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Anno 1 - Numero 3 Febbraio 2013 www.tourbusmagazine.it Registrazione del tribunale di Napoli numero 6406/12 del 15/11/2012 ANTONIO ONORATO

Tour Bus Magazine - Febbraio 2013

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Tour Bus Magazine - Febbraio 2013

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ANTONIO ONORATO

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Alessandro LiccardoDirettore Editoriale, Responsabile Music Academy

Fabio D’AvinoDirettore Responsabile, Graphic designer

Numero di FEBBRAIO 2013

Hanno collaborato: Marialberta Lamberti, Salvatore De Chiara,Luca Di Lauro

Foto di copertina: per gentile concessione di Antonio Onorato

Foto p. 6: per gentile concessione di Antonio Onorato

Foto p. 7: per gentile concessione di Antonio Onorato e Roberto PanucciScatto di Roberto Panucci - Photographer: www.robertopanucci.it

Foto p. 10-11: per gentile concessione di Giuseppe Grondona

Foto p. 12: per gentile concessione di Diego Imparato

Progettazione grafica: Fabio D’Avino

Sito internet: Oriana Gaeta

I nostri Partners: Riccardo Arena, Plindo, Live to Rock, Maelstrom,Oktopus Music Agency, MusicOff - La Grande comunità online per i musicisti, Live to Rock, Rock Brootherhood, I Make Records, Abeat Press

Info e contatti: www.tourbusmagazine.it - [email protected]

Registrazione del tribunale di Napoli numero 6406/12 del 15/11/2012

Tutti i diritti sono riservati

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Ogni mese, ogni volta che ci troviamo qui, col numero quasi concluso, non possiamo fare altro che tirare le somme e riflettere, con calma, sulle esperienze che hanno contribuito ad arricchire emotivamente il nostro lavoro. Eh sì, perché di emozioni, questo mese, ne abbiamo provate tante. Basta pensare al nostro ospite nella rubrica On Stage: ANtONIO ONORAtO. Uno dei chitarristi italiani più coinvolgente degli ultimi decenni, un artista che per le ultime generazioni ha significato e significa ancora tanto. Sperimentazione e tradizione allo stesso tempo, Antonio Onorato continua ad influenzare tantissimi giovani chitarristi che si avvicinano al jazz, con il suo stile ed il suo linguaggio inconfondibile.In Back Stage abbiamo una storia diversa, la testimonianza di un musicista professionista che racconta il mondo della musica oggi e si racconta dall'alto della sua esperienza professionale e

didattica. GIuSEPPE GRONdONA, batterista italiano di grande talento, lo scorso mese è venuto in Italia per una clinic e abbiamo approfittato per fargli qualche domanda, soprattutto per approfondire l'aspetto didattico che lui stesso porta avanti in Europa come insegnante alla tech Music School di Londra.Il resto del magazine lo lascio scoprire a voi. Vi anticipo che, come sempre, nella nostra sezione Brand New ci sono interessanti novità musicali italiane da non perdere ed in Interplay continua il nostro viaggio attraverso i video più famosi della storia della musica. E, proprio in Interplay, c'è una chicca per gli appassionati del grande ANtONIO dE cuRtIS, in arte tOtÒ. Non vi resta che sfogliare il numero, buona lettura.

Fabio D’Avino

Soundcheck

SCALETTA

ON STAGE

Intervista al chitarrista Antonio ONORATO

BACK STAGE

Giuseppe GRONDONA, talento in giro per l'Europa

MUSIC ACADEMY

Tecnica ed improvvisazione con Diego ImpARATO

BRAND NEW

Il meglio della musica emergente italiana

INTERPLAY

Totò, un poeta dietro la maschera di comico20

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a cura di Alessandro Liccardo

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ANTONIO

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Tra musica e spiritualità sotto il cielo di NapoliAntonio onorAto è uno dei più conosciuti chitarristi del panorama jazzistico italiano. Dopo l’ottimo esordio solista del 1990 col disco Gaga (Nueva Records), ha saputo nel corso degli anni ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto ponendosi tra i promotori del filone etnojazz chiamato Jazz Napoletano, nel quale le influenze afroamericane si uniscono alle inflessioni mediterranee e partenopee realizzando un ibrido stilistico molto apprezzato in Italia e all’estero. Musicista appassionato ed elegante, Onorato ha a lungo fatto della sperimentazione e della ricerca artistica uno dei suoi marchi di fabbrica distinguendosi tra le altre cose per aver utilizzato in molti suoi dischi un’avveniristica chitarra a fiato, fusione futuristica di sassofono e chitarra.

