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Tutto il peso della liberta

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Di Massimo Spadetto

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anime

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©2013 by Massimo Spadetto©2013 by Enjoy Edizioni

Enjoy Edizioni srlStrada Comunale Corti, 56

31100 trevisowww.enjoyedizioni.it

[email protected]

copertinaMarianna Pescosta & Stefano Pescosta

fotografia dell’autoreMonica Bisigato

grafica & impaginazioneSandro Berra

Prima edizione: novembre 2013Tutti i diritti riservati

isbn 978-88-96900-11-6

Massimo SpadettoTutto il peso della Libertà

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Massimo Spadetto

Tutto il pesodella Libertà

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a mia Figlia AuroraFrancescache più d’ogni altro maestro

mi ha insegnato l’arte della Vita

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Io non ho mai imparato nulla. Continuo semplicemente a fare con naturalezza qualsiasi cosa mi sento di fare. Qualsiasi cosa devo dire, la dico, perché non ho alcun obbligo verso nessuno, e non ho alcun impegno con nessuno. Non appartengo ad alcun partito. Sono assolutamente libero di essere divertente, scioccan-te. Non mi preoccupo neppure di contraddirmi perché, a mio avviso, se un uomo resta coerente per tutta la sua vita, dev’essere un idiota. Una persona che cresce, deve contraddirsi molte volte: chi può dire cosa porta il domani? Il domani potrebbe annullare completamente l’oggi. E io sono pronto ad accompagnarmi alla vita senza alcuna esitazione.

Chandra Mohan Jain, Osho

Intro

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Intorno al ritorno…

Ushuaia/Milano

Pur convinto che ogni cosa, intesa come oggetto, abbia un’a-nima, odio quasi tutti i mezzi meccanici che talvolta, per loro natura e a sorpresa, sfuggono al controllo umano. Sí, certo, il mio Patrol gr lo adoro in quanto mio prolungamento extra-corporeo, il mio singhiozzante generatore Briggs & Stratton lo amo perché mi da la luce; ma il resto della meccanica lo considero un semplice mezzo di cui servirsi senza pietà.

Tra questi mezzi apparentemente inanimati, dandone l’opportuna fiducia e credito, uno su tutti occupa un posto speciale nella mia fredda classifica: l’aereo. La sua magia sta nella sorprendente e comoda velocità; nel tempo di un sogno lui copre distanze oceaniche coccolandoti, di tanto in tanto, con qualche turbolenza che concilia il sonno.

Nora mi sveglia stringendomi la mano, a lei non piac-ciono particolarmente le effusioni d’Amore troppo audaci in pubblico, e con un lieve sussurro, come a non volermi troppo disturbare, mi avvisa che il comandante ha appena raccomandato di indossare le cinture di sicurezza in quanto in procinto di affrontare la manovra di atterraggio sull’aero-porto di Malpensa.

Milano è sotto di noi e io fantastico, ancora in dormive-glia, di aprire il portellone dell’aereo per svuotarci sopra la mia vescica.

Ed ecco giusta la mia punizione per aver pensato una cosa simile: fino allo sbarco me la devo trattenere!

Mi raddrizzo lo schienale della poltrona e ancora mezzo intontito cerco ovunque la mia cintura di sicurezza, incro-

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ciando il mio sguardo interrogativo con quello imbronciato di Nora che mi redarguisce.

– Lo sai che hai dormito per più di sette ore? Sei un pessi-mo compagno di viaggio!

Con l’incoscienza del mezzo addormentato le rispondo facendo spallucce: – Tu dici? Altri direbbero lo stesso se mi fossi agitato come un gatto in gabbia per quasi dodici ore… questioni di punti di vista – sfoderandole un sorriso alla Jack Nicholson.

Anche lei ricambia il mio sarcastico sorrisino ma aggiun-gendo una dolorosa gomitata tra le mie costole… Adoro que-sta Donna!

Atterraggio dolce ma per quanto tale fa sobbalzare il mio povero ventre, al limite dell’esplosione, facendomi emettere un rantolo simil pre-mortem.

Avviso tempestivamente Nora di questo mio problema per non preoccuparla troppo e non appena l’aereo si ferma mi lancio verso l’uscita. Ritroverò Nora all’attesa bagagli la quale accompagna la mia felice uscita dal bagno con un sor-riso di soddisfazione quasi pari al mio.

