F Y Y I ~ > I ~ ~ < J

TITUS BURCKHARDT ALCHIMIA

Significato e visione del mondo A curu d i Ferdl'rzundo Brziilo

UGO GUANDA EDI'I'ORE IN I'ARhlA

Notizia sull'autore

Nato a 1:irenzc nel 1908 cla una taiiiiglia di Uasilea di illusti-i tradizioni artistiche C ciiltiir;ili - i l padre era scultore di 1;irga lania c ira i congiunti 6 da ricordiirc i l litiioso storico dcll';irte - l'itus B~irckhardt senihrò da))- pririia clestiiiato a segliire lc ornie p:itcrnc. bla già nel periodo del su» apprendist;ito di s c ~ ~ l t o r c coiriincii) a iiianilctarc vivo iritercssc per I'et- nologin c I'islrmi~ticii, discii)linc q i io tc clic io ri)niircino a d aliar .ari il canipo dcllc proprie ricerche alle Soiiti e ai iiioc clli clellc forme rcfipiose dcll'artc aiitic:~ e incdievalc nella civiltà sia occidentale sia oricnt;ile. A questo scopo. nc.1 1 9 3 5 , si ti-askrì ;i I'e/ (Marocco), clovc I'requcntO la lo- calt. università e iiiip:iri) 1'ar:ibo. In seguito, ;i 13asile;i, studiò lingue e stci- ria delle arti asiiiticlic. Ncl i942 divenne di rc~iorc editciriale dcll'llrs Graf Vcrl:ig, L I ~ : I casii cclitrice specializzata nella riproduzione in fac- siniilc di :iiitictli maiiobcritti ~~~cd icva l i . Ira cui i l 1.rbro Ji Kells e il \'unRr.- lo (11 l,irrJ:\/irrirc~. Dopo la linc cfell'iiltini~ guerra mondiale compì nurne- rosi viaggi di stuclio in hlcdio Oriente e in Noi-claSrica. dcivc approlondi la conoscenza clell';irti ~i;innio e della tradizioiie popolare. Nel 1972 si rrabicri di nuovo pci- ;ik-iini anni a Fez conic esperto cIell'LlNESCO per la s;rl\~aguardia (icl patririioiii» ciilturale del hlarocco. Si trasfci-i poi a Losanna, dove 6 rnorto rivi 1984.

hlacstro indiscusso dcI1:i tra(1izionc spii-ituiilista (il siio noriic va acco- stato a quelli (li E1i:ide c (;iii.non). scrittore t>ilinguc. collabor;itore da Iungii ctata ( l i Etiidcb traditivnnellcs n. ha piibblicato f;o l'altro: .Ychu~c~i- zcr l'olX-~iutrst - Art 1)oprilcir r ~ . Suisst'. I3asilea, 1941 ; Clt; piii~uc,//e. Je 1'As.- tro/o,qie i2lsrsuk~/otrc, Parigi, rygo e Milano. Arclit., 1974; \'o>>/ Sufttu»l Eii?/?thru~rg in Jre r~b iu i r t . h~~ iZl>.\trX~, h1on;ico-l'lanncgg, 1953; 1irtroJuc.- ( / ~ I I uzix L)o<.triirt,s Eso~c;nyrrc,s dt, I'lilutr~, AIgeri-l,ivne, r 955; We- J C ~ ~ I ht'llrgt,r K U ~ I J I in Jet1 U ' ~ c l ~ r ~ ~ I i , q ~ o ~ r t ' ~ ~ . Z~irigo, 1955; Pri~rc.~pes er Mc;- 1hodt2s Jt, l i l r t 5uc.rt;. Lione, I 958; Sicnu. SIUJI Ji,r Jurrgfnlu, Olten. t958 itrad. i t . .Trr~na, c.illd Jclla ct,i;qitrr, Milano, Arch?, ic)?X); A/c.hrrnie, Sinn utzJ lVt,ltbild. Olten-Losanna. 1960 (trad. i t . Alcl~~iniu. Torino, Borin-

ghieri, 1961) e, in francese, Alchimie, sa signification et son image du monde, Milano, Archè, 1974; Chartres und die Geburt der Kathedrale, Olten-Losanna, 1962; Fès, Stadt des Islam, Olten-Losanna, 1962; V o n wunderbaren Buchern, Olten-Losanna-Friburgo, 1964.

Ha tradotto dall'arabo: 'Abd al-Karim al-Jil?, De I'Homme Universel (Al-Insàn al-Kzmil), Algeri-Lione, 1953; Muhyid-Din Ibn Arabi, Li Sa- gesse des Prophètes ( F u t e al-Hikam), Parigi, Albin Michel, 1955 e 1974 ed estratti deile Lettere dello Sheikh Darqiwi.

In traduzione italiana, oltre ai testi già citati, sono apparse le seguenti raccolte di saggi: Scienza moderna e saggezza tradizionale, .Torino, Borla, 1968 e L'Arte sacra in Oriente e in Occidente, Milano, Rusconi, 1976.

Alchimia

Significato e visione del mondo

Introduzione

È dall'Illuminismo in poi che si tende più o meno gene- ralmente a considerare l'alchimia come una delle forme primitive della chimica moderna. In questo senso, la mag- gior parte degli studiosi che si sono interessati alla sua letteratura non vi ha voluto vedere che le primissime tappe delle scoperte chimiche successive. Questa letteratura, è vero, non manca di trasmettere un certo numero di esperien- ze artigianali che attengono alla preparazione dei metalli, dei colori o del vetro e che la tecnologia moderna ci permette a volte di ricostruire; tuttavia, l'alchimia propriamente detta (la Grande Opera » descritta dagli autori ermetici) si muove su tutt'altro terreno: nonostante le espressioni metallurgiche di cui questi autori si servono spesso, la na- tura delle operazioni in questione non può in alcun caso essere definita chimicamente. Dal punto di vista della scien- za moderna, tali operazioni o procedimenti rappresentano un assurdo prima ancora che un'aberrazione. La conclusione che se n'è voluta trarre è che un insaziabile desiderio di ricavare l'oro abbia finito con l'affossare gli stessi alchi- misti, un tempo mastri orefici, vetrai o tintori perfetta- mente << razionali », in una ricerca del tutto chimerica e in ctii le fantasticherie s'intrecciavano indissolubilmente a un empirismo fin troppo primitivo.

Se cosl fosse, I'opera alchemica dovrebbe necessariamente denunciare a ogni passo i segni dell'arbitrio e non procedere che per improvvisazioni. Ma così non è: il magistero degli alchimisti comporta evidentemente un notevole principio di unità e , Iungi dal presentarsi come una volubile avven- tura, mostra di possedere tutte le caratteristiche di una vera e propria arte D, cioè di una dottrina e di un metodo che si tramandano da maestro a discepolo e i cui tratti più gene- rali (stando, almeno, al giudizio che se ne può trarre dalle corrispondenti descrizioni simboliche) si uniformano sensi- bilmente, diffondendosi dai tempi antichi a quelli moderni, dall'occidente all'Estremo Oriente. Un'arte sostanzialmen- te incongrua sarebbe dunque stata in grado di superare infiniti scacchi e infinite disillusioni per conservarsi nella continuità e nella fedeltà a se stessa in contesti di civiltà peraltro così diversi: un fatto cosl evidentemente impro- babile non sembra tuttavia aver colpito qualcuno. Dovrem- mo quindi ammettere o che gli alchimisti, nel loro desiderio di autoingannarsi, si siano ostinati a coltivare un mito mille volte smentito dalla natura, o che la loro esperienza effet- tiva si situi su un piano di realtà che non ha nulla a che fare con quello di cui si occupa la scienza empirica moderna. Le due alternative si escludono a vicenda.

Ma non è questo il parere della moderna psicologia del profondo, che si propone di trovare nel simbolismo alche- mico una conferma alla propria tesi dell'inconscio collet- tivo.' Secondo la tesi in questione l'alchimista proietta, nella sua ricerca che è simile a un sogno, determinati contenuti della sua anima fino a quel momento sconosciuti a lui stesso e in quel modo, pur senza averne l'intenzione cosciente, opera una sorta di riconciliazione fra la propria coscienza quotidiana o superficiale e la potenza latente dell'inconscio collettivo. Una siffatta riconciliazione fra conscio e incon- scio darebbe origine a una esperienza interiore soggetti- vamente omologabile al magistero cui l'alchimista aspirava. Anche questo punto di vista, come già il precedente, si fonda sull'ipotesi che l'intento originario dell'alchimista fosse quello di fabbricare I'oro. I n tal modo l'alchimista viene considerato o come il prigioniero di una sorta di de- lirio o come la vittima della sua stessa <( proiezione )> imma-

t : i r i ; i r iv:i: cliiindi, come un essere pensante e agente in stato t l i sogno. Spiegazione che non manca di essere seducente i 1 1 cl~~:iiito si approssima in qualche modo alla verità - ma 1 1 ~ ~ 1 . ;illoiitrinarseile poi subito e irrimediabilmente! Se è vero t . 1 1 ~ I;i icaliii spirituale che l'opera alchemica si propone di i-iv~l:ii.c 6 per lo più cosa di cui il non iniziato è relativa- iiic.iiie iiiconsapevole (è una realtà che si cela nel più pro- Ioii~lo dcll'anima), conviene tuttavia non confondere tale .( sc.gret;i profondita con il caos del cosiddetto inconscio t.ollcttivo - anche ammettendo che un concetto a dir poco (.osi elastico possa avere una validità oggettiva. La << fon- i ; i i i ; i dell'eterna giovinezza )> degli alchimisti non scaturisce ;ifr;itto da un'oscura profondità psichica, ma sgorga dal Iiiogo stesso da cui ha origine ogni verità extra-temporale: e sc cssa si nasconde all'alchimista per tutta la prima fase tlclla sua << opera D, è solo perché si situa non al di sotto (lei fenomeni attinenti alla sua coscienza più quotidiana, ma ;il di sopra - a un livello superiore.

L'ipotesi psicologistica perde qualsiasi validità non ap- pena ci si rende conto che i veri alchimisti non furono mai prigionieri dell'avidità o del sogno di ricavare I'oro, e che non perseguirono mai il loro fine agendo da sonnambuli o assecondando il gioco delle <( proiezioni passive dei conte- nuti inconsci della loro anima. I veri alchimisti seguivano, al contrario, un metodo perfettamente elaborato e la cui espressione simbolica in termini di metallurgia - arte che consiste nella trasmutazione dei metalli vili in argento o in oro - sembra aver messo fuori strada un cosl gran numero di ricercatori non iniziati: il che non toglie che questa espressione sia in se stessa assolutamente logica e, se vo- gliamo, realmente profonda.

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Le origini dell'alchimia occidentale

L'alchimia esiste almeno dalla metà del primo millennio prima di Cristo e, probabilmente, dagli inizi dell'età del ferro. Come sia riuscita a resistere così a lungo, e in civiltà così profondamente diverse, dall'Estremo al Vicino Orien- te, è un problema che la maggior parte degli storici risol- verebbe semplicemente ricordando come l'umanità si sia lasciata ben più di una volta tentare dalla speranza di ar- ricchirsi rapidamente ricavando l'oro o l'argento dai metalli più volgari: e questo fin quando la chimica sperimentale del XIX secolo non ha dimostrato che un metallo non può essere trasformato in un altro. La verità è comunque un'al- tra e, in un certo senso, addirittura opposta.

L'oro e l'argento erano già metalli sacri prima ancora che venissero assunti come misura di tutte le transazioni commerciali. In quanto riflessi terreni del sole e della luna, lo erano anche di tutte le realtà dello spirito e dell'anima che si rapportano alla coppia celeste. Almeno fino a tutto il Medio Evo, i valori relativi dei due metalli nobili veni- vano determinati in base ai tempi di rivoluzione dei due corpi celesti. È appunto per questo che alcune delle monete più antiche portano spesso figure e segni che si riferiscono immediatamente al sole e al suo ciclo annuale. Per gli uo- mini delle epoche prerazionnliste. la relazione fra i metalli

nobili e i due grandi astri celesti era più che evidente, ed è stato necessario ricorrere a un gran numero di nozioni e di pregiudizi meccanicistici per riuscire a nascondere la realtà immediata di tale relazione e farla invece considerare come un puro accidente estetico.

Non bisogna del resto confondere un simbolo con una semplice allegoria, né volervi vedere a tutti i costi l'espres- sione di un qualche oscuro e irrazionale inconscio collettivo. La vera portata simbolica consiste invece nella possibilità, per cose anche assai diverse in termini di tempo e di spazio o per la loro natura materiale o per caratteristiche di altro tipo, di possedere e manifestare una medesima qualità es- senziale: apparendo insomma come riflessi diversi o diverse manifestazioni o produzioni di una stessa realtà, in sé in- dipendente dal tempo e dallo spazio. Cosi, non sarebbe del tutto esatto sostenere semplicemente che l'oro rappre- senta il sole e l'argento la luna: conviene piuttosto dire che i due metalli nobili e i due grandi astri sono allo stesso titolo i simboli di due identiche realtà cosmiche o divine.'

I1 potere di fascinazione dell'oro deriva insomma dalla sua natura sacra o dalla sua perfezione qualitativa, e solo in seconda istanza dal suo valore economico. L'evidente natura sacra dell'oro e dell'argento comporta necessaria- mente che soltanto un'attività di tipo sacerdotale possa aspirare al perseguimento di questi due metalli; analoga- mente, il conio delle monete d'oro e d'argento era in ori- gine privilegio esclusivo di determinati luoghi consacrati. Quanto detto trova immediata conferma nell'abbondante presenza di segni di origine sacerdotale nei procedimenti di metallurgia relativi all'oro e all'argento - procedimenti che si trasmettono dai tempi della preistoria in certe civiltà cosiddette p r imi t i~e .~ Nelle civiltà di tipo arcaico D, quelle cioè che ignorano ancora la dicotomia C spirituale D/« pro- fano » e continuano a vedere in ogni cosa la relazione con l'unità interiore dell'uomo e del cosmo, la lavorazione dei minerali è sempre eseguita come un atto sacro: la regola vuole che il privilegio di questo atto sia riservato a una casta sacerdotale, che è chiamata a tale pratica per decreto divino. Là dove questo non avviene - per esempio, in certe tribù africane che non possiedono una propria tradizione

itiri~illiir~ica - i l fonditore o il forgiatore è'sospetto di ma- p,iii iic'r;i: in altri termini, di porsi come intruso nell'ordine r1ic.i.t) clclla natura.' Ciò che appare all'uomo moderno come I I I I I I siipcrstizione - e che, in parte, persiste effettivamente (.oiiic i;ilc - non è in realtà che l'intuizione del legame pro- I~ititlo esistente fra l'ordine naturale e l'anima umana. I .'iioriio <( primitivo », pur in assenza di tutte le prove di t.iii ];i storia dell'età del metallo ci ha così generosamente Jciriiiio, sa altrettanto bene fino a che punto l'estrazione t1c.i iiiinerali dalle viscere della terra e la loro violenta puri- lic:~zione attraverso i1 fuoco siano, in un certo senso, eventi ~iitiistri e portatori di un notevole carico di potenziali pe- rii.oli. Per l'umanità arcaica - che non mette in atto l'artifi- (.i;ilc opposizione fra lo spirito e la materia - l'apparizione tlilla metallurgia non rappresenta soltanto e semplicemente 1 i t i ; i scoperta, ma una vera e propria rivelazione: solo un tli-creta divino, infatti, può aver fatto accedere il genere limano a una siffatta attività. Fin dagli inizi, tuttavia, que- cita rivelazione si manifesta apertamente come un'arma a tloppio taglio4: l'essere che ne è stato toccato deve dunque iisare tutta la sua prudenza. Se è vero che il lavoro con- creto della metallurgia sul minerale e sul fuoco non è esente (la una certa violenza, è ugualmente vero che gli influssi che si ripercuotono sullo spirito e sull'anima (influssi ai quali la natura stessa di questa attività impedisce di sfug- Kire) sono necessariamente e implicitamente minacciosi: come si diceva, a doppio taglio. In modo più particolare, l'estrazione dei metalli nobili a partire da quelli impuri, grazie all'intervento di elementi solventi e purificatori quali i l mercurio e l'antimonio in congiunzione con il fuoco, av- viene necessariamente vincendo la resistenza delle forze tenebrose e caotiche della natura; allo stesso modo, la realizzazione dell'argento o dell'« oro interiore - puri, luminosi e immutabili - presuppone l'avvenuto dominio di tiitte le tensioni oscure e irrazionali dell'anima.

I1 racconto che segue è tratto dall'autobiografia di un senegalese e ci dimostra come, in certe tribù africane, la lavorazione dell'oro sia ancora oggi considerata un'arte sacra.'

A un cenno di mio padre, gli apprendisti mettevano

in funzione i due mantici di pelle di montone che poggia- vano al suolo da entrambi i lati della fucina ed erano COI- legati ad essa da tubi di terracotta [...]. A quel punto, mio padre afferrava con le sue lunghe molle la pentola e la met- teva sul fuoco. Ogni lavoro si interrompeva all'istante nel- l'officina: mentre l'oro prima fonde e poi si raffredda, è proibito trafficare nelle vicinanze sia con il rame che con l'alluminio: si ha infatti paura che qualche frammento di questi metalli non nobili possa cadere nel recipiente. L'ac- ciaio soltanto può ancora essere lavorato. Ma gli operai che stavano compiendo qualche lavoro in acciaio si affrettavano a terminarlo o addirittura lo abbandonavano di colpo per unirsi agli apprendisti raccolti intorno alla fucina [...l. Capitava a volte che mio padre, ostacolato nei suoi movi- menti dagli apprendisti, li facesse indietreggiare. Lo faceva con un semplice gesto della mano: mai una volta che par- lasse, in quel momento; mai nessuno che parlasse, nessuno doveva parlare; lo stesso stregone smetteva di parlare. I1 si- lenzio era rotto soltanto dal respiro dei mantici e dal leggero sibilo dell'oro. Mio padre non parlava, ma io sapevo che dentro di sé lo faceva: me ne accorgevo dal lieve tremito che imprimeva alle labbra mentre, chino sulla pentola, vi impastava dentro l'oro e il carbone con la cima di un ramo che del resto, poiché prendeva fuoco troppo in fretta, si doveva di tanto in tanto cambiare.

Che parole potevano essere quelle che mio padre formu- lava così, a fior di labbra? Non lo so. O meglio: non lo so esattamente. Non mi è stato mai detto nulla a proposito di queste parole. Ma che altro potevano essere se non degli incantesimi? Che altro poteva invocare, mio padre, se non i geni del fuoco e dell'oro, del fuoco e del vento, del vento che soffiava oltre le aperture delle fornaci, del fuoco figlio del vento e dell'oro sposo del fuoco? Quale altro aiuto, quale altra amicizia, quali altri sponsali poteva mai deside- rare? Sì, sicuramente erano proprio quei geni, quei geni così importanti e anzi indispensabili alla fusione [...l. E lo straordinario, il miracoloso era che ogni volta quel ser- pente110 nero si arrotolasse sotto la pelle di montone: non lo si trovava sempre, non tutti i giorni si presentava a far visita a mio padre; ma ogni volta che si incominciava a

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I ~ I v ~ I . : I ~ c l'oro, ecco10 lì che riappariva [ ... l . L'artigiano (.li(. I;ivoia l'oro deve innanzi tutto purificarsi: il che signifi- e 1 1 1;iv;irsi da capo a piedi e astenersi per tutta la durata del I I I V O I . ~ t l ; ii rapporti sessuali ... »

I.'c.sistenza di un oro interiore o, per meglio dire, la com- l~~.c.sc.iiz;i nell'oro di una realtà interiore e di una realtà este- i.iorc., tloveva essere evidente per una mentalità contempla- I i ~ ; ! , i i i grado cioè di vedere una medesima essenza sia iic.ll'oro che nel sole. È qiii e in nessun altro luogo che si \i I t ,;I l'origine più profonda dell'alchimia.

()iiest'ultima fa risalire la propria origine all'arte sacra cli) : l i antichi Egizi. La tradizione alchemica che si è poi dif- Itis;i in tutta l'Europa e' nel Vicino Oriente - influenzando forsc anche quella dell'India - riconosce il suo fondatore i11 Ilrmete Trismegisto ( « Ermete il tre volte grande »), itliiitificabile con il dio Thoth dell'antico Egitto: è il dio c.lic presiede a tutte le arti e a tutte le scienze sacre, come s;i:.;ì poi nell'induismo per Ganesha. L'espressione alchimia &.riva dall'arabo al-kimiya, la cui probabile provenienza è tl;ill'antico egizio keme: con riferimento alla terra nera >> c.lic è una delle designazioni dell'Egitto e che è forse servita ilgli alchimisti come simbolo della loro materia prima. Ma 6 anche possibile che l'espressione provenga dal greco r.hyma (fusione o scioglimento). In un caso come nell'altro, i pii1 antichi testi alchemici ci sono stati tramandati su pa- piri risalenti all'ultima epoca della civiltà dell'antico Egitto. Non è sorprendente, del resto, che non ci siano rimasti clocumenti ancora più antichi: un'arte sacra come l'alchimia doveva essere preferibilmente trasmessa per insegnamento orale, e la necessità di affidare questo insegnamento alla scrittura rivela anzi, se non un primo segno di decadenza, almeno la preoccupazione che la tradizione stessa non ve- nisse a morire. È quindi del tutto comprensibile che ciò che conosciamo come Corpus Hermeticum - e che comprende tutti i testi attribuiti a Ermete-Thoth - ci sia giunto noa in egizio ma in greco. E se poi qualcuno volesse insinuare che i testi in questione portano inconfondibilmente le trac- ce di un linguaggio tipicamente platonico, non ci sarebbe difficile replicare che, allo stesso modo, gli scritti platonici presentano il segno inconfondibile dell'Ermetismo. In ul-

tima analisi, l'enorme ricchezza spirituale dei testi ermetici testimonia fino a che punto essi si innestino nel solco di una tradizione autentica e non si tratti in alcun caso di produzioni pseudo-arcaiche. È inoltre evidente che al Cor- pus Hermeticum appartiene anche la cosiddetta Tnvola Sme- raldina che, rivelata da Ermete Trismegisto, viene assunta dagli autori alchimisti arabi e latini come vera e propria « Tavola della Legge » della loro arte. I1 testo di cui dispo- niamo non è quello originale, ma quello che è giunto fino a noi nelle sue traduzioni in arabo o in latino - questo, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze. I1 suo stesso contenuto ne testimonia comunque l'autenticità.

A favore dell'ipotesi di un'origine egiziana dell'alchimia occidentale e vicino-orientale, possiamo anche ricordare come tutta una serie di procedimenti artigianali inerenti all'alchimia e in grado di fornirle un certo numero di espres- sioni simboliche, sorga e si sviluppi come un insieme in sé coerente proprio nell'ultimo periodo della civiltà egizia, per apparire alla fine in pieno Medio Evo nei ricettari arti- gianali. Si tratta di un corpo di procedimenti che contiene elementi di origine evidentemente egiziana: per esempio, accanto alla lavorazione del metallo e alla preparazione delle sostanze coloranti, possiamo trovare la produzione delle pietre preziose artificiali e del vetro colorato - un'arte, cioè, che non fu mai più cosl fiorente come in quel paese. Del resto, lo spirito dell'arte egizia - la sua vocazione a estrarre dalla materia le sue quintessenze - non è poi cosl lontano dall'alchimia.

Fin dai tempi antichi, nell'alchimia sono riscontrabili due tendenze. La prima presenta una natura eminentemente artigianale: il simbolismo dell'« opera interiore » non vi compare che come il sovrappiù di un'attività professionale, e si trova quindi menzionato solo occasionalmente e in modo del tutto accessorio. La seconda sembra invece ser- virsi dei procedimenti della metallurgia solo in quanto ori- gine di possibili analogie, e ci si può ragionevolmente do- mandare in che misura tali procedimenti siano mai stati impiegati « esteriormente ». Si è così creduto possibile di- stinguere fra un'alchimia di tipo artigianale, presumibil- mente più antica, e un'alchimia detta mistica e per la quale

i. i l l c i i izz;il,ile tino sviluppo più tardivo. In realtà, converrh vrtlric iicll'una e nell'altra due aspetti diversi di una sola v itl(.iii ira tradizione.

( :i si chiederà, senza dubbio, come sia stato possibile per I ' ; t l(-li i 111 ia integrare il proprio fondamento mitologico al i t i c iiioicismo di religioni quali il giudaismo, il cristianesimo r I 'isl;iiiiismo. Di fatto, la prospettiva cosmologica propria iill';tl~liiiiiia era a tal punto organicamente legata all'an- 1 1 , . I iiictallurgia da poter essere adottata in un secondo iiioiiiciito, insieme al « mestiere », come pura e semplice

i(.iiz;i dclla natura (physis) nell'accezione più larga del ic-tiiiinc - proprio come il cristianesimo e l'islamismo si ~ I , I I O iippropriati della tradizione pitagorica nella musica e iicII';irchitetttura, assimilandone la corrispondente prospet- i iv;i slirituale.

1);iI punto di vista del cristianesimo, l'alchimia era una iot.i ; i di specchio naturale offerto alle verità rivelate: la pictr;i filosofale che muta i metalli vili in oro o in argento

iin simbolo del Cristo; e la realizzazione di questa pietra ;I partire dal « fuoco che non brucia » dello zolfo e dal- I ' « acqua permanente » del mercurio, richiama la nascita di (:risto-Emanuele. Cosl, nel momento stesso in cui, integran- tlosi alla fede cristiana, se ne veniva a trovare spiritualmente fecondata, l'alchimia apriva a tutta la cristianità una via che - attraverso la contemplazione della natura - portava direttamente alla gnosi.

L'arte ermetica penetrò ancora più facilmente nell'uni- verso spirituale dell'Islam - un universo, del resto, sempre (lisposto (almeno in linea di principio) a riconoscere qual- siasi tipo di arte pre-islamica a patto che, quanto a « sag- Kezza » (hikmah), potesse apparire come un'eredità dei primi profeti. Cosl, nel mondo islamico, Ermete Trisme- gisto viene spesso assimilato a Enoch (Idrts). Fu la dottrina tlella « unicità dell'essere » (wahdat al-wujud) - interpre- tazione esoterica della professione di fede islamica - a dare all'Ermetismo un nuovo orientamento spirituale o, in altri termini, a restituirgli per intero l'ampiezza del proprio oriz- zonte spirituale.

Simile in questo a tutte le tradizioni più vitali, l'alchimia seppe richiamare a sé ogni elemento che potesse rientrare

nel proprio e cosmo D, facendo spesso uso - nelle sue espressioni teoriche - di miti e simboli che provenivano da altre tradizioni. Tuttavia, riuscl sempre a conservare inal- terati un certo numero di tratti caratteristici che sono il segno stesso della sua autenticità: la precisa definizione del piano del]'« opera P, con le sue diverse fasi descritte in ter- mini artigianali e indicate per mezzo di un ben determinato ordine di <( colori ».

L'alchimia penetrò nel cristianesimo occidentale dappri- ma dalle porte di Bisanzio e poi dalla Spagna, nel periodo della dominazione araba. Ma fu comunque nel mondo isla- mico che I'alchimia raggiunse il suo pieno spIendore. Jiibir ibn Hayyan, discepolo del sesto Iman sciita Ja'far aqcadiq, fondò nell'VII1 secolo prima di Cristo una scuola da cui ebbero vita almeno un centinaio di testi alchemici. I1 nome di Jiibir divenne ben presto garanzia della vera tradizione alchemica, tanto da essere poi ripreso - nella sua forma latinizzata di Geber » - dall'autore della Surnrna Perfec- tionis, italiano o cataiano del XIII secolo.

La massiccia irruzione della letteratura greca promossa dal Rinascimento non mancò fra l'altro di rilanciare in tutto l'occidente la tradizione alchemica bizantina. Nel XVI e nel XVII secolo numerose opere alchemiche fino a quel mo- mento solo manoscritte o diffuse più o meno segretamente vennero date alle stampe. Ma lo studio dell'Ermetismo, dopo un breve periodo di fulgore, tornò ben presto a co- noscere la decadenza. Si è spesso voluto vedere nel XVII secolo l'apogeo dell'Ermetismo europeo: in realtà, la sua decadenza era già incominciata nel XV secolo e lo sviluppo del pensiero occidentale in senso umanista e già profonda- mente razionalista - sottraendo a ogni dottrina o metodo di tipo intuitivo la sua stessa base conoscitiva - non aveva fatto altro che accelerarne i tempi. È comunque accertato che per tutto un periodo di tempo immediatamente pre- cedente l'epoca moderna, elementi autenticamente gnostici, già rimossi dall'ambito della teologia sia per lo sviluppo in senso esclusivamente sentimentale del tardo misticismo cri- stiano che per la tendenza agnostica implicita nello spirito della Riforma, non mancarono di confluire nell'alchimia speculativa. I1 che spiega, fra l'altro, gli echi di Ermetismo

t lic I,ossil,ilc rintracciare negli scritti per esempio di Slirikc.s~~c:ire, di Jncob Boehme o di Johann Georg Gichtel.'

I .:I iiicdicina nata dall'alchimia 2 sopravvissuta più a lun- RI, t l ~ . l l : i stcssn alchimia. Paracelso la chiama a spagirica » - i-~l'rosioiic che deriva dai verbi greci anaw (io divido) e dyi.i,prI) (io iinisco), a loro volta corrispondenti al solve et o,~!!tr lo tlell'alchimia.

I ) ; I iin punto di vista più generale, I'alchimia europea si (ii.1.4(.111;1 nel Ril-iascimento come un fenomeno frammenta- 111,: Ivlr restando un'arte spirituale, manca di un vero e 111.ol'i.io fondamento metafisico. Constatazione che mantiene I I I I . I ~ ~ ; I I;i propria validità anche per quanto riguarda i più t i t i t l i cpigoni dell'alchimia del XVIII secolo, sebbene que- h l i l : ~ l ~ l ~ i i \ potuto contare - in mezzo a tanti e bruciacar- I,oiii » - su uomini di genio come Newton e Goethe: in i111 c.;iso come nell'altro, senza particolare fortuna.

(:oiiverrà chiarire a questo punto, e in maniera catego- i-ic.:i. che non può esistere un'alchimia di <( liberi pensatori » ostili alla religione, perché la prima necessita di un'arte spi- ri i i inle consiste nel riconoscere tutto ciò di cui abbisogna II I condizione umana - nella sua preminenza ma anche nella R I I : ~ 1wecarietA - per raggiungere la propria salvezza. Che ci ain stata un'alchimia pre-cristiana, non smentisce quanto iippena detto: I'alchimia ha sempre fatto parte in modo or- ~iiiiico di una tradizione in grado di integrare tutti gli iispctti dell'esistenza umana. Per quanto riguarda le verita piii o meno inaccessibili all'antichità pre-cristiana, e che il cristianesimo si è incaricato di svelare, I'alchimia avrebbe ~wtuto rifiutare di accoglierle nel proprio corpo solo a patto di decretare la propria fine. Errore ancora più grave sarebbe cliicllo di vedere nell'alchimia una religione autosufficiente o iin paganesimo più o meno mascherato: un atteggiamento tli questo tipo rischierebbe di paralizzare la giusta tensione verso il raggiungimento del magistero interiore. Pur essendo indubbiamente vero che <( lo Spirito soffia dove vuole e c.lic non è possibile dall'esterno porre dei limiti dogmatici iilla sua manifestazione, è altrettanto vero che quello stes- so Spirito non può certo a soffiare la dove, in sé (lo Spirito Santo), si trova scientemente negato in una delle siie rivelazioni.

È impossibile diffondersi più a lungo sulla storia dell'al- chimia: si tratta infatti di una storia ancora troppo poco conosciuta nei suoi specifici avvenimenti, soprattutto perché la trasmissione di un'arte esoterica avviene per lo più per via orale. È comunque importante soffermarsi su un ultimo punto: il fatto che i testi alchemici presentino il più delle volte, in merito ai loro autori e alle loro fonti, dei nomi evidentemente immaginari e sganciati da qualsiasi crono- logia, non toglie minimamente valore agli scritti stessi; a parte il fatto che prospettiva storica e conoscenza alchemica non hanno fra loro nulla in comune, i nomi in questione (è il caso di Geber) servono più a indicare una certa a ca- tena D nella tradizione che ad accertare la firma di un autore. Per quanto riguarda infine l'autenticità del testo ermetico, la possibilità cioè di stabilire in che misura esso scaturisca da una vera conoscenza e da una vera esperienza dell'arte ermetica, e non piuttosto da una ipotesi arbitraria, è questo un problema che né la filologia né un adeguato confronto con la chimica sperimentale possono risolvere: il solo cri- terio accettabile è quello dell'unità spirituale della tradi- zione stessa.

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Natura e linguaggio dell'alchimia

Ncll'opera che ho dedicato ai principi e ai metodi del- 1'111-ic sacra,' mi è capitato più di una volta di alludere al- I'iilt.liirnia rapportandola alla creazione artistica, così come cpivsta mi appariva nell'ambito di una tradizione sacra, non iicl suo aspetto di estetica esteriore, ma in quanto metodo icriciente alla trasfigurazione o rinascita dell'anima stessa ilcll'artista. Anche l'alchimia viene definita dai suoi maestri c.orne iin'arte, e addirittura come I'arte regale » (ars regia). [,'immagine della trasmutazione dei metalli vili in metalli iiobili, oro e argento, fa dell'alchimia un simbolo che evoca idla perfezione il processo interiore di cui stiamo parlando. I.'nlchimia potrebbe anche essere definita come l'arte delle iinsfigurazioni dell'anima. Tale definizione non vuole mini- innmente negare che gli alchimisti abbiano conosciuto e messo in atto procedimenti metallurgici quali la purifica- xione e la lega dei metalli; ma possiamo comunque dire che i l loro più vero intento consisteva nella trasmutazione del- I'rinima, e che i procedimenti in questione non erano per loro che dei supporti esteriori o dei simboli operativi. La icstimonianza degli alchimisti è su questo argomento una- nime. Possiamo così leggere nel Libro dei Sette Capitoli iittribuito a Ermete Trismegisto, padre dell'alchimia del- l'occidente e del Vicino Oriente: « Ecco, vi ho svelato ciò

che era tenuto nascosto. Perché l'Opera (alchemica) è con voi e presso di voi affinché, trovandola in voi stessi là dove essa si trova perpetuamente, possiate sempre sentirla den- tro di voi dovunque voi siate, e cod in mare come in terra ... ».2 11 famoso dialogo fra il re arabo Khalid e il saggio Morienus ( o Marianus) riporta la domanda fatta dal re al saggio circa la possibilità di portare a compimento l'opera ermetica, e dove si poteva trovare la cosa che ancora vi mancava. Morienus accolse in silenzio la domanda del re, sembrò esitare a lungo e finalmente rispose: << Mio sire, devo confessarvi che Dio, nella sua infinita benevolenza, ha voluto creare in voi questa mirabile cosa, in voi ponen- dola affinché, dovunque vi troviate, essa resti in voi e da

3 voi non possa mai essere separata ... ». Ne deriva evidentemente una fondamentale differenza

fra l'alchimia e ogni altra arte sacra: nell'alchimia, il magi- stero, la maestria artistica, non si manifesta su un piano esteriore o artigianale, come avviene invece nell'architet- tura o nella pittura, ma interiormente. La trasmutazione del piombo in oro (obiettivo dell'opera alchemica) sfugge del resto a qualsiasi possibile capacità artigianale. I1 carat- tere miracoloso del procedimento in questione, in quanto fa compiere alla natura un salto che, secondo gli stessi alchi- misti, la natura in sé non potrebbe realizzare se non in un arco di tempo incalcolabilmente lungo, mette inoltre in evi- denza la differenza fra Ie possibilità corporee e le possibilità dell'anima. Se è infatti vero che le soluzioni, cristallizzazioni, fusioni e calcificazioni di una certa sostanza minerale pos- sono, in qualche misura, essere il riflesso delle mutazioni interne dell'anima, è altrettanto vero che quella stessa so- stanza resta sempre e comunque legata ai limiti che le sono propri; al contrario, l'anima è in grado di superare i limiti << psichici )> che ad essa corrispondono nel suo incontro con lo Spirito, non vincolato ad alcuna forma. I1 piombo rap- presenta lo stato caotico, pesante e morboso del metallo o dell'uomo interiore, mentre l'oro - << luce solidificata » e << sole terreno - esprime insieme sia la perfezione metal- lica che la perfezione umana. Secondo la visione del mondo tipica degli alchimistj. l'oro è il fine autentico della natura metallica e tutti gli altri metalli non ne rappresentano che

uli stadi preparatori e le esperienze preliminari. Solo l'oro possiicde in sé un armonioso equilibrio di tutte le proprietà iiict:illiche, prima fra tutte l'immutabilità. e I1 rame non c.oiiosce riposo se non quando diventa oro »: la frase di Miistro Eckhart si riferisce in realtà all'anima che aspira rllii ~ ropr i a eternità. Così, contrariamente a quanto viene ( l i solito loro rimproverato, gli alchimisti non hanno mai itviiio come fine ultimo quello di fabbricare l'oro, agendo a i i i inctalli più comuni con formule segretamente traman- i l a t i e alle quali soltanto la fede imponeva loro di restare I r ~ ~ i i i . Per desiderare veramente un risultato di questo tipo, iivi~c.l,bero dovuto appartenere alla categoria dei << brucia- I iii.l,oni )> i quali, se pure aspirarono alla realizzazione della ( ;i:inde Opera, lo fecero a1 di fuori di ogni contatto auten- 11i.o con la più vitale tradizione alchemica e basandosi esclu- aiv:imente sullo studio di quei testi che, peraltro, erano Iiic.cipaci di intendere se non in senso letterale.

In quanto via che si propone di condurre l'uomo alla c.onoscenza del proprio essere eterno, l'alchimia può anche rnncre paragonata alla vita m i ~ t i c a . ~ Ne fa fede del resto I'ntlozione da parte dei mistici cristiani e, ancor più, mu- niiliiiani di espressioni derivanti dall'alchimia. I simboli nl(.l1rmici della perfezione riguardano la concezione di una tintiira spirituale della condizione umana, il ritorno verso Il siio proprio centro e ciò che le tre grandi religioni mo- iiotriste definiscono riconquista del paradiso terrestre. A ~roposito del compimento dell'opera, l'alchimista Nicolas ~:liimel ( I 3 30-14 I 7) scrive, utilizzando il linguaggio della frtlr cristiana, che esso muta l'uomo facendolo da cattivo hiiono, liberandolo dall'origine di tutti i peccati - I'avari- mia -- facendolo generoso, dolce, pio, religioso e timorato (li Dio, non importa a quale grado di cattiveria possa essere ~l i in to in passato. Per sempre l'uomo resterà prostrato di- iiiiiizi alla grande grazia e misericordia che ha ottenuto da I)io c alla profondità delle Sue divine e mirabili opere ... ».'

1,'cssenza e il fine della via mistica è l'unione con Dio. I.'nlchimia tace su questo punto; ma ciò che la pone di iiiiovo in connessione con la via mistica è il piano alchemico li ricomporre la nobiltà originaria della natura umana, af- liiicliE l'unione con Dio sia resa possibile da tutto ciò che

lega la creatura ai suo Creatore nonostante l'abisso infinito che la separa da Lui - vale a dire il teomorfismo >> di Adamo, disperso o meglio reso non effettivo dalla caduta. Occorre dunque ritrovare la purezza del simbolo umano prima che la forma umana possa essere di nuovo ammessa nel suo Archetipo infinito e divino. Dal punto di vista del suo significato spirituale, la trasmutazione del piombo in oro è né più né meno che la reintegrazione della natura umana nella sua originaria nobiltà. Come la qualità inimi- tabile dell'oro non può essere prodotta da una semplice somma di proprietà metalliche come massa, durezza, colo- razione, ecc., così la perfezione <( adamitica » non può es- sere ridotta a un insieme più o meno compatto di virtù. Si tratta di una perfezione non meno inimitabile dell'oro, e l'uomo che è riuscito a realizzarla non può più essere paragonato agli altri esseri umani: ogni cosa in lui è adesso << originale >>, proprio nel senso che il suo essere è ormai pienamente richiamato in vita e unito al suo principio d'ori- gine. Se il raggiungimento di questo stato rientra effettiva- mente nella via mistica, allora l'alchimia può essere consi- derata come un ramo di questa via.

Nondimeno, lo stile >> del simbolismo alchemico a tal punto differisce dall'universo teologico, che si è voluto da più parti definire l'alchimia come un misticismo senza Dio. Nulla di più falso: l'alchimia è infatti un ramo o una <( di- mensione operativa )> dell'Ermetismo, che è a sua volta interamente incentrato sull'origine unica e trascendente di ogni forma di esistenza. L'alchimia presuppone dunque I'esi- stenza di Dio, e vedremo in seguito fino a che punto la maggior parte dei suoi maestri insista sulla pratica della preghiera. Si può al massimo concedere che l'alchimia in quanto tale, cioè in quanto metodo o arte, non possiede una propria struttura teologica: non è a priori né teologica né morale; considera il gioco delle potenze psichiche da un punto di vista esclusivamente cosmologico, e ritiene I'anima come una << sostanza >> da purificare, dissolvere e di nuovo cristallizzare. Agisce come scienza o arte della natura per- ché, nella concezione che le è propria, tutti gli stati della coscienza non sono che aspetti di un'unica e sola Natura, che abbraccia in sé contemporaneamente il mondo esteriore,

IP I I I I III(. corporee sensibili e il mondo interiore: le forme I i i v i n i l ~ i l i Ocll'anima.

Mii I'iilchimia non è nemmeno un puro e semplice prag- ~iircti.;iiio privo di prospettiva spirituale. La sua natura spi- r~~iiitI(., c in un certo senso contemplativa, si nasconde q 1 1 1 1 1 1 i i o nella sua forma concreta, nel simbolismo che defi- I I I N I r I ':iii;ilogia fra il regno minerale e il regno dell'anima - P ~if1:iii:i analogia non può essere colta che da una visione i~~~lilii;iiiva delle cose materiali (visione di interiorità, po- ~ i i . i i i i i i o (lire) che sia anche, e contemporaneamente, visione m iii;iic.ri;ile cioè oggettiva e concreta, delle realtà psichi- t Jir In :iltri termini, la cosmologia alchemica tende a es- rrtr c~cc.nzialmente una dottrina dell'essere: un'ontologia. I l aitiil)olo metallico non è una semplice formula, una de- ri iizioiw approssimativa del processo interiore: in quanto vrio siriil,olo, è una sorta di rivelazione.

I l ijiodo sostanzialmente << impersonale con cui l'al- 4 l i i i i i i : ~ considera il mondo e l'anima l'avvicina più alla << via t I I conoscenza (gnosi) che alla << via d'amore >>: carattere 11ittiic.olnre della gnosi, nel suo senso più pieno e non in clttrllo cretico, è appunto la volontà di esaminare << ogget- ~lviiiiicnte l'anima legata all'Io. Del resto, espressioni di ciilginc alchemica si trovano, anche se occasionalmente, so- iti~~iiitto nei mistici orientati verso la <( via di conoscenza ». i( It,oicliamo inoltre che il termine « mistico >> è derivazione il1 u mistero D, che a sua volta proviene dal greco myein (iitc,rrcl. L'essenza del misticismo si sottrae a qualsiasi in- Ict l)i"-t:izione puramente razionale. e lo stesso avviene per l'iiI(~liiinia.