Nell’intervista che ci ha rilasciato in esclusiva per TBMag, ci ha raccontato, tra le altre cose, del suo ultimo disco uscito nel 2012, del suo rapporto con la cultura dei nativi americani di cui è notoriamente un grande appassionato e della recente esperienza al fianco di PINO dANIElE che è tornato ad accompagnare in occasione degli ultimi concerti napoletani del cantautore.

Nel 2012 è uscito il tuo ultimo album dal titolo ANgeluS nel quale hai voluto omaggiare la figura di MIlES dAvIS. cosa puoi dirmi di questo disco e del tuo rapporto con Miles?

A.O. Angelus è un cd molto spirituale che contiene uno dei miei temi preferiti, “a beautiful story”, dedicato alla mia vita su questo pianeta. Io credo negli Angeli e credo che ognuno di noi abbia un Angelo custode che ti protegge quando ne hai bisogno e con il quale puoi parlare. Io a Miles, anche se purtroppo non l`ho mai conosciuto di persona, gli voglio bene come a un carissimo amico. E lo sento spesso vicino a me, che mi dà i consigli su come devo suonare. Lui è un angelo della musica. Miles “the divine”, così lo

chiamavano.

Qualche anno fa hai portato la tua musica allo storico Blue Note, il tempio del jazz di New York. che ricordi hai di quell’esperienza?

A.O. È stato molto emozionante suonare la mia musica, il mio “jazz napoletano” nel tempio mondiale del jazz. Nessun artista di Napoli era mai stato prima al Blue Note di N.Y. Ricordo che fuori nevicava, c’era un’atmosfera così suggestiva ed io ero nei camerini a specchiarmi, prima di andare in scena, nello stesso specchio dove si sono specchiati Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans. Un’esperienza incredibile e da ripetere assolutamente, visto il successo di pubblico ottenuto in quella occasione.

Sei ampiamente riconosciuto come uno dei più importanti chitarristi jazz italiani ma tra le tue influenze a volte hai citato JIMI HENdRIx. In che misura il rock ha un posto nel tuo modo di concepire la musica?

A.O. Di Jimi Hendrix mi interessa soprattutto il suo lato esoterico. Lui era in contatto sicuramente con altre dimensioni e non mi stupisce il fatto che già da

piccolo era molto interessato agli Ufo e all’ignoto. Per questo poi suonava la chitarra come un “marziano”. La musica di Jimi trascende il rock, è qualcos’altro. Sicuramente viene da altri mondi. Per questo oggi è ancora così affascinante e tutta da scoprire. Anche l’angelo Miles Davis se n’era accorto a suo tempo. Il messaggio più importante che Jimi ci ha lasciato con la sua musica, secondo me, è che non siamo soli in questo universo e che gli extraterrestri esistono davvero.

So che per te ha un ruolo molto importante la cultura dei nativi americani. da dove nasce questo tuo interesse in bilico tra spiritualità ed etnomusicologia?

A.O. Adoro da sempre la cultura dei Nativi Americani, una cultura “ecocentrica”, dove vige un grande rispetto per la natura. Siamo noi che apparteniamo alla Terra e non viceversa. E per questo dovremmo rispettarla e ringraziarla sempre. Mio padre mi ha raccontato che da piccolo mettevo sul presepe accanto ai classici pastori, i soldatini degli indiani. Adoro la loro musica, i loro flauti, i tamburi, il loro stile di vita, il loro modo di vestirsi.

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Mi suonano familiari. Quando sono stato negli States ho sentito dentro di me un forte richiamo ancestrale. Nelle mie vene scorre sicuramente anche del sangue nativo americano.

Hai recentemente condiviso di nuovo il palco con PINO dANIElE. com’è stato tornare a dividere la scena con un artista così importante nell’immaginario e nei sentimenti dei napoletani e come tu vedi oggi la situazione di una città come Napoli che ha sempre prodotto eccellenze

nell’ambito della musica e della cultura?

