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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
FACOLTÀ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA INECONOMIA E FINANZA
INTANGIBLE ASSETS:
PROFILI VALUTATIVI ED EVIDENZE
EMPIRICHE
CORSO:
Corporate & Investment Banking
RELATORE:
Chiar.mo Prof. Stefano Monferrà
CORRELATORE:
Chiar.mo Prof. Gino Gandolfi
LAUREANDO:
Massimiliano Mattietti
ANNO ACCADEMICO 2003/2004
Ringraziamenti
Prima di entrare nel vivo dell’opera, sento il bisogno di ringraziare tutte le
persone che mi hanno aiutato e con le quali ho collaborato per la realizzazione di questo
lavoro. In primo luogo, vorrei ringraziare il relatore, Prof. Stefano Monferrà, per la
disponibilità e il Dott. Matteo Cotugno per l’attenzione, l’aiuto fornito e la pazienza
dimostrata nella definizione della struttura del lavoro e nella correzione periodica dei
capitoli. Secondariamente, il mio grazie va al Dott. Riccardo Savoldo e a Giovanni
Inglisa per l’aiuto fornito nel reperimento di materiale e di libri utili per la redazione
della tesi stessa, in un periodo in cui la biblioteca di facoltà non poteva offrire i propri
servizi.
Un grazie anche a tutti gli amici, di Mantova e non, per i consigli forniti ogni
qualvolta si discutesse della mia tesi o di qualsiasi altro argomento: mi riferisco in
particolare a Nicola, Francesco, Giuseppe e Cecilia. Non posso che rivolgere un
pensiero, inoltre, alle persone che hanno condiviso con me due delle esperienze più
importanti della mia vita, tra divertimenti e corsi di inglese, tra momenti di riflessione e
di gioia: mi riferisco ad Elena, Elisa, Giulio, Lorenza e Silvia, nonché ad Andrea,
Camilla, Elisa e Gloria.
Da ultimo, il grazie più sentito va ai miei genitori, senza l’aiuto, il supporto ed i
sacrifici dei quali, non sarei mai arrivato a questo punto, augurandomi che questo
traguardo raggiunto insieme, condividendo ogni momento, possa essere il punto di
partenza per nuove esperienze da vivere insieme.
I
INDICE GENERALE
INDICE DELLE FIGURE, TABELLE E GRAFICI…………………………………V
INTRODUZIONE……………………………………………………………….……. IX
CAPITOLO I – Identificazione e classificazione degli intangible assets……………...1
1.1 – Risorse intangibili, beni immateriali e immobilizzazioni immateriali: definizione ed identificazione………………………………………………3
1.2 – Criteri per l’individuazione dei beni immateriali.........................................8
1.3 – Criteri per la classificazione dei beni immateriali......................................12
1.4 – Disciplina legale dei marchi……………………………….……….……..191.4.1 – Requisiti di validità del marchio……………………………….……191.4.2 – Il marchio registrato…………………………………………….…..211.4.3 – Il marchio di fatto...............................................................................231.4.4 – Il trasferimento del marchio………………………………………...24
1.5 – Disciplina legale delle opere dell’ingegno e delle invenzioni industriali ……………………………………………………..25
1.5.1 – Il diritto d’autore………………………………………………....…251.5.2 – Le invenzioni industriali……………………………………….……27
1.5.2.1 – Il diritto al brevetto e l’invenzione brevettata…………….….281.5.2.2 – Brevetto internazionale, brevetto europeo e brevetto comunitario …………………………………………30
1.5.3 – I modelli industriali……………………………………………..…..31
1.6 – La formazione degli intangibles specifici………………………...….……331.6.1 – Acquisto da terze economie…………………………………….…..341.6.2 – Creazione in economia………………………………………….…..37
1.7 – Caratteristiche degli intangible assets e vantaggio competitivo…………411.7.1 – Risorse immateriali e strategie competitive………………....……...45
1.7.1.1 – Redditività, attrattività del settore e risorse immateriali ……………………………………………………47
1.7.1.2 – Redditività, vantaggio competitivo e risorse immateriali …………………………………………………...54
a – Risorse immateriali e leadership di costo ……………………...55b – Risorse immateriali e differenziazione …………………………57c – Risorse immateriali e focalizzazione …………………………...58
II
CAPITOLO II – La valutazione contabile degli intangible assets……………………61
2.1 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili italiani…………………………………………………………..63
2.1.1 – Aspetti generali di valutazione ……………………………………..652.1.1.1 – Il valore originario……………………………………………652.1.1.2 – Gli ammortamenti …………………………………………….662.1.1.3 – Le rivalutazioni ……………………………………………….672.1.1.4 – Il valore realizzabile come limite superiore e le svalutazioni ………………………………………………...68
2.1.2 – Le diverse tipologie di attività immateriali ………………………...712.1.2.1 – Costi di impianto e di ampliamento …………………………..712.1.2.2 – Costi di ricerca e di sviluppo …………………………………722.1.2.3 – Costi di pubblicità…………………………………………….742.1.2.4 – Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle
opere dell’ingegno…………………………………………….742.1.2.5 – Concessioni …………………………………………………..762.1.2.6 – Licenze………………………………………………………...762.1.2.7 – Marchi………………………………………………………...772.1.2.8 – Know-how …………………………………………………….782.1.2.9 – Avviamento …………………………………………………782.1.2.10 – Altre immobilizzazioni immateriali………………………….792.1.2.11 – Immobilizzazioni in corso e acconti…………………………81
2.1.3 – Contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione ……………………………………………………….81
2.2 – Introduzione agli International Accounting Standards (IAS)…………….842.2.1 – La storia.............................................................................................842.2.2 – L’International Accounting Standards Board (IASB)
e la sua struttura……………………………………………………862.2.3 – Il processo di predisposizione di un principio contabile
internazionale ………………………………………………………892.2.4 – La convergenza della UE agli IAS/IFRS …………………………...90
2.2.4.1 – Opzioni relative ai bilanci di esercizio delle società quotate e non quotate…………………………………………91
2.2.4.2 – Procedura di omologazione da parte della UE ………………92
2.3 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili internazionali (IAS 38, IAS 36, IAS 22).………………………..94
2.3.1 – IAS 38: Finalità e definizioni……………………………………….942.3.2 – IAS 38: Contabilizzazione e valutazione iniziale di
un’attività immateriale ……………………………………………..972.3.3 – IAS 38: Contabilizzazione di un costo…………………………….1012.3.4 – IAS 38: Valutazioni successive alla contabilizzazione iniziale …...1022.3.5 – IAS 38: Ammortamento……………………………………………1042.3.6 – IAS 38: Perdita e recuperabilità del valore contabile…………….1082.3.7 – IAS 38: Cessioni e dismissioni…………………………………….1092.3.8 – IAS 38: Nota integrativa e altre informazioni …………………….109
III
2.3.8.1 – Informazioni richieste per intangibles contabilizzati secondo il metodo alternativo………………………..............112
2.3.8.2 – Costi di ricerca e sviluppo ………………………………….1122.3.9 – IAS 36: Finalità …………………………………………………...1132.3.10 – IAS 36: Identificazione di un’attività da svalutare………………1142.3.11 – IAS 36: Determinazione del valore recuperabile………………..1162.3.12 – IAS 36: Riconoscimento e valutazione della perdita di
valore di una singola attività…………………………………….1182.3.13 – IAS 36: Unità operative che generano flussi di cassa …………..1182.3.14 – IAS 36: Ripristino di valore……………………………………...1192.3.15 – IAS 22: Concentrazioni di aziende ………………………………121
2.3.15.1 – Uniting of interests…………………………………………1212.3.15.2 – Acquisition …………………………………………………122
2.4 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili statunitensi (SFAS 141, SFAS 142) …………………………...124
2.4.1 – La situazione precedente ………………………………………….1242.4.2 – Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 141……………..126
2.4.2.1 – Metodo di contabilizzazione delle business combinations…..1262.4.2.2 – La definizione del concetto di goodwill……………………...1272.4.2.3 – La contabilizzazione del goodwill ….………………………1292.4.2.4 – Definizione, identificazione e contabilizzazione
degli intangibles specifici …………………………………...1302.4.3 – Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 142 …………….132
2.4.3.1 – Contabilizzazione dei beni immateriali specifici ……………132
CAPITOLO III – La valutazione economica degli intangible assets………….…… 135
3.1 – Perché quantificare il valore economico degli intangible assets……….1373.1.1 – Intangibles e stima del valore del capitale economico
d’azienda: un approfondimento…………………………………...140
3.2 – Il processo di valutazione dei beni immateriali…………………………151
3.3 – I metodi di valutazione…………………………………………………..1553.3.1 – L’approccio del costo ……………………………………………..155
3.3.1.1 – La tecnica del costo storico residuale……………………….162a. La scelta dei costi da capitalizzare……………………………..163b. Il fattore di aggiornamento del valore monetario ……………164c. La definizione della vita economica del bene……………….….165d. L’evoluzione del valore nel tempo……………………………...166
3.3.1.2 – La tecnica del costo di rimpiazzo……………………………167a. Procedimenti analitici ………………………………………….169b. Procedimenti sintetici…………………………………………..170
3.3.2 – L’approccio del reddito …………………………………………1723.3.2.1 – Il metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali……..173
a. La determinazione dei flussi rilevanti…………………………..176b. Il procedimento indiretto di determinazione dei
IV
flussi rilevanti…………………………………………………...179c. Il procedimento diretto di determinazione dei flussi rilevanti……………………………………………………188d. La determinazione del tasso di capitalizzazione ……………..189
3.3.2.2 – Il metodo da esenzione da royalties ……………………….1953.3.2.3 – Il metodo del costo della perdita…………………………….199
3.4.3 – L’approccio di mercato …………………………………………2023.3.3.1 – Il metodo dei moltiplicatori …………………………………204
a. Il valore della raccolta nelle banche…………………………...205b. Il valore del portafoglio premi di una compagnia di assicurazione………………………………………………... 208c. La valutazione di testate editoriali………………………......… 210
3.5 – Conclusioni………………………………………………………..……. 212
CAPITOLO IV – Immobilizzazioni immateriali ed intangible assets: evidenze empiriche………………………………………………....215
4.1 – L’indice S&P/MIB e le sue components…………………………….….. 217
4.2 – Incidenza e composizione della voce “Immobilizzazioni Immateriali”……………………………………………………………. 229
4.3 – Il patrimonio netto intangibile…………………………………………..245
4.4 – Effetto dei nuovi principi contabili…………………….……………….. 252
4.5 – Il caso BasicNet S.p.A.: L’acquisizione del marchio K-Way…………....2584.5.1 – La storia e l’attività……………………………..………….…….. 2584.5.2 – La struttura del gruppo……………………………………………2624.5.3 – Il network dei licenziatari…………………………………………2654.5.4 – Aree di espansione e prospettive future…………………………...2674.5.5 – L’operazione: Acquisizione da parte di BasicNet S.p.A.
del marchio K-Way………………………………………………..2684.5.5.1 – Motivazioni e finalità dell’operazione……………………… 2714.5.5.2 – Rischi e commenti relativi all’operazione…………………...2724.5.5.3 – Gli sviluppi dell’operazione…………………………………2764.5.5.4 – Le reazioni di Borsa…………………………………………277
CONCLUSIONI………………………………………………………………………283
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………….. 289
V
INDICE DELLE FIGURE,TABELLE E GRAFICI
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1 – Uno schema di individuazione delle risorse intangibili e dei fattori produttivi………………………………….………………………………….4Figura 2 – Dalle risorse immateriali al valore economico…………………………......46Figura 3 – Il modello della concorrenza allargata di Porter………………………..… 48Figura 4 – Le tre strategie competitive di base………………………...………….……55Figura 5 – Prospetto di Stato Patrimoniale attivo: Immobilizzazioni immateriali...... 63Figura 6 – I passi di avvicinamento della UE agli IAS/IFRS………………………….. 86Figura 7 – La struttura dell’International Accounting Standards Board (IASB)………87Figura 8 – I 19 membri della IASC Foundation; ripartizione per aree geografiche….. 87Figura 9 – Composizione del Board……………………………………...……………. 88Figura 10 – La procedura di omologazione dei principi contabili prima e dopo l’introduzione degli IAS/IFRS……………………………………………. 90Figura 11 – Scomposizione del valore di capitale economico di un’azienda…………142Figura 12 – Il processo di valutazione dei beni immateriali…………………...…….. 151Figura 13 – Panoramica del metodo reddituale………………………………………177Figura 14 – Determinazione del margine netto di competenza del bene
immateriale………………………………………………………………184Figura 15 – Determinazione del margine differenziale complessivo………………… 201Figura 16 – Dinamica del valore contabile di un bene con ammortamento a quote costanti o con impairment test …………..…………...…………....257Figura 17 – La struttura del gruppo Basic……………………………………….……262
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1 – Distinzione tra risorse immateriali e risorse intangibili………………...….6Tabella 2 – Possibili classificazioni delle risorse immateriali…………………...…….13Tabella 3 – L’insieme degli intangibles legati al marketing………………………...… 17Tabella 4 – L’insieme degli intangibles legati alla tecnologia…………………...…… 17Tabella 5 – Informazioni aggiuntive richieste dai principi contabili internazionali ed italiani in merito all’area delle attività immateriali…………………..110Tabella 6 – Possibili fonti e segnali di perdita di valore di un’attività……………….115Tabella 7 – Ammontare dell’avviamento contabilmente iscritto nel bilancio di alcune delle principali imprese industriali statunitensi ed incidenza del goodwill sul totale dell’attivo…………………………………….….. 128Tabella 8 – Esemplificazione di alcuni coefficienti applicati nel corso degli anni ’80…………………………………………………………………...209Tabella 9 – Tabella riassuntiva: beni intangibili e modalità di valutazione………….213Tabella 10 – Principali differenze tra MIB 30 e S&P/MIB……………………..…….218Tabella 11 – Le società componenti l’indice S&P/MIB alla data del 1 Agosto 2004...219Tabella 12 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; dati di bilancio consolidato 2002………………………………………. 230Tabella 13 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; dati di bilancio consolidato 2003…………………………….………… 234
VI
Tabella 14 – Composizione media della voce “Immobilizzazioni immateriali” nei bilanci di 256 società quotate……………………………………….243Tabella 15 – Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; bilanci consolidati 2002………………………………..246Tabella 16 – Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; bilanci consolidati 2002……………………………………….……….. 247Tabella 17 – Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; bilanci consolidati 2003…………………….…………249Tabella 18 – Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; bilanci consolidati 2003……………………………………….……….. 250Tabella 19 – Effetto degli ammortamenti dell’avviamento e delle differenze da consolidamento sull’utile aziendale all’interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenenti all’indice S&P/MIB; bilanci consolidati 2002………………………………………...……… 254Tabella 20 – Effetto degli ammortamenti dell’avviamento e delle differenze da consolidamento sull’utile aziendale all’interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenenti all’indice S&P/MIB; bilanci consolidati 2003……………………………...………………… 255Tabella 21 – Fatturato aggregato del licenziatari…………………………..……….. 266Tabella 22 – Importanza dei licenziatari per paese……………………….…………. 266Tabella 23 – Prospetto di conto economico……………………………..…………… 275
INDICE DEI GRAFICI
Grafico 1 – Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2002……………………………….……………….... 238Grafico 2 – Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2002…………………………………………………. 239Grafico 3 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; bilanci consolidati 2002……………………………………...………….. 239Grafico 4 – Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2003……………………………….……………….... 240Grafico 5 – Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2003…………………………………………………. 241Grafico 6 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; bilanci consolidati 2002……………………………………...………….. 241Grafico 7 – Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell’indice MIB TESSILE nel corso del 2004………………………………………………………….... 278Grafico 8 – Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell’indice MIB TESSILE in Febbraio 2004, mese dell’acquisizione del marchio K-Way……………..280Grafico 9 – Grafico a candele giapponesi del prezzo del titolo BasicNet S.p.A. nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’acquisizione……… 280
IX
INTRODUZIONENel corso degli anni, alle risorse intangibili è stato riconosciuto dalla dottrina
economico-aziendale un ruolo sempre più preminente all’interno del processo di
gestione e di posizionamento strategico delle imprese, indipendentemente dal settore di
appartenenza delle stesse. Come commentano Baccarani e Golinelli, “la formulazione di
proposte a differenziale competitivo da parte delle imprese dipende sempre di più dalle
risorse immateriali”1. L’aumento dell’importanza assunta dagli intangible assets è
testimoniato anche dai sempre più numerosi casi di imprese che fondano il loro stesso
business system sul possesso e sull’utilizzo di questi beni: nel contempo, anche per le
imprese più meramente “industriali”, il peso delle attività immateriali a bilancio è in
continuo aumento. Si pensi, ancora, al divario esistente tra prezzo pagato e valore
contabile nel caso di operazioni di gestione straordinaria, quali fusioni o aggregazioni:
se questo plusvalore dipende in parte dalle prospettive future di redditività dell’azienda
in via di acquisizione, non bisogna comunque trascurare l’impatto che la valorizzazione
di beni immateriali non iscritti a livello contabile ha sulla determinazione del valore
complessivo dell’impresa in questione. Ad evidenza, quindi, accade sempre più spesso
che operazioni aziendali di gestione ordinaria o straordinaria non possano più
prescindere da una completa e attenta valorizzazione del patrimonio intangibile in
possesso dell’azienda: valorizzazione economica che non può essere ricondotta alla
mera considerazione del valore contabile di iscrizione degli intangibles a bilancio. Se si
sono sempre nutriti dubbi in merito alla reale corrispondenza tra valori economici e
valori contabili dei beni iscritti a bilancio, mai come in relazione agli intangible assets
le modalità di contabilizzazione degli stessi sono tanto lontane dal rispecchiare il loro
reale valore economico. La frequente necessità di proporre periodi di ammortamento
forfetari, processi di ammortamento sistematici e altre pratiche contabili obbligatorie,
hanno portato all’ampliamento del divario tra valore economico degli intangibles e
valore contabile degli stessi. A monte, inoltre, vi è persino un problema di rilevante
portata in merito alla stessa identificazione degli intangibles: se tutt’altro che unanime è
l’accordo in merito alla definizione e classificazione degli intangibili a livello dottrinale,
1 Cfr. Baccarani C, Golinelli G.M., L’impresa inesistente: relazioni tra immagine e strategia, in Sinergie,n. 29/1992
X
altrettanto problematica è la definizione di criteri concreti e pratici in base ai quali
identificare i beni in questione. D’altra parte, senza una preliminare e puntuale
identificazione degli stessi, non è nemmeno possibile, successivamente, proporre una
valutazione economica dei beni oggetto di analisi.
Come si può notare, quindi, chiunque debba avere a che fare con la valutazione
o l’identificazione degli intangible assets si troverà a dover affrontare una fitta aura di
incertezza, che non potrà che rendere ancor più complicata l’attività che l’operatore in
questione si accinge a compiere. Sempre più spesso si trovano in questa situazione tutti
quegli operatori che fanno della valutazione delle aziende e della quantificazione del
loro valore economico un punto fondamentale di partenza e di arrivo del loro business:
in special modo, in tal sede, ci riferiamo ai corporate bankers e a tutte quelle banche
d’investimento che hanno come fine istituzionale il supporto e la consulenza ad imprese
nel momento in cui debbano essere intraprese operazioni che richiedano competenze
economiche, finanziarie e contabili altre da quelle presenti all’interno delle aziende in
questione. Ci riferiamo, appunto, ad operazioni di gestione straordinaria, valutazioni di
aziende in caso di cessione o di acquisizioni di partecipazioni, operazioni di venture
finance e tutte quelle operazioni che abbiano come presupposto operativo la valutazione
del capitale economico di un’azienda. I corporate bankers, infatti, si trovano sempre più
spesso, di pari passo con l’aumentare dell’importanza rivestita dalle attività immateriali
all’interno dei vari business aziendali, ad avere a che fare con la valutazione e la
considerazione di intangible assets, spesso depositari di un ruolo chiave all’interno
dell’economicità aziendale.
Proprio in questa direzione, quindi, si situa il nostro lavoro, al fine di individuare
i principali punti critici che dovranno affrontare tutti quegli operatori che si troveranno a
dover valutare beni immateriali e quantificare la loro importanza in termini di valore
economico e redditività per l’azienda che li possiede. Ripercorrendo, quindi, i passaggi
brevemente citati in precedenza, introdurremo di seguito la struttura del lavoro, che si
divide in quattro capitoli.
All’interno del primo, affronteremo tutte quelle problematiche relative alla
identificazione e classificazione delle attività immateriali: problematiche la cui
risoluzione risulta necessaria a monte, prima ancora di intraprendere qualsiasi attività di
XI
valutazione dei beni in questione. A riguardo, innanzitutto, proporremo idee avanzate da
alcuni tra i più importanti esponenti della scuola aziendalistica italiana in merito alla
identificazione delle attività immateriali e alle loro caratteristiche precipue, nonché alla
loro classificazione secondo criteri di volta in volta diversi. Tutto questo al fine di avere
una ampia panoramica in merito all’oggetto della nostra trattazione, circoscrivendo la
trattazione alle attività immateriali che presentino determinate caratteristiche,
individuate dai suddetti autori. Una volta identificate, è necessario introdurre alcune
informazioni in merito alla disciplina giuridica relativa a questi beni: la stessa
giurisprudenza e la disciplina codicistica, infatti, forniscono importanti informazioni in
merito alla classificazione e alla definizione dei beni immateriali, disciplinandone anche
le modalità di utilizzo, la tutela legale e i diritti di pertinenza di coloro che possono
vantare la paternità di questi intangible assets. Successivamente, dedicheremo un
paragrafo alle modalità di formazione degli intangibles stessi: una delle possibili
modalità di classificazione delle attività immateriali, infatti, è basata proprio sulla loro
provenienza; d’altra parte, risulta necessario spendere alcune parole in merito alle
modalità di creazione delle attività immateriali, al fine di poter poi meglio individuare la
loro presenza all’interno del complesso sistema d’azienda. Di seguito, evidenzieremo il
ruolo rivestito dalle attività immateriali all’interno del processo accennato in precedenza
di creazione e mantenimento di un duraturo vantaggio competitivo: se in questo campo
il riferimento alle opere del Porter è d’obbligo, cercheremo di contestualizzare le sue
idee e i suoi schemi all’interno della nostra area d’interesse, focalizzandoci su come le
strategie da lui evidenziate possano essere perseguite facendo leva sulla presenza di beni
immateriali.
Come evidenziato in precedenza, una volta individuati i beni intangibili, sarà
necessario considerare il loro impatto a livello di bilancio: in funzione di ciò, è richiesta
la conoscenza delle modalità di contabilizzazione e di rappresentazione degli stessi.
Diversi principi contabili e prassi contabili non potranno che esplicitarsi in diverse
modalità formali di rappresentazione contabile degli intangible assets, a parità di
situazione sostanziale sottostante. Le direttive comunitarie hanno esercitato nel corso
dell’ultimo trentennio un reale impatto positivo nell’ambito dell’Unione Europea,
avviando un processo di armonizzazione e di conoscenza reciproca delle diverse culture
contabili, pur consentendo agli Stati membri, sostanzialmente, di preservare la propria
XII
tradizione contabile nazionale esistente prima della loro adozione. Conseguentemente,
all’interno degli Stati membri la qualità dell’informazione è migliorata in maniera
sensibile, in un’ottica di maggiore comparabilità ed omogeneità: lo stesso processo si è
esteso a livello globale, sotto la spinta delle necessità delle imprese europee a vocazione
globale, che desiderano raccogliere capitali anche sui mercati internazionali, per lo più
americani. Queste imprese sono obbligate a predisporre a tal fine bilanci paralleli,
redatti con principi contabili per alcuni aspetti molto diversi da quelli applicati in
Europa ed in Italia. In risposta, quindi, alla gravosa e penalizzante necessità di redigere
più serie di conti in funzione del mercato di riferimento, si è assistito negli ultimi anni
all’estensione su scala globale del processo di armonizzazione contabile, concretizzatosi
in una tendenziale convergenza tra i principi Europei – dal 2005 estesi a tutti gli Stati
membri, almeno per quanto riguarda i bilanci consolidati delle società quotate – ed
Americani, in un’ottica di maggiore trasparenza e comparabilità dei valori di bilancio e
di snellimento dei processi di accesso ai mercati internazionali. Al fine di analizzare
questo processo di capitale importanza, all’interno del secondo capitolo abbiamo voluto
trattare le diverse modalità di contabilizzazione ad oggi più diffuse: partendo
ovviamente dai principi contabili italiani, tuttora in vigore per le società italiane, siamo
successivamente passati alla descrizione dei principi contabili internazionali e di quelli
statunitensi. I primi, gli International Accounting Standards (IAS), diventeranno
obbligatori a partire dal 1 gennaio 2005 per i bilanci consolidati delle società quotate su
mercati europei, mentre i secondi, gli US General Accepted Accounting Principles
(GAAP) riguardano le società di diritto americano. Per quanto riguarda gli IAS abbiamo
innanzitutto fornito una breve introduzione del loro impatto futuro e del loro processo di
emissione, data la loro importanza prospettica. Per i secondi, invece, ci siamo limitati a
fornire informazione sui principali dettami relativi alle attività immateriali e
all’avviamento. All’interno degli IAS, il riferimento esplicito è allo IAS 38, relativo alle
attività immateriali, allo IAS 22, relativo alle concentrazioni d’aziende, e allo IAS 36,
relativo alle modalità di calcolo e di individuazione di eventuali perdite di valore dei
beni contabilizzati. Per quanto riguarda i US GAAP, il riferimento è agli SFAS 141 e
142, relativi rispettivamente alle concentrazioni aziendali e alle attività immateriali.
Anche sotto la spinta derivante dall’adozione dei nuovi principi contabili che
fanno del Fair Value uno dei criteri base per la contabilizzazione delle attività tanto
XIII
immateriali quanto tangibili, va assumendo sempre maggiore importanza la valutazione
economica degli intangibles. Il Fair Value è quel valore al quale un bene può essere
acquistato o venduto in una corretta transazione di mercato tra due parti consenzienti.
Tale valore non è inficiato da pressioni esterne e non deve tenere in considerazione
eventuali attese soggettive, eventuali sinergie, la forza contrattuale delle parti e gli
interessi specifici che possono influire nella definizione di un prezzo nell’ambito di una
trattativa tra soggetti indipendenti. Risulta quindi necessario cercare di definire il più
oggettivamente possibile un valore economico per il bene in questione, che possa
fungere da base tanto per le trattative, quanto per le valorizzazioni di bilancio.
Il terzo capitolo è, quindi, relativo alla parte fondamentale del processo
valutativo di un intangible asset, ossia alla concreta quantificazione del suo valore
economico. Dopo aver riservato alcuni paragrafi al fine di fornire informazioni in
merito ai possibili scopi per i quali potrebbe risultare necessario valutare le attività
immateriali, si passa a trattare il processo di valutazione vero e proprio e i diversi
metodi utilizzabili all’interno di tale processo. I metodi in questione sono riconducibili a
tre macrocategorie: i primi fanno riferimento ad un approccio basato sul costo, i secondi
si basano sul reddito prodotto dagli intangibles mentre gli ultimi sono riconducibili a
valori e dati di mercato. Questi ultimi sono i metodi più pratici perché basati sulle
comparable market transactions, ma risultano sovente di difficile applicazione data la
frequente mancanza di dati completi ed esaustivi su multipli o transazioni comparabili. I
metodi basati sul costo sono i più indicati in assenza di attendibili dati sulla resa futura
dell’intangible oggetto di valutazione e per quei beni che non possiedono una diretta
capacità di “cash generation”. Da ultimi, i metodi basati sul reddito prodotto dagli
intangibles sono generalmente i più utilizzati, tenendo conto dei rendimenti attesi futuri
e del grado di rischio a questi associato. Rimandiamo, quindi, al terzo capitolo per una
più approfondita trattazione dei metodi citati.
All’interno del quarto capitolo, infine, cercheremo di invidiare alcune evidenze
empiriche che possano supportare quanto esposto nel corso dell’intero lavoro: al fine di
dimostrare la reale importanza degli intangible assets all’interno della gestione
d’impresa, abbiamo condotto un’indagine che ha coinvolto 40 società quotate ed il loro
bilanci consolidati. All’interno di questi abbiamo guardato il peso rivestito dalla voce
“Immobilizzazioni Immateriali” prima nei confronti dell’attivo di bilancio e poi nei
XIV
confronti del patrimonio netto. Da ultimo, abbiamo analizzato il caso di un’impresa che
basa la propria gestione e la propria condotta strategica sulla presenza al proprio interno
di beni immateriali quali i marchi. Il riferimento è al gruppo Basic e alla capogruppo
BasicNet S.p.A. – azienda quotata in Borsa – , operante all’interno del settore
dell’abbigliamento per lo sport ed il tempo libero, recentemente coinvolta
nell’acquisizione del marchio K-Way. Proprio quest’operazione verrà analizzata nei
suoi particolari, cercando di contestualizzare la stessa all’interno della più ampia
strategia aziendale del gruppo, basata, appunto, sulla valorizzazione e sulla gestione
strategica dei marchi di proprietà.
Per concludere, proporremo qualche riflessione finale sull’intero lavoro e su
come il processo di gestione e valorizzazione degli intangibles non debba essere visto
solo come un passo strumentale ad operazioni di gestione straordinaria fondate sulla
valorizzazione del capitale economico aziendale, ma piuttosto come un processo che
deve far parte della gestione aziendale stessa: l’identificazione, la valutazione
economica, la comunicazione – con strumenti pubblici o meno – e l’esplicitazione del
collegamento tra intangibles e creazione di valore aziendale sono i quattro passi
fondamentali del processo di gestione strategica degli attivi intangibili, reso sempre più
necessario dal fondamentale ruolo giocato dagli intangible assets all’interno del
processo di creazione del valore aziendale e del mantenimento di un duraturo e solido
vantaggio competitivo.
1
CAPITOLO IIdentificazione e classificazione degli intangible
assets
Nel corso del primo capitolo esamineremo alcuni dei principali punti critici che
possono sorgere nel momento in cui si vogliano identificare e successivamente valutare
gli intangible assets. Dopo un primo paragrafo introduttivo, utile al fine di fare
chiarezza in merito alla terminologia utilizzata all’interno del testo, esamineremo i
criteri generalmente riconosciuti ed accettati a livello dottrinale per l’individuazione e
la classificazione degli intangibles: per fare ciò, presenteremo alcuni approcci proposti
da alcuni tra i più importanti studiosi della materia. Dopo aver identificato le principali
tipologie di attività immateriali, presenteremo alcuni cenni in merito alla disciplina
legale di alcuni tra questi, essendo l’identificazione e la gestione degli intangible assets
strettamente legata alla normativa che ne circoscrive lo sfruttamento e la proprietà: a
tal fine, esamineremo la disciplina legale dei marchi e delle opere dell’ingegno, due tra
i più comuni assets intangibili. Il paragrafo successivo tratta l’argomento della
formazione delle attività immateriali: molto spesso, difatti, lo stesso metodo di
creazione di un intangible è una importante discriminante al fine di valutare se
l’attività immateriale in questione è singolarmente individuabile o deve essere fatta
rientrare nel più generale concetto di avviamento: a riguardo, analizzeremo
brevemente le due più comuni forme di creazione di un intangible, ovvero l’acquisto da
terze economie e la creazione in economia, e le loro conseguenze. Da ultimo,
dedicheremo alcuni paragrafi all’analisi della importanza degli intangible assets
all’interno dell’economia d’azienda, in particolar modo dal punto di vista strategico e
competitivo: molto spesso, infatti, il vantaggio competitivo di un’impresa è fondato
sulla presenza stessa di questi assets. Al fine di evidenziare questo ruolo, riprenderemo
alcuni concetti propri della strategia aziendale, in particolar modo i contributi del
Porter a questa materia, riadattandoli ai nostri fini. Al termine del capitolo, quindi,
risulterà maggiormente chiaro l’ambito di nostro interesse e le fondamentali
implicazioni economico-strategiche che la presenza degli intangible assets all’interno
dei bilanci delle aziende possono comportare.
3
1.1 – RISORSE INTANGIBILI, BENI IMMATERIALI E IMMOBILIZZAZIONI
IMMATERIALI: DEFINIZIONE E IDENTIFICAZIONE
Per procedere all’analisi delle possibili modalità di classificazione delle attività
immateriali, è preliminarmente necessario fornire una generale visione d’insieme del
sistema produttivo e delle condizioni produttive all’interno delle quali si situano gli
intangibles, scopo della quale è fare chiarezza in merito alla terminologia usata e
all’oggetto del presente lavoro. Partendo dalla più generale definizione di condizioni di
produzione, si arriverà, in conclusione del paragrafo, ad identificare ed isolare gli
intangibles specifici, oggetto di trattazione nel corso del capitolo e nei successivi.