Vi 8 ancora un altro motivo che spinge la dottrina alche- nil(.ti n nascondersi dietro enigmi: non tutti sono in grado 111 iicicdervi. L'« arte regale )> presuppone un'intelligenza I i i t i i . i del comune e una particolare disposizione dello spiri- I O , in assenza di queste due condizioni, la pratica di un'arte t l l cltiesto tipo può anche presentare un certo numero di ~wiicoli. Scrive infatti il famoso alchimista medievale Ar- irlio? :« Non sapete che la nostra è un'arte cabalistica?' Vo~lio dire che è un'arte che si trasmette solo di bocca in IIclc.cn, ed è piena di misteri. E voi, poveri stolti, davvero ritirste così ingenui da illudervi di poter cogliere dalle no-

stre labbra, esplicitamente e chiaramente, il più grande e il più importante dei segreti; dawero così ingenui da pren- dere le nostre parole alla lettera? In buona fede vi dico, poiché non conosco la gelosia che acceca gli altri filosofi, in buona fede vi dico che chiunque pretenda di spiegare se- condo il senso più comune e letterale ciò che gli altri filosofi hanno scritto, si troverà ben presto smarrito in un labirinto da cui non riuscirà mai più a liberarsi: perché nessun filo di Arianna sarà lì a guidarlo e a farlo uscire ... ».' E Sinesio, vissuto probabilmente nel quarto secolo9: <( I veri alchimisti si esprimono esclusivamente per simboli, metafore e imma- gini, affinché solo i santi, i saggi e le anime illuminate possano capirli. È per questo che, nelle loro opere, si sono sempre attenuti a un certo metodo e a una certa regola: perché l'uomo di buon senso possa finalmente comprendere, vincere le proprie esitazioni e accedere pienamente a tutto ciò che vi si trova segretamente descritto ».l0 Infine, così si esprime Geber, riassumendo nella sua Summa l'insieme della scienza alchemica medievale: <( Non bisogna esprimere il nostro Magistero in termini del tutto oscuri, ma nemmeno con una evidenza che lo renda comprensibile a tutti. Da parte mia, lo insegnerò in modo tale che nulla ne sia na- scosto ai Saggi, pur senza cessare di essere oscuro agli spiriti mediocri. Quanto agli stupidi e ai folli, non potranno ca- pirci niente ... » . l ' Ci sorprende tuttavia che, nonostante avvertimenti di questo tipo, di cui potremmo citare molti altri esempi, non pochi si siano illusi - soprattutto nel XVII e nel XVIII secolo - di riuscire a fabbricare l'oro proce- dendo da uno studio meticoloso dei testi. Ma bisogna anche riconoscere che gli stessi autori alchemici lasciano spesso intendere come il mantenimento del segreto alchemico sia assolutamente necessario, affinché nessuna persona indegna riesca ad acquisire un potere pericoloso. In altri termini, si sono fatti portatori di un inevitabile malinteso per te- nere a distanza persone non sufficientemente qualificate; ma non hanno mai mancato, parlando dei fini apparente- mente materiali della loro arte, di alludere anche al loro vero fine spirituale. In tal modo chiunque fosse dominato da una passione terrestre doveva automaticamente lasciar sfug- gire l'essenziale. Possiamo leggere nel Trionfo Ermetico:

e 1 .ii 1ic-i i.;i filosofale (che permette di trasmutare i metalli vili i i i oro) assicura una vita lunga e senza infermità a colui t lir I;i possiede; essa detiene in sé più oro e argento di i i i i i i i piìi terribili conquistatori del mondo messi insieme. Ti 1111 icsoro i cui meriti non hanno eguali su questa terra, l w ~ i c . l i i . <:liiunque ne potrà disporre sarà sommamente felice

I r i sii;i sola vista gli basta per esserlo - e mai si troverà ~ l a x i i l i i o dalla paura di poterlo perdere ».lZ La prima frase ariiil>i.:i confermare l'interpretazione esteriore dell'alchimia, I I I I I 1:iiì la seconda sottolinea inequivocabilmente come il I I O ~ ~ S " S S C ) di cui si parla sia di ordine assolutamente interiore c. xl'ii.itiiale. La stessa precisazione è rintracciabile nel già I i t i i i o 1.ihro dei Sette Capitoli: <( Con l'aiuto di Dio onni- I N I I ~ I ~ ~ , questa Pietra vi libererà e vi proteggerà da qual- aiiisi ~'iccola o grande infermità; vi terrà lontano da ogni iiir5iizi;i e afflizione e da tutto ciò che può nuocere sia al I OI.IW che allo spirito. Vi guiderà, infine, dalle tenebre alla I I I I . ~ , dal deserto alla dimora, dalla necessità all'abbon- tl11iiz:i » . l 3 L'ambiguità di senso che sembra emergere da iiiiic queste citazioni ha evidentemente attinenza con l'in- irtiio, più di una volta dichiarato, di guidare con I'insegna- iiiriiio il saggio e di <( seminare D l'insensato.

I'roprio perché il modo d'espressione alchemico, nella nt i i i crmetica impenetrabilità, non è affatto un'invenzione ni.l>itraria, Geber ha potuto scrivere in un'appendice alla aiiii celebre Summa: <( Ogni volta che vi sarà parso che io i ~ i i sia espresso in modo più chiaro e manifesto in merito allii nostra scienza, proprio allora vi dovrete invece vedere riicor più perfettamente nascosto e oscuro l'oggetto del mio cliscorso. Nonostante tutto ciò, non ho mai rivestito di al- Jcmorie o di enigmi l'opera alchemica, ma sempre l'ho trat- iriri in termini chiari e intelligibili, e descritta in tutta aiiicerità: così come so che essa esiste, così come io stesso l'tic) appresa per ispirazione dell'altissimo, gloriosissimo e lodevolissimo nostro Dio, che si è degnato di rivelarmela; I.iii, che è il solo a poterla dare a colui che ha scelto e a ~wterla ritogliere non appena gli piace ... D. Molti alchi- iiiisti, del resto, si sono sforzati volutamente di comporre I loro scritti in modo tale che già la loro lettura venisse a operare una netta separazione fra le <( pecore » e i a capri M.

Ne è un esempio la stessa opera di cui ci stiamo occupando; ecco infatti cosa scrive Geber in un altro passo dell'appen- dice appena citata: <( Tengo a dichiarare che, in questa mia Summa, non ho voluto insegnare la nostra scienza in modo continuato, ma l'ho disseminata qua e là nei diversi capitoli. E ho fatto ciò di proposito, giacché, se avessi dato un ordine alla mia esposizione, i malvagi avrebbero potuto approfit- tarne come i puri di cuore e farne un cattivo uso... ».

Analizzando più da vicino le affermazioni di Geber che hanno apparentemente un significato metallurgico, è pos- sibile notare, nel bel mezzo di descrizioni più o meno arti- gianali di determinati procedimenti chimici, salti di pensiero decisamente sorprendenti; per esempio, pur non avendo fatto in precedenza il minimo riferimento ad una <( so- stanza » - in rapporto con l'« opera » - il nostro autore cosi proclama improvvisamente: <( E ora prendi questa so- stanza che conosci a sufficienza e mettila in quel vaso.. . ». Oppure, non meno improvvisamente, subito dopo aver in- sistito a lungo sul fatto che la trasmutazione dei metalli non può avvenire grazie all'intervento di mezzi esteriori, accenna esplicitamente a una <( medicina che guarisce i me- talli in stato morboso » mutandoli in argento o in oro. La mente di chi legge ne riceve come il senso di una brusca frattura: il che è appunto il fine di siffatto modo di esporre. I1 discepolo viene cosl condotto a esperire direttamente i limiti della propria ragione (ratio) e per ciò stesso, come afferma Geber facendo riferimento alla propria esperienza personale, a guardare sempre più profondamente dentro di sé: <( Tornando a me stesso e meditando sul modo in cui la natura produce i metalli nel seno stesso della terra, intuii la vera materia che la natura ha approntato perché ci sia possibile renderli perfetti sulla terra ... ».

Questa è dunque la soglia intellettuale che l'alchimista deve superare - queIla morale consistendo, come abbiamo visto, nella tentazione di dedicarsi all'arte alchemica spinti esclusivamente dalla bramosia dell'oro. Gli alchimisti sot- tolineano spesso come il maggior ostacolo al conseguimento della loro opera sia appunto la cupidigia o l'avarizia: vizio che sta all'arte in questione come l'orgoglio sta alla <( via d'amore e I'illusione dell'Io alla <( via di conoscenza ».

1 . 1 1 t i i l ~ i t l i ~ : i ; i non C in qucs~o caso che uno dei tanti nomi t l l i c i ;~lI'(~~:oc.cnirismo, cioè a quella schiavitù delle passioni I 111. 11.:111il.nc 1'Ego dentro la gabbia dei suoi limiti indivi- 1 1 i i i 1 1 1 Iiic~ltrc, la regola dettata da Ermete ai propri disce- 1 1 4 11 i c l i i.iccrcare la trasmutazione degli elementi solo allo w o ~ , o ( l i soccorrere i poveri (o la stessa natura, là dove ~ii~l~~:c.iiic.) - richiama l'obbligo buddista che subordina la 1 1 1 I . I ( . ; I clcllii somma rivelazione al' benessere di tutte le 1 I I . , I I i i t . c a . R appunto lo spirito di carità a liberarci dagli ar- i i 1 1 1 i ~l~.II'T:go che, in ogni atto, si limita invece a perseguire

1 1 4 I I I 111.oprio riflesso. Si I ~ ~ r r e b b e obiettare che il presente tentativo di inter-

I I I C I . I I < . il significato dell'alchimia trasgredisce precisamente ,t I I I I S I (Iclle prime regole degli alchimisti: l'opportunità, I I,,;., ( l i mantenere una certa discrezione sull'argomento. I\~i~it~i.c.l~bc, per rispondere, il fatto che nessun discorso è i 1 1 y,i;itlo, da solo, di esaurire il senso dei simboli entro cui ri 1iiisc.onde il segreto più profondo dell'alchimia. L'inter- 111ri;izione può riguardare tutt'al più le dottrine cosmolo- )ii~.Ii(. sulle quali si fonda l'arte alchemica, i suoi piani riill'iiomo e sulla natura e, infine, il suo modo generale di 111ot,c.{lere. E anche ammettendo una possibile interpreta- r l i ~ ~ ~ ( - dell'opera alchemica nella sua totalità, ci ritroverem- 1110 scinpre e comunque con un resto inesprimibile nella i i c t,iiiiira ma, nondimeno, essenziale al perseguimento del- I'crj){.r;i. Come ogni arte che si vuole sacra - cioè, come ogni

iiic.todo » che tende alla realizzazione di stati di coscienza riiljc'rindividuali - l'alchimia muove da una iniziazione: un iliiic'stro deve di regola autorizzare il discepolo al consegui- iiiriito delI'opera, e solo nei casi assolutamente eccezionali li1 c . i i i tale catena di trasmissione si interrompa, può avve- iiiic che si produca proprio da questa breccia un'irruzione ii~ii;icolosa dell'influsso spirituale. Possiamo leggere sull'ar- ~{oinento i1 passo che segue, tratto dal dialogo fra i1 re Kli:ilid e Morienus: <( Chiunque vi vuole accedere, vi deve rmsrre condotto dall'insegnamento di un maestro: è questa li\ prima regola della nostra arte [...l. E il maestro dovrà rivrr dimostrato più di una volta al suo discepolo la propria i.~perienza: poiché chi conosce perfettamente l'ordine di tliicsta opera e l'ha sperimentato in se stesso, è milie volte

superiore a quello che l'ha conosciuto solo attraverso i libri ... ».l4 E l'alchimista Denis Zachairel': « Prima di tutto che sappiano, se ancora non lo sanno, che la nostra Divina Filosofia sfugge al potere degli uomini; né i loro libri pos- sono bastare ad insegnarla, se non è il buon Dio a infon- derla nei nostri cuori o per mezzo dello Spirito Santo o per mezzo di un uomo vivente ».l6

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La saggezza ermetica

I . l i visione ermetica delle cose si fonda sull'analogia fra I'iiiiivcrso - il macrocosmo - e l'uomo - il microcosmo -: riiulogia il cui asse o la cui chiave di volta è lo Spirito o In- trllrito universale, prima emanazione dell'Uno assoluto.

I ,'liniverso e l'uomo si rispecchiano l'uno nell'altro: tutto dì, clic si trova nel primo deve necessariamente trovarsi, 111 i i i i modo o nell'altro, anche nel secondo. Tale corrispon- tlriiz;~ potrà essere meglio intuita riconducendola, anche se 111 vili del tutto provvisoria, alla relazione soggetto-oggetto, roiioscente-conosciuto: il mondo, in quanto oggetto, si ri- flciir a tal punto nello specchio del soggetto umano che n ~ b i i ci sarebbe possibile percepirlo al di fuori di quest'ul- tliiio. Mentre il soggetto, lo specchio, esiste solo per quello VIIC vi si riflette. Queste due polarità possono anche essere tllntinte, ma in nessun caso separate.

I'mpiricamente, il soggetto si identifica con l'Io; e poiché cl~irsto si identifica a sua volta con il corpo, ecco che il sog- )trtto ci potrà apparire non soltanto frantumato nelle pro- nprttive individuali e variegato dalla diversa presenza dei nriitimenti, ma anche, come indica la parola stessa, c< sot- titiilesso » al mondo oggettivo. Si tratta in realtà di una ncirta di illusione ottica: se il soggetto, in quanto polarità Iiicrriore della conoscenza, non fosse che questo, cioè un

j~iii'o ccaniro tli scnsibilitrl individuale legato alle vicende ( l e - 1 c.orpo c sot toinesso :ille suc leggi, non sarebbe eviden- tcmcntc « :ill'altezza » del suo oggetto; la conoscenza og- gcttiva del mondo sarebbe impossibile, non esisterebbe anzi ncssiin livello possibile di conoscenza. Certo, la nostra cono- scenza dcl mondo è frammentaria: non coglie gli oggetti che parzialmente, e rimane necessariamente indiretta non riu- scendo a superare, in- se stessa, la dualità oggetto-soggetto. Ma questo non significa che sia meno adeguata: è comunque conoscenza e, in quanto tale, si iscrive in quella Verità uni- versale senza la quale la nostra esperienza del mondo si ridurrebbe a un sogno evanescente e assurdo (ammesso poi che sia possibile la definizione di qualcosa in assenza di un autentico criterio di certezza); non vi sarebbe nessuna pos- sibile coincidenza, né fra le cose e il nostro spirito, né fra i diversi « mondi » che corrispondono ai diversi soggetti.

L'universo è costituito da una serie indcfiniin di soggetti posti a confronto con una serie altrettanto indefinita di oggetti, in un sistema di assoluta continiiiti: !:i sfera og- gettiva che corrisponde a questo o a qiicl sogry-tto partico- lare si inserisce senza fratture nell'insicinc dellc rr;iltà sog- gettive e oggettive - avendo ogni soggetto. sc.roiit lo i modi che gli sono propri, una visione glnl-ialc c ;itlcgilsta del mondo. Tutti i soggetti individuali, infatti, iion sono che polarizzazioni più o meno dirette o intiircitc (Icl solo sog- getto universale: lo Spirito o Intellettc,.

Inoltre, se è vero che l'Intelletto univcrs:ilc ir;isccnde la polarità soggetto-oggetto, essendo oggciio ( l i sc. stcsso e contenendo quindi in sé tutte le possil-iiliiA ( l i << cygcttiva- zione » sia interiore che esteriore, I :il1 rci t ; i i i i o vcrc,, tut- tavia, che è più facile percepirlo comc « scil:l:~.iio » i i r cluan- to, per l'uomo, la polarità « soggetto si S I I I I : ~ ( l i (.:liio verso l'interno, ed è proprio attraverso I ' i i i i c ~ r i o i ~ i t l c.Iii . si può accedere allo Spirito. Certo, esistono anclic t I<.,ili C c jl:j:ctti » interiori, sia di ordine psichico c-lic ( l i oi.tIiiic. iiiloi-iii;ile,' ma questi « oggetti » tendono ad app;irii.c- c.oiii(. iiic.i.c.nti al soggetto: il che non avviene invece 1,ci. i l i i i o i i t I , , C-sicriore, almeno non avviene a priori, poicli6 I(. t > i \,ic.sciitano necessariamente sotto altra forma al1 ' i i o i i i c ~ 1.1 c i i i c.c)ic.icnza

si sia direttamente identificata con lo Spirito o Intelletto universale.

Occorre quindi considerare un nuovo campo di analogie: poiché l'uomo rappresenta, nell'ordine terreno, il supporto più perfetto dello Spirito universale, o il suo più diretto luogo di attualizzazione, possiamo considerarlo - in linea di principio, se non di fatto - come la sintesi o la « risul- tanza » di questo essere macrocosmico costituito a sua volta dalla serie indefinita delle polarizzazioni dello Spirito unico. In questo senso, molti autori ermetici della tradizione araba hanno ritenuto di poter scrivere: L'universo è un grande uomo e l'uomo è l'universo in piccolo ».l

È quindi evidente che l'Intelletto universale trascende le facoltà psichiche e mentali. Conviene comunque precisare che tale essenzialità gli è propria sempre e dappertutto, anche là dove si manifesta attraverso facoltà o coscienze più o meno limitate o più o meno opache: così come una luce pura riflessa da vetri colorati continua, in se stessa, a essere incolore. In assenza dell'Intelletto, nessuna forma mentale sarebbe in grado di contenere un benché minimo elemento di verità.

La dottrina ermetica dell'Intelletto universale coincide, insomma, con quella tramandataci dai Platonici in un lin- guaggio sostanzialmente analogo. Come insegna Ermete Trismegisto, « l'Intelletto (nous) deriva dalla Sostanza (ou- sia) di Dio, nei limiti in cui sia pssibile attribuire a Dio una sostanza3; soltanto Dio conosce in che consiste la natura di tale sostanza. L'Intelletto non è una parte della sostanza divina; ne è piuttosto l'irradiazione, come un raggio di luce che scaturisce dal sole. Nell'uomo, questo Intelletto è Dio ... ».' L'immagine non potrebbe essere più chiara. La luce scaturisce dal sole senza che questo ne abbia ad essere diminuito; nello stesso modo, l'Intelletto procede dalla so- stanza divina senza che questa ne venga a perdere nelle sue manifestazioni in sovranità e trascendenza. Ma di più: come la luce del sole a6da tutta la propria realtà al sole stesso, e a tal punto che non ci è più dire quale sia l'una e quale sia l'altro, così l'Intelletto diventa in qualche modo Dio - nell'uomo, cioh nel suo specchio cosmico più per- fetto, è Dio.

Aiicl~c se I'Intclletto si mantiene intrinsecamente iden- ~ i s o d;ippertutto, non manca tuttavia di dare origine, estrin- sccamente, a una gerarchia di entità, al cui primo posto è l'Anima universale (psyché) e all'ultimo la materia. Nel- l'uomo - al cui livello il più alto e il più interiore coinci- dono - il corpo sembra contenere I'anima, a sua volta abi- tata da un intelletto che è portatore del Verbo Divino o Logos. l3 in questi precisi termini che' ne parla Ermete Trismegisto nel libro già citato, là dove fra l'altro definisce Dio come <t il Padre di tutto ».'

Le analogie fra questa dottrina e la teologia giovannea sono abbastanza evidenti, ed è comprensibile che non pochi padri della Chiesa, per esempio Alberto Magno, abbiano potuto vedere nel Corpus Hermeticum il « seme » pre- cristiano della dottrina del Logos.

Per chi sa leggere, la dottrina dell'iinità trascendente dell'Intelletto è giA tutta presente nel prologo n1 Vangelo secondo Giovanni, e implicitamente affermata in tutte le rivelazioni della Sacra Scrittura, anche se i l suo carattere esoterico resta necessariamente confermato dall'impossibi- lità di cogliere tale unità per mezzo dell ' i~ninn~' .inazione o della stessa ragione, in quanto tale unitrì è In prrmessa e non I'oggetto della logica. Vedere nell'unith (!c*llo Spirito o Intelletto una sorta di continuità sostnnzi:)lc - c per cosi dire materiale - in grado di dissolvert Ic clisiii~zioni invece inerenti all'esistenza, a partire d:ill~ disiinzionc. cvidente- mente incommensurabile fra creato e ii~c.rc.:ii c ), poi.tc.rebbe inevitabilmente a gravissimi errori. 1,:) i i ; i i i i i - ; I iiriiversale dello Spirito gli permette di essere iot:iIi~~c-i,ic. ~i(.\c'nte in ogni creatura, ma senza annullnrnc I'c~ssc~~i/;i. t l i c - cluella di una forma limitata e distint:~: i i ( > i ~ > 0 1 ( , j i i I .irq,~ t r t c ~ alle altre creature, ma anche in rq>~oi. lo : i l l o Sl ) ; i 1 1 , ) ,rc.hsc,, da cui infinita t? la distanza. Non diiiic~iiiiclti~iiii~~ iiil)Iirc che I'anima (la psyché) è a sua volt;~ i 1 1 1 . i I o i i i i . ~ (. t ic . cliiesta forma continua a esistere anclie doy)c 1.1 i t i c t i i ( . t Ic.1 c.<irpo: tesi, questa, che l'averroisn-io - 11c.i. e.( <...\C I l i iiristote- lismo - non ha saputo conci1i;irc ( . ( l i i c l i ~ ~ . l l . i ( I c . 1 1 0 Spirito unico.

L'Intelletto, distinguendosi da t i i t t i ; : l i ci,:+:cSi i i c , :ilmeno sottraendosi a qualsiasi possihilc. « c,):l:c.i i iv.i/i~ )iic. », & il

« soggetto assoluto p>. È quindi il <t testimone » più inte- riore e situato, nella nostra anima, di gran lunga al di 1A di tutto ciò che può ancora essere oggetto di conoscenza; si identifica, al fondo deI nostro essere, con « l'Occhio di- vino ». Ne troviamo allusione anche in quel testo ermetico della tradizione siriaca che contiene l'immagine dello spec- chio segreto cui si può accedere solo dopo aver oltrepassato sette porte, a loro volta corrispondenti alle sette sfere pla- netarie, gradi o « strati » dell'anima universale. « Era uno specchio fatto in modo tale », dice il testo in questione, « che nessun uomo vi si poteva vedere materialmente, poi- cht nel momento stesso in cui si distoglieva dallo specchio per rivolgersi alla molteplicità, perdeva la memoria della propria immagine (essenziale). Lo specchio rappresenta lo Spirito divino. Quando I'anima vi si rimira, scopre la colpa che è in lei e si affretta a rifuggirla [...l. Una volta purifi- cata, I'anima imita lo Spirito Santo e lo prende a proprio modello; diventata a sua volta spirito, riconquista la pace e si riaffida a quello stadio superiore in cui lo si conosce (Dio) e da Lui si è conosciuti. Ormai senza ombra, si può distaccare dai vincoli che le sono propri come da quelli che l'accomunano al corpo T ... 1. Come dice la parola dei Filo- sofi? - Conosci te stesso! Con questo si vuol riferire allo specchio spiritiiale e intellettuale. Ma che cos'è questo spec- chio, se non il divino Spirito originale? Non appena l'uomo vi si contempla, non può fare a meno di distogliersi da tutto ciò che ha ancora a che fare con dei e con demoni, e si congiunge allo Spirito Santo per farsi uomo perfetto. Vede Dio in se stesso [. . . l . Lo specchio i? posto al di sopra delle sette porte che corrispondono ai sette cieli, al di sopra del mondo sensibile, al di sopra delle dodici case (celesti). Al di sopra di tutto, si trova quest'occhio dei sensi invisibili, quest'occhio dello Spirito sempre e dappertutto presente. E là possiamo contemplare questo Spirito perfetto che con- tiene in potenza tutte le cose ... »'

Non essendo l'Intelletto che la polarit& conoscitiva del- l'esistenza universale - non essendo in sé l'oggetto di

un'espericnz;i m;] In I>i.cmcss;i c i l fondamento di ogni pos- sibile esperienza - la conoscenza che ne possiamo avere non modifica la nostra esperienza del mondo, almeno non nella sfera dei fatti, ma determina piuttosto l'assimilazione inte- riore di questa esperienza. Per la scienza moderna, le « ve- rità » ( O leggi generali) - in assenza delle quali saremmo inghiottiti dalla sola esperienza come dalle sabbie mobili - si riducono alle descrizioni o schematizzazioni delle appa- renze, astrazioni utili quanto assolutamente provvisorie. Per la scienza tradizionale, invece, è essenzialmente verità l'espressione o la « condensazione », in forma accessibile alla ragione, di una possibilità già presente a priori nel- l'Intelletto universale. Tutto ciò che appare, in modo più o meno effimero, nell'esistenza, ha il proprio modello o archetipo appunto nell'Intelletto universale.

Mentre l'Intelletto coglie le possibilità nella loro primi- tiva immutabilità, la ragione non ne afferra chc le ombre o i simboli. Platone chiama idee o archetipi tali immutabili possibilità: conviene rispettare il significato più autentico di queste espressioni ed evitare di applicarle a semplici ge- neralizzazioni - tutt'al più, riflessi delle vere idee - o a quella sfera esclusivamente psichica che si è convenuto di chiamare inconscio collettivo. Quest'ultima accezione è par- ticolarmente incongrua e scorretta, in quanto sembra pre- supporre una identificazione fra indivisibilità dcll'Intelletto e impenetrabilità del fondo più passivo e oscuro dell'anima. Non è al di sotto ma al di sopra del piano razionale che si situano gli archetipi: i l che spiega fra l'altro perché mai tutto ciò che la ragione ne può cogliere non sia che un aspetto necessariamente limitato della loro più autentica realtà. Soltanto l'unione dell'anima con lo Spirito - o, per meglio dire, il suo ritorno all'unità indivisibile dello Spi- rito - può dare origine nella coscienza dell'uomo a una sorta di improvvisa rivelazione delle possibilità eterne presenti nell'Intelletto o Spirito: possibilità che si « condensano )>

spontaneamente sotto forma di simboli.' Nel libro del Corpus Hermeticzrm conosciuto sotto il ti-

tolo di « Pimandro », apprendiamo in che modo l'Intelletto universale si riveli a Ermete-Thoth: « Cosi dicendo, Egli mi fissò in volto a lungo, a tal punto da farmi tremare sotto

il suo sguardo. Poi, non appena risollevò la testa, vidi come nel mio stesso spirito (nous) la luce di incalcolabili possibi- lità si trasformasse in un Tutto infinito, mentre il fuoco. circoscritto e come trattenuto ali'interno da una forza onni: potente, perveniva al suo stato di immobilità. Questo è quanto ho potuto trattenere razionalmente di tale visio- ne [ . . . l . Quando fui del tutto fuori di me, Egli parlò di nuovo: "Tu hai potuto vedere nell'intelletto (nous) il pro- totipo, l'origine anteriore a qualsiasi inizio senza fine" ... ».'

Una cosa o un pensiero assurge a simbolo là dove rifletta, a livello fisico o psichico, il proprio archetipo o essenza immutabile. Se è vero che il pensiero astratto è in grado di meglio sottolineare la distanza che separa il simbolo dal suo archetipo, è altrettanto vero che l'immaginazione si presta più compiutamente a riflettere quest'ultimo, poichd l'immagine è sempre più complessa di una nozione astratta e offre un numero evidentemente superiore di possibilità interpretative. Inoltre, pur essendo vero simbolo, essa si fonda sulla reciproca corrispondenza che esiste fra la sfera spirituale e la sfera corporea, conformandosi così alla legge che dice, secondo le parole che possiamo leggere sulla Tavola Smeraldina, che « il più basso è simile in tutto al più alto P.

Là dove l'intelletto umano, grazie all'unione più o meno completa con l'Intelletto universale, riesce a distogliersi dalla molteplicità delle cose per ascendere all'unità indivi- sibile, la conoscenza della natura che un uomo è in grado di acquisire a partire da tale visione non resterà più limitata ai puri e semplici fatti sensoriali (questi ultimi, poi, si man- terranno ancora e sempre quali sono) - il mondo è ormai diventato trasparente all'uomo: questi vede nelle sue ap- parenze il riflesso degli archetipi eterni. E anche quando questa intuizione non è immediatamente presente, i simboli che ne scaturiscono ne risvegliano comunque il ricordo o la « reminiscenza ». Questa è la visione ermetica della natura.

I n tale prospettiva, le cose acquistano importanza non tanto per la loro natura misurabile e quantificabile, cioè per

1 1 1 1 , . , l I I 1 1 I ~ I I W ~ . I I I I C I I I ~ I ( 1 1 t i 1 : i i i pos- . .11 ,1I i I ..I,, I I' I ~ : . I i q t ~ ~ < I.., I I I ; . I i 1 1 , . 1 1 , . I I ~ I . : . I . I I I I ~ I ; IV~ . I .C~ non I I I , ~ I I I ( I , . l 1 . 1 I ~ ( ~ . . I I . I i . . ( , i i l l I ~ : . I , I i I I I I ~ ~ I I ~ I < I , . ~ I I I I I . I I I I I I O I I nella s lc i ;~ ( 1 ( . 1 I . I I I I . 111.1 l I ( . ~ t . ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ . ~ I I I I I I I ~ I . . I ~ I I'.I..~~IIIII~.I/I~III~- inte- riorc <li (~I I ( .SI : I ( . ~ ~ ) ( . I I ( . I I ~ , I l ' ( . i 1 . 1 I C I I / ; I I I I O ~ ~ ~ . I I I . I , l e * ve- rità >> (o leggi ~ ~ ( ~ I I ~ ~ I ~ : I ~ I ) i 1 1 ; ISSL.IIZ.I ( l ( . l l c . ( 1 1 I : I I I \ : l i c.irimo inghiottiti dalla solii c>l>ci.ic,iiz;i i o i i i i ~1;iIlc s;il)l)ic i ~ i o l ) i l i - si riducono alle descrizioni o sclie~ri;itizz:izic)~~~ tl~.llc. ;ippa- renze, astrazioni utili quanto assolii i ; i i i i c . i i i c I 1 1 I ~vvisorie. Per la scienza tradizionale, invece, è ess(~iizi.iliii(~iri~- verità l'espressione o la « condensazione P, i i i C o i - i i i ; i :IL c c.ssibile alla ragione, di una possibilità giiì ~ I . C S ( ' I I I ~ . :I 1 ) i i o l . i nel- l'Intelletto universale. Tutto ciò che ; i l q ) ; i i . c . . i 1 1 i i i o c l o più o meno effimero, nell'esistenza, Iiri i l 1 ) i - o l ) i i c i iiie)clillo o archetipo appunto nell'Intelletto iini\rc.i.s;il(.

Mentre l'Intelletto coglie le possil)i l i i :I 11c.1 I ; I 1 e ) i . o primi- tiva immutabilità, la ragione noli l i ( . ;ifli.i.i.;i ( Il(. l e . ombre o i simboli. Platone chiama idee o ;ii .c 1ic.i i i ) i I ; i l i i i i i i i r i i tabili possibilità: conviene rispettiirc i l sil:iiil~c.:iici 1 ) i i i :iiitentico di queste espressioni ed evit;ire (li : i l ) l ) l i c . ; i i - l c . ;i s(.iiiplici ge- neralizzazioni - tutt'aj piìl, riflcssi (!cII(. vc.1~. itlrc - o a quella sfera esclusivamente psiclii(.;i (.li(. si c.oiivcnuto di chiamare inconscio collettivo. ()iicst'~ili i i i i : ~ :ic.c.c.;.ioiic è par- ticolarmente incongrua e scorrct i : ~ , i ir ( 1 1 I : I I ~ I ( ) sc-nilwa pre- supporre una identificazione fra ii i<livisi l~il i i . ' i tl(.ll' intelletto e impenetrabilità del fondo pii1 passivo c os(.iiro clcll'anima. Non è al di sotto ma al di sopra dcl piriiio r:izioiinlc che si situano gli archetipi: il che spieg;i fi-;i 1':ilii.o ~>ctché mai tutto ciò che la ragione ne può cogliere non sia che un aspetto necessariamente limitato della loro piìi autentica realtà. Soltanto l'unione dell'anima con lo Spirito - o, per meglio dire, il suo ritorno all'unità indivisibile dello Spi- rito - può dare origine nella coscienza dell'uomo a una sorta di improvvisa rivelazione delle possibilità eterne presenti nell'Intelletto o Spirito: possibilità che si « condensano D spontaneamente sotto forma di simboli.'

Nel libro del Corpus Herrneticurn conosciuto sotto il ti- tolo di « Pimandro », apprendiamo in che modo l'Intelletto universale si riveli a Ermete-Thoth: « Cosi dicendo, Egli mi fissò in volto a lungo, a tal punto da farmi tremare sotto

il suo sguardo. Poi, non appena risollevò la testa, vidi come nel mio stesso spirito (nous) la luce di incalcolabili possibi- lità si trasformasse in un Tutto infinito, mentre il fuoco, circoscritto e come trattenuto ali'interno da una forza onni- potente, perveniva al suo stato di immobilità. Questo è quanto ho potuto trattenere razionalmente di tale visio- ne [...l. Quando fui del tutto fuori di me, Egli parlò di nuovo: "Tu hai potuto vedere nell'intelletto (nous) il pro- totipo, l'origine anteriore a qualsiasi inizio senza fine" ... ».'

Una cosa o un pensiero assurge a simbolo là dove rifletta, a livello fisico o psichico, il proprio archetipo o essenza immutabile. Se è vero che il pensiero astratto è in grado di meglio sottolineare la distanza che separa il simbolo dal suo archetipo, è altrettanto vero che l'immaginazione si presta più compiutamente a riflettere quest'ultimo, poicht! l'immagine è sempre più complessa di una nozione astratta e offre un numero evidentemente superiore di possibilità interpretative. Inoltre, pur essendo vero simbolo, essa si fonda sulla reciproca corrispondenza che esiste fra la sfera spirituale e la sfera corporea, conformandosi così alla legge che dice, secondo le parole che possiamo leggere sulla Tavola Smeraldina, che « il più basso è simile in tutto al più alto D.

Là dove l'intelletto umano, grazie all'unione più o meno completa con l'Intelletto universale, riesce a distogliersi dalla molteplicità delle cose per ascendere all'unità indivi- sibile, la conoscenza della natura che un uomo è in grado di acquisire a partire da tale visione non resterà più limitata ai puri e semplici fatti sensoriali (questi ultimi, poi, si man- terranno ancora e sempre quali sono) - il mondo è ormai diventato trasparente all'uomo: questi vede nelle sue ap- parenze il riflesso degli archetipi eterni. E anche quando questa intuizione non è immediatamente presente, i simboli che ne scaturiscono ne risvegliano comunque il ricordo o la « reminiscenza ». Questa è la visione ermetica della natura.

In tale prospettiva, le cose acquistano importanza non tanto per la loro natura misurabile e quantificabile, cioè per

il loro essere determinate d;i c:iiisc. c c-ircosi;iiizc lemporali, quanto per le loro qualità cssciizi;ili : <~iicllc. slessc che pos- siamo immaginare come i f i l i vcri iciili ( f i l i ( l i iin ordito) d i una tessitura, immagine del inondo. M:i soiio poi i fili oriz- zontali (la trama), inseriti in rno<lo ;ilicrno <i;illa spola, a fare di quella tessitura un tessiito iiiiifoi.iiie e compatto. I fili verticali sono i contenuti irnrniii:il,ili o Ic. essenze delle cose, mentre i fili orizzontali ne r:ipl~rc.sc.iii:iiio la natura

materiale » sottomessa al tempo, allo sp;izio c ad altre analoghe cond i~ ion i .~

L'analogia che abbiamo appena si:ihiliio ci lascia intui- re come una visione del cosmo foncl:it:i sii ii i i ; i tradizione spirituale possa essere, al contempo, giiist;i in senso a ver- ticale » e apparentemente inesatta in iinn prospettiva a oriz- zontale D, cioè sul piano dell'osservazione discorsiva e ana- litica. Cosl, non è necessario conoscere t i i l l i i metalli per acquisire una conoscenza diretta del1 'archet ipo del metallo in quanto tale. Per poter valutare le variazioni che si mani- festano all'interno del tipo unico, ? siiflicientc considerare i sette metalli esplicitamente menzionati dalla tradizione: oro, argento, rame, stagno, ferro, piombo e argento vivo. I n altri termini, l'oggetto della visione in questione è l'aspetto qualitativo del metallo. Lo stesso discorso vale per la cono- scenza dei quattro elementi," la ciii funzione è nell'alchimia della massima importanza. Tali elementi non corrispondono alle componenti chimiche delle cose, ma sono piuttosto le determinazioni qualitative della materia in quanto tale: così, invece di parlare d i terra, acqua, aria e fuoco, possiamo legittimamente parlare di modi di esistenza della materia di volta in volta solidi, liquidi, aerei o ignei. Anche se l'analisi chimica ci ha rivelato che l'acqua è composta da due parti d i idrogeno e una di ossigeno, non ne abbiamo appreso nulla di più sull'essenza dell'elemento acqua. Tale acquisizione, non potendo avvenire che indirettamente e , per così dire, astrattamente, finisce anzi per mascherare la qualità essenziale dell'acqua in quanto elemento. Inoltre, l'approccio scientifico riduce la realtà studiandola secondo un'unica prospettiva; là dove l'intuizione risveglia invece un'eco che risuona lungo tutti i livelli di coscienza, dal cor- poreo allo spirituale.

La scienza moderna a disseziona » le cose per poterne disporre sul loro stesso piano. I1 suo scopo & in primo luogo tecnico. I1 razionalismo si fonda sulla fiducia che l'analisi materiale e quantitativa delle cose renda possibile la sco- perta della loro vera natura. Tipico in questo senso & l'at- teggiamento di Cartesio, secondo cui la definizione scola- stica dell'uomo come <4 animale fornito di ragione » non ci insegna assolutamente nulla sull'uomo stesso, a meno che non si riesca a-precisare meglio il significato della parola

uomo » studiando le ossa, i tendini, i tessuti." Come se una definizione non fosse invece tanto più vicina all'essenza quanto più la sua intenzione è vasta! I1 pensiero analitico non è che il bisturi che separa le articolazioni delle cose: il che, se da una parte ne rende possibile una visione più dettagliata, dall'altra ne disperde la più intima essenza. È iina convinzione espressa anche da Goethe, là dove dice che se la natura non ha voluto rivelarci i suoi segreti, non saremo certo noi a farlo ricorrendo semplicemente alle leve e alle viti ».

È soprattutto sul piano astronomico che emerge piena- mente la differenza fra una cosmologia tradizionale come 1'Ermetismo e la scienza analitica dominata dalla sola ra- gione. L'immagine più antica del mondo, quella che rap- presenta la terra come un disco ricoperto dalla volta celeste punteggiata di stelle, è carica di significati profondi e solo in minima parte oggi svalutati, se è vero che tale immagine corrisponde ancora all'esperienza immediata e naturale del- l'umanità. I1 cielo, determinando con il suo movimento il giorno, la notte e le stagioni, insieme misura del tempo e dispensatore di pioggia, manifesta il polo attivo e maschile dell'esistenza. La terra, dal canto suo, che diventa fertile sotto l'influsso del cielo, facendo nascere le piante e nu- trendo tutte le creature viventi, corrisponde al polo passivo e femminile. Tale relazione Cielo-Terra, o esistenza attiva- esistenza passiva, è insieme il prototipo e il modello di in- numerevoli e analoghe polarità: per esempio, quella cor- rispondente alla coppia ideale forma » (eidos, forma) e

<< materia (hyle, vzg / ( , , r< i ì . t , 1 1 1 ~ t 1 1 . I 1 . 1 ~ I I I . I I I I . I , 1 1 . 1 ~ ~ ~ i u i d e r s i in senso platonico, di ~ ~ ) I I I I I ~ t ' I I I I I II,.ttu ( t ~ r , r , \ ) c anima (psyché).

11 movimento rotatoi.io t I t . 1 11 I i i i i i 1 1 1 1 t .I 1 ' ( .*8~\~<. i i~a di un asse immobile e invisibi\c.. ~ O I I I ~ . ~ I O I I ~ ~ I ~ I I I I ~ , 1 1 1 1 1 spirito - . e

immutabilmente presentc I I I \ ~ I I ~ I ) ~ . I I . I V V I . I I I I I \ ( . ~ ~ I I . Inoltre, il corso del sole determina i 1 1 i . 1 t I t ) t 4 . I #.,:t ) l . i i Ioi.lnata dai quattro punti cardinali - NoitI, \ I l 6 I I , , . . I . )vi.ai - in rap- porto ai quali le qualità coai i i i i i~~ I , : O ~ ~ I ~ I I I , I I I O ogni esi- stenza si manifestano come i~-i.~ItIt). t . i I l l o . *,(.((ti c umido. Vedremo in seguito in che n1iaiii.i 1 . 1 I t . t~itIiii(. ai trovi ripe- tuto all'interno del microcosrnc~ i i i i i . i i i ~

Cosi come ci appare al di sopi.;, t \ k . I I . i Iiiit..i ilill'orizzonte, il corso del sole descrive una c.iii.v.i I i t . ai ;iII;ii.ga passan- do dal solstizio d'inverno al solsi i ~ i t r ( I ' ( .~I : I Ic . , pcr poi de- crescere fino alla conclusione de1l';iiiiic 1 I~(.~ii:i~icamente, possiamo immaginare lo svolgersi ( l i i i i i : ~ sliirrle che si trasforma, al termine di un certo I I I I I I I ( . I . ~ ( l i giri, in un avvolgimento - immagine che ritrovi:iiiiii CI<.! rcsto in nu- merosi disegni: per esempio, la dopl)i:i sliir:ili-. ( l i c i il dop- pio vortice che ci è familiare nella loiiii;~ ilcllo yin-yang cinese, e soprattutto nel bastone di Briiicic ( i l c.iilfuceo) con quei due serpenti intrecciati attorno a 1111 ilssc - l'asse del mondo.I2 L'opposizione messa in evidciii:i <I;illc (tiie fasi del corso del sole (fase ascendente e fase disccritlcnte) corri- sponde in un certo senso all'opposizione lr;i cielo e terra, ma con una differenza: che in quest'ultimo caso i due ele- menti sono in movimento, e non si ha più quindi a che fare con una polarità statica ma con un'alternanza di forze. Il cielo e la terra sono rispettivamente in alto e in basso;. i solstizi sono al Sud e al Nord, e la loro opposizione cor- risponde a quella esistente fra espansione e contrazione. Dovremo tornare su questa opposizione - o complementa- rità - poiché essa, manifestandosi nella coppia Zolfo-Mer- curio, assume nel magistero alchemico numerosi significati.

L'immagine del mondo tramandata da Tolomeo (la terra, in quanto rappresenta il centro attorno al quale i

pianeti compiono la propria rivoluzione secondo orbite o sfere diverse, immerse nel firmamento delle stelle fisse e, ancora più oltre, nell'empireo in cui nessuna stella dimora) non si sostituisce del tutto all'immagine più arcaica del mondo, così come non si sostituisce all'esperienza diretta che l'umanità ne può avere. Essa attiva se mai un diverso simbolismo: quello del contenente e del contenuto, sim- bolismo che risulta dalla natura stessa dello spazio. La disposizione delle sfere celesti riflette l'ordine ontologico del mondo, secondo cui ogni grado di esistenza procede da un grado che gli è superiore, nel senso che il grado supe- riore contiene quello inferiore, esattamente come una causa

1 << contiene » l'effetto che le è proprio. Cosi, quanto più 1 ampia è la sfera celeste in cui un certo astro si muove,

tanto più puro è il grado di esistenza o il livello di coscienza che gli corrisponde: puro, e libero da ogni limite, vicino alla propria origine divina. L'Empire0 senza stelle, inglo- bando i cieli stellati e imprimendo il proprio moto al firma- mento delle stelle fisse (fra tutte, la sfera più rapida e regolare nella sua rivoluzione), rappresenta il motore primo (primum mobile) e anche, conseguentemente, l'Intelletto Divino che tutto abbraccia. E questa l'interpretazione del sistema tolemaico del mon-

do adottata da Dante. Prima di allora, la si poteva trovare in certi scritti della tradizione araba. Ma esiste anche un manoscritto ermetico di un anonimo del XII secolo, in lingua latina e probabilmente di origine catalana,I3 in cui il signi- ficato spirituale delle sfere celesti - una iscritta nell'altra - viene affermato in un linguaggio che ci richiama già alla mente La Divina Commedia. L'ascesa attraverso le sfere vi viene descritta come un'ascesa che attraversa una gerar- chia di gradi spirituali ( o intellettuali) grazie ai quali l'ani- nia, realizzandoli progressivamente, riesce a passare da una conoscenza discorsiva e limitata alle forme a una visione indifferenziata e immediata, in cui soggetto e oggetto, cono- scente e conosciuto formano ormai una cosa sola. La descri- zione è inoltre illustrata da disegni che rappresentano le sfere celesti come dei cerchi concentrici attraverso i quali gli uomini si elevano, come su una scala di Giacobbe, fino alla sfera più elevata: I'Empireo, al di sopra del quale il

Cristo dimora sul suo trono.'" I (.(-I.( I i i celesti sono comple- tati verso il basso, cioè i n dirczioiic (Icll:~ terra, dagli ele- menti. Al di sotto della sfcr:~ dcll;~ Ii i i i ; i si tiov;r il cerchio d i fuoco che contiene il ccrcliio (I(.ll':iri:r, l a cl~iale, a sua volta, chiude il cerchio dell'acilii:~ i i i i t i i I ; i terra i1 imme- diatamente immersa. I1 rnanoscrii io :iiioiiimo, il cui carat- tere ermetico è innegabile, riconoscc iiiolirc esplicitamente il valore deile tre religioni rnonotcisic.: k:iiicl:iismo, cristia- nesimo e islamismo. I l che dirnosi r;i clic 1'1 scicriza ermetica può effettivamente essere cornbin;ii:i, ~:i.:txie ;il proprio sim- bolismo puramente cosmologico, cori I i i i t ( . lc religioni rive- late senza entrare in conflitto con i l o r o sl)cc.ifici dogmi.

Rappresentazione, d'origine irlandese o anglosassone, di due draghi sul- l'albero del mondo. La svastica sul tronco dell'albero, che corrisponde aii'asse del mondo, rappresenta il movimento dci cieli. Ognuno dei due draghi P fatto di dodici soli o astri, forse corrispondenti ai dodici mesi. Tratto da una miniatura dell'VIII secolo illustrante un manoscritto delle Epistole di san Paolo, Northumberland, Biblioteca dellVniversitA di Wurzburg.