Tra pochi minuti le nostre narici saranno pervase dall’o-lezzo nauseabondo dello smog milanese, cosí tuffo il mio naso tra i capelli della mia Donna per cercare di mantenere almeno il ricordo di un buon odore e usciamo in cerca di un taxi.

Quaranta minuti, settantacinque euri ed entriamo in una nube di ossido di carbonio, gratuitamente.

Come già detto in passato… Milano è sempre Milano!

a presto

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…in hotel

Milano

Alla reception dell’hotel, prenotato prima di partire sce-gliendolo accuratamente tra i mille disponibili, mi aspetto lo stesso trattamento ricevuto in Ushuaia al mio arrivo, visto il passaporto diplomatico in mio possesso, e invece la receptio-nist di mezza età e anche un pochino glaciale, mi sfodera un benvenuto finto come una borsa di Louis Vuitton acquistata sulla spiaggia di Fregene.

Pertanto rinuncio volentieri ai convenevoli di rito e mi faccio consegnare la tessera magnetica che tra poco aprirà la porta della nostra camera.

Mentre ci incamminiamo verso l’ascensore, Nora si volta più volte come per controllare se qualcuno ci stesse seguendo.

– Che c’è, Nora? La interrogo curioso cercando di sistemare alla meglio i

nostri bagagli in un ascensore nel quale si potrebbe agevol-mente parcheggiare il mio Nissan Patrol gr.

– Niente, niente, aspettavo che qualcuno ci venisse ad aprire la porta della camera visto che alla reception non ti hanno dato la chiave, te ne sei accorto? Ma forse c’è già qual-cuno di sopra che ci aspetta; hai spiccioli per la mancia, vero?

Sorrido ma senza metterla in imbarazzo e le mostro la tessera spiegandole che in questi nuovi hotel non ci sono più le chiavi metalliche ad aprire le porte. Meravigliata da questa pillola tecnologica, me la prende dalle mani e la rigira nelle sue un paio di volte cercando di indovinare quale potrebbe essere l’arcano meccanismo che la faccia funzionare.

La sua spontanea e meravigliata curiosità mi spinge a

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pensare quante siano le cose che ancora non conosciamo.Con un velo di rammarico scopriamo che, nonostante la

tecnologia di cui è dotata, la camera è la metà di quella vista in internet quando la prenotammo.

Alcune domande a questo punto mi sorgono spontanee: perché l’ascensore è più spazioso di questa camera? Perché cazzo ci si ostina a mostrare ciò che non è? Quale legge com-merciale obbliga chi vende a falsare a tal punto la verità pur di accaparrarsi un cliente? Una volta i fotografi erano lo spec-chio di una realtà che non potevi vedere dal vivo, perché ora stravolgono una scena, un oggetto o in questo caso un am-biente? Dio denaro è forse il minimo comune denominatore?

Mentre la mia mente elucubra le solite domande in me-todo tutt’altro che socratico, Nora, sbuffando, si sta già spo-gliando per mettersi sotto una doccia calda. Ammirare le sue forme lievi, il suo slancio snello nel togliersi i jeans insieme alle scarpe, lo sciogliere i capelli che riprendono il loro ric-ciuto volume, mi fa dimenticare che tra il letto e le pareti non c’è spazio nemmeno per infilarci una valigia. Lei, ogni suo gesto, ogni più piccolo movimento apparentemente usuale, mi svuota la mente e mi riempie i sensi. Lascio cadere a terra valigie e bagagli vari e in un lampo la raggiungo in doccia mandando cordialmente affanculo il padrone dell’hotel.

a presto

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Ma prima di partire…

Ushuaia

Il giorno prima di affrontare il mio ritorno in madre patria, che ormai considero tale ben poco, invito Cisco a venire da me per un corso accelerato di Skype e per consegnargli le chiavi della mia legnaia. Mentre mi preoccupo poco per la seconda, so già che stenterò a riconoscere casa mia al ritorno, sento impellente la necessità di impartirgli una più che istrut-tiva lezione sul funzionamento del «telefono gratis». Cisco, nonostante tutto, è molto sveglio e intelligente, quindi so che in capo a mezz’ora sarò riuscito nel mio intento, cosí di tanto in tanto, tramite lui, potrò stare in contatto col mio mondo senza gravare sulle mie esigue finanze. Mentre lo attendo nel-la sua impossibile puntualità, penso a quanto mi mancherà un suo abbraccio, una sua risata o una sua manata sulla spal-la. Mi rassereno sapendo che sarà solo questione di tempo e che con Skype potrò comunque sorbirmi felicemente tutte le sue follie durante la nostra distanza fisica.