“Le condizioni di produzione sono tutti quegli elementi, modalità, procedure,
circostanze che influenzano, in maniera effettiva o anche solo potenziale, l’attività
aziendale, tanto di consistenza materiale quanto immateriale”2. Se le prime sono di
evidente identificazione, in quanto dotate dell’attributo della materialità e della
tangibilità, le seconde sono tanto di difficile definizione ed identificazione, quanto
importanti per l’economicità e la gestione aziendale. Esse, infatti, sono condizioni
favorevoli allo svolgimento della produzione profondamente diffuse ed incorporate
nell’organizzazione aziendale, nelle persone che ne fanno parte, influenzando anche le
condizioni ambientali esterne che favoriscono la creazione di valore per l’azienda e per
tutti gli stakeholders. Proprio per le problematiche definitorie ad esse associate,
proporremo di seguito uno schema che tenterà di individuare alcune caratteristiche ad
esse proprie, cercando di contestualizzare le stesse risorse immateriali all’interno
dell’economia d’azienda. Quello di condizione produttiva, infatti, è un concetto
generico, dal quale enucleare tramite distinzioni successive, quelli di fattore produttivo
e di risorsa intangibile. A seconda del grado di assoggettamento3 all’azione di governo
del soggetto economico aziendale, si possono distinguere condizioni produttive interne
ed esterne. Nella categoria delle condizioni produttive interne vengono ricomprese tutte
quelle su cui l’organo di governo aziendale può esercitare il suo potere di destinazione
2 Cfr. Antonelli V., Introduzione allo studio del sistema d’azienda, Giappichelli, Torino, 2002.3 Per grado di assoggettamento si intende la possibilità da parte dell’azienda di esercitare un effettivocontrollo sulle risorse stesse, senza dover essere condizionata da esse ma, anzi, condizionandole egestendole a sua volta, in funzione del raggiungimento degli obiettivi aziendali.
4
funzionale in forza di un impiego di fatto o di un titolo giuridico4 che lo permetta. A
loro volta, le condizioni produttive interne possono essere esogene o endogene.
Figura 1 - Uno schema di individuazione delle risorse intangibili e dei fattori produttivi
Le condizioni produttive esogene sono tali se pervengono all’azienda
dall’ambiente esterno ed impiegabili all’interno della stessa una volta acquisite: sono
onerose se negoziabili, esprimibili in termine di valore e generatrici di un onere per la
loro acquisizione o richiedenti una remunerazione entro un termine prefissato; sono
4 Quale la proprietà, un contratto di locazione, di leasing o di affitto.
Condizioniproduttive
Interne
Esterne
Endogene Esogene
Nonidentificabili néquantificabili
Identificabili equantificabili
Onerose Non onerose
Fattoriproduttivi
Risorseintangibili
Beni liberi
Conoscenze
Coesione ededizioneaziendale
Credibilità ei i
Benimateriali
(denaro, merci,terreni,
impianti, ecc…)
Beniimmateriali
(marchi,licenze, brevetti,
software)costruiti in
5
condizioni non onerose, invece, i beni liberi, come il lavoro volontario o le risorse
donate5.
Le condizioni produttive endogene, invece, sono quelle originate all’interno
dell’azienda per effetto di processi di costruzione in economia più o meno preventivati,
organizzati e razionalizzati, in una situazione di simultaneità con lo svolgimento
dell’attività aziendale. Le condizioni produttive appartenenti a questa classe possono
essere più o meno identificabili e quantificabili: per quantificabili si intende la loro
attitudine ad essere espresse per mezzo di indicatori monetari, mentre tramite il
requisito dell’identificabilità si precisa che le risorse in questione non devono essere
tanto pervasive da risultare non definibili con precisione, rimanendo su un piano
meramente astratto, essendo a conoscenza della loro presenza ma non potendo
identificare, appunto, chiaramente i loro effetti.
Per condizioni produttive esterne, invece, si intendono le condizioni d’ambiente
che incidono sulla vita dell’azienda per il solo fatto che questa esiste ed agisce in
determinate situazioni spazio-temporali; sono condizioni, situazioni sulle quali l’azienda
non può fare valere il proprio controllo ma può, eventualmente, arginarle e contenerle,
nel caso producano effetti negativi, o favorirle, nel caso in cui sprigionino benefici
positivi per l’economicità aziendale.
A questo punto, interviene la distinzione più rilevante dell’intero processo
definitorio oggetto di analisi: si definiscono fattori produttivi le condizioni produttive
interne, esogene, onerose – fattori produttivi negoziati sul mercato – e le condizioni di
produzione interne, endogene, identificabili e quantificabili in termini di valore – fattori
produttivi costruiti in economia – cioè tutte quelle condizioni individuabili nella loro
singolarità e quantificabili per mezzo del metro monetario. Solo i fattori produttivi,
infatti, sono pienamente identificabili e potenzialmente separabili dal sistema produttivo
aziendale; essi inoltre sono generalmente trasferibili, vincolabili, remunerabili nella loro
singolarità e, di conseguenza, passibili di misurazione monetaria.
5 Può tuttavia accadere che anche risorse donate o frutto di atti di liberalità siano beni immateriali, anchese questa situazione, come vedremo in seguito, si verifica molto raramente e la contabilizzazione dirisorse in tale modo rese disponibili offre ampi margini di incertezza e di dibattito a livello dottrinale.
6
Le risorse intangibli, invece, sono rappresentate da quelle condizioni produttive
interne, endogene e non identificabili in via separata dal sistema d’azienda né tanto
meno quantificabili in termini di valore6. Si tratta di risorse legate in maniera stretta ai
soggetti che operano all’interno dell’azienda e che gravitano attorno ad essa ma che non
sono vincolabili per mezzo di contratti o altre formalizzazioni che ne stabiliscano tempi
e modi di utilizzo7.
Nella pratica, i termini “risorse immateriali” e “risorse intangibili” vengono
quasi sempre utilizzati come sinonimi, così come espressioni quali “beni immateriali”,
“intangibles”, “invisible o intangible assets”. Qui invece, come esemplificato dalla
tabella proposta di seguito, si sottolinea la differenza tra le due tipologie di risorse,
anche al fine di focalizzare l’attenzione del presente lavoro sull’analisi delle prime.
Tabella 1 - Distinzione tra risorse immateriali e risorse intangibili
Risorse immateriali Risorse intangibili
Condizioni produttive prive di
corporeità
Misurabili in termini monetari
Atte a cedere utilità nel tempo
Identificabili
Trasferibili
(sono fattori produttivi, per esempio
brevetti, licenze, marchi)
Condizioni produttive prive di
corporeità
Non misurabili in termini monetari
Atte a cedere utilità nel tempo
Difficilmente o per nulla identificabili
Difficilmente o per nulla trasferibili
(non sono fattori produttivi, per
esempio esperienze, conoscenze)
6 Mancando, infatti, un prezzo negoziato o un costo sostenuto nel passato, chiaramente identificabili,nella rilevazione di queste “entità” si può, al più, fare riferimento al costo di acquisizione o produzione dialcuni fattori produttivi indirettamente collegati al processo di formazione, accumulo e consolidamentodelle risorse considerate. Si pensi, ad esempio, al caso della valorizzazione di un determinato know-howproprio di un gruppo di dipendenti, al massimo approssimabile con un’eventuale costo sostenuto perl’approntamento di un corso per mezzo del quale siano state comunicate queste conoscenze ai dipendentistessi.7 Queste risorse sono, in concreto, il risultato del comportamento degli individui appartenenti al sistemaaziendale, intesi tanto come singoli, quanto come collettività organizzata: possono essere sostanzialmenteindividuati nelle loro conoscenze specifiche, abilità, creatività, impegno, motivazione, coesione,dedizione, cultura, esperienza, fiducia e credibilità guadagnate nel corso del tempo. Si tratta, in sostanza,di entità coese con il tutto nel quale sono ricomprese, e per questo non valutabili singolarmente. Per unatrattazione più specifica di queste risorse cfr. Vicari S., Invisible asset e comportamento incrementale, inFinanza, Marketing e Produzione, n. 1/1989.
7
Le immobilizzazioni immateriali, invece, sono una classe di valori di capitale
inclusa nel lato dell’attivo del prospetto di bilancio di Stato Patrimoniale: gli elementi
attivi di capitale, infatti, sono classificati in funzione del tipo di utilità che cedono alla
gestione aziendale, distinguendo al loro interno quelle dotate di materialità da quelle
prive di questo attributo, tra elementi di capitale fisso ed elementi di capitale circolante
in funzione della prevista permanenza dell’attività in questione all’interno dell’azienda.
Senza addentrarci ulteriormente nelle possibili ripartizioni degli elementi di capitale,
focalizziamo la nostra attenzione sulla categoria proposta: appartengono alle
immobilizzazioni i beni, materiali ed immateriali, avvinti all’azienda in maniera
permanente e indispensabili al processo produttivo, mentre rientrano nelle disponibilità
quei fattori che potrebbero essere agevolmente distratti dalla loro destinazione senza
provocare, per questo stesso motivo, l’interruzione dell’attività aziendale.
Le immobilizzazioni immateriali, dunque, corrispondono ai fattori produttivi a
utilità immateriale – cioè alle risorse immateriali, secondo il criterio di classificazione
proposto in precedenza – identificabili e quantificabili, che, dal punto di vista
qualitativo, fanno parte integrante della struttura aziendale, non potendo essere distolti
da essa; dal punto di vista quantitativo, possono vantare un valore, più o meno
congetturato o attendibile, che rispecchia o il loro costo di produzione/acquisto o i
prevedibili flussi futuri potenzialmente conseguenti alla loro presenza ed al loro utilizzo.
8
1.2 – CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DEI BENI IMMATERIALI
Nella letteratura aziendalistica di matrice italiana è stato più volte trattato
l’argomento dell’identificazione e conseguente valutazione delle attività immateriali
possedute da un’impresa, al fine di evidenziarne il reale valore economico, molto spesso
non adeguatamente illustrato dal mero valore contabile. Se esiste un generale accordo in
merito all’importanza che queste risorse rivestono all’interno dell’economia d’azienda,
non altrettanto può dirsi relativamente alle metodologie di valutazione e di calcolo
dell’effettivo valore sprigionato dalla loro presenza e dal loro utilizzo. Come vedremo
in seguito, difatti, sono molteplici i metodi adottati per condurre queste valutazioni e
non sembrano esistere particolari convenzioni o accordi operativi grazie ai quali
associare ad ogni singola tipologia di bene, il metodo di valutazione più opportuno.
A questa incertezza in merito alla possibilità di fornire stime attendibili e
condivise da più operatori del valore di un bene immateriale, si aggiunge un’ulteriore
alea di scarsa chiarezza in merito alla individuazione di criteri atti ad identificare e
definire concretamente i beni immateriali. A causa della pervasività che
contraddistingue le risorse intangibili, queste sono difficilmente individuabili all’interno
dell’unitaria gestione d’impresa e, di conseguenza, è altrettanto complicata la loro
valutazione e l’esplicitazione di un nesso di causalità tra i flussi considerati e la
presenza degli intangibles. Nel corso degli anni, soprattutto a partire dalla fine degli
anni ’80, si è tentato di sviluppare l’argomento dell’individuazione e conseguente
valutazione dei beni immateriali, cercando di fornire alcuni criteri e requisiti che i vari
intangibles dovrebbero soddisfare per essere considerati tali. Questo tema, infatti, è
stato sviluppato da più autori italiani, fornendo contributi che spaziano all’interno del
più generale ambito dell’economia d’azienda, dal marketing alla strategia aziendale,
dalla finanza aziendale alle teorie organizzative. Proprio per l’ampio numero di
contributi offerti all’analisi della definizione e della valutazione degli intangible, risulta
preliminarmente necessario tentare di trovare un accordo in merito ai requisiti che questi
devono rispettare, anche al fine di circoscrivere l’ambito di analisi del presente lavoro.
A riguardo, a nostro avviso, è fondamentale il contributo offerto da Brugger,
nella sua pubblicazione “La valutazione dei beni immateriali legati al marketing e alla
9
tecnologia”8, all’interno della quale viene proposto un primo tentativo di classificazione
dei beni immateriali: proposta che, data la sua autorevolezza e coerenza logica, tutt’ora
viene spesso presa come riferimento al fine di identificare con precisione le risorse
immateriali.
Secondo l’autore, affinché sia possibile identificare un intangible, è necessario
che questo soddisfi tre ordini di requisiti:
Deve essere oggetto di un significativo flusso di investimenti
Deve essere all’origine di benefici economici differenziali futuri di entità
apprezzabile
Deve essere trasferibile, almeno idealmente
La prima caratteristica può essere verificata esaminando la struttura degli
investimenti dell’impresa, per accertare la rilevanza degli impieghi di risorse a favore di
tutte quelle attività che dovrebbero, almeno in linea teorica, portare allo sviluppo di un
bene immateriale. Gli investimenti sostenuti non dovranno essere semplici spese
inerenti generali attività di ricerca, promozionali o di sviluppo, ma sarà necessario che
questi siano riconducibili ad uno specifico bene immateriale, rendendo evidente il nesso
di causalità esistente tra lo sviluppo di questo e i costi affrontati.
Unendo il primo requisito proposto con il secondo, è possibile qualificare gli
intangible come investimenti in atto: se per investimento si fa riferimento ad
“un’operazione che comporta un sacrificio iniziale di risorse, in cambio della
formazione futura di nuove (e possibilmente accresciute) risorse”9, risulta evidente il
fatto che possano essere qualificati come tali i beni immateriali, per la disponibilità dei
quali sono state sostenute spese ben identificabili di competenza di esercizi precedenti e
a fronte delle quali ci si attende un ritorno in termini di benefici economici futuri attesi
tale da soddisfare le attese di remunerazione derivanti dagli investimenti sostenuti.
Questi benefici futuri, generalmente, possono essere quantificati per mezzo dell’analisi
differenziale, cercando di osservare i risultati di mercato ed identificare le componenti
degli stessi che possono essere riferibili all’esistenza e all’effettiva operatività del bene
8 Cfr. Brugger G., La valutazione dei beni immateriali legati al marketing e alla tecnologia, in Finanza,Marketing e Produzione, n. 1/1989, pp. 33 e ss.9 Cfr. Brugger G., op.cit.
10
immateriale: componenti che non avrebbero ragione di esistere nel caso in cui l’azienda
non potesse vantare la disponibilità del bene immateriale oggetto di analisi10. In alcuni
casi, però, si potrebbe verificare l’ipotesi di un difficile apprezzamento
dell’investimento in funzione dei suoi risultati futuri – mancando la possibilità di
individuarli puntualmente e procedere ad una loro verifica – potendo limitarsi solamente
alla considerazione dei costi sostenuti in passato per la realizzazione del bene11: in
questo caso, pur venendo apparentemente meno il requisito in esame, il bene potrebbe
comunque essere considerato “bene immateriale” e non mera “risorsa intangibile”12,
essendo esprimibile il valore stesso del bene tramite l’opportuna individuazione dei
costi sostenuti e la loro elaborazione al fine di tenere in considerazione lo stato di usura
del bene, la sua perdita di utilità e l’eventuale correzione dei costi sostenuti per mezzo
di adeguati indici monetari per tenere in considerazione il momento di sostenimento
degli stessi. Il criterio in questione, infatti, si tramuta concretamente nella necessaria
misurabilità del valore del bene immateriale stesso, qualsiasi sia il metodo utilizzabile
purché dotato della necessaria attendibilità e precisione.
Il terzo requisito individuato dall’autore è quello della trasferibilità, o comunque
della fruibilità separata. Proprio questo concetto è quello che, nella maggior parte dei
casi permette la concreta individuazione dei singoli beni immateriali: si tratta, infatti, di
un aspetto importante per decidere se si è in presenza di un elemento patrimoniale
dotato di una propria autonomia, come avviene più frequentemente nel caso dei beni
materiali, o se non sia possibile separare questo valore dal più generale contesto
d’impresa in funzionamento. Ovviamente, la trasferibilità in questione è da valutare in
relazione alle comunque esistenti difficoltà associate al trasferimento di un bene
immateriale, anche se nel corso del tempo si sono sempre più frequentemente sviluppati
accordi contrattuali e casi concreti per mezzo dei quali sfruttare economicamente il
10 Si pensi, ad esempio, alla possibilità che da investimenti compiuti a favore dello sviluppo e delladiffusione di un marchio derivino un certo differenziale di prezzo rispetto ai prodotti omogenei in terminidi caratteristiche dei concorrenti ed un certo differenziale di volume: questi dovrebbero permettere dicalcolare i margini incrementali derivanti da questi impieghi di risorse e proprio su questo principio sibasa il metodo di valutazione fondato sull’attualizzazione dei risultati differenziali, ampiamente trattatonei successivi capitoli.11 E’ su questo presupposto che si basano i procedimenti valutativi basati sul principio del costo.12 Come definito all’interno del capitolo 3, esaminando i metodi valutativi basati sui costi sostenuti.
11
requisito in questione13. Il requisito in esame, inoltre, consente a volte la selezione di
fronte a fattori convergenti, come per esempio, nel caso del marketing, le quote di
mercato: queste, difatti, non sono singolarmente trasferibili e pertanto non dovrebbero
essere considerate un bene immateriale; al contrario, sono trasferibili i prodotti, i
marchi, le strutture di vendita, entità alle quali sono riconducibili le specifiche quote di
mercato. I fattori che non possono vantare questa relativa autonomia, rappresentano, per
così dire, un “residuo” sinteticamente esprimibile in termini di capacità di
organizzazione ed imprenditoriale che è all’origine del più generale valore di
avviamento in senso proprio, inteso come voce individuata in maniera residuale dopo
aver enucleato tutti beni singolarmente identificabili. Il requisito della trasferibilità,
infine, è soddisfatto anche nel caso in cui il passaggio del bene debba essere condotto
insieme ad altri beni, di entità e valore limitati, ma che costituiscono il necessario
corredo pratico alla presenza del bene. Raramente, difatti, sono trasferibili conoscenze
senza il contestuale passaggio di supporti materiali o tecnici, da utilizzare in via
complementare all’intangible in sé e per sé. Il requisito in esame rappresenta uno dei
principi più innovativi e seguiti introdotti dall’analisi di Brugger, rispondendo alla
necessità di proteggere il soggetto preposto alla valutazione dal rischio, molto frequente
in questo campo, di sovrapposizioni e di duplicazioni.
13 Si pensi, a riguardo, ai contratti di franchising, alle licenze e al pagamento di royalty. Sul presuppostodella trasferibilità e della fruibilità separata si basa concretamente il criterio di valutazione fondatosull’esenzione da royalty, ampiamente analizzato in seguito.
12
1.3 – CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI BENI IMMATERIALI
Dopo aver fornito informazioni in merito ai criteri per mezzo dei quali vengono
usualmente identificate le attività immateriali e distinte le stesse dal più generale
concetto di avviamento d’impresa, voce residuale e comprendente tutto ciò che non
risponde ai requisiti analizzati in precedenza, risulta importante, delineare quali sono le
possibili classificazioni generalmente accettate per gli intangibles.
Dopo aver condotto un importante sforzo in sede di definizione, come ricordato
in precedenza, fase non priva di contrasti e di opinioni discordanti provenienti da diversi
autori, nella letteratura inerente l’argomento si sono succedute diverse tipologie di
classificazione, in funzione dei criteri di volta in volta considerati. Nella tabella
proposta di seguito14, si tenterà di riassumere i criteri di classificazione generalmente
accettati e le diverse tipologie di risorse immateriali così ottenute per poi procedere ad
una loro breve descrizione. La schematizzazione proposta non può che peccare in
termini di sistematicità e di precisione, essendo possibili molteplici soluzioni diverse,
tutte esposte al rischio di duplicazioni e sovrapposizioni, a causa dell’incertezza che è
strettamente associata anche al momento dell’individuazione delle singole risorse
intangibili.
I criteri proposti, inoltre, derivano da opere e da proposte operative relative a
ambiti diversi, in quanto finalizzate all’individuazione di ben precise classi, in via
strumentale a differenti obiettivi di analisi: alcuni dei criteri proposti, difatti, sono
individuati in un’ottica prettamente contabile mentre altri sono frutto di elaborazioni più
che altro teoriche da parte di autori che non hanno voluto focalizzare la loro attenzione
sull’aspetto meramente economico dell’intangible, quanto piuttosto sul ruolo che questo
riveste nell’organizzazione e nell’economia d’azienda. Ad ogni modo, riteniamo che la
classificazione proposta possa essere estremamente utile come corredo ai criteri
definitori rilevati in precedenza al fine di porre in evidenza le distinzioni formulate da
autori che hanno approfondito le seguenti tematiche, ben consci della relatività delle
distinzioni individuate in parte frutto della sinteticità con la quale le stesse sono
riportate.
13
Tabella 2 - Possibili classificazioni delle risorse immateriali
Criterio Classi
Fonte(Brugger)
Genesi(Itami, Vicari)
Oggetto(Renoldi)
Modalità di acquisizione
Durata
Utilità
Iscrivibilità a bilancio
Trasferibilità o separabilitàdall’impresa(Guatri)
Risorse individuabili legate allatecnologiaRisorse individuabili legate almarketingRisorse individuabili legate al fattoreumanoRisorse derivanti da autorizzazioni econtratti
Risorse interneRisorse esterne
DirittiProprietà intellettualiRelazioni aziendaliPortafoglio prodotti
Risorse acquisite da terze economieRisorse autoprodotte dall’impresa
Risorse con durata limitataRisorse con durata indeterminata
Risorse di attivazioneRisorse strutturali
Risorse iscrivibili a bilancioRisorse non iscrivibili
Risorse specifiche autonome cedibiliRisorse specifiche autonome noncedibili
Secondo la distinzione proposta da Brugger, a nostro avviso quella più articolata
e funzionale alla significativa individuazione di gruppi distinti di attività immateriali,
vengono individuate tre tipologie di risorse: quelle legate alla tecnologia, quelle legate
al marketing e quelle legate al fattore umano. Giova precisare che un prerequisito
14 Ns. elaborazioni da Fellegara A.M., I valori delle immobilizzazioni immateriali nelle sintesi diesercizio, Giuffrè Editore, Milano, 1995.
14
comune a tutte le categorie proposte all’interno di questo primo criterio di
classificazione è la individuabilità delle risorse in questione e la potenziale separabilità
delle stesse dal sistema dell’impresa.
Le risorse afferenti al primo gruppo sono costituite dalla dotazione di tecnologia
disponibile e da quella potenziale, incorporata in diritti o contratti – brevetti – o coperta
da segreto aziendale se non altrimenti tutelabile. Si tratta appunto di tutto quel know
how che fa parte della cultura d’impresa e ne permea l’operare, tanto più importante
quanto più l’azienda opera all’interno di settori dinamici o ad alto contenuto
tecnologico, nei quali l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo rivestano un ruolo
particolarmente importante.
Sono invece riferibili al nucleo delle risorse intangibili legate al marketing tutte
quelle risorse che scaturiscono dalle relazioni che l’azienda intrattiene con i soggetti che
con essa interagiscono, generalmente riconducibili alla reputazione aziendale, al
marchio dei prodotti e all’immagine associata alla qualità dei prodotti stessi.
Il terzo gruppo, infine, comprende tutte quelle risorse riferibili alla formazione,
all’esperienza, all’impegno e alla fedeltà dei prestatori di lavoro, a tutti i livelli della
struttura organizzativa, tanto intesi in relazione a singoli individui, quanto relativi a più
ampi gruppi organizzati.
Il secondo criterio proposto è riconducibile all’analisi della provenienza delle
risorse in questione. In base al criterio cosiddetto della “genesi”, infatti, si possono
distinguere le risorse interne da quelle esterne. Le prime sono frutto di informazioni di
derivazione aziendale, informazioni interne all’organizzazione costituita dall’impresa e
sfruttate dalla stessa; le seconde, invece, sono l’elaborazione di informazioni e relazioni
intercorrenti con l’ambiente esterno, utili per migliorare il posizionamento competitivo
dell’azienda stessa.
Maggiormente rilevante, invece, è il criterio proposto da Renoldi, distinguendo i
beni immateriali in base all’oggetto. Si configurano, in tal senso, quattro classi: i diritti,
le proprietà intellettuali, le relazioni aziendali e il portafoglio prodotti.
All’interno del primo gruppo rientrano tutti quei diritti che, di origine
contrattuale, permettono l’utilizzazione di un determinato bene, che sia o che non sia di
15
proprietà . Entro questo gruppo viene generalmente ricompresa una casistica quanto mai
ampia, includendo il frutto di tutti quei contratti che, fornendo un insieme di condizioni
favorevoli per l’impresa, economicamente rilevanti e qualificabili, racchiudono in se un
valore immateriale. Si tratta, ad esempio, dei marchi e del relativo diritto a farne uso,
essendo protetti a livello legale da eventuali imitazioni; dai brevetti, un diritto
giuridicamente tutelato per mezzo del quale il titolare si riserva, in via esclusiva, la
facoltà di poter disporre di una sua invenzione, inibendone a chiunque non sia
espressamente autorizzato, l’utilizzo; o ancora, i diritti d’autore, derivanti dalla
creazione di un’opera dell’ingegno e finalizzati alla relativa tutela.
Viene considerato all’interno del gruppo relativo alla proprietà intellettuale
dell’azienda quell’insieme articolato di valori immateriali, anch’essi suscettibili di
identificabilità, che non possono vantare, a differenza dei beni appena esaminati, un set
di diritti tutelati dalla legge o generati in sede contrattuale. Tali beni, infatti, traggono il
loro valore da conoscenze ed informazioni esclusive, che per il vantaggio competitivo e
le relative potenzialità di reddito che procurano all’impresa, vengono gestite da
quest’ultima con riservatezza, allo scopo di impedirne l’indebita appropriazione da parte
di concorrenti. Si possono ricondurre a questa categoria di beni le informazioni e le
conoscenze riservate, o le conoscenze modificative di beni già esistenti non brevettabili.
Tra la prima categoria, ad esempio, possono essere comprese le banche dati possedute
da un’azienda o le liste di informazioni personali relative ai clienti, a patto che siano
all’origine di vantaggi economici per l’impresa tali da giustificarne la segretezza e il
relativo valore sia dipendente dal fatto che questi siano sconosciuti a soggetti esterni
all’azienda.
All’interno della categoria delle relazioni aziendali si possono ricondurre in linea
di principio, gli svariati rapporti e collegamenti che l’impresa instaura con l’ambiente
esterno: i casi più importanti, a riguardo, sono sicuramente il portafoglio clienti,
espresso in termini di fedeltà e numerosità degli stessi, le reti di vendita e i rapporti tra
l’impresa ed i propri intermediari commerciali. Molto spesso, però, è estremamente
labile la distinzione tra queste entità e la forza di un marchio, tanto da ricomprendere le
sfaccettature qui evidenziate all’interno della più generale valutazione di una marca o di
un prodotto.
16
Da ultimo, Renoldi individua il portafoglio dei prodotti, allorquando sia
possibile individuare il contributo che ciascuna linea di prodotto è in grado di garantire
alla redditività aziendale e altrettanto determinabile, sia in una logica differenziale,
l’utilità che queste rilasciano nel corso degli anni all’azienda, al netto degli extracosti
necessari per il mantenimento delle linee stesse.
A nostro avviso, la classificazione qui proposta, lascia aperti molteplici margini
di dubbio, dato che non sembra essere verificata la condizione di mutua esclusività tra le
categorie individuate, essendo estremamente difficoltoso il puntuale inserimento di ogni
singolo asset all’interno di un’unica categoria.
Gli altri due criteri di definizione derivano dall’esperienza pratica e dalla
concreta gestione delle attività immateriali stesse, più che da contributi teorici ed analisi
sul tema: in base a questi, infatti, si ripartiscono le attività immateriali tra quelle
autoprodotte e quelle acquisite da terze economie, in base alla loro modalità di
formazione15, e tra quelle che presentano una durata dei vantaggi economici determinata
dalla legge o da vincoli contrattuali e quelle che, invece, offriranno benefici economici
all’azienda per un periodo di tempo illimitato o comunque non facilmente
determinabile. Anche i due criteri successivi risultano di immediata comprensione: in
base al criterio dell’utilità, si possono individuare le risorse di attivazione, generalmente
acquisibili dal mercato e quindi esogene, che esauriscono la propria utilità in un unico
processo o ciclo produttivo, e le risorse strutturali, ovvero condizioni produttive che
manifestano la propria utilità in molteplici cicli produttivi, indipendentemente dalla loro
provenienza originaria. Il criterio della iscrivibilità a bilancio, invece, si basa sulla
possibilità di inserire nel bilancio d’impresa o meno le attività immateriali, in funzione
della rispondenza delle caratteristiche peculiari delle stesse ai criteri individuati dai
principi contabili, come analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato a
quest’argomento.
Da ultimo, risulta interessante spendere qualche parola in merito al
procedimento di classificazione proposto da Guatri16, non limitato al semplice rispetto
del principio di separabilità dall’impresa: l’autore, in primis, come sottolineato
15 In merito, cfr. il paragrafo successivo.
17
all’interno della tabella proposta in precedenza, distingue le risorse immateriali in base
alla loro effettiva separabilità e trasferibilità dal più generale complesso d’impresa,
ripercorrendo in parte il sentiero teorico già tracciato dal Brugger. Secondariamente,
riconoscendo l’inutilità del tentativo di scomporre gli intangibles in molteplici classi,
essendo troppo elevato il rischio di sovrapposizione tra le stesse, Guatri suggerisce di
limitarsi a inserire i beni immateriali in due categorie: gli intangibles di marketing e gli
intangibles legati alla tecnologia, sulla base della ripartizione effettuata all’interno delle
seguenti tabelle:
Tabella 3 - L'insieme degli intangibles legati al marketing
Nome e logo della
società
Denominazione dei
marchi
Insegne
Marche secondarie
Idee pubblicitarie
Strategie di
marketing
Garanzie sui prodotti
Grafica
Idee promozionali
Sforzo di pubbliche
relazioni
Design delle etichette
Design
dell’imballaggio
Registrazione dei
marchi
Tabella 4 - L'insieme degli intangibles legati alla tecnologia
Tecnologia
Know-how
produttivo
Progetti di ricerca e
sviluppo
Brevetti
Segreti industriali
Design / Styling
Software
Database
16 Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano, ult.ed.
18
Al limite, è possibile evidenziare una terza classe individuabile in via residuale,
oltre alle due citate in precedenza, che contenga tutti quegli intangibles legati alle
conoscenze, alle capacità, alle autorizzazioni, esistendo, infatti, intangibles non
collegabili direttamente né al marketing né alla tecnologia17. Anche se permangono
dubbi in merito all’utilizzo di riferimenti estremamente generici quali “le conoscenze” o
“le capacità”, risulta opportuno inserire questa terza categoria non tanto per includere
beni definibili in senso positivo – evidenziano ciò che sono – ma, al contrario, inserendo
tutti quelli non definibili come “legati al marketing” o “legati alla tecnologia”. Guatri,
infine, introduce il criterio della dominanza al fine di evitare il rischio di
sovrapposizioni tra i beni individuati, nel caso in cui i valori degli intangibles appaiano
legati, talvolta in maniera inestricabile, sia al marketing, sia alla tecnologia: tale criterio,
riconoscendo che esistono beni immateriali diversi collocati con vario peso lungo tutta
la catena del valore e compresi tra i due estremi ben identificati in precedenza –
intangibles di marketing, da un lato, e intangibles legati alla tecnologia, dall’altro –
afferma l’opportunità di stimare i beni immateriali facendo riferimento ai metodi
adottati per l’una o per l’altra classe, in funzione della prevalenza dell’uno o dell’altro
profilo.
Come si può apprezzare dalla breve disamina condotta in merito ai criteri in basi
ai quali è possibile classificare gli intangibles, appare a nostro avviso evidente come il
criterio più importante sia quello fornito da Brugger ed esposto per primo all’interno
della lista: questa metodologia di classificazione appare molto completa, avendo il
pregio di individuare quattro classi in senso positivo, senza dover ricorrere ad ulteriori
voci, evidenziate in via residuale. D’altra parte, una classificazione tanto rigorosa
potrebbe, in un campo tanto dinamico quale è quello dei beni immateriali, portare al
rischio di forzature, al fine di inserire in una delle classi individuate anche intangibles la
cui appartenenza ad una classe piuttosto che ad un'altra non appare ben chiara.
17 In tal senso, Guatri cita come esempi di possibili beni immateriali appartenenti a questa classeeventuali autorizzazioni governative per lo svolgimento dell’attività o la testata di un quotidiano.
19
1.4 – DISCIPLINA LEGALE DEI MARCHI
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi di un’impresa. Esso è
disciplinato sia dall’ordinamento nazionale18 sia da quello comunitario19 ed
internazionale20. Tali normative, imperniate sull’istituto della registrazione del marchio,
riconoscono al titolare del marchio, rispondente – come vedremo – a determinati
requisiti di validità, il diritto all’uso esclusivo dello stesso, permettendo così che il
marchio assolva la sua funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti
similari esistenti sul mercato.
1.4.1 – Requisiti di validità del marchio
Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve rispondere a determinati
requisiti di validità: liceità, verità, originalità e novità.
Il marchio, infatti, non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume; stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali,
segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale21.