Poiché la rivoluzione dell'ottavo cielo o firmamento delle stelle fisse è la misura stessa del tempo, il cielo senza stelle (che comunica il proprio movimento all'ottavo cielo, con un minimo di scarto dovuto alla precessione degli equinozi) finisce per rappresentare la frontiera fra il tempo e l'eternità o, se si preferisce, fra i diversi modi di durata15 più o meno determinati e l'« eterno presente n. Nella sua ascesa attra- verso la sfera, l'anima, dopo aver raggiunto l'Empireo, si

lascerà dunque alle spalle il mondo della molteplicità e delle forme che si escludono a vicenda, e si avvicinerà all'Essere indiviso che tutto abbraccia. Dante esprime questo passag- gio - che implica un totale rovesciamento del punto di vista - confrontando l'ordine cosmico delle sfere concen- triche, sempre più ampie via via che ci si allontana dai limiti terrestri verso il non-limite del divino,'con un ordine inverso il cui centro è Dio, circondato dal coro degli angeli che ruotano in cerchi sempre più estesi. Quanto più i cori degli angeli sono vicini all'origine divina, tanto più veloce- mente ruotano: al contrario, cioè, di quanto avviene nelle sfere cosmiche, dove il movimento apparente si accelera proporzionalmente alla loro prossimità al centro terrestre. Con questa riconversione dell'ordine cosmico nell'ordine divino, Dante ha anticipato il senso più profondo della visione eliocentrica dell'universo.

I1 sistema del mondo in cui il sole è il centro attorno a cui ruotano tutti i pianeti compresa la terra, non è una scoperta esclusiva del Rinascimento. Copernico ha sol- tanto ripreso, e confermato in base alle proprie osserva- zioni, un'idea che era già conosciuta nell'antichità.16 I n quanto simbolo, il sistema eliocentrico del mondo è il com- plemento necessario del sistema geocentrico. L'origine di- vina del mondo - l'Intelletto o lo Spirito, procedendo dal quale Dio produce il mondo - può infatti essere vista come un'entità che tutto abbraccia (corrispondente allo spazio illimitato) o come il Centro unico da cui si << irradia ogni singola manifestazione. Proprio perché l'Origine divina è al di là di qualsiasi differenziazione, ogni rappresentazione di questa stessa Origine deve portare in sé il proprio ro- vescio: come in uno specchio.

Tuttavia, la visione eliocentrica del mondo è stata utiliz- zata dal razionalismo per provare che la concezione geo- centrica tradizionale, e tutte le interpretazioni spirituali a questa legate, non erano che inganni. Di qui si è poi arrivati al paradosso di una filosofia (che aveva assunto la ragione umana a misura della realtà) alla fine congelata in una pro-

spettiva astronomica in cui l'uomo non era più che un granello di polvere in mezzo ad altri, un semplice accidente privo di qualsiasi tipo di supremazia cosmica: insomma, tutto il contrario della tradizione medievale che - fondata non sulla ragione ma sulla rivelazione e sull'ispirazione - aveva posto l'uomo al centro dell'universo. Contraddizione evidente quanto facile da spiegare. La prospettiva raziona- lista tende costantemente a trascurare che tutto ciò che può essere formulato in merito all'universo resta un contenuto della coscienza umana, e che l'uomo, proprio perché è in grado di considerare la propria esistenza fisica da un punto di vista superiore (quasi non si sentisse legato più di tanto a questa terra), avverte se stesso come centro conoscitivo del mondo. Proprio perché l'uomo è il supporto privilegiato dell'Intelletto e può attingere, grazie a tale privilegio, a una conoscenza essenziale di tutto ciò che esiste, la prospettiva tradizionale lo colloca al centro del mondo visibile; posi- zione che si accorda di fatto, e nel modo più completo, con la più immediata esperienza sensibile. Secondo questo stesso punto di vista, quello della cosmologia tradizionale, il si- stema eliocentrico del mondo, che vede l'uomo cedere in qualche modo la sua posizione centrale al sole, non può che avere un significato esoterico: quel significato che Dante non perde d'occhio nella sua descrizione « teocentrica » del mondo angelico. Dal punto di vista di Dio, l'uomo non è al centro, ma alla periferia pih estrema dell'esistenza.

I1 sistema eliocentrico appare particolarmente preciso sul piano fisico-matematico soprattutto per il suo astrarsi da ogni punto di vista che consideri I'uomo in modo G natural- mente soggettivo » e per ciò stesso simbolico. Porsi nei confronti dell'universo come se l'uomo non vi fosse pre- sente, o vi fosse presente tutt'al più come infima particella fisica, significa assumere un punto di vista appunto disu- mano: quasi il rovescio speculare della visione che consi- dera l'uomo sub specie aeternitatis.

Nessuna immagine del mondo può in realtà essere del tutto adeguata: infatti la realtà su cui poggia la nostra osservazione è già in sé relativa, inconsistente e infinita- mente multipla.

La fede nel sistema eliocentrico in quanto verità asso-

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Iuta, ha finito per creare un vuoto terribile: ha spogliato l'uomo della propria dignità cosmica e, dopo averne fatto

, un insignificante granello di polvere in mezzo a tutti gli altri granelli di polvere che gravitano attorno al sole, si è rivelata incapace di trarre da tale stato di cose una nuova visione spirituale. I1 pensiero cristiano, tutto accentrato sull'incarnazione del Cristo, non era del resto ancora pronto a una simile inversione dell'ordine cosmico: vedere nel- l'uomo un nulla che si dissolve nello spazio cosmico e, nel contempo, il centro conoscitivo e simbolico di questo stesso spazio, rappresenta una presa di posizione di cui la maggior parte degli uomini non è capace.

Inoltre, poiché lo stesso sole è stato situato nel flusso di incalcolabili milioni di altri soli (a loro volta probabil- mente circondati da pianeti), lontani gli uni dagli altri migliaia o milioni di anni luce, ne deriva che ogni immagine del mondo, qualunque significato reale si voglia dare alla parola, è ormai diventata impossibile. La struttura del

1 mondo non è più configurabile: il che significa che l'uomo ha ormai perso qualsiasi possibilità di integrarsi in un tutto che sia ancora denso di significato. Tale almeno è l'effetto che la concezione moderna sembra produrre generalmente sulla spiritualità occidentale. È probabile che la mentalith buddista, abituata a pensare l'uomo nel mondo come cir- condato dalle sabbie mobili, reagisca in altro modo alla tesi scientifica.

Se la conoscenza scientifica procedesse di pari passo con una interpretazione spirituale delle apparenze, vedremmo sicuramente, nella progressiva decadenza di tutti i sistemi cosiddetti « chiusi P, la prova che qualsiasi visione del mondo si riduce in realtà a un'immagine o a un riflesso che non può aspirare in alcun modo a un carattere di as- solutezza. Quanto al mondo che i nostri sensi riescono a percepire direttamente, il sole è la fonte di ogni luce e, con- seguentemente, il simbolo dell'origine divina che tutto il- lumina e attorno alla quale tutte le cose si dispongono. Ma contemporaneamente, il sole non è altro che un corpo lu- minoso in mezzo ad altri corpi della stessa specie: l'unicità assoluta appartiene esclusivamente al principio divino.

Non rientra nei limiti della presente trattazione descri-

vere in che misura ogni nuova immagine del mondo venga stimolata più dalla « unilateralità » logica della precedente che da reali nuove osservazioni scientifiche. I1 discorso vale anche per le più recenti concezioni dello spazio. La cosmo- logia medievale immaginava la totalità dello spazio come una sfera di grandezza incommensurabile e spiritualmente circondata dal cielo dell'empireo. La filosofia razionalista considerava lo spazio in quanto infinito. Tuttavia, poiché un'estensione fisica può essere indefinita senza essere neces- sariamente infinita, un nuovo orientamento scientifico fi- nisce per portare alla concezione altrimenti inimmaginabile di uno spazio « curvo D e rifluente su se stesso!

Le concezioni matematiche più recenti hanno abbando- nato l'idea dell'omogeneità incondizionata dello spazio e del tempo a favore di un rapporto costante fra queste due realtà. Ma se lo spazio contiene simultaneamente tutto ciò che esiste, mentre il tempo rappresenta la successione dei fenomeni, significa che le stelle che guardiamo non sono più separate da noi da tanti anni-luce: nella simiiltaneità, si col- locano esattamente là dove lo spazio visibile pone le sue ultime frontiere. Tale paradosso ci induce a dire semplice- mente che ogni immagine « scientifica » è condannata in ultima analisi a contraddire se stessa, mcntre il significato spirituale che si manifesta in un modo o nell'altro in tutte le cose sensibili, rivelandosi tanto piìi convincente quanto più primordiale e a misura d'uomo è 1'iinm:igine del mondo che lo traduce, è destinato a non subirc :ilciin mutamento. Parlando di « significato D, non alltidi:iino in questo caso a un qualcosa di concettuale. Ci serviamo <li clricsto termine in mancanza di meglio e, in conformiti con gli scritti tra- dizionali, per designare l'essenza immiil:ililc delle cose: essenza che la sola intuizione è in graclo cli nflcrrare.

Le nostre osservazioni s~l l ' imrna~inc ;isi ionomica del- l'universo ci inducono a questa concliisic ) i i c h : isistono due modi opposti di considerare il mondo o 1; i i i ; i i i i t .a (dando a questo termine la sua accezione piìi : ~ I I I ~ U . I ) . I l primo, sollecitato soprattutto dalla curiosità sc.ic.iii i l ~ c . : ~ , si dibatte

nell'inesauribile diversità delle apparenze, diventando a sua volta molteplice e spezzettato via via che le esperienze si accumulano. I1 secondo tende piuttosto al centro spirituale che è comune all'uomo e alle cose, e si fonda sul carattere simbolico delle apparenze al fine di poter contemplare le realtà immutabilmente contenute nell'Intelletto. La più per- fetta visione cui l'uomo possa accedere è anche la più sem- plice: la sua ticchezza interiore non può in alcun caso essere tradotta in una diversità concettuale.

IV

Spirito e materia

Per i popoli antichi la « materia » non era certo ciò che essa è oggi per l'uomo moderno. Tuttavia, a differenza di quanto sembrano credere certi etnologi, non è vero che i popoli in questione vedessero la realtà materiale delle cose solo attraverso un velo di fantasie magiche e rigidamente fis- sate, o che la loro mentalità fosse « alogica » o « prelogica D. Le pietre erano dure e il fuoco bruciava come oggi, e le leggi naturali non erano meno inesorabili. L'uomo ha sempre pensato secondo una certa logica, anche quando, al di fuori dei dati sensibili ma, in realtà, proprio grazie ad essi, sem- brava più abituato a tener conto anche delle realtà di ori- gine diversa. La logica appartiene alla natura dell'uomo, e la sua sottomissione a quelle fantasie non si riscontra affatto nei popoli cosiddetti primitivi, ma nel pensiero moderno e progressivo che tende a ridurre ogni realtà a eventi pura- mente fisici, anche se ciò contrasta con l'evidenza.

La concezione di una materia radicalmente separata dallo spirito, cosi come la incontriamo oggi nel nostro mondo moderno, a livello sia teorico che pratico - e nonostante l'opposizione di certe correnti filosofiche' - non ha in se nulla di evidente. È il traguardo finale di un particolare at- teggiamento mentale, a cui Cartesio fu il primo a dare un'adeguata espressione filosofica senza peraltro potersene

dire << l'inventore P: egli stesso, infatti, è stato profonda- mente e organicamente influenzato da quella tendenza gene- rale che, riducendo lo spirito al semplice pensiero e limi- tando quest'ultimo alla ragione discorsiva, finiva di fatto per privare il primo di qualsiasi portata universale e, conseguen- temente, d i qualsiasi presenza cosmica o immanente.

Secondo Cartesio, lo spirito e la materia sono due realtà radicalmente distinte che si incontrano, nel piano divino, in un solo luogo: il cervello dell'uomo. Cosi, if mondo ma- teriale, riconosciuto in quanto materia, si trova automati- camente privato di ogni contenuto spirituale; da parte sua, lo spirito diventa il complemento astratto di tale realtà puramente materiale; in assenza di ciò, Ia realtà propria dello spirito resta assolutamente sconosciuta.

Per i popoli antichi la materia era un aspetto di Dio. Nelle civiltà che siamo soliti definire arcaiche, tale pro- spettiva era immediata e strettamente legata all'esperienza sensibile: esperienza per la quale la materia si identificava in primo luogo con la terra in quanto principio passivo e perenne di tutte le cose visibili, contrapposta al cielo in quanto principio attivo d i generazione. Questi due principi sono come le due mani di Dio. In reciproco rapporto, come maschio e femmina o padre e madre, non possono in alcun modo dissociarsi l'uno dall'altro poiché, se il Cielo è presente come principio attivo di generazione in tutto ciò che produce la terra, quest'ultima dà forma e corpo a sua volta a tutte le attività celesti. È per questo che, se- condo la prospettiva arcaica, le cose vengono percepite si- muItaneamente sia dai sensi che dallo spirito, e la verità metafisica implicita in tale visione delle cose resta indipen- dente dalla pura e semplice immagine del mondo.

Per la philosophia perennis, comune all'oriente e all'Oc- cidente fino all'avvento del razionalismo, i due principi, attivo e passivo, sono, al di là di ogni loro manifestazione sensibile, i poli primari che determinano la stessa esistenza. Secondo tale concezione, la materia non è che un aspetto o una funzione di Dio: non una realtà separata dallo spirito,

ma il necessario complemento di questo. In se stessa, la materia è pura potenzialità, e tutto ciò che in essa può essere percepito porta già impresso il segno del suo com- plemento attivo: lo Spirito o il Verbo d i Dio.

È stato l'uomo moderno a fare della materia una e cosa », e non più lo specchio passivo dello Spirito. La materia si è fatta, per cosi dire, più « consistente », nel senso che essa ormai rivendica solo per sé la qualità dell'estensione e tutto ciò che a questa si riferisce. Si è fatta massa inerte e opposta allo spirito libero, pura esteriorità spiritualmente impene- trabile, fatto bruto. Certo, anche per gli uomini di un tempo la materia corporea possedeva tale aspetto contin- gente che la oppone in qualche modo allo spirito; ma que- sto stesso aspetto non pretendeva in alcun modo di risolvere in sé tutta la « realtà D. Soprattutto, la materia non è mai stata considerata come qualcosa che non si potesse cono- scere che in sé e indipendentemente dallo spirito. L'idea di estensione come carattere distintivo della materia ha trovato in Cartesio la sua espressione filosofica. Da quel momento in poi, la materia è stata sempre vista come massa ed esten- sione, con la conseguenza di indurre l'uomo alla ricerca di una spiegazione puramente quantitativa di tutte le qua- lità spaziali e addirittura di tutte le qualità sensibili. Il che potrebbe anche essere sensato se almeno fosse possi- bile ricavarne dei vantaggi per una scienza esclusivamente dedicata alla manipolazione esteriore delle cose; ma né l'estensione né alcun'altra qualità sensibile può essere inter- pretata riferendosi a determinazioni puramente quantita- tive. Come ha magis tralmen te dimostrato René Guénon? non esiste estensione che non abbia in sé qualche aspetto qualitativo. Possiamo rendercene conto ancor più facilmente con forme e figure più semplici quali il cerchio, il triangolo, il quadrato, ecc., che presentano, qualitativamente parlando, qualcosa di unico che non può essereridotto a una misura puramente q~ant i ta t iva .~ È infatti impossibile ridurre a cate- gorie quantitative il mondo delle percezioni sensibili che, altrimenti, si disintegrerebbero in un puro nuIla, essendo la quantità in sé perfettamente inintelligibile. Anche i << model- li u più semplici della scienza sperimentale - per esempio quelli che definiscono la struttura degli atomi o delle mole-

cole - contengono elementi qualitativi o , ; i l i i i ( . i i< I , clipcndono indirettamente da tali elementi. Spicg:iiitlo i i o l o i - i i n termi- ni di vibrazioni luminose e traducenclo cliic-xic. vil~razioni in cifre, è possibile esprimere per mezzo ( l i 1 o i - i i i i i l c . numeriche la differenza fra il rosso e il blu; m:i i i i i c . i ( * c . o . non avendo mai potuto avere una diretta espericnz;~ tlc.1 colore, non co- noscerà meglio la natura del rosso o (1c.I l ) l i i solo perché tale natura viene espressa in cifre: la stcss;i ol)ic-xione può es- sere mossa validamente al contenuto cli i ; i l i i : i i i vo di qualsiasi altra percezione dei sensi. Possiamo iiiirii:ii:in;irc un uomo che, sordo e daltonico dalla nasci t;i. si:\ i.ii isci io nondimeno a familiarizzarsi con le formule scientific.lic clic definiscono i suoni e i colori: la formula scientiric:~ non potrà mai co- municargli n6 l'essenza dei suoni e dei colori n& 1;i differenza profonda che esiste fra le due percezioni scnsihili. Se questo è vero per le qualità più semplici ed elciiicntari, a maggior ragione sarà anche vero per queIle formc che esprimono una unità vivente. Tali forme, per la loro stessa natura, sfuggono non solo a ogni misura o espressione numerica ma anche, più generalmente, a ogni descrizione puramente analitica. Certo, & sempre possibile dcfinire quantitativa- mente i contorni di una determinata forma, ma questo non significa coglierne I'essenza. Nessuno contesta la validità di questo discorso per quanto riguarda l'ambito dell'arte, ma ci si dimentica troppo spesso che tale validità può essere legittimamente estesa a tutti gli altri ambiti: è impossibile cogliere I'essenza, il contenuto, l'unità qualitativa di una cosa in un sistema progressivo di misurazione. È possibile farlo solo in una visione complessiva e immediata.

I1 contenuto qualitativo delle cose non appartiene alla materia, che ne costituisce piuttosto lo specchio che ne permette una percezione non esclusivamente limitata al piano materiale. Una scienza che si fondi sull'analisi quan- titativa e che - lungi da1 contemplare o cogliere le cose nella loro totalità - « pensi agendo e agisca pensando », non può che essere necessariamente cieca nei confronti dell'essenza infinitamente complessa delle cose. Per una tale scienza, tutto ciò che gli antichi chiamavano la « forma » di una cosa (cioè, il suo contenuto qualitativo) ha perso in pratica qualsiasi valore. 11 che spiega, fra l'altro, perché scienza

1 e arte, nella fase prerazionalista ancora sinonimi, si siano da allora in poi radicalmente separate: la nozione di bel- lezza, nella scienza moderna, non ha ormai più alcun rap- porto con la strada della conoscenza.

La dottrina tradizionale che distingue tra eidos e hyle o tra forma e materia, è l'unica in grado di tenere pienamente conto della irriducibiIità delle cose o a pura « materia » o a puro « intelletto »: le cose sono simultaneamente qualita e quantità, e la dottrina in questione non si limita a dividere o a dissociare, ma preferisce piuttosto assumere conrempo- raneamente i due « poli » nella loro reciproca complemen- tarità. È stato Aristotele a dare a questa dottrina la più compiuta espressione dialettica, senza esserne tuttavia I'in-

1 ventore: è infatti una dottrina che abita la natura stessa delle cose e corrisponde a una prospettiva inerente fin dalle origini allo spirito.

La « forma », nel senso peripatetico della parola, è la sintesi di quelle qualità che costituiscono l'essenza di una cosa: è la realtà intelligibile della cosa, assolutamente indi- pendente dall'esistenza materiale della cosa stessa. Conviene quindi non confondere quest'ultima concezione della forma con quella più comune che indica invece qualcosa di limi- tato o spazialmente o in qualsiasi altra maniera, e nemmeno assimilare la materia che riceve la « forma » e le dà la sua esistenza finita alla « materia » intesa invece in senso moderno.

Per cogliere ancor più precisamente le idee di « forma » e di « materia », possiamo aiutarci immaginando, per ana- logia, l'opera dell'artigiano che imprime una certa forma alla sua materia, sia essa argilla o legno, pietra o metallo: forma già prefigurata nel suo intelletto, e tale da creare una data immagine o un dato oggetto. Ma non si tratta che di un confronto, poiché la materia di cui si serve non è rigoro- samente « amorfa ». Anche se possiamo dire che tale ma- teria è relativamente informe; essa presenta comunque gi& determinate proprietà o qualità, in assenza delle quali I'ar- gilla non si distinguerebbe dal legno o la pietra dal metallo. La materia realmente « amorfa » non può essere né rappre- sentata né immaginata: è pura potenzialità che non contiene in sé il minimo elemento riconoscibile. Non può essere iden-

tificata che nei suoi rapporti con la forma. Quanto alla forma, è evidente che a sua volta non può essere rappre- sentata se non d ' i n t e rno della materia, poiché ogni forma, manifestandosi, si situa immediatan~ente nella materia: il che è vero anche nel caso della forma soltanto immaginata dove, per così dire, l'immaginazione riveste di una sorta di << tessuto mentale l'essenza spirituale della forma. .

Poiché l'essenza di una forma, indipciidentemente dalla sua veste materiale, si mantiene sempre identica a se stessa (tanto che possiamo ancora definire « forma » una forma materialmente limitata), il concetto che ne deriva risulta sostanzialmente ambiguo. Bisogna infatti ammettere che, in certi casi, la stessa parola forma » può essere considerata in almeno due opposte accezioni: da una parte, in quanto delimitazione di un essere o di un'opera, la forma si op- pone, sul piano « materiale » delle cose, allo spirito o all'es- senza; dall'altra, in quanto causa che informa e si imprime nella materia, la forma » si allea allo spirito o all'essenza.

Se avviciniamo a questa dottrina la concezione cartesiana della materia, ci accorgiamo immediatamente, fra l'altro, che l'estensione spaziale attribuita da Cartesio alla materia, e alla materia sola, si apre ad almeno una contraddizione: una estensione sottratta a una qualsiasi forma qualitativa è assolutamente inimmaginabile. Anche la direzione spaziale è, come ha dimostrato René G ~ é n o n , ~ di natura qualitativa: la materia è invece in sé assolutamente priva di forma. I1 suo solo attributo è la quantità, la quantità pura, non determinata dal limite di un qualche numero e, in quanto tale, necessariamente inaccessibile. Essa corrisponde alla materia signata quantitate assunta dagli scolastici come base stessa del mondo corporeo. I n altri termini, non la materia prima che non conosce attributi, ma solo una materia se- cunda, cioè una materia relativa e già determinata in vista del mondo corporeo. Quanto alla materia prima, o sostanza primordiale, possiamo soltanto dire che essa è pura ricet- tività rispetto alla causa che informa l'esistenza, e che è appunto grazie ad essa, origine dunque dell'alterità, che le cose si presentano limitate e molteplici. Nel linguaggio della Bibbia, la materia prima è rappresentata dalle acque su cui discende lo Spirito di Dio all'inizio della creazione.

La materia, se appena proviamo a coglierla, si sottrae a ogni ricerca razionale e si ritira, per così dire, nel polo pas- sivo dell'esistenza; alio stesso modo, la forma essenziale (forma) può essere ricondotta al corrispondente polo attivo spogliandola progressivamente d i tutte le manifestazioni via via stratificate e condizionate in un modo o nell'altro da una materia, per quanto sottile essa sia. Aristotele fa risa- lire i due concetti in questione (forma e materia o eidos e hyle) solo fino al punto in cui la loro ontologia si offre ancora a una logica dimostrazione, e si arresta al di qua della soglia in cui la loro opposizione si dissolve parados- salmente nell'unità. È chiaro, tuttavia, che la causa infor- mante, corrispondente all'Atto Puro, e la sostanza ricettiva e puramente passiva si completano a vicenda: a tal punto che, in quanto possibilità fondamentali e atemporali, non possono essere dissociate. La riduzione di tutti i fenomeni ai due poli primordiali non annulla affatto il carattere mira- coloso della creazione: ne indica semplicemente gli estremi limiti percettibili. Possiamo assimilare il polo attivo all'« es- senza » e il polo passivo alla « sostanza ». I n un certo senso, l'essenza corrisponde allo Spirito o Intelletto: le formae o predeterminazioni essenziali delle cose sono infatti conte- nute nell'Intelletto divino come « prototipi » o « archetipi ».

Si potrebbe obiettare a questo punto che l'idea di forma non può essere in alcun modo sviluppata in senso ascen- dente, se non a rischio di abolire la distinzione esistente fra manifestazione « formale » e manifestazione « sovraforma- le » - in altri termini, se non a rischio di abolire la distin- zione fra sfera « individuale » e sfera « universale », che è quella del puro Spirito. Obiezione a cui si può rispondere ricordando che la parola « formale » può essere applicata solo a tutto ciò che si imprime in una sostanza grazie, ap- punto, a una « forma ». In se stessa, la forma può essere considerata sia come limitazione o contorno sia come fascio di qualità non « sostanzialmente » determinate: in que- st'ultimo senso è possibile applicare il termine agli aspetti dell'Essere. Di fatto, negli scritti dei teologi medievali delle tre religioni monoteiste, l'espressione « la forma di Dio >> (forma Dei; in arabo, ac-qfirat al-ildhiyah) viene usata per designare la totalità delle qualità divine. L'essenza di Dio,

rivelandosi in tali qualità, 2 i i i 5 6 iiic.oii~liu.ionata e al di sopra di tutte le qualità.

Nel suo Sceptical Chymist, edito nc.1 I ()O I , Robert Boyle si contrappone radicalmente alla doiii-iii:i triidizionale che vedeva nei quattro elementi il fond;iriiciito stesso di ogni corpo materiale: Dimostrando che 1:i tCi.rii, l'acqua e l'aria non sono corpi semplici, ma coniposci tli cliversi elementi chimici, Boyle si illudeva di aver infcrto i111 colpo mortale all'alchimia. In realtà, ciò che veniva così a cadere non era la tradizione più autentica dell'alchi inia, mn solo la conce- zione I;iù grossolana e sostanzialmente cqiiivoca dei quattro elementi. La vera alchimia, infatti, non ha mai considerato la terra, l'acqua, I'aria e il fuoco come sostanze corporee o chimiche nel senso moderno del termine. I quattro elementi non sono altro che le più generali qualità elementari, ed è proprio grazie a loro che la sostanza amorfa e puramente quantitativa può manifestarsi fin dall'inizio in forma diffe- renziata. Allo stesso modo, l'essenza immutabile di un sin- golo elemento non ha nulla a che fare con una presunta indivisibilità corporea. I1 fatto che I'acqua sia un composto di ossigeno e idrogeno e I'aria di ossigeno e azoto, non modifica in nulla l'esperienza immediata delle quattro <( con- dizioni » fondamentali della materia corporea, i cui esempi più generali sono appunto la terra, l'acqua, I'aria e il fuoco. Le componenti chimiche alle quali i primi tre elementi pos- sono essere ridotti appartengono a loro volta all'una o al- l'altra di tali categorie. I1 rischio, tuttavia, è quello che si presenti una certa difficoltà nella comprensione della dot- trina dei quattro elementi, là dove i quattro modi di ma- nifestazione », pur continuando a rappresentare una prima differenziazione qualitativa della materia, funzionano anche da sostanze passive e suscettibili di ricevere una forma in rapporto ai corpi effettivamente esistenti. In questo senso, in quanto cioè supporti materiali o sostanziali, i quattro elementi possono essere immaginati - secondo l'esempio di ar-Razi (Razès) - come stati più o meno densi delle sostanze corporee o , meglio ancora, come differenti tipi di vibra-

zione: analogie necessariamente approssimitive e poco ade- guate, poiché l'elemento resta in sé al di là (o al di qua) della manifestazione corporea, proprio come la materia dell'universo sensibile resta in sé e nel suo insieme non percettibile.

Ne deriva necessariamente che un'alchimia consapevole dei propri fondamenti cosmologici non poteva pensare in alcun modo che i quattro elementi fossero riducibili l'uno all'altro o tutti alla loro soggiacente sostanza comune grazie all'intervento di determinati procedimenti chimici. Appa- rentemente, l'arte ermetica sembra pronunciarsi in questa direzione. Ma in realtà, riconducendo tale insegnamento al suo più autentico significato, vediamo ricomparire, al di là di ogni pratica empirica, tutt'altra dimensione ontologica. Secondo gli alchimisti orientali e occidentali, gli elementi non sono mai del resto presenti nei corpi nella loro forma pura. Ogni sostanza corporea contiene contemporaneamente tutti e quattro gli elementi, e la preponderanza dell'uno o dell'altro imprime di volta in volta all'apparenza del corpo il suo carattere preciso. Così, l'acqua di cui abbiamo espe- rienza ogni giorno non è identica all'elemento che porta lo stesso nome, pur essendone la manifestazione più imme- diata e pur trovandosi, nella sua essenza, perfettamente omologa sia a tale elemento che all'aspetto passivo della sostanza primordiale o universale. Poiché dappertutto emer- gono legami <( verticali con i prototipi universali attra- verso i diversi livelli d'esistenza, ne deriva che la visione cosmologica della natura - come ogni arte fondata su tale visione - deve possedere una certa molteplicità di significati ordinati fra loro in modo gerarchico.

Da un punto di vista il più possibile generale e <( sinte- tico D, la base comune ai quattro elementi è la materia prima dell'universo sensibile; ma, a voler essere più precisi, gli elementi non procedono direttamente da tale materia, quanto piuttosto dalla sua prima determinazione, l'etere, che, ugualmente occupando tutto lo spazio, viene parago- nato negli scritti alchemici sia alla materia che alla quinta essentia, a seconda che se ne parli da un punto di vista materiale o qualitativo.

L'interpretazione più completa dei quattro elementi si

trova nella cosmologia indi, tlcl Sdnkhya, secondo la quale gli elementi corporei, o bhrrtas, chc dipendono dal mondo materiale nel senso più ampio iIcl termine, corrispondono a uno stesso numero di cletcrminazioni essenziali », o tanmdtras, presenti nel soggctto clella conoscenza. I due gruppi di determinazioni primordi;ili. ~anmit ras e bhutas, derivano in ultima analisi dal prirkriti (maleria prima). Fil- trati dall'ahankLra - principitrm indir?i<luationis o coscienza dell'Ego - si dividono fra il polo oggettivo e il polo sogget- tivo del mondo sensibile.

Tale interpretazione degli elementi rientra perfettamente nella prospettiva ermetica, r dimostr:i come le apparenze sensibili possano essere trasposte nel mondo interiore, poi- ché sono gli stessi tanmdtras a « misurare » anche i feno- meni psichici.

I n una classificazione degli elcmenti secondo il criterio della loro finezza D o sottigliezza materiale, la terra si trova al livello più basso e l'aria al più alto; disponendoli invece secondo il senso del loro movimento, è il fuoco a occupare la posizione più elevata. La terra è caratterizzata dalla pesantezza: ha una tendenza discendente. L'acqua è ugualmente pesante P, ma la sua tendenza è all'estensione. L'aria è insieme ascesa ed estensione, mentre il fuoco pre- senta un movimento esclusivamente ascendente.

La tradizione rappresenta l'ordine naturale degli ele- menti con una croce il cui punto centrale corrisponde pre- cisamente alla quinta essentia - o con una serie di cerchi concentrici: in quest'ultimo caso, la terra è il punto centrale e il fuoco il cerchio più esterno. È ancora possibile rappre- sentare l'ordine naturale degli elementi ccn le diverse figure del <( Sigillo di Salomone D, composto da due triangoli equi- lateri che si intersecano. I1 triangolo il cui vertice è rivolto verso l'alto A rappresenta il fuoco. Quello il cui vertice è rivolto verso il basso V rappresenta l'acqua. I1 triangolo del fuoco, con il lato orizzontale dell'altro triangolo, rap- presenta l'aria A. I1 segno inverso rappresenta la terra 7. Il Sigillo di Salomone D nel suo insieme - @ - rappre- senta la sintesi di tutti gli elementi: in altri termini, l'unione degli opposti.

La concezione tradizionale che vede nella materia il fon- damento passivo e puramente ricettivo di ogni molteplicità e differenziazione, può anche essere estesa al di fuori della sfera corporea. Così, si potrà parlare di una materia del- l'anima, se è vero che l'universo consiste a sua volta in un insieme di <( impressioni )> molteplici e mutevoli nelle loro forme essenziali, e presenta conseguentemente sia un polo attivo ( o essenziale) che un polo passivo (sostanziale o <( materiale »).

I1 polo sostanziale dell'anima, la sua materia, si esprime nella capacità di ricevere e conservare in sé le forme: in altri termini, nella sua illimitata ricettività. È questo il suo aspet- to femminile, e intendiamo tale espressione proprio nel suo senso p i ì ~ letterale, poiché nella natura della donna questo aspetto dell'anima predomina manifestandosi spesso anche fisicamente: nelle donne, anima e corpo sono relativamente vicini e accomunati dal loro rispettivo carattere passivo; ne deriva una indubbia nobilitazione del corpo, ma anche una certa schiavitù dell'anima.

Le forme assunte dalla « sostanza » o materia » del- l'anima possono provenire sia dall'esterno che dall'interno. L'esperienza empirica dice che esse provengono dall'ester- no, attraverso i sensi, ma in questo caso possono essere viste come forme essenziali solo là dove corrispondono ai prototipi immutabili contenuti nell'Intelletto e costituenti il contenuto reale di ogni conoscenza. I1 polo essenziale dell'anima è dunque l'Intelletto ( o Spirito), che ne è quindi la <( forma P. Tale espressione, per quanto strana possa ap- parire, non deve comunque far credere che sia legittimo attribuire all'Intelletto una forma particolare. In realtà, se il termine e forma essenziale può essere usato parlando dell'Intelletto, è solo perché quest'ultimo, nella sua azione sulla materia di una certa anima, finisce per costituire la « forma personale D dell'anima stessa. Allo stesso modo, e in virtù delle stesse ragioni - rapporto fra Spirito e anima, e unicità qualitativa della persona nel procedere dallo Spi- rito - si può parlare, per quanto riguarda l'essere indivi- duale, sia di G spirito )> che di <( spiriti )> al plurale. Si pensi, per esempio, a una luce il cui raggio - o il cui fascio di raggi - venga intercettato da una superficie riflettente: la

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luce in quanto tale non ha in sé una direzione particolare, ma si 4 polarizza nel suo incontro con la superficie riflet- tente e finisce quindi per manifestarsi, senza che la sua natura ne abbia s subire un mutamento, sotto forma di raggio. Allo stesso modo, tutto ciò che è spirito è << fatto di conoscenza p> ed è tutt'uno con la Luce della Verità; ma lo Spirito presente nell'anima si manifesta come un essere individuale.

Poiché Spirito e anima non possono essere delimitati come se fossero due cose corporee, ogni confronto tendente a chiarire la loro reciproca relazione risulta sempre o troppo semplice o troppo grossolano. Tuttavia, immagini come quelle che abbiamo appena proposto rispondono a tale re- lazione in modo più adeguato di quanto non possa fare un qualsiasi saggio di psicologia descrittiva, per lo più ten- dente a ricondurre ogni fenomeno ai soli termini dello psichismo. Esistono realtà che solo i simboli sono in grado di esprimere.

Nelle sue Nozze Spirituali (libro 11, cap. 4) Ruysbroek scrive: << I n tutti gli uomini esiste per natura una triplice unità; ma nell'uomo ~ i u s t o , questa unità è anche sopran- naturale. La prima e più alta unità che si trova nell'uomo è Dio, poiché tutte le creature dipendono dall'unità Divina nel loro essere, nella loro vita, nella loro esistenza. Se fosse loro possibile abolire questa relazione, tutte precipitereb- bero nel nulla. Questa unità è presente in noi essenzial- mente secondo natura, e indipendentemente dal nostro es- sere buoni o cattivi. Senza la nostra collaborazione, essa non può renderci né santi né felici. Pur essendo presente in noi, è un'unità che è insieme al di sopra di noi: origine e sostegno della nostra vita.

Una seconda unione o unità è pure presente in noi se- condo natura. È l'unità delle facoltà superiori, e ci deriva dall'azione delle facoltà che scaturiscono spontaneamente dalla stessa unità dello Spirito. È ancora la stessa unità, quella stessa che abbiamo in Dio, ma qui contemplata nel suo aspetto attivo e non secondo il punto di vista dell'es- senza. Lo Spirito è ugualmente presente in tutta la sua pienezza nell'una e nell'altra unità. Questa seconda unità la possediamo in noi stessi, al di là dei sensi. Ne derivano

il pensiero, la ragione, la volontà e tutte le altre facoltà legate all'agire spirituale. L'anima assume qui il nome di spirito.

La terza unità che si trova in noi secondo natura com- prende le facoltà inferiori che risiedono nel cuore, fonda- mento e origine della vita animale. L'anima depone nel corpo questa terza unità, e da questa procedono i cinque sensi e tutte le attività corporee. L'anima appare qui con il suo vero nome: forma del corpo che essa anima, che fa vivere e che mantiene in vita.

Queste tre unità esistenti nell'uomo secondo natura for- mano una sola vita e un solo regno. Nell'unità inferiore, questa vita è sensibile e animale; nell'unità intermedia è razionale e spirituale; nell'unità superiore, la vita è com- presa in quanto essenza. La natura vuole che tutto ciò sia comune a tutti gli uomini ... ».

Ruysbroek definisce l'anima, secondo il senso letterale del termine (anima, psjlché), nel suo orientarsi verso le fa- coltà sensoriali: si tratta, in questo caso, della sfera empi- rica dell'anima delimitata dall'Io e in opposizione con lo spirito. Ma il rapporto spirito-anima può anche essere visto

l da un altro punto di vista. Ogni volta che alludiamo al- l'anima come alla materia dello spirito, non nominiamo soltanto il tessuto della coscienza egocentrica, ma anche e soprattutto la capacità passiva e ricettiva che si situa a un livello ben più profondo, e che è il più delle volte paraliz- zata dalla generale dipendenza dell'anima dai sensi. Perché l'anima, in quanto Ego, possa intimamente unirsi al corpo, occorre che essa subisca una frammentazione e, per cosl dire, una <( coagulazione » che le impedisca di riflettere lo Spirito liberamente e senza distorsioni.

Lo stato del metallo vile, in particolare del piombo, la cui oscurità e pesantezza lo avvicinano alla massa bruta, è il corrispondente minerale dell'anima caotica. Secondo il fa- moso mistico musulmano Muhyi-d-Dfn ibn 'Arabi, l'oro corrisponde alla condizione sana e originale dell'anima, che riflette liberamente e senza distorsioni lo Spirito Divino nella sua sostanza; il piombo corrisponde invece allo stato

l di infermità, deformazione e << morte che non è più in grado di riflettere lo Spirito. La vera essenza del piombo

è l'oro. Ogni metallo vile rappresenta una frattura nell'equi- librio che solo l'oro esprime pienamente.

Per liberare l'anima da questo stato di paralisi e di coa- gulazione, bisogna dissolvere l'unione imperfetta e non equilibrata fra la sua forma e la corrispondente materia: come se l'anima e lo spirito dovessero separarsi l'una dal- l'altro perché, una volta separati, sia loro possibile ricon- giungersi di nuovo. La materia bruta arde, si dissolve e si purifica per poter poi di nuovo essere <( coagulata )> sotto forma di un cristallo perfetto.

La forma dell'anima, così << nuovamente nata », si distin- gue comunque dallo Spirito universale in quanto appartiene ancora all'esistenza limitata. Ma, nello stesso tempo, è tra- sparente alla Luce indifferenziata dello Spirito e in viva unione con la materia primordiale di tutte le anime: il forido materiale o sostanziale dell'anima è infatti uno, pro- prio come il corrispondente fondo essenziale o attivo. Tutte le anime sono <( fatte della stessa sostanza: ce ne possiamo rendere conto dal fatto che i << movimenti (le emozioni) delle anime di tutte le creature viventi procedono allo stesso modo nonostante l'enorme varietà di aspetti e di livelli di coscienza. Sono come le onde di uno stesso mare.

La dottrina e il simbolismo alchemico non prevedono l'estinzione (spirituale) completa dell'individualità, invece proposta dal concetto indù di moksha, dal nirvana buddista, dal fani'u'l-fana'i sufista o ancora dall'unio mystica o dei- ficatio cristiana. Ciò è dovuto al fatto che l'alchimia, in quanto fondata su una prospettiva puramente cosmologica, non può trasporsi che indirettamente sul piano metacosmico o divino. Tuttavia, rappresentando un passaggio obbligato nel cammino che porta al fine supremo, l'alchimia si 2 tro- vata spesso a essere integrata alla gnosi cristiana e islamica. La trasmutazione alchemica conduce l'elemento centrale della coscienza umana a contatto diretto con quel raggio di- vino che attira irresistibilmente l'anima, spingendola verso l'alto e facendole intravedere il Regno dei Cieli.

L'estensione dei concetti complementari di forma e ma- teria all'anima permette di intuire in che misura certi dati

sensibili, quali i quattro elementi, possano essere trasposti sul piano psichico. Allo stesso modo della materia corporea che si manifesta nei quattro elementi, anche la materia psi- chica sviluppa nel suo dispiegarsi diverse e anche opposte tendenze. Ha una tendenza discendente D verso l'inerzia e la densità terrena, ma anche una tendenza <( ascendente », come il fuoco, verso lo Spirito. Inoltre, ha una tendenza espansiva, sia attiva e relativamente mobile (come l'aria) che passiva e-relativamente inerte (come l'acqua). Per l'ani- ma, la « terra » è l'aspetto o la tendenza che la spinge a immergersi nel corpo e a legarvisi sempre di più. I1 fuoco » presenta lo stesso carattere purificatore e di trasformazione del fuoco esteriore. L'« acqua » possiede la capacità di as- sumere tutte le forme: secondo la sua natura originale e incorrotta, l'acqua è, come dice san Francesco d'Assisi, humile et pretiosa et casta. Infine, l'« aria D, nella sua libera mobilità, avvolge tutte le forme della coscienza.

I segni simbolici dei quattro elementi ricavati dal i( Si- gillo di Salomone )> appaiono in tutta la loro chiarezza non appena li si applichi all'anima, dimostrando che la pluralith degli elementi deriva dall'opposizione fra il fuoco A e l'acqua V , cioè dalla coppia attività-passività, a sua volta corrispondente alla coppia forma-materia. Più oltre ritrove- remo la stessa opposizione parlando dello zolfo e del mer- curio. Grazie all'unione degli opposti l'anima diventa contemporaneamente fuoco liquido >> e <( acqua ignea », e acquista anche le qualità positive degli altri elementi: la sua acqua si fa stabile D e il suo fuoco <( non ardente », poiché mentre il fuoco » dell'anima dà alla sua <( acqua » stabilità, l'« acqua dell'anima dA al suo fuoco D la dol- cezza e la sottigliezza dell'« aria ».

Possiamo anche vedere negli elementi interiori >> le più pure qualità spirituali e gli aspetti immutabili dell'Essere. In questo senso, la loro unione e la loro riconciliazione sono implicite, poiché ognuna delle qualitA elementari, presa in sé, contiene tutte le altre, e il Puro Essere è insieme infi- nitamente semplice e inesauribilmente ricco. I1 senso pro- fondo dell'alchimia è che tutto è contenuto in tutto, e il suo magisterium può essere ricondotto alla realizzazione di quest'unica verità sul piano che è proprio dell'anima. Tale

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realizzazione si verifica con la creazione dell'c elisir » che raccoglie in sé tutti i poteri dell'anima, e agisce di con- seguenza come fermento di trasformazione su117universo psichico e sullo stesso mondo esteriore.

Poiché non esiste sostanza materiale che sia del tutto separata dai modi più elevati dell'essere, è possibile, in certe circostanze, trasporre i poteri che sono propri dell'anima su una sostanza materiale, perché possano in un modo o nell'altro incorporarsi a questa stessa sostanza. L'elisir in- teriore degli alchimisti può quindi trovare, in certi casi, un corrispondente esteriore.

v

Pianeti e metalli

Gli alchimisti attribuiscono gli stessi simboli sia ai pia- neti che ai metalli, e si riferiscono spesso agli uni come agli

I altri servendosi degli stessi nomi. Così, <( sole designa an- $ che l'oro, luna l'argento, « Mercurio » l'argento vivo,

<( Venere il rame, <( Marte » il ferro, Giove » lo stagno

1 e <( Saturno D il piombo. Le corrispondenze così stabilite mettono in evidenza la relazione esistente fra l'alchimia e l'astrologia, il cui principio viene così espresso dalla Tavola Smeraldzna: << I1 più basso è simile in tutto al più alto ».

L'astrologia e l'alchimia, derivando entrambe, nella loro forma occidentale, dalla tradizione ermetica, stanno fra loro come il Cielo e la Terra. Mentre la prima interpreta il signi- ficato dello zodiaco e dei pianeti, la seconda si interessa ai significati degli elementi e dei metalli. Come i dodici segni zodiacali rappresentano in un certo senso l'immagine sern-

i' plificata degli archetipi contenuti nell'Intelletto Divino, così I gli elementi - fuoco, aria, acqua e terra - esprimono sim-

bolicamente la differenziazione primaria e fondamentale della sostanza primordiale (materia prima, hyle). Inoltre, mentre i pianeti, in virtù delle loro rispettive posizioni, attualizzano in modo differenziato e temporale le possibi- lità contenute implicitamente nello zodiaco e rappresentano cosi le vie lungo cui agisce lo Spirito Divino << discendente »

dal Cielo sulla Terra, i metalli rappresentano,i primi frutti della sostanza elementare' che il sole dello Spirito o Intel- letto ha reso maturi.