Ma dalla finestra della mia legnaia lo vedo scendere dalla sua auto con un sacco gigante di tortillas e quattro birre Im-perial… e tanti saluti al corso accelerato.

– Hola, Drugo! Ho pensato che siccome mi farai due palle cosí finché non imparo ciò che hai da insegnarmi, mi sono portato la merendina come a scuola!

Ride di una battuta che stento a ritenere cosí spiritosa ma la sua risata mi contagia in quanto tale e rido anch’io.

– Allora sarà meglio metterci al lavoro e rimandare i fe-steggiamenti a quando avrai capito bene come funziona que-sto coso.

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Lo redarguisco amichevolmente ma lo spegnersi del suo sorriso mi lascia alquanto perplesso sulla sua volontà di ap-prendere questa lezione che, a quanto pare, è importante solo per me.

Avendo già impostato, prima del suo arrivo, tutto quanto a lui già noto, come previsto, in poco più di mezz’ora, rie-sco a fargli capire il minimo indispensabile e, per testarlo, gli chiedo di mettere in atto le sue nozioni chiamando Nora la quale, già da me precedentemente allertata, è davanti al suo pc, a casa sua.

– Hola, Nora! Sono Cisco e ti sto chiamando con Skype dalla legnaia di Max!

– Hola, Cisco! Lo so, ti vedo!Lui guarda istintivamente fuori dalle mie finestre per in-

crociare il suo sguardo.Perfetto! Non ha ancora capito a cosa serve la webcam…

siamo proprio presi bene!Mi guarda interrogativo e io gli indico, rassegnato, la pic-

cola telecamera sopra il monitor. Nel frattempo Nora ride a crepapelle e io mal dissimulo serietà da maestro.

A bassa voce tentando di non farsi capire da Nora: – Dru-go! Pensavo che solo io potessi vederla.

A questo punto Nora, che nonostante il suo tentativo di bisbiglio, ha capito tutto, è quasi in lacrime.

Lui, quasi offeso, cerca di dare un tono semiserio alla con-versazione: – Stiamo facendo delle prove, mi senti bene? – a quanto pare anche troppo. – Mi vedi bene?

Sospetto già la risposta di Nora.– Sí, Cisco, in webcam sei più bello che dal vivo, sai?Dopo ciò che era appena successo, una bomba di questa

portata il mio Amico non se la meritava, cosí prendo le redini e taglio corto prima che Cisco mandi affanculo la mia Donna.

– Ok, Nora, prova eseguita con successo, grazie. Ci vedia-mo stasera.

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Ricevuti i suoi frettolosi saluti per entrambi, riattacco e senza dir nulla a Cisco, mi precipito verso il frigo per estrarne le birre ghiacciate.

È giusto festeggiare un simile evento e le due birre ridan-no anche il buon umore a Cisco che con un sorriso since-ro, prima di congedarsi da me, mi abbraccia e mi dice: – Mi mancherai, Amico mio.

Non posso che rispondergli con la stessa sincerità: – An-che tu mi mancherai, Fratello.

a presto

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Thinking, walking

Milano

Finita la doccia, Nora mostra tutta la sua stanchezza con uno sbadiglio da leonessa e, dopo qualche coccola, quasi sviene tra le mie braccia. Si addormenta poco prima che il mio braccio sinistro, sotto la sua testa, vada in cancrena per mancanza di sangue. Per quanto mi riguarda, ho già dormito a sufficienza in aereo e ho tutto tranne che sonno. Scrivo un biglietto a Nora giustificandole la mia assenza in caso si svegli prima del mio ritorno, mi vesto, lascio il foglietto sul suo comodino e scendo.