A.O. Pino Daniele è uno dei miei musicisti preferiti da sempre. Amo la musica di Pino ed è stata per me fonte di ispirazione. Suonare con lui è per me una grandissima gioia e un vero onore. Considero Pino Daniele un “Masaniello” dei giorni nostri e gli voglio molto bene. I concerti “Tutta nata storia” al Palapartenope sono stati un segnale molto importante che ha fatto capire a tutti che a Napoli siamo sempre una leadership per quanto riguarda la Musica

e la Cultura. Dobbiamo solo essere sempre più uniti, artisti e pubblico. Il nostro pubblico è importantissimo. La disgregazione ci ha sempre fregati a noi napoletani. Smettiamola di criticarci l’un l’altro e siamo più uniti. Appoggiamo e incoraggiamo i nostri concittadini, i nostri artisti che fanno qualcosa di buono, anziché criticarli gratuitamente o sminuire il loro onesto operato, avendo la presunzione di sapere fare sempre meglio degli altri. I nostri fratelli Nativi Americani dicono: “mitakuye oyasin”, siamo tutti collegati… siamo uno.

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Pino daniele e’ uno dei miei musicisti preferiti da sempre. la sua musica la amo ed e' stata per me fonte di ispirazione. suonare con lui e' una grandissima gioia ed un vero onore

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a cura di Alessandro Liccardo

GIUSEPPE

GRONDONA

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Talento emigrante: un batterista a LondraGiuseppe GrondonA è un batterista barese molto conosciuto dagli addetti ai lavori. Oltre ad essere al momento l’unico insegnante italiano presso la prestigiosa tech Music school di Londra, è un musicista di grande esperienza che dopo aver a lungo lavorato come professionista in Italia (tormento, Al Castellana, etc.), ha come molti tentato la via dell’espatrio trasferendosi nella capitale inglese dove oggi vive ed è molto attivo come batterista ed insegnante.

Autore di un blog molto seguito nel quale mette a disposizione dei lettori italiani la sua prospettiva ed esperienza internazionale, l’abbiamo incontrato recentemente in occasione di una clinic che ha tenuto a Napoli ed abbiamo colto l’occasione per raccogliere la sua testimonianza che siamo certi tornerà utile a molti.

Giuseppe, vivi a londra oramai da molti anni. Quali sono le differenze sostanziali tra l’essere un professionista della musica in Italia e in Inghilterra?

G.G. La differenza più grande la riscontro nelle reali

possibilità lavorative che i musicisti hanno nelle due diverse nazioni. L'industria musicale italiana opera, a mio parere, prettamente entro i confini nazionali e per un audience ben più circoscritto. Sembra essere molto più concentrata sulla promozione di singoli cantanti piuttosto che di band, limitando il ruolo dei musicisti a quello di comparsa, non dando loro la possibilità di partecipare attivamente al processo compositivo e di riscuotere quindi i diritti dei brani realizzati.A meno che non si riesca a far parte delle poche band prodotte o non si voglia lavorare in tribute band, l’unico modo per accedere al mercato del lavoro in Italia è dunque fare session con uno dei

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tanti cantanti. Tuttavia sappiamo benissimo quanto sia difficile vincere la concorrenza, soprattutto ad alti livelli, di quella ristretta cerchia di celebri “turnisti” nostrani.Il “music business” britannico punta invece da sempre ad un mercato più globale, contemporaneo, investe molto sulla formazione ed è sempre alla ricerca di nuove band e artisti da promuovere creando maggiori ed effettive possibilità d'impiego per i musicisti. Recentemente grazie ad Adele, Mumford & Sons e Marsha Ambrosius in cima alla classifica degli Stati Uniti, gli artisti britannici rappresentano ad oggi il 12% del mercato musicale mondiale. Un'altra sostanziale differenza tra i due Paesi è rintracciabile nella grande domanda e conseguente ampia offerta di musica live. Nel Regno Unito, sopratutto a Londra e a Manchester, esiste una vera e propria cultura dell'ascolto di concerti dal vivo. La richiesta di esibizioni e performance non solo è sempre molto alta, ma la possibilità di fruirne è anche favorita da serie politiche culturali che agevolano, detassandoli, pub e locali con

programmazioni di eventi live.

una parte fondamentale della tua attività come professionista in Inghilterra è rappresentata dalla didattica che in scuole di grande prestigio internazionale come la tech Music School dove insegni viene interpretata in una chiave molto diversa dalle metodologie istituzionali dei conservatori a cui siamo abituati. In cosa consiste questo approccio diverso?