L'alchimia insegna che la generazione dei metalli è awe- nuta nel grembo oscuro della terra sotto l'influsso dei sette pianeti, cioè deI sole, della luna e dei cinque pianeti visibili a occhio nudo. Tuttavia, in tale interpretazione non vi è nuIla di esclusivamente fisico: essa tende piuttosto a dimo- strare fino a che punto le manifestazioni materiali derivino - in modo essenziale e non fisico - dai due poIi fondamen- tali dell'esistenza. La complementarità degli astri e dei me- talli finisce così per fornirci una sorta di scala ontologica a cui poter riferire, di volta in volta, tutti gli aspetti della natura. Questo discorso è valido, inoltre, sia per la natura << esteriore (o macrocosmo) che per la natura fisico-psichica dell'uomo (o microcosmo). Ai pianeti << interiori » dell'astro- logia corrispondono così i metalli << interiori » dell'alchimia.

Le corrispondenze fra metalli e pianeti sono tuttavia sog- gette a una certa fluttuazione, essenzialmente dovuta al fatto che certe scuole alchemiche considerano il mercurio, a causa della sua volatilità e dei suoi effetti sugli aItri metalli, non come un metallo o un << corpo », ma come un agente vola- tile o << spirito ». In questo caso, un altro metallo - o piut- tosto una lega di metalli - prende il posto dell'argento vivo nei sette gradi deIla scala. L'importante 8 che ognuno di questi sette metalli rappresenti un tipo determinato e tale da poter includere tutto un gruppo di metalli reciproca- mente affini.'

La complementarità esistente fra il polo attivo e il polo passivo dell'esistenza, esprimendo l'opposizione cielo-terra o pianeti-metalli, si riflette all'interno di ognuno dei due gruppi nel rapporto sole-luna o oro-argento. I1 sole o l'oro sono, in un certo senso, l'incarnazione del polo attivo e generatore dell'esistenza, mentre la luna o l'argento ne in- carnano il polo ricettivo, la materia prima. L'oro è sole, il sole è spirito, I'argento o la luna corrispondono all'anima.

A livelli diversi, gli aItri metalli partecipano ai due poli dell'esistenza; analogamente, gli altri pianeti.

La gradazione delle qualith cosmiche si manifesta in modo attivo nei pianeti e in modo passivo nei metalli, e si

I trova esplicitamente espressa nei sette segni che designano I simultaneamente sia i pianeti che i metalli. Li diamo qui

di seguito secondo l'ordine delle orbite planetarie che si allineano a partire dalla terra:

Luna Mercurio Venere Sole Marte Gio;e Satumo argento argento rame oro ferro stagno piombo

vivo

Marte non viene qui rappresentato da1 segno che abitual- mente gli viene attribuito, un cerchio con una freccia 8 (figura di stile assolutamente diverso da quello degli altri segni), ma da un cerchio sormontato da una croce. Possiamo supporre che Marte fosse originariamente rappresentato da

.questo segno e che il segno oggi generalmente più utilizzato sia stato introdotto per evitare la possibile confusione con quello di Venere, nel caso di schemi astronomici privi di un << alto » e di un e basso univoci. L'utilizzazione del vecchio segno rappresentativo di Marte 6 per designare la terra, appare solo nelle immagini eliocentriche del mon- do: si tratta allora del simbolo cristiano deI globo sormon- tato dalla croce.

I sette segni planetari sono formati a partire dalle tre figure fondamentali: cerchio, semicerchio e croce. Poiche il cerchio è il segno del sole e il semicerchio il segno della luna, queste due figure possono essere considerate come rispettivamente rappresentanti il disco del sole e la rnezza- luna. Ma il segno del sole è generalmente contraddistinto da un punto al suo centro: converrà quindi vedere in queste due figure l'orbita e la semiorbita del sole. I1 loro signifi- cato spirituale resta comunque inalterato: la semiorbita del sole, che corrisponde alla ptima delle due fasi dell'anno, si trova infatti compresa nell'orbita inteta, poiché la luce della luna deriva dal sole. La terza figura fondamentale, la croce, rappresenta in astronomia le quattro direzioni dello spazio, e in alchimia i quattro elementi. L'iscrizione delle tre figure dà origine alla << ruota celeste D: $

I sette segni in questione trascrivono l'intera gerarchia cosmica, a sua volta risultante dalla polarizzazione dell'esi-

stenza in un principio attivo o maschile O e in un principio passivo o femminile 3 , e dispiegantesi a partire dall'in- flusso che il primo polo esercita sul secondo (il cui ruolo è quello di una vera e propria materia plastica), realizzandovi stati o modalità contrastanti o divergenti a somiglianza dei bracci della croce +. La corrispondenza del sole e della luna con i due poli dell'esistenza può essere ancora colta pensando, da una parte, alla relazione fra una sorgente lu- minosa e la superficie che la riflette e, dall'altra, alle diverse forme in cui appare la luna in contrapposizione all'unica forma in cui il sole si manifesta: il divenire appartiene per definizione alla passività, l'Atto Puro dell'Essenza non co- nosce mutazioni. La terza figura fondamentale, la croce, è il simbolo più generale della differenziazione (sotto I'in- flusso del polo attivo) delle possibilità latenti nella materia passiva. È la croce dei quattro elementi.

Si ricordi, tuttavia, che il sole, o I'oro, non rappresenta in sé il polo attivo, ma semplicemente ne costituisce il prin- cipale riflesso all'interno di una determinata sfera. Lo stesso avviene per la luna, o I'argento, per quanto riguarda invece il polo passivo. In verità, il simbolo del polo passivo non ha una propria forma, poiché la materia prima è senza forma ed è conseguentemente rappresentata da un frammento del simbolo che appartiene al polo attivo: il semicerchio, la mezzaluna o la semiorbita solare simboleggiano il principio passivo. Analogamente, I'oro porta in sé tutta la G luce me- tallica » o tutto il « colore », mentre I'argento è incolore come uno specchio.

Gli altri pianeti e i metalli vili sono le varianti di un unico prototipo che si manifesta nella sua integrità soltanto nel sole o nell'oro. In essi sono predominanti il principio solare e il principio lunare, ma senza che la loro manifesta- zione sia mai del tutto perfetta: le diverse combinazioni del cerchio o del semicerchio con la croce indicano infatti una certa frattura nell'equilibrio originale degli elementi. Ogni frattura in tale equilibrio si rapporta a una particolare qua- lità che si traduce, a sua volta, nel segno che vi corrisponde grazie all'eventuale posizione del sole o della luna: ora al di sopra e ora al di sotto della croce - altre volte ancora sul braccio orizzontale della croce stessa. Così, nel segno di

I Saturno o del ~ i o m b o 3 , la mezzaluna si trova relegata nel braccio inferiore della croce: cioè nel punto più basso dell'ordine materiale, essendo effettivamente il piombo il

I ! più denso e C caotico dei metalli. Nel segno di Giove 3

i la mezzaluna si inserisce nel braccio orizzontale, il che, in termini alchemici, corrisponde alla posizione intermedia dello stagno fra il piombo e I'argento. In nessun segno la mezzaluna si trova collocata al vertice superiore della croce. Questo segno corrisponderebbe al segno della luna, e il pre- dominio completo del principio lunare rischierebbe di dis- solvere le differenziazioni elementari in cui la materia prima, proprio come l'acqua, funziona da pura ricettività senza forma. Esiste invece un segno (quello di Venere o del rame

l

9) in cui il sole appare al di sopra della croce, poiché il I l principio attivo, lungi dal dissolvere le differenziazioni ele-

mentari, le informa e le rafforza consentendo loro di rag- giungere l'equilibrio perfetto dell'oro. Secondo Basilio Va- lentino, il rame contiene un eccesso di forza solare instabile, come un albero che abbia troppa resina. I1 suo opposto - quanto a segno e insieme quanto a natura - è il ferro & , in cui il sole, posto al di sotto della croce, è come in fuga nell'oscurità della terra. Nell'immagine geocentrica del mon- do, Marte 6 e Venere 9 sono i pianeti più vicini al sole, e rappresentano la coppia mitologica degli amanti.

Vi è un unico segno, quello di Mercurio o dell'argento vivo che combini in sé le tre figure fondamentali: croce, cerchio e semicerchio. Qui predomina il principio lunare, mentre il ruolo del principio solare è quello di a fissare la croce costituita dalle coppie di elementi opposti. Dovremo tornare su questo segno: esso è infatti la chiave di volta di tutta l'opera alchemica, così come Mercurio o Ermete è il padre dell'alchimia. Possiamo comunque già dire che questo segno, come il metallo che vi corrisponde, è l'espressione della materia prima intesa come supporto di tutte le forme. L'argento vivo è, per così dire, la matrice di tutti i me- talli, mentre I'argento partecipa dello stato virginale della pura materia prima. Ecco perché gli alchimisti, là dove si trovano nella loro opera ad avere a che fare con il principio materiale o femminile (la materia), lo rappresentano indif- ferentemente o con la luna (o argento) o con I'argento vivo.

Quest'ultimo corrisponde poi ~ 1 1 . 1 forzCl produttiva della materia, al suo aspetto ilinniiiico, conic lo zolfo - nella sua opposizione all'argento vivo - corrisponde alla potenza attiva del principio solare o ni:iscliile. In una certa misura potremmo applicare all'oro e all'argento la definizione ci- nese secondo cui il sole è yang immobile e la luna è yin immobile; allo stesso modo potremmo dire che I'oro è Zolfo immobile o statico e l'argento Mercurio immobile. È evidente che tali rapporti non devono essere intesi in senso fisico, poiché essi si fondano piuttosto su una cosmo- logia che trascende la sfera corporea.

La serie dei sette segni dei pianeti e dei metalli può essere vista come la rappresentazione schematica di una certa sfera cosmica. Ogni sfera presenta infatti al suo inter- no un centro o un vertice qualitativo, in cui il prototipo o principio che regge la sfera stessa nel suo insieme si mani- festa nel modo più immediato e perfetto. Tale è I'oro per i metalli, il diamante per le pietre, la rosa o il loto per i fiori, il leone per i quadrupedi, l'aquila per gli uccelli e l'uomo per l'insieme delle creature che vivono sulla terra. In ogni caso, la manifestazione « centrale >> è nobilitata dalla sua fiinzione di simbolo, e si trova ad essere il più possibile completa e integrale. Al contrario, le manifesta- zioni <( periferiche )> sono più o meno vili, limitandosi ad esprimere aspetti accidentali dell'unico prototipo.'

Notiamo, tuttavia, che se l'uomo, o la sua particolare natura, rappresenta sempre il simbolo centrale della sfera terrena, non è detto che lo stesso avvenga necessariamente per la sua individualità. L'animale resta sempre fedele alla forma essenziale della propria specie e partecipa in modo passivo al raggio dell'Intelletto Divino che si rivela in lui attraverso la sua stessa esistenza (il cosiddetto istinto » rientra in tale forma di partecipazione passiva all'Intel- letto). L'uomo, al contrario, è stato creato proprio in vista di una sua partecipazione attiva all'Intelletto Divino, di cui è il riflesso 6 centrale D, È solo in virtù di tale partecipa- zione, e in funzione della sua identificazione con l'Intelletto, che I'uomo è effettivamente al centro dello stato terreno e, contemporaneamente, di ogni manifestazione formale o del cosmo intero. La realizzazione del centro dello stato ter-

reno è precisamente il fine ultimo dell'alchimia e il signifi- cato più profondo dell'oro. Infatti, se è vero che l'oro è un corpo N come tutti gli altri metalli, è anche vero che la massa, la densità e la divisibilità dei corpi che da esso dipendono sono state trasmutate in pura qualità simbolica. Sono luce che si è fatta corpo. Gli alchimisti stessi descri- vono spesso il fine ultimo della loro opeca come <( volatiliz- zazione del solido e solidificazione del volatile )> o come 4 spiritualizzazione del corpo e corporizzazione dello spi- rito N. L'oro non è altro che questo.

I1 punto al centro del cerchio figura soltanto nel segno dell'oro, a indicare per l'appunto che solamente nell'oro l'unità essenziale del prototipo e del suo riflesso materiale trova la propria attuazione. Allo stesso modo, è solo nel- l'uomo giunto a perfezione che la somiglianza della creatura a Dio si manifesta in modo spiritualmente efficace.

La formula della Tavola Smevaldina - secondo cui il più basso è simile in tutto a l più alto e il più alto è simile in tutto al più basso - sembra rievocare lo stesso rovescia- mento di immagini che si produce in uno specchio. Analo- gamente, la classificazione dei metaIli (a seconda della loro minore o maggiore somiglianza con l'oro) avviene con una gradazione inversa a quella dei pianeti, la cui importanza si accresce via via che si allarga la loro orbita rapportata al centro delia terra. I1 sole, che corrisponde all'oro e la cui sfera si colloca fra due serie di tre orbite planetarie, è qui l'unica eccezione. Al di sopra del sole, in ordine ascen- dente, abbiamo le orbite di Marte, Giove e Saturno; al di sotto, scalando in direzione della terra, abbiamo le orbite di Venere, di Mercurio e della Luna. Aggiungendo le stelle fisse al sistema delle sfere planetarie superiori, la serie ri- sulta completata verso il basso e in direzione del centro grazie all'iscrizione della terra. In un modo o nell'altro, e a prescindere dalla sua funzione di sorgente luminosa per tutti i pianeti, il Sole si trova a occupare una posizione centrale anche nel caso di una rappresentazione geocentrica del mondo.

I due ordini gerarchici, quello che si fonda sull'esten- sione più o meno grande delle 6 sfere planetarie viste secondo il sistema geocentrico del mondo, e quello che rin- via invece alla posizione centrale del sole e alla sua supe- riorità nei confronti degli altri astri, si trovano combinati insieme in una certa applicazione delle qualità planetarie all'essere umano: applicazione assai istruttiva in merito alla visione del mondo che accomuna l'alchimia e la cosmologia.

Secondo la visione in questione, Saturno, la cui orbita rapportata alla terra è la più larga, corrisponde alla ragione (ratio), mentre la Luna, la cui orbita è la più vicina al cen- tro terrestre, rappresenta per analogia lo a spirito vitale » che costituisce il legame fra il corpo e l'anima. Fra i due poli estremi si allineano tutte le altre facoltà dell'anima, a loro volta designate e rapportate ai pianeti a seconda della maggiore o minore evidenza del loro aspetto di a cono- scenza )> o del loro aspetto di <( volontà ». In un caso come nell'altro, il sole corrisponde alla facoltà che, mantenendosi a equa distanza dai due poli estremi, ne rappresenta in un certo senso il punto d'unione. Secondo Macrobio (che, com- mentando il Somnium Scipionis, assume per la gerarchia dei pianeti la dottrina Orfico-Pitagorica che predica la di- scesa dell'anima dal più alto dei cieli alla terra), il sole richiama per analogia la facoltà che anima i cinque sensi sintetizzandone le impressioni. I1 sole è allora il prototipo della vita dell'anima sensibile. Nella diversa e più profonda

prospettiva di 'Abd al-Karim al-Jili, che ne parla nel suo libro sull'e Uomo Universale (al-insdn al-kimil), il sole è omologo al cuore (al-qalb), organo della conoscenza intui- tiva che unisce e trascende tutte le altre facoltà dell'anima. Come il sole dà ai pianeti la loro luce, così il cuore (sede dello spirito o intelletto) illumina tutte le facoltà.

Si sarà notato che l'analogia fra Saturno e la ragione posta dalla gerarchia delle facoltà sembra contraddire l'equazione alchemica Saturno = piombo: infatti, mentre la ragione si colloca al vertice delle facoltà psichiche, il piombo è invece posto alla base della scala dei metalli. Ma anche in questo caso conviene applicare la legge dell'analogia rovesciata espressa dalla Tavola Smeraldina: se il piombo è il corpo o, più esattamente, la coscienza corporea, Saturno-ragione e Saturno-corpo si pongono uno di fronte all'altro, segnando rispettivamente le due estremità della coscienza individuale che, nella sua condizione (( saturnina », è come divisa in due fra il pensiero e il corpo. I1 cogito ergo sum di Cartesio trova la propria confutazione nel fatto stesso che il pensiero non è in grado di cogliere il proprio essere. L'affermazione ergo sum esprime contemporaneamente una certezza tra- scendente e l'esperienza comune e soggettiva della pro- pria esistenza corporea, che si oppone al pensiero grazie alla sua stessa opacità. <( Conoscenza D ed essere si riflettono quindi separatamente nella coscienza individuale sotto le forme distinte della mente e del corpo. Per sfuggire a questa dualità, la coscienza non può far altro che volgersi al sole » del cuore. Come dicono gli alchimisti, il e corpo deve tor- nare <( spirito e lo e spirito )> farsi corpo ».

I1 pianeta Giove viene solitamente accostato alla facoltà di decisione (in arabo: al-himmah) che rappresenta la forma spirituale o intellettuale della volontà. I1 coraggio appar- tiene a Marte, ma a Marte Al-Jili attribuisce anche e l'im- maginazione attiva » (al-wahm): due attributi che parteci- pano della volontà demiurgica rivolta verso il mondo. Secondo Macrobio e tutti i cosmologi ellenistici, Venere è l'astro della passione amorosa, mentre per Al-Jili Venere è in primo luogo il prototipo dell'« immaginazione pas- siva (al-khiyil), che sta all'immaginazione attiva di Marte come la ceralacca sta al sigillo che vi si imprime. Per tutti

i cosmologi, Mercurio è il prototipo del pensiero analitico (al-fikr). Macrobio attribuisce infine alla luna la facoltà ge- neratrice e il movimento corporeo, quello stesso che Al- berto Magno descrive più compiutamente come motus quos movet, in sequendo naturam corporis, ut attrahendo, mu- tuando, augendo et generando. Sono precisamente gli stessi modi di azione dello spirito vitale (spiritus vitalis, ar-rllh) che Al-Jili attribuisce alla luna.

La gerarchia dei pianeti P discendente, quella dei metalli che vi corrispondono ascendente. La prima è attiva, la se- conda passiva. In quanto materia inerte, il metallo non è in grado di simboleggiare una facoltà cognitiva », ma deve piuttosto, a causa della sua natura statica e amorfa, essere l'espressione di uno stato di coscienza ugualmente statico: cioè, uno stato di coscienza interiore e sprovvisto di contorni mentali. Si tratta per l'appunto della coscienza interiore del proprio corpo, della sua << forma psichica ». Da tale metallo, l'alchimista deve trarre l'anima metal- lica » e lo spirito metallico ». La coscienza corporea, cao- tica e opaca », paralizzata dalle passioni e dalle abitudini, rappresenta i1 metallo vile. I n essa, l'anima e lo spirito sono come soffocati, oscurati e mescolati alla terra. Al con- trario, la coscienza corporea <( illuminata » (il metallo no- bile) è in se stessa un modo spirituale d'esistenza. L'anima deve prima di tutto essere tratta dal metallo vile, sosten- gono gli alchimisti; successivamente, il residuo corporeo deve essere purificato dal fuoco fino a non essere più che un mucchio di cenere: solo allora l'anima potrà di nuovo ricongiungersi ad esso. Quando il corpo si è così dissolto nell'anima e il loro insieme è venuto a costituire una pura materia, lo Spirito agisce sull'anima e le attribuisce una forma finalmente imperitura. In altri termini, lo Spirito reintegra la coscienza corporea individuale nella sua forma puramente spirituale, perché essa vi possa rimanere immu- tata in tutta la sua pienezza e per sempre conforme alla propria essenza. Basilio Valentino paragona questo stato al

corpo glorioso della resurrezione.

Accanto alla gerarchia planetaria (che a sua volta rovescia quella dei metalli) e parallelamente all'ordine alchemico, esiste un ordine dei pianeti assai più antico. La classifica- zione messa in atto dall'ordine in questione definisce delle i( case D, la cui distribuzione nello zodiaco assume il suo valore solo quando il loro asse comune si trova nella stessa posizione con ogni probabilità occupata, nello zodiaco ori- ginale, circa duemila anni prima di Cristo. Trovandosi allora l'asse del solstizio, nella sua estremità superiore, a passare fra il Leone e il Cancro, le divisioni o <( case » planetarie ne risultavano disposte simmetricamente: È probabile che questa posizione dei cieli sia stata assunta come base da ogni tipo di simbolismo astrologico. Inoltre, essendo il significato alchemico dei segni planetari identico al loro significato astronomico, è legittimo pensare che in quella stessa congiuntura cosmica l'alchimia abbia cominciato a porsi nella forma tradizionale che ha poi mantenuto fino all'era moderna.

Posizione delle case planetarie verso il 2000 a.C.

Ogni pianeta presenta due case: una casa destra o ma- schile e una casa sinistra o femminile. I1 sole e la luna fanno eccezione e non hanno che una casa a testa, il primo rego- lando la metà maschile dello zodiaco e la seconda la metà

femminile. Nella parte inferiore della figura che rappresenta i cieli, da un lato e dall'altro del solstizio d'inverno, si trova il regno di Saturno, corrispondente nell'ordine dei metalli al piombo, avvolto dall'oscurità e dalla morte. Nel suo segno -4> la mezzaluna è collocata in basso, a rappresentare simbolicamente l'immersione caotica della coscienza nel cor- po. D'altra parte, il segno di Giove o dello stagno 3 , in cui la mezzaluna occupa la posizione immediatamente su- periore, indica già un primo grado di emancipazione del- l'anima dalla coppia degli elementi opposti: la « luna » dell'anima si trova qui a contatto con l'asse orizzontale della croce, segno dell'espansione cosmica. Proprio al di sotto dell'asse orizzontale mediano dello zodiaco, si trovano le due case di Marte; quindi, immediatamente al di sopra, quelle di Venere. I loro rispettivi segni, 6 e g , stanno l'uno all'altro come l'immagine che si riflette in uno spec- chio. I1 segno di Marte, corrispondente al ferro, esprime uno stato in cui lo spirito si trova come paralizzato o solidi- ficato nell'elemento corporeo. Al contrario, nel segno di Venere o del rame, il e sole )> dello spirito si trova al di sopra dell'albero delle tendenze elementari. L'oro vi mostra il suo colore, ma in modo non ancora così puro. I1 grado immediatamente superiore è quello delle due case di Mer- curio o dell'argento vivo. I1 suo segno 4 è l'unico a con- tenere contemporaneamente sia il segno del sole che quello della luna. Nella sua a acqua D lunare, I'argento vivo con- tiene il germe igneo del sole, come la potenza originale dell'anima porta in sé il germe dello Spirito universale. Secondo gli alchimisti, l'argento vivo è a la madre dell'oro » e il primus a ~ e n s della loro opera. La parte superiore dello zodiaco è infine occupata dal sole e dalla luna che si fron- teggiano. La luna richiama per analogia l'anima nel suo stato di pura ricettività; il sole lo spirito o, più precisa- mente, l'anima trasmutata e illuminata dallo spirito, a sim- boleggiare l'unione perfetta dello spirito, dell'anima e del

sfera di Saturno o del piombo, che occulta nel suo a caos » lo splendore del sole e dell'oro.

Enis corruptionis et principium generationis (Fine della corruzione e inizio della generazione). Questa figura rappresenta la lotta delle due forze pri- mordiali, il sole e la luna, lo zolfo e l'argento vivo, nel cerchio celeste. Tratto dal cosiddetto u Ripley Scrowle P, Biblioteca del British Museum.

I1 mi to alchemico del Re-Oro che deve essere ucciso e se- polto per potersi poi risvegliare a nuova vita, ascendere per sette regni e raggiungere finalmente la sua piena gloria, è sostanzialmente un'illustrazione del simbolismo astrologico che abbiamo appena descritto. Questo simbolismo, inoltre, -è a s u a volta il riflesso cosmico di una legge interiore: la scintilla divina corrisponde nell'uomo al sole. Anche se sembra estinguersi là dove l'anima entra nella casa di Sa- turno, in realtà essa risorge e ascende lungo i sette gradi della coscienza per trasformarsi nel a leone rosso » - nel- I'elisir della trasmutazione universale.

corpo. I1 sole non regna soltanto nella casa che gli è propria,

ma percorre tutto lo zodiaco, di volta in volta salendo lungo i gradi del lato maschile e discendendo lungo quelli del lato femminile. I1 solstizio fra discesa e ascesa si trova nella

VI

La conversione degli elementi

Abbiamo giA detto che l'alchimia spirituale, pur utiliz- zando un simbolismo metallurgico, non era necessariamente legata a operazioni di tipo artigianale. È comunque pre- sumibile che in origine opera esteriore e opera interiore pracedessero di pari passo, tanto più che in una civiltA esplicitamente tesa al raggiungimento del fine più alto per l'u omo, ogni mestiere è al servizio della spiritualità. D'altra parte, ogni autentico simbolismo si fonda su un'esperienza concreta. Conviene quindi, a questo punto, esaminare alcuni d e i procedimenti metallurgici che, nella loro estrema sem- plicità, hanno sempre funzionato da supporto dell'opera alchemica. Oltre ai procedimenti puramente metallurgici (quali l'estrazione del metallo da un minerale complesso o impuro, la fusione ed eventualmente la lega di un metallo c o n un altro per compensare la presenza di eventuali di- fet t i ) , va anche considerata la produzione di queile sostanze chi miche che agiscono in un determinato modo sui metalli - o purificandoli o conferendo loro particolari qualitA, per esempio la fondibilità, la durezza e il colore. L'antimonio e l o zolfo sono due di queste sostanze, una terza è lo stesso argento vivo che, essendo a sua volta metallo, agisce da solvente sugli altri metaili.

L a produzione e l'uso di tali sostanze rientrano a tal

sensibili. I n questo senso, potremmo anche dire che solo il caldo e il freddo funzionano da forze attive; che anzi, poiché la seconda qualità non è che il negativo della prima, solo il caldo, in ultima analisi, si trova all'origine della a circolazione D. Solo l'effetto del fuoco, nella storta del- l'alchimista, rende di volta in volta la sostanza liquida, gassosa, ignea e finalmente di nuovo solida. I n formato ridotto, è l'opera )> stessa della Natura.

Lo schema sopra riportato implica un significato la cui validitd può anche essere estesa all'anima: in quest'ultima, infatti, le qualità di espansione, contrazione, dissoluzione e solidificazione corrispondono rispettivamente al caldo, al freddo, all'umido e al secco. Vi torneremo più oltre. Ab- biamo comunque già accennato alle corrispondenze che esistono fra i quattro elementi e i diversi stati deii'anima.

I1 valore a speculativo » dell'alchimia - speculativo nel senso più antico di speculati0 ( a riflessione » delle verità spirituali) - risiede sostanzialmente nella possibilità di trar- re dall'osservazione di un solo esempio visibile una chiave d'interpretazione per i grandi ritmi della natura. L'analisi di una sostanza, nel senso in cui è intesa dalia chimica mo- derna, non si muove in questa direzione e, lungi dal fornire i supporti di una conoscenza unitaria, continua a dare ele- menti sempre più lontani e complessi che non facilitano

una visione sintetica né deiia sfera del corpo né della sfera dell'anima.

I1 mondo della natura è il mondo della molteplicitd delle forme che si riflettono in un solo specchio, o è il mondo dell'unica forma che si riflette in un'infinita molte- plicità di specchi »': in questa frase di Muhyi-d-Din ibn 'Arabi si riassume il contenuto della visione ermetica della Natura. Questa formula paradossale è la chiave per inter- pretare il significato spirituale dei fenomeni.

Non è evidentemente un caso se lo schema sopra ripor- tato per rappresentare gli elementi e le qualità naturali finisce per assomigliare alla ruota cosmica, il cui cerchio corrisponde all'orbita solare e i cui raggi indicano le dire- zioni cardinali.

Nel linguaggio dell'alchimia, il mozzo deiia ruota è la quinta essentia, termine con cui si vuole indicare non solo il polo spirituale dei quattro elementi, ma anche la loro sostanza fondamentale comune, l'etere, che li contiene indi- visibilmente. Perché sia possibile riconvertirsi al centro, le opposizioni che separano gli elementi devono essere risolte: l'acqua deve farsi ignea, il fuoco liquido, la terra priva di peso e l'aria solida. Ma si abbandona qui il piano delle ap- parenze fisiche per entrare in queiio dell'alchimia spirituale, in cui i quattro elementi e le quattro proprietà naturali presentano più d'un livello di riferimento. Basti, per il momento, l'esempio che segue.

Essendo per l'anima l'espansione origine di gioia e la sua contrazione di dolore, ognuna di queste due emozioni può corrispondere a una percezione spirituale: tutto ciò che è reale può ispirare infatti sia gioia che dolore. Quanto alla soluzione - o liquefazione - dell'anima, possiamo legittima- mente vedere in essa il rinnovamento della sua ricettività originale di fronte all'atto spirituale; la fissazione - o soli- dificazione - corrisponde invece, su questo stesso piano, all'attività interiore. Ora, anche se le quattro fasi della vita psichica sono tese all'essenziale, al centro spirituale del- l'uomo, è necessario prima o poi che la loro reciproca inte- grazione si realizzi pienamente, poich4 la gioia contempla- tiva implica inevitabilmente, nel suo u calore », l'elemento

freddo » della sensazione d'eternitd, mentre il dolore con-

templativo implica, nel suo 4 freddo », il germe 6 igneo » della vita spirituale. Allo stesso modo, la ricettività li-

'quida >> dell'anima si compenetra, orientandosi verso lo stesso fine, alla sua attività secca P: di qui 1s conver- sione D degli stati psicofisici che obbediscono alle quattro forze, come gli stati elementari obbediscono alle quattro proprietà naturali, il caldo, il freddo, l'umido e il secco.

Se la 4( terra », che è fredda e secca, si unisce all'a aria a, che è calda e umida, finisce per perdere la sua pesantezza e, pur continuando a essere corporea, acquista una natura spirituale; allo stesso modo, I'« aria D, unendosi alla << ter- ra p>, ne acquista la fissità e, pur continuando a essere di natura spirituale, si fa corpo.

Scrive Sinesio: a Questo intendono i filosofi quando de- scrivono la produzione della nostra pietra come un muta- mento dell'ordine naturale e una conversione degli elementi. Puoi infatti ora vedere come I'incorporazione renda secco l'umido, stabile il volatile, corporeo lo spirituale, solido il fluido, di fuoco I'aria e di terra l'aria; e come i quattro ele- menti abbandonino la loro natura e si trasformino tutti cir- colando l'uno nell'altro ... D. E più oltre: C Come d'inizio era Lui solo, così ora l'opera tutta viene dall'Uno e ri- torna verso l'Uno. La riduzione degli elementi non è che questo ... ».

VI1

La G materia prima »

Secondo gli alchimisti i metalli vili non possono essere trasmutati in argento o in oro se non dopo essere stati ricondotti alla loro 6 materia prima D. Ora, poiché i me- talli vili corrispondono alle « coagulazioni )> parziali e im- perfette dell'anima, la materia prima alla quale devono essere ricondotti non è altro che la sostanza soggiacente, cioè I'anima stessa nel suo stato originale non ancora con- dizionato dalle sensazioni e dalle passioni e non ancora coagulatosi in una qualche forma limitata. Soltanto dopo essersi emancipata da tutte le resistenze e da tutti i nodi presenti al suo interno, l'anima può finalmente porsi come la sostanza malleabile su cui lo Spirito o Intelletto, proce- dendo dal Cielo, imprime una nuova « forma D: forma as- solutamente non limitativa o vincolante, ma se mai fonte di liberazione e la cui origine è nell'Essenza Divina. La forma del metallo vile era semplicemente una sorta di coa- gulazione - in altri termini, un impedimento - mentre la forma del metallo nobile, in quanto simbolo, è il legame diretto con il proprio archetipo in Dio.

Per gli alchimisti l'anima, nel suo stato originale di pura ricettività, e la materia prima dell'universo non sono che un'unica realtà; idea che, in un certo senso, riafferma il fondamento teorico dell'intera alchimia: la reciproca cor-

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rispondenza esistente fra macrocosmo e microcosmo. Ma questa stessa idea esprime anche il fine ultimo verso cui tende l'opera alchemica: l'unità dell'anima e della materia prima può essere << vissuta » e conosciuta solo nel progre- dire dell'opera verso il proprio compimento. Ci troviamo qui di fronte al vero segreto alchemico, che riduce neces- sariamente ogni possibile espressione a pura indicazione e a puro simbolo.

La materia prima, sostanza fondamentale dell'anima (p sy - ché), è in primo luogo la sostanza della coscienza indivi- duale o coscienza limitata dall'Ego; in secondo luogo, è la sostanza di tutte le forme psichiche, indipendentemente dagli esseri individuali; infine, è la sostanza dell'intero uni- verso. Le tre accezioni sono ugualmente valide. Se il u tes- suto che sta alla base del mondo non fosse in tutto identico a quello dell'anima, ogni individuo si troverebbe prigioniero del proprio sogno. Il che è assurdo. Anche se il mondo è un << sogno dello Spirito immutabile, si tratta pur sempre di un sogno che non manca di una propria logica. << Siamo fatti della stessa trama dei sogni D, scrive Shakespeare nella sua commedia ermetica, La tempesta. L'opposizione fra << universo interiore e << mondo este- riore - o fra universo dell'anima e mondo fisico - si tesse nella stessa traina del sogno.

Da un punto di vista simbolico, la materia prima si trova << in basso »: nella sua assoluta passività, si presenta oscura e priva di qualsiasi forma; elude cosi ogni tentativo dell'in- telligenza che pretende di coglierla. Di qui l'equivoco che ha voluto identificare la materia prima degli alchimisti con l'inconscio collettivo della psicologia moderna. La mate- ria, come abbiamo già detto, non è affatto una sarta di vulcano inconscio le cui eruzioni siano di tipo irrazionale, ma è piuttosto il substrato passivo di tutte le forme sia sensibili che ideali. I1 termine << collettivo >> che la psico- logia applica a un campo del resto cosi mal definito, è poi in sé contraddittorio: se 2 vero che designa, in conformità al suo significato etimologico, una collezione di elementi o addirittura di disposizioni psichiche ereditarie, si dovrà allora insinuare che l'ereditarietà non è semplice accumu- lazione ma anche ramificazione - evidenza che negherebbe

inevitabilmente la presenza di una possibile unità. Facciamo invece l'ipotesi che il termine collettivo vada inteso come << generale P, cioè come comune a tutti gli uomini. In questo caso, resta da dimostrare perché mai lo psicologo che si affaccia sul cosiddetto inconscio collettivo - e ne fa l'oggetto di uno studio << oggettivo - non dovrebbe a sua volta pensare e agire da individuo appunto determinato da quello stesso substrato << collettivo ». Da qualsiasi punto si consideri la questione, la posizione dello psicologo asso- miglia a quella di un uonio che, dall'interno di una barca, si ostini a voler svuotare il mare.

È invece necessario saper distinguere gli strati più o meno oscuri di coscienza presenti al di sotto della coscienza quotidiana (strati, del resto, che non possono essere visti come del tutto inconsci, poiché si trovano al contrario a interferire con la coscienza quotidiana) dal vero e proprio fondo dell'anima, che è puramente passivo e conseguente- mente in sé privo di forma. Gli strati oscuri di cui abbiamo appena parlato (li possiamo immaginare come un crepuscolo via via sempre più denso: immagine che è preferibile a quella delle tenebre complete delia notte) si sono formati grazie all'accumulazione delle impressioni psichiche e delle tracce lasciate dai nostri stessi comportamenti. I l vero fondo deii'anima, del resto, non è in sé né oscuro n6 luminoso, e non conviene comunque vedervi l'origine degli impulsi irrazionali. Al contrario, là dove esso non sia del tutto ce- lato allo sguardo, apparendoci allora come oscuro, vi pos- siamo vedere lo specchio fedele del suo polo comple- mentare: lo Spirito Universale.' Eccolo allora riflettere tutte quelle verità che si possono esprimere per siinboli, non appena la potenza latente dell'immaginazione si av- vicini al puro stato di materia prima. Tale evento può anche verificarsi tramite il sogno; ma è abbastanza raro che così avvenga, poiché in genere il mondo dei sogni non è che il gioco di impulsi fra di loro anche profondamente diversi, in cui l'anima si trova in balia degli influssi più molteplici e rischia di produrre una deformazione grottesca e perfino satanica dei siinboli. La confusione fra i veri sim- boli e la loro inversione è uno dei pericoli più gravi della

moderna psicologia del profondo ». I1 rischio è reale, per

esempio, quando si pretende di porre sullo stesso piano i mandala dell'Estremo Oriente e certe pitture concentriche dei malati di mente. Un vero simbolo non è mai « ir- razionale ». Non bisogna confondere irrazionale D con << sovrarazionale » .

L'alchimista arabo del IX secolo Abu'l-Qasim al-Iraqi cerca di dimostrare in questo modo che la materia prima contiene in potenza tutte le forme della coscienza e, di conseguenza, tutte le forme del mondo effimero: « La materia prima è come I'interno di una montagna che con- tiene in sé un'infinità di cose non ancora create. Tutte le forme di conoscenza che possiamo incontrare in questo mondo vi sono contenute. Non esiste sapere che non vi sia contenuto, non intelligenza, sogno, pensiero, talento, com- prensione, riflessione, saggezza, filosofia, geometria, poli- tica; non potenza, coraggio, merito, soddisfazione, pazienza, disciplina, bellezza, inventiva, viaggio, ortodossia, capacità di comando, precisione; non espansione, regola, autorità, ricchezza, dignità, prudenza, accortezza. Ma nemmeno esi- ste odio che non vi sia a sua volta presente, non rancore, furbizia, infedeltà, illusione, tirannia, oppressione, corru- zione, ignoranza, bestialità, bassezza, dispotismo, eccesso; non canto, fuoco, flauto, lira, matrimonio, inganno, arma, guerra, sangue, omicidio ... ».' La montagna che contiene in sé la materia prima non è altro che il corpo umano. La reductio alla sostanza universale procede metodicamente dalla coscienza corporea, che a sua volta si deve dissol- vere )> dall'interno prima che l'uomo sia in grado di con- quistare la propria anima, al particolare livello di esistenza: e questo, non soltanto attraverso le personali esperienze sensibili. Troviamo qui la spiegazione del perché Basilio Valentino abbia interpretato come segue la parola-chiave dell'alchimia, V.I.T.R.I.0.L: Visita interiora terrae; recti- ficando invenies occultum lapidem ( a Visita l'interno della terra; vi troverai la giusta via per la pietra nascosta P). L'interno della terra è anche l'interno del corpo, cioè il

centro interiore e indifferenziato della coscienza. La pietra nascosta è naturalmente la materia prima.

Dal punto di vista interiore, la <( riduzione dei metalli alla loro materia prima » non ha nulla a che vedere con l'im- mersione sonnambolica della coscienza nell'inconscio. La << riduzione )> si realizza solo a costo di una dura lotta fra le opposte tendenze dell'anima, lotta il cui primo scopo è quello di dissolvere tutti i << nodi » o complessi >> irra- zionali. L'opera alchemica non è un modo di trattare le malattie mentali.

Nel passaggio dalla coscienza differenziata alla coscienza indifferenziata ci troviamo in uno stato dominato dalle tenebre e corrispondente al caos: è la condizione della ma- teria che, pur avendo in parte perso la sua purezza origi- nale, presenta ancora in sé possibilità di differenziazione allo stesso tempo intrecciate e diffuse. Tale stato corrispon- de alla <( materia bruta ». Non appena la coscienza si trova a un livello più profondo, è in grado di cogliere lo specchio contenuto nell'anima: ma non lo coglie in sé, neila sua realtà sostanziale, quanto in ciò che si rivela deila sua na- tura attraverso il riflesso senza mediazioni della luce del- l'Intelletto. I1 caos deIl'anima è paragonabiIe al piombo. Lo specchio dell'anima è simile all'argento, ma può anche essere paragonato alla purezza di una sorgente: è la mitica <{ fontana dell'eterna giovinezza >> dalle cui profondità sca- turisce l'acqua della vita, simile al Mercurio. Ne troviamo un'eco in questo testo dell'alchimista Bernardo Trevisano:

Mi capitò una notte di dover studiare per la disputa del giorno seguente. Trovai una piccola, chiara e bella fonte. Era circondata tutt'intorno da una bella pietra, e questa pietra era poggiata su un vecchio tronco cavo di quercia e tutt'intorno era circondata da un muro, &nché le mucche, gli uccelli e le altre bestie brute non vi si potessero bagnare. Avendo dunque una grande voglia di dormire, mi sedetti sulla fontana e vidi allora che, più in alto, si copriva ed era chiusa.

E passò di 11 un sacerdote anziano e di età avanzata.

E allora gli domandai per quale motivo quella fontana fosse chiusa sopra e sotto e da tutti i lati. Fu gentile e buono, e cominciò così a dire: "È vero, Signore, che questa fontana è di incredibile virtù; nessuna al mondo può eguagliarla. È qui solo per il Re del paese, e la fontana conosce il Re come il Re la conosce. Mai il Re può passare di qui senza che la fontana non lo attiri a sé, ed è così che vi si bagna duecentottantadue volte al giorno. E il Re in lei ringiova-

9 ,

nisce a tal punto che nessun uomo lo può vincere ... . In gran segreto tornai allora alla fontana, e cominciai ad

aprirne tutte le chiuse fatte ad arte e su misura. Cominciai a guardare il Libro che mi era stato tributato, e tanto era splendente e leggero, e tanta era la mia voglia di dormire, che scivolò nella fontana con mio gran corruccio e mera- viglia. Poiché volevo serbarlo a lode del mio onore, aven- dolo io conquistato. E allora mi misi a guardare dentro, e la mia vista vi si smarrì totalmente. E poi cominciai a svuo- tarla, e la svuotai così bene che in lei non rimase che la decima parte delle dieci parti. E mentre tutto credevo di svuotare, tutto restava strettamente utiito. E mentre facevo questo con tanta pena, capitò che altre persone sopraggiun- gessero all'improvviso, e non potei quindi più trarre di quel- l'acqua. Prima di andarmene, avevo però richiuso tutte le aperture, affinché nessuno vedesse che avevo svuotato la fontana e che vi avevo guardato dentro, e quindi nessuno mi privasse del mio Libro. Ma allora si riscaldò e si accese il calore del bagno che era lì nelle vicinanze, perché il Re vi si bagnasse, e così per il mio misfatto fui imprigionato per quaranta giorni. Quando, al termine dei quaranta giorni, uscii di prigione, tornai ad ammirare la fontana, e vidi nu- vole scure e nere, che vi rimasero sopra a lungo. Ma vidi alla fine tutto ciò che il mio cuore desiderava, e non ebbi mai più pena. Allo stesso modo non ne avrai più tu, se non ti perderai nel male e nell'errore e agirai invece come la Natura comanda ».'

La materia prima - considerata sia come sostanza prima dell'universo che come sostanza fondamentale dell'anima -

viene chiamata dagli alchimisti in molti modi. Tale molte- plicità tende più a mettere in evidenza il modo in cui la materia è contenuta in tutte le cose (e tutte le cose nella materia) che a difendere 1'Ermetismo dalla curiosità degli spiriti non iniziati. La chiamano <( il mare P, perché porta in sé tutte le forme, proprio come il mare porta in sé tutte le onde; o la terra », perché essa nutre di sé tutto ciò che vi vive sopra. Ma è anche il seme delle cose P>, <( l'umidità fondamentale (humiditas radicalis), la hyle greca. È la <( vergine per la sua infinita purezza e ricettività, ma è anche la <( prostituta perché sembra concedersi a tutte le forme. Viene paragonata, come abbiamo visto, alla <( pietra nascosta D anche se, nel suo stato primordiale, deve essere distinta dalla pietra filosofale che è invece il frutto del- l'opera giunta al suo compimento. La materia prima può essere paragonata alla <( pietra solo per quanto riguarda la sua immutabilità. Quest'ultima denominazione sembra rinviare al nome persiano gohar e al termine arabo jawhar - che significano alla lettera <( pietra preziosa » - utilizzati metaforicamente per designare la sostanza, la ousia dei greci.

La materia prima è anche la <( miniera di tutti i me- talli; ma, da un altro punto di vista, è l'uomo a essere indicato come la miniera da cui poter estrarre la materia dell'opera. Spiega infatti Morienus al Re Kalid: Haec enim res a te extrahitnr; cuius etiam minera tu existis (« Sono

I infatti cose che da te stesso devi trarre, perché sei tu la miniera D).