Passeggiare per Milano di notte allunga incredibilmente le distanze; di giorno il traffico caotico e le migliaia di perso-ne che affollano i marciapiedi un poco ti distraggono: un bel sedere dentro un paio di attillatissimi jeans, un tipo buffo che fa il mimo all’angolo della strada, studenti chiassosi, turisti che scattano foto anche al cielo grigio, e il tempo per percor-rere un paio di chilometri passa in un attimo.

Di notte l’unica cosa che puoi e devi guardare è alle tue spalle.

Ma ciò che più pesa è che per fare qualche chilometro ti sembra di impiegarci un tempo infinito.

Cosí cammino senza una meta precisa cercando di man-tenermi su vie abbastanza battute. Mi accendo una Camel e malinconicamente cerco di riconoscere luoghi a me familiari di qualche anno addietro.

Secondo me Milano cento anni fa era come oggi e come sarà tra cent’anni: sempre uguale.

Mentalmente cerco di organizzare i miei prossimi giorni

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ma l’unico appuntamento che intasa i miei pensieri è quello con mio figlio. Praticamente non sa nemmeno chi io sia e io che continuo a sognare la stessa scena: mi vede, mi corre incontro, mi butta le braccia al collo e mi dice: – Ciao, Papà.

Questo sogno è la frustrazione scaturita dalla consape-volezza di essere stato un pessimo padre, anzi, di non essere stato un padre per niente. I sensi di colpa fanno capolino e toccandomi il cuore fanno rimbombare di sordi battiti tutto il mio petto, arrivando fino alle orecchie che ronzano come un calabrone nella silenziosa canicola estiva. Avrò l’occasione per recuperare il tempo perso? Mi verrà data la possibilità di riconquistare la fiducia di mio figlio? Ma soprattutto, riusci-rò a riconoscerlo quando mi si presenterà davanti agli occhi? Le mie solite domande senza risposta. Ho la gola secca per quest’ansia, cosí mi butto dentro il primo bar ancora aperto per una fresca birra ristoratrice.

Due avventori: io e un barbone seduto in un angolo del bar con lo sguardo nel vuoto. Il barista, un anziano signore con un baffo da concorso, mi guarda mentre strofina con uno straccio il bancone quasi consumato dalle sue inutili pulizie. È lindo come una tavola in sala operatoria, che cazzo pulisce? Forzando un sorriso chiedo una birra e lui, senza darmi alcun cenno, si china per aprire la porta cigolante di un frigo sotto il bancone. Non ha voglia di chiedermi che birra preferisco, cosí prende la prima che gli capita in mano, per fortuna Mo-retti, e, stappandola, la appoggia davanti a me. A questo pun-to chiedergli un bicchiere mi sembra troppo. Dopo tre sorsi in apnea, tiro un sospiro e mi giro per guardare il barbone. Mi sorride senza aprir bocca e senza togliere lo sguardo dalla mia bottiglietta di birra.

Non posso restar sordo alla sua silenziosa ed educata ri-chiesta. Mi rivolgo nuovamente al barista che nel frattempo si era rimesso a lustrare chissà cosa.

– Posso averne altre due?

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Quasi sbuffando mi accontenta.Pago e mi dirigo verso il barbone. Sarà anche un povero

cane, ma comunque mi rivolgo a lui con educazione.– Posso sedermi qui? – porgendogli una delle due botti-

gliette.Sembra che abbia appena visto la Madonna e, destatosi

da un apparente coma vigile, mi sorride spostando la sedia di fianco a lui per farmi posto.

– Con molto piacere signore, grazie, grazie di cuore.Prende la birra dalla mia mano e la indirizza verso la mia

come a chiedermi un brindisi. Non è brutto da vedere ma ora che sono a pochi centimetri da lui, mi accorgo che puzza come una stalla in Agosto.

Non ci presentiamo, non serve. Le Anime non hanno bi-sogno di conoscersi per comunicare.

Ha una giacca piuttosto logora ma di ottima fattura. Le mani non sono di un senzatetto da molto, curate anche se vissute. Barba e capelli sono lunghi ma ordinati entrambi. Ha una certa dignità nell’essere accattone e non ha denti mar-ci degni di un uomo nel suo stato. Avrà circa sessant’anni o poco più ma dai suoi occhi azzurri sembrano meno.