G.G. Premetto che la formazione della Tech Music School è basata sulla Popular Music e di conseguenza opera in un settore molto diverso rispetto ai Conservatori italiani.Il metodo “anglosassone” della TMS è molto pragmatico, diretto e mirato. Conoscendo molto bene le esigenze del mercato contemporaneo poniamo lo studente nelle condizioni di essere preparato, competitivo e di possedere tutte le competenze necessarie per essere un professionista del settore, sia se si voglia intraprendere una carriera di session musician o di solo artist.

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Attraverso classi di live performance, esibizioni in gruppo, la TMS offre ai suoi alunni la possibilità di confrontarsi ed abituarsi a contesti e situazioni del mondo reale, puntando a formare non solo strumentisti capaci, ma musicisti completi.Il miglior testimonial della validità del metodo e dell’approccio TMS, collaudato da quasi 30 anni, è rappresentato dall’alto numero di studenti di successo che hanno suonato e suonano con nomi prestigiosi come RADIOheAD, The CuRe, MASSIve ATTACk, ADele e BjORk.

Quali consigli ti sentiresti di dare ai giovani che vogliono intraprendere la strada della musica per farne una carriera professionale?

G.G. Essere curiosi: la curiosità nell'arte è tutto, ti spinge sia alla ricerca interiore che alla scoperta del mondo.Essere preparati: Imparare quanti più linguaggi musicali possibili, senza fermarsi al “paradiddle” o alla scala relativa, ma approfondendone storia e cultura. Questo aspetto è fondamentale soprattutto se si vuole allargare il campo d'azione e le possibilità lavorative. Essere pronti a correre dei rischi: se ricercate stabilità, se non siete pronti a distaccarvi dal vostro territorio ed affrontare una sfida più ampia, forse non siete tagliati per questa professione.

In una chiave invece più strettamente batteristica, quali ritieni siano i requisiti necessari oggi per chi vuole intraprendere il "mestiere" di batterista?

G.G. Gli elementi più importanti che portano un batterista ad essere più richiesto di altri possono essere identificati in tre punti chiave: Tempo - Feel - Suono.Tempo: possedere un solido senso del tempo, con e senza il metronomo, ed essere in grado di interpretarlo. Feel: suonare ogni stile con il giusto atteggiamento e la corretta intenzione. Suono: capire le molteplici possibilità sonore del kit e il loro utilizzo per ogni stile e dinamica.Inoltre è fondamentale conoscere ed interpretare con autenticità gli stili più importanti con relativi grooves e vocabolari, non meno che avere una visione più ampia del far musica senza limitarsi alla sola parte tecnica del proprio strumento.

Quali sono i tuoi progetti al momento a londra e a cosa stai lavorando per il futuro?

G.G. Oltre al mio ruolo di docente, al momento sono molto impegnato in veste di referente Tech per l'Italia e questo mi porta a realizzare clinics ed incontri con scuole e istituzioni italiane.Seguo, da ormai un anno, un mio progetto nella rete dedicato alla batteria e a tutta la musica black cercando di portare ai musicisti italiani novità ed informazioni difficilmente reperibili in Italia.attraverso il mio blog. Ho appena terminato la registrazione di due album e sono veramente soddisfatto del risultato, a breve news e dettagli.In tema di soddisfazioni, recentemente ho avviato una collaborazione come endorser della Vibe Drum, strumenti fantastici e made in Italy.

Per fare il musicista bisogna essere pronti a prendersi dei rischi: se ricercate stabilita' e non affrontate sfide forse non siete tagliati per questa professione

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a cura di Alessandro Liccardo

Classe 1987, dopo il diploma in chitarra alla tEcH MuSIc ScHOOl di Londra rientra in Italia dove è molto attivo come session player in ambito pop, rock e jazz. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo

disco fusion dal titolo MAIN StREEt PROJEct. Si occupa da anni di insegnamento collaborando con diverse scuole italiane. Maggiori info su www.alessandroliccardo.com.