In quanto stato caotico in sé né puro né intelligibile e privo di qualsiasi forma delimitata, la materia viene anche indicata come una <( cosa comune », rinvenibile cioè dap- pertutto come materia bruta ». Ma, nello stesso tempo, è anche <( preziosissima D, poiché è proprio da essa che si ricava I'elisir necessario alla fabbricazione dell'oro. La ma-

1

1 teria bruta che, rispetto alla materia prima, rappresenta una materia secunda, è paragonata al piombo (dove si cela la natura dell'oro) o al ghiaccio (che bisogna lasciar sciogliere) o ancora a un campo (che concede le sue messi solo a chi lo ha lavorato e seminato). Scrive Heinrich Khunrath: 6 Ed ecco apparire la terra bagnata, umida, grassa e fangosa,

adamitica, materia prima della creazione di questo Mondo superiore, di noi stessi e della nostra vigorosa Pietra ... ».4

Paragonata a un albero, la materia prima coincide con l'albero del mondo i cui frutti sono il sole, la luna e i pia- neti. L'« albero » della materia produce l'oro e l'argento e tutti i metalli, cioè le diverse fasi dell'opera alchemica con i loro colori simbolici, nero, bianco e rosso, ma talvolta anche il giallo fra il bianco e il rosso. Abu'l-Qisim al-Iraqi dice che le radici di quest'albero non sono nella terra ma affondano nell'oceano. I1 mare è qui la materia dell'ani- ma, l'anima mundi. L'albero dà i suoi frutti nei paesi d'Occidente D - del sole calante - poiché la materia cor- risponde all'Ovest così come la forma, il prototipo essen- ziale, corrisponde d 'Es t . L'albero può inoltre assumere la forma di una creatura vivente, poiché è la forma inte- riore D dell'uomo. È ancora l'albero che troviamo all'origine della materia dell'opera, poiché il seme dell'albero si trova nascosto nel frutto. <( La materia prima che ha il potere di dare la forma dell'elisir viene ricavata da quell'unico albero che cresce nei paesi d'occidente. Questo albero ha due rami, che sono troppo in alto perché chi ne vuole mangiare i frutti possa prenderli senza sforzo e fatica, e altri due i cui frutti sono invece più secchi e rugosi. I1 primo porta un fiore rosso, il secondo un fiore fra il bianco e il nero. L'albero ha altri due rami, ma più teneri e fragili. I1 fiore del primo è nero, quello del secondo bianco e giallo. L'albero cresce sulla superficie dell'oceano, proprio Come le altre piante crescono sulla superficie della terra. Chi mangerà di questo frutto, ne acquisterà per sé dominio sugli uomini e sui geni (jinn). È l'albero il cui frutto fu proibito ad Adamo - la pace sia con lui. Non appena ne ebbe mangiato, passò dalla forma angelica alla forma umana. Quest'albero può inoltre prendere la forma di qualsiasi essere vivente ... » 5

La materia prima degli alchimisti è quindi l'origine e in- sieme il frutto dell'opera. La materia è caotica, oscura e opaca solo finché le forme che vi sono contenute (e già in germe D) non hanno raggiunto il loro pieno sviluppo. Ogni potenzialità è per definizione impenetrabile. Si pensi a un minerale che, torbido e opaco nel suo stato amorfo, diventa chiaro e limpido al momento della sua cristallizzazione.

Ma non se ne concluda che tutte le possibilità presenti all'origine nell'anima debbano necessariamente esprimersi all'esterno: in primo luogo, la loro molteplicità è inesauri- bile; in secondo luogo, la diversità dei contenuti dell'anima è di per se stessa un ostacolo alla realizzazione della sua <( forma essenziale, vale a dire la condizione di unità e di armonia di una coscienza, che è lo specchio perfetto del- l'« Atto Divino ». Così, la vera natura della materia prima si rivela soltanto quando essa accoglie ed assume la sua vera forma. Se la sostanza universale (materia prima) non può essere colta che attraverso la conoscenza del Puro Essere, di cui è l'ombra, allo stesso modo il vero fondo dell'anima non può essere conosciuto che nella sua corrispondenza al puro Spirito. L'anima, in quanto indissolubilmente legata allo Spirito-Intelletto, rivela la propria essenza solo in que- sta unione. Troviamo qui il significato più autentico delle nozze fra il sole e la luna, il re e la regina, lo zolfo e I'ar- gento vivo.

Lo svelamento del fondo ricettivo dell'anima e la rivela- zione dello Spirito creatore avvengono nel medesimo istante. I due momenti non devono quindi essere dissociati, anche se è possibile riferire le diverse fasi e i diversi aspetti del- l'opera interiore all'uno o all'altro polo. Ogni realizzazione spirituale presuppone lungo la sua via la preparazione di una materia o sostanza ricettiva, nonché l'influsso attivo » su questa dell'atto spirituale o divino. A seconda della via seguita, la dottrina e la pratica tenderanno ad accentuare l'uno o l'altro dei due procedimenti interiori, mentre il fine ultimo spirituale si manifesterà o come <( atto immobile D o come fondo puro e immutabile dell'anima. I1 simbolismo ar- tigianale dell'alchimia, esprimendosi come nobilitazione » di una sostanza minerale, fa si che I'anima venga concepita come una sostanza, e che al centro di ogni speculazione sia posta l'idea di una sostanza originale o materia prima. Anche l'effetto che l'Intelletto trascendente produce sul- I'anima viene tradotto, nel linguaggio simbolico dell'alchi- mia, nei termini materiali di una trasmutazione della so- stanza, ma I'irriducibilità di una simile trasmutazione alle pure e semplici attività artigianali ne indica in certo qual modo l'origine trascendente.

I due aspetti o fasi della realizzazione spirituale trovano una loro chiara espressione in certe forme tradizionali di crocifissi a decorazioni simboliche. A titolo di esempio, si osservi il reliquario d'argento a forma di croce conservato nel monastero di Engelberg e risalente agli inizi del XIII se- colo, i cui ornamenti provano i legami esistenti fra I'alchi- mia e l'oreficeria. La croce, ornata su entrambe le facce, presenta al centro di quella anteriore (dove L1 rilievo è del resto più accentuato) l'immagine del Salvatore crocifisso e, alle quattro estremità, i quattro Evangelisti con i rispettivi animali simbolici. Questo genere di composizione era molto diffuso nell'arte cristiana medievale: nel nostro caso, si tratta di una forma relatiaamente naturalistica ». Sulle croci liturgiche più antiche, l'immagine del Cristo o del- l'Agnello è iscritta fra i soli quattro animali celesti, in un simbolismo che acquista così un rigore ancora maggiore. La faccia posteriore della croce presenta al centro l'imma- gine della Santa Vergine con il Bambino, su un trono, e alle quattro estremità le raffigurazioni dei quattro elementi. I1 fuoco è in alto, l'aria a destra di chi guarda, l'acqua a sinistra e la terra in basso.

Si tenga inoltre presente che le due facce della croce rappresentano rispettivamente l'aspetto « essenziale u e l'aspetto n sostanziale s del cosmo, I'« attivo P e il a pas- sivo o, ancora, la forma e la materia: la faccia anteriore, offrendo l'immagine umanizzata del Verbo Divino e dei suoi quattro modi di rivelazione (gli Evangelisti), corri- sponde, in rapporto al simbolismo dell'altra faccia, all'Atto Divino o forma essenziale » del cosmo. La faccia poste- riore, al contrario, corrisponde alla materia prima o, meglio ancora, al mondo che da questa procede. La Vergine, con la sua posizione centrale, assume simbolicamente la fun- zione dell'etere che, in termini ermetici, si può ancora identificare con la materia prima. I quattro elementi rap- presentano inoltre le quattro determinazioni fondamentali della mteria prima e, conseguentemente, i quattro fonda- menti del mondo formale considerato nella sua totalità. L'equilibrio inviolato della materia prima e la sua natura x verginale ,> sono messi in evidenza dalla posizione della

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Vergine, posta al centro fra i quattro segni del fuoco, del- l'aria, dell'acqua e della terra.

È evidente che l'interpretazione cosmologica delle imma- gini cristiane di cui abbiamo appena parlato non riduce di nulla il loro significato teologico. Potremmo anzi dire che la coincidenza delie due « prospettive » spirituali in un unico simbolo che le accomuna finisce per estendere la portata di entrambi i punti di vista. La riveIazione del contenuto metafisico del simbolo che così ne deriva, offre all'artigiano o all'artista che innesta la padronanza del1 'arte ermetica nella fede cristiana che gli è propria possibilità veramente illimitate d'azione.

La relazione interna fra le composizioni simboliche in ognuna delle due facce trova la sua espressione nelle due immagini della Colomba dello Spirito Santo che discende sulla Vergine e del Bambino che questa porta sulle ginoc- chia. La Colomba rappresenta lo Spirito increato, il cui influsso da alla materia prima il suo specifico sviluppo for- male, cosi come la Vergine concepisce e partorisce ail'ombra dello Spirito Divino. Lo Spirito si esprime nel Bambino che la Vergine mette al mondo. Pur restando immutato quanto a essenza, assume la sostanza che la Madre gli porta e si adegua così agli aspetti differenziati della materia.6

La stessa forma della croce, che esprime la legge deil'in- tero cosmo, si ritrova in ognuno dei poli e corrisponde con- temporaneamente alla quadruplice rivelazione del Verbo Eterno e alle due coppie di opposizioni contenute nella materia prima. Così, l'opera spirituale procede sia dall'atto essenziale che dal suo ricettacolo <( sostanziale ». L'anima non può trasmutarsi senza l'intervento dello Spirito, e lo Spirito non illumina l'anima se non nella misura della sua disposizione passiva e in conformità alla sua propria natura. È solo a un livello superiore, quello del puro Essere, che l'opposizione dei poli può essere risolta: la sostanza ricet- tiva non è qui che la prima determinazione interiore e im- mediata dello Spirito Divino, e quest'ultimo discende solo in ciò che gih gli appartiene per assumerne la forma e la natura?

Possiamo aggiungere altre considerazioni all'interpreta- zione delle immagini appena descritte. Cod, I'estremith tri-

lobata di ogni braccio della croce non fa che moltiplicare il gruppo dei quattro Evangelisti o dei quattro elementi, dando luogo al gruppo dei dodici Apostoli o dei dodici segni zodiacali. Sulla faccia anteriore, due angeli sostengono i1 cerchio posto al di sopra della testa del Cristo; sulla faccia posteriore, invece, l'immagine della Vergine si trova incor- niciata dalle figure di san Pietro e di altri santi vescovi. Queste due disposizioni riproducono la gerarchia celeste e la gerarchia terrena che, secondo san Dionigi I'Areopagita, si contrappongono allo scopo di dare (la prima) e di rice- vere (la seconda).

Altri elementi si rifanno più direttamente all'alchimia. I1 tronco della croce presenta la figura di Mosè che in-

nalza il serpente di bronzo, insieme prototipo della Croci- fissione (secondo I'esegesi patristica dell'Antico Testamento) e simbolo alchemico della fissazione dell'argento vivo. Allo stesso modo, possiamo vedere nel gruppo di animali che lottano, posti immediatamente sotto i piedi del Cristo cro- cifisso, non solo l'immagine della vittoria del leone di Giuda sul drago infernale, ma anche la fissazione dell'argento vivo << volatile D da parte del leone solare dello zolfo.

Un cinalogo schema simbolico lo si può ritrovare nell'am- bito dell'arte buddista dell'Estremo Oriente. Essendo gli elementi iconografici assai diversi fra di loro da una parte all'altra del mondo, l'analogia in questione dimostra con ancora maggiore evidenza il carattere universale delle leggi spirituali che vi sono rappresentate. Si pensi, per esempio, alla seguente forma di mandala di cui si serve lo Shingon giapponese, ramo del buddismo Mahay~na . Si tratta di una sorta di insegna dipinta su entrambe le facce. I l retto rap- presenta il <( mondo degli indistruttibili o gli e elementi di diamante D, il verso l'« elemento matriciale 9 . Al centro di entrambe le facce appare una delle forme in cui si mani- festa il <( Grande Illuminatore », il Budda Mahavairochana, seduto su un fiore di loto. Sulla prima - quella degli <( ele- menti di diamante o o prototipi immutabili - i1 Budda appare in un atteggiamento contemplativo, con la testa aureolata di un alone bianco; sulla seconda, mentre emerge da un fiore di loto appena sbocciato, e con un alone rosso, simbolo di attività. In altri termini, il polo <( matriciale »

viene qui considerato nel suo aspetto dinamico, cos'i come insegna la dottrina tao-buddista a proposito della natura attiva della non-azione e della natura passiva dell'azione. La meditazione sull'immagine della faccia anteriore porta alla conoscenza della via che libera dal divenire, mentre la meditazione sull'immagine della faccia posteriore porta alla conoscenza delle cinque scienze co~molo~iche.~

Iln'analoga interpretazione della materia prima come specchio dello Spirito Universale è riscontrabile anche nel simbolismo estremo-orientale dello specchio. Il retro degli specchi cinesi, sia rituali che magici, porta generalmente una figura di drago celeste che corrisponde alio Spirito Universale o Logos. Nello Shinto, religione pre-buddista del Giappone, lo specchio sacro (che riflette l'immagine della divinità solare Amaterasu) è anche un simbolo esplicito dell'anima che, nel suo stato di purezza spirituale, è in grado di cogliere e di riflettere la Verità originale. Siamo così ricondotti alla concezione ermetica che assimila la ma- teria prima alla sostanza fondamentale dell'anima.

Infine, e la cosa è più sorprendente, è possibile ritrovare questo stesso simbolismo in certe popolazioni indiane del- l'America del Nord, quali i Crows e gli Shoshonis. Si tratta, in questo caso, di un vero e proprio specchio magico grazie a cui lo sciamano può ritrovare cose perdute o dimenticate (le profondità dello specchio gliele mostrano). La superficie dello specchio è percorsa a zig zag da una linea rossa che rappresenta i1 lampo, simbolo indiano del Grande Spirito e della Rivelazione, simile in questo all'aquila che si libra nell'aria prima di piombare come i1 lampo sulla sua preda.

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La natura universale

4 L'arte imita la natura nel suo modo di operare D, dice una famosa massima degli alchimisti. La natura serve effet- tivamente da modello all'opera alchemica, venendo in aiuto all'artista che ha riconosciuto il suo modo di operare e por- tando a compimento quasi come in un « gioco » tutto quanto è stato intrapreso con sforzo e con fatica. I1 termine << natura D ha qui un significato preciso: non designa sola- mente il « divenire » involontario delle cose, ma anche il principio unico o la causa che indirettamente possiamo contemplare nel suo ritmo, che tutto comprende e che governa contemporaneamente il mondo esteriore e il mondo interiore.

L'alchimia occidentale si serve in genere del linguaggio della metafisica platonica: bisogna quindi risalire a quest'ul- tima se si vuole cogliere il senso più autentico dell'espres- sione natura o physis. Nelle Enneadi di Plotino (111, 8) tro- viamo un passo di notevole importanza sull'argomento: a Se si domandasse alla natura il perché delle sue opere, cosi risponderebbe, ammesso che si degnasse di farlo: "Non bisogna interrogarmi (non bisogna indagarmi con il pen- siero), ma comprendermi in silenzio, poichC io stessa agisco nel silenzio. Non sono abituata a parlare (al contrario dello Spirito, che si rivela invece tramite la parola). Devi com-

prendere che tutto ciò che diviene è l'oggetto della mia muta contemplazione, e che questa contemplazione è il mio primo destino perché io stessa sono nata da una contempla- zione (la visione dell'anima universale che contempla lo Spi- rito universale, cosi come quest'ultimo contempla l'Uno). Amo la contemplazione, e in me il soggetto che contempla genera in quell'atto stesso l'oggetto della sua contempla- zione. I matematici disegnano le figure che nascono dalla loro contemplazione. In me non vi è disegno. Io contemplo soltanto, e le forme dei corpi si disegnano quasi uscissero da me ... ».

È così che la natura, in quanto ricettività, si avvicina alla - - - . a

materia prima, ma senza mai confondersi del tutto con questa: pur trovandosi costantemente in balia della materia prima o hyle, la natura si situa immediatamente al di sotto delle tre ipostasi conoscitive dell'universo platonico. Sopra di essa vi è <( l'anima universale o psyché, e sopra di que- sta lo Spirito Universale, il nous, l'unico che possa contem- plare l'ineffabile Uno e, contemplandolo, possa sforzarsi eternamente di manifestarlo. Al di sotto della natura non vi è che la materia prima, fondamento passivo di ogni ma- nifestazione e che, non partecipando al divenire, resta eter- namente <( vergine D. Possiamo dire che la natura è l'aspetto materno della materia prima, poiché è in essa che si trova l'origine. Al contrario della materia prima, in sé immuta- bile, la natura è dinamica e attiva.

Muhyi-d-Dln ibn 'Arabi, <( il gran maestro n (ash-sheikh al-akbar) della gnosi islamica, presso il quale troviamo la concezione più vasta dei principi ermetici, vede nella natura universale (tabi'at al-kull) l'aspetto femminile o materno dell'atto della creazione (al-amr), cioè il <( misericordioso soffio divino (nafas ar-rahman) che infonde un'esistenza differenziata alle indifferenziate possibilità che sono latenti nel << non-essere P ('adam). Questo so60 è misericordio- so in quanto le possibilità che si devono poi manifestare aspirano già in sé alla propria manifestazione. Ma si tratta di un potere in certo qual modo anche equivoco e oscuro, poiché la molteplicità è illusoria e il suo risultato è la sepa- razione da Dio.'

L'interpretazione di Ibn 'Arabi, che fa della natura uni-

versale una potenza di origine divina, materna e generosa, ma al tempo stesso anche ingannevole e illusoria, acquista tutta la sua importanza se paragonata all'idea indù della shakti, potenza divina femminile e generatrice. Sulla concezione della shakti si fondano tutti quei metodi spirituali tantrici di cui l'alchimia è parente prossima: infatti per gli indù l'alchimia non è che uno dei metodi tantrici.

A somiglianza della dea Kili, la shakti è, da una parte, la madre universale che stringe a sé con amore tutte le sue creature e, dall'altra, la potenza dispotica che le abbandona alla distruzione, alla morte, al tempo e allo spazio (da cui si genera la separazione). Così, di volta in volta, la shakti viene rappresentata con i tratti della più sublime bellezza o con quelli dell'aspetto più terrificante. I1 suo colore è scuro, immagine della sua essenza inintelligibile. Ma la shakti è anche m&i, l'arte divina che dà agli esseri la loro molte- plice forma, distogliendoli per ciò stesso dalla loro origine una e infinita.

La concezione di una potenza creatrice insieme terribile e generosa si colloca evidentemente al di fuori di qualsiasi teologia che veda la divinità in analogia con la persona umana e sfugge, allo stesso modo, a qualsiasi considerazione d'ordine morale. In questo senso, possiamo dire che la forza in questione è <( impersonale P: il che ci riconduce a quella concezione alchemica che vede nella natura una forza in sé né buona né cattiva. Nel senso alchemico del termine, la Natura non è tuttavia una forza cieca, anche se il concetto di natura che i filosofi illuministi hanno così frainteso e male utilizzato deriva indirettamente dalla natura ermetica. Che questa natura sia poi diventata, in seguito alla secola- rizzazione e desacralizzazione delle scienze, una sorta di vago sostituto di Dio che a nulla impegna, è una prova in più di quel restringimento dell'orizzonte teologico che ha reso via via sempre più difficile una visione simultanea degli aspetti personali e impersonali attraverso i quali Dio si rivela.

Nell'opera esteriore dell'alchimia, la natura è la potenza da cui si originano tutte le trasmutazioni - l'energia poten- ziale delle cose. Nell'alchimia interiore, la natura si esprime invece come la forza materna che libera l'anima dalla sua

condizione di esistenza bruta, arida e sterile. Nell'uomo è la forza stessa del desiderio, ma anche qualcosa di ancor più profondo: la potenza vitale che dispiega tutte le pos- sibilità latenti dell'anima, indipendentemente dai desideri dell'Ego o in conformità agli stessi là dove 1'Ego è in grado di assimilare il potere della natura o ne diviene piuttosto vittima. Sia come Madre Natura che (nel suo aspetto più terribile) come Gran Drago che vaga di cosa in cosa, la natura è sempre femminile.

Esiste una concezione (ancora oggi associata all'idea di natura) secondo cui la natura comporterebbe sempre un certo grado di costrizione invece assente nella volontà umana, in sé essenzialmente libera. Grado di costrizione che è anche presente nella concezione alchemica della na- tura, almeno sotto un certo punto di vista: grado in realtà dell'opera interiore in cui la costrizione si trasmuta in un ritmo cosmico che, lungi dal sottomettere, diventa al contra- rio strumento di liberazione: è ciò che Dante chiama « amor che move il sole e l'altre stelle ». I n termini psicologici, l'impulso apparentemente perturbatore e addirittura minac- cioso che caratterizza la fase iniziale dell'opera, si trasforma alla fine, grazie al magistero dell'arte, in una forza che con- duce la coscienza a livelli sempre più elevati. Si tratta di una vera e propria legge che possiamo ritrovare in ogni auten- tico processo di ascesi, al contrario di quanto avviene nel puro e semplice puritanesimo: la vera spiritualità, infatti, non si pone come obiettivo quello di distruggere le forze naturali, ma piuttosto di dominarle perché possano poi di- ventare lo strumento di propagazione dello Spirito. L'unica a dover essere distrutta è la tendenza egocentrica che sna- tura le forze in questione, in sé né buone né cattive. Quando la psicologia « profana » parla normalmente di sublima- zione », non sa di servirsi di un termine alchemico che, nella sua accezione originale, si applica perfettamente al processo cui stiamo accennando. I l che ci porta finalmente a precisare che non esiste nessuna possibile <{ sublimazione » delle forze passionali dell'anima che sia in grado di vincere e superare definitivamente gli antagonismi in questa impli- citi senza l'aiuto di un'arte a tutti gli effetti sacra. È neces- sario che qualcosa di non individuale e implicitamente

divino penetri nell'uomo, se questi h o l e veramente uscire dal vicolo cieco delle volizioni individuali. Quest'ultima considerazione può essere ugualmente estesa a tutti quegli esercizi che siamo soliti definire << tantrici » (per esempio, la regolazione del respiro per facilitare la concentrazione): nessuno di questi esercizi può essere considerato in una sfera che non sia quella del sacro », della divina istitu- zione di un'arte spirituale. Lo stesso discorso vale anche per certi d t r i metodi in sé piuttosto ambigui, e il cui fine è soprattutto quello di risvegliare la potenza interiore: si pensi, per esempio, alla contemplazione di Madre Natura nella bellezza del corpo femminile, metodo seguito sia dal tantrismo che dalla cavalleria ermetica.'

Ci si potrebbe anche chiedere fino a che punto la distin- zione abituale fra processo naturale e azione soprannaturale della grazia conservi un minimo di validita se applicata al- l'alchimia. Se si tiene presente che l'opera della grazia non esce dalla sfera della natura universale (non mancando mai di produrre un certo numero di ripercussioni nell'ordine naturale propriamente detto), la risposta non può essere che negativa. Tuttavia, tale distinzione resta valida IA dove si prenda in considerazione un determinato livello della na- tura, la cui concatenazione u orizzontale B possa essere su- perata dalla grazia che si manifesta, come il lampo, spon- taneamente e improwisamente. L'espressione natura » comprende quindi una sfera più o meno vasta a seconda dei casi.

Un testo alchemico, anonimo e intitolato Purissima Re- uelatio,' paragona la natura a un libro in cui solo chi ha ricevuto l'illuminazione divina può leggere. E la paragona anche a <( una fitta foresta nel cui intrico molti sono pene- trati allo scopo di coglierne gli arcani più sacri. Ma quei molti sono stati divorati, perché privi di quelle armi di luce che, sole, possono vincere i1 terribile Drago posto a guardia del Toson d'Oro; e quei pochi che non sono morti sono stati costretti a battere in ritirata, pieni di orrore e coperti di ridicolo e confusione. La Natura è anche un mare immenso, e gli Argonauti vi si sono imbarcati. Guai ai naviganti che ignorano la nostra arte! Perché tutta una vita dovranno navigare senza mai toccare porto, mai rifugio dove mettersi

al riparo dalle orribili tempeste che li assaliranno. Bruciati dal sole, gelati dall'inverno, immancabilmente periranno, se in loro soccorso non invocheranno l'Altissimo e Onnipo- tente Nostro Signore [ ... 1. Perché soltanto a pochi è con- cesso avvicinare la costa di Colchide [ ... l . Solo i saggi Ar- gonauti, stretti osservanti delle leggi della Natura e in tutto sottomessi alla volontà dell'onnipotente, potranno conqui- stare il prezioso Toson d'Oro e coglierlo dalle mani stesse di Medea, immagine della Natura, a dispetto degli ordini di suo padre, il tenebroso, e con gran rabbia del Drago, colto di sorpresa ... ».

Medea è un'immagine della Natura nella sua accezione più oscura. La Natura universale, simile in questo a M i y i , ha due tendenze o due movimenti: il primo va dal centro verso- la molteplicità ( nell'uomo, è la tendenza passionale), il secondo torna dalla molteplicith verso il centro spirituale. I1 primo movimento viene qui paragonato a Medea, il se- condo a Sofia, la saggezza. Tutti e due, in rapporto al volere umano, sono femminili: rispettivamente, amante e promessa sposa: Ahimè, guai a colui che dopo aver trionfato, come Giasone, grazie alla complicità di Medea, si lascia quindi sedurre dalla sua pericolosa conquista e si abbandona alla Natura, la gran maga, invece di giurare eterna fedeltà alla sua divina Sposa, la Saggezza. Felice invece quello che, promesso alla Saggezza, potrà senza pericolo sedurre la Na- tura, questa temibile ammaliatrice, trarne quei segreti che non gli potranno essere rifiutati e alfine, impadronitosi del Toson d'Oro, tornare alla sua patria, fedele alla sua casta sposa ... ».

Così come avviene con i metodi tantrici, l'opera alche- mica richiama a sé una terribile forza naturale che, mentre può distruggere l'uomo incapace e non iniziato, può con- durre fino al magistero spirituale l'uomo che la saggezza ha fortificato. È una forza che risiede nell'uomo, e il suo stesso nome sta a indicare che non si tratta di qualcosa che i limiti individuali possano rinchiudere, ma di un elemento o di un aspetto di un ritmo impersonale e infinito. Questo è l'unico senso della parola << natura >> che non sia mai stato falsificato.

IX

<< La natura oltre la natura »

' Nell'universo delle forme, il modo di operare della Na-

tura è un ritmo senza fine di dissoluzioni e di coagula- zioni, o meglio ancora, di disintegrazioni e di formazioni, non essendo la dissoluzione di un certo insieme dotato di forma che la preparazione di una nuova unione fra una forma e la sua materia. La Natura agisce insomma come Penelope che, per scoraggiare l'insistenza dei suoi fasti- diosi pretendenti, disfa di notte l'abito da sposa da lei stessa tessuto durante il giorno.

- L'opera dell'alchimista assomiglia a quella della Natura. Agendo in conformità al detto solve et coagula, l'alchimista dissolve le coagulazioni imperfette dell'anima, riducendo quest'ultima alla sua materia e infine cristallizzandola di nuovo in una forma più nobile. Ma tutto ciò non può avvenire che in un accordo perfetto con la Natura, cioè con un movimento naturale dell'anima che si risveglia nel corso dell'opera ricollegando l'umano al cosmico. La Natura viene così spontaneamente in aiuto all'arte, a conferma della mas- sima alchemica che dice: << I1 procedere dell'opera è molto gradito alla Natura i (operis processio multum naturae placet).

Le due fasi della Natura - dissoluzione e coagulazione - apparentemente in reciproca opposizione, ma in realtà fra

loro complementari, possono essere rapportate in certo qual modo a due poli, l'essenza e la sostanza, non diretta- mente presenti all'interno della Natura, come atto puro e pura passività, ma che si esprimono piuttosto indiretta- mente e in maniera mista. Nella natura, lo Zolfo alchemico corrisponde al polo attivo e il Mercurio al polo passivo. Lo Zolfo è relativamente attivo, ed è precisamente ciò che da la forma. I1 Mercurio si avvicina alla materia passiva e corrisponde così più direttamente al carattere femminile della Natura. Rappresentando il polo essenziale nella sua rifrazione naturale, lo Zolfo può essere definito come <( pas- sivamente attivo », mentre il Mercurio, in rapporto al ca- rattere dinamico della Natura, può essere definito come << attivamente passivo ». I1 rapporto di reciprocità fra le due forze primordiali è dunque simile a quello dell'uomo e della donna uniti nel rapporto sessuale.

Il miglior simbolo della coppia Zolfo-Mercurio è i1 segno cinese dello Yin-Yang, che presenta un polo nero nella superficie bianca e un polo bianco nella superficie nera, a indicare in questo modo che il passivo è presente nell'attivo e l'attivo nel passivo, così come l'uomo porta in sé la natura della donna e la donna quella dell'uomo':

dine Divino D.' Nella sfera che è propria dell'alchimia, i due poli si manifestano come forze più o meno condizio- nate: tuttavia conviene non perdere mai di vista la presenza dei loro prototipi incondizionati, se si vuole, per esem- pio, comprendere in che senso lo Zolfo corrisponde alla volontà spirituale e il Mercurio alla facoltà << plastica del- l'anima. Nel suo significato più autentico 'e originale, e anche secondo l'interpretazione psicologica più corrente, la volontà spirituale procede da un ideale e tende a conformare l'anima ai contenuti propri di questo ideale. Ma nella sua essenza originale, che solo un'arte sacra è in grado di rivelare, la volontà spirituale è soprattutto un movimento che procede dal centro dell'essere, un atto spirituale che trascende o interrompe il piano del pensiero discorsivo per produrre un duplice effetto su quello dell'anima: da una parte, dilatazione e approfondimento del << senso del-

' l'essere »; dall'altra, chiarificazione e stabilizzazione dei contenuti essenziali della coscienza. In questo stesso senso, la facoltà plastica dell'anima, che corrisponde all'Atto dello Spirito, non è solo l'immaginazione passiva che genera e sviluppa le forme, ma anche la facoltà che si estende pro- gressivamente al di là dei limiti della coscienza individuale legata al corpo.

Nell'anima, lo Zolfo esprime lo spirito, mentre il Mer- curio corrisponde all'anima stessa nella sua funzione di ri- cettività passiva.

Secondo Muhyi-d-Din ibn 'Arabi, il cui piano interpreta- tivo tende sempre ai fini più elevati, lo Zolfo corrisponde d'a Ordine Divino P, al fiat lux grazie al quale il mondo, emergendo dal caos, si fa cosmo; il Mercurio rappresenta invece la Natura Universale, contropartita passiva dell'« Or-

Lo Zolfo (potenza fondamentale maschile) e il Mercurio (potenza fondamentale femminile) tendono entrambi alla realizzazione completa del loro unico ed eterno prototipo. Di qui, contemporaneamente, la loro opposizione e la loro reciproca attrazione. Allo stesso modo, la natura maschile e la natura femminile, aspirando entrambe all'interezza dell'essere umano, tendono contemporaneamente a unirsi e a separarsi, e si sforzano, attraverso l'unione corporea, di riprodurre l'immagine del loro comune ed eterno prototipo. Le nozze del maschile e del femminile corrispondono così a quelle dello Zolfo e del Mercurio, dello spirito e dell'anima.

Nel regno minerale, l'oro nasce dalla perfetta unione dei due principi generatori: è il vero e proprio frutto della generazione dei metalli. Ogni altro metallo non è quindi

che parto prematuro o addirittura aborto, è oro imperfetto. In una prospettiva del genere, l'opera alchemica viene quin- di a svolgere una funzione simile a quella della levatrice che presta la sua arte alla natura, permettendole di portare a completa maturazione il frutto la cui evoluzione troppe circostanze temporali avevano contribuito a ostacolare.' Tutto ciò può essere interpretato sia in senso letterale che in senso metaforico. Muhyi-d-Din ibn 'Arabi vede nell'oro il simbolo dello stato originale prima della caduta dell'anima (al-fitrah), cioè il simbolo della forma in cui all'origine venne creata. Secondo la concezione islamica, I'anima del bambino è inconsciamente vicina a questo stato adamitico, e sono solo gli errori che gli vengono imposti dagli adulti a distoglierveio di nuovo? Questo stato di non corruzione corrisponde all'equilibrio interiore delle forze che si esprime nella stabilità dell'oro.

Nella prospettiva cosmologica più generalmente diffusa - già Aristotele ne fa menzione - la Natura si caratterizza per la presenza di quattro proprietà, che si manifestano a livello sensibile sotto forma di caldo, freddo, umido e secco. Caldo e secco corrispondono allo Zolfo. Sono dunque due proprietà a carattere maschile, e in esse predomina la ten- denza attiva; le altre due hanno invece un carattere fem- minile e tendenzialmente passivo, Le cose appariranno più chiare collegando il caldo all'espansione, il freddo alla con- trazione, l'umido alla dissoluzione e il secco alla coa- gulazione.

I1 calore - o forza espansiva - che è proprio dello . Zolfo, . . produce lo sviluppo di una determinata forma a partire dal suo centro essenziale: è un potere della natura che si trova in stretto rapporto con la vita. I1 carattere secco dello Zolfo solidifica o <( fissa » una forma sul piano della sua stessa materia perché la prima, in modo passivo e materiale, possa imitare I'immutabilità del suo prototipo. In altri termini, la forza espansiva dello Zolfo è l'aspetto dinamico - e, di conseguenza, relativamente passivo - dell'atto essenziale, e la solidificazione è il rovescio o l'aspetto inferiore dell'im- mutabilità delllEssenza. L'atto puro è immobile, e la vera Essenza è attiva. I1 freddo - o forza di contrazione - che è

proprio del Mercurio, partecipa alla forza di solidificazione dello Zolfo, accerchiando dall'esterno le forme e volgendole sotto forma di matrice cosmica.' Per quanto riguarda il ca- rattere umido e dissolvente del Mercurio, lo possiamo para- gonare alla ricettivith femminile che, come l'acqua, può aderire a qualsiasi forma senza esserne modificata.

Le quattro proprietà naturali o i quattro modi di operare che corrispondono - a due a due - allo Zolfo e al Mercurio, possono combinarsi fra loro in modi diversi, secondo cicli progressivi di coagulazioni e di dissoluzioni. La generazione avviene solo là dove le proprietà dello Zolfo si compene- trano pienamente alle proprietà del Mercurio. Quando il secco dello Zolfo si unisce esclusivamente al freddo del Mercurio e i due momenti della solidificazione e della con- trazione si realizzano contemporaneamente (senza I'inter- vento del calore espansivo dello Zolfo'o dell'umidità dis- solvente del Mercurio), l'anima e il corpo conoscono una forma completa di rigor. In termini di vita, è la sclerosi della vecchiaia; in termini morali, è l'avarizia. In termini più generali, ma insieme più profondi, è il ripiegamento su se stessa della coscienza individuale, stato mortale per l'anima che perde la propria originale ricettività e vitalith, sia sul piano spirituale che su quello sensoriale. Inversa- mente, la congiunzione del caldo con l'umido (espansione e dissoluzione) ha come effetto la volatilizzazione delle for- ze, simile in questo alla passione divorante, al vizio, alla dissipazione dello spirito. È significativo che questi due tipi di squilibrio si trovino quasi sempre associati - il primo dando origine al secondo: la paralisi delle forze vive del- l'anima conduce alla dissipazione, e il fuoco di una passione vissuta senza ritegno porta alla morte interiore. L'anima, avara di sé e chiusa allo Spirito, è travolta nel turbine delle impressioni dissolventi. L'equilibrio e la generazione si verificano solo quando la forza espansiva dello Zolfo si congiunge alla forza contrattiva del Mercurio, e la forza coagulante maschile entra in unione fecoiida con la facoltà femminile di dissoluzione. Vedremo in ciò la forma più vera delle nozze dei due poli dell'essere - nozze che vengono espresse inter alia dall'incrocio dei triangoli nel a Sigillo di Salomone n , segno che simboleggia ugualmente la sin-

tesi dei quattro elementi. Le applicazioni di questa legge sono in pratica illimitate: qui ne abbiamo menzionato sem- plicemente qualche conseguenza di carattere psicologico e vitale. Possiamo ancora aggiungere che la medicina tra- dizionale si fonda su questi stessi principi: i quattro ele- menti vengono allora a corrispondere ai quattro umori ~ i t a l i . ~

Nel corso dell'opera alchemica, l'anima, nélla totalità del suo sviluppo, è dominata dalle due forze fondamentali dello Zolfo e del Mercurio che, nello stato caotico di quest'anima ancora addormentata, sonnecchiano a loro volta come il fuoco nella silice e l'acqua nel ghiaccio. Quando queste due forze si risvegliano, la loro opposizione si manifesta dap- prima sotto forma di un'estrema tensione; successivamente, continuano a svilupparsi l'una sull'altra fino a che, comple- tamente libere, si rafforzano reciprocamente stringendosi in un rapporto simile a quello che l'uomo intrattiene con la donna. A queste due fasi di sviluppo corrispondono le prime due parti, della formula ermetica: La Natura trae diletto dalla Natura; la Natura contiene la Natura oltre la Natura D. L'espressione finale sottolinea come, essendosi sviluppate l'una sull'altra fino ad abbracciarsi reciproca- mente, le due forze finiscano poi per unirsi su un piano superiore, e la loro opposizione, che l'anima incatenava, si trasformi in una feconda complementarità finalmente in grado di dominare tutto l'universo delle forme e delle cor- renti psichiche. Così la Natura, in quanto forza liberatrice, si pone oltre la Natura, in quanto tirannia.

Proviamo a rappresentare simbolicamente l'immutabilità dell'Atto Divino che regge il cosmo come un asse verticale immobile: vedremo allora il flusso della Natura awolgersi a spirale attorno a questo asse, in modo da realizzare a ogni giro un nuovo piano o un nuovo grado di esistenza. Si tratta né più né meno che del simbolo primordiale del serpente o del drago che si avvolge attorno all'asse dell'albero del mondo. ' Si noti che quasi tutti i simboli della Natura deri- vano o dalla spirale o dal cerchio. I1 ritmo alternato degli

« avvolgimenti e degli svolgimenti » della Natura, o del solve e t coagula alchemico, viene rappresentato dalla doppia spirale , la cui forma è anche rintracciabile nelle rappre- sentazioni zoomorfiche della Shakti. Rientra in questa stessa sfera anche la rappresentazione dei due serpenti o dei due draghi che si intrecciano, l'uno in senso contrario ali'altro, attorno a un bastone o a un albero. Vedremo qui una certa corrispondenza con le due fasi complementari della Natura o con le due forze fondamentali." Si tratta comunque di un antico patrimonio d'immagini della Natura, utilizzate non solo dall'alchimia ma anche da certe tradizioni orientali (in particolare il Tantrismo).

Si noti ancora che l'immagine del serpente o del drago come immagine di una potenza cosmica si ritrova in tutte le parti del mondo, caratterizzando in modo particolare tutte quelle arti spirituali che, come l'alchimia, si rifanno al mondo sottile. Incorporazione di una vibrazione sottile è, appunto, il rettile che si muove senza zampe e grazie a un ritmo continuo di tutto il corpo: si aggiunga che la sua natura è insieme ignea e fredda, cosciente ed elementare. L'analogia in questione è talmente reaIe che la maggior parte delle civiltà tradizionali, se non tutte, hanno sempre

I sette chakras o centri di forza nel corpo sottile dell'uomo, con i due flussi di forza Ida e Pingaki che si awolgono attorno d'asse centrale. L'ornamento a foglie disegnato suiia testa rappresenta il chakra superiore: a il loto dai mille petali W . Rappresentazione tantrica da The Serpent Power di Arthur Avalon.

considerato il serpente come valido supporto di potenze sia psichiche che spirituali. Basti pensare al serpente che l'antichità, non solo occidentale ma anche estremo-orientale, pone a custodia delle tombe.

Nel laya-yoga, metodo spirituale di derivazione tantrica il cui nome significa unione (yoga) per mezzo di dissolu- zione (laya), il risveglio della shakti nel microcosmo umano viene paragonato- al risveglio di un serpente (kundalini) fino a quel momento raggomitolato nel centro sottile chia- mato mulidhira. Secondo la corrispondenza che esiste fra l'ordine sottile e l'ordine corporeo, in quest'ultimo il centro è posto all'estremità inferiore della colonna vertebrale. I1 risveglio di kundalinl avviene tramite un certo numero di esercizi di concentrazione spirituale che gli consentono di ascendere progressivamente e a spirale lungo l'asse interiore dell'uomo, mettendo di volta in volta in opera stati di coscienza sempre più vasti ed elevati, fino alla piena rea- lizzazione della coscienza nello Spirito sovraformale? In una rappresentazione di questo tipo, che converrà comun- que non prendere alla lettera, ma semplicemente come una descrizione simbolica e tuttavia logica e sufficiente del pro- cesso interiore, è possibile riconoscere ancora l'immagine della Naturq o Shakti che si avvolge attorno all'asse del mondo. La forza, sviluppandosi, parte dal basso poiché la potenza (potentia) - come la materia prima - rappresenta, in quanto passività, non il vertice ma la base del cosmo.

La tradizione ermetica rappresenta a sua volta la Natura Universale, nel suo stato latente, sotto forma di un rettile raggomitolato. È il drago Uroboro che si chiude a cerchio e si morde la coda.

Del resto, la natura viene raffigurata nel suo aspetto dinamico dai due serpenti o dai due draghi che, l'uno in senso contrario all'altro, si intrecciano attorno all'asse del mondo o dell'uomo: si tratta del ben noto bastone di Er- mete o caduceo. I1 raddoppiamento del serpente primor- diale si ripresenta anche nel laya-yoga, dove kundalini si divide in due flussi sottili, I d i e Pingali, che si awolgono a loro volta, l'uno in senso contrario all'altro, attorno al Merudanda, replica microcosmica dell'asse del mondo. Nella prima fase dell'opera spirituale, la Shakti si presenta nella

sua forma divisa, ed è solo dopo la piena e alterna attiva- zione delle due forze, grazie a un metodo di concentrazione basato sulla respirazione, che kundalini si risveglia e comin- cia la propria ascesa. Non appena viene raggiunta la soglia superiore della coscienza individuale, le due forze, fino a quel momento in opposizione, vi si dissolvono completa- mente. In alchimia, le due forze che vengono rappresentate sotto forma di serpenti o di draghi sono lo Zolfo e il Mer- curio. I corrispondenti modelli macrocosmici sono le due fasi - ascendente e discendente - del ciclo annuale del sole, separate l'una dail'altra dal solstizio d'estate e dal solstizio d'inverno.'' I1 rapporto fra il simbolismo tantrico e il sim- bolismo alchemico è evidente: la prima delle due forze che si awolgono attorno al Merudanda (Pingali) è calda e secca, si caratterizza per il suo color rosso e, come lo Zolfo alche- mico, può essere paragonata al sole; la seconda (Idd) è invece fredda e umida, di un pallore argenteo e quindi pa- ragonabile d a luna.

I1 bastone di Ermete o caduceo. Da un disegno di Hans Holbein il Giovane.

Scrive Nicolas Flamel a proposito deile relazioni fra Zolfo e Mercurio, nel suo libro Sur les Figures Hiérogly- phiques: Sono questi i due serpenti allacciati attorno al Caduceo, la Verga di Mercurio, ed è grazie ad essi che questi esercita la sua grande potenza trasformandosi se- condo la propria volontà. Dice Haly (il nome arabo Ali?) che chi ne ucciderà il primo ucciderd anche il secondo,

poiché ognuno dei due non può morire senza il fratello (significando la loro morte il passaggio da un livello esisten- ziale a un altro). Chiusi dunque insieme nel Vaso del Se- polcro (che altro non è se non il vaso interiore, poichd ogni operazione si deve compiere nel vaso alchernico, perfetta- mente sigillato, a causa della natura volatile del Mercurio che, avido come il Mercurio volgare, aderisce a qualsiasi oggetto del desiderio, e a causa della natura espansiva e infiammabile dello Zolfo), essi si mordono l'un l'altro cm- delmente e mai si separano, per il veleno e la furia che è in loro, dal momento in cui si allacciano - se il freddo non li ostacola - fino al momento in cui entrambi si offrono in ogni parte del corpo al sangue delle loro mortali ferite e al veleno della loro bava (influssi e forze reciproche che si manifestano nella sfera della "natura indomita" come un veleno, come origine di distruzione); e finalmente si ucci- dono a vicenda, se prima non è stato il loro stesso veleno a soffocarli, e morendo si trasformano in acqua viva e perenne (grazie alla loro unione in una realtà superiore), perdendo nella corruzione e nella putrefazione le loro primitive forze naturali, per acquisirne un'altra, una sola, nuova, più no- bile e migliore ... »."

Questa leggenda completa il mito ermetico del bastone di Ermete. Ermete o Mercurio colpisce con il suo bastone due serpenti che si battono. Domati, i due serpenti si in- trecciano attorno al bastone e gli conferiscono la facoltà teurgica di unire e disgiungere. È come la trasmutazione del caos in cosmo, del conflitto in ordine, grazie al potere di un atto spirituale che insieme unisce e distingue.

Nella tradizione giudaica, al bastone di Ermete e al sim- bolo indù del Brahma-danda12 corrisponde il bastone di Mosè che si trasforma in un serpente. Nella gnosi islamica, al bastone di Mosè che si trasforma in un serpente a per or- dine di Dio » e torna bastone non appena Mosè lo riafferra, corrisponde l'anima passionale (nafs) che l'influsso dello Spirito Divino può trasformare in potere teurgico. Infatti, il bastone di Mosè trasformato in serpente incarna un po- tere spirituale che è in grado di vincere i serpenti aqimati dal potere magico, e quindi psichico, dei maghi egizi. Lo Spirito predomina sempre ~ull'anima.'~

Questa interpretazione del bastone di Mosè tramandata dal Corano richiama la distinzione indù fra vidyd-mayd (la Natura Universale che illumina D ) e avidyd-mdya (la Na- tura Universale in quanto forza di illusione); ma in essa si ritrova anche il significato più profondo della massima er- metica a la Natura oltre la Natura D. Dal punto di vista dell'alchimia, la metamorfosi del bastone' di Mosè in ser- pente e la conseguente nuova solidificazione corrispondono esattamente al solve et coagula della grande opera.