Per qualche secondo fissa la sua bottiglietta di birra e poi ne beve un paio di sorsi, lentamente, a occhi chiusi. La appog-gia al tavolino con cautela e riapre gli occhi: – Grazie, signore, una birra fresca di questi tempi è una rarità! Ma posso sapere, se non chiedo troppo, il perché di tanta generosità?

Hai capito il barbone, si esprime anche con aplomb! Non so che rispondere, per cui butto lí la prima cazzata che mi viene in mente: – Non mi piace bere da solo e lei è l’unica persona qui dentro.

Mi guarda dubbioso, come se avesse capito la bugia. Poi abbassa lo sguardo e quasi con vergogna continua: – Quando ho finito questa me ne offre un’altra?

Sorrido e abbasso la testa in segno di assenso e in men che

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non si dica, svuota la bottiglietta pulendosi poi la bocca con il bavero della giacca. Un sospiro quasi di sollievo e mi guarda grato. Gli avvicino la mia che non avevo ancora iniziato.

Per il momento sembra ignorarla, come se la domanda che sta per farmi fosse più importante di una fresca birra.

– Lei mi crederà diffidente, ma da tre anni a questa parte nessuno si è mai avvicinato a me e tanto meno mi ha offerto due birre seduto al mio tavolo. C’è la fregatura sotto a tanta grazia?

Sorrido, lo rassicuro nuovamente e gli chiedo di farmi meno domande possibili, stanotte voglio staccare il cervello.

Mi fissa per un attimo e inizia un piccolo monologo, come per volermi giustificare il suo attuale stato.

– Non molti anni fa, possedevo l’intero isolato attorno a questo bar. Negozi, uffici, ristoranti, appartamenti. C’era-no medici, avvocati, dentisti e perfino un paio di prostitute d’alto bordo. A fine mese, solo di affitti, entravano nelle mie tasche quasi duecentomila euro. Avevo una moglie, tre figli, un’amante, due cani e servitù in casa.

Mentre fa una breve pausa, in un lampo, penso al mio passato che sembra non essere stato molto diverso dal suo.

– Poi, all’improvviso, tutto sparisce come se fosse scadu-to un incantesimo e mi ritrovo a passare le notti dall’unico amico rimasto e i giorni in qualche dormitorio della Caritas.

Non c’è autocommiserazione nel suo volto ma tanta frustrazione. La brevità del suo racconto mi induce a rispar-miargli ulteriori e forse dolorose domande pertanto tento di deviare il discorso invitandolo a uscire per fumare una siga-retta. Mi prende il braccio. Noto uno sguardo d’intesa con il barista il quale accenna l’assenso con un impercettibile movi-mento del capo: – Possiamo fumare qui.

Si abbassa e da sotto la sua sedia tira fuori un posacenere con un paio di mozziconi consumati fino al filtro. Gli offro una Camel, la annusa estasiato e accetta che io gliela accenda.

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Dopo una boccata soddisfatta mi chiede: – E lei che ci fa in giro a quest’ora? Sembra una persona per bene ma non l’ho mai notata passare da queste parti.

Reticente a rispondere a domande cosí aperte, mi limito a dire: – No, non sono di queste parti – e prima che lui me ne porga delle altre, tiro fuori qualche foto di Ushuaia che avevo portato per mio figlio.

Le guarda con molta attenzione, tentanto di riconoscere il posto da una foto della mia legnaia, da una con dei pinguini di Magellano e da altre del porto turistico e la baia del Beagle. Le appoggia con delicatezza sul tavolo dopo averle guardate tutte. Sospira.

– Ho una casa a Cabo Frio, vicino a Rio de Janeiro. L’ul-tima cosa che mi è rimasta. Non è ironico che io non possa vivere lí anziché fare il barbone a Milano? Avessi un migliaio di euro per il viaggio almeno potrei vivere di pesca e magari un piccolo orticello. Lí avrei tutto per sopravvivere, qui se mi viene da piangere devo andare in bagno ad asciugarmi le la-crime con la carta igienica.