18 Il marchio nazionale è regolato dagli artt. 2569-2574 c.c. e dal r.d. 21-6-1942, n.929 (“LeggeMarchi”), modificati in più punti in attuazione di direttive comunitarie di armonizzazione e di accordiinternazionali in materia.19 Al marchio nazionale, cui circoscriveremo l’esposizione in questa sede, si è di recente affiancato ilmarchio comunitario, istituito con il regolamento CE, n. 40/94, del 20-12-1993. La relativa disciplinaconsente, in sostanza, di ottenere con un’unica procedura un marchio unico, unitariamente regolato etutelato in tutti i paesi dell’Unione Europea.20 Il marchio internazionale è a sua volta disciplinato da due convenzioni internazionali: la Convenzioned’Unione di Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale e l’Accordo di Madrid del 1891sulla registrazione internazionale dei marchi, recentemente integrato dal Protocollo di Madrid del 1989. Adifferenza del marchio comunitario, il marchio internazionale non è un marchio unico: le relativeconvenzioni consentono solo di semplificare le procedure per accedere alla tutela del marchio nei singoliStati Aderenti, secondo le rispettive discipline nazionali.21 A tutela dell’altrui diritto all’immagine, è altresì fatto divieto di utilizzare come marchio l’altrui ritrattosenza il consenso dell’interessato o, dopo la morte di questi, degli eredi. Per quanto riguarda, invece, latutela dell’altrui diritto al nome, è oggi introdotta un’opportuna distinzione fondata sulla diversa capacitàattrattiva che il nome può avere. Se si tratta di persona che ha acquisito notorietà, è necessario il consensodell’interessato o dei suoi eredi, s si vuole usare come marchio il nome della stessa o anche lopseudonimo. Per le persone non note, resta invece ferma la regola originaria: il nome altrui può essereinserito nel marchio anche senza il consenso dell’interessato, purché l’uso non sia tale da ledere la fama,il credito o il decoro dell’avente diritto al nome. L’Ufficio Brevetti ha tuttavia la facoltà di subordinare laregistrazione al consenso dell’interessato.
20
Il principio della verità vieta di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il
pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei
prodotti o dei servizi.
Per assolvere alla sua funzione, inoltre, il marchio deve essere originale. Deve
cioè essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati
fra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato22. E’ infine possibile usare
come marchio denominazioni generiche o parole di uso comune modificate o combinate
fra loro in modo fantasioso. In questi casi, però, la capacità distintiva del marchio è
affidata alla modificazione o alla combinazione di fantasia e solo entro tali limiti il
titolare del marchio è tutelato contro l’altrui imitazione. Il marchio è perciò definito
marchio debole e basteranno lievi modifiche o aggiunte per escludere la confondibilità
con altri marchi. Si definiscono, all’opposto, marchi forti, quelli dotati di accentuata
capacità distintiva e sono tali, in genere, i marchi di pura fantasia. Per tali marchi,
modifiche anche notevoli non basteranno ad evitare la contraffazione23.
Ultimo dei requisiti di validità del marchio è la sua novità. E’ questo un profilo
ulteriore della capacità distintiva del marchio, complementare ma distinto rispetto
all’originalità. A riguardo, l’attuale legge marchi introduce una distinzione fra marchi
ordinari e marchi celebri. Per i primi la regola è che non sono nuovi i segni che
possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche
in un rischio di associazione fra i due segni, perché si tratta di segni identici o simili ad
un segno già noto come marchio, ditta o insegna di un altro imprenditore concorrente o
comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini. Il rapporto
di affinità fra prodotti non è però necessario se il marchio già registrato è diventato un
marchio celebre. Infatti, è ex lege non nuovo anche il marchio confondibile da altri
successivamente utilizzato per prodotti o servizi non affini, se chi lo usa è in grado di
trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o
recare pregiudizio agli stessi.
22 Il legislatore predetermina i tipi di segni privi di tale capacità distintiva: a) le denominazioni generichedel prodotto o del servizio o la loro figura generica; b) le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali,delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto; c) i segni divenuti di uso comune nellinguaggio corrente. La ratio di questi divieti è quella di impedire l’acquisto di posizioni di monopolio susimboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto.23 La distinzione in concreto fra marchi deboli e marchi forti non è però sempre agevole e si possonoanche verificare casi in cui un marchio inizialmente dotato di scarsa capacità distintiva diventi poi “forte”a seguito dell’uso che ne è stato fatto e della sua notorietà presso il pubblico.
21
Rispettati i requisiti di validità del marchio, la fantasia dell’imprenditore può
liberamente esprimersi nella composizione dello stesso. Possono, infatti, essere
utilizzati come marchi tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati
graficamente24.
Il difetto dei requisiti fin qui esposti comporta la nullità del marchio, che può
riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato.
Sono tuttavia previste due significative eccezioni:
a. La nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarata quando
chi ha richiesto la registrazione non era in mala fede ed il titolare del marchio
anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni. E’ questo l’istituto della
convalida del marchio.
b. La nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata
quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva
prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità.
1.4.2 – Il marchio registrato
Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità indicati nel paragrafo
precedente ha diritto all’uso esclusivo del marchio prescelto o creato. Il contenuto del
diritto sul marchio e la relativa tutela sono però sensibilmente diversi a seconda che il
marchio sia stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi25.
Cominciamo dal marchio registrato, che può essere ottenuto non solo dall’imprenditore
che intende utilizzarlo direttamente nella propria impresa, ma anche da chi si proponga
24 A riguardo si è soliti fare la seguente distinzione: il marchio può essere costituito da sole parole(marchio denominativo) o esclusivamente da figure lettere, cifre, disegni, o colori (marchio figurativo).Può essere composto da una mix di entrambi gli strumenti (marchio misto) oppure dalla semplice formadel prodotto, dalla confezione dello stesso (marchio di forma).25 La registrazione nazionale è poi presupposto per poter estendere la tutela del marchio in ambitointernazionale, attraverso la successiva registrazione presso l’Organizzazione Mondiale per la ProprietàIndustriale di Ginevra. Il deposito della domanda di registrazione in uno degli Stati aderenti all’Unione diParigi del 1883 attribuisce al depositante la facoltà di presentare, entro sei mesi, domanda di registrazioneper lo stesso segno in ciascuno degli Stati unionisti; domanda i cui effetti retroagiscono alla data dellaprima domanda. Il depositante è perciò protetto per il periodo di sei mesi contro il pericolo che unconcorrente depositi domanda per lo stesso marchio in altri Stati unionisti. Per il marchio comunitario,invece, la registrazione è indipendente da quella nazionale. La registrazione, effettuata presso l’Ufficioper l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) di Alicante (Spagna) produce gli stessi effetti in tuttal’Unione Europea.
22
di utilizzarlo in altre imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo
consenso26.
La registrazione attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo27
dello stesso su tutto il territorio nazionale ,quale che sia l’effettiva diffusione territoriale
dei suoi prodotti. In particolare, il titolare di un marchio registrato può impedire a terzi
di mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio
marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità quando ciò possa determinare un
rischio di confusione per il pubblico. Il diritto di esclusiva sul marchio registrato,
inoltre, copre non solo i prodotti identici ma anche quelli affini, qualora possa
determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Nel caso di marchi celebri,
tuttavia, si è avvertita la necessità di estendere l’ambito di tutela dei marchi stessi,
impedendo l’uso degli stessi anche per prodotti non affini: con la riforma del 1992,
infatti, la tutela dei marchi celebri è stata svincolata dal criterio dell’affinità
merceologica. Il titolare di un marchio registrato rinomato può infatti vietare a terzi di
usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini,
quando l’uso del segno senza giustificato motivo consenta di trarre indebitamente
vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio in questione o rechi
pregiudizio allo stesso.
La registrazione nazionale dura dieci anni ed è rinnovabile per un numero
illimitato di volte, sempre con efficacia decennale. La registrazione, quindi, assicura una
tutela pressoché perpetua, salvo che non sia successivamente dichiarata la nullità del
marchio per difetto originario di uno dei suoi requisiti o non sopravvenga una causa di
decadenza28.
Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare
del marchio il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere
contro questi l’azione di contraffazione. Azione volta ad ottenere l’inibitoria alla
26 Sono, di conseguenza, rimossi gli ostacoli che in passato sembravano frapporsi alla registrazione di unmarchio di gruppo o da parte di chi non è imprenditore, fermo restando che è possibile solo un usoimprenditoriale del marchio stesso.27 Il diritto all’esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domandaall’Ufficio bevetti. Il titolare di un marchio registrato, quindi, è tutelato ancor prima che inizi ad utilizzareil marchio stesso.28 Dal marchio si decade, anche parzialmente, per: 1) volgarizzazione; 2) sopravvenuta ingannevolezzadello stesso; 3) mancata utilizzazione entro cinque anni dalla registrazione o se l’utilizzazione è statasospesa per ugual periodo, salvo che l’inerzia non sia dovuta ad un motivo legittimo. In particolare, si ha
23
continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi
attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è stata attuata la
contraffazione29.
1.4.3 – Il marchio di fatto
La registrazione del marchio non è il solo fatto costitutivo del relativo diritto.
Infatti, l’ordinamento tutela anche chi usi un marchio senza registrarlo, ma si tratta di
una tutela sensibilmente minore di quella goduta da un marchio registrato.
Dispone, infatti, l’art. 2571 che “chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha
la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei
limiti in cui anteriormente se ne è avvalso”. La tutela del diritto di esclusiva sul marchio
non registrato si fonda perciò sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di
notorietà raggiunto in precedenza.
Il titolare di un marchio non registrato, diventato noto su tutto il territorio
nazionale, potrà impedire che altrui usi concretamente lo stesso marchio per gli stessi
prodotti, ma non per prodotti affini30. Ben più modesta è invece la protezione che riceve
il titolare di un marchio non registrato con notorietà locale: non potrà impedire che un
altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti in altra zona del
territorio nazionale. Non potrà, altresì, impedire che un concorrente registri validamente
lo stesso marchio ed in tal caso potrà solo continuare ad usare il proprio marchio nei
limiti della diffusione locale.
Il marchio di fatto gode, inoltre, di una tutela penale più limitata e non ha
ovviamente le prospettive di tutela internazionale riconosciute al marchio registrato.
volgarizzazione del marchio quando lo stesso è divenuto nel commercio denominazione generica di queldato prodotto, così perdendo la propria capacità distintiva.29 Il giudice, inoltre, può ordinare su domanda della parte lesa, la pubblicazione della sentenza dicondanna in uno o più giornali; sanzione questa ritenuta particolarmente grave per il discreditocommerciale che ne conseguirebbe. Si tenga presente, a riguardo, che il titolare di un marchio registratopuò crearsi una sorta di rete di difesa del proprio marchio contro le contraffazioni da parte di terzi,registrando uno o più marchi protettivi, simili a quello utilizzato, registrati al solo scopo di proteggere ilmarchio principale da imitazioni.
24
1.4.4 – Il trasferimento del marchio
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo
temporaneo (cosiddetta licenza di marchio). E’ così consentito al titolare di un marchio
di monetizzare il valore commerciale dello stesso, determinato dalla capacità attrattiva
della clientela. Il marchio, infatti, contrariamente a quanto era previsto nella disciplina
anteriore alla riforma del 1992, può essere trasferito o concesso in licenza per tutto o
solo per parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario il
contemporaneo trasferimento dell’azienda o del relativo ramo produttivo.
La novità più significativa è però costituita dall’espresso riconoscimento
dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva: lo stesso marchio, quindi,
potrà essere utilizzato in contemporanea dal titolare originario e da uno o più
concessionari, sia per la titolarità dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato, sia
per parte di essi. A riguardo, tuttavia, il legislatore si preoccupa di porre adeguati limiti
al fine di evitare eventuali inganni al pubblico. E’ fissato, infatti, il principio cardine che
dal trasferimento del marchio non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o
servizi che sono essenziali nell’apprezzamento degli stessi da parte del pubblico. La
licenza non esclusiva è inoltre subordinata all’ulteriore condizione che il licenziatario si
obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a
quelle dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri
licenziatari. Il titolare del marchio, quindi, può avvalersi degli strumenti di tutela
previsti dalla legge marchi nei confronti del licenziatario che violi le disposizioni al
riguardo contenute nel contratto di licenza, che di regola prevede specifiche clausole di
controllo sull’attività del licenziatario.
30 Potrà altresì ottenere che sia dichiarato nullo per difetto del requisito della novità un marchioconfondibile successivamente registrato . La relativa azione dovrà però essere esercitata nel termine dicinque anni, per evitare la convalida del marchio successivamente registrato.
25
1.5 – DISCIPLINA LEGALE DELLE OPERE DELL’INGEGNO E DELLE
INVENZIONI INDUSTRIALI
Le opere dell’ingegno31 (idee creative nel campo culturale) e le invenzioni
industriali32 (idee creative nel campo della tecnica) costituiscono le due grandi categorie
di creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento. Come vedremo in seguito,
inoltre, diritto d’autore e brevetti industriali formano anche oggetto di un’articolata
disciplina internazionale, che integra ed estende la protezione offerta dalle singole
legislazioni nazionali.
1.5.1 – Il diritto d’autore
Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche,
letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne
sia il modo e la forma di espressione. Unica condizione richiesta affinché queste opere
siano oggetto di tutela, indipendente dal loro pregio o dalla loro utilità pratica, è che
l’opera abbia carattere creativo, che presenti, cioè un minimo di originalità oggettiva
rispetto a preesistenti opere dello stesso genere. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la
creazione dell’opera. Non è necessario che questa sia stata divulgata fra il pubblico,
bastando che essa sia stata comunque estrinsecata.
Il diritto di autore gode di una tutela sia morale che patrimoniale. Si distingue,
perciò, fra diritto morale33 e diritto patrimoniale d’autore. Il primo si estrinseca in diritti
disposti a tutela della personalità dell’autore e sono irrinunciabili ed inalienabili, non
31 Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore, regolato dagli artt. 2575-2583 c.c e dallalegge 22-4-1941, n.633, più volte modificata.32 Le invenzioni industriali possono formare oggetto, a secondo dello specifico contenuto: a) del brevettoper invenzioni industriali, regolato dagli artt. 2584-2591 c.c e dal r.d 29-6-1939, n. 1127, più voltemodificato; b) del brevetto per modelli di utilità oppure della registrazione per disegni e modelli, regolatidagli artt. 2592-2594 c.c e dal r.d 25-8-1940, n.1411, modificato dalla legge 60/1987 e dal d.lgs. 95/2001.33 L’autore ha diritto di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell’opera; di decidere sepubblicarla o meno e se pubblicarla col proprio nome o in forma anonima; di opporsi a modificazioni odeformazioni dell’opera stessa e ad ogni altro atto a danno dell’opera che possa arrecare pregiudizio al
26
perdendosi nemmeno con la cessione dei diritti patrimoniali ed esercitabili anche dai
congiunti dopo la morte dell’autore. In osservanza del diritto patrimoniale, invece,
l’autore ha diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo,
originale o derivato. Diritto che si articola in una serie di facoltà, quali la riproduzione,
trascrizione, diffusione, ecc…
Diversamente dal diritto morale, il diritto patrimoniale di autore ha durata
limitata, estinguendosi, infatti, in settanta anni dopo la morte dell’autore stesso. Ad ogni
modo, il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente
trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi che
mortis causa. Il trasferimento per atto fra vivi – che deve essere provato per iscritto –
può essere sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo e le parti possono utilizzare a
riguardo qualsiasi schema contrattuale tipico o atipico. I contratti specificamente
previsti e normalmente utilizzati per lo sfruttamento economico di un’opera
dell’ingegno sono, peraltro, il contratto di edizione34 ed il contratto di rappresentazione
ed esecuzione35.
Il diritto d’autore è protetto con specifiche sanzioni civili, amministrative,
pecuniarie e penali a carico di chi ponga in essere comportamenti lesivi, che possono
andare dall’imitazione totale o parziale degli elementi creativi essenziali di un’opera
altrui, alla lesione delle singole manifestazioni del diritto d’autore, quali l’abusiva
riproduzione o diffusione fra il pubblico di opere cinematografiche, letterarie o
musicali36.
suo onore o alla sua reputazione. Può inoltre ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano graviragioni morali, previo indennizzo di coloro ai quali ha ceduto i diritti di utilizzazione economica.34 Con il contratto di edizione, l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto dipubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore, a sua volta, si obbligaa stampare, a mettere in commercio l’opera e a corrispondere all’autore il compenso pattuito. Compensoche è costituito da una partecipazione percentuale al ricavato delle vendite o può essere fissato a forfait.35 Col contratto di rappresentazione e di esecuzione, l’autore cede, di regola non in via esclusiva, il solodiritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine (drammatiche, coreografiche, musicali,ecc…) o di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte si obbliga a provvedervi aproprie spese. La disciplina di tale contratto ricalca, con i necessari adattamenti, quella del contratto diedizione.36 In particolare, il titolare di uno dei diritti di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno e iltitolare del diritto morale, eventualmente diverso dal primo a seguito di particolari accordi contrattuali,che hanno ragione di temere la violazione del proprio diritto – o intendono impedire la continuazione o laripetizione di una violazione già avvenuta – possono interpellare l’autorità giudiziaria per chiederel’accertamento del proprio diritto e l’inibizione della violazione temuta o in atto. Ed in questo secondocaso possono altresì chiedere che vengano applicate le sanzioni tipiche della rimozione e delladistribuzione di quanto è stato strumento materiale della lesione del diritto patrimoniale o morale, salvo in
27
Le opere dell’ingegno godono, in principio, di una protezione circoscritta al
territorio nazionale ma per le loro caratteristiche intrinseche sono esposte al pericolo
della concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in altri Stati. Tale pericolo ha
sollecitato accordi internazionali volti ad estendere l’ambito territoriale di tutela del
diritto di autore37.
1.5.2 – Le invenzioni industriali
Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della
tecnica. Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di
pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Evidente è, perciò, la
distinzione rispetto alle opere dell’ingegno (tutelate dal diritto d’autore), dalle quali le
invenzioni industriali si differenziano anche per il diverso modo di acquisto del diritto
di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte
dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, salvo la limitata tutela accordata alle invenzioni
non brevettate.
Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale le idee inventive
di maggior rilievo tecnologico38. Queste possono essere distinte in tre grandi categorie:
a. Invenzioni di prodotto, che hanno per oggetto un nuovo prodotto materiale;
ogni caso il diritto al risarcimento dei danni subiti. Il giudice può inoltre ordinare la pubblicazione dellasentenza di condanna in uno o più giornali a spese della parte soccombente.37 A riguardo, va segnalato come l’Italia abbia aderito alle due principali Convenzioni Internazionali inmateria: a) la Convenzione di Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche del1896; b) la Convenzione Universale sul diritto d’autore di Ginevra del 1952. Entrambe le Convenzioni sifondano sul cosiddetto principio di assimilazione, in base al quale ogni Stato aderente assicura ai cittadinistranieri una tutela del diritto d’autore corrispondente a quella riconosciuta agli autori nazionali.Realizzano, inoltre, in ogni Stato aderente una protezione minima comune dei cittadini degli Staticonvenzionati, qualunque sia il trattamento che le singole legislazioni nazionali riservano ai propricittadini. Il che finisce con l’incidere anche sulle legislazioni interne, spingendo verso una progressivaomogeneità delle stesse.38 Per scelta legislativa, ispirata alla finalità di favorire la libera utilizzazione delle idee fondamentali e diutilità generale, non sono considerate invenzioni (e quindi tutti ne possono liberamente fruire): a) lescoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; b) i piani, i principi ed i metodi per attivitàintellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; c) le presentazioni diinformazioni. Di conseguenza, non può formare oggetto di brevetto ciò che già esiste “in natura” el’uomo si limita a percepire e formalizzare.
28
b. Invenzioni di procedimento, che possono consistere – secondo il dettato dell’art.
2585 – in un nuovo metodo di produzione di beni già noti o in un nuovo
processo di lavorazione industriale;
c. Invenzioni derivate, che si presentano come derivazione di una precedente
invenzione;
Le invenzioni che non ricadono in uno di questi divieti devono poi rispondere a
determinati requisiti di validità per poter formare oggetto di brevetto. Devono essere
lecite, devono essere nuove, devono implicare un’attività inventiva e devono essere
idonee ad avere una possibile applicazione industriale. E’ “nuova” l’invenzione che non
è compresa nello stato della tecnica, intendendosi per “stato della tecnica” tutto ciò che
sia comunque accessibile al pubblico, in Italia o all’estero, prima della data di deposito
della domanda di brevetto39. Secondariamente, l’invenzione implica attività inventiva se
per una persona esperta del ramo essa non risulta in modo evidente dallo stato della
tecnica. Si prescinde, quindi, da ogni valutazione del grado di progresso che
l’invenzione realizza, purché il ritrovato in questione sia espressione di attività creativa.
Anche il requisito dell’industrialità, infine, è oggi da intendere in senso ampio:
l’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale se il trovato può essere
fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria. Restano, quindi, non brevettabili
come invenzioni le conoscenze non sfruttabili industrialmente.
1.5.2.1 – Il diritto al brevetto e l’invenzione brevettata
La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale che patrimoniale.
L’inventore ha diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e acquista tale
diritto morale per il solo fatto dell’invenzione. L’inventore ha inoltre il diritto,
eventualmente trasferibile, di conseguire il brevetto, che ha funzione costitutiva ai fini
39 In sostanza, manca del requisito della novità l’invenzione già divulgata. Ad ogni modo, l’inventore ètuttavia parzialmente tutelato contro l’altrui illecita divulgazione dei propri segreti, ad esempio, ad operadi propri dipendenti. L’invenzione, infatti, è ugualmente brevettabile se la sua divulgazione si è verificatanei sei mesi che precedono il deposito della domanda di brevetto e risulta direttamente o indirettamenteda un abuso evidente ai danni del richiedente.
29
dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica in esclusiva del ritrovato40. Il
brevetto, quindi, viene concesso dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi41, sulla base di
una domanda corredata – a pena di nullità – dalla descrizione dell’invenzione in modo
sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla,
nonché da eventuali disegni necessari alla sua comprensione42.
Il brevetto per invenzioni industriali dura venti anni dalla data di deposito della
domanda ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo. Il relativo diritto di esclusiva si può
perdere prima della scadenza qualora sia dichiarata la nullità del brevetto o sopravvenga
una causa di decadenza dello stesso43. Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà
esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, fatte salve
talune specifiche forme di libera utilizzazione dell’invenzione da parte di terzi per scopi
privati e non commerciali. Il brevetto così ottenuto è altresì liberamente trasferibile sia
fra vivi che mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda all’interno
della quale possa essere stato scoperto. Sul brevetto possono essere costituiti diritti reali
di godimento o di garanzia e lo stesso può anche formare oggetto di esecuzione forzata
e di espropriazione per pubblica utilità44.
L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali. In particolare, il
titolare del brevetto (ed anche il licenziatario, se del caso) possono esercitare azione di
contraffazione nei confronti di che sfrutti abusivamente l’invenzione. La sentenza che
accerta la contraffazione – ed è sufficiente che siano stati imitati gli elementi essenziali
e caratteristici dell’invenzione – ordina l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o
40 Non sempre, però, l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il brevetto e asfruttarlo economicamente. La dissociazione fra le due posizioni può in particolare verificarsi quando sitratti di invenzioni realizzate dai dipendenti di un imprenditore, fattispecie contemplata e regolata daltesto legislativo.41 L’Ufficio Brevetti è tenuto ad accertare solo la regolarità formale della domanda, la liceità el’industrialità dell’invenzione. Non accerta, invece, se il richiedente sia l’effettivo titolare del diritto albrevetto, né è tenuto a compiere un’indagine preventiva volta ad accertare la novità e l’originalità delritrovato.42 Ogni domanda può avere per oggetto una sola invenzione e deve specificare ciò che si intende debbaformare oggetto del brevetto.43 Dal brevetto si decade per mancato pagamento della tassa annuale di concessione o qualora il brevettostesso non sia stato attuato o sia stato attuato in modo insufficiente entro due anni dalla già ricordataconcessione della prima licenza obbligatoria.44 Il titolare del brevetto può inoltre concedere licenza di uso dello stesso, con o senza esclusiva difabbricazione a favore del licenziatario. La licenza di brevetto non è espressamente regolata e puòassumere i contenuti più vari, sia per quanto riguarda gli obblighi reciproci delle parti, sia per quantoconcerne il compenso dovuto al titolare del brevetto.
30
dell’uso di quanto forma oggetto del brevetto45. Il titolare del brevetto ha in ogni caso
diritto al risarcimento dei danni subiti ed il giudice può disporre, come sanzione
accessoria, anche la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del
soccombente.
L’inventore può altresì astenersi dal brevettare il proprio trovato e sfruttarlo più
o meno in segreto, senza la suddetta protezione legale. Corre però il rischio che un altro
soggetto pervenga al medesimo risultato inventivo, lo brevetti ed acquisti il diritto di
esclusiva, dato che è indubbio che fra due inventori prevale chi per primo ha presentato
la domanda di brevetto, se non ricorre un diritto di priorità. La disciplina delle
invenzioni, tuttavia, riconosce una limitata tutela anche a chi abbia utilizzato
un’invenzione senza brevettarla: chiunque, inventore o licenziatario, abbia fatto uso
dell’invenzione all’interno della propria azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito
dell’altrui domanda di brevetto, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti
del preuso46. Si tratta, in sostanza, di un temperamento equitativo della funzione
costitutiva del brevetto, volto a tutelare chi in buona fede ha già dato attuazione
all’invenzione.
1.5.2.2 – Brevetto internazionale, brevetto europeo e brevetto comunitario
Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di esclusiva solo sul
territorio nazionale. L’esclusiva può essere però conseguita anche in altri Stati ed alcuni
trattati internazionali agevolano, sia pure in modo e misura diversi, il conseguimento di
tale risultato. La Convenzione di Unione di Parigi del 1883 per la protezione della
proprietà industriale riconosce a chi ha richiesto il brevetto per invenzione in uno degli
Stati dell’Unione diritto di priorità per ciascuno degli altri paesi. L’inventore dovrà
presentare distinte domande per ciascun paese – secondo le singole e differenti
procedure nazionali – ma la novità dell’invenzione è valutata con riferimento alla data
del primo deposito nazionale, purché le successive domande siano presentate entro
45 Sono altresì previste sanzioni, variamente graduabili, volte ad eliminare dal mercato gli oggettirealizzati in violazione del brevetto.46 Il preutente può altresì trasferire tale facoltà ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione èutilizzata, restando a suo carico la prova del preuso e dell’ampiezza dello stesso.
31
dodici mesi47. Il Trattato di Washington del 1970 (“Patent Cooperation Treaty”),
entrato in vigore in Italia nel 1985, ha poi consentito una notevole semplificazione della
procedura per il conseguimento del brevetto internazionale nei paesi aderenti a tale
trattato48.
L’inventore può inoltre conseguire il brevetto europeo, regolato dalla
convenzione di Monaco di Baviera del 1973, in vigore in Italia dal 1978, che si
caratterizza per una procedura ancora più snella. Unica è la domanda, unica è la
procedura ed unico è l’Ufficio che rilascia il brevetto (Ufficio Europeo dei Brevetti di
Monaco). Unica è altresì la disciplina per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità ed
il procedimento di brevettazione. Il contenuto del diritto di esclusiva resta però regolato,
in via di principio, dalle singole legislazioni nazionali dei paesi in cui il brevetto ha
efficacia49. Il brevetto europeo – come quello internazionale, quindi – non è un brevetto
autonomo ed unitario, quanto piuttosto un titolo equivalente, sul piano degli effetti, ad
un fascio di brevetti nazionali.
Un brevetto autonomo ed unitario è invece il brevetto comunitario, regolato
dalla Convenzione del Lussemburgo del 1975, dall’Italia ratificata nel 1993 ma non
ancora entrata in vigore per la mancata ratifica da parte di tutti gli Stati dell’Unione. Il
brevetto comunitario è rilasciato dallo stesso Ufficio Europeo di Monaco, secondo le
regole ed i procedimenti previsti per il brevetto europeo. Peraltro, ed è questo l’ulteriore
e significativo passo avanti, il brevetto comunitario ha carattere sopranazionale, unitario
ed autonomo. Può essere rilasciato solo per tutti i paesi dell’Unione Europea ed è
disciplinato in via esclusiva dalla Convenzione del Lussemburgo, producendo gli stessi
effetti in tutti i paesi aderenti alla Convenzione. Inoltre, la concessione del brevetto
comunitario comporta la cessazione degli effetti degli eventuali brevetti nazionali per la
47 In tal modo, l’inventore conseguirà tanti distinti brevetti nazionali, regolati in tutto e per tutto dallesingole legislazioni dei singoli paesi.48 L’inventore presenta una sola domanda internazionale di brevettazione all’Ufficio centrale brevetti (oall’Ufficio Europeo dei Brevetti di Monaco), specificando per quali paesi intende conseguire il brevettostesso. In base alla domanda, un’apposita organizzazione compie una ricerca documentata sullo statointernazionale della tecnica relativo a quella specifica invenzione e, se l’interessato lo richiede, effettuaanche un esame preliminare sulla novità, originalità ed industrialità dell’invenzione. Sulla base di questeindagini l’inventore è in grado di valutare la reale portata della sua invenzione e di decidere se è il caso difar proseguire la procedura con la trasmissione della documentazione agli uffici dei singoli paesi per iquali ha richiesto il brevetto. Ciascuno di tali paesi rilascerà poi distinti brevetti nazionali sulla base dellapropria legislazione.49 In generale tutti quelli aderenti alla Convenzione o solo alcuni a scelta dell’interessato.
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stessa invenzione, a favore di un brevetto unitario ed autonomo, quale quello
comunitario.
1.5.3 – I modelli industriali
I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor
rilievo rispetto alle invenzioni industriali. In base all’attuale disciplina i modelli
industriali sono distinti in modelli di utilità e in disegni e modelli. I modelli di utilità
sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità (efficacia o comodità di
utilizzo) a macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso50. I disegni e modelli sono,
invece, nuove idee destinate a migliorare l’aspetto (forma, linea, colore, contorni) dei
prodotti industriali51. In sostanza, i modelli industriali riguardano l’aspetto funzionale
(modelli di utilità) o estetico (disegni e modelli) dei prodotti. Distinguere tra i due tipi di
modelli industriali, tuttavia, non è sempre facile52.
La tutela dei modelli di utilità continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione
e – per esplicito rinvio legislativo – in materia trova applicazione larga parte della
disciplina delle invenzioni industriali, anche se i requisiti della novità e dell’originalità
vanno ovviamente adattati allo specifico minor rilievo dell’idea creativa in questione.
La differenza di portata più rilevante riguarda la durata del brevetto in questione: dieci
anni per i modelli di utilità, rispetto ai venti anni delle invenzioni industriali53.
Per quanto riguarda, invece, i disegni e modelli, la relativa tutela avviene oggi
mediante registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, prevedendo la
disciplina che sia possibile registrare disegni e modelli che siano nuovi ed abbiano
carattere individuale. Vale a dire, cioè, che il disegno o modello non deve essere
identico ad un disegno o modello già divulgato in precedenza e deve suscitare
nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa da quella suscitata da
qualsiasi altro disegno o modello divulgato in precedenza. La registrazione dura cinque
50 Ad esempio, una nuova forma di poltrona da dentista che ne aumenti la comodità; una particolareforma di attacco di sicurezza per sci.51 E’ questo il vasto campo dell’industrial design: l’originale disegno di un tessuto; l’originale forma diparaurti di automobile o la forma di un televisore.52 E’ consapevole di questa difficoltà di distinzione il legislatore che in tal caso consente di ottenere invia contemporanea il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello.
33
anni dalla domanda ma può essere prorogata per periodi di cinque anni, fino ad un
massimo di venticinque anni. Inoltre, la tutela è estesa ex lege ad ogni altro disegno o
modello che non dia un’impressione generale diversa54.
1.6 – LA FORMAZIONE DEGLI INTANGIBLES SPECIFICI
Il primo momento in cui risulta necessario condurre una valutazione precisa e
attendibile del valore di un’attività immateriale è, ad evidenza, il momento della sua
formazione, della sua creazione, a partire dal quale la risorsa in questione entrerà a far
parte del sistema aziendale offrendo i benefici di cui si fa portatrice. Come già
sottolineato in precedenza, tutto ciò che attiene alla sfera delle attività immateriali è
caratterizzato da una maggiore indeterminatezza ed incertezza rispetto ad osservazioni
simili ma rivolte a beni che presentino il requisito della tangibilità. Per questo motivo,
anche i processi di costituzione dei beni immateriali – rispetto a quelli materiali –
risultano contraddistinti da maggiore incertezza, rendendo difficoltosa la costruzione di
schemi concettuali comuni che non siano eccessivamente approssimativi. L’astrattezza
connaturata al processo di formazione degli intangibles è caratteristica comune alle
varie tipologie di beni e questo non fa che mettere ancora più a repentaglio
l’attendibilità della valutazioni condotte in merito. Tuttavia, questo preliminare
procedimento di analisi è necessario ai fini della esposizione a bilancio di un valore
associato al bene immateriale che sia affidabile e preciso, frutto di un procedimento
attento e giustificato nei suoi passaggi.
Proprio per la natura pervasiva che contraddistingue le attività immateriali, è
ardua persino la definizione iniziale del reale impatto che le stesse hanno all’interno
dell’economia d’impresa, essendo estremamente difficile circoscrivere gli effetti ad esse
53 Data l’ampia differenza in merito alla durata temporale della tutela, è usualmente possibile presentarecontemporaneamente domanda per entrambe le tipologie di brevetto, fermo restando che la concessionedell’uno esclude la concedibilità dell’altro.54 Da notare come, nel caso in cui presentino di per sé carattere creativo e valore artistico, le opere deldisegno industriale possano essere ammesse a godere anche della più ampia tutela del diritto d’autore.
34
conseguenti, evidenziando, ancora una volta, i rischi associati all’attendibilità del
processo valutativo: per questo motivo, il processo di ricognizione, valutazione ed
inserimento in bilancio dei valori relativi ai beni immateriali è complesso e risulta
necessario fornire informazioni aggiuntive rispetto a quelle strettamente quantitative
fornite dai prospetti di bilancio.