MUSIC

ACADEMY

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Tecnica ed improvvisazione con Diego IMPARATOQuesto mese ospitiamo per la rubrica Music Academy un musicista di straordinario talento e grande amico di tBMag: dieGo iMpArAto. Bassista, contrabbassista ed autore di un disco molto interessante dal titolo 70’s soundtrack (Widesound), Diego ha vinto nel 2006 il prestigioso european Bass day. Musicista versatile dotato di grande tecnica e sensibilità tra jazz, funky e fusion, ricercato turnista regolarmente al fianco di alcuni tra i più importanti nomi del panorama jazzistico italiano (Marco Zurzolo, Antonio Onorato, Luca Aquino, Fabrizio Bosso, Daniele Scannapieco, Joe Amoruso, etc.) ed internazionale (Omar Sosa, Kandace Lindsey, Michael Baker), da sempre Diego Imparato affianca ai suoi impegni come musicista, una prolifica attività didattica. Questo mese ci ha regalato alcuni interessanti suggerimenti per praticare la nostra tecnica e trarne utili vantaggi anche in fase improvvisativa. Gli esercizi proposti in chiave di Fa, possono facilmente essere trasposti in chiave di violino per diventare parte integrante della routine di studio anche dei non bassisti.

D.I. Illustriamo di seguito un importante esercizio che oltre ad essere tecnicamente formativo è anche un utile supporto per patterns improvvisativi.Dato per scontato che si conoscano i modi della scala maggiore, andremo ad eseguire le triadi su ciascun grado attivo o reale di un singolo accordo.

Partiamo dall’accordo di Do maggiore suonando la triade di Do (Do, Mi, Sol).Successivamente costruiamo anche le triadi sugli altri gradi (Mi e Sol) ottenendo così una triade minore (Mi) ed una maggiore (Sol).Entriamo nel dettaglio illustrando l’esercizio che dovrà essere suonato in terzine d’ottavi in modo orizzontale.

ScHEMA NuMERO 1

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music academy

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ScHEMA NuMERO 2 (vARIANtE cON lA RIBAttutA Sul QuINtO GRAdO, ES. IN dO)

LeGendA1, 2, 3, 4 = indice, medio, anulare, mignolo (mano sx)+ = spostamento in avanti- = spostamento indietro I, II, III, IV = corde Sol, Re, La, Mi

Marvit Diego iMparato Signature BaSSDal 2011 Diego imparato collabora col chitarrista blues gennaro porcelli (edoardo Bennato, Highway 61, etc.) e proprio come l’axeman campano, è entrato a far parte della famiglia Marvit, una realtà liuteristica di grande qualità e stile, che gli ha recentemente dedicato uno strumento costruito sulle sue specifiche. Il Marvit D.I. Signature disponibile nell’elegante finitura blue con venature scure, ha il corpo in frassino (swamp ash), manico in acero avvitato e tastiera in palissandro con tasti jumbo sui quali è stato intarsiato il logo a forma di ariete stilizzato al posto dei classici pallini segnatasti. Diego ha scelto per il suo modello due humbucker Seymour Duncan (SMB-5A e SMD-5D) funzionanti in configurazione sia attiva che passiva, meccaniche e ponte Schaller. il basso molto leggero nonostante il frassino del corpo privo di camere tonali, monta di serie un bel preamp a tre bande della aguilar. uno strumento di grande liuteria italiana che merita senza dubbio più che una prova.

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a cura della Redazione

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NEW

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Back Crawl, "A Dorso" nella musica

I BAck cRAwl, con Dario Ghiggi alla voce e alla chitarra, Davide Fisciano alla batteria e Federico Nisci al basso, sono un'esplosiva rock band napoletana dalle influenze grunge. Stanco della realtà musicale partenopea, in cui la gran parte dei locali propone quasi sempre cover, il trio decide di mettere su un progetto inedito nel gennaio del 2012. I tre musicisti non amano etichettarsi né definirsi una band emergente, ma, per loro stessa ammissione, Sono "degli 'infrevoni' ('rosiconi' per il resto d'Italia)" e "tutto ciò si traduce, nella vita in generale, in denuncia, e in distorsione e rozzezza nella loro musica". Il loro primo Ep, A Dorso, uscito nell'ottobre 2012, ne è la dimostrazione. Una band caratterizzata solo dalla voglia di far musica, di impegnarsi in qualcosa in cui si crede, ma anche di divertirsi, sebbene in un contesto in cui proporre alcuni generi sia diventato sempre più difficile. Altrove, uno dei singoli contenuti nell'Ep, parla proprio della voglia di evadere da questo tipo di realtà. Per saperne di più: http://www.myspace.com/backcrawl.