Mi racconta che ha avuto quella casa in eredità da uno zio che coltivava canna da zucchero. Alla sua morte lasciò tutta la terra, migliaia di ettari, e la piantagione ai suoi mezzadri e la casa a lui, suo unico nipote. L’unica volta che vide quella casa fu quando andò a prenderne possesso dopo l’apertura del te-stamento e, non considerandolo un posto da vacanza, non ci tornò mai più. Gli ex braccianti di suo zio, qualche anno fa, gli mandarono alcune foto della casa scrivendo che il tetto aveva bisogno di essere sistemato dopo una tromba d’aria e che, in memoria del generoso zio, si sarebbero accollati loro il lavoro e il materiale per la ristrutturazione.

– Ma io, all’epoca, pur avendo la possibilità economica di mandar loro qualche migliaio di euro a titolo di gratitudine, me ne fregai e li lasciai fare. Ora sono pentito e nonostante loro avessero fatto quel lavoro solo ed esclusivamente in me-

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moria della generosità di mio zio, mi sento di non aver fatto la cosa giusta.

Cerco di travasare la mia esperienza sulla sua ma sono troppo stanco per pensare a certe similitudini. Mi dispiace lasciarlo cosí ma sta albeggiando e vorrei tornare da Nora per le coccole mattutine prima del risveglio.

Si alza, mi lascio abbracciare e, respirando con la bocca, ricambio la sua forte stretta.

– Abbia fede, Amico mio, creda, desideri fortemente tor-nare in quel posto. Prima o poi qualcuno potrebbe anche aiutarla a realizzare il suo sogno.

Non mi risponde se non con un sorriso colmo di ricono-scenza per aver passato con lui qualche ora in questa solita notte milanese. Probabilmente non ha nemmeno ascoltato ciò che gli ho appena detto.

Gli strizzo l’occhio ed esco dal bar lasciando sul tavolo un pacchetto quasi nuovo di Camel e venti euro di scorta che avevo messo tra il pacchetto e la pellicola trasparente prima di uscire dall’hotel.

Non so se tornerò a cercarlo in questo bar ma inizio a desiderare per lui che il suo sogno si avveri.

a presto

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Vita

Vita in te ci credo.Le nebbie si diradano e oramai ti vedo.Non è stato facile uscire da un passato che mi ha lavato l’anima fino quasi a renderla un po’ sdrucita.

Vita io ti vedo tu cosí purissima da non sapere il modo l’arte di difendermi e cosí ho vissuto quasi rotolandomi per non dover ammettere d’aver perduto.

Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosí cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto. Siamo angeli con le rughe un po’ feroci sugli zigomi forse un po’ più stanchi ma più liberi urgenti di un amore, che raggiunge chi lo vuole respirare.

Vita io ti credo dopo che ho guardato a lungo, adesso io mi siedo non ci son rivincite, né dubbi né incertezze.Ora il fondo è limpido, ora ascolto immobile le tue carezze.

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Anche gli angeli capita a volte sai si sporcano ma la sofferenza tocca il limite e cosí cancella tutto e rinasce un fiore sopra un fatto brutto.

Siamo angeli con le rughe un po’ feroci sugli zigomiforse un po’ più stanchi ma più liberi urgenti di un amore, che raggiunge chi lo vuole respirare.

lucio dalla – gianni morandi

a presto

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Cor-t-e-mail

Ushuaia

A qualcuno dovrò pur dire che sto tornando in Italia!

Qualche settimana prima della nostra partenza, i bagagli ben lungi dall’essere ancora preparati, Nora mi solleva un dubbio.

– Non pensi sia meglio comunicare a qualcuno che a breve sarai a Milano? Sai, mica a tutti piacciono le sorprese. Manda una mail a un tuo vecchio amico, o anche a Silvia, se te la senti. Mi sembra sia meglio cosí anche perché non ci staremo molto e se c’è qualcuno che può organizzarti una festicciola di ritorno potresti esserne felice, no?

Darle sempre ragione mi farebbe passare da stupido ma una cosa è certa: difficilmente ha torto.

Non ho molta scelta ma anche se ne avessi, la mia rica-drebbe su Stefano the Goodfather.

Seduto sulla mia poltrona. Tè caldo alla menta. Pacchetto di Camel a portata di mano e… inizio mille volte a scrivere la mail a Stefano. Per fortuna scrivo al pc perché se avessi do-vuto scrivergli una lettera, avrei già consumato mezza fore-sta amazzonica. Non so davvero cosa scrivergli e soprattutto come. Finito il tè e fumate tre o quattro Camel, finalmente partorisco il seguente popò di testo.