In concreto, la formazione dei valori originari delle attività immateriali è
riconducibile a due tipologie di acquisizioni delle stesse, a seguito delle quali l’azienda
potrà disporre – e quindi contabilizzare – dell’intangible: i due casi in analisi sono
l’acquisizione dell’attività da terze economie e la costruzione in economia, ovvero,
l’implementazioni di processi tecnici, fisici e procedurali interni all’azienda, che portino
come risultato ultimo alla creazione dell’intangible stesso e alla sua diffusione
all’interno dell’azienda. Con riferimento alla prima modalità, è evidente come questa
celi al suo interno molteplici vie differenti di acquisizione: rientrano in essa, infatti,
tanto l’acquisto in denaro contante della stessa, quanto l’acquisto con regolamento non
contestuale, magari con forme di pagamento non strettamente monetarie; rientrano
anche l’acquisto di un insieme di attività immateriali con la formazione di un unico,
indistinto prezzo, così come l’apporto o il conferimento di un singolo bene. Proprio per
questa variabilità interna alle due classi distinte, risulta necessario trattare separatamente
le due modalità di acquisizione, approfondendone le differenze e le peculiarità.
1.6.1 - Acquisto da terze economie
L’acquisto da terze economie quale modalità di formazione di una attività
immateriale comporta un processo di scambio tra l’azienda alla quale farà capo il bene
appena acquisito ed un soggetto esterno che si troverà in posizione di offerente, a
condizioni più o meno onerose, della disponibilità del bene stesso.
Se l’acquisto avviene in modo oneroso, attraverso uno scambio monetario, il
valore d’acquisto relativo al bene ha la natura di quantità economica certa derivata dallo
scambio e per questo motivo “oggettiva”. Questa, difatti, potrebbe essere una prima
approssimazione del valore economico del bene, essendo ipotizzabile che, salvo
situazioni contingenti che costringano una delle due parti contraenti a vendere il bene
sottocosto, il prezzo sia in linea con il valore di mercato del bene stesso. A livello
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contabile, in questo caso, il valore iniziale è accolto nel sistema contabile aggiungendo
al mero costo d’acquisto tutti gli oneri sostenuti per rendere il bene in grado di essere
effettivamente utilizzato all’interno dell’impresa. Nella realtà, però, l’acquisizione da
terze economie può essere distinta in almeno altre due categorie, profondamente
differenti tanto sul piano contabile ed economico, quanto su quello logico: si può avere,
infatti, l’acquisto di un singolo elemento immateriale o l’acquisto di una attività
immateriale quale parte di un più ampio complesso aziendale.
Nella prima ipotesi, risulta relativamente più semplice la fase di riconoscimento
del valore iniziale55 e la stima della flussi futuri associati al bene, condizioni che se
rispettate comportano l’iscrizione dell’attività all’interno dello Stato Patrimoniale: la
natura sistemica dell’economia d’azienda, tuttavia, porta alla difficile individuazione dei
singoli benefici in un’ottica atomistica a meno di affrontare il rischio di esporsi ad
eccessivi margini di soggettività nella valutazione.
Nella seconda fattispecie considerata, il prezzo-costo di acquisto ha una
formazione unitaria con riferimento a differenti componenti, spesso non chiaramente
identificabili e distinguibili nella loro singolarità. La scomposizione del prezzo unitario
nelle sue diverse componenti associate alle singole attività immateriali sarà frutto di
procedimenti basati su congetture e ipotesi soggettive da parte del soggetto economico
acquirente, in funzione della specifica utilità rilasciata dal bene all’azienda coinvolta
nello scambio: alla normale aleatorietà associata alle valutazioni dei beni immateriali si
somma in questo caso anche quella relativa alla ripartizione di un valore comune sulla
base di apprezzamenti soggettivi. Se è possibile fare riferimento a valori di mercato per
beni simili, risulterà più precisa la ripartizione del costo d’acquisto, anche se raramente
55 Nonostante l’apparente semplicità associata alla contabilizzazione di un singolo bene acquisito da terzeeconomie, giova segnalare almeno due particolarità che ne potrebbero falsare la rilevazione se nonconsiderate in maniera adeguata. Spesso, accade che l’acquisto avvenga con regolamento differito oppuresu mercati esteri. Nel primo caso, è opinione diffusa e concorde nella dottrina contabile che il costoaccessorio associato all’interesse passivo derivante dal differimento del pagamento non debba essereannoverato tra le componenti del costo storico d’acquisto per l’estraneità delle scelte di finanziamentosulla formazione del valore di una specifica risorse e per l’infondatezza di correlazioni parziali traparticolari investimenti e specifici finanziamenti. L’acquisto effettuato su mercati esteri, con transazioneeffettuata in moneta non di conto pone ulteriori problemi di determinazione del costo di acquisto, legati almutare del rapporto di cambio nei diversi momenti in cui si svolge la transazione. In tal senso, si tengapresente che il costo da assumere è quello determinato sulla base del rapporto di cambio in essere almomento del perfezionamento del contratto d’acquisto: sono ininfluenti eventuali variazioni verificatesinell’intervallo di tempo compreso tra lo scambio e il regolamento del prezzo. Per una trattazione piùampia delle modalità di contabilizzazione delle attività immateriali cfr. Andrei P., Fellegara A.M. (a curadi ), Contabilità generale e bilancio d’impresa, Giappichelli Editore, Torino, 2001.
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si verifica questa eventualità nella realtà dei fatti56. E’ evidente inoltre, come le
medesime difficoltà si ripresentino nel caso in cui l’acquisto del bene immateriale derivi
dall’acquisto di un complesso d’azienda, in seguito incorporata. In questi casi, si può
tentare di individuare un procedimento valutativo che abbia una valenza abbastanza
generale, riassumibile nei seguenti passaggi logici:
lo scambio è avvenuto e ha determinato la formazione di un costo certo;
la differenza tra costo di acquisizione complessivo e il valore attribuibile
agli elementi materiali definisce il limite massimo assegnabile ai valori
immateriali;
all’interno di questo intervallo si procede distinguendo i beni immateriali
separabili per i quali sia possibile individuare in modo affidabile il loro
valore in un’ottica stand-alone;
il restante nucleo di elementi che non soddisfano i requisiti di affidabilità
valutativa ed individuabilità restano genericamente ed indistintamente
ricompresi nell’avviamento, intendendo questo come espressione del
valore di elementi intangibili non separabili;
Si deve altresì considerare la possibilità di acquisizione di beni immateriali
attraverso atti a titolo gratuito57 o a prezzi irrisori, generalmente riconducibili ad oneri
fiscali o burocratici, rispetto al reale valore economico chiaramente associabile al
bene58. L’acquisizione a titolo gratuito delle entità menzionate comporta diversi dubbi
dottrinali in merito alla liceità e all’obbligatorietà della loro iscrizione a bilancio, non
ancora chiaramente risolti: in ossequio al principio della correttezza, della completezza
e della veridicità del bilancio, le attività immateriali così acquisite andrebbero iscritte in
quanto accrescono il patrimonio aziendale e concorrono alla produzione economica
d’impresa: dubbi rimangono sul valore ad esse associabile in quanto non attendibile se
limitato alla individuazione di quei costi minimi sostenuti per la loro acquisizione.
56 Proprio per la scarsa significatività dei risultati ottenuti da un simile processo di ripartizione, moltospesso si rendono necessarie rivalutazioni o svalutazioni del valore dei singoli beni acquisiti.57 E’ il caso, ad esempio, di donazioni, successioni o atti di liberalità.58 E’ il caso di disposizioni o concessioni governative gratuite quali quelle associate a diritti d’atterraggioagli aeroporti, licenze o diritti d’accesso.
37
Ulteriore modalità di acquisizione per vie esterne è l’apporto – il conferimento –
dei beni con vincolo di capitale proprio, ossia permanentemente vincolati al
funzionamento dell’impresa e alla sua esistenza. Con riferimento all’art. 2342 c.c.,
risultano conferibili tutti i beni immateriali59: il problema valutativo in merito risiede
nella necessità di donare una quantificazione appropriata al rapporto tra il valore
dell’attività conferita e al valore nominale della azioni della società ottenute in cambio.
A norma dell’art. 2343 c.c., si stabilisce che “chi conferisce beni in natura […] deve
presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale […]”60: questo al
fine di garantire indipendenza e autonomia al processo di stima, non ritenendo
sufficientemente garantiti i terzi dal mero accordo tra le parti.
Come si può notare, quindi, le modalità di acquisizione di beni immateriali
derivanti da terze economie sono molteplici e molto varie, differendo tra di loro in
maniera sostanziale, tanto sotto il profilo economico, quanto sotto quello giuridico.
1.6.2 – Creazione in economia
Le risorse immateriali autoprodotte sono usualmente il risultato di un processo
interno, generalmente di durata non breve, fondato su una continua interazione tra
attività umana e risorse disponibili. E’ evidente, infatti, che la maggior parte delle
risorse autoprodotte siano ampiamente connesse ad aspetti quali l’organizzazione, la
tecnologia ed il marketing: campi nei quali l’attività umana fa da necessario
complemento alle singole risorse fisiche.
Da un punto di vista contabile ed economico, risultano interessanti tre aspetti,
puntando la nostra attenzione in questa sede sui primi due:
individuazione delle risorse immateriali create internamente che possano essere
iscritte a bilancio;
59 Viene infatti esplicitamente escluso solo il conferimento di prestazioni d’opera o servizi.60 Dall’art.2343 c.c. si può osservare, inoltre, che il suddetto esperto deve essere designato dal tribunaledel luogo dove a sede la società, in ossequio al principio di indipendenza a cui prima abbiamo fattoriferimento. La relazione giurata deve contenere l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello adessi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale. La suddetta relazione deve essere allegataall’atto costitutivo. Per garantire l’attendibilità della stima, inoltre, “gli amministratori sono tenuti, neltermine di centottanta giorni dalla iscrizione della società a controllare le valutazioni contenute nellarelazione indicata e, se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima”.
38
individuazione degli elementi che possono concorrere a formare il costo di
produzione;
valutazione dei benefici futuri attesi dall’implementazione di tali risorse61;
Per quanto riguarda il primo aspetto, affinché un bene immateriale autoprodotto
possa essere iscritto a bilancio è necessario che risponda a tre requisiti fondamentali e
che si verifichino in maniera contemporanea62: la strumentalità, la pluriennalità e la
misurabilità del costo. In ossequio al primo principio, è necessario sia possibile
dimostrare l’esistenza di un preciso ruolo dell’elemento intangibile nel favorire
l’afflusso in azienda di benefici economici futuri, non solo da un punto di vista teorico.
In secondo luogo, i benefici suddetti dovranno protrarsi per un numero di anni tale da
consentire alle spese relative alla creazione del bene immateriale di non essere intese
come mere spese correnti, ma essere riconducibili ad entità che rilascino utilità per più
periodi. Da ultimo, è altrettanto necessario per soddisfare i principi riportati in
precedenza, che i costo sostenuti siano misurabili con un buon grado di
approssimazione e precisione, al fine di effettuare concreti apprezzamenti in merito alla
spesa sostenuta per la creazione del singolo asset. Proprio la misurazione dei costi
affrontati in relazione alla considerazione dello stato di avanzamento del progetto
riferibile alla risorsa immateriale potrà consentire di individuare uno specifico bene o un
semplice costo capitalizzato, espressivo del fatto che l’opera in questione sia ancora in
corso di esecuzione63.
In merito al secondo aspetto, relativo all’individuazione degli elementi che
possono essere considerati pertinenti alla formazione del costo di produzione, si pone la
difficoltà di distinguere, nel rispetto del principio della competenza economica e della
61 Questo punto verrà ampiamente sviluppato nel capitolo 3, relativo alle metodologie di valutazione deisingoli beni immateriali.62 I principi qui riportati sono desunti dalle osservazioni condotte in merito dalla Commissione IASC, piùampiamente trattati nelle pagine riguardati le modalità di contabilizzazione dei beni immateriali.63 In questo senso, molto spesso viene sottolineata l’importanza dell’adozione di un’ottica contabile chepreveda la frequente patrimonializzazione dei costi specifici riferiti a beni immateriali autoprodotti, alfine permettere al lettore di bilancio esterno all’azienda di assumere valide ed attendibili informazioni inmerito all’intensità dell’attività interna all’azienda di sviluppo di nuove risorse intangibili, disponendo diun indicatore – concreta espressione del costo storico sostenuto – del valore da queste assunto.Quest’opera di disclosure dei dati aziendali dovrà fare concretamente leva anche sulla completezza dellaNota Integrativa, molto spesso priva di informazioni qualitative in merito a simili aspetti. Nel contempo,una simile tecnica dovrà essere ampiamente e logicamente giustificata al fine di non rendere lacapitalizzazione dei costi suddetti una mera politica contabile atta ad aumentare i risultati di bilancio.
39
pertinenza, i costi che concorrono alla formazione del reddito dell’esercizio in cui sono
stati sostenuti, da quelli da imputarsi in maniera specifica ai singoli beni immateriali,
rinviandoli ad esercizi futuri. Il problema si basa sul fatto che la gestione economica
caratteristica dell’impresa, una volta avviata, si presenta unitaria e difficilmente
scindibile nelle sue varie componenti: nella stessa misura, è arduo riuscire ad imputare
correttamente le opportune quote parti di costi ai singoli beni oggetto di lavorazione
interna. Le alternative per la determinazione del valore del bene immateriale, comuni a
qualsiasi tipologia di bene oggetto di costruzione in economia, sono quelle del costo
primo, in ossequio alla quale nel computo dei costi si devono tenere in considerazione
solo quelli rigorosamente riferibili alla specifica entità, e del costo pieno, includendo in
aggiunta a quanto individuato in precedenza anche quote parti di costi generali di
produzione, amministrativi, finanziari e generali. A livello concreto, si deve cercare di
coniugare la necessità di individuare un costo di produzione che sia rappresentativo
delle risorse – tanto fisiche quanto umane – impiegate nell’opera di creazione e della
messa in utilizzo del bene immateriale, pena la mancanza di affidabilità e di realisticità
della posta di bilancio così individuata ed iscritta, con il mantenimento di margini di
oggettività tali da rendere la stima attendibile64. Il metodo del costo primo, proprio
perché si limita a considerare i soli costi rigorosamente riferibili alla specifica entità
oggetto di produzione in economia, nel caso in cui esista un valido sistema di contabilità
analitica tale da riuscire ad individuare in maniera puntuale le varie fonti di costo, si
presenta meno a rischio di valutazioni soggettive ed aleatorie e di conseguenza
altamente affidabile e prudente: nel contempo, il metodo del costo pieno, risulta essere
più rappresentativo dell’effettivo sforzo prodotto dall’azienda per la creazione e del
bene a livello interno, includendo nel computo dei costi anche quelli generali, tecnici e
finanziari, nella misura in cui sono riferibili all’intangible65. Interpretazioni dottrinali
rigorose, vorrebbero l’inclusione dei costi comuni di produzione solo nel caso in cui
64 L’eventuale ripartizione di costi comuni e generali secondo ipotesi metodologiche spesso caratterizzateda ampi margini di soggettività, non può che rappresentare un fattore di aumento del rischio che la stimasia inficiata da valutazioni non adeguatamente giustificate od oggettive.65 D’altra parte, il valore del costo così determinato perde quell’aura di certezza che circondava il metododel costo primo, offrendo un valore che ha la natura di costo congetturato, in quanto ottenuto dallascissione di costi comuni alle diversa attività dell’unitaria gestione aziendale.
40
l’attività di creazione interna di elementi immateriali sia ripetitiva, ordinaria, costante e
facente parte delle generali operazioni caratteristiche dell’impresa66.
In definitiva, non sembra esistere una modalità di contabilizzazione migliore
dell’altra essendo la scelta tra le due opportunità funzione del set informativo a
disposizione del soggetto preposto alla valutazione, rispettando i vincoli
dell’attendibilità e dell’oggettività della stima: nel momento in cui le ipotesi operative
rese necessarie dalla mancanza di un adeguato supporto informativo dovessero minare
alle fondamenta il metodo scelto, sarà opportuno cambiare strada, rinunciando a margini
di precisione per guadagnare realisticità nella stima.
Come evidenziato in precedenza, quindi, il principale rischio associato alla
valutazione e, ancora prima, alla contabilizzazione delle risorse immateriali, è che i due
procedimenti siano inficiati in maniera eccessiva da stime ed ipotesi irrealistiche: da più
parti, infatti, si rivolgono al bilancio di esercizio critiche in merito alla sua capacità, più
presunta che effettiva, di riflettere in modo adeguato il reale valore dei beni immateriali
ad utilità pluriennale67. Si ritiene, infatti, che le risorse immateriali che si formano in
azienda e che assumono sempre più rilevanza nella gestione e nel mantenimento del
vantaggio competitivo aziendale, non siano adeguatamente espresse all’interno del
bilancio d’esercizio. In primo luogo, perché spesso frutto – come abbiamo visto – di
autoproduzione e non di logiche di scambio, grazie alle quali sarebbe possibile
ricostruire il loro valore da documenti contabili; secondariamente, perché molto
raramente, lo stesso processo di creazione viene programmato e razionalizzato, con il
correlato rischio che buona parte dei costi relativi a fattori produttivi consumati
all’inizio del processo non vengano considerati e tenuti in considerazione nella
determinazione del valore del bene. D’altra parte, modelli valutativi fondati sul valore
economico del bene, basati sull’attualizzazione dei flussi di cassa futuri prodotti dal
bene, appaiono più rappresentativi del reale valore dell’entità immateriale, ma nel
contempo privi di quella base di certezza che permetterebbe l’iscrizione del valore così
66 E’ il caso, per esempio, delle spese di ricerca sostenute dalle imprese farmaceutiche per la produzionee lo studio di nuovi principi attivi, alle quali segue, in linea di principio, il deposito del relativo brevetto.67 In merito a queste critiche e a proposte operative per gettare luce sulla scarsa valenza informativa deidati espressi a bilancio in merito alla valorizzazione delle attività immateriali cfr. Fontana F., Le risorseimmateriali nella comunicazione aziendale: problemi di rappresentazione e di valutazione nella
41
ottenuto a bilancio. In sostanza, quindi, l’adozione di metodi alternativi a quelli del
costo storico, se compatibili con i principi contabili vigenti, deve essere valutata in
funzione della reale attendibilità delle stime così prodotte e della quantità e qualità delle
fonti informative aziendali sulle quali è possibile contare.
prospettiva del valore, Giappichelli, 2001 e Quaderno AIAF n. 106, La comunicazione degli intangibles edell’intellectual capital, gennaio 2002
42
1.7 – CARATTERISTICHE DEGLI INTANGIBLE ASSETS E VANTAGGIO
COMPETITIVO
Le attività immateriali molto spesso concorrono alla creazione e al mantenimento
del vantaggio competitivo perseguito da un’azienda: questo grazie ad alcune loro
caratteristiche, di seguito elencate e descritte, evidenziate con estrema puntualità da
Vicari68:
sedimentabilità
unicità
difficile acquisibilità
difficile copiabilità
molteplicità d’uso
trasferibilità
deperibilità
incrementabilità
Sedimentabilità: Gli intangible assets, sebbene caratterizzati dall’attributo della
immaterialità, possono comunque essere immagazzinati e conservati all’interno di
quella complessa organizzazione che è rappresentata dall’impresa. Proprio questa
conservazione e continua rielaborazione, porta negli anni al rafforzamento del vantaggio
competitivo derivante dalla presenza e dall’utilizzo di queste attività: questo processo di
continuo miglioramento è all’insegna di un atteggiamento di learning-by-doing da parte
dei soggetti coinvolti nella gestione e nell’utilizzo delle risorse immateriali, e di
continuo aggiornamento al fine di sostenere la posizione competitiva ottenuta. Nel
contempo, richiedono qualche spiegazione le possibili modalità di conservazione di
queste attività; esistono, infatti, beni immateriali che non possono che essere
“immagazzinati” all’interno della memoria dell’organizzazione o in quella del personale
che concretamente opera a contatto con questi beni. Rientrano tra questi, ad esempio, il
particolare know-how appreso da parte della manodopera nell’operare in un determinato
campo – certo codificabile ma non facilmente trasmissibile – o il particolare modo di
43
affrontare una campagna pubblicitaria da parte degli addetti marketing di un’azienda.
Indipendentemente dalle modalità di conservazione, ad ogni modo, col termine
sedimentabilità si mira ad evidenziare la specificità che fa dei beni immateriali oggetto
di continuo miglioramento e revisione nel corso della vita dell’azienda, proprio per lo
stretto legame che intercorre tra queste ed il vantaggio competitivo specifico
dell’azienda in questione.
Unicità: Proprio l’unicità, o comunque la scarsa diffusione, delle attività immateriali
di competenza di un’azienda, è uno dei punti chiave dell’intero processo di
identificazione e valutazione dei beni immateriali stessi: molto spesso, difatti, il
vantaggio competitivo derivante dalla presenza di un intangible all’interno di
un’azienda, deriva dal fatto che questo sia unico e peculiare dell’impresa stessa, non
essendo la sua presenza riscontrabile all’interno di altre organizzazioni. Nel contempo,
questa caratteristica porta alla difficile valutabilità di un’attività immateriale facendo
leva su possibili confronti instaurati tra il bene oggetto di valutazione e attività simili:
proprio in questo, risiede il valore della stessa e la fonte di benefici economici per
mezzo della quale l’impresa potrà assicurarsi flussi positivi di reddito futuri.
Difficile acquisibilità: Alcune risorse immateriali possono essere costruite e create
solo lentamente nel tempo e senza alcuna garanzia che eventuali investimenti sopportati
portino ai risultati previsti e stimati. Mentre gli investimenti in attività materiali
generalmente non comportano problemi simili, le risorse immateriali non sono di norma
costruibili mediante la semplice destinazione di mezzi finanziari. Si pensi, ad esempio, a
quegli intangibles di marketing quali la fedeltà alla marca o la fiducia nel prodotto
acquistato da parte di un consumatore: risorse e relazioni che derivano anche dalla storia
dell’azienda, dalle sue caratteristiche e non solo dalla quantità delle risorse finanziarie
impiegate. Se si esclude, inoltre, la possibilità di acquisire un marchio già avviato da
terze economie, è evidente come queste risorse non si possano creare: la fedeltà alla
marca non si può costruire ma solamente creare e consolidare per mezzo di un lento
processo, che coinvolge tanto l’azienda quanto i consumatori. In linea di principio,
quindi, più un bene immateriale è caratterizzato dall’attributo della unicità, più il
68 Cfr. Vicari S., “Invisibile asset” e comportamento incrementale, in Finanza, Marketing e Produzione,
44
vantaggio competitivo da questo derivante sarà duraturo e difendibile nel tempo,
facendo aumentare il valore intrinseco dell’attività immateriale.
Difficile copiabilità: Il rischio che un bene immateriale, proprio per l’alto
contenuto informativo che lo connota, sia oggetto di copia o di riproduzione, è
indubbiamente alto: al fine di evitare che questo si verifichi, sono state, come noto,
previste apposite tutele legali da applicare alle attività immateriali. Un marchio, un
brevetto, un particolare processo produttivo, possono essere – in maniera più o meno
efficace – oggetto di tutela giuridica: in questo caso, la copiabilità del bene sarebbe
ridotta ed il rischio di indebita appropriazione sarebbe, se non ridotto, quanto meno
bilanciato da un possibile perseguimento dell’autore del fatto per vie legali. Esistono
altre risorse immateriali, invece, che non sono brevettabili, non essendovi, di
conseguenza, alcuna protezione legale possibile, come tutte quelle relazioni o quel
know-how non formalizzabile ma di competenza dell’organizzazione aziendale e dei
suoi dipendenti. Nel contempo, anche nel momento in cui sia stata effettuata la copia o
la riproduzione dell’attività immateriale in questione, questa sarebbe applicabile non
senza qualche difficoltà all’interno di economie diverse da quella all’interno della quale
è stata prodotta, essendo difficile imitare il vantaggio competitivo di un’impresa
derivante dalla presenza di attività immateriali: in tale ottica va interpretato il principio
della “difficile copiabilità” in analisi, essendo difficile non tanto l’appropriazione
dell’intangibile stesso, quanto piuttosto la sua effettiva applicazione.
Molteplicità d’uso: Un aspetto di grande importanza è il possibile uso multiplo
dei beni immateriali, termine col quale si vuole intendere la possibilità di utilizzare le
risorse immateriali all’interno di contesti concorrenziali diversi. Le attività materiali,
difatti, sono dotate di notevole rigidità, nel senso che un determinato impianto non può
che essere usato per produrre un certo bene e non altri. Le risorse immateriali, invece,
possono essere utilizzate per più usi: si pensi all’immagine di marca o alla tecnologia
acquisita in un campo, applicabile ad un settore affine o collegato. Come discusso nel
successivo principio della “deperibilità”, è evidente il fatto che un uso intensivo ed
eccessivamente pervasivo e diffuso del bene immateriale, pone l’azienda di fronte al
n. 1/1989.
45
rischio di usura dell’attività stessa e della sua perdita di credibilità: se, ad esempio, un
marchio inizialmente associato al settore dell’alta moda dovesse essere utilizzato per la
produzione di oggettistica di più basso profilo, si correrebbe il rischio di una
banalizzazione del marchio e di una sua successiva perdita di valore.
Trasferibilità: Proprio per il già sottolineato alto contenuto informativo relativo
ad una attività immateriale, questa può essere condivisa e trasmessa dall’azienda a
soggetti esterni, tramite il normale processo di apprendimento. Una particolare
competenza o procedimento produttivo, così come può essere sottratta alla proprietà
dell’impresa, può anche essere da questa volontariamente condivisa e utilizzata da più
soggetti – interni ed esterni all’azienda – in misura più o meno accentuata in funzione
della relazione tra struttura aziendale e risorsa immateriale: più una conoscenza è
“tacita”, più questa sarà difficilmente trasferibile e condivisibile senza il necessario
supporto di capitale umano. Ad ogni modo, questo sfruttamento da parte di più soggetti
della medesima risorsa immateriale non può che essere il frutto di un lungo processo di
apprendimento e miglioramento, tale da richiedere la collaborazione tanto del soggetto
“docente” quanto di quello “ricevente”.
Deperibilità: Una ulteriore caratteristica delle risorse immateriali è che esse sono
soggette a rapida deteriorabilità, dato che il loro valore è in stretta relazione al possibile
uso che, dato un certo contesto ambientale, organizzativo e competitivo, di esse è
possibile fare. Al variare di queste condizioni, è evidente come anche il bene
immateriale debba essere oggetto di attente e periodiche revisioni, correzioni e
aggiornamenti, che permettano il mantenimento del vantaggio competitivo ottenuto.
Ogni mutamento ambientale, di mercato od organizzativo esterno all’impresa è,
pertanto, in grado di diminuire il capitale di risorse umane di cui l’impresa può disporre,
il che implica che il vantaggio competitivo basato sulla presenza delle risorse
immateriali in azienda, va alimentato ogni giorno al fine di mantenere ed incrementare il
valore del patrimonio intangibile di cui l’azienda può disporre.
Incrementabilità: Nella stessa misura in cui le risorse immateriali sono soggette
ad un rapido deterioramento, così esse possono essere deliberatamente e con modalità
46
differenti incrementate: ai fini strategici questa caratteristica permette un rafforzamento
del vantaggio competitivo basato sulla presenza e sull’utilizzo di intangibles, a patto di
tenere in considerazione i possibili rischi derivanti da un simile comportamento. I rischi
di un atteggiamento incrementale esasperato potrebbe portare, infatti, ad un uso
eccessivo delle risorse immateriali disponibili, ad una difficile integrazione delle stesse
o ad un eccessiva focalizzazione su un solo bene immateriale.
1.7.1 – Risorse immateriali e strategie competitive
Le risorse immateriali, come sostenuto da numerosi esperti e come evidenziato
anche da altrettanti casi concreti, sono frequentemente una delle principali fonti per la
creazione di valore da parte delle imprese: sempre più spesso, infatti, la redditività e
l’economicità di un’impresa non derivano dal sistema produttivo in senso stretto, inteso
nella sua materialità e fisicità, quanto piuttosto dalle conoscenze e dalle capacità
accumulate che permettono al sistema di funzionare ed operare in maniera efficiente e
produttiva. Gli stessi esperti che evidenziano l’importanza degli intangible assets nel
processo di creazione di valore dell’impresa, fanno di quest’ultimo il fine principale
dell’impresa: secondo questa impostazione, infatti, la creazione di nuovo valore
costituisce un obiettivo il cui perseguimento assicura lo sviluppo e la sopravvivenza nel
lungo termine dell’azienda, nell’interesse tanto dei diretti partecipanti all’impresa
stessa, quanto dell’intera società civile. Questa visione, quindi, si potrebbe riassumere
nella massima secondo la quale “creare valore per l’azionista significa creare valore
per tutti”69. Altri, al contrario, pongono l’accento sul fatto che la creazione di valore sia
semplicemente un fine strumentale – o comunque di ordine inferiore – rispetto al
raggiungimento di un fine superiore d’impresa, ossia il soddisfacimento degli interessi
istituzionali facenti capo al solo soggetto economico.
In buona sostanza, indipendentemente dal concetto di valore e dall’ottica che si
vuole sposare tra le due brevemente ricordate, è necessario sottolineare come il concetto
“quantitativo” a cui ispirarsi per la misura dell’effettiva creazione di valore – come
definito in precedenza – sia univocamente identificato nella nozione di capitale
69 Cfr. Guatri L., Valore e intangibles nella misura della performance aziendale, Egea, Milano, 1998.
47
economico. Tale esplicitazione del valore aziendale, infatti, è sicuramente quella che
meglio riesce a tenere in considerazione non solo il risultato reddituale e monetario
della gestione dell’impresa ma anche tutti quei fattori immateriali e difficilmente
identificabili che contribuiscono alla valorizzazione del capitale economico dell’azienda
stessa. E’ evidente, quindi, l’importanza assunta anche in questo ambito da parte delle
risorse immateriali, intese come driver per creare valore e raggiungere i fini indicati in
precedenza, secondo un processo che presenta alcuni passaggi intermedi che collegano
la semplice presenza delle risorse immateriali in questione alla creazione di valore
economico quale risultato finale: il processo in questione può essere sinteticamente
schematizzato dal grafico successivo, che verrà esploso ed analizzato passo per passo
all’interno dei paragrafi successivi, al fine di meglio apprezzarne i vari passaggi e
collegamenti.
Figura 2 - Dalle risorse immateriali al valore economico
Prima di proseguire nell’analisi dello schema e dei suoi componenti, è
necessario esplicitare l’ipotesi che sta alla base del processo evidenziato, ossia che la
redditività rappresenta una delle variabili alla base della creazione di valore delle
imprese. Anche se la suddetta ipotesi appare largamente condivisa sia dalla letteratura in
tema che da parte degli operatori del settore, risulta comunque opportuno proporre
alcune riflessioni in merito, strumentali a quanto verrà sviluppato successivamente.
Secondo la dottrina, infatti, il valore economico di un’azienda, così come quello
di una qualsiasi attività reale o finanziaria, è funzione dei frutti che l’investimento in
questione sarà in grado di generare nel corso del tempo e del profilo di rischio ad essi
associato: è evidente, quindi, come il reddito possa essere considerato uno dei più tipici
esempi di questi flussi da tenere in considerazione nel momento in cui si voglia valutare
un’impresa in funzionamento. L’equilibrio reddituale, quindi, si presenta come
Risorseimmater
iali
Vantaggiocompetitivo
Differenzialidi
redditività
Valoreeconomi
co
48
condizione necessaria per poter produrre convenienti remunerazioni economiche per i
soggetti partecipanti all’impresa e per l’affermazione dei necessari caratteri di durabilità
ed autonomia dell’istituto aziendale70. Per queste ragioni, l’apprezzamento del grado di
successo di un’impresa – pur senza trascurare risvolti che esulano dal piano strettamente
economico – avviene in genere, e comunque in prima approssimazione, sulla base
dell’analisi dei suoi risultati reddituali.
La redditività d’impresa, quindi, ha due fondamentali determinanti: l’attrattività
del settore all’interno del quale l’impresa opera e la posizione relativa ricoperta da
quest’ultima all’interno del settore di appartenenza: in considerazione di questa
evidenza, generalmente condivisa, espliciteremo di seguito il tema delle relazioni
intercorrenti tra redditività, attrattività del settore e risorse immateriali, procedendo ad
una schematica disamina dell’argomento per mezzo del modello delle cinque forze
competitive di Porter; in secondo luogo ci concentreremo sul ruolo assunto dalle risorse
in parola quali fonti di vantaggio competitivo sostenibile.
1.7.1.1 - Redditività, attrattività del settore e risorse immateriali
In base al noto approccio proposto da Porter71, l’attrattività di un settore può
essere efficacemente spiegata mediante il modello della concorrenza allargata: secondo
questo modello, di seguito esplicitato a livello grafico, la concorrenza operante a livello
settoriale non si esaurisce nei comportamenti posti in essere dai concorrenti presenti
all’interno dello stesso, ma coinvolge altre quattro forze competitive, rispettivamente
riconducibili ai comportamenti di quattro classi distinte di soggetti: i nuovi concorrenti
e la minaccia di una loro possibile entrata, la minaccia rappresentata dalle imprese
produttrici di prodotti sostitutivi, i fornitori ed i clienti, con il loro rispettivo potere
contrattuale. Ciò premesso, passeremo di seguito ad esaminare ogni singola fonte di
concorrenza, a partire dal grado di attrattività di un definito settore e dal ruolo giocato
dalle risorse immateriali in tal senso.