Il loro primo EP"A dorso" è uscito

ad ottobre 2012

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brand new

chi sono i Sonatin for a Jazz Funeral? come nascono e perché questo nome?

“I Sonatin sono un quartetto Alternative da e con le influenze più svariate (dal Jazz al Funky, dal Progressive all’Indie e così via), sebbene sia davvero molto difficile per noi definirci ed etichettarci. La musica è per noi il risultato di un lavoro interno, di mente e anima, ed è complicato sapere da dove si parte e dove si arriverà. Fondati nel 2010, la band è composta da me alla voce, al flauto e alla chitarra ritmica, Pierluigi Patitucci al basso, Maurizio Milano alla batteria e Gen Cotena alla chitarra solista. Il nome, in parte, prende ispirazione da un film del regista giapponese Kitano, diviso in tre parti, proprio come la forma compositiva della sonatina, mentre l’aggiunta “Jazz funeral” vuole riferirsi al modo in cui si celebrano i funerali a New Orleans, commemorando la scomparsa non con una marcia funebre, bensì in maniera allegra e festosa, perché si pensa che l’anima del defunto andrà in un posto migliore”.

Autoproduttori di un Ep di cinque brani. di cosa si tratta?

“Sì, nel 2010 abbiamo autoprodotto e autopromosso un Ep di cinque pezzi che ci ha consentito di girare e suonare molto. Il lavoro è il frutto di tutte le nostre esperienze musicali e di vita, perché la musica è anche raccontarsi. A questo proposito ricordo che da pochi giorni, il 5 febbraio, è uscito il nostro primo video. Il brano in questione si

chiama Rise up e alla base dello stesso c’è proprio l’idea della volontà di un risorgere, un impegnarsi sia nella dimensione personale che in quella collettiva”.

I riscontri col pubblico campano e non solo. Quali le vostre soddisfazioni maggiori?

“Il pubblico ha risposto molto bene, soprattutto quello campano, avendo suonato essenzialmente nella nostra regione. L’offerta è tanta e bisognerebbe che ci fosse una maggiore coordinazione tra musicisti, magari fondando delle cooperazioni per collaborare piuttosto che sgomitare. In ogni caso suonare tanto e farsi ascoltare da persone che non fanno già parte del tuo seguito è già una grande soddisfazione.

Progetti futuri? Quali le vostre aspirazioni maggiori?

“Per marzo è prevista l’uscita del nostro primo album che sarà il frutto di letture, approfondimenti musicali e letterari ed esperienze personali, insomma tutto ciò che ci ha caratterizzato nel corso di questi due anni insieme.Sicuramente il lavoro fonderà tematiche appartenenti sia all’oriente che all’occidente, dall’America del Jazz fino al Giappone, perché è proprio questo uno degli aspetti che maggiormente ci caratterizza, a partire dal nome. Per il resto ci auguriamo di continuare a lavorare come artigiani della musica, con gioia e onestà, dando al nostro album la giusta visibilità in Italia e altrove”.

Marialberta lamberti

La musica dei SONAtIN FOR A JAzz FuNERAl è diretta come una parola ben espressa, senza inutili discorsi prolissi o virtuosismi tecnici. Probabilmente, è questo uno dei loro punti chiave. E Rise up, il loro nuovo clip realizzato dal team dei Tippin’ The Velvet, non è da meno, rispettando in pieno il loro spirito musicale. Nulla di complesso:

la band suona in una palestra scolastica chiusa, mentre il frontman si esprime agendo all’interno di una classe. Ampio spazio alle immagini con i componenti della band liberi di muoversi in ambienti vasti e vacanti, lasciando scorrere le note in totale agiatezza, senza preoccuparsi di non prendersi troppo sul serio, ironizzando anche suonando note in

tonalità minore. Strizzando l’occhio ai POlIcE (date un’occhiata al video di Dont’ Stand so Close to Me), i SFAJF si concedono il piacere di uno scherzo visivo, arricchito comunque dalla buona alternanza di campi lunghissimi, totali e dettagli, oltre a piacevoli giochi di luce, che fanno da ciliegina sulla torta. Una torta ben espressa.