Ciao Stefano,

Come stai? Io bene, molto bene ma scrivendoti mi sento una merda per non averti più dato notizie di me da molto tempo. Ho letto la tua mail di qualche mese fa ma all’epoca stavo passando un periodo in cui era meglio per me non rivangare il passato e per

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questo motivo non ti ho risposto. Ti ho sempre in mente e ogni giorno ringrazio il mio Grande Mazziere per aver incrociato la tua strada. Mi sento goffo a dirti ciò ma ti prego di credermi, non è una frase di circostanza e non ho bisogno di soldi.C’è una novità.Ho al mio fianco una persona anzi, ce l’ho dentro di me. Sono il suo armadio umano! Eheheh… battutona. Dicevo, la persona che ho al mio fianco mi ha aiutato a prendere questa decisione.Voglio tornare in Italia. Intendo, non per rimanerci ma per af-frontare certe cose che ho lasciato in sospeso partendo. Ci starò al massimo un paio di settimane, forse tre, e avrei bisogno, ancora, del tuo aiuto in questa mia visita.Ci sei?Un abbraccio,

Maxdrugo

Ora si può pensare: – Ma questo ha fatto tutto ’sto casino per scrivere una mail cosí?! In realtà volevo sembrare distaccato. Non volevo metterci il cuore, l’Anima e per farlo ho dovuto concentrarmi parecchio.

Infatti, durante la notte, ricevo la sua risposta che leggerò la mattina seguente.

Ciao Max,

Piacere di avere tue notizie.Fammi sapere quando arrivi, al resto ci penso io.Non ho ben presente che ora sia lí da te, per cui ti auguro buona giornata, buona serata e buona notte, cosí non sbaglio!

Stefano

Capito? Non è il tipo da lettere accorate o commoventi. Con lui pochi scambi di convenevoli e si va dritti al sodo. I fatti contano, le parole no! Nel frattempo mi ubriaco di parole con Nora.

a presto

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Preliminari

Milano

Tornato dalla mia amena nottata, mi fiondo tra le lenzuola dove trovo una calda e languida Nora ancora addormentata. Ha già saputo della mia assenza; il biglietto è sulla mensola del bagno. Non mi chiede nulla e con un lieve mugolio si al-lunga verso di me di schiena per farsi abbracciare da dietro come piace a lei. Mi riaddormento.

Suona il telefono in camera: cazzo, Stefano! Ma che ora è? Rispondo: – Sí?

La voce di un ragazzetto che sta tentando, invano, di farsi dire il cognome dalla persona che ha di fronte: – Buongiorno, signore, c’è qui un certo signor Stefano che dice che la aspetta nella hall, non vuole dirmi il suo cognome.

Taglio corto e gentilmente.– Sí sí, ok. Me lo passi per favore.Senza mettermi in attesa, comunica a Stefano the Goodfa-

ther che voglio parlargli.– Buongiorno, Max. Sono qui nella hall, a che punto sei?Farlo aspettare dopo una vita che non lo vedo mi sembra

brutto però mi sembra peggio farlo salire. Viste le dimensioni della camera sarebbe d’intralcio per i nostri movimenti; que-sta stanza è fatta per due bambini! In ogni caso non voglio che conosca Nora in una situazione simile.

– Cazzo, Stefano! Scusa, ma che ora è? – il nostro appun-tamento sarebbe stato verso le dieci e mezza.

– Sono le nove e cinquantasei ed effettivamente sono un po’ in anticipo.

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Minchia! Nove e cinquantasei… io, sí e no, avrei detto circa le dieci! Non è cambiato per niente, almeno sotto l’a-spetto della pignoleria o forse è merito di quel Casio digitale d’epoca che magari ha ancora al polso.

– Ok, ci troviamo in sala colazioni tra venti minuti, puoi aspettarmi?

Lo sento sogghignare sommessamente: – Certo che ti aspetto, Max. Con tutto il tempo che è passato senza vederti, cosa vuoi che cambi venti minuti in più? Fai con calma, io intanto mi leggo il Corriere.

A lui non cambia nulla aspettare venti minuti? Che cazzo gli è successo?