70 Cfr. Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Economia Aziendale, ult. ed.
49
Figura 3 - Il modello della concorrenza allargata di Porter
L’intensità della concorrenza nel settore è tanto maggiore – e di conseguenza
l’attrattività del settore minore – quanto più le imprese operanti in esso sono numerose,
il tasso di crescita del mercato è contenuto, i costi fissi sono elevati, la produzione è
indifferenziata e a basso valore aggiunto o vi sono importanti barriere all’uscita con
relativi costi irrecuperabili. Già da questo primo elenco, è possibile individuare alcuni
spunti di riflessione, che permettono l’evidenziazione del legame con le attività
immateriali: si pensi, ad esempio, al valore aggiunto, alla presenza di prodotti
differenziati e all’esistenza di barriere all’uscita.
Nel primo caso, secondo il modello di Porter, produzioni caratterizzate da un
elevato grado di valore aggiunto, determinano una minore intensità della concorrenza,
creando in tal modo le premesse per livelli di redditività più elevati: ma il valore
aggiunto dipende in larga parte proprio da caratteri firm specific quali il know-how
produttivo e di marketing accumulato, la dedizione del personale, l’abilità del
management e altre risorse immateriali, differenti a seconda dell’azienda analizzata.
In seconda battuta, anche il livello di differenziazione tra l’offerta dei
concorrenti incide sul grado di pressione concorrenziale e, di riflesso, sull’attrattività del
71 Cfr. Porter M.E., Competitive Advantage, The Free Press, New York, 1985.
IMPRESA
E
CONCORRENTI
Imprese potenzialientranti
ClientiFornitori
Impreseproduttrici di
50
settore: la possibilità di agire sulla leva della differenziazione permette ai concorrenti di
confrontarsi senza innescare pericolose guerre di prezzo; come spiegheremo meglio di
seguito, però, anche la possibilità di differenziare il proprio prodotto trova spesso la
propria fonte nella presenza di risorse immateriali di varia natura, come ad esempio il
know-how produttivo o la marca.
Da ultimo, anche la presenza di barriere all’uscita che ostacolano la
riconversione dei concorrenti verso altre produzioni influenza l’intensità della
concorrenza nel settore: queste barriere, si basano sul necessario sostenimento dei
cosiddetti sunk costs, costi irrecuperabili ed inconvertibili: costi che, molto spesso,
riguardano tipiche risorse immateriali – quali ad esempio ingenti investimenti in attività
di pubblicità o di ricerca e sviluppo.
Per quanto riguarda il l’influenza dei fornitori, possiamo evidenziare come il
potere da questi esercitato sia tanto maggiore quanto più il settore in cui i medesimi
operano è concentrato, i beni offerti dagli stessi non sono commodities, gli acquirenti
dispongono di informazioni limitate circa il mercato di approvvigionamento, gli acquisti
effettuati presso tali soggetti non rappresentano una porzione rilevante del loro volume
d’affari.
A riguardo, due sono le principali connessioni tra la forza contrattuale dei
fornitori e la presenza di risorse immateriali. In primo luogo, come accennato in
precedenza, questi rivestono maggiore importanza nel caso in cui i prodotti offerti non
siano beni materiali ma immateriali, quali, ad esempio, servizi di consulenza: simili
servizi, infatti, sono difficilmente o, comunque, non convenientemente sostituibili, per
via dell’alto contenuto informativo che presentano, frutto di durature relazioni tra
impresa e fornitore stesso. In secondo luogo, molto spesso il potere contrattuale dei
fornitori è rappresentato dalla loro capacità di integrarsi a valle, in contrapposizione alla
correlata capacità da parte dei loro clienti di integrarsi a monte: questa capacità e la
riuscita di simili processi di integrazione, si gioca sempre più spesso sul terreno delle
risorse immateriali. Pur in presenza, infatti, di ingenti risorse finanziarie a disposizione
per nuovi investimenti, un fornitore potrà integrarsi a valle solo se può disporre delle
conoscenze, delle relazioni, dell’immagine e cioè, in una parola, delle informazioni
51
possedute da chi opera più a valle nel settore da più lungo tempo. Informazioni, che
rappresentano, ad evidenza, una delle principali tipologie di risorsa immateriale.
Lo stesso discorso vale per il potere contrattuale dei clienti, ovviamente in una
prospettiva rovesciata. L’influenza dei soggetti in esame, infatti, è tanto maggiore
quanto più si tratta di clienti importanti – soprattutto in termini quantitativi di incidenza
sul fatturato totale dell’impresa -, quanto più i beni acquistati sono sostituibili e –
soprattutto – quanto più tali soggetti sono in grado di integrarsi a monte assumendo il
pericoloso ruolo di potenziali entranti. A riguardo, ancora una volta, si pensi alla
differenza tra l’acquisto di un normale bene materiale, un prodotto qualsiasi, ed un
servizio dalla più spiccata componente intellettuale, quale potrebbe essere, ancora una
volta, un servizio di consulenza: nel primo caso, risulta relativamente più agevole
passare da un fornitore ad un altro, senza gravi perdite in termini di utilità per
l’acquirente. Al contrario, nel secondo caso, nel momento in cui si volesse passare da un
fornitore del suddetto servizio ad un altro, si correrebbe il rischio di vedere perduto un
ampio bagaglio informativo, condiviso con il fornitore stesso nel corso del tempo72, con
l’aggravante di dover ripetere lo stesso processo informativo con il nuovo fornitore.
Un’altra forza che condiziona l’intensità del confronto competitivo è costituita
dalle minacce di sostituzione: esse sono tanto più elevate quanto più il prodotto è
redditizio per il produttore e quanto più elevato è il suo grado di fungibilità rispetto ad
altri prodotti. Di conseguenza, produzioni maggiormente differenziate e – meglio ancora
– caratterizzate da aspetti di unicità, sono quelle più al riparo da minacce di
sostituzione: differenziazione ed unicità, come già sottolineato, sono conseguenze
tipiche della presenza di risorse immateriali all’interno del processo produttivo del bene
in questione
Le minacce di ingresso, da ultimo, possono derivare, come si è visto, da
comportamenti di integrazione, rispettivamente a monte e a valle, di fornitori o clienti e
72 Molto spesso, ci si riferisce a questa situazione con il termine di cattura informativa: ossia quando unadelle due parti risulta essere vincolata all’altra – o comunque, dovrebbe affrontare elevati cosi nelmomento in cui volesse svincolarsi da questa – a causa della condivisione di informazioni necessarie peril corretto ed efficiente svolgimento del rapporto stesso.
52
per questo argomento si rimanda a quanto affermato in precedenza: ma i potenziali
entranti possono essere costituiti anche da soggetti diversi da quelli appena ricordati,
cioè da produttori in grado di collocarsi nella filiera produttiva al medesimo livello degli
attuali concorrenti. La consistenza e l’effettività di tale minaccia si ricollega al concetto
di barriere all’entrata, le cui determinanti, secondo lo schema di Porter, si fondano in
misura rilevante sulle risorse immateriali73. Passiamo ora in rassegna alcune delle
principali barriere all’entrata evidenziate dal Porter nel suo lavoro.
In primo luogo, le economie di scala, ossia il fenomeno per cui il rendimento
della funzione di produzione cresce all’aumentare delle scala, della dimensione, delle
attività di produzione74. Questo fenomeno, tipico della produzione di stampo Fordista,
continua oggi a giocare un ruolo di rilievo solo in quei settori in cui i fattori di successo
sono strettamente collegati alla presenza un ingente quantitativo di capitale fisico fisso.
Molto più spesso, infatti, nell’attuale contesto competitivo, si sente parlare – più che di
economie di scala – di economie di informazione75, evidenziandosi in questo senso lo
stretto legame con la presenza di risorse immateriali.
Per quanto riguarda la differenziazione come barriera all’entrata, questa affonda
le proprie radici prevalentemente nel terreno della immaterialità: si pensi, ad esempio, ai
rilevanti sforzi ed investimenti in pubblicità, assistenza tecnica, servizio pre e post
vendita, che un potenziale entrante dovrebbe sostenere per riuscire ad affermare la
propria immagine o il proprio marchio, al fine di conquistare la fedeltà dei clienti. Sono,
queste, risorse fondate su informazioni aziendali il cui processo di formazione e di
73 A riguardo, è esemplare quanto scritto da Vicari in Vicari S., Risorse Aziendali e funzionamentod’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 3/1992: “le difese dalle minacce competitive , lecosiddette barriere all’entrata o alla specificità, non sono date genericamente dagli investimentiirrecuperabili effettuati dall’impresa, ma unicamente da quella parte che si è sedimentata in risorseimmateriali. Il concetto di barriera va infatti riferito al differenziale di costo di un’impresa nuovaentrante rispetto ad una operante nel mercato: questo differenziale esiste solo in quanto l’impresa nuovaentrante non possa acquisire i beni necessari per operare a prezzi diversi da quelli delle imprese giàoperanti; orbene, questa caratteristica riguarda le risorse immateriali”.74 Ciò significa, in concreto, che il manifestarsi di economie di scala comporta una riduzione dei costimedi totali di produzione al crescere della potenzialità produttiva dell’unità economica considerata. CosìVolpato G., Concorrenza, impresa, strategie, Il Mulino, Bologna, 1992.75 Le economie di informazione possono essere distinte in tre tipologie: 1) le economie di replicazionedelle informazioni, dovute al costo nullo (o quanto meno ridotto) di riproduzione del know-howinformativo relativo a soluzioni già sperimentate; 2) le economie di regolazione, dovute allacentralizzazione delle informazioni e del potere decisionale, che permette una più efficace gestione dellacongiunzione sistemica tra risorse complementari; 3) le economie di selezione della varietà potenziale,dovute alla appropriatezza delle soluzioni tecnologiche e organizzative che possono essere identificate escelte quando cresce la varietà potenziale cui si può accedere. A riguardo, cfr. amplius Di Bernardo B.,
53
sedimentazione è lungo, complesso, costoso e soprattutto difficilmente quantificabile in
termini di aleatorietà ad esso associata.
I vantaggi di costo – ulteriore aspetto che concorre alla configurazione di
barriere all’entrata, si ricollegano tipicamente a risorse basate su informazioni
ambientali, quali ad esempio il know-how produttivo: a riguardo, come approfondiremo
in seguito, basti pensare alla presenza di una particolare prassi produttiva che porta ad
un miglioramento dell’efficienza aziendale, difficilmente acquisibile da altri potenziali
entranti a meno di elevati costi di ricerca ed incertezza in merito al buon esito degli
stessi.
Anche la possibilità di accesso a nuove ed ingenti fonti finanziarie per
supportare gli investimenti necessari per l’ingresso in un nuovo settore si fondano, tra
l’altro, su informazioni aziendali, quali la fiducia e la reputazione goduta sui mercati
finanziari, e dunque sulle risorse immateriali: si consideri, inoltre, che le difficoltà di
reperimento di fonti finanziarie aumenta in maniera notevole quanto più tali fonti
saranno utilizzate per investimenti di natura immateriale (ricerca, sviluppo, pubblicità),
difficilmente assoggettabili al sistema delle garanzie e dunque non agevolmente
recuperabili in caso di insuccesso dell’investimento76. Proprio perché molto spesso dagli
investimenti in risorse immateriali derivano costi irrecuperabili, all’impresa che
accresce il proprio patrimonio intangibile viene associato un maggiore grado rischio, si
a livello di leva operativa77 – con conseguente maggiore incidenza dei costi fissi, sia a
Economie di scala, economie di scopo, economie di varietà. Il valore economico della complessità, inEconomia e politica industriale, n. 61/1989.76 Le imprese caratterizzate da elevati investimenti in risorse immateriali ricorrono in misura prevalente afonti finanziarie interne, quali l’autofinanziamento o la dismissione di assets non strategici, privilegiandomodelli di proprietà chiusi e bassi gradi di leverage. Gli assetti proprietari chiusi permettono almanagement di godere di una maggiore autonomia operativa, senza dover rendere periodicamente contodello stato di avanzamento del progetto. Il basso grado di leverage risulta, invece, una direttaconseguenza della scarsa fiducia nutrita dalle istituzioni finanziarie nei confronti del finanziamento asocietà impegnate in simili campi, anche a seguito dell’alto tasso di insuccesso connaturato a progettitanto rischiosi. Tale aspetto, particolarmente vero con riferimento alla realtà italiana, ostacola, inprospettiva, la crescita e lo sviluppo delle imprese – le quali per fronteggiare la concorrenzainternazionale saranno sempre più chiamate ad ingenti investimenti immateriali – che vedono frenata laloro possibilità di condurre ricerca e investimenti in intangibles. A riguardo, cfr. Della Bella C.,Investimenti in attività immateriali e strutture finanziarie aziendali, in Sinergie, n. 30/1992 e Guatri L.,Sviluppo economico e impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 4/199677 Per Grado di Leva Operativa (GLO) si intende la reattività del reddito operativo al variare dei volumi,ossia GLO = )//()/( QQRoRo ∆∆ con Ro = Reddito operativo e Q = quantità prodotti venduti.Alternativamente GLO = RoMdcCfMdcMdcCfCvPQCvPQ /)/(])(/[)( =−=−−− con P =prezzo di vendita, Cv= costi variabili unitari, Cf= costi fissi totali, Mdc = margine di contribuzione. E’evidente, dalla seconda equazione proposta, come all’aumentare della presenza di costi fissi – in questo
54
livello di leva finanziaria78, per le ragioni sopra accennate. Di conseguenza, quanto più
le imprese appartenenti al settore presentano un’elevata importanza delle risorse
immateriali, tanto più le imprese potenziali entranti dovranno impegnarsi per condurre
investimenti che permettano loro di colmare il gap di intangibles presente: investimenti
che difficilmente troveranno finanziatori disposti ad accollarsi il rischio di investimenti
caratterizzati da una simile alea in merito alla loro riuscita.
Un discorso simile può essere fatto per quanto riguarda il tema della
distribuzione quale barriera all’entrata in un determinato settore: acquisire nuovi canali,
infatti, è sicuramente più oneroso che gestire distributori con i quali vengono
intrattenute relazioni stabili e durature: pertanto, quanto più gli attuali concorrenti
potranno disporre di una relazione consolidata con i distributori, tanto più sarà costoso
in termini di nuovi investimenti per i potenziali entranti giungere ai consumatori. Anche
in questo caso, le barriere all’entrata hanno una matrice immateriale, fondandosi sulle
relazioni sviluppate dall’impresa tanto con i distributori, quanto con i consumatori
finali: i distributori, infatti, generalmente, preferiscono i prodotti già noti al
consumatore finale, dotati di un marchio o comunque valorizzati dall’immagine
aziendale.
Da ultimo, le barriere governative e legali sono tra le barriere più efficaci, spesso
fondate anch’esse su risorse immateriali di varia natura: l’ingresso in molti settori di
pubblico interesse, ad esempio, è subordinato all’ottenimento di licenze ed
autorizzazioni concesse dalla pubblica autorità per ben definiti periodi di tempo79. E’
naturale, infatti, che imprese non conosciute, senza una propria affermata reputazione e
storia, difficilmente riescano ad ottenere le suddette concessioni. Barriere simili a quelle
rappresentate dalle concessioni sono quelle rappresentate dai brevetti e da tutte le forme
di conoscenza codificata e protetta a livello legale.
ambito ipotizzati derivare da investimenti in attività immateriali – aumentano il grado di leva operativa edil conseguente profilo di rischio associato all’azienda in questione. Cfr. Pavarani E. (a cura di), AnalisiFinanziaria, McGraw-Hill, Milano, 199278 Per Grado di Leva Finanziaria (GLF) si intende la reazione del risultato netto alle variazioni delreddito operativo, ossia GLF = )//()/( RoRoRnRn ∆∆ , dove Rn = reddito netto e Ro = redditooperativo. Cfr. Pavarani E. (a cura di), op. cit.79 Si pensi, ad esempio, al caso dei servizi di pubblica utilità, quali le utilities o le telecomunicazioni.Proprio la valorizzazione di queste concessioni, come vedremo in seguito, rappresenta uno dei principaliesempi per cui risulta necessario fornire valutazioni economiche delle attività immateriali.
55
In conclusione di questo paragrafo, quindi, vogliamo evidenziare come l’analisi
sopra proposta fornisca alcuni esempi di come le risorse immateriali possano rivestire
un ruolo di primo piano nella definizione del profilo di attrattività di un determinato
settore: pur non volendo indicare gli intangible assets quali le uniche risorse alla base
della valutazione dell’attrattività di un settore, è d’altra parte necessario sottolineare
come l’evoluzione dei mercati, dei processi di produzione e di consumo, e – soprattutto
– la crescente importanza assunta in tali contesti dalle informazioni – tanto in mano ai
soggetti d’offerta quanto a quelli di domanda – conferiscono oggigiorno alle risorse
immateriali una posizione centrale nelle analisi di settore.
1.7.1.2 - Redditività, vantaggio competitivo e risorse immateriali
Più che dall’attrattività del settore in cui l’impresa si trova ad operare, la
redditività aziendale è influenzata dal posizionamento competitivo ricoperto da
quest’ultima all’interno del settore di appartenenza. Infatti, se le cinque forze sopra
evidenziate definiscono – oggi in modo sempre più incerto – l’arena competitiva
all’interno della quale l’impresa si trova ad operare, è all’interno di questa stessa arena
che quest’ultima si trova ad agire, cercando di collocarsi in una posizione che le assicuri
prestazioni a lungo termine sostenibili e sopra la media: posizione, quindi, che assicuri
un vantaggio competitivo sostenibile.
Secondo il modello proposto da Porter80, a riguardo, esistono due tipi
fondamentali di vantaggio competitivo: il contenimento dei costi e la differenziazione;
Il tipo di vantaggio competitivo perseguito e l’ampiezza dell’ambito in cui l’impresa
intende conseguire tale vantaggio configurano tre tipologie di strategie, cosiddette “di
base”: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione. Le prime due strategie
citate mirano a perseguire il vantaggio competitivo in un’ampia gamma di segmenti del
settore di riferimento, mentre le strategie di focalizzazione tendono a realizzare le
precedenti strategie in un ambito maggiormente circoscritto. La leadership di costo
mira, appunto, alla riduzione dei costi di produzione in una maniera tale che nessuna
altra impresa concorrente sul medesimo mercato possa, nel medio periodo, produrre con
costi similmente bassi. La leadership basata sulla differenziazione, invece, mira a dotare
80 Cfr. Porter M.E., op. cit.
56
Leadership di costo Differenziazione
Focalizzazione sulladifferenziazione
Focalizzazionesui costi
Diminuzione dei costiDifferenziazione
Vantaggio competitivo
Obiettivo
generale
Obiettivo
specifi
il prodotto di determinate caratteristiche – materiali o immateriali, appunto – che lo
facciano percepire al consumatore come differente dagli altri ed unico, in grado di
donare un’utilità unica al momento del consumo.
Data la grandissima diffusione e l’ampio consenso suscitato dallo schema
proposto da Porter al fine dell’individuazione dei drivers del vantaggio competitivo,
riteniamo opportuno ripresentarlo in questa sede, cercando di esplicitare in che modo le
strategie di base individuate possano essere collegate alle presenza di intangible assets e
come questi possano favorire il perseguimento delle suddette strategie.
a. Risorse immateriali e leadership di costo
L’obiettivo di un’impresa che persegue la strategia di leadership di costo è, come si
è visto, quello di diventare il produttore con i costi più contenuti del proprio settore di
riferimento: l’ambito competitivo da dominare è ancora ampio e ciò significa rivolgersi
ad un elevato numero di segmenti di mercato. Tra le più tradizionali fonti di vantaggio
di costo, vanno ricordate le economie di scala e di informazione, le curve di esperienza
e le sinergie. Per quanto riguarda le curve di esperienza, rimandiamo a quanto esposto
nel paragrafo precedente, con la relativa puntualizzazione in merito all’accresciuta
Ambitocompetitivo
Figura 4- Le tre strategie competitive di base
57
importanza delle economie di informazione nell’economia moderna. Anche le curve di
esperienza ricoprono un ruolo importante nell’implementazione di strategie fondate
sulla leadership di costo: numerosi sono i fattori che vi sono alla base81, ma l’assunto
fondamentale alla base di queste curve è che i costi unitari collegati ai processi di
produzione e di vendita decrescono al crescere dell’esperienza cumulata. Ma
l’esperienza cumulata, a sua volta, altro non è che know-how tecnico, produttivo, di
marketing, distributivo: intangible assets, quindi.
Passando a considerare le sinergie come fonte dei vantaggi di costo, va ricordato che
tra le caratteristiche delle risorse immateriali vi è la molteplicità d’uso, ossia la
possibilità di utilizzare la medesima risorsa in contesti differenti82, traendo dalla stessa
vantaggi di diverso tipo a seconda dell’uso fattone. Si pensi, ad esempio, alle sinergie
collegate allo sfruttamento dell’immagine, di un marchio o ancora della fiducia di cui
l’impresa gode: un marchio affermato, a titolo esemplificativo, agevola l’affermazione
di nuove produzioni contenendo gli investimenti in promozione e pubblicità; una
elevata reputazione presso gli investitori può permettere all’impresa di diminuire il
costo del funding83.
Un terzo driver per quanto riguarda il perseguimento di strategie di leadership di
costo facendo leva sulle risorse immateriali può essere identificato con riguardo ai
vantaggi di costo ottenibili da informazioni codificate e protette: un particolare brevetto
o procedimento di produzione possono portare ad un incremento di efficienza del
sistema produttivo; l’impiego della risorsa intangibile, per così dire, consente una
riduzione del consumo delle risorse “tangibili”, modificando la struttura dei costi
dell’impresa, in direzione di una maggiore flessibilità e snellezza.
81 Senza scendere in particolari, possiamo citare quali fattori alla base delle curve di esperienza ilmiglioramento dell’efficienza del fattore lavoro grazie alla specializzazione del lavoro e stesso e almiglioramento dei metodi; la scoperta di nuovi processi produttivi, l’aumento della capacità produttiva, ilcambiamento del mix di risorse utilizzate, la standardizzazione della produzione e la riprogettazione delsistema di prodotto.82 Cfr. Vicari S., Invisible assets e comportamento incrementale, in Finanza, Marketing e Produzione, n.1/1989.83 A questo riguardo, va notato che lo sfruttamento intensivo della caratteristica della molteplicità d’usotipica delle risorse immateriali deve avvenire prestando adeguata attenzione ad eventuali fenomeni di“usura” che si possono manifestare. Come scrive Vicari S, op.cit., “ ad esempio, la credibilità cheun’impresa ha, le consente di accedere più facilmente al capitale di credito. Ma l’uso intensivo di questarisorsa può comportare una diminuzione della credibilità stessa. O ancora, l’immagine dell’azienda puòconsentire l’ingresso in più settori, ma un uso eccessivo della stessa per favorire lo sviluppo dei mercatipuò comportare una volgarizzazione dell’immagine stessa”.
58
b. Risorse immateriali e differenziazione
Secondo la strategia di base in esame, un’impresa mira a soddisfare in modo
ineguagliabile da parte dei concorrenti uno o più bisogni che sono percepiti come
rilevanti da un ampio numero di clienti. Ciò richiede, in primo luogo, l’individuazione
delle variabili del sistema d’offerta a cui la domanda risulta essere più sensibile, al fine
di offrire un prodotto da questi riconosciuto come unico. Naturalmente, l’ottenimento di
un simile prodotto, richiede sovente il sostenimento di costi superiori rispetto a quelli
sostenuti dai concorrenti: risulta necessario, in questo caso, applicare un premium price
superiore ai costi aggiuntivi al fine di permettere all’impresa di ottenere risultati
reddituali superiori a quelli ottenuti dalla media del settore.
Ovviamente, il potenziale perseguimento di una simile strategia è strettamente
collegato alla tipologia di prodotto offerto e alle sue caratteristiche tecniche e fisiche: è
evidente, infatti, come prodotti tecnicamente semplici possano avere limitate possibilità
di differenziazione, al contrario di prodotti maggiormente complessi ed articolati che
possono soddisfare bisogni complessi senza vincoli eccessivamente stringenti.
Oggigiorno, però, l’aumento della complessità dei settori e dei sistemi produttivi, hanno
portato alla creazione di sistemi produttivi complessi ed in correlati processi di consumo
complessi: il prodotto, anche il più semplice, è pertanto visto come “sistema di
prodotto”, in quanto il suo contenuto non si esaurisce nelle mere caratteristiche
fisiche84. Di conseguenza, la ricerca di sistemi di prodotto percepiti come unici, che
consentano di percorrere con successo la strada della differenziazione e di ricavarne una
fonte di vantaggio competitivo sostenibile, chiama sempre più in causa l’utilizzo di
risorse immateriali: esse, infatti, presentando i caratteri della “unicità”, della “difficile
acquisibilità” e della “difficile copiabilità”85, risultano idonee a costituire la fonte della
differenziazione. Un esempio significativo di risorsa immateriale su cui si può fondare
84 Come evidenziato da Coda V., L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988, il “sistemaprodotto” è definito “dai caratteri materiali del prodotto o servizio offerto (attributi qualitativi delprodotto, di tipo tecnico-funzionale e di tipo estetico; gamma); dagli elementi immateriali ad essoconnessi (come prestigio, eleganza, salute, sicurezza); dal servizio collegato al prodotto (velocità epuntualità di consegna, assistenza pre e post vendita, ecc…); dalle condizioni più strettamenteeconomiche dello scambio (prezzo, termini e modalità di pagamento, condizioni di trasporto, garanzie,assicurazioni,ecc…)”.85 Cfr. Vicari S., op.cit.
59
la differenziazione è la conoscenza approfondita dei clienti e dei loro bisogni;
conoscenza che poi, se ben sfruttata, permetterà di confezionare prodotti unici, capaci di
soddisfare i complessi bisogni dei consumatori. Si pensi, ancora, all’importanza
raggiunta dai livelli di servizio ed al ruolo determinante che a tale scopo rivestono le
risorse immateriali: oltre alla già ricordata conoscenza dei clienti, il fatto di voler
percorrere il sentiero della qualità del servizio per perseguire un sostenibile vantaggio
competitivo comporta il necessario controllo delle reti e dei canali di distribuzione,
l’educazione del personale di vendita e di servizio, l’attenta assistenza pre e post
vendita. Tutte condizioni che si fondano, seppur con diverse sfumature, sulla presenza
di un adeguato substrato di risorse immateriali.
Da ultimo, ma di massima importanza, un’ulteriore area di estrema rilevanza su si
fondano sempre più spesso i vantaggi di differenziazione è quella che si richiama alle
valenze immateriali e simboliche connesse al prodotto, valenze che si collegano ai
rinnovati processi e stili di consumo e che hanno senza dubbio origine in intangibles
quali il marchio e l’immagine del prodotto e dell’azienda. Sempre più spesso,
nell’economia moderna, si evidenzia come le scelte di un determinato prodotto da parte
dei consumatori non siano guidate dalla semplice analisi delle caratteristiche tecniche
del prodotto oggetto di acquisto, quanto piuttosto da fattori sociali, emozionali,
psicologici o estetici: bisogni ai quali solamente la componente intangibile del prodotto
acquistato può dare soddisfazione.
c. Risorse immateriali e focalizzazione
La terza strategia evidenziata è quella di focalizzazione: ossia una strategia fondata
sulla scelta di competere solo in un ambito ristretto del settore. Le imprese che si
focalizzano cercano di ottenere un vantaggio competitivo nei segmenti prescelti,
escludendo gli altri concorrenti, pur non possedendo un vantaggio competitivo generale.
Come si è accennato nello schema precedente, la strategia della focalizzazione ha
due varianti: la focalizzazione sui costi, in cui un’impresa persegue un vantaggio di
costo nel segmento selezionato, e la focalizzazione sulla differenziazione, in cui –
similmente – un’impresa cerca di ottenere un vantaggio di differenziazione
limitatamente al segmento prescelto. Per questo motivo e per gli evidenti collegamenti
60
tra questa e le due strategie proposte in precedenza, la strategia in esame richiama in
buona misura i driver già visti trattando delle altre due strategie di base, delle quali la
focalizzazione risulta una variante. Tuttavia, è possibile proporre un’ulteriore
osservazione in merito: la riuscita di una strategia di focalizzazione si basa sull’assunto
che il segmento prescelto sia diverso dagli altri e che chi decide si servire tale segmento
prescelto sia capace di soddisfare i bisogni dei consumatori ad esso appartenenti in
maniera migliore di coloro che operano ad ampio raggio. E’ quindi ancor più
determinante, quindi, che chi si dedica ad un dato segmento abbia sviluppato una
conoscenza del medesimo superiore a quella posseduta dagli altri concorrenti: solo così,
infatti, l’impresa sarà in grado di offrire un sistema di prodotto competitivo. Ma questa
“migliore conoscenza del segmento”, altro non è che una risorsa fondata
sull’informazione, uno specifico e preciso database dei clienti, una risorsa immateriale.
Da quanto evidenziato in precedenza, si possono trarre alcune conclusioni: in
primo luogo, è apparso il ruolo centrale ricoperto dagli intangibles quali fonti del
vantaggio competitivo86. Qualsiasi si la strategia prescelta, il raggiungimento del
vantaggio competitivo in un’economia moderna e sviluppata, affrancata dal paradigma
Fordista, riposa in larga misura sulla dotazione e sull’adeguato sviluppo delle risorse
immateriali. In secondo luogo, va sottolineato il ruolo ormai dominante giocato oggi dal
vantaggio competitivo nel conseguimento di differenziali positivi di redditività:
vantaggio competitivo che, in un quadro di sempre maggiore dinamicità del sistema-
azienda, presenta il carattere dalla sostenibilità soprattutto se fondato sulle risorse
immateriali, difficilmente replicabili nel breve termine da parte di aziende concorrenti.
Tale sostenibilità, infatti, si ricollega alla difficile riproducibilità e trasferibilità delle
risorse immateriali e alla loro difficile appropriazione ed erosione da parte della
concorrenza. In terzo luogo, a parziale correzione di quanto affermato in precedenza, se
86 “La capacità competitiva dell’impresa si configura come una capacità di cercare ed elaborareinformazioni – sulla clientela, sui concorrenti, sulle tecnologie, sulle risorse – e di tradurle in formeorganizzate di produzione. Quindi, al massimo livello di astrazione, la competitività dell’impresa è ilrisultato della capacità di incorporare nelle proprie attività: scienza (informazioni sulle regole difunzionamento dei sistemi fisici e sociali) e conoscenza (informazioni sugli stati dei sistemi fisici e socialie sulle esigenze dei soggetti). Molto spesso il risultato di queste attività è dato da un prodotto, vale a direda qualcosa di materiale. Ma questa circostanza non deve farci dimenticare che il “prodotto” costituisceil risultato di una “capacità immateriale” dell’impresa, rappresentata dalla sua abilità di incorporare eprodurre scienza e conoscenza. Quindi, il vero differenziale competitivo fra imprese si trova (e si produce
61
in generale il vantaggio competitivo fondato sulle risorse immateriali presenta il
carattere della sostenibilità, va tuttavia rilevato come oggi sia soprattutto il vantaggio
competitivo basato sulla differenziazione quello che più agevolmente presenta il
carattere della sostenibilità. L’aumento della concorrenza internazionale, infatti, ha
evidenziato la fragilità connaturata a posizioni di leadership di costo, apparentemente
solide a livello nazionale, facilmente attaccabili da parte di soggetti di offerta le cui
strutture di costo risultano indubbiamente più flessibili e meno gravate di costi fissi. Il
vantaggio competitivo basato sulla differenziazione, perciò, affonda le proprie radici
tipicamente in risorse caratterizzate da una più elevato contenuto di firm specificity che
sembrano porre al riparo da attacchi esterni il vantaggio competitivo in tal modo
perseguito.
nel tempo) a questo livello”. Così si è efficacemente espresso Volpato G., Concorrenza, impresa,
62
CAPITOLO IILa valutazione contabile degli intangible assets
Nel corso del secondo capitolo tratteremo l’argomento della valutazione
contabile degli intangible assets e della loro espressione all’interno dei documenti di
bilancio: tematica in continuo divenire e soggetta a continui cambiamenti, sotto la
spinta dei processi di armonizzazione contabile Europea e mondiale, nonché sotto
l’influsso della sempre maggiore democratizzazione dell’informazione societaria.
All’interno del primo paragrafo esamineremo i principi contabili italiani e le modalità
di contabilizzazione classiche e sedimentate in Italia, almeno fino al 1 gennaio 2005.