RISE UP, il video a cura di Salvatore de chiara

Sonatin for a Jazz Funeral: incontro con Luigi Impagliazzo

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a cura della Redazione

INTERPLAY

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Totò, un poeta dietro la maschera di comicoNel 115° anniversario della sua nascita, noi di tBMag vogliamo ricordare Antonio de Curtis, e lo faremo attraverso la sua opera di autore, poeta e, perché no, cantante. Del resto, il celebre attore napoletano incarna in sé la perfetta figura dell’artista poliedrico.

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Innumerevoli sono le poesie e le canzoni depositate alla SIAE a nome di Antonio de Curtis, ed è proprio nel suo lavoro di autore che si può scrutare quell’aurea di semplicità degna di un poeta di modeste origini che assurge alla totale emancipazione artistica.Margherita (1935), la Mazurka di Totò (1949), Carme’… Carme’ (1953), Miss… Mia Cara Miss (1958), sono brani che fondono la dirompente comicità di Totò con la passione di liriche che parlano d’amore. L’amore ormai finito per Margherita, “Ah! Se ne andò senza un addio, senza dire me ne vò. Ah! disprezzando l’amor mio Margherita si squagliò. So che chi parte senza dire addio è scostumata ma, se poi ritornerà, eh! sai che felicità!...Margherita, Margherita sei stata il tormento della mia vita non tornare per carità, per carità, per carità, io te lo dico piangendo, piangendo: Margherita, non ritornare!”.Il brano è interpretato da Totò nel film L’allegro fantasma (1940), un saliscendi burlesco che strizza l’occhio al teatro, con le tipiche gag dell’artista partenopeo che si fondono con l’impostazione recitativa dei grandi dell’Opera Italiana. Vedere per credere.L’amore per le donne, “Carme’… Carme’ tu sola nun ma basta, ma ce ne vonno tre!”,

il colpo di fulmine e la voglia di focolare, “La incontrai per caso a Messina, proveniva da Canicattì, prese posto sulla littorina che partiva gremita quel dì. Al mio sguardo, ben chiaro e palese, sorridendo rispose di sì. Allora io, col mio nobile inglese, sottovoce le dissi così: […] Miss, mia cara Miss, faccio a scummessa ‘ca io mi sposo a ‘tte. Miss, mia dolce Miss,io voglio il bis e tu già sai di che” ed ancora “Sogna di una casetta e un bel chiaro di luna, sogna un bel pupo biondo o una bambola bruna”.E poi c’è l’amore nella sua forma più aulica, in Core Analfabeta (1955, interpretata nel film Siamo uomini o caporali) la lingua napoletana diviene il mezzo più naturale per poter comunicare alla propria amata che “Stu core analfabeta te’lle purtato a scola, e s’è mparato a scrivere, e s’è mparato a lleggere sultanto ‘na parola, Ammore e niente cciù”. La dedica di un uomo comune ad una donna inarrivabile, una donna che, nonostante gli stenti condivisi durante la prigionia nazista, nonostante l’aiuto e gli insegnamenti che Totò le donerà, non ricambierà mai il suo amore.Questa appassionata interpretazione non è un caso isolato, Totò eleva la figura femminile a musa ispiratrice, croce e delizia della propria esistenza, una vita costellata