L'arte cristiana medievale presenta una raffigurazione del bastone di Ermete che ricorda in modo straordinario il rac- conto di Nicolas Flamel, L'immagine della coppia di ser- penti o di draghi che si allacciano e si mordono l'un l'altro è già presente nell'arte primitiva irlandese e anglosassone. Nella scultura romanica, tale immagine è così frequente e svolge un funzione così evidente, soprattutto nella decora- zione degli edifici consacrati,14 che si è tentati di vedere in essa quasi la e firma » di determinate scuole ermetiche del cristianesimo. Questo stesso motivo si ripresenta nel sim- bolismo del nodo, in cui i due elementi si stringono l'un l'altro quanto più si cerca di dividerli: una delle immagini più adeguate, del resto, per esprimere la reciproca neutra- lizzazione dei poteri nello stato di << caos ».ls

Forma romanica del caduceo (portale principale della chiesa di San Michele a Pavia).

Uno dei due rettili che rappresentano lo Zolfo e il Mer- curio viene raftigurato a volte con le ali, mentre l'altro continua a restarne privo. In altri casi, invece dei due

rettili, sono presenti un leone e un drago che si battono. L'assenza delle ali sta sempre a significare la natura <( fissa » dello Zolfo; l'animale dato, si tratti di un drago, di un grifone o di un'aquila, rappresenta invece il Mercurio <( vo- latile ».l6 I1 leone che trionfa sul drago corrisponde allo Zolfo che << fissa » il Mercurio. Un leone alato - o leogrifo - può anche rappresentare l'unione delle due nature, assu- mendo cosl lo stesso significato dell'androgino.

Figure tratte dal Manoscritto Alchemico del r 550, Biblioteca Universitaria di Basilea.

Si noti, infine, che il drago può rappresentare di volta in volta tutte le fasi dell'opera, a seconda che presenti le zampe, le pinne o le ali, o che sia invece del tutto privo di membra. Come la salamandra, può abitare l'acqua, l'aria, la terra e persino il fuoco. I1 drago, come simbolo alchemico, è sostanzialmente simile al drago della tradizione cosmica estremo-orientale, che vive dapprima nell'acqua sotto forma di pesce e quindi, fattosi alato, si innalza nel cielo. Ma richiama anche il mito azteco di Quetzalcoatl, il serpente piumato che di volta in volta si trova a vivere sotto terra, sulla terra e nell'aria.

Tutte queste corrispondenze con il simbolismo animale dell'alchimia dimostrano come quest'ultima rifletta, nella sfera che le è propria e nei limiti che la definiscono, una saggezza cosmologica la cui portata è comunque universale.

Zolfo, argento vivo e sale

Le due sostanze chimiche comunemente chiamate zolfo e argento vivo sono elette a simboli delle due forze gene- ratrici fondamentali in ragione della loro natura e della loro funzione nell'ambito dell'arte metallurgica. Pur agendo attivamente sui metalli, le due sostanze sono a loro volta assimilabili a <( spiriti » volatili. I1 mercurio, in particolare, può essere solido, liquido o gassoso, e appartiene sia ai <( corpi D, in quanto metallo, che agli << spiriti ». I1 carattere

maschile » dello zolfo si manifesta nella sua natura ignea e nella sua capacità di <( fissare )> e colorare D il mercurio: combinazione che dà origine al cinabro. La colorazione da parte dello zolfo equivale al dono della forma. I1 mercurio comune si caratterizza per la sua avidità di combinarsi con i metalli che gli sono più affini. È ancora con il mercurio che l'artigiano può ottenere l'oro o l'argento liquidi: amal- gama che fin dai tempi più remoti è sempre stato utilizzato per la doratura degli oggetti in metallo. Dopo l'applicazione dell'amalgama liquido, il mercurio viene eliminato con il fuoco e ciò che allora resta è I'oro. Allo stesso modo, con un bagno di mercurio, è possibile estrarre l'oro dalle sue leghe con gli altri metalli. Questi esempi di attività arti- gianale lasciano già intuire il significato del solve et coagula dchemico e il ruolo decisivo del fuoco spirituale.

Proseguendo nell'analogia, I'argento vivo porta in sé il << germe del sole » cosi come I'oceano primordiale della materia prima (chiamato dagli indù prakriti) contiene l'uovo d'oro del mondo - I'hiranya garbha del mito indiano. Sul piano dell'anima, I'oceano primordiale non è altro che I'anima mundi. I1 Mercurio, animando e dissolvendo il metallo interiore, è in certo qual modo l'onda di quel- I'oceano primordiale che resta in sé inafferrabile in quanto madre di tutte le cose.

Per questa ragione il Mercurio viene anche chiamato << sangue matriciale (menstruum): se colando all'esterno non si corrompe, vivifica il germe nel grembo alchemico o athanor.

L'idea che lo Zolfo corrisponda in qualche modo allo spirito e I'argento vivo o Mercurio all'anima, può forse dar luogo a una certa confusione, poiché quasi tutti gli alchi- misti designano il Mercurio come uno spiritus (uno spi- rito N) e altri paragonano lo Zolfo all'anima. Ma la contrad- dizione con quanto abbiamo appena detto P solo apparente: nel linguaggio usato dagli autori in questione, I'anima cor- risponde all'anima immortale intesa come forma essen- ziale dell'uomo, mentre il termine spiritus non sta tanto a indicare lo spirito trascendente quanto lo spirito vitale, la forza sottile che collega I'anima individuale al corpo e al mondo corporeo nel suo insieme. Lo spirito vitale corrisponde all'argento vivo, poiché la sua unione con la sfera dell'Ego è parziale e tutto sommato piuttosto debole: esso rappresenta insomma una materia ancora malleabile. L'espressione araba r i h può avere lo stesso significato. È infatti in questo senso che se ne serve la cosmologia tradi- zionale, anche se la medesima parola sta ugualmente a in- dicare lo spirito metafisico. I1 duplice significato del termine trova forse la sua origine nel fatto che spiritus - come del resto r i h e l'ebraico ruah - evoca il movimento dell'aria o del respiro: in arabo, il vento si dice rih. La parola può dunque designare, da una parte, il soffio creatore dello Spi- rito Universale e, dall'altra, la mobilita dello spirito vitale che si collega all'atmosfera sottile di questo mondo. Lo spi- rito vitale si daonde nello spazio cosmico. Assorbito dagli esseri viventi, così come l'aria viene assorbita nella respira-

zione, è il perenne nutrimento del << corpo )> sottile delle loro forze vitali.

I Gli indù chiamano prina questo potere. Certe tribù indiane dell'America del Nord lo chiamano orenda.' Per gli indù Shaivas corrisponde alla Shakti. Chiunque pre- tenda, fondandosi sulle descrizioni alchemiche, di determi- nare a cosa corrisponde esattamente il Mercurio (la sua appartenenza alla sfera del corpo o a quella dell'anima, il suo valore puramente soggettivo o invece la sua portata cosmica), sarà necessariamente costretto a perdersi in con- getture là dove si ostini a ignorare che l'essenza dell'al- chimia - come di ogni metodo che le assomiglia - sta fondamentalmente in un .approccio alla sfera dell'anima a partire dalle frontiere corporee, un approccio alla sfera spi- rituale a partire dalle sue tracce concrete nell'esistenza.

A livello corporeo, il Mercurio è presente nel sangue e nello sperma. Su un piano più elevato - a metà strada fra il corpo e I'anima - è nel cuore e nel respiro: quest'ultimo è per cosi dire il supporto della 4< sostanza D psichica, e il suo ritmo è l'immagine della condensazione di tale sostanza nel campo di forze della coscienza egocentrica e della sua conseguente dissoluzione nell'universo. Questa sostanza psi- chica è a sua volta il supporto di una realtà spirituale.

I1 maestro cinese Ko Ch'ang-Keng,2 cui si deve I'inte- grazione dell'alchimia al Buddismo Dhyina (Zen), sostiene che l'azione del Mercurio può essere esaminata da tre diversi punti di vista: secondo la prima concezione, il Mercurio corrisponde al cuore che si liquefa tramite la meditazione (dhyina) e si accende alla scintilla dello Spirito mentre il piombo, da esso trasmutabile, corrisponde al corpo; la se- conda concezione afferma la corrispondenza fra il Mercurio e I'anima da una parte, e il piombo e il respiro dall'altra; infine, secondo la terza concezione, il Mercurio corrisponde al sangue e il piombo alio sperma. In un caso come nell'al- tro, il Mercurio P l'elemento che dissolve le coagulazioni e insieme vivifica: in altri termini, è la sostanza che a cola » in tutte le forme psichiche e mentali. Gli alchimisti indù chiamano I'argento vivo il u seme di Shiva W : Shiva è il Divino Autore di ogni trasf~rmazione.~

In un primo momento I'argento vivo non è che una delle

manifestazioni della materia prima: in ultima analisi, è la materia prima stessa. Leggiamo nel libro di Fra Marcan- tonio: <( Se è giusto quello che intendo, questo incognito Mercurio altro non è che spirito vivente, universale, innato, che discende dal Sole sotto forma di vapore aereo pe- rennemente mosso e agitato, per riempire il centro vuoto della terra, dove poi si origina fra gli zolfi impuri e, cre- scendo, passa dal volatile al fisso e si radica sotto forma di umido.. . » .4

Lo Zolfo, a sua volta, presenta in apparenza due aspetti contraddittori. In quanto causa informante, 2 all'origine della coagulazione della <( sostanza D o del <( corpo P che si deve trasmutare, e appare per ciò stesso come un ostacolo sulla via della sua purificazione: soltanto quando la sostanza si è pienamente liberata dalle sue coagulazioni lo Zolfo può manifestarsi come causa di una nuova forma nobile ». La dissoluzione è opera del Mercurio. In un primo mo- mento, il Mercurio opera in senso opposto a quello dello Zolfo contendendogli la sostanza; in seguito, gli si offre sotto forma di una sostanza rinnovata, libera dai limiti che le erano propri e più ricettiva. Dal punto di vista psicolo- gico possiamo paragonare quanto precede all'effetto d'at- trazione esercitato dalla natura femminile sulla natura ma- schile, che ne viene dapprima paralizzata e quindi stimolata e pienamente attivata. Esiste un metodo tantrico che opera secondo questo stesso procedimento alchemico, portando alle estreme conseguenze la naturale attrazione che esiste fra l'uomo e la donna per avviarla, alla fine, in una direzione puramente spirituale: metodo conosciuto e praticato, per esempio, anche dai <( Fedeli d'Amore » (vi apparteneva lo stesso Dante).' Nelle Nozze Chimiche di Christian Rosen- kreutz, di Johann Valentin Andreae, troviamo fra le altre la seguente allegoria: un liocorno di grande bellezza, bianco come la neve e con una catena d'oro al collo, si avvicina a una fontana e si inginocchia sulle zampe anteriori come a rendere omaggio al leone che vi sta immobile sulla parte superiore, al punto da sembrare di pietra o di metallo; ma ecco che il leone afferra la spada scintillante che teneva sotto le zampe e la spezza in due: i frammenti cadono nella fontana, e il leone comincia allora a ruggire fino a che una

bianca colomba vola verso di lui reggendo'un ramo d'ulivo. La colomba dà al leone il ramo d'ulivo, questi lo divora e finalmente si ammutolisce mentre il liocorno, saltellando gioiosamente, torna da dove era venuto.

I1 liocorno, bianco come la neve, animale lunare, rappre- senta il Mercurio allo stato puro. I1 leone è lo Zolfo che, in quanto forma essenziale del corpo, appare dapprima ri- gido come una statua. L'omaggio del Mercurio lo risveglia e si mette a ruggire: la sua voce corrisponde alla potenza creatrice poiché, secondo il Fisiologo, il leone vivifica i leon- cini nati morti con il suono stesso della sua voce. Spezza la spada della ragione i cui frammenti cadono nella fontana, dove si dissolvono. I1 leone si ammutolisce solo quando la colomba dello Spirito Santo gli porta in pasto il ramo d'ulivo della Conoscenza divina.

Lo Zolfo rigido » corrisponde in qualche modo alla ragione, che contiene l'oro dello Spirito, ma in forma sterile. Perché lo Zolfo possa dare origine a un fermento vivi- ficante capace di trasmutare gli altri metalli, occorre che esso si dissolva nell'argento vivo: occorre, cioè, che si liberi dai limiti concettuali che gli sono propri per farsi piena- mente attivo.

I1 potere dissolvente e disgregante dell'argento vivo pre- senta anche un aspetto terribile. Si tratta del <( drago vele- noso » che tutto divora, dell'acqua che fa fremere dando il presentimento della morte. Scrive Artefio: << I1 segreto [...l sta nel saper estrarre dal corpo del Magnesio l'argento vivo che non brucia [ ... 1, nell'estrarre cioè un'acqua viva che non arda, e poi congelarla col perfetto corpo del Sole che in essa si dissolve in una bianca sostanza congelata, quasi simile a una crema, finché tutto non divenga cosl bianco. I1 Sole perderà dapprima la sua luce, putrefacendosi e dis- solvendosi in quell'acqua, si oscurerà, si annerirà ...

Ma l'argento vivo è anche <( l'acqua di vita P (aqua uitae), la sorgente in cui il sole e la luna - spirito e anima - si de- vono bagnare per attingervi nuova giovinezza. Lo stesso awiene per la materia prima: il Mercurio ne è la manifesta- zione psichica più immediata, e tutti gli epiteti che possono essere attribuiti ad esso non perdono validità se trasferiti sulla materia prima stessa. Scrive Sinesio: <( Lasciate dun-

que il Misto e prendetene il Semplice, poiché in esso è la Quintessenza. Ricordate che abbiamo due Corpi di rara perfezione (oro e argento, spirito e anima, cuore e cervello), colmi di argento vivo. Traetene da voi stessi il vostro ar- gento vivo e fatene la vostra Medicina: il suo nome è Quin- tessenza, e la sua potenza è perenne e perennemente vitto- riosa. È una Luce cod viva da illuminare per sempre l'Anima che l'abbia vista anche una sola volta. È il nodo che lega tutti gli Elementi che contiene in sé, ma è anche lo Spirito che dà nutrimento e vita a tutte le cose, e tramite il quale la Natura agisce nell'universo. È la forza, il principio, il centro e la fine dell'opera. Per dirvi tutto in poche parole, sappiate, Figli miei, che la Quintessenza, ovvero ciò che della nostra Pietra è occulto, non è altro che la nostra Anima viscosa, celeste e gloriosa, e solo la Miniera da cui la trae il nostro Magistero può generarla, perché nessuna 'Arte ci è stata data per fare quest'Acqua che la Natura sola può generare. E quest'Acqua è l'Aceto asperrimo che fa del Corpo dell'Oro un puro Spirito. E allora vi dico, Figli miei, di non curarvi di altre cose al di fuori di que- st'Acqua che brucia, purifica, dissolve e congela, imputri- disce e fa germogliare. Tutto il resto è vanità ... ».l

Se l'argento vivo è il tramite e il punto di partenza del- l'opera alchemica nel suo complesso, lo Zolfo e il Mercurio vengono a volte chiamati Mercurio doppio, nel senso di maschile-femminile. Quando la natura dello Zolfo completa il suo sviluppo nel Mercurio, quest'ultimo viene rappresen- tato dal segno . La mezzaluna si trova qui sostituita daile corna dell'Ariete, segno igneo dello Zodiaco. È 1'6 ac- qua ignea » e il fuoco che non brucia P.

Come abbiamo già visto, l'oro vivo è il risultato della perfetta unione dello Zolfo e dell'argento vivo. Tuttavia, da un altrq punto di vista, ogni metallo è costituito da tre componenti: Zolfo, Mercurio e Sale. Dovunque vi sia un metallo D, dice Basilio Valentino, << la vi sono Zolfo, Mercurio e Sale ... e cioè spirito, anima e corpo ». Queste tre potenze o questi tre principi costituiscono in qualche modo la natura metallica - o la natura umana. I1 Sale è per così dire l'elemento statico e, conseguentemente, l'elemento neutro della triade.

Lo Zolfo è all'origine della combustione, l'argento vivo dell'evaporazione; il Sale ne è la cenere residua e serve a fissare lo spirito C volatile ».

La coscienza corporea, una volta liberatasi dalla febbre delle passioni, può servire da r fissante » o da supporto per stati puramente spirituali: principio che, del resto, non viene affermato dalla sola alchimia - diciamo che non esiste via contemplativa che non comporti un principio alchemico, anche se semplicemente come valorizzazione della funzione u naturalmente spirituale n del corpo. Abbiamo già dimo- strato che non è il mentale ma il corporeo a racchiudere la cosiddetta a sensazione dell'essere », ed è precisamente in ciò che possiamo trovare un'adeguata spiegazione del prin- cipio operativo di cui ci stiamo occupando. In termini più essenziali, tuttavia, abbiamo a che fare con la natura sim- bolica del corpo: il corpo, e non la mente, è l'immagine più diretta del macrocosmo, è il basso che corrisponde ana- logicamente all'alto, secondo le parole della Tavola Smeral- dina. Così, al superamento intellettuale del mentale fa da contropartita l'integrazione <( esistenziale del corpo nello spirito: integrazione che troviamo perfettamente espressa dalla trasmutazione del piombo in oro - in corpo luminoso o in luce corporificata.

XI

Le nozze chimiche

Le nozze del Sole e della Luna, del Re e della Regina, sono uno dei temi-chiave dell'alchimia e forse quello che ne caratterizza più esplicitamente il fine e la natura. L'unione interiore dell'uomo e della donna nbn è altro che la re- staurazione della condizione primordiale dell'essere umano. Secondo la tradizione che lo stesso Platone menziona nel Convito, l'essere umano possedeva all'origine una natura androgina e << sferica D, cioè perfettamente centrata su se stessa nel godimento della propria pienezza atemporale: è appunto dalla scissione di questa sfera in due metà o fram- menti che hanno avuto origine gli individui dell'uno e del- l'altro sesso, restando tuttavia ogni metà continuamente attratta dal proprio complemento naturale. La Bibbia raf- figura lo stato di pienezza originale nel paradiso terrestre abitato da Adamo ed Eva: solo dopo aver preso coscienza di tutto ciò che li differenziava esteriormente, i nostri due progenitori sono stati cacciati dal paradiso terrestre e get- tati nel succedersi infinito delle generazioni e delle cor- ruzioni.

L'uomo interiore e la donna interiore non sono altro che lo Zolfo e il Mercurio dell'alchimia, e quanto abbiamo ap- pena detto in merito alla loro azione reciproca lascia inten- dere che l'unione dei due poli non significa affatto la loro

neutralizzazione ma, al contrario, quanto più la << virilith » interiore si sprigiona e si evidenzia, tanto più la corrispon- dente << femminilità » si approfondisce, e viceversa. La com- penetrazione delle due forze, pur comportando un certo scarto nella loro reciproca opposizione o nel loro contrasto, non ne sopprime quella che potremmo chiamare la specifica fertilità.

L'unione delle due forze è necessariamente preceduta dalla loro piena polarizzazione, e seguita dalla generazione di un << figlio D comune: il nuovo microcosmo. I n questo senso, le 6 nozze mistiche » (l'espressione è di Valentin Andreae) riepilogano tutte le fasi principali dell'opera: se- parazione del << fisso » dal << volatile », unione dei due estre- mi e nascita dell'elisir.

I1 carattere fisso rientra in effetti nel polo virile, mentre quello volatile o fluido rientra nel polo femminile. Que- st'ultimo è collegato ali'« oceano filosofale D , che non è altro che la sostanza psichica universale. E opportuno, a questo punto, menzionare la tesi della

moderna psicologia del profondo, secondo cui le nozze chi- miche corrisponderebbero all'integrazione, nella coscienza individuale o personale, delle forze psichiche che scatu- riscono dall'inconscio collettivo. Seccndo la tesi in que- stione, la forza coagulante dello Zolfo corrisponderebbe alla coscienza personale più o meno razionale e centrata sul- 1'10, mentre la forza dissolvente del Mercurio riassume- rebbe gli impulsi provenienti dall'inconscio. I1 che, dal nostro punto di vista, rivela un ben singolare errore di proporzioni: la polarità di cui ci stiamo occupando si situa infatti a tutt'altro livello. Non dimentichiamo che il Mer- curio, nel suo stato di maggiore perfezione, del resto assi- milato alla << Luna », non comporta il minimo offuscamento, essendo non irrazionale o << alogico come i sedimenti del- l'inconscio, ma assolutamente puro: è lo specchio immaco- lato dello Zolfo-Sole, il cui calore e la cui luminosità aprono prospettive che non hanno nulla a che vedere con la co- scienza egocentrica. Lo Zolfo è anche, in un certo senso, l'anima-soggetto la cui sede non è tanto nella mente quanto nel cuore, mentre il Mercurio corrisponde all'anima-oggetto che è il substrato di tutte le forme psichiche.

Ancora: lo Zolfo (o il Sole) è lo spirito che dà colore al Mercurio, conferendogli la sua forma qualitativa o essen- ziale, mentre il Mercurio è l'anima in quanto tale, la psiche passiva e ricettiva. Ma poiché sia la prima che la seconda forza si situano a priori o sul piano dell'anima o su quello del mondo animico in generale, e poiché tale mondo è inte-

' ramente sottomesso alla condizione formale, l'analogia di cui ci stiamo occupando non è né rigorosa né esclusiva. Infatti, ognuna delle due forze (lo Zolfo e il Mercurio) può di volta in volta funzionare come un elemento spiritual- mente superiore all'altro. Per esempio, possiamo dire che dal punto di vista virile è la donna interiore ad assumere il ruolo dello Spirito (che si manifesta così nel suo aspetto illimitato di beatifica indifferenziazione), mentre dal punto di vista femminile è l'uomo interiore, lo Zolfo con la sua forza determinante e vivificante, che incarna lo Spirito.

Le nozze fra lo Spirito - nel senso teologico del termine - e I'anima sono uno dei temi centrali della dottrina mistica. La polarità non è in questo caso orizzontale o, come per la coppia alchemica, ma << verticale »: lo Spirito è infatti tra- scendente rispetto all'anima. Confrontando i due ordini, si può dire che lo Spirito, nella sua azione sull'anima, si com- porta come una fonte di luce che resta immutata nonostante l'oggetto o lo specchio che, da essa illuminato, torna nel- l'oscurità non appena la fonte luminosa stessa si eclissa, mentre lo Zolfo si comporta come una fonte di calore il cui effetto si comunica e si propaga. Differenza che non è tut- tavia assoluta, poiché lo Zolfo perfetto è paragonabile al Sole come il Mercurio perfetto lo è alla Luna: le nozze di questi due astri - o del Re e della Regina - possono assu- mere diversi significati a seconda dei diversi livelli ontolo- gici cui si riferiscono. Le nozze chimiche preludono alle nozze fra lo Spirito e l'anima, e spesso vi si identificano.

Tornando alla tesi psicologica che abbiamo appena men- zionato e confutato, possiamo aggiungere che in essa è co- munque possibile ritrovare almeno un granello di verità, esseildo evidente che lo Spirito sovraformale domina e pe- netra l'anima e che le forze naturali di quest'iiltima, esten- dendosi fino ai confini della coscienza individuale, sono

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come reintegrate nell'unità <( personale D, le cui ripercus- sioni appaiono quasi miracolose.

La coscienza quotidiana risulta così situata fra due sfere inconsce: una sfera superiore, che è inconscia solo prov- visoriamente essendo in sé I U C ~ pura e indivisa, e una sfera inferiore, che non è tanto inconscia quanto subconscia e più o meno oscura e caotica. La sfera superiore sfugge irrimediabilmente all'analisi psicologica: pretendere di co- glierla razionalmente sarebbe come pretendere di illuminare il sole servendosi di uno specchio. Per quanto riguarda la sfera inferiore, può costituire l'oggetto di un'analisi indi- retta, ma l'analisi stessa rischia di risolversi in una sorta di proiezione della nostra propria ombra su un muro di nebbia.

Secondo la legge cosmica che la Tavola Smeraldina rias- sume nella formula 6 il più basso è simile in tutto al più alto », la realizzazione dell'unità spirituale dell'uomo si riflette necessariamente sul piano della natura che è, più che irrazionale, non-razionale. La Natura, nel suo aspetto involontario e spontaneo, è infatti come l'immagine rove- sciata dello Spirito creatore. Cosi le due forze, maschile e femminile, profondamente ancorate alla natura istintiva dell'uomo, non si sviluppano pienamente che sul piano dell'anima e non raggiungono il loro culmine che su quello dello spirito, poiché è soltanto là che la ricettività femmi- nile si manifesta in tutta la sua ampiezza e purezza origi- nale, trovandosi poi perfettamente unita all'atto vittorioso maschile. Non esiste altra possibile sublimazione reale e irreversibile.

I1 simbolismo delle nozze è strettamente legato a quello della morte. In certe rappresentazioni delle nozze chimiche, il Re e la Regina, al momento degli sponsali, sono uccisi e quindi sepolti insieme per risorgere poi rigenerati. Che tale rapporto fra nozze e morte appartenga di diritto alla natura delle cose, ce lo suggerisce anche la tradizione antichis- sima e ancora oggi corrente, secondo cui possiamo dire che sognare le nozze è un presagio di morte cosi come sognare la morte è un presagio di nozze. Corrispondenza che si spie- ga essenzialmente sottolineando come ogni unione presup- ponga l'estinzione dello stato anteriore di differenziazione. Nel matrimonio fra l'uomo e la donna, ciascuno dei due

rinuncia a una parte della sua autonomia. Analogamente, la morte - che è dapprima separazione - è seguita dal- l'unione del corpo alla terra e dell'anima alla sua essenza eterna.

Nelle nozze chimiche, il Mercurio assorbe lo Zolfo e lo Zolfo assorbe il Mercurio. Le due forze « muoiono », poiché sono insieme avverse e amorose. La Luna dell'anima, volu- bile e riflettente, si unisce al Sole immutabile dello Spirito, ritrovandosene contemporaneamente spenta e illuminata.

Le nozze del Re e della Regina, del Sole e della Luna sotto l'influsso del Mercurio spirituale. Tratto dal Jardln des Roses des Philosophes di Ar- naldus dc Villanova, manoscritto della Biblioteca Vadiana di Saint Gall.

XII

Alchimia della preghiera

Anche se l'alchimia contiene una scienza della Natura nel senso più ampio del termine, le sue leggi e i suoi concetti trovano tuttavia una certa applicazione anche in altre scien- ze tradizionali della Natura: soprattutto nel campo della medicina umorale e delle implicazioni terapeutiche delia piscologia tradizionale. In questa sede ci sembra comunque più interessante analizzare la trasposizione delle leggi alche- miche sul piano del misticismo, in modo da evidenziarne una certa corrispondenza con quanto abbiamo appena detto in merito alle nozze chimiche. Ci limiteremo tuttavia a una breve esposizione, a titolo di pura indicazione preliminare, senza la pretesa di seguirne tutte le possibili ramificazioni.

In termini generali di misticismo, l'alchimia è in primo luogo un'alchimia della preghiera. Intendiamo con quest'ul- tima espressione non tanto una richiesta informale, ma l'emissione interiore - o anche esteriore - di una formula consacrata o di un nome divino: in altri termini, la pre- ghiera come <( orazione giaculatoria D. La perfezione di que- sto tipo di preghiera sta nel fatto che la parola o la frase, la cui ripetizione è insieme un oggetto di concentrazione e un mezzo di grazia, non nascono dalla scelta individuale ma da una vera e propria rivelazione. Così, la sua origine divina fa della parola pronunciata dall'orante il simbolo del Verbo

eterno e addirittura il Verbo eterno stesso, quanto a conte- nuto e a potere di salvazione. <( All'origine di questo mistero è il fatto che, da una parte, Dio e il suo Nome coincidono (Rimakrishna) e, dall'altra, che Dio stesso pronuncia il proprio Nome in se stesso, dunque nell'eternità e al di là di ogni creazione; cosi, la sua parola unica e increata è il prototipo della orazione giaculatoria e, più o meno diretta- mente, di ogni orazione. »'

I1 Nome divino o la formula consacrata dell'orazione giaculatoria sta insomma all'anima come il Verbo divino, il fiat lux, sta alla natura passiva o materia prima dell'uni- verso. I1 che ci riconduce immediatamente alla corrispon- denza (già individuata da Mohyi-d-Din ibn 'Arabi7) che esi- ste fra l'Ordine divino (al-amr) e la Natura (tabl'ah) da una parte, e, dall'altra, fra lo zolfo e l'argento vivo, cioè fra le due forze fondamentali dell'anima, la prima relativamente attiva e la seconda relativamente passiva. Ma, in termini metodologicamente più immediati, lo Zolfo corrisponde anche alla volontà che si unisce al contenuto della parola pronunciata nell'orazione, per agire in modo informante sull'argento vivo dell'anima. I n ultima analisi, lo Zolfo è dunque la luce spirituale contenuta nella formula consa- crata come il fuoco è contenuto nella silice, e la cui appari- zione provoca la trasmutazione effettiva dell'anima.

Un'anaIoga trasmutazione percorre le stesse fasi del- l'opera alchemica. Dapprima l'anima si congela ritraendosi dal mondo esterno, quindi si dissolve sotto l'effetto del calore interiore e, alla fine, dopo essere stata come un flusso continuo di immagini in movimento, si trasforma in un immutabile cristallo da cui si irradia la luce. Processo interiore che non potrebbe essere descritto in modo più semplice. Per esprimerlo in modo più dettagliato, saremmo costretti a riprendere quasi tutto ciò che abbiamo detto fin qui sull'opera alchemica, per tradurlo nei termini del- l'azione interiore della preghiera contemplativa.' Ci limi- teremo quindi a dire che l'alchimia della preghiera viene trattata a fondo soprattutto negli scritti dei mistici musul- mani; che la mettono in relazione con il metodo del dhikr, espressione araba che può essere resa con ricordo », <( me- moria », <( menzione » o, ancora, con <( orazione giacula-

toria D. I1 ricordo viene in questo caso ,inteso nel senso platonico della anamnesis. <( La ragione sufficiente dell'in- vocazione del Nome è il "Ricordo di Dio"; e questi non è altro, in ultima analisi, che la coscienza dell'Assoluto. I l Nome attualizza questa coscienza e la perpetua nell'anima e la fissa nel cuore, perché possa penetrare tutto l'essere e insieme trasmutarlo e assorbirlo. »

I1 principio fondamentale di questa sorta di alchimia interiore è anche espresso nella formula cristiana dell'Aue Maria, il saluto angelico D. Maria corrisponde contempo- raneamente sia alla materia prima che all'anima nel suo stato di pura ricettività, mentre le parole dell'angelo sono come il prolungamento del fiat lux divino. I1 <( frutto del ventre tuo » (fructus uentris tui) corrisponde all'elisir mi- racoloso, alla Pietra Filosofale che è il fine stesso dell'opera interiore.

Secondo l'esegesi medievale, l'angelo saluta la Vergine mutans Euae nomen (<( Ave D è, in effetti, Eva D rove- sciato): il che indica la trasmutazione dell'anima caotica nel puro specchio del Verbo divino. A chi obiettasse che l'angelo non poteva esprimersi in latino e che in ebraico Eva si dice Khawwa, si può facilmente rispondere che il caso non esiste nella sfera del sacro e che tutte le apparenti coincidenze che vi si offrono non sono altro, in realtà, che segni della Provvidenza.

XIII

L'Athanor

a Athanor », dall'arabo at-tannur (fornace), è il termine di cui si servono gli alchimisti per indicare la fornace in cui viene preparato l'elisir. Nei manoscritti alchemici viene generalmente rappresentato come una piccola torre avente in alto una cupola e all'interno il vaso di vetro (il più delle volte a forma di uovo), poggiato su un letto di sabbia o di cenere a diretto contatto con il fuoco. Tutti questi partico- lari hanno insieme un senso letterale e simbolico: infatti, se è vero che fornaci di questo tipo erano effettivamente utilizzate nello svolgimento di tutte o quasi tutte le opera- zioni chimiche e metallurgiche, è altrettanto vero che il più autentico athanor - quello chiamato a compiere la Grande Opera D - non era altro che il corpo umano stesso come immagine semplificata del cosmo.

Già altri autori moderni hanno notato che la fornace alchemica è un'evocazione del corpo umano.' Ma sarebbe errato voler fondare tale analogia su una rassomiglianza anatainica: nei termini del metodo alchemico, infatti, il a corpo D non sta a indicare l'organismo visibile e tangibile, ma un insieme di facoltà psichiche che hanno il corpo come supporto e che sono accessibili alla mediazione della co- scienza corporea. Quando si dice che la sede dell'amore è nel cuore, si intende alludere a iin rapporto fra l'anima e

il corpo paragonabile, a parte certe sfumature, a quello che è alla base del simbolo alchemico dell'athanor. In quest'ul- timo, il triplice involucro (fornace di terracotta, bagno di cenere, vaso di vetro) corrisponde alle innumerevoli pieghe - o <( piani » - della coscienza corporea o vitale.

Athanor (dal Mutus Liber).

L'elemento principale della fornace è il fuoco. Gli alchi- misti insistono a ripetere che il calore che trasmuta la ma- teria contenuta nel vaso deve essere di tre tipi: calore pro- pagato dal fuoco, calore propagato dalla cenere o dalla sabbia (nel cui grembo si trova il vaso di vetro come un uovo nel nido) e, infine, calore latente che si attualizza nella stessa sostanza per poi esprimere una sua propria attività - quest'ultimo tipo di calore verrebbe oggi definito, in ter- mini puramente fisici, come calore della reazione chimica.

I1 fuoco corrisponde evidentemente al potere di genera- zione, che viene dapprima attizzato e quindi controllato per essere finalmente posto al servizio della contempla- zione interiore. È quindi facilmente comprensibile perché gli alchimisti si siano sempre ostinati a mettere in guardia contro un fuoco violento o irregolare. Una fiamma violenta rischia di consumare il fiore dell'oro P. I1 calore indiretto della cenere - che deve essere <( dolce, avvolgente e pene- trante » - rappresenta del resto la concentrazione dell'ani- ma, stimolata indirettamente e mantenuta in vita dal calore

propagato dal fuoco. La cenere corrisponde alla sostanza vivente ormai bruciata e che non può più prendere fuoco, sulla quale cioè le passioni non possono più aver presa. Si sostiene il più delle volte che questa cenere deve essere cenere di quercia, poiché la quercia è il sin~bolo dell'uomo e più precisamente del corpo umano. Infine, il calore che si sprigiona nella materia ermetica e che, secondo gli alchi- misti, è già presente in tutti i corpi e in tutte le sostanze (dovendo quindi essere soltanto risvegliato), è il simbolo della forza vitale più interiore.

I padri dell'alchimia parlano anche di tre fuochi: un fuoco artificiale, un fuoco naturale e un fuoco « contro natura ». Possiamo facilmente vedervi un'analogia con la distinzione fra la contemplazione metodica, la vibrazione dell'anima da questa suscitata e l'intervento improvviso dello Spirito (descritto anche come uno « Zolfo incombu- stibile D), che è uno dei modi della grazia.

I1 fuoco è stimolato dalla corrente d'aria che viene fatta penetrare nella fornace dalle finestrelle di ventilazione con l'impiego di un soffietto. Questo fatto sta a indicare che nella concentrazione spirituale praticata dagli alchimisti la regolazione del respiro ha la stessa funzione presente nello yoga.

La materia trasparente, vetro o cristallo, di cui è fatto il vaso ermetico o <( uovo », rivela il rapporto che esiste fra quest'ultimo e l'anima. La coscienza che si ritrae dal mondo esterno per rivolgersi alla realtà interiore viene così a co- stituire quella che potremmo chiamare una sfera isolata. Durante la cottura, il vaso deve restare ermeticamente chiuso: se si vuole che l'opera si concluda con il più totale successo, bisogna infatti fare in modo che le potenze che vi si dispiegano non si disperdano all'esterno. I1 conteni- tore può avere forme diverse a seconda del procedimento prescelto. Può essere stretto al centro, a forma di zucca allungata; può avere una o più storte; può essere di materia porosa o, ancora, per il procedimento a secco, può essere un crogiolo aperto.

Ognuna di queste forme corrisponde sia a un certo pro- cedimento artigianale che a un certo aspetto dell'opera spirituale. La forma generalmente più diffusa è comunque

quella dell'uovo. La posizione del vaso nel corpo umano corrisponde al plesso solare.

Athanor (dai Libro della Santa Trinità).

L'uovo ermetico è il riflesso microcosmico dell'« uovo del mondo ( h i r a n y a g a r b h a ) delia mitologia indù, che rappresenta il germe sottile del mondo visibile. Cosi come l'uovo del mondo, anche l'uovo ermetico contiene in sintesi tutti gli elementi e tutte le qualità da cui ha origine e svi- luppo il mondo corporeo: ecco perché il perseguimento dell'opera alchemica può essere paragonato alla creazione del mondo.

Esiste un'analogia evidente fra l'athanor alchemico e il calutnet sacro agli Indiani dell'America del Nord, che rap- presenta a sua volta il corpo dell'uomo. Anche in questo caso, come per I'athanor, si tratta meno di un'immagine del corpo che di una sorta di schema delle funzioni vitali che collegano da una parte il corpo all'anima e, dall'altra, all'uni- verso. Per gli Indiani, il fuoco che brucia nel forno della loro sacra pipa viene dal sole, mentre la mater ia che il fuoco stesso consuma e trasforma in fumo viene da ogni parte, da tutti gli esseri e da tutte le cose. Prima di riempire il calumet, I'ofIiciante distribuisce il tabacco sui diversi ele- menti che formano come un'immagine geometrica dell'uni- verso, una sorta di rosa dei venti; poi torna a raccoglierlo e lo pigia via via nella sua pipa invocando le diverse forze

cosmiche che quegli elementi rappresentano: il mondo in- tero e l'intera anima umana si trovano cosi trasmutati grazie al sacrificio del fumo.* I1 fumo che si innalza simboleggia l'ascesa dell'anima verso l'Infinito e corrisponde quindi alla sublimazione alchemica. Quando l'Indiano, pregando, offre il calumet prima al cielo e poi alla terra, ritroviamo in que- sto gesto la corrispondenza alchemica fra <( la spiritualizza- zione del corpo e I'incorporazione dello spirito D. I1 fuoco è stimolato nel calumet dal respiro. I1 cannello della pipa corrisponde alla colonna vertebrale o, più esattamente, al sottile canale che fa da condotto allo spirito vitale.

Contrariamente a quanto awiene nel vaso ermetico, in cui la mater ia si mantiene in un circuito chiuso, il fornello del calumet è aperto e il fumo se ne disperde all'esterno. Ma esiste nell'alchimia un procedimento abbastanza simile. Secondo tale procedimento, detto a secco D, la mater ia viene direttamente esposta al fuoco: metodo che, se rappre- senta la via più rapida, rappresenta anche la più pericolosa.

I1 calumet degli Indiani è il prototipo e il segno della superiore dignità dell'uomo e della possibilità che gli è data di riconciliare cielo e terra. I1 simbolismo dell'athanor espri- me lo stesso significato, ma in modo forse più velato.

Le considerazioni che seguono, nonostante la loro appa- rente estraneità all'argomento che qui stiamo trattando, dovrebbero servire a illuminare il rapporto di reciprocità che esiste fra lo spirito e il corpo. Ricordiamo, innanzi tutto, che esistono forme di malattia mentale di cui non si riesce a determinare la causa, se sia cioè di natura psichica o fisica. Si tratta, in effetti, di casi in cui l'equilibrio si presenta di volta in volta turbato dall'una e dall'altra causa: la malattia mentale produce nel corpo un accumulo di veleni che di- sturbano e paralizzano a loro volta la mente, senza che sia possibile individuare la vera natura della causa iniziale. Certe malattie hanno evidentemente delle cause profonde: diremo allora che sono, per cosi dire. condizionate dal tipo umano.

Gli stati psichici indotti dall'uso delle droghe assomi-

totipo. Allo stesso modo, le facoltà interiori non agiscono se non conformandosi simbolicamente alle realtà ad esse superiori. La memoria non potrebbe mai accumulare le im- pressioni prodotte dalle cose se, sul piano dell'anima, non vi agisse lo stesso principio che è alla base della perenne persistenza nello Spirito divino di tutte le principali pos- sibilità. Per quanto riguarda l'immaginazione, la sua effica- cia sarebbe nulla se, a modo suo, essa non partecipasse alla facoltà plastica della materia prima. E la parola, per finire, non avrebbe senso alcuno se lo Spirito non fosse il Verbo di Dio.

Fa quindi parte della natura dell'arte sacra, che procede in modo simbolico, introdurre il corpo nella sua opera e addirittura utilizzarlo come base <( metodologica ». I1 di- sprezzo ascetico per il corpo ne investe la realtà di sede delle passioni, non il carattere di simbolo.

gliano in una certa misura ai casi di cui abbiamo appena parlato. Questi stati presentano un contenuto spirituale, ed è evidente che ci si trova di fronte all'effetto di determinate condizioni: una sostanza stupefacente non fa che stimolare un processo interno preesistente senza poterne determinare in alcun modo la qualità. Quando certi culti si servivano di bevande inebrianti per provocare particolari stati spiri- tuali, tali stati non erano certo imputabili alle bevande in sé: il loro ruolo era semplicemente preparatorio, mentre la determinazione qualitativa proveniva da tutt'altra sfera.

Non è la maturità sessuale che rende l'uomo capace di riconoscere la bellezza della donna. È tuttavia possibile che l'assenza di tale maturità - risultante per esempio da una I

carenza fisica - impedisca che la percezione di quella bel- lezza, in se stessa indipendente dall'attrazione sessuale, oltrepassi la soglia della coscienza. Possiamo anche dire che la stessa attività cerebrale, in assenza della quale nessuna

I1 vaso ermetico contenente le tre forze primordiali (zolfo, mercurio e sale) e il drago u volatile » e u solido » (spirituale e corporeo) della Na- tura. Tratto da Grande Pietro degli Antichi di Basilio Valentino.

conoscenza spirituale è pensabile, è strettamente dipendente dal corpo; ma può anche capitare che certi particolari stati spirituali, che la sfera del mentale non è in grado di con- tenere, provochino nell'attività cerebrale dei danni tempo- ranei o definitivi. In quest'ultimo caso - ben noto in tutte quelle forme di civiltà che presentano una tradizione spi- rituale - è come se il contenuto rompesse il proprio reci- piente, confermando cod in senso negativo l'importanza del fondamento fisico nella pratica di un'arte spirituale.

La naturale interdipendenza dello spirito e del corpo può forse deviare un osservatore superficiale verso il materia- lismo. Ma chiunque sappia vedere, al contrario, il vero rapporto che esiste fra tutte le cose, non potrh fare a meno di accorgersi che i due livelli della realtà stanno fra loro come il prototipo (spirituale) sta al riflesso (corporeo). La struttura dell'intero cosmo è simbolica. La capacità che ha l'occhio di vedere non dipende da quella certa particolare maniera in cui in esso convergono i raggi luminosi, ma dal suo essere il riflesso, sul piano corporeo, dell'occhio spiri- tuale; l'occhio vede perché la sua forma è analoga a quella dei corpi celesti. L'orecchio sente perché è simile allo spazio cosmico in cui risuona il Verbo eterno. La legge acustica

l

a cui esso ubbidisce è solo l'espressione di uno stesso pro-

XIV

La storia di Nicolas Flan~el e della moglie Perrenelle

A illustrazione di quanto finora abbiamo detto e come anticipazione di quanto ancora ci resta da dire, diamo qui di seguito - accompagnandolo con un breve commento - il testo della famosa storia di Nicolas Flamel e della moglie Perrenelle. Questo racconto costituisce la prima parte del- l'opera di Flamel Explicotion des figures hiéroglyphiques qu'il fit peindre dans le Cimetière des Innocents à Paris.'

Disponiamo di alcuni documenti e relazioni che riguar- dano la vita di Flamel. Nato a Pontoise nel 1330, si stabili a Parigi in qualità di notaio e scrivano pubblico; il suo stu- dio si trovava prima nei pressi dell'ossario del cimitero dei Santi Innocenti e poi a fianco della chiesa di Saint Jacques- la-Boucherie, dove fu sepolto nel 1417. La sua pietra tom- bale è conservata al museo di Cluny.

I1 racconto di Flamel riguarda soprattutto il primus agens dell'opera alchemica, a proposito del quale scrive Sinesio: K Per quanto riguarda il primus agens, i filosofi ne hanno sempre parlato solo per parabole e simboli, perché gli sciocchi non abbiano accesso alla loro scienza. Se ciò avvenisse, tutto sarebbe infatti perduto. Solo le anime pa- zienti se ne devono servire; solo quegli spiriti raffinati che si sono sottratti alla corruzione del mondo, purificandosi dalla melma orribile dell'avarizia ... ».