Da questa data, infatti, almeno per quanto riguarda i bilanci consolidati delle società
quotate, i principi contabili italiani verranno sostituiti dai principi contabili
internazionali IAS-IFRS, a cui sono dedicati il secondo e il terzo paragrafo: dopo una
breve descrizione storica dell’evoluzione di questi principi, dell’organo deputato alla
loro emissione e delle modalità attraverso le quali i suddetti principi verranno
implementati a livello di singolo Stato Europeo, tratteremo nello specifico le novità che
questa nuova modalità di contabilizzazione apporterà rispetto ai principi contabili
italiani. Proprio il principio contabile internazionale dedicato alla contabilizzazione
delle attività immateriali è uno di quelli che porterà maggiori cambiamenti nella prassi
contabile delle imprese Italiane. Da ultimo, in un’ottica di sempre maggiore
internazionalizzazione dei capitali e conseguente armonizzazione degli standard
contabili, dedicheremo un paragrafo alla descrizione delle modalità di
contabilizzazione adottate negli Stati Uniti per quanto riguarda le attività immateriali e
le business combinations – una delle possibili fonti di acquisizione degli intangible
assets. Concretamente, quindi, faremo riferimento al Principio Contabile n. 24 del
CNDC-CNR per descrivere le modalità di contabilizzazione in Italia, agli IAS/IFRS
22,36 e 38 per i principi contabili internazionali, e agli SFAS 141 e 142 per i principi
contabili statunitensi. Al termine del capitolo, quindi, dovrebbero risultare evidenti le
strategie, Il Mulino, Bologna, 1995
63
differenze tra le varie modalità di contabilizzazione, rimandando all’analisi delle
possibili conseguenze di questa transizione al Capitolo IV, dedicato all’analisi delle
evidenze empiriche.
64
2.1 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I
PRINCIPI CONTABILI ITALIANI
I principi contabili italiani considerano i beni immateriali all’interno della più
ampia classe delle immobilizzazioni immateriali, contenuta nello schema di stato
patrimoniale, di cui riportiamo di seguito lo scorcio che ci interessa.
Figura 5 - Prospetto di stato patrimoniale attivo: Immobilizzazioni immateriali
Nella tabella precedente vengono evidenziati vari elementi che il codice include
in tale classe di valori, contraddistinti dai numeri arabi, ma non fornisce alcun
commento chiarificatore né a livello dei singoli elementi, né complessivamente87. Di
conseguenza, prima di esaminare le problematiche valutative degli elementi citati, è
necessario esaminare le norme contenute nel documento n.24 dei principi contabili del
87 Come evidenzieremo successivamente, l’art. 2427 n.3, solo nel caso dei costi di ricerca, sviluppo, dipubblicità e nel caso dei costi di impianto e di ampliamento richiede che la nota integrativa contenga ladescrizione dei motivi che hanno indotto gli amministratori a “capitalizzarli”, ossia ad inserire tali costinello stato patrimoniale rinviandoli al futuro, anziché “spesarli” nell’esercizio di sostenimento,imputandoli, cioè, integralmente al conto economico dell’esercizio del quale risultano di competenza.
ATTIVO
A) Crediti verso soci per versamenti ancoradovuti
B) Immobilizzazioni
I – Immobilizzazioni immateriali1) Costi di impianto e di ampliamento2) Costi di ricerca, sviluppo e pubblicità3) Diritti di brevetto industriale e diritti di
utilizzazione delle opere d’ingegno4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili5) Avviamento6) Immobilizzazioni in corso e acconti7) Altre
65
CNDC-CNR88, il quale offre importanti spunti di riflessione ed integra – per quanto non
contemplato dal testo civilistico – la trattazione della contabilizzazione delle attività
immateriali: il principio in questione, infatti, titola “Le Immobilizzazioni Immateriali”
ed in apertura del testo viene individuato lo scopo del documento: “Il presente
documento ha lo scopo di definire le immobilizzazioni immateriali ed i principi
contabili relativi alla loro rilevazione, valutazione e rappresentazione nel bilancio
d’esercizio di imprese mercantili, industriali e di servizi […]”.
Il documento 24 precisa che i tratti comuni a tale gruppo di elementi consistono ne:
L’assenza di tangibilità;
Il sostenimento effettivo di costi per la loro acquisizione o la loro produzione
interna e la capacità di identificare e misurare tali oneri;
L’utilità pluriennale89, intesa come beneficio economico in termini di maggiori
ricavi o minori costi rispetto a quelli che si verificherebbero nel caso di assenza
di tali beni.
E’ evidente come, al contrario di quanto vedremo accadere nel documento IAS n.38,
vengano dati per scontati tanto il requisito della identificabilità – intesa come la capacità
di distinguere l’elemento considerato dal più generale ed eterogeneo avviamento
aziendale – che quello della controllabilità – da intendersi come la capacità di fruire in
esclusiva dei vantaggi da esso conseguibili90. Ai fini dell’iscrizione non rileva, invece,
la fonte di provenienza dei beni, nel senso che sono iscrivibili nell’attivo patrimoniale
elementi che soddisfino le condizioni precedentemente descritte, indipendentemente dal
fatto che essi siano disponibili a seguito di acquisto dall’esterno, produzione interna o
acquisizione a titolo di godimento91.
88 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti – Consiglio Nazionale dei Ragionieri89 Questo requisito è coerente con la decisione di annoverare i beni immateriali tra la categoria delleimmobilizzazioni, ossia elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente.90 La possibilità di godimento esclusivo spesso riposa su garanzie offerte da strumenti giuridici, qualileggi (ad esempio diritti d’autore o di brevetto) o contratti (contratto di imposizione di segretezza aidipendenti, privative commerciali, ecc…).91 Unica eccezione è rappresentata dal caso dell’acquisto a titolo gratuito, proprio perché il documenton.24 ritiene non soddisfatta la condizione della attendibile misurazione del costo. Al riguardo, è da notarecome non sussista un simile divieto per quanto riguarda le immobilizzazioni materiali, dovel’acquisizione a titolo gratuito non impedisce la capitalizzazione, affidando la stima dell’effettivo valore
66
All’interno della classe oggetto d’analisi – sempre rimanendo in merito a tematiche
definitorie – il documento n. 24 compie la fondamentale distinzione tra beni immateriali
in senso proprio, in quanto coperti da specifica tutela giuridica che li porta ad essere
oggetto di diritti attivi e passivi, e oneri pluriennali92. La distinzione tra beni
immateriali e oneri pluriennali non è di poco conto, infatti la maggiore incertezza
riguardo al reale contenuto economico in termini di utilità futura dei secondi, aveva già
portato il legislatore a prevedere specifiche forme di tutela prudenziale (art. 2426, n.5 e
n.6), quali la subordinazione della loro capitalizzazione al consenso del collegio
sindacale, il loro ammortamento in un tempo massimo di cinque anni e la possibilità di
distribuire utili in presenza di valori non ancora ammortizzati solo se a copertura del
costo residuo vi sono riserve di utili disponibili sufficientemente capienti.
2.1.1 - Aspetti generali di valutazione
Nel paragrafo seguente, tratteremo di quegli aspetti comuni a tutti i beni
immateriali contabilizzati, senza che siano previste – in questi ambiti – specifiche
prescrizioni per singole categorie di beni. Successivamente, quindi, analizzeremo in
maniera distinta le varie categorie di attività immateriali, analizzandone le specificità
contabili.
2.1.1.1 - Il valore originario
Le immobilizzazioni immateriali che rispondono ai requisiti suddetti devono
essere inizialmente registrate al costo sostenuto per la loro acquisizione, conformemente
a quanto previsto dall’art. 2426, n.1, c.c. A seconda delle specifiche modalità di
formazione – esaminate all’interno del primo capitolo – la nozione di costo varierà nel
senso che:
del bene ai valori di mercato. In effetti, come più volte ripetuto all’interno di questo lavoro, come sembrapossibile dedurre dai principi del CNDC-CNR, la differenza tra i due casi risiede nella maggiore difficoltàdi stimare degli attendibili valori di mercato relativi alle immobilizzazioni immateriali.92 Ad evidenza, i primi consistono nei brevetti, nei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, neimarchi, nelle concessioni, nelle licenze; i secondi, invece, consistono nei costi pluriennali che non siconcretizzano nei beni suddetti, come i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di pubblicitàe gli altri oneri pluriennali. Rappresenta invece una categoria autonoma l’avviamento, sovente intesaquale voce residuale.
67
qualora le immobilizzazioni immateriali derivino da operazioni di acquisizione
esterna, si tratterà di computare un costo di acquisto comprensivo di tutti gli
oneri accessori (in genere consulenze ed intermediazioni, purché specificamente
riferite all’acquisto dell’immobilizzazione stessa);
nel caso di produzione interna, si tratterà di includere tutti i costi diretti e la
quota ragionevolmente imputabile di costi indiretti93;
2.1.1.2 - Gli ammortamenti
Il codice civile stabilisce (art. 2426, n.2) che le immobilizzazioni la cui
utilizzazione è limitata nel tempo, devono essere “sistematicamente ammortizzate in
ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”94. Nelle
parole del codice, l’ammortamento deve essere sistematico, cioè compiuto in ogni
esercizio sulla base di un piano e questo programma deve essere rivisto periodicamente
“per verificare che non siano intervenuti cambiamenti tali da richiedere una modifica
delle stime effettuate nella determinazione della residua possibilità di utilizzazione”95.
Il processo in questione, che prende inizio dal momento in cui l’immobilizzazione è
disponibile per l’uso, presuppone la definizione di tre elementi:
1. Il valore da ammortizzare
2. La vita utile
3. Il criterio di ripartizione del valore
Il valore da ammortizzare è costituito dalla differenza tra costo originario96 e valore
residuo della vita utile del bene, con quest’ultimo generalmente considerato nullo a
causa dell’incertezza in merito alla sua determinazione97.
93 La produzione interna, si ricorda, avrà originato una capitalizzazione inserita tra i ricavi del contoeconomico nella voce A.4 “Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni”, mentre in contropartitasarà stato acceso il conto riferito alla specifica immobilizzazione.94 L’ammortamento, in sostanza, consiste nella ripartizione del costo nei vari esercizi ai qualil’immobilizzazione offre un contributo ai processi produttivi, in funzione dell’intensità con cui questocontributo si verifica.95 Cfr. principio contabile n.24, CNDC-CNR96 Eventualmente aumentato delle rivalutazioni e delle migliorie e diminuito delle svalutazioni.
68
La vita utile è basata sulle prospettive temporali di utilizzo dell’elemento
considerato; per quanto riguarda i beni immateriali – intesi come diritti di brevetto,
marchi, licenze – la vita utile è spesso paragonata al periodo che la legge o il contratto
stabiliscono come intervallo nel quale l’azienda può sfruttare in via esclusiva il bene.
Nel caso degli oneri pluriennali, invece, mancando riferimenti così precisi, in ossequio
al principio della prudenza nella redazione delle sintesi di esercizio, la legge stabilisce
per i costi pluriennali e per l’avviamento98 una durata convenzionale massima pari a
cinque esercizi (art. 2426, n.5).
Il criterio di ripartizione del valore è la metodologia in base alla quale suddividere
ed imputare all’esercizio di competenza le varie quote di costo derivanti dal processo di
ammortamento. Il documento n.24 indica quello a “quote costanti” quale metodo più
immediato in ragione della sua semplicità di calcolo. In talune circostanze, il documento
suggerisce la maggiore coerenza ed opportunità del “metodo a quote decrescenti”, alla
base del quale vi è l’ipotesi che l’immobilizzazione immateriale offra il contributo
maggiore nei suoi primi esercizi di vita, anche in applicazione del postulato della
prudenza. In ogni caso, il documento ritiene accettabile l’uso, per diverse classi di
cespiti, di metodi diversi, pur invitando gli operatori ad instaurare una effettiva
correlazione tra quote di ammortamento ed effettiva perdita di valore economico del
bene a causa del suo utilizzo99.
2.1.1.3 - Le rivalutazioni
Conformemente al dettato civilistico, il documento n. 24 consente la possibilità
di compiere rivalutazioni dei cespiti solo se ciò è permesso da leggi speciali e negli
stretti limiti da queste stabiliti; la più recente legge di rivalutazione, ad esempio, è la
342/2000 che consentiva alle società e alle imprese individuali la possibilità di
97 E’ evidente che, data l’estrema incertezza che caratterizza la determinazione di questo valore nel casodi immobilizzazioni materiali, per le immobilizzazioni immateriali questo aspetto sia ancora di più incertaindividuazione.98 Solo nel caso dell’avviamento è prevista la possibilità che gli amministratori, dietro parere positivo delcollegio sindacale e adeguata motivazione nella nota integrativa – con indicazione degli specifici fattoriche giustificano una vite utile maggiore dei cinque esercizi convenzionali – stabiliscano un periodo diammortamento superiore (art. 2426, n.6)99 Ricordiamo come la quota di ammortamento vada riepilogata in conto economico nella voce B.10.a,mentre il fondo ammortamento accreditato in contropartita è inserito nello stato patrimoniale a direttarettifica dell’immobilizzazione a cui fa riferimento.
69
rivalutare nel bilancio dell’esercizio 2000 le immobilizzazioni materiali, immateriali e
le partecipazioni in imprese controllate e collegate. Pertanto, non è consentito nessun
margine di discrezionalità nell’operare rivalutazioni “monetarie”, finalizzate a tenere
conto dei processi inflazionistici, o rivalutazioni “economiche”, miranti ad evidenziare il
maggior valore associabile ad un bene a seguito di circostanze di mercato. In tal senso,
sarà eventualmente la legge a disciplinare tali situazioni, fermo restando il fatto che,
quando anche le leggi speciali lo consentissero, le rivalutazioni non potranno
determinare ricavi da inviare a conto economico, ma potranno produrre solamente
aumenti di speciali riserve componenti il patrimonio netto, esplicitando di conseguenza
in nota integrativa i criteri seguiti, l’importo della rivalutazione al lordo e al netto degli
ammortamenti e l’effetto sul patrimonio netto.
2.1.1.4 - Il valore realizzabile come limite superiore e le svalutazioni
Fin dal momento dell’acquisizione e poi, successivamente, in ogni momento
della vita utile, il valore al quale l’immobilizzazione è iscritta in contabilità non può
superare il valore recuperabile dell’immobilizzazione stessa100: in merito, il documento
n.24 puntualizza che si definisce valore recuperabile il maggiore tra il valore in uso ed il
valore realizzabile tramite alienazione.
Il valore realizzabile tramite alienazione consiste nel prezzo ricavabile da una
vendita in condizioni normali di mercato, al netto degli oneri diretti di cessione. Il
valore in uso, invece, è definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi durante la
vita utile dall’impiego della risorsa nei processi produttivi interni. Qualora, ovviamente,
il valore iscritto in contabilità risultasse superiore al limite in tal modo definito,
l’azienda dovrà svalutare l’immobilizzazione con relativo addebitamento al conto
economico dell’esercizio. Questa precisazione risulta coerente con la funzione stessa
che il bene andrà ad assumere all’interno del sistema aziendale: a rigor di logica, il
valore recuperabile coinciderà, quindi, con il valore di realizzo indiretto – determinato
100 Il dettato legislativo è coerente con quanto affermato dall’art. 2426, n.3, ove si afferma che “leimmobilizzazioni devono essere svalutate in caso di perdita durevole emergente alla data di chiusuradell’esercizio”. La eventuale svalutazione, ad evidenza, risulta logicamente distinta dal processo diammortamento sistematico, proprio per il carattere di straordinarietà ad essa associato. Lo stesso principiocontabile n.24 afferma che in ogni caso “le cause di svalutazione devono assumere carattere distraordinarietà e di gravità, altrimenti ricadrebbero nell’ordinario processo di ammortamento”.
70
attualizzando i flussi di cassa derivanti dall’impiego dell’immobilizzazione stessa101 –
se il bene è destinato ad essere impiegato nei processi produttivi interni, o con il valore
di realizzo diretto desumibile dall’andamento di mercato se, invece, la destinazione
economica è quella di una cessione a soggetti terzi.
Per quanto riguarda i momenti nei quali operare tali valutazioni, il documento
n.24 precisa che l’accertamento in merito alla recuperabilità del costo del bene deve
essere fatto inizialmente – nel momento in cui il bene entra a far parte per la prima volta
del sistema di contabilità aziendale – e successivamente ogniqualvolta “certe condizioni
di utilizzo del bene o addirittura l’operatività stessa della società possa subire
mutamenti di rilievo. Particolare attenzione va posta nel caso in cui l’impresa versi in
una situazione di perdita e nel contempo esponga in bilancio immobilizzazioni
immateriali, quali oneri pluriennali. In tali fattispecie, è massimamente necessaria la
dimostrazione della ricuperabilità dei costi iscritti nell’attivo”.
Una volta effettuata la svalutazione in ossequio ai dettami introdotti in
precedenza, se le cause che l’avevano determinata non sussistono più, il codice civile
stabilisce sempre all’art. 2426, n.3, che si debba stanziare una rivalutazione a conto
economico. Questo tipo di rivalutazione è l’unico caso di rivalutazione permesso ed è
comunemente riconosciuto con il termine di rivalutazione di ripristino, in quanto serve
per riportare il valore dell’immobilizzazione fino al massimo del costo residuo prima
della svalutazione102. In merito a questo argomento, il D.Lgs. n.6/2003 (“riforma
Vietti”) ha introdotto una modifica che interessa direttamente le immobilizzazioni
immateriali ed è quella prevista dal nuovo comma 3 bis dell’art. 2427 - Contenuto della
nota integrativa; il comma citato afferma che in nota integrativa si devono precisare “la
misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni
immateriali di durata indeterminata, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro
concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile
101 A livello metodologico, il documento n. 24, al di là delle affermazioni di principio, lasciaindeterminati gli aspetti tecnici della procedura di stima del flusso di cassa atteso dall’uso interno,diversamente da quanto – come vedremo – compie, invece, lo IAS n. 36102 Il documento n. 24 conferma, a tale proposito, che il ricavo per plusvalenza di ripristino debba essereal netto degli ulteriori ammortamenti non calcolati a causa della precedente svalutazione. Proprio perchéassume questo scopo, la rivalutazione di ripristino può essere operata fino a concorrenza del costooriginario. Nel conto economico la svalutazione confluirà nella voce B.10.c del conto economico (“altresvalutazioni delle immobilizzazioni”) mentre il fondo svalutazione era stato collocato in stato patrimonialea diretta detrazione della voce a cui si riferisce. L’eventuale rivalutazione di ripristino sarà collocata nellavoce A.5.
71
e, per quanto determinabile, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze
rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui
risultati economici dell’esercizio e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data
comunicazione”. Per prima cosa, nell’analisi della suddetta norma, risulta preliminare
delimitare il campo di applicazione della stessa: essa riguarda le immobilizzazioni “di
durata indeterminata”, espressione non immediatamente chiara quanto alla concreta
identificazione delle tipologie di risorse interessate: i commentatori, tuttavia, sembrano
concordare in merito al fatto che l’ambito di applicazione della norma possa essere
esteso a tutte quelle immobilizzazioni immateriali non aventi una predeterminata vita
giuridica – intesa come termine per l’esercizio del diritto allo sfruttamento esclusivo.
Precisato il campo di applicazione, bisogna altresì notare come alcuni passaggi della
norma riguardino specificamente i criteri di valutazione: in particolare, si fa riferimento
al valore di mercato103, alla prevedibile vita utile, alla loro utilità futura. In tal senso,
pertanto, il punto 3 bis sembra quasi sancire che la procedura di svalutazione non possa
prescindere dalla considerazione di tali elementi, come peraltro stabilito dal principio
contabile n. 24 stesso104. L’informativa integrativa da fornire sulle svalutazioni di tali
elementi, inoltre, è stata ampliata per mezzo del suddetto dettato legislativo: misura,
motivazioni, esplicito riferimento alla vita utile, al valore di mercato, al grado di
concorso alla produzione di risultati economici futuri, differenze rispetto a quelle
operate negli esercizi precedenti e impatto su risultati economici e su indicatori di
redditività se già comunicati. Tali informazioni integrative sono di indubbio interesse e
portano nella direzione della tanto richiesta trasparenza dell’informativa contabile in
merito alle attività immateriali: alcune sono, infatti, decisamente innovative come nel
caso del confronto con le svalutazioni operate “negli esercizi precedenti” e non solo in
quello immediatamente precedente, come finora richiesto dal codice, o nel caso
dell’informativa circa l’impatto sugli indicatori di redditività, se comunicati, in ossequio
alla sempre maggiore importanza da questi rivestiti nel processo di comunicazione della
redditività aziendale a soggetti esterni.
103 Sempre che questo sia determinabile, visto che in molti casi si tratta di elementi così specifici per lasingola azienda che non si potrà stabilire con adeguata precisione un opportuno valore di mercato.104 Alcuni commentatori, a riguardo, hanno sostenuto che si tratti di un primo tentativo di introdurre ilconcetto di fair value – ben noto in ambito IASB – all’interno dell’ordinamento contabile italiano.L’incertezza e la vaghezza con cui, però, questi argomenti sono trattati nel testo legislativo riportato,indeboliscono questa convinzione.
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2.1.2 - Le diverse tipologie di attività immateriali
Dopo aver introdotto i principali dettati legislativi in merito all’argomento
generale delle immobilizzazioni immateriali, passiamo ora ad analizzare singolarmente
ogni voce della suddetta categoria.
2.1.2.1 - Costi di impianto e di ampliamento
Il documento n. 24 chiarisce subito che l’interpretazione fornita sul contenuto di
questa classe di elementi, previsti al punto B.I.1 dello schema di stato patrimoniale
civilistico, ha carattere estremamente restrittivo, per la necessaria prudenza da tenere in
considerazione nella valutazione di risorse gravate da margini di incertezza tanto
consistenti. Il documento ritiene inseribili in tale classe costi che non siano ricorrenti
ma riguardino ben precisi momenti della gestione aziendale. In tal senso, rientrano in
tale nozione:
I costi pre-operativi sia di tipo legale (costi per l’atto costitutivo, tasse, ecc…)
che di tipo più prettamente operativo (costi per iniziali ricerche di mercato,
addestramento iniziale del personale, ecc…);
I costi relativi ad ampliamenti successivi (ad esempio costi per aumenti del
capitale sociale, per ammissione alla quotazione di borsa, ecc…)
In ogni caso, ricordando le regole generali proposte in precedenza, la
capitalizzazione di tali costi è condizionata dalla continua verifica della loro utilità
futura, con particolare riferimento alla correlazione con i ricavi, e nel limite massimo
dato dal valore recuperabile105.
105 In particolare, per accertare la recuperabilità di tale valore, il documento n. 24 richiede di valutare sein presenza di costi di impianto e di ampliamento gli esercizi futuri prevedano utili in grado di coprire lequote di ammortamento relative a tali cespiti, oppure se sono previste perdite significative destinate aprotrarsi per lunghi periodi. Nel primo caso la condizione della ricuperabilità è rispettata ed i costi diimpianto potranno essere mantenuti tra le attività. Nel secondo caso, invece, l’inesistenza delle condizionidi ricuperabilità richiederà una loro svalutazione.
73
2.1.2.2 - Costi di ricerca e sviluppo
Il documento n. 24 specifica che i costi capitalizzabili all’interno della voce
oggetto di analisi sono riconducibili a quelli relativi alla ricerca applicata e allo
sviluppo, ritenendo pertanto che i costi connessi alla ricerca di base debbano essere
spesati al conto economico dell’esercizio di sostenimento, in quanto sostenuti in modo
ricorrente106. Di conseguenza, la distinzione tra ricerca di base, da una parte, e ricerca
applicata e sviluppo, dall’altra, assume una notevole rilevanza.
La ricerca di base è definita dal documento n. 24 come “l’insieme delle indagini
non precisamente finalizzate verso determinati risultati”, mentre la ricerca applicata si
caratterizza, invece, per l’esistenza di uno specifico progetto verso il quale sono diretti
gli sforzi dell’azienda.
Col termine sviluppo, invece si definisce “l’applicazione dei risultati delle
ricerche precedenti o di altre conoscenze, per pianificare o progettare la produzione di
nuovi materiali, strumenti, prodotti, processi, sistemi o servizi, fino al momento nel
quale sia iniziata la produzione destinata alla vendita o l’utilizzo interno del
risultato”107.
La ratio del principio contabile in questione e delle definizioni proposte è
riconducibile al fatto che nella fase di ricerca di base non sono dimostrabili i probabili
benefici futuri (intesi nel senso di maggiori ricavi o di minori costi) derivanti dallo
sfruttamento di nuove conoscenze. I costi relativi alla fase di ricerca applicata e
sviluppo, al contrario, possono essere capitalizzati al verificarsi di certe condizioni
perché la nascita di simili attività di sviluppo implica che l’azienda abbia la volontà
precisa di realizzare un quid novi da cui deriveranno ricavi futuri108.
106 Tradizionalmente, infatti, la questione più rilevante in merito alla voce B.I.2 è sempre consistita nellostabilire entro quali limiti i costi di ricerca e sviluppo possano essere capitalizzati, atteso che il codicecivile non fornisce indicazioni precise se non la generica indicazione della voce, appunto, in cui possonoessere inseriti.107 Nonostante le definizioni possano sembrare esaustive, si verificano molto spesso nella realtà operativadifficoltà nel distinguere le due fasi più sopra identificate. A riguardo, generalmente, si parladell’esistenza di un progetto come momento discriminante tra ricerca di base e ricerca applicata, senzaperaltro precisarne con maggiore dettagli gli aspetti formali (ricevimento delle autorizzazioni a procedereda parte degli amministratori, redazione di un piano economico specifico, ecc…).108 In questo senso, a livello pratico, è fondamentale che l’azienda possa definire una sorta di“probabilità” di ottenere futuri ricavi a differenza della fase di ricerca di base, in cui questa stima non èpossibile. Tale “probabilità” deve essere sufficientemente alta da giustificare la concreta attesa di beneficieconomici futuri.
74
La capitalizzazione dei costi di ricerca applicata e sviluppo richiede comunque il
congiunto verificarsi delle seguenti condizioni, non bastando la mera rispondenza alla
definizione riportata più sopra:
1. chiara definizione del progetto, identificabilità e misurabilità dei costi necessari
per la ricerca applicata e lo sviluppo del prodotto/processo
2. realizzabilità del progetto e possesso di adeguate risorse (tecniche, finanziarie ed
informative)109
3. recuperabilità dei costi tramite i ricavi futuri derivanti dal progetto.
La determinazione dei consumi da includere nei costi di ricerca applicata e sviluppo
comprende tutti gli oneri sostenuti a partire dal momento nel quale sono riscontrabili i
requisiti di identificabilità, controllo, misurabilità ed utilità precedentemente analizzati.
Potranno essere inclusi tanto i costi diretti (personale, ammortamenti, materie, servizi,
purché specificamente impegnati in tali attività) sia i costi indiretti allocati tramite
congrue basi costanti nel tempo (ad esclusione dei costi generali ed amministrativi)110.
L’ammortamento dei costi di ricerca e sviluppo capitalizzati deve iniziare dal
momento in cui la risorsa sarà utilizzabile: esso verrà poi condotto secondo un piano
sistematico, normalmente per quote costanti o, più prudenzialmente, per quote
decrescenti. Il limite convenzionale dei cinque anni imposto dal codice civile risulta
giustificato solo in base al generale criterio della prudenza nella redazione delle sintesi
di bilancio, giustamente in funzione della estrema incertezza in merito alla
determinazione dei costi relativi a simili progetti.
109 Il documento n. 24 riconosce l’estrema difficoltà nella stima del suddetto requisito della realizzabilità,dipendendo esso non solo da circostanze interne ma anche – e in molti casi, soprattutto – da fattori esterni(comportamenti concorrenziali, affermazioni di standards tecnologici, mutato contesto settoriale, ecc…).Di conseguenza è possibile sia ritenere non più fattibile un progetto inizialmente ritenuto realizzabile, siastimare possibile un progetto prima ipotizzato irrealizzabile. Nel primo caso, i costi eventualmentecapitalizzati all’inizio dovranno essere spesati nell’esercizio in cui sarà evidente la non realizzabilitàtecnico/economica del progetto. Nel secondo caso, si potranno capitalizzare costi a partire dal momentonel quale il progetto si è dimostrato fattibile; quelli in precedenza sostenuti e ormai spesati negli eserciziprecedenti non potranno, chiaramente, essere retroattivamente capitalizzati.110 Non vi è generale accordo in merito alla capitalizzazione dei costi per interessi passivi perfinanziamenti specificamente ottenuti a fronte dell’impegno nella ricerca, a causa del difficilecollegamento possibile tra singole fonti di finanziamento e specifici investimenti.
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2.1.2.3 - Costi di pubblicità
Il documento n. 24 ritiene possibile la capitalizzazione dei costi di pubblicità
solo quando siano sostenuti per consentire il successo di una iniziativa (lancio di un
nuovo prodotto, sviluppo di nuova attività o addirittura avvio iniziale dell’intera
azienda), assimilandoli pertanto ai costi di impianto e di ampliamento anche in merito
agli altri presupposti richiesti per la capitalizzazione e alle regole per l’ammortamento
successivo indipendentemente dal fatto che la collocazione dei costi di pubblicità nello
schema di stato patrimoniale sia separata dai costi di impianto e di ampliamento in
senso stretto. Per l’iscrizione nell’attivo dei costi di pubblicità, inoltre, si deve verificare
il carattere della non ricorrenza: non si possono, quindi,capitalizzare costi per
pubblicità di sostegno111.
Nei casi in cui i costi sostenuti siano ritenuti capitalizzabili, il metodo di
ammortamento dovrà necessariamente tenere conto della maggiore rapidità con la quale
l’utilità derivante dai costi sostenuti si trasferirà ai ricavi di vendita: in concreto, si
verifica nella maggior parte dei casi una cessione di utilità concentrata nei primi esercizi
successivi al sostenimento, suggerendo, quindi, un metodo di ammortamento a quote
decrescenti, invece che il normale metodo a quote costanti, maggiormente aderente alla
reale perdita di utilità economica dell’attività immateriale oggetto di analisi.
2.1.2.4 - Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno
Il documento n. 24 precisa che l’iscrivibilità nell’attivo di tali beni è subordinata
alla sussistenza dei requisiti generali già ricordati in precedenza, quali la titolarità di un
diritto esclusivo di sfruttamento, la recuperabilità dei costi di iscrizione tramite benefici
economici futuri (maggiori ricavi e/o minori costi), misurabilità del costo sostenuto. I
benefici economici dovranno essere dimostrati per mezzo dei piani relativi al concreto
impiego in azienda del bene oggetto di contabilizzazione: piani che dovranno essere
111 Con la medesima logica, i costi per materiale promozionale andranno generalmente spesatinell’esercizio di sostenimento (depliant, campioni distribuiti alla clientela). Solo nel caso in cui ilmateriale abbia effettivamente un’utilità pluriennale (come ad esempio nel caso di un catalogo generale,sarà giustificata una capitalizzazione dei costi sostenuti.
76
tecnicamente ed economicamente plausibili e fattibili ed i cui effetti siano inclusi nei
budget aziendali.
Per quanto riguarda la stima del costo iniziale, nel caso di acquisto del brevetto
da fornitore esterno, oltre al costo diretto di acquisto dovranno essere inclusi gli oneri
accessori, comprendenti i costi di progettazione e per gli studi di fattibilità ed
applicabilità relativi all’effettivo impiego del brevetto in azienda. Qualora i brevetto non
sia acquistato a titolo di proprietà ma sia utilizzato tramite l’ottenimento di licenza,
nell’attivo dello stato patrimoniale – sotto la voce brevetti e non come licenza – andrà
inserito il costo della licenza solo se questa ha dato origine ad un costo una tantum; se
invece il corrispettivo per la licenza consiste in somme dovute ogni esercizio – o
comunque con cadenza periodica – non sarà possibile alcuna capitalizzazione, dovendo
spesare i vari compensi a conto economico. In caso di acquisto a titolo originario,
quindi nel caso in cui il brevetto sia sviluppato internamente, si applicheranno le regole
del calcolo del costo di produzione già esaminate in precedenza con riferimento ai costi
di ricerca e sviluppo112.
La vita massima del brevetto si fonda sulla durata riconosciuta dalla legge;
ovviamente, questa rappresenta un limite massimo alla durata della rappresentazione del
brevetto stesso a bilancio, nulla vietando che – a seconda delle concrete circostanze
applicative – la vita utile del bene possa essere ridotta se il prospettato periodo di utilità
futura dovesse estendersi lungo un intervallo temporale più breve. Anche in questo
caso, come nei precedenti, il metodo a quote costanti – sebbene maggiormente diffuso –
può essere correttamente sostituito da altri metodi, come quello a quote decrescenti o a
quote variabili in funzione dei volumi di produzione, nel caso in cui queste modalità
riflettano in maniera più precisa la graduale ed effettiva riduzione dell’utilità
dell’intangible.
Oltre alle procedure di ammortamento, in ogni esercizio si dovrà valutare, come
evidenziato nei paragrafi precedenti, l’attuale sussistenza delle condizioni che
consentirono l’iscrizione iniziale del bene nell’attivo di stato patrimoniale, potendosi
essere verificata una modifica, in tutto o in parte, delle stesse. Qualora si riscontrasse il
verificarsi di questa eventualità, conformemente alle regole generali, l’azienda dovrà
operare una svalutazione.
77
Considerazioni sostanzialmente simili varranno per i diritti d’autore, quale
esempio di diritto di utilizzazione delle opere di ingegno. A riguardo, il documento n.
24 formula una particolare avvertenza in merito all’estrema aleatorietà connessa all’uso
di tali diritti, consigliando un periodo di ammortamento ragionevolmente breve.