Sapere che Stefano the Goodfather è giù che mi aspetta, mi dà un più che discreto senso di sicurezza. Però non voglio far-lo aspettare più del pattuito perciò, con voce dolce e suadente, sveglio Nora avvisandola che non abbiamo molto tempo. Lei sbuffa nel dormiveglia ma, senza troppa riluttanza, si stirac-chia buttando le coperte ai suoi piedi e con uno sbadiglio.

– Vale, Max, chi va in bagno per primo?Le concedo cavallerescamente la precedenza. Mentre mi

scavalca, mi ringrazia con un bacio e già la porta del bagno si chiude dietro di sé. Quella Donna non si muove, vola!

Solo nel letto in attesa del mio turno, penso e tento di indovinare quale programma possa aver organizzato Stefano per la mia prima giornata milanese. La mia mente prende a volare nel nulla ma un paio di cose riesce a metterle a fuoco: mio figlio e… Silvia. Spero che Stefano non abbia voluto ri-servare questo pugno nello stomaco proprio il primo giorno. Ma mi sono fidato di lui e prenderò tutto ciò che mi aspetta come se mi fosse dovuto.

Nel frattempo sento l’acqua della doccia spegnersi; è il mio turno.

a presto

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Ma quella sera…

Ushuaia

Quando tornai nella mia legnaia, dopo la lezione di storia di Cisco ai giovani australiani, trovai Nora nervosamente seduta sul mio divano. Non ero dell’umore giusto per piagnistei o confidenze a lume di candela ma trovarla lí mi riportava ine-vitabilmente alla lettera di Alvaro lasciata a Hen prima della sua morte. Cosa mi aspettava? Un «non dobbiamo vederci mai più»? Un «ho appena mollato Josè e voglio stare con te per il resto della mia vita»? O un banale «sono solo passata a vedere come stavi»? Certo è che prima o poi tutte queste domande mi porteranno a un’insana pazzia.

Ma lei, senza dire una parola se non: – Scusa, Max, non volevo entrare in tua assenza – mi si fionda addosso strin-gendomi al suo corpo come mai aveva fatto prima. Il silenzio rotto solo dal suo sommesso ansimare dovuto a un pianto durato chissà quanto, prima che io arrivassi. Per qualche se-condo resto sulle mie, circondandole la testa con un braccio e appoggiandola al mio petto. Le sue mani che spaziano sulla mia schiena toccando ogni punto dalle spalle all’osso sacro mi invitano a stringerla più forte a me, questa volta usando entrambe le mani. Non ricordo quanto tempo siamo stati in quella posizione ma di certo non mi sarebbe dispiaciuto star-ci per l’eternità. Lei non osa oltre quell’abbraccio, cosí, inebe-tito dal profumo dei suoi capelli e scaldato a dovere dal suo corpo, appoggio due dita sotto il suo mento e le alzo la testa. Aveva ancora gli occhi chiusi ma appena è a portata dei miei li spalanca lasciandomi senza fiato. Mi butto, la bacio, con dolcezza a bocca chiusa. Risponde. Mi allontano di qualche

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centimetro. Questa volta è lei a cercare le mie labbra. Restia-mo cosí: lei in punta di piedi e io con le ginocchia legger-mente piegate per agevolare il più possibile quella posizione. Minuti interminabili fermi; sospesi lí in uno spazio tempo che sa di linea retta, senza mai un inizio e senza mai una fine. È come se fosse quel famoso istante prima di morire: in un lampo ti passa davanti agli occhi tutta la tua vita ma, fino a quel momento, non hai saputo che farne. Scopri allora che non è solo un lungo, lunghissimo, bacio ma la promessa di vi-vere in eterno per poter assaporare per sempre momenti cosí.

Facciamo dolcemente l’Amore sul letto della mia legnaia. Non è sesso ma semplicemente la consacrazione che i nostri corpi sono fatti anche per questo: non staccarsi mai l’uno dall’altro.

Non ho mai cronometrato quanto può durare un am-plesso ma sono quasi sicuro che quello fu uno dei più lunghi. Restiamo distesi in silenzio, fissando entrambi le vele di ca-napa attraverso le quali si vedono le travi che sorreggono le tavelle del tetto. Ma il tetto su quella casa non c’è più. Ora, finalmente, si respira.

a presto

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