Così comincia il racconto di Nicolas Flamel: <( Fu così, dunque, che trovandomi a guadagnare di che

vivere, dopo la morte dei miei genitori, nella nostra arte della scrittura, inventariando, facendo di conto e fissando le spese dei tutori e dei pupilli, mi capitò fra le mani, per appena due fiorini, un libro tutto dorato, vecchissimo e di gran formato. Non era di carta o di pergamena come gli altri, ma (almeno così mi parve) di sottili cortecce di arbo- scello. La sua rilegatura era di rame ben levigato, e dap- pertutto incisa di lettere o strane figure: forse caratteri greci o di qualche altra simile lingua antica. Sta di fatto che non sapevo leggervi dentro, e che sicuramente non erano né segni né lettere di latino o di gallico: perché allora un po' ne avrei inteso. Quanto all'interno, i fogli di corteccia erano incisi, e cioè scritti alla perfezione con un bulino di ferro, in belle e assai nitide lettere latine colorate. I fogli erano per tre volte sette, incollati in alto e il settimo ogni volta non scritto: al primo settimo, vi era invece dipinta una Verga con serpenti che si divoravano l'un l'altro; al secondo, una croce su cui un serpente era crocifisso; all'ultimo, un deserto, e al centro fontane zampillanti e in gran numero serpenti che ne uscivano per correre in ogni direzione ... ».

I tre gruppi di sette pagine del libro evocano le tre principali fasi dell'opera - il nero, il bianco e il rosso - e i sette pianeti o metalli.

I1 bastone attorno a cui si avvolgono i due serpenti è il bastone di Ermete e rappresenta le due forze (Zolfo e Mer- curio) dominate dall'asse spirituale.

I1 serpente crocifisso è il simbolo della fissazione del- l'argento vivo volatile - prima << incorporazione » dello spirito. La fissazione dell'argento vivo corrisponde all'as- soggettamento della forza vitale, per definizione instabile e che si disperde in desideri e immaginazioni; ma rappre- senta anche la trasmutazione del pensiero che, sottomesso al tempo, si trasforma in una coscienza immutabile e atem- porale. La croce alla quale il serpente è inchiodato corri- sponde al corpo, non in quanto carne e sensualità, ma in quanto immagine della legge cosmica e dell'asse immutabile del mondo.

Le fontane che sgorgano al centro del deserto o del luogo

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selvaggio, e dalle quali escono i serpenti, rappresentano la riconquista dello stato originale di spiritualità. Le tre im- magini sono altrettante varianti del simbolismo del ser- pente, che corrisponde sempre alla stessa potenza dell'anima (O potenza cosmica): Natura o Shakti.

<< Sul primo foglio era scritto in lettere maiuscole dorate: Abramo l'Ebreo, Principe, Sacerdote, Levita, Astrologo e Filosofo, alla Nazione ebraica dispersa dall'ira di Dio nelle Gallie, SALVE.D.1. Seguivano poi grandi anatemi e maledi- zioni (con la parola M A R A N A T H A ripetuta molte volte) contro chiunque vi avesse gettato sopra gli occhi senza essere Sacrificatore o Scriba. Chi mi aveva venduto il libro ne ignorava il grande valore, e io stesso lo ignoravo prima di acquistarlo. La mia opinione è che qualcuno lo abbia sottratto agli sventuratissimi ebrei o lo abbia scoperto in qualche antico nascondiglio nei luoghi un tempo abitati da loro ... »

Flamel fa qui probabilmente allusione a una di quelle epurazioni di ebrei così frequenti in quel periodo. L'origine ebraica dell'opera in questione è quanto mai significativa: gli ebrei erano infatti la naturale mediazione fra i paesi cristiani e il mondo musulmano. Si ricordi che la rinascita dell'alchimia in Europa avviene, verso la fine del Medio Evo, proprio sotto l'influsso della cultura islamica.

<( I l secondo foglio del libro consolava la Nazione e le consigliava di fuggire il vizio e soprattutto l'idolatria, in dolce e paziente attesa dell'avvento del Messia, il futuro trionfatore di tutti i Re della Terra, Colui che avrebbe regnato con il suo popolo nella gloria eterna. L'autore do- veva essere stato un uomo sapientissimo.

Nel terzo foglio, e in tutti gli altri che seguivano; allo scopo di aiutare la sua Nazione caduta in schiavitù a pagare i tributi agli Imperatori romani e ad altri fini di cui invece non dirò, l'autore insegnava la Trasmutazione dei Metalli con semplici parole, dipingendo a fianco i vasi e istruendo sui colori e tutto il resto, a eccezione del primo Agente, di cui invece taceva. Ma con grande arte lo dipingeva e raf- figurava, a suo dire, in tutto il quarto e quinto foglio; ma per quanto intelligibilmente lo avesse dipinto e raffigurato, nessuno lo avrebbe potuto intendere, se non da molto ad-

dentro alla tradizione della loro Cabala e avendo a lungo studiato i libri dei Filosofi. I1 quarto e il quinto foglio non erano dunque scritti, ma per intero coperti di belle figure dipinte o miniate con grande arte.

Sul quarto foglio era dunque dipinto un giovane uomo con le ali ai piedi e in mano una verga caducea con due serpenti intrecciati, e con essa colpiva I'elmo che gli copriva la testa. Era, a mio avviso, il dio Mercurio dei pagani. Cor- rendo e volando ad ali spiegate, veniva contro di lui un gran vecchio con una clessidra sulla testa; in mano reggeva una falce simile a quella della Morte e con essa, terribile e furioso, cercava di troncare i piedi a Mercurio ... »

I1 fatto che il Mercurio ( o argento vivo) si lasci privare della propria volatilità da Saturno-Crono (il tempo), come poco oltre scrive Flamel, si presta a due diverse o addirit- tura contrapposte interpretazioni, a seconda che il tempo sia solamente subito o invece attivamente utilizzato e che la fissazione dell'argento vivo corrisponda alla morte pro- gressiva della sua forza attiva o invece alla sua sottomis- sione. La clessidra che Saturno porta sulla testa sta a indi- care che il tempo deve essere attivamente dominato secondo un ritmo che lo trasmuti in un eterno presente.

« Ancora sul quarto foglio, dall'altro lato, era dipinto un bel fiore sulla cima di un'altissima montagna, e un forte Settentrione lo faceva oscillare violentemente. Lo stelo era azzurro, i petali bianchi e rossi, le foglie luccicanti come Oro fino; e attorno al fiore draghi e grifoni del Settentrione facevano il nido per la loro dimora ... »

I colori del fiore richiamano le tre principali fasi del- l'opera e i suoi due frutti: l'argento e l'oro. L'azzurro, trat- tandosi qui di un fiore, tiene il posto del nero assumendone il valore di notte e di oscurità. I1 fiore si innalza dalla mon- tagna solitaria dell'essenza - la montagna polare - e attorno ad esso gravitano i cieli e vagano i draghi delle potenze cosmiche.

« I1 quinto foglio portava un bel rosaio tutto fiorito, nel mezzo di un bel giardino e appoggiato contro il cavo di una quercia. Ai suoi piedi zampillava l'acqua bianchissima di una fontana, che andava a perdersi negli abissi ma non prima di essere passata fra le mani di innumerevoli uomini

che frugavano la terra per cercarla. Ma tutti quegli uomini erano ciechi; e nessuno poteva allora riconoscerla, a ecce- zione di quei pochi che ne sapevano considerare il peso ... »

Lo zampillo dell'argento vivo scaturisce dalla terra della materia prima, ai piedi dell'albero fiorito dell'anima, a sua volta protetto dalla quercia del corpo. L'acqua della vita scorre da tutte le parti, ma il solo che la possa scoprire è il saggio che la soppesa, non colui che l'assaggia, dunque, poiché il soppesare I'acqua ha qui lo stesso valore della « cattura » del mercurio da parte del tempo.

Gli alchimisti insegnano a unire fra loro i diversi ele- menti o le diverse qualità.naturali secondo una certa pro- porzione dei rispettivi « pesi ». Jibir ibn Hayyin parla a questo proposito di una vera e propria « arte della bilan- cia ». Sembrerebbe assurda la pretesa di voler pesare ele- menti o proprietà quali il caldo, il freddo, l'umido e il secco; ma si tratta di tradurre la misura del peso, esteriore e quantitativa, in misura interiore e qualitativa del tempo (il ritmo). L'arte .(alchemica) della bilancia non è altro, in realtà, che il dominio esercitato dal ritmo allo scopo di influire sulle potenze dell'anima. I l ritmo svolge una fun- zione della massima importanza in tutte le arti spirituali. I n arabo, il ritmo di un verso è detto wazn, che significa « peso ».

« Sul secondo lato del quinto foglio, un Re stringeva un coltello e faceva uccidere dai soldati sotto i suoi stessi occhi una grande quantità di bambini; le madri piangevano ai piedi delle guardie implacabili, e quel sangue veniva poi raccolto da altri soldati per essere messo in un grande vaso, e il Sole e la Luna del cielo vi si venivano allora a bagnare. Poiché la storia era quasi in tutto simile a quella degli Innocenti fatti uccidere da Erode, e poiché è da questo libro che ho tratto quasi tutta la mia Arte, ho voluto far mettere nel loro Cimitero i simboli geroglifici di questa scienza segreta. Questo era dunque il contenuto dei primi cinque fogli. .. »

Come chiarisce lo stesso Flamel subito dopo, il sangue sacrificale degli Innocenti rappresenta « lo Spirito minerale che si trova nei metalli, e soprattutto nel Sole, nella Luna e nel Mercurio ». Quest'ultimo non 2 altro che il Mer-

curio filosofale, prima manifestazione della materia prima. I1 sangue è la sostanza fondamentale della vita. I Santi Innocenti sono altrettante manifestazioni o afflati dello spi- rito vitale: prima ancora che le loro volontà egocentriche si siano potute esprimere pienamente, sono stati sacrificati dal re e il loro sangue ha riempito il vaso del cuore perché il sole e la luna, lo spirito e l'anima, vi si potessero bagnare e dissolvere e finalmente, uniti in quello stesso sangue, ab- bandonare la loro antica forma per riemergerne rigenerati.

<< Non dirò quello che su tutti gli altri fogli era scritto in un latino bello e intelligibile, perché Dio altrimenti mi punirebbe: il mio crimine sarebbe superiore a quello di quel tale che desiderava un'unica testa per tutti gli uomini del mondo, perché gli fosse più facile tagliarla d'un sol colpo.

Avendo dunque con me questo bel libro, notte e giorno non facevo altro che studiarlo, intendendo alla perfezione

i tutte le operazioni che vi venivano descritte, ma non sa- pendo in alcun modo con quale Materia incominciare. Me ne derivava una cosl grande tristezza, che di continuo mi tenevo in disparte e non facevo altro che sospirare. Mia moglie Perrenelle, che amavo quanto me stesso e che solo da poco avevo sposato, ne era tutta stupita e, consolandomi, mi interrogava con tutto il suo coraggio se non ci fosse un modo per lei di sollevarmi da quel cruccio. E allora non potei nasconderle nulla, e non dirle tutto, e non mostrarle quel bel libro; e se ne appassionò quanto me, mostrando gran diletto nel contemplare quelle belle rilegature, inci- sioni, immagini e ritratti, pur non intendendoli più di me. Ma mi fu di grande consolazione parlarne con lei e discutere ciò che andava fatto per averne un'interpretazione.

Alla fine, feci copiare a casa mia e nel modo più vicino all'originale tutte le figure del quarto e del quinto foglio, e le mostrai a molti dotti di Parigi, che ne intesero quanto me. Li istruii anche sul fatto che quelle figure erano state tratte da un libro che insegnava la Pietra filosofale, ma quasi tutti risero di me e della Pietra benedetta, a ecce- zione di un certo Anselmo, laureato in medicina e grande studioso di questa scienza. I1 suo desiderio di vedere il libro era grande, e non vi era cosa che non avrebbe fatto pur di vederlo; ma sempre gli dissi che non lo avevo, pur

descrivendogli approfonditamente quale ne fosse il conte- nuto. Diceva che la prima immagine rappresentava il Tempo che tutto divora e che, secondo i sei fogli scritti, occorrevano sei anni per perfezionare la Pietra; sosteneva che a quel termine si doveva rovesciare la clessidra e non più cuocere. E poiché gli dicevo che tutto era raffigurato perché il primo Agente vi venisse mostrato e insegnato (cosl il libro diceva), rispondeva che i sei anni di infusione erano come un secondo Agente: che in verità il primo Agente vi era già raffigurato, trattandosi di quell'acqua bianca e pesante, cioè di quel- l'argento vivo che non si poteva fissare e i cui piedi non potevano essere troncati, cioè impediti nella loro volatilità, senza quella lunga infusione nel Sangue purissimo dei bam- bini. E in questo Sangue l'argento vivo, congiungendosi all'Oro e all'Argento, si sarebbe prima convertito insieme a questi in un fiore simile a quello che vi era dipinto, e poi corrotto in un Serpente che, rinsecchito e cotto dal fuo- co, a sua volta si sarebbe ridotto in polvere d'Oro, vale a dire in Pietra.

Questa fu la causa per cui durante il lungo periodo di ventun'anni non feci altro che rimestare, mai con il sangue, tuttavia, che sarebbe stato malvagio e volgare, avendo io letto nel mio libro che ciò che i Filosofi chiamano sangue è lo Spirito minerale che si trova nei metalli, e soprattutto nel Sole, nella Luna e nel Mercurio; e alla loro combina- zione ero tutto proteso. Queste interpretazioni erano co- munque quasi sempre più sottili che vere. Non trovando mai nel mio operare i segni che, secondo il libro, sarebbero dovuti comparire dopo un certo tempo, immancabilmente ricominciavo da capo. Finché, ormai disperando di poter mai intendere quelle figure, feci voto a Dio e a san Gia- como di Galizia affinché intercedessero per me presso qual- che sacerdote ebreo delle Sinagoghe di Spagna ... »

San Giacomo il Vecchio, la cui tomba è a Compostela, era il patrono degli alchimisti e il protettore di tutte le arti e scienze cosmologiche. Non è certo un caso che il bastone (bordone) dei pellegrini di san Giacomo - bastone attorno al quale si intrecciano due corde e che è coronato in alto da un pomo rotondo (così appare nella mano del santo, nella

statua romanica di Compostela) - assomigli in più di un particolare al bastone di Ermete.

6 Con il consenso di Perrenelle e portando su di me la copia di tutte quelle figure, presi dunque l'abito e il bor- done dei pellegrini, cosl come mi si può vedere rappresen- tato all'esterno della stessa arcata del Cimitero, in cui ho fatto mettere le figure geroglifiche e, da una parte e dal- l'altra del muro, la Processione che rappresenta nell'ordine tutti i colori della Pietra, così come essi si manifestano e poi svaniscono, con questa scritta in francese:

Moult plaist à Dieu Pnxession S'eUe est faite en dkvotion

che è quasi I'incipit del libro del Re Ercole sui colori della Pietra, Iris: Operis processio multum naturae placet. Frase che ho voluto far mettere proprio per quei dotti che sa- pranno intendere l'allusione. Così dunque mi misi in cam- mino, e finalmente arrivai prima a Montjoye e poi a San Giacomo, dove con grande devozione adempii il mio voto. Cib fatto, sulla via del ritorno mi capitò d'incontrare a Léon un mercante di Boulogne, che mi presentò a un me- dico ebreo di nascita ma allora cristiano, abitante in quel luogo, dottissimo e chiamato Mastro Canches. Non appena gli ebbi mostrato la copia delle mie figure, colmo di gioia e di stupore m'interrogò con impazienza perché gli dicessi qualcosa sul libro da cui erano state tratte. Gli risposi in latino, perché così mi aveva interrogato, che la mia speranza era di poterne ricavare buone nuove, se qualcuno mi avesse decifrato gli enigmi. E immediatamente, in un grande tra- sporto di gioia e di ardore, cominciò a decifrarne l'inizio. Per dirla in breve, era felice di avere notizie su dove fosse il libro quanto io di sentirgliene parlare. Ne aveva certo sentito parlare in lungo e in largo, ma come di qual- cosa che si fosse poi perduto: così mi diceva. Decidemmo di proseguire insieme il nostro viaggio, e da Léon passammo a Oviédo, e da I a Sanson, dove ci mettemmo in mare per raggiungere la Francia. I1 nostro viaggio era stato in tutto favorevole e già, dopo essere rientrati in questo regno, mi aveva interpretato verosimilmente la maggior parte delle figure, nei cui stessi segni aveva trovato grandi misteri (con

mia grande meraviglia), allorché, arrivando a Orléans, que- st'uomo dotto cadde gravemente malato e afflitto da violenti conati di vomito, conseguenza di tutto ciò che aveva sof- ferto in mare. Temeva a tal punto che io lo lasciassi, che nulla di peggio sembrava poter immaginare; e per quanto gli fossi sempre a fianco, mi chiamava a sé senza posa. Finché morì, alla fine del suo settimo giorno di malattia, e con mia grande afflizione. Non potei fare di meglio che farlo seppellire nella Chiesa della Santa Croce di Orléans, e lì ancora riposa. Che Dio si abbia la sua anima, poiché è morto da buon cristiano. E finché la morte non me lo im- pedirà, continuerò a dare rendite a quella Chiesa perché una messa tutti i giorni vi sia detta per l'anima sua.

Chi voglia vedere in che stato io fossi al mio ritorno e quale gioia provasse Perrenelle, può farlo in questa città di Parigi, sulla porta della cappella di Saint Jacques-la- Boucherie, proprio a fianco della mia dimora, poiché Il siamo dipinti: io mentre rendo grazie ai piedi di san Gia- como di Galizia e Perrenelle ai piedi di san Giovanni, che così spesso aveva invocato. E cosl è avvenuto che, per grazia di Dio e intercessione della beata e santa Vergine e dei beati san Giacomo e san Giovanni, io abbia finalmente saputo quanto desideravo, cioè i primi principi: non la loro prima preparazione, tuttavia, che è cosa fra le più difficili che ci siano al mondo. Ma tutto ciò l'ho saputo solo alla fine di altri tre lunghi anni trascorsi nell'errore, durante i quali non feci altro che lavorare e studiare; cosl come mi si può vedere rappresentato all'esterno di quella stessa arcata (fra le processioni che ho fatto mettere sulle due colonne della stessa), ai piedi di san Giacomo e di san Giovanni, sempre intento a pregare Dio, la Corona in mano, attentissimo a leggere nel mio libro e a pesare le parole dei Filosofi e a tentare quelle operazioni che immaginavo dalle loro sole parole.

Trovai alla fine quanto desideravo: lo riconobbi dal forte sentore. In tal modo, potei facilmente accedere al Magistero, e conoscendo cosl la preparazione dei primi Agenti, se- guendo alla lettera il mio libro, non avrei potuto sbagliare nemmeno se lo avessi voluto. La prima volta che compii la proiezione, fu su Mercurio, e ne convertii circa mezza libbra

in puro argento, migliore di quello della miniera, secondo i modi che avevo più volte tentato e fatto tentare. Era il 17 gennaio, un lunedl, verso mezzogiorno, a casa mia, in presenza di Perrenelle e di nessun altro, nell'anno mil- letrecentottantadue. E in seguito, sempre seguendo pa- rola per parola il mio libro, feci lo stesso con la Pietra rossa su una simile quantità di Mercurio, ancora in presenza della sola Perrenelle, nella stessa casa, il venticinquesimo giorno di aprile, lo stesso anno, verso le cinque della sera; e tutto trasmutai in quasi altrettanto puro Oro, certamente migliore dell'Oro comune, più dolce e malleabile. Posso dirlo in verità. Altre tre volte feci ciò con l'aiuto di Per- renelle, ormai capace di intendere quanto me, avendomi sempre assistito nelle operazioni; tanto che, se lo avesse voluto, non le sarebbe stato difficile raggiungere lo stesso risultato da sola. Potevo sentirmi appagato dal farlo una volta sola, ma troppo grande era il piacere di vedere e am- mirare nei vasi le Opere meravigliose della Natura ... »

L'uomo e la donna, incarnando naturalmente i due poli dell'opera alchemica (zolfo e argento vivo), possono dunque nel loro amore reciproco - là dove questo amore si interio- rizzi e si elevi, spiritualizzandosi - sviluppare quella potenza cosmica o forza dell'anima che opera prima la dissoluzione e poi la coagulazione alchemica (solve et coagula).

XV

Le fasi dell'opera

L'opera alchemica può essere suddivisa in diversi modi. Ognuna di queste suddivisioni è una sorta di semplificazione e di schematizzazione rispetto alla totalità del processo, ma è ugualmente adeguata a esprimere in qualche misura la logica interna dell'opera. La suddivisione più antica è quella che indica le diverse fasi dell'opera per mezzo dei colori: è probabile che la sua origine risalga a qualche particolare procedimento metallurgico, quale la purificazione o la colo- razione dei metalli. Secondo tale schema, I'annerimento (melanosis, nigredo) della materia o pietra è seguito prima dal candeggiamento » (letlkosis, albedo) e poi dal- l'« arrossamento » (iosis, rubedo).

I1 nero è assenza di colore e di luce. I1 bianco è purezza, luce indivisa e non rifratta in colore. I1 rosso è il colore per eccellenza, cioè la sua gradazione di più forte intensità. L'ordine in questione è ancora più evidente quando il pas- saggio dal bianco al rosso avviene attraverso tutta una serie di colori intermedi, quali il giallo limone, il giallo ocra e il rosso chiaro - o ancora quando si ha a che fare con una « ruota di pavone che dispiega tutti i colori in modo gra- duale. La porpora reale è sempre il culmine di tutta la serie.

Notiamo che i tre colori fondamentali - il nero, il bianco e il rosso (che è possibile ritrovare nelle insegne araldiche

influenzate dall'Ermetismo) - indicano nella cosmologia indù le tre tendenze principali (gunas) della sostanza uni- versale (Prakriti). I1 nero corrisponde qui alla tendenza simbolicamente discendente (tamas) che si allontana dalla propria Origine luminosa; il bianco corrisponde invece allo slancio ascendente (sattwa) che si rivolge all'origine, alla Luce; e il rosso alla tendenza espansiva sul piano della manifestazione in se stessa (rajas). Ci si potrebbe sorpren- dere, sulla base delle interpretazioni che precedono, nel constatare che in alchimia non è il bianco ma il rosso a rappresentare il risultato finale dell'opera. Secondo la dot- trina indù, la creazione di qualsiasi mondo avviene prima di tutto per mezzo di tamas, la tendenza centrifuga e discen- dente che, per così dire, getta nell'abisso l'ancora di questo stesso mondo, poi di rajas, la tendenza espansiva che di- spiega il ventaglio delle molteplici e divergenti possibilità; e infine di sattwa, che riconduce tutte le cose verso la loro origine agendo come una fiamma ascendente, calma e lumi- nosa. Confronrando l'ordine alchemico dei colori a quello dei gunas presenti in questa cosmologia, è possibile deter- minare il fine dell'opera alchemica: il fatto che l'opera si concluda attraverso il colore rosso significa che alla spiri- tualizzazione del corpo - simboleggiata dal <( candeggia- mento D del nero originale - succede l'« incorporazione dello spirito D. L'accento non viene quindi posto sul ritorno al cielo, ma sulla manifestazione di quest'ultimo sulla terra.

Attraverso la putrefazione, la fermentazione e la tritu- razione - tutte operazioni che fanno parte dell'opera nella fase in nero - la materia metallica si spoglia della propria forma iniziale; successivamente si purifica fino al bianco argento e di nuovo si colora per mezzo dell'arrossamento. I1 colore sta qui al posto della forma. La potenza purifica- trice è l'argento vivo, quella colorante lo zolfo.

La triplice divisione attraverso i colori non si oppone alla distinzione fra G piccola D e « grande » opera. Quest'ul- tima divisione riflette la dualità che abbiamo già descritto per la materia e la forma, l'anima e lo spirito, la luna e il sole.

Tutte le divisioni in due o tre fasi confluiscono nella

divisione in sette fasi che si fonda sui <( regni » planetari e sulle proprietà dei metalli.

In quest'ultima divisione si possono distinguere almeno due concezioni fondamentali. La prima combina <( piccola » e <( grande » opera - il che è lecito - affinché argento e oro, Luna e Sole, in quanto coppie, rappresentino il termine della serie completa, e gli altri pianeti o metalli si iscrivano nella stessa serie in funzione della nobiltà della loro natura, cioè della loro affinità più o meno stretta con l'oro o il Sole. Questo ordine corrisponde alla gerarchia delle case plane- tarie che abbiamo descritto nel quinto capitolo. Si va dal punto più basso del movimento ascensionale del sole, nella casa di Saturno e al momento del solstizio d'inverno, fino al suo regno nella casa del Leone corrispondente al solstizio d'estate. Nella seconda concezione, la <( piccola opera, il cui termine è la luna, precede la << grande D, di cui il sole è il coronamento. Questa concezione, menzionata da Fila- lete, Bernardo Trevisano, Basilio Valentino e altri alchi- misti, può essere espressa in forma particolarmente chiara. Ecco, in dettaglio, come si presenta:

Mercutio Saturno Giove Luna Venere Marte Sole argento piombo stagno argento rame ferro oro

vivo

I1 segno di Mercurio, che viene per primo, non rappre- senta una fase dell'opera, ma una chiave della stessa consi- derata nel suo insieme: l'opera finisce così per avere sol- tanto sei fasi. Le prime tre fasi sono rappresentate da segni puramente lunari; le seconde tre da segni solari. Solamente il segno di Mercurio o dell'argento vivo, comprendendo in- sieme i segni sia del sole che della luna, è androgino.

Abbiamo già detto che, secondo gli alchimisti, l'argento vivo costituisce il primus agens, il vero tramite dell'opera, l'acqua dissolvente e il nutrimento dell'embrione spirituale: è, insomma, la manifestazione più diretta della materia prima qui considerata come la sostanza psichica, o soffio vitale, che unisce l'organismo individuale (corpo-anima) al- l'oceano della vita cosmica. I1 germe dell'oro spirituale si

nasconde al suo interno, così come l'oro può essere conte- nuto allo stato liquido nell'argento vivo comune.

In termini di via mistica, il ruolo operativo del Mercurio corrisponde all'influsso spirituale, alla grazia, che irrompe nell'universo apparentemente chiuso della coscienza indi- viduale dissolvendo la coagulazione metallica. In alchimia, l'argento vivo può essere considerato come la benedizione cosmica >> che, come dice fra Marcantonio, << discende co- stantemente dal Cielo come fine rugiada a riempire i pori della terra D ' ; i pori svolgono qui la funzione di proteggere i corpi solidi dalla pietrificazione e dall'asfissia: è grazie ad essi che la terra << respira D, proprio come l'uomo vive man- tenendosi aperto agli influssi celesti presenti nella natura.

I1 ruolo del Mercurio come chiave di tutta l'opera è già prefigurato nella funzione di psicopompa che i misteri orfici attribuiscono al dio Mercurio o Ermete. I1 messaggero degli dèi accompagnava l'anima dopo la morte (corporea o mi- stica) attraverso i diversi regni dell'aldilà e fino alla sua dimora definitiva.

.t) La prima fase della << piccola opera P corrisponde all'an- nerimento, alla putrefazione, alla mortificazione, e può es- sere rappresentata da un corvo, da un teschio o da una tomba. Basilio Valentino ne parla in questi termini: <( Ogni carne nata dalla terra sarà distrutta e di nuovo resa alla terra per tornare terra come prima. I1 sale della terra darà allora una nuova generazione grazie al soffio della vita ce- leste. Là dove non ci fosse prima la terra, non ci potrebbe poi essere la resurrezione nella nostra opera. Perché è nella terra il balsamo della natura e il sale di tutti quelli che cercano la conoscenza di tutte le cose ».'

Agli inizi di ogni forma di realizzazione spirituale non può che esservi la morte, sotto forma di <( morte al mondo D. La coscienza deve distogliersi dai sensi e volgersi a se stessa. Finché non scaturisce la luce interiore, questo distacco dal mondo esterno viene vissuto come una nox profunda. È proprio a questa fase che corrisponde la parabola del misti- cismo cristiano del seme di grano che, per fruttificare, deve restare solo nella terra e morire. In diversi riti iniziatici, la morte dell'anima è raffigurata da funerali simbolici, e alcuni

ordini monastici cristiani osservano un rito simile per l'in- vestitura dei monaci.

Nei misteri pre-cristiani, la morte iniziatica veniva spesso messa in relazione con la morte sacrificale di un dio. In- sieme al dio ucciso e smembrato, l'iniziato rendeva alla natura le proprie membra e le proprie facoltà. Le potenze del mondo inferiore si spartivano gli elementi dell'anima

I empirica non appartenenti alla sua essenza immortale. L'ini- ziato doveva in qualche modo partecipare all'esperienza della morte sacrificale del dio, per poter così verificare che il dio, apparentemente dissolto nel mondo, non era affatto perito ma rimaneva presente e immortale, atemporale e indivisibile. Così, l'uomo non è in grado di conoscere la propria essenza immutabile se non rinunciando a tutto ciò che in lui vi è di perituro: non solo la carne ma anche l'anima, in quanto immersa nell'esperienza dei sensi.

Agli inizi dell'opera, la materia più preziosa che l'alchi- mista possa ottenere è la cenere residua della calcinazione (calcinatio) del metallo vile. Per mezzo di questa cenere ormai priva di <( umidità passiva, l'alchimista potrà fissare lo spirito volatile. La prima tappa dell'opera corrisponde al mito Saturno-Crono che, divorando i figli, reintegra il mon- do nella sua origine informale,

Y La seconda fase della <( piccola opera » è dominata da Giove, il cui segno presenta la mezzaluna iscritta sull'asse orizzontale della croce (nel segno di Saturno, la mezzaluna si inseriva sull'estremità inferiore dell'asse verticale: 3 ). Sotto l'influsso di Giove l'anima risorge dalla terra, a cui era tornata, e dalla notte del caos iniziale, per dispiegare tutta la sua potenza. Utilizzando la terminologia indù che si riferisce alle tendenze fondamentali della materia ( i gu- nas), potremmo dire che la potenza dell'anima (argento vivo) si è liberata da tamas per ricongiungersi a rajas. Rajas equivale a espansione e sviluppo, il che significa in questo caso che la forza sottile, presente nella coscienza corporea, si è liberata delle proprie coagulazioni per farsi acqua e aria dopo essere stata terra. Procedimento che corrisponde alla sublimazione.

Scrive Morienus: <( Dopo che l'anima sarà stata ben ripulita e sbiancata e fatta salire in alto, e il corpo ben

custodito e sottratto all'oscurità, al nero e al fetore ... I l'anima potrà ricongiungersi al corpo (non l'anima come era prima, ma l'anima unita alla purezza dello Spirito sovra- individuale); e nel momento del loro ricongiungimento (ricongiungimento dell'anima spiritualizzata con il corpo) grandi meraviglie appariranno.. . N.

3 La terza fase, dominata dalla luna, è la fase del bianco totale. La mezzaluna si è distaccata dalla croce degli ele- menti - o tendenze cosmiche - e ha dissolto le loro opposi- zioni. Tutte le possibilità dell'anima, contenute nel caos iniziale, hanno ormai raggiunto il loro pieno sviluppo riu- nendosi in uno stato di indivisibile purezza. È il limite estre- mo oltre il quale la soluzione deve essere seguita da una nuova coagulazione. Dal punto di vista del cristianesimo, questo stato dell'anima corrisponde simbolicamente alla Santa Vergine che accoglie il Verbo divino: è significativo, a tale proposito, che la Vergine venga spesso rappresentata in piedi su una mezzaluna.

Cosl scrive Rernardo Trevisano, in merito al compimento della piccola opera, nella sua Parola dimenticata3: Ti dico dunque, e chiamo Dio a testimonio di questa Verità, che essendo stato il Mercurio sublimato, è poi apparso ancora più bianco della neve delle montagne più alte, in uno splendore di cristallo sottilissimo, e all'apertura del Vaso ne usciva un profumo cosi dolce che è impossibile trovarne di simile al mondo. E io stesso che qui ti parlo, so che questo meraviglioso biancore è apparso ai miei stessi occhi, che le mie stesse mani hanno toccato questo sottile cristallo e che il mio stesso odorato ha avvertito questa dolcezza su- blime; e che ne ho pianto di gioia, colpito da cosa tanto portentosa. E di questo benedetto sia il Dio eterno, alto e glorioso, che tanti doni meravigliosi ha voluto porre nei segreti della Natura, perché qualcuno li potesse vedere. E non appena le cause di questa disposizione ti saranno conosciute, so che così ti domanderai: cos'è dunque questa Natura che, pur corrompendosi in ogni cosa, ne contiene una così celeste? Nessuno può narrare simili meraviglie. Eppure, verrà forse un giorno in cui ti potrò raccontare tante cose speciali di questa Natura, ma il Signore non mi ha ancora consentito di istruirtene per iscritto. Comunque

sia, non appena avrai sublimato il Mercurio, prendilo di fresco e recentissimo insieme al suo Sangue, affinché non invecchi, e offrilo ai suoi Genitori, il Sole e la Luna, perché tutti e tre, Sole, Luna e Mercurio, siano presenti nella no- stra Pozione ... ».

Appare evidente dai corrispondenti segni planetari che le tre fasi della e piccola opera » si iscrivono in un movi- mento ascendente: la luna si trova infatti dapprima al di sotto della croce, poi inserita sull'asse orizzontale di questa e alla fine da sola. Le tre fasi seguenti, appartenenti alla a grande opera », descrivono invece un movimento discen- dente: 9 6 O . I1 sole si situa dapprima al di sopra della croce, poi al di sotto, e alla fine regna da solo richiamando ogni cosa verso il centro.

Le prime tre fasi corrispondono alla << spiritualizzazione del corpo n, le ultime tre alla << incorporazione dello spi-

,rito » o <( fissazione del volatile D. Mentre la a piccola opera D ha per fine il ritorno dell'anima al suo stato di purezza e ricettività originale, il fine della grande opera 2 l'illuminazione dell'anima da parte dello Spirito, chiamato in qualche modo a discendere in essa. Questa serie di sei fasi può essere applicata a tutte le forme di realizzazione spirituale. Ma si tratta comunque solo di uno schema, poiché i due movimenti (ascesa dell'anima e discesa dello spirito) non possono, a rigore, essere dissociati. Allo stesso modo, lo sbocciare di un fiore è opera esclusiva del sole, anche se quest'ultirno non può produrre pienamente il suo effetto se non quando il fiore si è già a tal punto sviluppato da potersi aprire spontaneamente ai suoi raggi.

9 La quarta fase - la prima della <( grande opera » - è do- minata da Venere, nel cui segno il sole dell'oro o dello spirito, lo zolfo incombustibile, appare al di sopra dell'al- bero della croce. I1 sole divora la luna, e la sua forza in- forma e rimodella la croce degli elementi. <( All'inizio », dice la Turba Philosophorum,4 <( la femmina sale sul ma- schio, ma alla fine è il maschio a salire sulla femmina. » Dapprima è la forza volatile dell'argento vivo femminile a prevalere sul corpo solido la cui forma si manifesta in modo passivo nello zolfo; ma in seguito la forza <( fissante » dello zolfo prevale sull'argento vivo volatile dando origine,

questa volta in modo attivo, a una nuova cristallizzazione della forma psico-fisica.

Tuttavia, questa << nuova creazione è ancora imper- fetta: il sole spirituale che vi appare è infatti ancora legato alla. croce degli elementi - ed è proprio per questo che gli alchimisti, parlando del rame (metallo di Venere), dicono che la forza colorante dello zolfo (l'essenza dell'oro) vi di- viene visibile pur essendo ancora instabile e allo stato grez- zo, a causa dell'opposizione che esiste costantemente fra i quattro elementi.

6 La quinta fase - la seconda della <( grande opera D - è dominata da Marte, nel cui segno (abbiamo già spiegato i motivi che ci inducono a rappresentarlo così) il sole assume una posizione simile a quella della luna nella fase di Sa- turno. Ma i due segni, pur rappresentando entrambi una sorta di morte o almeno di estinzione, hanno in realtà signi- cati opposti: il regno di Marte esclude per definizione la possibilità di uno stato caotico, indicando invece la discesa attiva dello Spirito verso i piani inferiori della coscienza umana, di modo che il corpo stesso si trovi completamente penetrato dallo Zolfo incombustibile. Così come avviene per il ferro (metallo di Marte), in cui la forza fissante dello zolfo non è in grado di manifestare appieno il proprio fulgore, nonostante vi sia presente per intero, anche in questa fase dell'opera lo Spirito sembra immerso e come estinto nel corpo. È l'estrema coagulazione e la soglia stessa della realizzazione finale, la trasformazione del corpo in spirito-divenuto-forma.

I1 significato più alto implicito in questo <( regno » è la discesa << avatarica D dello Spirito divino nella sfera terrena e nella carne stessa degli uomini. Pur essendo assai più re- lativo, il senso propriamente alchemico di questo regno è sostanzialmente analogo al primo.

Scrive Artefio: <( Le nature si modificano, e il corpo assume in sé lo spirito, mentre lo spirito cambia il corpo in spirito colorato di bianco [ ... l . Fallo cuocere nella nostra bianca acqua, voglio dire nel Mercurio, fino a che si sia dissolto in nero; poi, in una continua infusione, quel nero si disperderà e alla fine il corpo cosl dissolto si innalzera insieme all'anima bianca (la coscienza corporea si riassorbe

nell'anima indifferenziata), e il primo si unirà alla seconda avvincendosi in modo tale che nulla mai li potrà separare. Allora, lo spirito si unisce al corpo (con un processo con- trario al primo), e realmente concordano e diventano una cosa sola e perenne (il corpo fissa lo spirito, e lo spirito fa a sua volta della coscienza del corpo un puro stato spiri- tuale); in tal modo la soluzione del corpo e la coagulazione dello spirito avvengono in una stessa e simile operazione ».5

Q Il compimento della grande opera è rappresentato dal segno del sole, che si distingue dal cerchio solare presente negli altri segni planetari per il punto che vi è presente al centro. Così, tutto ciò che le fasi precedenti presentavano solamente allo stato iniziale di latenza, appare qui nella sua piena espressione. Vi è presente l'essenza infinita, visibile e invisibile insieme, in una forma perfetta, anche se tuttora limitata.

Questo segno, in conformità col simbolismo genetico dell'alchimia, richiama sia il nocciolo di un frutto che I'em- brione nel grembo materno.

Questa fase dell'opera è la stessa in cui appare il colore rosso di cui parla Njcolas Flamel nella sua Explication des figures hiéroglyphiques: <( Su un campo viola scuro, un uomo rosso porpora sta ai piedi di un leone color rosso lacca, che ha delle ali e sembra volerlo portar via. I1 campo viola scuro vuole indicare che la Pietra ha potuto ottenere, gcazie alla sua completa infusione, gli abiti arancione e rossi indossati da san Pietro, al quale erano stati domandati; e che la sua completa e perfetta assimilazione, significata dal color arancione, le ha permesso di smettere il suo vecchio vestito arancione. I1 rosso lacca del leone volante, simile al puro e chiaro scarlatto che ha il seme della rossa melagrana, dimostra che in tutto la Pietra si è realizzata, rettamente e genuinamente. Poiché essa è come quel leone che divora ogni pura natura metallica. e la trasforma in vera sostanza, in vero e puro oro, più fine di quello delle migliori miniere.

Cosl trascina l'uomo fuori da questa valle di lacrime, voglio dire che lo libera dal fardello della miseria e dell'in- fermità, e lo solleva gloriosamente con le sue ali oltre le acque putride di Egitto - i pensieri comuni dei mortali - facendogli disprezzare la vita e le ricchezze dell'oggi, notte

questa volta in modo attivo, a una nuova cristallizzazione della forma psico-fisica.

Tuttavia, questa C nuova creazione è ancora imper- fetta: il sole spirituale che vi appare è infatti ancora legato alla. croce degli elementi - ed è proprio per questo che gli alchimisti, parlando del rame (metallo di Venere), dicono che la forza colorante dello zolfo (l'essenza dell'oro) vi di- viene visibile pur essendo ancora instabile e allo stato grez- zo, a causa dell'opposizione che esiste costantemente fra i quattro elementi.

La quinta fase - la seconda della C grande opera » - è dominata da Marte, nel cui segno (abbiamo già spiegato i motivi che ci inducono a rappresentarlo così) il sole assume una posizione simile a quella della luna nella fase di Sa- turno. Ma i due segni, pur rappresentando entrambi una sorta di morte o almeno di estinzione, hanno in realtà signi- cati opposti: il regno di Marte esclude per definizione la possibilità di uno stato caotico, indicando invece la discesa attiva dello Spirito verso i piani inferiori della coscienza umana, di modo che il corpo stesso si trovi completamente penetrato dallo Zolfo incombustibile. Cosl come avviene per il ferro (metallo di Marte), in cui la forza fissante dello zolfo non è in grado di manifestare appieno il proprio fulgore, nonostante vi sia presente per intero, anche in questa fase dell'opera lo Spirito sembra immerso e come estinto nel corpo. È l'estrema coagulazione e la soglia stessa della realizzazione finale, la trasformazione del corpo in spirito-divenuto-forma.

I1 significato più alto implicito in questo G regno >> è la discesa N avatarica » dello Spirito divino nella sfera terrena e nella carne stessa degli uomini. Pur essendo assai più re- lativo, il senso propriamente alchemico di questo regno è sostanzialmente analogo al primo.

Scrive Artefio: C Le nature si modificano, e il corpo assume in sé lo spirito, mentre lo spirito cambia il corpo in spirito colorato di bianco [ ... l . Fallo cuocere nella nostra bianca acqua, voglio dire nel Mercurio, fino a che si sia dissolto in nero; poi, in una continua infusione, quel nero si disperderà e alla fine il corpo così dissolto si innalzerh insieme all'anima bianca (la coscienza corporea si riassorbe

nell'anima indifferenziata), e il primo si unirà alla seconda avvincendosi in modo tale che nulla mai li potrà separare. Allora, lo spirito si unisce al corpo (con un processo con- trario al primo), e realmente concordano e diventano una cosa sola e perenne (il corpo fissa lo spirito, e lo spirito fa a sua volta della coscienza del corpo un puro stato spiri- tuale); in tal modo la soluzione del corpo e la coagulazione dello spirito avvengono in una stessa e simile operazione ».'

O I1 compimento della grande opera è rappresentato dal segno del sole, che si distingue dal cerchio solare presente negli altri segni planetari per il punto che vi è presente al centro. Così, tutto ciò che le fasi precedenti presentavano solamente allo stato iniziale di latenza, appare qui nella sua piena espressione. Vi è presente l'essenza infinita, visibile e invisibile insieme, in una forma perfetta, anche se tuttora limitata.

Questo segno, in conformità col simbolismo genetico dell'alchimia, richiama sia il nocciolo di un frutto che I'em- brione nel grembo materno.

Questa fase dell'opera è la stessa in cui appare il colore rosso di cui parla Nicolas Flamel nella sua Explication des jigures hiéroglyphiques: C Su un campo viola scuro, un uomo rosso porpora sta ai piedi di un leone color rosso lacca, che ha delle ali e sembra volerlo portar via. I1 campo viola scuro vuole indicare che la Pietra ha potuto ottenere, grazie alla sua completa infusione, gli abiti arancione e rossi indossati da san Pietro, al quale erano stati domandati; e che la sua completa e perfetta assimilazione, significata dal color arancione, le ha permesso di smettere il suo vecchio vestito arancione. I1 rosso lacca del leone volante, simile al puro e chiaro scarlatto che ha il seme della rossa melagrana, dimostra che in tutto la Pietra si è realizzata, rettamente e genuinamente. Poiché essa è come quel leone che divora ogni pura natura metallica, e la trasforma in vera sostanza, in vero e puro oro, più fine di quello delle migliori miniere.

Cosl trascina l'uomo fuori da questa valle di lacrime, voglio dire che lo libera dal fardello della miseria e dell'in- fermità, e lo solleva gloriosamente con le sue ali oltre le acque putride di Egitto - i pensieri comuni dei mortali - facendogli disprezzare la vita e le ricchezze dell'oggi, notte

e giorno facendolo meditare in Dio e nei suoi Santi, sospi- rare il più alto dei Cieli e bere alle dolci sorgenti delle Fontane dell'Eterna Speranza.

Sia lode a Dio in eterno per la grazia che ci ha fatto di poter vedere la bellezza e la perfezione di questo color porpora, come il rosso di un papavero di roccia, come il rosso di Tiro6 che scintilla e fiammeggia, impassibile al mu- tamento o all'alterazione. E né il Cielo né lo Zodiaco ne possono aver ragione; e il suo lampo, splendendo e abba- gliando, sembra comunicare all'uomo qualcosa di più che celestiale, tanto che questi, nel contemplarlo e conoscerlo, se ne stupisce e trema e freme ,... ».'