da grandi amori, delusioni e presunte relazioni.Proprio su di una presunta relazione si snoda l’intera storia discografica del brano più celebre del Principe de Curtis, Malafemmena. Per molti anni si è ritenuta fondata la voce che la Malafemmena in questione fosse la splendida Silvana Pampanini, rea di aver rifiutato di sposare Totò (i due si conobbero sul set del film 47 Morto Che Parla). In realtà il brano fu scritto per Diana, ex moglie di Totò, che non mantenne la promessa di continuare a vivere sotto lo stesso tetto coniugale, fino al diciottesimo compleanno della figlia Liliana.Emblematica e chiarificatrice è la dedica apposta sullo spartito deposito alla SIAE nel 1951: “Dedicata a te Diana, la mia Minuzzi”.Totò è il simbolo della napoletanità, sempre accorto alle proprie origini (ogni volta che poteva, di notte, si faceva accompagnare dal suo autista all’ingresso del Rione Sanità e lì, proseguendo a piedi, era solito lasciare del denaro sotto le porte della povera gente), così legato alla sua terra che, anche in punto di morte, rivolgendosi ad Eduardo Clemente, suo cugino, disse: “Eduà, mi raccomando quella promessa, portami a Napoli”.

luca Di lauro

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Il rock ha avuto alti e bassi, punte estreme, componenti sotterranei ed alternativi, mainstream puro, personaggi sottovalutati o troppo adorati. A volte sono spuntati fuori i geni. David Byrne è assolutamente parte essenziale di quest’ultima categoria. Personalità dalla cultura aperta ed estesa, nei ’70 decide di mettere in piedi un quartetto che diventerà celebre per quasi un ventennio, i TALKING HEADS, che si scioglieranno, forse, troppo presto all’inizio degli anni ’90, lasciando comunque un’eredità musicale infinita e fertile. Infatti, i Talking Heads (David Byrne, Jerry Harrison, Chris Frantz e Tina Weymouth) sono stati tra i più influenti gruppi rock new wave, mescolando le melodie acustiche ed apparentemente semplici degli esordi con una potente contaminazione di generi, che hanno spaziato dalla world alla techno. La contaminazione esplode col loro quarto album, Remain in Light, uscito nel 1980: otto tracce che saranno rimasticate in centinaia di versioni, e che vede come pezzo di punta ONCE IN A LIfETIME, dai ritmi sconnessi colmi di tonalità maggiori, un bagno etnico di suoni che lasciano di stucco il pubblico, riscontrando però un enorme successo. Merito dei consensi crescenti di anno in anno, e grazie al suo continuo inserimento in colonne sonore per film, trailer e spot. E merito anche del relativo video. Diretto dallo stesso Byrne, con la co-regia di Toni Basil (pseudonimo di Antonia Christina Basilotta, musicista, coreografa ed attrice originaria di Philadelphia), il clip mostra un David Byrne impegnato in danze elementari che rimandano ai movimenti delle marionette, ai rituali di alcune popolazioni (la contaminazione) e ai movimenti tipici di alcuni soggetti affetti da epilessia. Il tutto con effetti pionieristici del green screen. Un lavoro che a distanza di più di trent’anni mantiene intatti la sua freschezza, il brio e l’originalità, vale a dire alcuni degli elementi tipici del gruppo statunitense. La semplicità è sempre un’arma unica e da non sottovalutare: che ci crediate o no, il video di Once in a lifetime, che oggi potrebbe apparire anche fin troppo esile agli occhi degli inesperti, è esposto al Museum of Modern Art di New York. E poi dicono che il rock non è arte…

a cura di Salvatore De Chiara

ONCE IN A LIFETIMEARtIStA: Talking heads

REGIA: David Byrne, Toni Basil ANNO: 1981

“Signori si nasce, ed io lo nacqui modestamente!”.Con questa celebre affermazione, Antonio De Curtis, sottolineava quella che, probabilmente, fu la sua più grande ossessione: la Nobiltà.Nato nel quartiere Stella, più comunemente conosciuto come Rione Sanità, Totò visse la sua gioventù nella povertà. Parafrasando una celebre commedia di Eduardo De Filippo, riportata al cinema proprio da Totò, nella Miseria e Nobiltà visse i suoi giorni, lottando per quel titolo nobiliare che, a suo dire, gli spettava di diritto.Nel 1933 fu adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, ed anni dopo, grazie a svariate battaglie legali, riuscì nel suo intento, ottenendo i titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.Eppure, ciò che forse il buon Antonio non sapeva, è che lo era nobile, lo era per Napoli e per i napoletani e lo divenne, dopo la sua morte, per il mondo intero. Antonio De Curtis, in arte Totò o, semplicemente, Il Principe della risata.

Luca Di Lauro

Antonio de curtis,Il principe povero

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