2.1.2.5 - Concessioni
Come chiarito dal documento n.24, le concessioni iscrivibili nella voce B.I.4 sono
quelle riguardanti:
concessioni da parte della pubblica amministrazione di diritti su beni di proprietà
degli enti concedenti (come il diritto di sfruttamento esclusivo di parti del suolo
demaniale);
concessioni da parte della pubblica amministrazione di esercizio di attività
proprie degli enti concedenti (gestione di parcheggi, ecc…)
Lo stato patrimoniale, quindi, sarà interessato qualora l’acquisizione di tali diritti
abbia comportato il sostenimento di costi una tantum, dovuti alla pubblica
amministrazione concedente o ad altro soggetto che ha inteso trasferire a titolo oneroso
la concessione di cui poteva disporre. L’ammortamento deve avvenire in relazione alla
durata della concessione stessa, anche se niente è stabilito riguardo al metodo di
ammortamento (quote decrescenti, costanti o variabili) a differenza di quanto precisato
per le altre voci.
2.1.2.6 - Licenze
Il documento n. 24 ricorda che le licenze possono derivare da provvedimenti
della pubblica amministrazione o da accordi con soggetti privati (licenze su diritti di
brevetto, su modelli, ecc…). In questi ultimi casi il documento ritiene che l’opinione
prevalente vada nella direzione dell’inclusione dell’eventuale immobilizzazione nella
classe che accoglie il diritto principale – e quindi le licenze di brevetti andranno incluse
112 Si riproporranno, in tal caso, le medesimo considerazioni avanzate in merito al trattamento previsto
78
nella classe relativa ai brevetti – della quale accoglierà anche le regole contabili sopra
descritte. Al contrario, se si vuole accogliere la nozione restrittiva secondo la quale tra i
brevetti, ad esempio, non potranno essere iscritte anche le licenze d’uso per brevetti di
proprietà di terzi soggetti, il costo per le licenze dovrà essere iscritto nella voce B.I.4
dell’attivo patrimoniale, alla voce “concessioni, licenze, marchi e diritti simili”: al di là
della collocazione in bilancio, varranno per tali licenze le stesse regole di valutazione
esaminate in merito ai brevetti.
Le regole per l’iscrivibilità dei costi nell’attivo patrimoniale e per il relativo
ammortamento testé descritte relativamente alle concessioni sono riproponibili anche ai
costi per licenze.
2.1.2.7 - Marchi
Il documento n. 24 consente la capitalizzazione dei marchi sviluppati
internamente – con relativa iscrizione nella suddetta voce B.I.4 dell’attivo patrimoniale
– oltre che di quelli acquisiti da soggetti terzi, mentre non viene ritenuto iscrivibile il
marchio ricevuto a titolo gratuito113. Nel caso di produzione interna, il documento
richiama l’attenzione sulla necessaria distinzione tra i costi sostenuti in via specifica per
lo sviluppo del marchio – debbono trattarsi in ogni caso di costi diretti – e quelli relativi
ad eventuali progetti di ricerca, all’avviamento della produzione o a campagne
promozionali, riproponendo a riguardo i commenti esposti in precedenza in merito alla
loro individuazione e contabilizzazione. Se il marchio, inoltre, provenisse all’azienda a
seguito di acquisto di complesso aziendale (intera azienda o anche solo di ramo di
questa), esso deve essere comunque separatamente valutato ed iscritto in bilancio in
base al suo valore corrente.
Il documento n. 24 non fornisce regole tassative sull’ammortamento, salvo
precisare che il periodo di vita utile è normalmente collegato al periodo di produzione e
conseguente commercializzazione in esclusiva dei prodotti a cui il marchio si riferisce
per i costi indiretti e gli oneri finanziari.113 Come evidenziato in precedenza, la norma in questione deriva dall’assenza di un’adeguata base dicosto a partire dalla quale valorizzare il marchio ricevuto a titolo gratuito: in questo caso si tratta diun’ipotesi più che altro teorica.
79
(ammettendo implicitamente, varie durate). Se tale vita utile non è prevedibile, il
documento stabilisce un limite massimo di venti anni.
2.1.2.8 - Know-how
Se l’azienda acquisisce da soggetti terzi segreti industriali relativi a tecnologie
non brevettate114, il costo sostenuto potrà essere capitalizzato ed iscritto nell’attivo
patrimoniale alla voce B.I.4. L’iscrizione nell’attivo sarà ovviamente subordinata al
riscontro dei requisiti generali di capitalizzazione sopra esaminati (utilità futura,
misurabilità del costo). Il documento n. 24 precisa che sono da iscriversi in questa voce
anche i costi per know-how sviluppato internamente, se tutelati giuridicamente; si tratta
quindi di un vero e proprio intangible, a differenza dei costi di ricerca e sviluppo che,
come sopra esaminato, appartengono alla categoria degli oneri pluriennali.
2.1.2.9 - Avviamento
Il documento n.24 attribuisce rilevanza contabile solo all’avviamento “derivato”,
ossia derivante da acquisto di un’azienda, di un ramo d’azienda o di una partecipazione,
non offrendo alcuna possibilità di contabilizzazione all’avviamento internamente
originato o “originario”, determinato dalla sinergia della combinazione produttiva in
essere. L’avviamento “derivato” – d’ora innanzi, più semplicemente chiamato
solamente “avviamento” – si caratterizza per essere costituito da costi a utilità differita
nel tempo, e per il fatto di essere incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisizione
dell’azienda (o di parte di essa), non risultando scindibile dal complesso aziendale
acquisito.
Il primo accertamento da compiere per valutare la possibile iscrizione
dell’avviamento nell’attivo patrimoniale, consiste nel valutare se la differenza115 tra
costo sostenuto e valore corrente dei beni e degli altri elementi patrimoniali acquisiti sia
114 Nel caso in cui si avesse a che fare con tecnologie brevettate, il bene acquisito rientrerebbe nella voceB.I.3, valendo per esso tutto quanto affermato in merito ai brevetti, alla loro contabilizzazione e al loroammortamento.115 Tecnicamente, il metodo per determinare la differenza tra costo sostenuto e valore del patrimonionetto dell’azienda (o ramo di essa) acquisita (a seguito di acquisto, conferimento o fusione) espresso a
80
dovuta ad un beneficio economico futuro116. Se tale differenza risulta giustificata da
favorevoli prospettive reddituali dell’azienda acquisita e si prevede che verrà recuperata
con il flusso dei redditi futuri, essa andrà capitalizzata con iscrizione al punto B.I.5
dell’attivo patrimoniale117.
Una volta capitalizzato, l’avviamento dovrà essere ammortizzato in un periodo
non superiore ai cinque anni. Una maggior durata (permessa anche dal codice civile) è
consentita nel caso in cui la specifica situazione faccia presumere sostanzialmente il
mantenimento di un’utilità per lunghi periodi di tempo (sotto forma di duraturo
vantaggio competitivo da esso derivante, particolare stabilità in senso positivo delle
condizioni di mercato, ecc…). Tali ragioni andranno opportunamente esposte e motivate
in nota integrativa.
In ogni caso, l’avviamento deve essere rivisto al termine di ogni esercizio al fine
di valutare la sussistenza di possibili cause di svalutazione, che si tradurrebbero –
qualora ne fossero accertate alcune – in un addebito al conto economico della
svalutazione in questione. In tempi recenti, a riguardo, sulla scia dei principi contabili
internazionali e dell’evoluzione di quelli nazionali, è sorta una corrente di pensiero
secondo la quale l’avviamento dovrebbe non più essere obbligatoriamente
ammortizzato, ma soltanto sottoposto alla procedura nota come impairment test per
confrontare il valore iscritto a bilancio con il suo fair value e, se del caso, svalutarlo.
D’altra parte, il non evidente ed esplicito riferimento a queste procedure da parte del
principio contabile italiano in analisi, fa ritenere inopportuna l’osservazione precedente,
nonostante all’interno dei principi contabili internazionali la tendenza a spostarsi dal
criterio del costo verso il criterio del fair value abbia assunto ormai una posizione di
primaria importanza.
2.1.2.10 - Altre immobilizzazioni immateriali
valori correnti è commentato nei documenti n.21 e n.17 del CNDC-CNR riguardanti rispettivamente lavalutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto e il bilancio consolidato.116 In ossequio al principio della utilità futura (maggiori ricavi/minori costi) quale condizione perl’iscrivibilità di un bene immateriale a bilancio. Incideranno, a riguardo, le prospettive reddituali ecompetitive caratterizzanti l’azienda acquisita e le possibili sinergie derivanti dalla combinazione delleattività produttiva dei due soggetti aziendali.
81
Il documento n. 24 ribadisce, in primis, che per gli elementi includibili in questa
voce residuale prevista dallo schema di stato patrimoniale civilistico devono valere i
requisiti generali previsti per la classe delle immobilizzazioni immateriali , descritti più
sopra. Tra le tipologie di costi iscrivibili in tale voce, ed esemplificate all’interno del
documento stesso, spiccano:
Costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi: Tali costi sono iscrivibili tra
le “altre immobilizzazioni immateriali” solo se non si riferiscono a beni già presenti tra
le immobilizzazioni dell’azienda, nel qual caso andrebbero ad incrementare il costo
delle stesse. Conseguentemente, tali costi si riferiscono, ad esempio, a migliorie su beni
in locazione, usufrutto o godimento. In questo caso, la vita utile ai fini della procedura
di ammortamento sarà pari al minore tra il periodo residuo di utilizzazione delle
migliorie stesse e la durata residua della locazione, “tenuto conto dell’eventuale periodo
di rinnovo se dipendente dal conduttore”118.
Costi di software: Dopo aver precisato che il costo del software di sistema operativo
risulta sostanzialmente e contabilmente inscindibile dal costo della macchina nel suo
complesso119, il documento n.24 si sofferma ad analizzare la casistica relativa al
software applicativo:
1. Se detto software è stato acquisito a titolo di proprietà o a titolo di licenza dalla
durata indeterminata o se è stato sviluppato internamente e risulta tutelato
giuridicamente come oggetti di diritto d’autore, il costo relativo deve essere
iscritto nella voce B.I.3 “Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione
delle opere d’ingegno”.
2. Se il software è stato acquisito con un licenza a tempo determinato ed il
pagamento del canone è una tantum, la voce interessata sarà la B.I.4
“Concessioni, licenze, marchi e diritti simili”, specificando che l’ammortamento
117 Nel caso in cui, al contrario, la differenza fosse dovuta ad altre circostanze, quali il fatto che si siaconcluso un cattivo affare o l’influenza di motivazioni personali, non vi sarà nessuna capitalizzazione,quanto piuttosto invece un addebitamento al conto economico del periodo.118 Cfr. documento n.16 del CNDC-CNR, “Le immobilizzazioni materiali”.119 Il software operativo, infatti, risulta necessario al funzionamento stesso della macchina, non potendoquesta operare correttamente senza il supporto del primo. Proprio per questo collegamento non si ritienepossibile scindere i due beni a livello contabile.
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di tale somma dovrà avvenire a quote costanti sulla base della durata della
licenza d’uso.
3. Se il software deriva, invece, da uno sviluppo interno e non è tutelabile come
oggetto di diritti d’autore, i costi diretti sostenuti (stipendi ai programmatori ed
eventuali spese “esterne” dirette) sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce
B.I.7 “altre immobilizzazioni immateriali”, qualora il risultato ottenuto, come
affermato in precedenza, possa godere di utilità pluriennale. La capitalizzazione
riguarderà i costi sostenuti dopo che l’azienda “sia ragionevolmente certa del
completamento e dell’idoneità all’uso atteso del nuovo software”120.
Nei casi 1. e 3. l’ammortamento dovrà essere effettuato a quote costanti sulla base della
durata della vita utile, se determinabile. In caso contrario, il documento n.24 prevede un
tempo massimo di tre anni, limitato rispetto ai consueti cinque anni a causa della rapida
obsolescenza tecnologica che caratterizza il settore informatico. Nel secondo caso, il
periodo di ammortamento è delimitato dalla durata della licenza121.
2.1.2.11 - Immobilizzazioni in corso e acconti
Le immobilizzazioni in corso di realizzazione si riferiscono generalmente agli
elementi immateriali – beni o semplici oneri pluriennali – sviluppati internamente (costi
di ricerca e sviluppo, know-how, software, ecc…), prima che sia stato ultimato il loro
completamento. Per questo stesso motivo, non può esservi ammortamento sulle
immobilizzazioni in corso, ma solo un graduale processo di accumulo di costi e
successiva capitalizzazione122.
Per quanto riguarda gli acconti, si tratta di anticipi corrisposti a fornitori di
immobilizzazioni immateriali, classificati in tale voce per un mero criterio di
destinazione economica degli stessi123. Per la loro stessa natura, questi conti non
possono che riguardare elementi immateriali acquisiti da fornitori esterni.
120 Cfr. documento n.24 CNDC-CNR, “Le immobilizzazioni immateriali”.121 Non vengono generalmente considerati capitalizzabili i costi per consulenze informatiche e permanutenzione dei sistemi esistenti.122 A livello contabile, infatti, una volta ultimata la fase di sviluppo, non appena l’elemento è disponibileper l’uso, contabilmente avremo la chiusura del conto destinato all’immobilizzazione in corso e l’aperturadel conto destinato all’elemento che da tale processo di sviluppo è stato originato.123 Contabilmente, tali costi rimarranno accesi finché la fornitura non sarà stata completata conconseguente ricezione e registrazione della relativa fattura definitiva.
83
2.1.3 - Contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione
Per quanto riguarda le informazioni presentate in nota integrativa in merito alle
attività immateriali, il Codice civile prescrive di indicare:
i criteri applicati nella valutazione (art. 2427, comma 1, n.1)
i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ogni voce il costo, le
precedenti rivalutazioni, svalutazioni, ammortamenti, le acquisizioni, le cessioni,
gli spostamenti da altra voce compiuti nell’esercizio e il totale delle rivalutazioni
riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura del bilancio (art. 2427,
comma 1, n.2)
Altre prescrizioni sono poi riportate dal Codice a livello di singola voce, come nel
caso dell’art. 2427, n.3, che richiede di indicare in nota la composizione, le ragioni della
iscrizione ed i criteri di ammortamento dei costi di ricerca e sviluppo, di pubblicità, di
impianto ed ampliamento, o nel caso dell’art. 2426, n.6, relativamente alla indicazione
di una vita utile per l’avviamento superiore ai cinque esercizi.
Il documento n. 24 del CNDC e del CNR, inoltre, rispetto a quanto previsto dalla
normativa civilistica, sancisce l’obbligo di inserire in nota integrativa:
il criterio seguito per l’eventuale rivalutazione del bene immateriale, la legge che
l’ha determinata, l’importo della rivalutazione, al lordo e al netto degli
ammortamenti e l’effetto sul patrimonio netto;
le ragioni e l’ammontare della svalutazione apportata per perdite durevoli di
valore;
Ben diverso è il contenuto della relazione sulla gestione richiesto dal documento
n.24 relativamente alle attività di ricerca e sviluppo. L’art. 2428 c.c. genericamente
prevede che gli amministratori illustrino le attività di ricerca e sviluppo; proprio per
ovviare a questa vaghezza, la Commissione del CNDC e del CNR, al fine di meglio
84
integrare ed interpretare la norma civilistica, ha precisato in aggiunta che nella relazione
sulla gestione debbano figurare:
il totale dei costi sostenuti per lo svolgimento delle attività di ricerca, anche se
non capitalizzati;
il totale dei costi capitalizzati con l’espressa indicazione delle ragioni che hanno
condotto ad una sospensione al futuro dei costi dei ricerca;
il totale dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti a tasso agevolato
incassati (o che si prevede ragionevolmente di incassare) a fronte dell’impegno
nella ricerca;
la descrizione del ruolo delle attività di ricerca all’interno della più ampia
condotta strategica aziendale, sia in termini di immagine che di riflesso sulla
gestione corrente;
L’importanza di queste disposizioni integrative è giustificata dal fatto che la
domanda di informazioni da parte dei lettori esterni di bilancio in merito alle attività di
ricerca, trova soddisfacimento soprattutto in questi due documenti. Ponendo l’accento
sul contenuto informativo della relazione sulla gestione e delle nota integrativa, si evita
di legare la fornitura di informazioni alla questione della capitalizzazione che, come
osservato, non potrà comunque essere rigidamente vincolante. In secondo luogo, spetta
proprio alla relazione sulla gestione la funzione di informare anche in termini più ampi
del linguaggio strettamente monetario dei bilanci i soggetti terzi che sui bilanci fanno
affidamento al fine di trarre apprezzamenti in merito alla effettiva situazione aziendale.
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2.2 – INTRODUZIONE AGLI INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS(IAS)
Prima di introdurre l’analisi particolareggiata del principio contabile IAS n.38 in
merito alla contabilizzazione delle attività immateriali, risulta preliminarmente
necessario proporre una breve introduzione in merito alla rilevanza degli IAS stessi e al
loro processo evolutivo. Si pensi, solo per avere un generale inquadramento della
rilevanza che andranno ad assumere tali principi che, a partire dagli esercizi aventi
inizio l’1.1.2005 (ovvero in data successiva), tutte le società quotate su un mercato
regolamentato UE, soggette al diritto di uno Stato dell’Unione Europea, dovranno
redigere i propri bilanci consolidati in conformità ai principi contabili internazionali.
Analoga facoltà potrà essere prevista per i bilanci annuali delle società quotate ovvero
per i bilanci annuali e/o consolidati delle società non quotate. Con il presente paragrafo
intendiamo delineare in maniera più precisa le caratteristiche del processo di adozione
degli IAS stessi ed il loro campo applicativo.
2.2.1 - La storia
Con il Regolamento 19.7.2002 n. 1606, il Parlamento Europeo ed il Consiglio
dell’Unione Europea hanno stabilito che, a partire dal 2005, tutte le società dell’Unione
Europea quotate su un mercato regolamentato dovranno presentare il bilancio
consolidato conformemente ai principi contabili internazionali. Si è previsto, in tale
sede, inoltre, che tale obbligo possa essere esteso anche a tutte le società che preparano
un prospetto di offerta pubblica conformemente alla direttiva sul prospetto di
ammissione alla quotazione
Con il termine “principi contabili internazionali”, l’Unione Europea ha inteso
identificare gli International Accounting Standards (IAS), gli International Financial
Reporting Standards (IFRS – in tal modo saranno denominati in futuro i nuovi principi
contabili internazionali) e le relative interpretazioni (interpretazioni SIC/IFRIC) nonché
i principi e le relative interpretazioni che saranno emessi o adottati in futuro
dall’International Accounting Standards Board (IASB).
86
La scelta dell’Unione Europea non giunge inattesa: si inserisce nella precisa
strategia dell’Unione, volta a migliorare l’efficienza dei mercati finanziari europei. Il
Consiglio dell’Unione, tenutosi a Lisbona nel marzo 2000, pose infatti l’esigenza di
accelerare il completamento del mercato dei servizi finanziari, stabilendo nel contempo
la scadenza del 2005 per la messa in atto del piano d’azione per i servizi finanziari
predisposto dalla Commissione Europea, invitando a prendere le opportune misure per
migliorare la comparabilità dell’informativa finanziaria pubblicata dalle società i cui
titoli sono negoziati in mercati regolamentati. Conseguentemente, la Commissione
pubblicò nel giugno 2000 il documento “La strategia dell’UE in materia di informativa
finanziaria: la via da seguire” nel quale propose che tutte le società comunitarie con
titoli negoziati in mercati regolamentati fossero obbligate a preparare i loro conti
consolidati in maniera conforme ad un insieme unico di principi contabili, gli IAS,
appunto, al più tardi nel 2005.
Questa proposta nacque dalla constatazione che elemento fondamentale per la
competitività dei mercati comunitari dei capitali fosse la convergenza dei principi
seguiti in Europa per redigere i bilanci, introducendo l’uso di principi contabili che
fossero riconosciuti su scala europea – ed in prospettiva, mondiale – al fine di realizzare
operazioni transfrontaliere e/o di ottenere l’ammissione alla quotazione in maniera
agevole ovunque nel mondo. I già esistenti obblighi in materia informativa stabiliti dalle
vigenti direttive contabili europee (IV e VII direttiva) non furono infatti ritenuti
sufficienti a garantire l’elevato livello di trasparenza e comparabilità dell’informativa
finanziaria: condizione necessaria per creare un mercato dei capitali integrato ed
operante in maniera efficiente124.
Per concludere e riassumere questa sommaria descrizione storica dello sviluppo
dei principi contabili internazionali, introduciamo lo schema seguente:
124 Un primo passo normativo verso i principi contabili internazionali è stato comunque fatto dalla UEcon la direttiva 65/2001, con la quale è stata introdotta nelle direttive contabili europee la possibilità divalutare gli strumenti finanziari secondo il criterio del “fair value”, come definito dallo IAS 39. Ladirettiva 65/2001 non è ancora stata recepita nell’ordinamento italiano: la sua situazione, peraltro, nonmodificherebbe il contesto di riferimento, che prevede appunto la più generalizzata adozione degliIAS/IFRS a partire dal 2005.
87
Figura 6 - I passi di avvicinamento della UE agli IAS/IFRS
2.2.2 - L’International Accounting Standards Board (IASB) e la sua struttura
I principi contabili internazionali sono approvati dallo IASB, con sede a Londra,
i cui membri sono nominati dalla IASC Foundation. Attualmente, sono stati emessi 41
principi contabili (dei quali ne rimangono in vigore 34) e 33 SIC125, interpretazioni del
contenuto dei principi contabili stessi. Lo IASB ha iniziato ad operare a partire dal
2001, in sostituzione del precedente International Accounting Standards Comittee
(IASC), da quale ha, di fatto, ereditato le funzioni.
Il nuovo IASB ha anche deciso che i futuri principi contabili internazionali
saranno denominati IFRS e non più IAS126. Lo IASB è un’organizzazione privata,
sostenuta dai contributi delle principali società industriali, finanziarie, banche centrali,
società di revisione ed organizzazioni professionali; la struttura del Board è la seguente:
125 Acronimo di Standing Interpretations Comittee126 La denominazione IAS è mantenuta per i principi contabili internazionali già emanati, qualora nonassoggettati a successive revisioni.
23 marzo2000
13 giugno2000
19 luglio2002
entro il 2003 1 gennaio2005
Il ConsiglioEuropeo siriunisce aLisbona
Esprimel’esigenza diaccelerare il
completamento del mercato
interno deiservizi
finanziari estabilisce lascadenza del
2005 perl’adozione diun sistema
unico di
LaCommission
e dellaComunitàEuropea
pubblica ildocumento
“La strategiadella UE inmateria di
informativafinanziaria, la
via daseguire”
Il Parlamentoe il Consigliodell’Unione
Europeaemanano il
regolamentorelativo
all’applicazione dei principi
contabiliinternazionali
(RegolamentoCE n.
16/06/2002)
LaCommissione
decide inmerito
all’applicazione nell’unione
dei principicontabili
internazionaliesistenti alla
data del 19luglio 2002
(meccanismo di“endorsement”)
I bilanciconsolidati
delle societàeuropeequotate
sono redattisecondo iprincipiemanati
dallo IASB
E’ necessarioper le società
europeequotate già a
partire dal2004 redigere
i bilanci inossequio ai
suddettiprincipi,al
fine diff
88
Figura 7 - La struttura dell'International Accounting Standards Board (IASB)
La IASC Foundation ha i compiti di nominare i membri del Board, monitorare
l’attività svolta dal Board stesso e raccogliere i fondi per l’operatività dei diversi
organismi partecipanti all’elaborazione e sviluppo dei principi contabili internazionali. I
membri della IASC Foundation rappresentano in maniera omogenea le diverse
professionalità e provenienze geografiche interessate allo sviluppo dei principi contabili
internazionali. Nello schema seguente verrà evidenziata in breve la sua composizione:
Figura 8 - I 19 membri della IASC Foundation; ripartizione per aree geografiche e competenze
IASC Foundation19 membri
Standards AdvisoryCouncil (SAC)
49 membri
Board12 membri atempo pienoe 2 membri a
AdvisoryGroups
per i principalitti
International FinancialReporting Interpretations
Committee (IFRIC)12 b i
Definisce la“technical agenda”
Approva glistandards, gli
exposure draft e id ti
Nomina Supporta Riferisce a
6 membri
nominati dalNord America
6 membri
nominatidall’Europa
4 membri
nominatidall’Asia –
Oceano
3 membri
nominati dallealtre aree
11 membri
scelti in base alriconosciuto standing
professionale in materia
5 membri
rappresentantila professione
contabile
3 membri
rappresentanti ilmondo accademico e
delle imprese
89
Il Board è invece l’organismo che istituzionalmente ha il compito di definire ed
approvare i principi contabili internazionali; requisito per l’ammissione nel Board è la
riconosciuta competenza tecnica in materia contabile. La IASC Foundation, nel
nominare i membri del Board, valuta anche che non prevalgano all’interno dello stesso,
interessi di particolari aree geografiche o di specifici settori economici. Le decisioni del
Board in materia di principi contabili internazionali sono assunte con il voto favorevole
di almeno 8 membri su 14 e la composizione del Board stesso deve rispettare i seguenti
criteri:
Figura 9 - Composizione del Board
Nell’elaborazione della documentazione tecnica (nuovi principi contabili
internazionali o modifica di esistenti principi), il Board si avvale di uno staff tecnico,
costituito da professionisti con comprovata esperienza in materia contabile. I
componenti dello staff tecnico sono dipendenti a tempo pieno dello IASB, selezionati a
livello internazionale.
Lo Standards Advisory Council (SAC) è l’organismo tramite il quale altri
soggetti e/o organizzazioni, interessati allo sviluppo di principi contabili internazionali,
forniscono i loro suggerimenti al Board. Attualmente i membri del SAC sono circa 50,
nominati inizialmente dalla IASC Foundation. Tra gli obiettivi del SAC vi sono quelli di
fornire al Board suggerimenti sulle priorità da seguite nello sviluppo dei nuovi IFRS e
informare il Board stesso delle implicazioni su imprese ed utilizzatori di bilanci,
derivanti dall’adozione di nuovi IFRS.
L’International Finacial Reporting Interpretations Committee (IFRIC) ha
sostituito a partire dalla fine del 2001 il precedente Standards Interpretations
Committee (SIC). I membri dell’ IFRIC sono 12, nominati dalla IASC Foundation.
Compiti dell’IFRIC sono fornire interpretazioni circa l’applicazione degli IAS/IFRS e
almeno 5membri
con esperienza
Almeno 3membri
con esperienza
Almeno 3membri
con esperienza di
Almeno 1membro
di provenienza
90
dare tempestiva soluzione a problematiche contabili non specificamente affrontate dagli
IAS/IFRS (ovviamente nel rispetto del quadro concettuale definito dal Board),
preparare bozze di documenti interpretativi sui principi contabili internazionali e
renderli disponibili al pubblico, al fine di ottenere commenti e suggerimenti prima
dell’emanazione della versione definitiva, inviare al Board le interpretazioni definitive
ed ottenerne l’approvazione. Le interpretazioni emanate dall’IFRIC hanno la stessa
valenza dei principi contabili internazionali: un bilancio non è pertanto conforme a tali
principi se non rispetta anche quanto disposto da tutte le interpretazioni sinora emanate.
2.2.3 - Il processo di predisposizione di un principio contabile internazionale
I principi contabili internazionali sono predisposti mediante un articolato processo
di consultazione a livello internazionale, che coinvolge esperti di contabilità, analisti
finanziari, borse valori, autorità di regolamentazione e controllo dei mercati, organismi
di vigilanza e tutte quelle istituzioni concretamente interessate al processo di
armonizzazione e omogeneizzazione dei principi contabili in ambito europeo. I
principali passaggi di questo processo sono i seguenti:
1. lo staff tecnico individua ed esamina i temi connessi ad un argomento ritenuto
rilevante ai fini dell’emanazione di un principio e valuta l’applicabilità ad esso
dello IASB Framework
2. consultazione con il SAC circa l’opportunità di inserire l’argomento nell’agenda
del Board
3. pubblicazione e diffusione al pubblico di un Exposure Draft (ED), contenente la
bozza del nuovo principio contabile internazionale in corso d’esame
4. valutazione, da parte dello staff tecnico dei commenti ricevuti in merito all’ED
5. approvazione da parte del Board del nuovo principio contabile internazionale
Ad oggi sono stati emessi 41 principi contabili127 e 33 SIC (Standing Interpretations
Committee), ossia interpretazioni del contenuto dei principi contabili internazionali,
emanati dall’IFRIC o dall’organismo che lo ha preceduto (SIC). Lo IASB ha peraltro in
127 Considerando che taluni sono stati abrogati, ne rimangono attualmente in vigore 34
91
agenda una fitta attività128 di revisione di principi esistenti e di emanazione di nuovi
principi contabili internazionali129.
2.2.4 - La convergenza della UE agli IAS/IFRS
Per essere adottati nell’Unione Europea, i principi contabili internazionali
devono risultare conformi ai postulati fissati dalla IV e dalla VII direttiva CE e, in
particolare, a quello di più generale portata della “true and fair view”: al fine di valutare
la conformità degli IAS a tali postulati, il Regolamento 16/06/2002 ha previsto ed
avviato una particolare procedura di omologazione130.
Figura 10 - La procedura di omologazione dei principi contabili prima e dopo l'introduzione degliIAS/IFRS
128 L’attività del Board è pubblicata e chiunque può averne notizia. Sul sito del Board (www.iasb.org.uk)sono anche disponibili tutte le bozze dei nuovi principi contabili internazionali in corso di discussione (gliED).129 Tra i quali si segnala, per importanza, il nuovo testo del principio contabile sugli strumenti finanziari,che andrà ad aggiornare i vigenti IAS 39 e 32), il nuovo principio contabile sui contratti assicurativi equello sulle stock options, nonché la significativa revisione di alcuni principi già emessi, tra i quali lo IAS22, relativo alle aggregazioni di imprese.130 La scelta stessa da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio di emanare un Regolamento, inluogo delle usuali direttive, è già di per sé una indiscutibile affermazione della volontà del legislatoreeuropeo di imporre agli Stati membri un quadro contabile senza alternative al momento dell’applicazione.Infatti, a differenza delle direttive quali la IV e la VII, sempre per restare in tema di bilancio d’esercizio
92
Per adottare nell’Unione Europea i principi contabili internazionali è necessario
in primo luogo che essi rispettino i requisiti di base stabiliti dalle direttive già esistenti,
vale da dire che la loro applicazione contribuisca effettivamente alla “true and fair
view” della situazione patrimoniale e del risultato economico dell’impresa131: questo
rispetto, è ancor più necessario nella prospettiva della possibile estensione del campo di
applicazione degli IAS/IFRS aldilà dei soli bilanci consolidati delle società quotate.
2.2.4.1 - Opzioni relative ai bilanci d’esercizio delle società quotate e non quotate
Il regolamento 1606/2002 prevede alcune opzioni applicabili ai conti annuali (non
consolidati) delle società quotate e ai bilanci delle società i cui titoli non sono negoziati
in un mercato regolamentato. Secondo il Regolamento, infatti, gli Stati membri possono
consentire o prescrivere:
alle società quotate, che predisporranno i loro bilanci consolidati secondo i
principi contabili internazionali, di redigere anche i loro bilanci annuali secondo
i medesimi principi;
alle società non quotate sui mercati regolamentati (vale a dire, la generalità delle
imprese) di redigere i loro conti consolidati e/o i loro conti annuali secondo i
principi contabili internazionali;
Sulla base delle opzioni consentite dal Regolamento, anche in Italia si è avviato un
dibattito in merito alle scelte da adottare a livello locale. In particolare, i principali
aspetti sui quali si è incentrata la discussione sono i seguenti:
consentire alle capogruppo quotate di redigere anche i loro bilanci annuali
secondo i principi contabili internazionali
raccordare la normativa fiscale con i principi contabili internazionali
d’impresa, il Regolamento è immediatamente applicabile agli Stati membri e non necessita, affinchéabbia forza di legge per i singoli Paesi, di alcuna ulteriore emanazione di norme a livello nazionale.131 Concretamente, tale principio è stato recepito in Italia con l’art. 2 del D.Lgs. 127/91, che ha modificatol’art. 2423 c.c, stabilendo come finalità primaria del bilancio d’esercizio quella di “[…] rappresentare inmodo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economicodell’esercizio”.
93
prevedere che tutte le imprese appartenenti a settori assoggettati al controllo di
organismi di vigilanza – si pensi, ad esempio, a banche ed assicurazioni –
predispongano i loro bilanci individuali e consolidati secondo i principi contabili
internazionali, indipendentemente dalla quotazione su un mercato regolamentato
2.2.4.2 - Procedura di omologazione da parte della UE
Al fine di valicare i principi contabili internazionali alla luce delle direttive contabili
esistenti, il Regolamento 16/06/2002 ha previsto una procedura di omologazione –
cosiddetto “endorsment mechanism” – a livello europeo così articolata:
a livello politico: l’Accounting Regulatory Committee (ARC), espressione degli
Stati membri, con il compito di vagliare e fornire riconoscimento ufficiale al
lavoro svolto dai tecnici;
a livello tecnico: l’EFRAG ( European Financial Reporting Advisory Group,
organizzazione privata sostenuta da standard settlers nazionali, associazioni di
categoria e di regolamentazione dei mercati borsistici, ecc…) con il compito di
effettuare una valutazione tecnica degli IAS/IFRS e delle interpretazioni dello
IASB per conformità ai principi della IV e VII direttiva, nonché presentare
proposte di variazione alle direttive contabili UE, al fine di modificare la
normativa comunitaria ed evitare divergenze con gli IAS/IFRS.