In un testo di Basilio Valentino, I'androgino che simbo- leggia la realizzazione dell'opera alchemica viene rappresen- tato insieme ai sette segni planetari. I tre segni del sole si trovano sul lato maschile dell 'andr~~ino, i tre della luna su quello femminile, e quello di Mercurio, a sua volta an- drogino, come chiave di volta delle due serie. Lo schema che ne deriva è il seguente, e vi sono evidenti

le fasi sia della <( piccola » che della <( grande » opera:

Da un certo punto di vista (comunque estraneo al signi- ficato astrologico di questi stessi segni), possiamo dire che i segni di destra hanno un carattere attivo e quelli di sinistra un carattere passivo poiché, se la <( piccola » opera prepara l'anima rendendoIa disponibile, la <( grande » opera porta a compimento la rivelazione spirituale. Tuttavia, perché sia lecito stabilire una corrispondenza a coppie fra le due serie di segni, occorre ricordare che l'ordine della prima serie (cosl come l'abbiamo appena descritto) sta in posi- zione inversa rispetto all'ordine della seconda serie, se- guendo l'uno i1 movimento ascendente della luna e l'altro quello discendente del sole (è così che si realizzano nel corso dell'opera). Mettendo, al contrario, i due movimenti

in posizione parallela, i segni si troveranno allineati secondo il seguente schema:

B così evidente che a ogni aspetto attivo corrisponde un aspetto passivo. Saturno corrisponde a un <( abbassamento » passivo, Marte a una <( discesa » attiva. I1 primo segno

l esprime l'estinzione dei limiti individuali dell'anima, il se- condo la vittoria dello Spirito. Al livello seguente, Giove corrisponde allo sviluppo della ricettività dell'anima, men-

l tre Venere corrisponde al sorgere del sole interiore. La luna e il sole incarnano i due poli allo stato puro e Mercurio presenta in sé le due nature.'

Mettendo ora in relazione i sette << regni » dell'opera con le quattro proprietà naturali - caldo, freddo, secco e umido ovvero espansione, contrazione, fissazione e disso- luzione - ne deriva che il regno di Mercurio (che, a rigore, non può essere detto una fase dell'opera) corrisponde alla natura stessa, mentre gli altri sei regni si collegano in vario modo alle quattro proprietà. I1 regno di Saturno, con cui inizia la piccola opera, corrisponde a una contrazione che assume qui un senso spiritualmente positivo, agendo in opposizione all'espansione passionale o dispersione. I1 suo opposto è i1 regno di Venere, prima fase della <( grande » opera, che, pur essendo espansivo, lo è in senso ugualmente spirituale, liberando il calore dello Zolfo che proviene dal centro più intimo dell'essere. Per quanto riguarda l'umido o la dissoluzione, è il regno di Giove a farsene qui rappre- sentante, operando una liquefazione della <( materia bruta »; la fissazione corrisponde invece al regno di Marte, per tutti i motivi che abbiamo già esposto. Si sarà notato che le pro- prietà <( mercuriali n, il freddo e l'umido, si allineano lungo il lato della <( piccola » opera, mentre quelle <( solforiche u, il caldo e il secco, si allineano lungo il lato della <( grande N opera. I regni della Luna e del Sole, che coronano rispet- tivamente l'una e l'altra opera, sintetizzano le due coppie di

167

qualità, la Luna essendo fredda e umida e. il Sole caldo e secco: la prima è tutta purezza e ricettività, mentre il se- condo è tutto vita e attività. In un certo senso, le sei fasi dell'opera considerata nel suo insieme possono essere tra- dotte come segue: congelazione, liquefazione, purezza; fu- sione, fissazione e trasmutazione.

Chiudiamo questo capitolo aggiungendo alcune conside- razioni che, pur senza essere in diretto rapporto con I'al- chimia, possono aiutare a comprendere meglio la reciprocità che esiste fra le due fasi principali dell'opera: la spiritualiz- zazione del corpo e l'incorporazione dello spirito. L'unione dell'uomo e della donna è senza dubbio un simbolo e un riflesso della totalità originale o edenica dell'essere umano: di qui la beatitudine che l'attraversa come un lampo. È co- munque ugualmente vero che l'unione fisica può anche avvenire al di fuori di questa totalità, nonostante questa e contro la vera natura dell'amore che, da parte sua, tende costantemente verso di essa. La sua capacità di sacrificio nasce proprio da questo: se necessario, può fare a meno dell'unione fisica e, in questo caso, il corpo è come assor- bito nell'anima - è la sublimazione. I1 vero amore è inoltre privo di egoismo: il che significa che non può fare a meno di conformarsi alla legge dello spirito, l'unica in grado di vincere l'egoismo congenito dell'anima per aprirsi all'In- finito. Ora, se è vero che l'amore possiede questa qualità, se è vero che l'amore abbraccia la totalith dell'uomo, che è spirito, anima e corpo, la sua manifestazione fisica, lungi dall'essere un'irruzione dei sensi nella sfera dell'anima, non potrà che essere una discesa dello spirito nel corpo: quasi una sua trasfigurazione.

XVI

La Tavola Smeraldina

I1 senso e la struttura dell'opera alchemica sono riassunti nella Tavola Smeraldina (Tabala Smaragdina). Questa si presenta come una rivelazione di Ermete Trismegisto, e tale fu appunto ritenuta dagli alchimisti del Medio Evo. Ne fa menzione per la prima volta un testo dell'VII1 secolo, di Jiibir ibn Hayyin, che Alberto Magno conobbe in una tra- duzione latina. I1 suo stesso stile indica tuttavia chiara- mente un'origine pre-islamica, e la sua perfetta corrispon- denza allo spirito della tradizione ermetica - riconosciuta all'unanimità da tutti gli alchimisti - non permette alcun dubbio circa i suoi legami con le origini dell'Ermetismo. I1 solo problema che può essere posto è quello di sapere in che misura il nome di Ermete corrisponda a una persona, o non invece a una funzione sacerdotale che possa essere fatta risalire a Ermete-Thoth.

Diamo qui di seguito una traduzione della Tavola Sme- raldina, basata sulla sua versione in latino, ma senza tra- scurare i riferimenti al testo arabo eventualmente necessari al chiarimento di certi punti':

I. <( In verità, certamente e senza alcun dubbio. 2. I1 più basso è simile in tutto al più alto e il più alto

è simile in tutto al più basso, e questo perché si compiano i miracoli di una sola cosa.

3. Così come tutte le cose procedono dall'Uno per la meditazione di Uno Solo, ugualmente tutte le cose nascono per adattamento da quest'unica cosa.

4. Suo padre è il Sole e sua madre la Luna. I1 vento l'ha portato nel suo ventre e la Terra è la sua nutrice.

5. È il padre di tutti i miracoli del mondo. 6 . La sua potenza è perfetta, se viene convertita in terra. 7. Separa la terra dal fuoco e il sottile dal grosso, lenta-

mente e con grande prudenza. 8. Si eleva dalla terra al cielo e ritorna poi aila terra, e

riceve così la potenza delle realtà superiori e inferiori. La gloria del mondo intero sarà così tua e l'oscurità si allon- tanerà per sempre da te.

9. È la forza delle forze, e la sua vittoria si estende su tutte le cose sottili e penetra tutte le cose solide.

IO. Così il microcosmo è stato creato sul modello del macrocosmo.

I I. Da qui e in questo modo procedono meravigliose indicazioni.

12. Per questo sono chiamato Ermete Trismegisto, per- ché in me sono le tre parti della saggezza del mondo intero.

13. È perfetto quello che ho detto dell'opera del Sole ».

I. In verità, certamente e senza alcun dubbio. 2. I1 più basso è simile in tutto al più alto e il più alto

è simile in tutto al più basso. » La versione latina comincia così: Verum, sine mendacio,

certum et verissimum. Quella di Jabir - Haqqdn, yaqlndn, 12 shakka fih ( e In veritA, certamente e senza alcun dub- bio D) - è più chiara poiché l'espressione <( in verità si riferisce all'origine oggettiva della rivelazione, e le parole

certamente e senza alcun dubbio » al suo riflesso sogget- tivo nell'uomo. La formula che segue (e che costituisce la parte principale della prima regola) suona in modo legger- mente diverso nella versione araba e sembra quasi proporre tutt'altro significato: I1 più alto viene dal più basso e il più basso dal più alto D. Si tratta qui della dipendenza re- ciproca dell'attivo e del passivo: la forma essenziale non

può infatti manifestarsi senza la materia passiva e, inver- samente, la potenzialità passiva non può attualizzarsi che sotto l'influsso del polo attivo. Allo stesso modo, nella grande opera, l'efficacia della potenza spirituale dipende dalla preparazione del e ricettacolo >> umano, e viceversa.

l In ultima analisi, il polo del <( più alto » è l'Essenza una e indivisibile, mentre il polo del più basso » è la materia

I prima. Anche se tutte le forme si riducono a material- mente >> a un'unica sostanza plastica, la loro origine essen- ziale 2 nell'uno: sono <( fatte di verith D, « perché si com- piano i miracoli di una sola cosa » - l'opera interiore. L'« alto e il a basso » si definiscono in rapporto a questa

sola cosa », in virtù deila quale si completano. 3. « Cod come tutte le cose procedono dall'Uno per la

meditazione di Uno Solo, ugualmente tutte le cose nascono per adattamento da quest'unica cosa » - significa che l'opera ermetica procede da una sola sostanza conformandosi al modello (in quanto immagine sostanziale » inversa) del- l'emanazione del mondo a partire dalllEssere divino, per intercessione dello Spirito unico.

Alcuni manoscritti portano meditatione unius (per la me- ditazione di Uno Solo) al posto di mediatione unius (per la mediazione di Uno Solo), il che non modifica tuttavia in modo determinante il significato del testo, che sta in un caso come nell'altro a indicare che la Luce indivisibile e invisibile dell'Uno incondizionato viene rifratta come mol- teplicità dal prisma dello Spirito. Plotino insegna che lo Spirito (nous), pur contemplando senza posa l'Uno supre- mo, non 2 mai in grado né di coglierlo né di penetrarlo pienamente, e grazie a questa incessante contemplazione, non fa che esprimere la molteplicità dell'universo, così come una lente ritrasmette sotto forma di un fascio di raggi la luce che ha ricevuto. L'espressione araba tadbir, presente in certe versioni a questo punto del testo, significa contempo- raneamente riflessione D e disposizione D. Basilio Va- lentino scrive conjunctione (per combinazione) invece di adaptatione (per adattamento).

4. a Suo padre è il Sole e sua madre la Luna. » I1 sole, in quanto padre della Pietra », 2 lo Spirito (nous); la luna è l'anima (psyché). I1 vento l'ha portato nel suo ven-

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tre D: il vento che porta nel suo grembo il seme spirituale è il soffio vitale e, più in generale, la a sostanza sottile » del mondo sovraformale (o puramente spirituale) e il mon- do corporeo. I1 soffio vitale è anche l'argento vivo che ha in sé il germe dell'oro d o stato liquido. La terra 8 la sua nutrice - si tratta del corpo come realta interiore.

I1 sole può essere visto, per così dire, come il cuore nella sua qualità di sede della pura soggettivita (anteriore all'Io), mentre la luna è il mentale spogliato degli oggetti che gli sono propri, ridotto cioè allo stato di puro specchio posto di fronte al cuore. L'opera procede dall'unione di questi due e astri », e si sviluppa a partire da un germe spirituale che, deposto dapprima nella <( terra » del corpo, viene poi animato dal <( vento )> (dal soffio vitale) e sollevato in alto verso il <( cielo D dello spirito, per ridiscendere alla fine vittorioso sulla <( terra ».

5. <( È il padre di tutti i miracoli del mondo. I1 termine <( miracoli traduce qui approssimativamente telesma, da cui deriva la parola talismano. Un talismano (tilism in arabo) è, a rigore, un simbolo che in qualche modo ha ricevuto parte della potenza del suo prototipo: un simbolo, cioè, che è stato foggiato sotto un particolare influsso cosmico (costellazione) e con un'adeguata concentrazione spirituale. Una siffatta azione teurgica si fonda sulla cor- rispondenza qualitativa fra la forma visibile e il prototipo invisibile, ma anche sulla possibilità di rendere effettiva tale corrispondenza grazie a una sorta di <( fissazione » dello stato spirituale. Ecco perché è lecito parlare di una certa somiglianza fra il talismano, portatore di un influsso invisibile, e l'elisir alchemico, <( fermento » della trasfor- mazione metallica.

6. La sua potenza è perfetta se viene convertita in terra D: cioè, quando lo Spirito si incorpora, il volatile si fissa.

7. << Separa la terra dal fuoco e il sottile dal grosso, len- tamente e con grande prudenza. La separazione tra fuoco e terra, sottile e grossolano, corrisponde ali'« estrazione » dell'anima dal corpo.

8. <( Si eleva dalla terra al cielo e ritorna poi alla terra, e riceve cosi la potenza delle realtà superiori e inferiori. »

La dissoluzione della coscienza rispetto a tutte le sue coa- gulazioni formali è seguita dalla <( cristallizzazione dello Spirito; l'attivo e il passivo si trovano così strettamente uniti. La luce dello Spirito diventa costante. <( La gloria del mondo intero sarà così tua », grazie alla tua unione con lo Spirito che 8 l'origine stessa di ogni luce. <( E l'oscu- rità si allontanerà per sempre da te. )> Ignoranza, illusione, incertezza, dubbio e frivolezza saranno per sempre allon- tanati dalla coscienza.

9. <( È la forza delle forze, e la sua vittoria si estende su tutte le cose sottili e penetra tutte le cose solide. )> I1 sottile o volatile (latif in arabo) non può essere vinto che unendolo al solido o corporeo, così come una disposizione dell'anima non può essere fissata che con la mediazione di un'immagine concreta. La fissazione alchemica si situa tut- tavia su un piano più interiore, e si rapporta a tutto quanto abbiamo detto sul ruolo della coscienza corporea come sup- porto di stati spirituali. La coscienza corporea diventa al contrario, grazie alla sua unione con lo Spirito, una forza sottile e penetrante, in grado addirittura di agire sull'am- biente esterno. Scrive Jibir: <( Quando lo stato di solidifi- cazione e di durezza del corpo si è a tal punto modificato da farsi sottile e leggero, si trasforma in un elemento spi- rituale che penetra i corpi, pur conservando quella sua propria natura che gli permette di resistere al fuoco. Si unisce allora allo spirito, in quanto lieve e sottile, e il suo ruolo è di stabilizzarlo. La fissazione dello spirito nel corpo segue il primo processo, ed entrambi si trasformano, l'uno assumendo la natura dell'altro. I1 corpo si fa spirito e ne assume la sottigliezza, la leggerezza, la fluidità, la colora- zione e tutte le sue altre proprietà. Lo spirito, a sua volta, si fa corpo, e ne acquista la resistenza al fuoco, I'immobi- lità e la durata. Dai due elementi è nata una sostanza che non è né solida come il corpo né sottile come lo spirito, ma che occupa una posizione perfettamente intermedia fra i due estremi ... ».'

IO. <( Così, il microcosmo 5 stato creato sul modello del macrocosmo. )> La versione latina dice: <( Così il mondo è stato creato ». I1 testo arabo da noi seguito è evidentemente più completo. I1 <( microcosmo », immagine perfetta del

macrocosnlo D, ì: l'uomo che ha ritrovato la propria na- tura originale « creata a immagine di Dio ».

I I . <( Da qui e in questo modo procedono meravigliose indicazioni. )> I1 testo arabo dice: <( È la via che seguono i saggi ».

1 2 . <( Per questo sono chiamato Ermete Trismegisto, perché in Ine sono le tre parti della saggesza del mondo intero. Trismegisto significa <( tre volte grande )> o tre volte potente ». Le tre parti della saggezza corrispondono alle tre grandi <C divisioni dell'univcrso: sfera spirituale, sfera psichica e sfera corporea, i cui rispettivi simboli sono il cielo, l'aria e la terra.

1 3 . <( È perfetto ( o conipleto) quello che ho detto del- l'opera del Sole. » De operatioae solis (<( dell'opera del Sole D) può anche significare <( dell'opera dell'oro )> e <( della produzione dell'oro ».

Il contenuto della Tavola Smeraldina è, nel suo insieme, una sorta di illustrazione del <C Sigillo di Salomone P, i cui due triangoli rappresentano rispettivamente l'essenza e la sostanza, la forma e la materia, lo spirito e l'anima, lo zolfo e l'argento vivo, il volatile e lo stabile, oppure la potenza spirituale e l'esistenza corporea.

Conclusione

Ci auguriamo che la presente esposizione possa servire a liberare l'orizzonte spirituale che è proprio dell'alchimia - << l'arte regale n - da tutte le semplificazioni che inevita- bilmente accompagnano una ricerca puramente storica, con gli equivoci e i malintesi che ne conseguono. Un oggetto ci sembra tanto più piccolo nello spazio quanto più si allon- tana da noi. Allo stesso modo, un evento lontano nel tempo appare come ridotto e semplificato, e questa semplificazione è tanto più evidente quanto più l'evento in questione si allontana dal nostro tempo. La distanza che separa la nostra epoca da quella in cui l'alchimia si è trovata a operare, è praticamente incommensurabile. Non vi è nulla di sor- prendente, dunque, nel fatto che un ricercatore dei nostri giorni, quasi del tutto all'oscuro delle arti spirituali prati- cate fino a non troppo tempo fa in certe particolari forme di civiltà, abbia una visione dell'arte alchemica simile a quella che potrebbe apparire in uno specchio deformante. Ciò che gli manca non è solo il fondamento dottrinale che gli permetterebbe di comprendere il linguaggio simbolico degli alchimisti, ma soprattutto la possibilità di un con- fronto pratico tale da consentirgli una chiara visione di ciò che è possibile e addirittura verosimile nell'arte in questione.

La natura, nel senso della natura corporea e psichica del- l'uomo e delle cose, può essere considerata da diversi punti di vista, e ognuna delle <( dimensioni » che vi corrispondono è sia teoricamente che empiricamente inesauribile. È per questo che la chimica empirica moderna può continuare a svilupparsi senza che le sue scoperte escano mai da quella particolare dimensione antologica, determinata dalle sue stesse premesse. Del resto, una scienza tradizionale come l'alchimia può affrontare gli stessi dati, ed eventualmente metterli in discussione. da un Dunto di vista radicalmente ~~~~

diverso, ma ugualmente inesauribile e dotato di non minore logica. Si pensi, per esempio, alla medicina cinese, o a quella indiana e tibetana, i cui metodi sono radicalmente estranei alle concezioni moderne della natura, ma i cui ef- fetti positivi sono ugualmente indubitabili.

La scienza moderna giudica con occhio impietoso gli errori puerili che non hanno mancato di manifestarsi ai margini della cosmologia tradizionale, ma senza mai dar luogo a serie conseguenze. Sta di fatto che questa stessa scienza non riesce a vedere (e il confronto con un'arte spiri- tuale come l'alchimia è particolarmente schiacciante) quanto in essa vi sia di ostile all'equilibrio della natura e dell'uomo, e fino a che punto gli effetti di questi conflitti siano impre- vedibili. Senza parlare, poi, della sua pretesa - assoluta- mente infondata - alla totalità e della negazione (quasi as- soluta e così gravida di conseguenze) del sovrasensibile e dell'immateriale, che caratterizza la scienza moderna.

I l rapporto fra l'uomo e il suo ambiente naturale varia non solo teoricamente, ma anche praticamente, e non sol- tanto sul piano soggettivo ma anche sul piano dell'ambiente naturale stesso. Non esiste separazione fra il mondo psichico e il mondo fisico, anche se il particolare punto di vista del- 1'Ego tende a far apparire la sfera psichica dell'essere indi- viduale come un tutto chiuso e autonomo. Nei periodi e nelle civiltà in cui la coscienza individuale non era a tal punto <( coagulata n, e i rapporti con l'ambiente naturale non erano a tal punto dominati dal pregiudizio di una vi- sione puramente razionalistica, era più facile per le forze dell'anima poter esercitare sul mondo esterno un influsso diretto e senza intervento meccanico. Questa constatazione

è particolarmente valida per quelle tradizioni formalmente arcaiche, i cui simboli essenziali erano rappresentati da eventi quali il fulmine, la pioggia, il vento, la crescita. Po- teva così capitare che determinati atti sacri provocassero un'eco cosmica: è ciò che si può ancora oggi constatare in certe popolazioni sciamanitiche - gli Indiani dell'America del Nord, per esempio. Questa è la giusta prospettiva, il vero contesto originale in cui situare l'alchimia: per poter legittimamente giudicare quelle particolari formule che si riferiscono agli effetti dell'elisir - formule che non vanno sempre prese come semplici immagini che rinviano a una sfera superiore. È evidente che il fine reale dell'alchimia non è la trasmutazione dei metalli vili in oro, e che questa non potrebbe del resto mai avvenire là dove fosse ricercata solo per se stessa. Esistono tuttavia, in merito all'effettiva realizzazione del magistero, testimonianze che non possono in alcun caso essere rifiutate con un semplice segno di diniego. I1 simbolismo metallurgico è cosl organicamente legato all'opera interiore dell'olchimia che, in certi rari casi, può anche essere avvenuto che la sua realizzazione interiore abbia dato origine a un effetto esteriore, non come risultato di qualche operazione chimica, ma come conseguenza tan- gibile e spontanea di uno stato spirituale. La trasmutazione spirituale è già in sé un avvenimento miracoloso, e non lo è meno di quanto lo potrebbe essere l'improvvisa produ- zione dell'oro a partire da un metallo vile.

L'arciere giapponese iniziato ai misteri dello Zen può, grazie alla sua profonda concentrazione e alla sua unione interiore con l'essenza atemporale nell'istante stesso del tiro, colpire il bersaglio ad occhi chiusi.' Allo stesso modo, la trasmutazione fisica dei metalli era il segno che testimo- niava all'esterno la santità sia dell'oro che dell'uomo - del- l'uomo che è giunto al compimento dell'opera interiore.

Note al testo

l Cfr. Herbert Siiberer, Probleme der Mystik und ihre Symbolik, Vien- na, 1914; Carl Gustav Jung, Psychologie und Alchimie, Zurigo, 1944 e 1952 (trad. it. Psicologia e alchimia, Astrolabio, Roma, 1950 e 1954; Newton Compton, Roma, rg75), e Mysterium Coniunctionis, Zurigo, 1955 e 1957.

' Si può trovare un'ecceiiente spiegazione del significato del simbolo nello studio etnologico di E.E. Evans-Pritchard, Nuer Religion (e soprat- tutto nel capitolo intitolato The Problem of Syrnbols »), Oxford, Cla- rendon Press, 1956.

Cfr. Mircea Eliade, Forgerons et Alchimistes, collezione u Homo Sa- piens », Parigi, 1956.

3 Ibidem. Abbiamo rivelato il ferro, che è insieme di grande utiiith e terribil-

mente pericoloso per gii uomini (Corano, LVII, 25). Carnara Laye, L'Enfant Noir, Parigi, 1953. Cfr., di quest'ultimo, la Theorophia Practica, Sebastiani, Milano, 1973,

distribuzione Archè.

Principes et méthodes de l'art sacré, Parigi, 1974 (trad. it. L'arte sacra in Oriente e in Occidente, Rusconi, Milano, 1974).

2 Cfr. Bibliothhque des Philosophes Chimiquer, opera pubblicata da G . Sairnon, Parigi, 1741.

Ibidern, 11. I1 dialogo fra il re arabo Khaiid e il monaco Morienus rappresenta probabilmente ii primo trattato di alchimia tradotto daii'arabo in latino.

4 I1 termine a mistico » va qui inteso nel suo significeto originale, e non in quello abbastanza particolare e troppo colorato di soggettivismo senti- mentale, che si è diffuso in Europa soprattutto a partire dali'epoca barocca.

5 Bibliothèque des Philosophes Chimiques, cit. 6 Artefio è probabilmente il nome latinizzato di un autore arabo del

resto sconosciuto. Dovrebbe essere vissuto prima del 1250. Cfr. E. von Lippmann, Entstehung und Ausbreitung der Alchimie, Berlino, 1919.

7 I1 termine a cabalistica » è da intendere qui nel suo senso etimologico di a trasmissione orale ».

Bibliothèque des Philosophes Chimiques, cit. 9 L'identificazione del nostro Sinesio con l'omonimo vescovo di Cirene

(379-415) è abbastanza controversa. I1 secondo Sinesio era un discepolo di Ipatia, filosofa platonica di Alessandria.

'0 BibliothPque des Philosophes Chimiques, cit. Ibidem.

l2 Amsterdam, 1699 (riedizione Arche, Milano, 1971). l3 BibliothPque des Philosophes Chimiques, cit. '4 Ibidem. '5 Alchimista francese del XVI secolo. l6 Bibliothèque des Philosophes Chimiques, cit.

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1 In un certo senso, l'oggetto supremo è il puro Essere, ma in questo caso la distinzione fra oggetto e soggetto è solo iniziale e puramente virtuale.

2 Al-kawnu ins dnun kabir wal-l-insanu kawnun saghir. 3 I1 termine ousia è stato qui tradotto con << sostanza » in conformith

all'uso della Scolastica; ma avremmo ugualmente potuto parlare di N es- senza ».

4 I1 che significa che la Sostanza (o Essenza) di Dio non può essere conosciuta che in se stessa, essendo al di là di ogni dualità e di ogni distinzione fra soggetto e oggetto.

5 Corpus Hermeticum, trad. francese di A.J. Festugiere, Les Beiles Lettres, Parigi, 1945 (cfr. il capitolo intitolato 4 D'Hermès Trismegiste: sur I'inteilect commun, à Tat »).

M. Berthelot, La Chimie au Moyen Age, Parigi, 1893, rr, pp. 262-63. Nel campo che qui stiamo trattando, quello della cosmologia tradizio-

nale, non può che essere una rivelazione di secondo ordine: secondo la terminologia indù, di una smriti e non di una shruti.

Corpus Hermeticum, cit., capitolo su Pimandro. Per il simbolismo della tessitura, cfr. René Guknon, Le Symbolisme

de la Croix, Vkga, Parigi, capitolo xrv (trad. it., Rusconi, Milano, 1973!. 'O Gli Indù parlano di cinque elementi, poiché considerano l'etere

(akasha), la quinta essentia degli alchimisti, come un elemento. IL Cfr. La Recherche de la Vérité par les Lumières naturelles, citata

da Maurice Daumas nella sua Histoire de la Science, Encyclogdie de la Pléiade, p. 481.

l2 Cfr., su questo argomento, Rene Guénon, Le Symbolisme de la Croix, cit., capitolo xxv; e Julius Schwabe, Archetyp und Tierkreis, Basilea, 1951.

l3 Manoscritto latino 3236A della Biblioteca Nazionale di Parigi. Pub- blicato da M.T. dlAlverny, u Les Pérkgrinations de l';me dans I'autre monde d'après un anonyme de la h du XII' siècle P, in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen-Age, 1940-1942. Secondo le più recenti

ricerche di M.T. dlAlverny, il manoscritto che si trova all:i Ribliotrca N a ~ zionale di Parigi sarebbe stato scritto, con ogni probabilità, a I3ologna C

come rielaborazione di un manoscritto spagnolo più antico. l4 La parte superiore della pagina 90 del manoscritto (vedi nota I 3 ) prc-

senta un'immagine del Cristo troneggiante al di sopra delle sfere. Da un lato e dall'sltro sono scritte le seguenti parole: Creator omnium Deus - Causa prima - Voluntas divina - Voluntas divina (Dio, creatore di tutte le cose - Causa prima - Volontà divina - Volontà divina). I due cerchi superiori contengono le parole forma in potentia e materia in po- t e n t i ~ : si tratta dei due poli forma e materia prima, atto puro e ricet- tacolo passivo, qui concepiti come possibilità presenti nel puro Essere. E appunto per questo che si trovano al di sopra dello Spirito Univer- sale, mentre quest'ultimo è visto nella sua realtà manifesta e creata, rappresentata dal cerchio seguente: Causatum primum esse creatum pri- mum principium omnium creaturarum continens in se creaturas (Primo effetto, primo essere creato, principio di tutte le creature che contiene in sk le creature). All'interno dello Spirito Universale, e per gradi, pro- cedono dieci facoltà intellettuali e cognitive (intelligentiae), alle quali corrispondono altrettanti cori angelici. È abbastanza strano che l'ordine secondo il quale procedono queste facoltà sia precisamente l'inverso di quello invece indicato dalla dottrina della Gerarchia celeste di Dionigi I'Aeropagita, dall'alto verso il basso: Angeli, Archangeli, Troni, Domi- nationes, Virtutes, Principatus, Potestates, Cherubin, Seraphim e Ordo Senorum (il coro degli Anziani). Questa inversione deil'ordine può essere attribuita d 'errore di un copista forse influenzato nello spirito da uno schema teocentrico.

Al di sotto delle dieci sfere dello Spirito sovraformale si trovano le quattro sfere dell'anima: anima celestis, anima rationalis, anima animalis, anima vegetabilis.

Fin qui l'ordine concentrico delle sfere va inteso in modo puramente simbolico; ma le sfere che seguono (sempre più piccole), essendo del mondo corporeo, vanno intese sia in senso simbolico che in senso spaziale: il mondo corporeo e circondato dal suo cerchio esteriore - Natura prin- cipium corporis (La Natura come principio del corpo). Questo cerchio contiene le sfere astronomiche, la più esterna delle quali corrisponde aila rivoluzione quotidiana dei cieli: Spera decima - spera suprema qua Jit motus de occidente ad orientem et est principium motus (Decima sfera - sfera suprema che dà origine al movimento da Occidente a Oriente ed è il principio di ogni movimento). All'interno di quest'ultima sfera si trova la sfera che determina la processione degli equinozi: Spera nona - spera motus octave spera qua Jit motus eius de septembrione ad meridiem et e converso (Nona sfera - sfera che muove l'ottava e provoca il suo movi- mento da Settentrione a Meridione, e viceversa). Vengono poi, in senso discendente, il firmamento deile stelle fisse e le sfere dei pianeti: Spera octava - spera stellata; Saturnus - spera saturni; Jupiter - spera iovis; Mars - spera martis; Sol - spera solis; Venus - spera veneris; Mercurius - spera mercurii; Luna - spera lunae. Ail'interno di queste sfere si trovano i quattro elementi, in cerchi concentrici rispetto al centro deila terra (il cerchio esterno corrisponde sia agli elementi in quanto tali che all'ele- mento supremo, il fuoco): Ignis - corpus corruptibilis quod est quatuor elementa (Fuoco - corpo corruttibile composto dai quattro elementi); aer, aqua, terra, centrum mundi.

Attraverso questi diversi cerchi del mondo spirituale, psichico e cor- poreo, gli uomini arrivano a Dio come salendo i gradini di una scala. La

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iipura inferiore è ancora leEata alla sfera degli elementi, e se ne vede un'altra simile che la tira per i capelli. Dalla parte del gruppo superiore, si può leggere: O nzi magzst(er) (O mio maestro); accanto al gruppo che segue: (e)phaebei (gli efebi); accanto al gruppo centrale: socii omtirs (tutti i simili); e accanto a quello inferiore: cetrra turbo (il rimanente della moltitudine). Si tratta probabilmente di un'alliisione ai diversi gradi della conoscenza e dell'iniziazione.

La seconda miniatura, a pagina 89. ripete lo stesso ordine, con cerchi questa volta completi ma iscrizioni solo parziali.

' 5 Secondo Avsrroè, il movimento perpetuo del cielo senza stelle è la mediazione fra il tempo e l'eternità.

' 6 I1 sistema eliocentrico era infatti già insegnato da Aristarco di Samo (320-250 a.C.). Copernico, nella premessa alla sua opera Sulla rivoluzione dei corpi celesti (dedicata ai papa Paolo I I I ) , fa riferimento a Icheta di Siracusa e a certe indicazioni di Plutarco. Da parte sua. cosi scrive Ari- stotele nel suo libro sui cieli: « Mentre la maggior parte (degli uomini eruditi) pensa che la terra sia il centro (del mondo), i filosofi italici chia- mati Pitagorici sono convinti del contrario, e affermano infatti che il centro è fatto di fuoco. D'altra parte, la terra (un astro fra gli altri astri) si muoverebbe in modo rotatorio attorno al centro ... n. È possibile che certi astronomi delllIndia abbiano ugualmente conosciuto, nell'antichità, questa prospettiva eliocentrica.

l Quelle teorie moderne che si sforzano di spiegare lo sviluppo deiie forme organiche e inorganiche come iin a movimento dello Spirito n, non sono altro in realtà che una propaggine del materialismo, poiché conti- nuano ad attribuire allo Spirito, invece immi~tabile nella sua essenza, un 6 divenire ».

Cfr. Le Règne de la Quantité et les Signes du Temps, Parigi, 1945 (trad. it., Studi Tradizionali, Torino, 1969).

3 Questo discorso è valido anche per i numeri: ogni numero, infatti, non rappresenta solo una quantità ma anche, e contemporaneamente, un aspetto deii'unità - la dualità, la trinità, la quaternità, ecc. La differenza quaiitativa fra le forme può essere considerata anche in termini di cifre, ed è per questo che la dottrina pitagorica vede nelle cifre semplici quasi l'espressione degli archetipi.

Le RPgne de la Quantité et Ies Signes du Temps, cit.

Più sinteticamente, possiamo dire che il metallo è una manifestazione spirituale della materia corporea, mentre i pianeti, o gli astri in generale, sono una sorta di manifestazione corporea dello Spirito. I1 rapporto fra pianeti e metalli è simile a quello espresso dal seguente proverbio arabo:

La bellezza deii'uomo è xiel suo spirito e lo spirito della donna nella sua bellezza ». I1 pianeta intelligenza incorporata, il metallo & corpo intelligente.

Secondo certi alchimisti deii'Eiienismo, l'elettro può sostituire I'ar- gento vivo.

3 Va da sé comunque che solo una sfera di esistenza considerata nel suo insieme 6 in grado di possedere un centro non equivoco. &si, l'uomo il centro non equivoco deiio stato terreno nella sua totalità. A sfere par-

ziali corrispondono invece centri relativi, che si manifestano il più delle volte in forme variabili e complementari. Nel regno degli uccelli, per esem- pio, non solo l'aquila ma anche l'usignolo, la colomba e il pavone, o ancora il cigno e la civetta, si esprimono tutti in un centro, ognuno dei quali varia a seconda del singolo modo.

Cfr. Julius Schwabe, Archetyp und Tierkreis, cit.

l Cfr., a cura deii'Autore, Fu& al-Hikam (La Sagesse des Prophètes), Albin Michel, Parigi, 1955.

Si dice, analogicamente, vox populi, vox Dei, perché il popolo (nel vero senso del termine - aspetto della collettività che il mondo moderno ha più o meno abolito) corrisponde esattamente al fondo dell'anima.

Testo messo a disposizione dal dott. S. EIussein Nasr di Teheran. Tratto da Le Livre du Trévisan de la philosophie naturelle des mé-

taux, contenuto in Bibliothèque des Philosophes Chimiques, cit. Heinrich Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aeternae. Testo messo a disposizione dal dott. S. Hussein Nasr di Teheran. Secondo la dottrina esoterica deii'Islam, la rivelazione (tajalll) di Dio

nel cuore assume la forma che le concede la disposizione del cuore stesso. Cfr. la versione a cura dell'Autore di F u c k al-Hikam di Muhyi-d-Dln ibn Arabl, pubblicata nel 1955 da Albin Michel con il titolo La Sagesse des Prophètes.

È a questa verità che allude Dante quando (Paradiso, inizio del canto 33) si rivolge d a Vergine chiamandola e figlia del tuo figlio ».

Cfr. E. Steinilber-Oberlin, Les Sectes bouddhiques japonaises, Pa- rigi, 1930.

Cfr. la versione a cura deii'Autore di Fu& al-Hikam, cit. Cfr. Maurice Aniane, Notes sur l'Alchimie, "Yoga"cosmologique de

la chrétienté médiévale D, in Yoga, science de I'homme infégral, Cahiers du Sud, Parigi, 1953; e Julius Evola, Metafisica del sesso, Atanor, Roma, 1958.

La traduzione in francese è di Robert Buchère, in Le Voile d'lsis, Parigi, 1929, p. 183.

I1 che non ha soltanto un fondamento psicologico, ma anche e soprat- tutto un fondamento ontologico.

Cioè del Futuhit al-Mekkiyah. 3 Le più recenti scoperte nel campo della fissione nucleare sembrano

confermare che i metalli qualitativamente inferiori sono anche quelli più instabili. L'uranio è simile in questo al piombo.

Questa dottrina non va confusa con la concezione rousseauiana di una presunta bontà naturale dell'uomo. La riproduzione inconscia nel bambino deilo stato primordiale non esclude né eventuali tendenze negative né eventuali tare ereditarie.

Sulla forza di contrazione del Mercurio, cfr. René Guénon, La Grande

Triade, edizioni della Table Ronde, Parigi, 1946, in particolare il capitolo intitolato Soufre, Mercure et Se1 » (trad. it., Atanor, Roma, 1951).

6 All'aria corrispondono i globuli rossi del sangue, al fuoco la bile g i d a , ali'acqua la linfa e alla terra la bile nera. Questi quattro umori sono con- tenuti nel sangue.

Cfr. René Guénon, Le Symbolisme de la Croix, cit. Ibidem.

9 Cfr. Arthur Avalon, The Serpenf Power, Madras, 1931. 10 Cfr. Julius Schwabe, Archefyp und Tierkreis, cit.

L'informe o l'amorfo si oppone al sovraformale. Quest'ultimo non è privo di forma, ma la possiede dominandola, cioè senza che la forma lo limiti. I1 sovra-formale (il Puro Spirito) non può quindi realizzarsi che attraverso una forma perfetta.

12 Cfr. René Guénon, Le Symbolisme de la Croix, cit. 13 Cfr. il capitolo su Mosè della versione a cura dell'Autore di Fuc&

al-Hikam, cit. l4 È un motivo che ricorre di fatto in quasi tutte le chiese romaniche. l5 I1 che spiega anche la funzione dei nodi nella magia. l6 Cfr. Senior Zadith, Turba Philosophorum, in Bibliofhèque des Phi-

losophes Chimiques, cit.

1 Cfr. Paul Coze, L'Oiseau-Tonnerre, Parigi-Ginevra, 1938. Secondo Averroè, che si rifà a Galeno, lo spirito vitale è una sostanza pura pre- sente nello spazio interstellare, e che viene assimilata dagli esseri attra- verso un processo assai simile a quello delia respirazione. È nel cuore che diventa << vita ».

2 Cfr. il caoitolo sull'alchimia cinese in Mircea Eliade, Forgerons ef --- -

Alchimisfes, C;. 3 Ibidem, cfr. il capitolo sull'alchimia indiana. 4 Fra Marcantonio Crassellame Chinese (Marchese F.M. Santinelli), Lux

obnubilafa suapfP natura refulgens, Venezia, 1666, riedizione Archè, Mi- lano, 1968.

5 Cfr. Julius Evola, Mefafisica del sesso, cit. 6 BibliofhPque des Philosophes Chimiques, cit.

Ibidem.

XII

1 F. Schuon, Les Sfafions de la Sagesse, Correa, Parigi, 1958, p. 166. Ibidem, d r . il capitolo intitolato u Les Stations de la Sagesse B.

3 Cfr., dell'Autore, Infroducfion aux Doctrines ksofériques de i'lslam, Parigi, 1969.

4 F. Schuon, Les Sfafions de la Sagesse, cit.

XIII

Cfr. H.K. Iranschar, Enfhullung der Geheimtiisse der wahren Alche.- mie, Zurigo.

Cfr. The sacred Pipe di Alce Nero, a cura di Joseph Epes Brown, Universit~ of Oklahoma Press, 1953 (trad. it., Rusconi, Milano, 1975).

XIV

1 Bibliofhèque des Philosophes Chimiques (trad. i t i t i Nicolas Flamel, Il libro delle figure geroglifiche, Ed. Mediterranee, Roiii;~. 1978 ; vcrsionc di cui, tuttavia, non ci siamo qui serviti).

Cfr. il capitolo x di questo stesso libro, u Zolfo, argento vivo C s;tlc *. 2 De la Grande Pierre des Anciens Sages, Strasburgo, 1645.

Pubblicato in Le Voile d'lsis, cit., p. 461. BibliofhPque des Philosophes Chimiques, cit. Ibidem. La porpora veniva appunto da Tiro. Bibliofhèque des Philosophes Chimiques, cit. Per vedere fino a che punto le sei fasi in questione si ritrovino co-

stantemente, in quanto fasi fondamentali, in ogni realizzazione spirituale, cfr. F. Schuon, Les Stations de la Sagesse, cit., in particolare il capitolo che porta lo stesso titolo.

XVI

Cfr. J.F. Ruska, Tabula Smaragdina, Heidelberg, 1926. Può essere interessante un confronto fra il testo della Tavola Smeraldina che cosl risulta, con la versione dall'arabo curata per la sua raccolta di Mistici del- L'Occidente da ElCmire Zolla (Rizwli, Milano, 1976, vol. I, pp. 115-117): u È vero, senza menzogna, certo e verissimo che l'inferiore è come il su- periore ed il superiore è come l'inferiore, per compiere i miracoli di una cosa unica; e come tutte le cose ebbero inizio a cominciare da uno per mediazione dell'uno, cosl tutte le cose nacquero per adattamento di quest'uno.

Suo padre è il Sole, madre la Luna, lo portò nel ventre il vento, sua nutrice è la terra; questo è il padre d'ogni talismano o consumazione del mondo intero. La sua forza è perfetta se convertita in terra.

Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, soavemente, con grande ingegno; ascende di terra in cielo, quindi cala di nuovo in terra e riceve la forza dei superi e degli inferi. Cosl hai la gloria di tutto il mondo, perciò fugge da te ogni oscurità. Questa è la fona di ogni fona, che vince ogni cosa sottile e penetra ogni cosa solida. Cosl fu creato il mondo. Di qui adattamenti meravigliosi, dei quali questo è il modo. Cosl sono chiamato Ermete Trismegisto, che ha le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Questo che ho detto è completo per quel che concerne l'operazione del Sole ».

Citato in Paul Kraus, Jdbir ibn Hayydn, I1 Cairo, 1942-1943.

Conclusione

Cfr. Eugen Herrigel (Bungaku Hakushi), Le Zen dans l'Arf chevale- resque du Tir à L'Arc, Lione, Derain, 1955 (trad. it., Lo Zen e il tiro con i'arco, Adelphi, Milano, 1972).

Bibliografia

Testi e raccolte di testi

M. Berthelot, La Chimie au Moyen Age, 1-111, Parigi, 1893. M. Berthelot, Collection des Alchimistes Grecs, 1-111, Parigi, 1887-1888. Biblioth&que des Philosophes Chimiques, I-IV, Parigi, 1741-1754. E. Darmstaedter, Die Alchemie des Geber, 1922. A.J. Festugikre, Corpus Hermeticum, I-IV, Parigi, 1945. P. Kraus, Jdbir ibn Hayydn, 1-11, I1 Cairo, 1942-1943. J.J. Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, 1-11, Ginevra, 1702. J.F. Ruska, Arabische Alchemisten, 1-11, 1924. J.F. Ruska, Tabula Smuragdina, Heidelberg, 1926. J.F. Ruska, Turba Philosophorum, 1931. Theatrum Chemicum, I-W, Strasburgo, 1659. C: d'Ygé, Nouvelle ArsembMe des Philosophes Chimiques, Parigi, 1957

e 1972.

Studi generali

M. Anime, a Notes sur l'Alchimie W , in Yoga, science de hornme intégral, Cahiers du Sud, Parigi, 1956.

M. Eliade, Forgerons et alchimistes, Parigi, 1956. J . Evola, La Tradizione Ermetica, Bari, 1931 e 1948; Roma, 1972. E.J. Holrnyard, Alchemy, Londra, 1956. E. von Lippmann, Entstehung und Ausbreitung der Alchemie, 1-11, 1919- 193'

Riediiioni di antichi testi aichemici

Akademische Druck- u. Verlagsanstalt, Graz. Archè: coliana Bibliofheca Hermetica, Milano.

Manoscritti

Ms. Latino 3236 A, Biblioteca Nazionale di Parigi. Ms. di Michael Cochem, Biblioteca Vadiana di Saint G d . Manoscritto alchemico del 1550, Biblioteca Universitaria di Basilea. Ms. Ph. 172, Biblioteca Centrale di Zurigo. Ms. Sloane 256 P, Biblioteca del British Museum di Londra. Ms. Egerton 845, Biblioteca del British Museum di Londra. Ms. 428, Biblioteca Vadiana di Saint Gall. Manoscritto delle Lettere di san Paolo, Biblioteca dell'università di Wurz-

burg. Buch der Heiligen Dreifaltigkeit, Biblioteca di Stato di Monaco.

Indice

Notizia sull'autore

Alchimia, significato e visione del mondo

In tioduzione I Le origini dell'alchimia occidentale I1 Natura e linguaggio dell'alchimia I11 La saggezza ermetica IV Spirito e materia V Pianeti e metalli VI La conversione degli elementi VI1 La u materia prima » VI11 La natura universale IX u La natura oltre la natura » X Zolfo, argento vivo e sale XI Le nozze chimiche XII Alchimia della preghiera XIII L'Athanor XIV La storia di Nicolas Flamel e della moglie Perrenelle XV Le fasi dell'opera

t XVI La Tavola Smeraldina 1 Note al testo

l Bibliografia