Il Regolamento ha inizialmente previsto che il completamento del processo di
omologazione avvenisse entro il 31/12/2002; tuttavia, la complessità e le incertezze
relative alla materia sottoposta al lavoro degli esperti ha suggerito alla UE di posticipare
la conclusione del processo. Infatti, due aspetti hanno determinato la necessità di
considerare in maniera più attenta e ponderata i tempi dell’ “endorsement” definitivo:
per prima cosa, è stato rilevato come alcuni principi contabili internazionali sono tuttora
in corso di revisione. In particolare, gli IAS 32 e 39 relativi agli strumenti finanziari e lo
IAS 38 relativo alle attività immateriali, appunto, hanno un impatto molto significativo
sulla generalità delle imprese e, nel caso di banche ed assicurazioni, possono anche
condurre a rilevanti alterazioni nella convenienza economica di talune operazioni. In
94
secondo luogo, ai fini della pubblicazione degli IAS/IFRS sulla G.U.C.E. (Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea) occorre che tutti i principi contabili internazionali siano
tradotti nelle lingue degli Stati membri: tale attività, trattandosi di concetti contabili di
elevato contenuto tecnico, ha causato un dispendio di tempo superiore a quanto
inizialmente preventivato. L’Accounting Regulatory Committee ha comunque precisato
che tali difficoltà non porteranno assolutamente ad un ulteriore rinvio da parte
dell’Unione Europea nell’adozione dei principi contabili internazionali, ed in particolare
dei principi di maggiore impatto, in quanto la scadenza del 1° gennaio 2005 per
l’adozione completa degli IAS/IFRS rimane immutata.
95
2.3 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I
PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI (IAS 38, IAS 36, IAS 22)
Lo IAS 38 si applica alle attività immateriali e rappresenta il corrispondente del
documento n. 24 del CNDC – CNR, in merito alla contabilizzazione delle stesse. Di
seguito verrà quindi analizzato e commentato. Tuttavia, lo IAS 38 non è il solo che
contiene riferimenti più o meno espliciti alle attività immateriali. Per questo motivo,
dopo aver trattato il 38, passeremo ad analizzare il 36, inerente le perdite di valore, il
loro significato e la loro contabilizzazione e, da ultimo il 22, contenente informazioni in
merito ad una delle possibili modalità di acquisizione delle attività immateriali, ossia
l’acquisto di azienda e le operazioni di gestione straordinaria.
2.3.1 – IAS 38: Finalità e definizioni
Lo IAS 38 stabilisce le regole contabili e definisce le informazioni aggiuntive,
esplicative dei dati contenuti nei prospetti di stato patrimoniale e conto economico,
relative alle attività immateriali132 che non siano già trattate in altri principi contabili
internazionali. Lo IAS 38, infatti, dispone esplicitamente che è possibile contabilizzare
un’attività immateriale se e solo se sono soddisfatte alcune condizioni che elencheremo
in seguito. Il principio deve essere applicato da tutte le imprese per contabilizzare le
attività immateriali, escluse:
Le attività che sono trattate in altri principi contabili internazionali133
Le attività finanziarie, come definite dallo IAS 32
132 Come introdotto dallo IAS 38 stesso, riporteremo in questa sede in nota alcune delle definizioniproposte dal principio contabile in merito a termini che utilizzeremo nel corso della trattazione al fine direndere più chiara la stessa; in seguito:Un’attività immateriale è un’identificabile attività non monetaria, con mancanza di fisicità (e quindiintangibile) utilizzata nella produzione o nella fornitura di merci e servizi, o destinata ad essere affittataad altri o utilizzata dall’impresa per motivi amministrativi.Un’attività è una risorsa controllata da un’impresa come risultato di eventi passati e dalla quale ci siaspettano flussi di futuri benefici economici.Le attività monetarie sono le disponibilità di denaro che saranno incassate in ammontari fissi odeterminati di denaro.Ulteriori definizioni verranno introdotte nelle sedi più opportune al fine di meglio comprendere i dettatinormativi del principio contabile.133 A riguardo, l’esempio sicuramente più rilevante è riconducibile al trattamento dell’avviamento chederivi da fusioni o concentrazioni di imprese, espressamente descritto dallo IAS 22
96
I diritti minerari e le spese di esplorazione, di sviluppo e di estrazione di
minerali, petrolio, gas naturale e altre risorse naturali simili
Le attività immateriali inerenti le compagnie di assicurazione che derivino da
contratti con gli assicurati.
Il principio internazionale precisa, inoltre, che alcune attività immateriali possono
essere comprese o possono contenere altri elementi fisici, come ad esempio i CD o i
dischetti (nel caso di software utilizzati per il computer), oppure la documentazione
legale (nel caso di licenze e concessioni), oppure ancora i film con le relative pellicole.
Per decidere se un’attività che incorpora un’attività immateriale e un’attività fisica
debba essere trattata dallo IAS 16 (attività materiali) o dallo IAS 38, è necessario che
gli amministratori effettuino una valutazione di quale elemento sia più significativo134.
Secondo lo IAS 38, l’impresa spesso impiega risorse e contrae passività per
l’acquisto, lo sviluppo, il mantenimento o il miglioramento di risorse intangibili, siano
esse conoscenze tecnologiche o scientifiche, creazione ed implementazione di nuovi
processi di sistemi, licenze, proprietà intellettuali, conoscenze di mercato o marchi. Non
è detto, però, che tutte queste tipologie di risorse intangibili siano automaticamente
attività immateriali: a tal fine, è richiesto il soddisfacimento di tre condizioni per
classificare tali beni come attività immateriali, che sono l’autonoma identificabilità, il
controllo dell’attività stessa e l’attesa di ottenere futuri benefici economici. Il paragrafo
9 dello IAS 38 dispone, inoltre, che se non sono soddisfatte tali condizioni i costi che si
sostengano per l’acquisto o la produzione di tali attività devono essere spesati nel conto
economico e non potranno, quindi, essere capitalizzati.
In merito all’autonoma identificabilità, lo IAS 38 precisa che la definizione di
“attività immateriali” richiede che un’attività intangibile sia identificabile al fine di
distinguerla in maniera netta dall’avviamento. L’avviamento che deriva da una fusione
per incorporazione oppure dall’acquisizione di una controllata che entra nell’area di
consolidamento, rappresenta il pagamento fatto dall’acquirente come anticipo dei futuri
134 Per esempio, come già visto durante la disamina del dettato del documento n.24 CNDC-CNR, ilsoftware per un computer che controlla il sistema operativo e senza il quale il computer non potrebbefunzionare, è una parte integrante del relativo hardware ed è quindi compreso nell’ambito di applicazionedello IAS 16. Dove, invece, il software non fosse parte integrante della relativa macchina, esso è trattatocome un’attività immateriale.
97
benefici economici derivanti dall’operazione in questione. Un’attività intangibile,
quindi, può essere chiaramente distinta dall’avviamento solo se l’attività è separabile.
Questo è possibile, in concreto, se l’impresa può vendere, affittare, scambiare o
distribuire gli specifici benefici economici futuri attribuibili all’attività senza cedere
anche i benefici economici che fluiscono dalle altre attività utilizzate nella stessa
produzione dei risultati.
La separabilità non è una condizione necessaria per soddisfare la condizione di
“autonoma identificabilità”, come puntualizza lo IAS 38, quando l’impresa è in grado di
identificare un’attività in qualche altro modo. Per esempio, se un’attività intangibile è
stata acquistata insieme ad un gruppo di attività, l’operazione potrebbe comportare il
trasferimento di diritti legali che permettono all’impresa di identificare l’attività
intangibile. Allo stesso modo, se un’attività genera futuri benefici economici insieme ad
un gruppo di altre attività, essa è identificabile se l’impresa è in grado di determinare la
parte di benefici economici che deriveranno dall’attività stessa.
Per quanto riguarda il controllo, il principio internazionale n.38 precisa che esso
sussiste quando l’impresa ha il potere di ottenere i benefici economici futuri che saranno
generati dall’attività stessa ed è in grado anche di restringere l’accesso a questi benefici
da parte dei terzi. La capacità dell’impresa di controllare i futuri benefici economici di
un’attività immateriale deriva normalmente da diritti legali tutelati dalla legge: in
assenza di diritti legali è difficile dimostrare l’effettivo controllo. Per quanto riguarda le
conoscenze tecniche e di mercato, ad esempio, esse possono dare luogo a futuri benefici
economici, e l’impresa ha il controllo su di esse quando ne ha la proprietà esclusiva – ad
esempio nel caso in cui siano protette da copyright o dalla limitazione di accordi
commerciali.
Per quanto riguarda, infine, il requisito della produzione di futuri benefici
economici, il paragrafo n. 17 dello IAS 38 precisa che essi possono essere composti dai
ricavi di vendita di prodotti e servizi, da risparmi di costo e da altri benefici che
risultano dall’uso dell’attività da parte dell’impresa. Anche in questo caso, come già
evidenziato per i principi contabili italiani, si può riassumere il tutto con la formula
“maggiori ricavi/minori costi”.
98
2.3.2 – IAS 38: Contabilizzazione e valutazione iniziale di un’attività immateriale
Secondo lo IAS 38, la contabilizzazione di un’attività immateriale richiede che
un’impresa dimostri che l’attività soddisfi la definizione di attività immateriale in
precedenza riportata, e soddisfi il criterio di contabilizzazione, descritto nel presente
paragrafo, ed esplicitato nel testo del principio contabile nei paragrafi 19-55.
Il paragrafo 19 dello IAS 38 stabilisce che un’attività immateriale può essere
contabilizzata come tale, soltanto se
1. è probabile che i futuri benefici economici che sono attribuibili all’attività
saranno goduti dall’impresa;
2. il costo dell’attività può essere attendibilmente determinato.
Nel decidere se una voce soddisfa il primo requisito, un’impresa deve accertare il
grado di certezza del flusso di benefici economici futuri sulla base delle conoscenze
disponibili al momento della rilevazione iniziale. Lo IAS 38, infatti, dispone che
l’impresa deve valutare la probabilità dei futuri benefici economici utilizzando
ragionevoli e supportabili ipotesi che rappresentino la miglior stima da parte degli
amministratori delle serie di condizioni economiche che esisteranno durante la vita utile
dell’attività. Secondo il paragrafo 22 dello IAS 38, inoltre, un’attività immateriale dovrà
essere valutata inizialmente al costo. Nel caso l’attività immateriale sia acquistata in via
separata, il costo può essere determinato agevolmente, in modo particolare quando il
corrispettivo è rappresentato da denaro o da altre attività monetarie135. Per quanto
riguarda il caso dell’acquisizione di un’attività immateriale a seguito di una fusione, il
costo di tale attività, come previsto dallo IAS 22, è basato sul valore corrente alla data
dell’acquisto dell’attività stessa. E’, di conseguenza, necessario un apprezzamento del
135 Il costo, secondo lo IAS 38, comprende il prezzo di acquisto inclusi eventuali dazi di importazione etasse di acquisto non recuperabili, nonché tutti i costi direttamente imputabili alla preparazionedell’attività per l’uso al quale è destinata. Tali costi diretti potrebbero comprendere, ad esempio, le speselegale e gli onorari professionali; nel caso di sconti commerciali, questi dovranno essere dedotti. Se ilpagamento dovesse essere differito secondo le normali condizioni di credito, inoltre, il costo dell’attivitàimmateriale è il valore monetario dell’attività stessa: la differenza tra questo importo e l’ammontarepagato è contabilizzato come un interesse sulla base della durata della dilazione di pagamento. Seun’attività immateriale, infine, è acquisita in cambio di strumenti finanziari rappresentativi delpatrimonio, quali azioni, quote o warrant, il costo dell’attività è il valore corrente dello strumentofinanziario emesso, che sarà uguale al valore corrente dell’attività.
99
valore dell’intangible per determinare se il costo – cioè, in questo caso, il valore
corrente136 – di un’attività immateriale acquisita da una fusione può essere determinato
con sufficiente attendibilità per perseguire l’obiettivo della “separata contabilizzazione”.
In accordo con lo IAS 22, il paragrafo 31 dello IAS 38 puntualizza che per la
contabilizzazione di un’attività/passività identificabile:
a. l’incorporante o l’acquirente rileva un’attività immateriale quando la stessa
soddisfa le condizioni dei paragrafi 19 e 20 dello IAS 38, anche se l’attività
immateriale non è stata contabilizzata nel bilancio dell’incorporata.
b. se il costo (valore corrente) dell’attività immateriale acquistata come parte di
una fusione non può essere misurato attendibilmente, questa attività non è
contabilizzata come un’attività immateriale separata ma è ricompresa
nell’avviamento.
Il principio contabile n.38 disciplina altre due fattispecie di acquisizione di attività
immateriale, a dire il vero non di frequente riscontro nella realtà aziendale: si tratta
dell’acquisizione mediante contributi pubblici e dell’acquisizione mediante permuta. Il
primo caso si verifica quando un ente pubblico trasferisce o distribuisce ad un ‘impresa
delle attività immateriali, come ad esempio i diritti di atterraggio per aeroporti, licenze
per emittenti radio o stazioni televisive137. Il paragrafo 34 dello IAS 38, identifica il
caso di permuta, invece, come il caso in cui un’attività immateriale sia acquisita in
136 I prezzi quotati in un mercato attivo rappresentano il più attendibile strumento per misurare il valorecorrente. Per valore corrente si intende il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata tra partiinteressate e ben informate, in un’operazione tra soggetti terzi indipendenti. Un mercato attivo è unmercato in cui esistono le seguenti condizioni: a) gli articoli trattati sul mercato sono omogenei, b) ipotenziali compratori e venditori sono disponibili a contrattare in qualsiasi momento, c) i prezzi sonodisponibili al pubblico. Generalmente, il prezzo di mercato più appropriato è quello formulato dal latodell’offerta: in assenza della disponibilità di un simile prezzo, si considera il più recente prezzo trattato inuna transazione simile, in modo da stimare il valore corrente supponendo che le condizioni del mercatoattuale siano le medesime di quando era stata fatta la contrattazione. Se alcune circostanze hanno reso nonuguale la transazione non è possibile utilizzare questa metodologia. Se non esiste un mercato attivo perun’attività, il suo costo riflette l’ammontare che l’impresa avrebbe pagato, alla data di acquisizione, inuna transazione simile tra parti interessate, ben informate ed indipendenti. Nel determinare questoammontare l’impresa considera i risultati di altre recenti transazioni per attività simili.137 Secondo lo IAS 20 – Contabilizzazione dei contributi pubblici e dell’assistenza pubblica, un’impresapuò scegliere di contabilizzare sia l’attività immateriale ricevuta che il contributo pubblico al loro valorecorrente iniziale. Se un’impresa sceglie di non contabilizzare l’attività iniziale al valore corrente,l’impresa contabilizza l’attività in base al valore nominale più tutti i costi che possono essere direttamenteattribuibili alla stessa per predisporla all’uso a cui è destinata.
100
cambio di altre immobilizzazioni immateriali, oppure altre attività138. Data la modesta
rilevanza applicativa di queste fattispecie, entrambe verranno sviluppate in nota.
Di maggiore rilevanza è, invece, l’analisi della contabilizzazione delle attività
immateriali generate internamente, a partire da ciò che precisa il paragrafo 36 dello IAS
38 in merito al fatto che l’avviamento generato internamente non possa essere
contabilizzato139. Dopo aver escluso in maniera esplicita l’ammissibilità di
contabilizzare l’avviamento generato internamente, il paragrafo 39 dello IAS 38 afferma
che, non senza qualche difficoltà, è possibile identificare alcune attività immateriali
generate internamente che soddisfano le condizioni per la loro contabilizzazione
nell’attivo di stato patrimoniale. Il medesimo paragrafo precisa che è massimamente
difficile, in particolare, individuare se e quando esiste un’identificabile attività che
genererà probabili flussi futuri di benefici economici e, conseguentemente, determinare
in maniera attendibile il costo dell’attività stessa.
In merito, ad esempio, alle attività immateriali derivanti dall’attività di ricerca e
sviluppo, per valutare se un’attività immateriale generata internamente soddisfa i criteri
per la sua contabilizzazione, l’impresa deve classificare la produzione dell’attività a
seconda che essa sia nella “fase di ricerca”140 oppure nella “fase dello sviluppo”141. Il
paragrafo 42 dello IAS 38 dispone chiaramente che non è possibile contabilizzare
attività immateriali che riguardino la ricerca. Le spese di ricerca – o nella fase di ricerca
di un progetto interno – devono essere imputate al conto economico al momento del
138 In questo caso, il costo di ogni attività ricevuta è determinato sulla base del valore correntedell’attività ricevuta; nel caso ci siano delle differenze erogate o incassate in denaro o in altre formemonetarie, esse rettificano il costo iniziale. Quando, inoltre, un’attività immateriale è acquisita in permutacon un’attività simile che ha un uso uguale nella stessa linea di attività e ha un valore corrente simile, nonè possibile contabilizzare utili o perdite relative all’operazione poiché non vi è stata la realizzazione di talicomponenti economici. Il costo della nuova attività è il valore contabile della attività ceduta. Tuttaviapotrebbe accadere che il valore contabile della attività ricevuta possa mostrare una perdita di valoredell’attività ceduta. In queste circostanze si contabilizza la perdita di valore per l’attività che è stataceduta e il valore contabile residuo, dopo aver detratto la svalutazione per perdita di valore, è il nuovovalore contabile dell’attività acquisita.139 Di conseguenza, come anche in Italia, sarà possibile iscrivere solo l’avviamento acquisito a titolooneroso, derivante da operazioni di gestione straordinaria quali fusioni, acquisti di azienda, ecc…140 Per ricerca, lo IAS 38 intende “un’indagine pianificata ed originale svolta con l’obiettivo di ottenerenuove conoscenze tecnologiche o scientifiche”141 Per sviluppo, lo IAS 38 intende “l’applicazione dei risultati della ricerca o di altre conoscenze perprogrammare o disegnare la produzione di nuovi o migliorati materiali, strumenti, prodotti, processi,sistemi o servizi nuovi, prima dell’inizio della produzione commerciale o della loro utilizzazione”
101
loro sostenimento142. Il principio internazionale, di fatto similmente al corrispondente
principio contabile italiano, parte dal presupposto che nella fase di ricerca di un
progetto, l’impresa non può dimostrare che un’attività immateriale esiste e che essa
genererà probabili benefici economici futuri. Per questa incertezza associata alla
destinazione economica dei costi, questi verranno sempre contabilizzati come una spesa
nel momento in cui sono sostenuti. Per quanto riguarda la fase dello sviluppo, il
paragrafo 45 dello IAS 38 dispone che i costi sostenuti siano contabilizzati come attività
immateriale solo a condizione che l’impresa sia in grado di soddisfare i seguenti
requisiti:
a. la fattibilità tecnica del completamento della attività immateriale in modo che
essa sia disponibile con relativa certezza per l’uso o la vendita
b. l’intenzione di completare l’attività e di usarla o venderla
c. l’abilità di utilizzare o vendere l’attività stessa
d. il modo in cui l’attività immateriale genererà i futuri benefici economici143
e. l’abilità di determinare con relativa sicurezza il costo attribuibile alla attività
immateriale durante la sua fase di completamento
Secondo il suddetto paragrafo, quindi, nella fase di sviluppo l’impresa dovrà essere
in grado in qualunque momento di dimostrare che l’attività genererà benefici economici
futuri144.
Il principio internazionale affronta inoltre l’argomento di come determinare il costo
di un’attività immateriale generata internamente. Secondo lo IAS 38 il costo in
questione è dato dalla somma dei costi sostenuti dalla data in cui l’attività soddisfa per
la prima volta i requisiti stabiliti in precedenza; è inoltre vietato capitalizzare nel valore
142 Se un’impresa non è in grado di distinguere la fase della ricerca dalla fase dello sviluppo di unprogetto interno, deve considerare le spese come se riferite alla fase di ricerca e quindi non puòcapitalizzare i costi che sostiene per tale obiettivo, che dovranno – anch’essi – essere imputati a contoeconomico.143 L’impresa, a riguardo, deve dimostrare l’esistenza di un mercato (per il prodotto dell’attivitàimmateriali o anche solo per l’attività stessa) oppure, se l’attività è utilizzata internamente, l’impresa devedimostrare l’utilità dell’attività immateriale.144 A riguardo, è interessante notare come per i principi contabili internazionali nella fase di sviluppol’impresa abbia l’obbligo di capitalizzare i costi sostenuti nell’attivo di stato patrimoniale come un’attivitàimmateriale. Nei principi italiani, invece, la capitalizzazione dei costi di sviluppo è una facoltà, in quantol’impresa è libera di scegliere se spesare tali costi nel conto economico oppure capitalizzarli tra leimmobilizzazioni immateriali.
102
dell’attività immateriale i costi che erano stati precedentemente spesati nel conto
economico di anni precedenti o di bilanci infra-annuali precedenti145.
2.3.3 – IAS 38: Contabilizzazione di un costo
Secondo il paragrafo 56 dello IAS 38, la spesa per un bene immateriale deve essere
contabilizzata come un costo, al momento del sostenimento, a meno che:
a. formi parte del costo di un’attività immateriale che soddisfa i criteri per la
capitalizzazione, come definiti nei paragrafi precedenti146;
b. l’attività sia acquisita in una fusione per incorporazione, oppure in seguito
all’entrata di una nuova controllata, e l’attività stessa non possa essere
contabilizzata come specifica attività immateriale. In questo caso, l’attività è
ricompresa nell’avviamento.
Il principio internazionale precisa inoltre che quando si spesano nel conto
economico i costi relativi all’ottenimento di un’attività immateriale non è
successivamente possibile imputare tali costi al valore dell’attività capitalizzata
nell’attivo147. Similmente, i costi che si sosterranno successivamente all’acquisto di
un’attività immateriale oppure dopo che l’attività stessa è stata completata, dovranno
essere contabilizzati come un costo, a meno che
145 Il costo, dunque, di un’attività generata internamente comprende tutte le spese che possono esseredirettamente attribuite e allocate in modo ragionevole e coerente per creare, produrre e preparareun’attività per l’uso a cui questa è destinata. I costi in questione comprendono: a) il costo dei materiali edelle prestazioni utilizzati o consumati per generare l’attività immateriale; b) il costo del personaledirettamente impiegato per generare l’attività immateriale; c) qualsiasi costo che sia direttamenteimputabile alla generazione della attività immateriale, come ad esempio gli onorari per la registrazione dieventuali diritti legali; d) le spese generali che sono necessarie per generare l’attività e che possono essereallocate in modo ragionevole e coerente all’attività stessa. Il paragrafo 55 dello IAS 38 individua anchealcuni costi che non possono essere componenti del costo dell’attività immateriale generata internamentequali: a) costi di vendita, amministrazione e altre spese generali; b) costi per inefficienze chiaramenteidentificati; c) costi per l’addestramento di personale per operare con l’attività.146 Ci sono anche casi in cui la spesa è sostenuta per ottenere benefici economici futuri ma non è statacreata alcuna attività immateriale o di altro tipo: in questi casi la spesa è imputata al conto economico.Esempi di questo tipo sono i costi per l’avvio di una nuova attività (costi di start-up), i costi perl’addestramento del personale, i costi per la promozione e la pubblicità ed i costi di riorganizzazione eristrutturazione aziendale. Nei principi contabili italiani è invece ammessa la capitalizzazione dei costi perl’avvio di nuova attività commerciale, i costi per l’addestramento del personale e i costi per lapromozione e la pubblicità.
103
a. sia probabile che queste spese aumentino i futuri benefici economici generati
dall’attività, rispetto alla valutazione che era stata fatta quando tali spese non
erano state sostenute;
b. questi costi possono essere stimati e attribuiti all’attività in modo realistico e
ragionevole;
Se sussistono queste condizioni, i costi successivi che si sostengono relativi ad
un’attività immateriale devono essere portati in aumento del costo dell’attività
immateriale148. E’ evidente, quindi, come la mera tipologia di attività immateriale a cui i
costi si riferiscono, potrebbe rendere molto difficile lo stabilire se i costi sostenuti sono
in grado di mantenere o migliorare i benefici economici che si genereranno dall’attività
stessa.
2.3.4 – IAS 38: Valutazioni successive alla contabilizzazione iniziale
Il principio contabile n. 38 dispone due trattamenti contabili possibili per valutare le
attività immateriali: il paragrafo 63 definisce come trattamento contabile preferito il
metodo di esporre le attività immateriali al costo iniziale meno l’ammortamento
accumulato e al netto di ogni eventuale perdita di valore accumulata. Il successivo
paragrafo 64 e seguenti, invece, definiscono il trattamento contabile alternativo,
comunque accettabile, che consiste nel rivalutare il costo dell’attività immateriale al
valore corrente149 dell’attività stessa, dedotto l’ammortamento accumulato e le perdite
147 Il paragrafo 59 dello IAS 38 dispone che questo principio vale sia nel caso in cui i costi siano statiimputati nel conto economico di un bilancio annuale, sia nel caso si tratti di un bilancio interinale.148 A questo proposito, il SIC 6 ha precisato, in merito ai costi che si sostengono per la modifica disoftware già esistenti, al fine di reintegrare o mantenere i benefici economici futuri che un’impresa siattendeva dalla valutazione originaria delle prestazioni e dei risultati stimati, che essi devono esserecontabilizzati come un costo quando la reintegrazione o il lavoro di manutenzione è eseguito permantenere meramente operativo il sistema ( ad esempio conversione all’euro). Se, invece, i costi che sisostengono in un periodo successivo servono al mantenimento in uso dell’attività immateriale, in quantole prestazioni ed i benefici forniti rimangono uguali a prima, i costi sostenuti si imputano a contoeconomico. Il SIC 6, in sostanza, sostiene con specifico riferimento ai costi di software, il concettogenerale che le spese di manutenzione che non migliorano le prestazioni del bene non sono capitalizzabilie devono essere imputate al conto economico quando sostenute.149 In questo caso ci si riferisce al valore corrente determinato alla data di rivalutazione
104
di valore150; presupposto fondamentale è che esista un mercato attivo, dato che le
rivalutazioni andrebbero effettuate, secondo lo IAS 38, con regolarità in modo che il
valore contabile dell’attività stessa non differisca in modo significativo da quello che
sarebbe stato determinato utilizzando il valore corrente alla data di bilancio151. Bisogna
tuttavia precisare come il trattamento contabile alternativo non consenta di:
a. rivalutare le attività immateriali che non erano state in precedenza contabilizzate
come attività;
b. contabilizzare inizialmente un’attività immateriale per un importo superiore al
relativo costo.
Il metodo alternativo, infatti, può essere applicato solo per quelle attività immateriali
che sono state contabilizzate al costo; la frequenza delle rivalutazioni, come ovvio,
dipende dalla volatilità delle quotazioni e del valore corrente delle attività immateriali in
corso di rivalutazione. Maggiore è la differenza tra il valore corrente di un’attività
immateriale e il suo valore contabile, maggiore è la necessità di procedere ad una sua
rivalutazione152.
Lo IAS 38 precisa, inoltre, che se un’attività immateriale è stata rivalutata, tutte le
altre attività della sua classe devono essere rivalutate, a meno che non sia disponibile un
mercato attivo per tali attività. Se un’intangible in una voce di attività immateriali
rivalutate non può essere rivalutata perché non esiste un mercato attivo per tale attività,
150 Lo IAS 38 definisce come perdita di valore “l’importo che si origina quanto il valore contabile diun’attività è superiore al valore recuperabile della stessa”.151 E’ di immediata evidenza come questo metodo non sia accettabile sotto la vigenza dei principicontabili Italiani, essendo ammesse rivalutazioni solamente nel caso di leggi speciali ad uopo emanate.152 Se un’attività immateriale è rivalutata, gli ammortamenti accumulati alla data di rivalutazione sonoricalcolati proporzionalmente al cambiamento del valore lordo della attività, in modo che il valorecontabile dell’attività dopo la rivalutazione sia l’importo rivalutato; in alternativa, gli ammortamentiaccumulati verranno eliminati contro il valore lordo dell’attività, e l’importo netto ricalcolato sulla basedel valore rivalutato dell’attività stessa. Il principio internazionale, quindi, ammette due metodologie pertrattare e determinare l’importo rivalutato dell’attività immateriale; metodologie che sono diverse nellaforma ma che dovranno portare al medesimo risultato. Inoltre, ai fini dell’esposizione nel bilancio diesercizio, il metodo analitico secondo il quale l’impresa decide di effettuare i conteggi e di tenere lescritture contabili è ininfluente, in quanto l’attività è esposta nello stato patrimoniale al nettodell’ammortamento accumulato ed i risultati delle metodologie sopra esposte sono sostanzialmenteidentici. Con il primo metodo, l’impresa ricalcola il fondo ammortamento stesso considerando chel’ammortamento sia stato effettuato nel tempo sul valore storico rivalutato (valore lordo). Con il secondometodo, invece, l’impresa detrae dal valore lordo il fondo ammortamento accumulato fino alla data dirivalutazione e ricalcola il valore dell’importo netto risultante, per tenere conto della rivalutazione daeffettuare alla data.
105
questa andrà esposta al costo iniziale, dedotti l’ammortamento accumulato e le eventuali
perdite di valore. Se il valore corrente di un intangibile rivalutato non può essere
determinato con riferimento ad un mercato attivo, il valore contabile dell’attività deve
essere il valore rivalutato alla data dell’ultima rivalutazione, al netto degli
ammortamenti effettuati e delle eventuali perdite di valore che si siano verificate in
passato.
Se il valore contabile di un’attività immateriale è aumentato come conseguenza di
una rivalutazione, l’incremento deve essere accreditato direttamente in una apposita
posta del patrimonio netto153. Tuttavia, un aumento di rivalutazione deve essere
contabilizzato come un provento se esso ripristina una diminuzione di valore della
stessa attività: diminuzione di valore che in precedenza era stata imputata al conto
economico come costo154. Se, invece, il valore contabile è diminuito come risultato di
una rivalutazione, il decremento deve essere contabilizzato come un costo. Ovviamente,
una diminuzione che si dovesse verificare dopo che era stato contabilizzato un fondo
rivalutazione – in quanto in precedenza la rivalutazione era positiva – deve essere
contabilizzata come una diminuzione del fondo stesso, addebitando le poste del
patrimonio netto, e quindi non addebitando il conto economico, almeno fino al
raggiungimento della capienza massima del fondo iscritto a bilancio: l’eventuale
eccedenza è imputata a conto economico come costo.
2.3.5 – IAS 38: Ammortamento
Il paragrafo 79 dello IAS 38 dispone che il valore ammortizzabile155 di
un’attività immateriale deve essere distribuito in base ad un metodo sistematico156, che
rappresenti la miglior stima possibile della ripartizione del costo sulla base della vita
utile dell’attività stessa. Il principio internazionale ritiene che, salvo prova contraria, la
153 Anche in Italia, l’eventuale rivalutazione ammessa da leggi speciali è portata direttamente in unariserva del patrimonio netto.154 Questa possibilità è esclusa in Italia; non è infatti previsto un trattamento contabile per larivalutazione negativa. Come visto in precedenza, nel caso il valore recuperabile di un’attivitàimmateriale sia inferiore al valore contabile, ci si può trovare nelle condizioni di contabilizzare unaperdita di valore quando la stessa ha carattere permanente.155 Lo IAS 38 definisce il valore ammortizzabile di un’attività come “il costo di un’attività immateriale,detratto il suo valore residuo”.156 Secondo lo IAS 38, l’ammortamento è appunto il processo che comporta “la sistematica ripartizionedel valore ammortizzabile di un’attività immateriale durante la sua vita utile”.
106
vita utile di un’attività immateriale non ecceda i venti anni dalla data in cui l’attività è
disponibile per l’uso. L’ammortamento, quindi, inizierà proprio da quel preciso
momento157. Il principio internazionale afferma anche che, dato che i futuri benefici
economici di un’attività immateriale sono generati in modo continuo, il valore contabile
dell’attività deve essere ridotto per riflettere questo processo. Questo si ottiene
ripartendo il costo stesso, oppure il valore rivalutato dell’attività158, come un costo
imputato nel conto economico sulla base della vita utile159 dell’attività.
Lo IAS 38, al successivo paragrafo 80, precisa che in merito alla determinazione
della vita utile di un’attività immateriale si devono considerare numerosi fattori, quali:
a. l’utilizzo atteso dell’attività da parte dell’impresa
b. i cicli di vita del prodotto tipici per l’attività oppure le pubbliche informazioni di
stime di vite utili per tipi simili di attività che abbiano il medesimo uso
c. l’obsolescenza tecnica, tecnologica o di altro tipo
d. la stabilità dell’impresa nella quale l’attività è utilizzata e i cambiamenti nella
domanda dei prodotti o dei servizi forniti dall’impresa stessa
e. le azioni attese dei concorrenti nonché dei potenziali concorrenti
f. il livello dei costi di manutenzione necessari per ottenere i benefici economici
attesi dall’attività
g. il periodo di controllo, ciò l’eventuale esistenza e durata di diritti o limiti legali
sulla attività che ne limitino l’uso
h. la dipendenza della vita utile dell’attività stessa dalla vita utile di altre attività
Il principio internazionale ammette, inoltre, il caso in cui la vita utile di un’attività
immateriale ecceda i venti anni. In questo caso, quando ciò sia ragionevole, l’impresa
ammortizza l’attività nel più lungo periodo, stima almeno annualmente l’ammontare
recuperabile e fornisce l’informazione integrativa delle ragioni che l’hanno indotta a
157 Il principio contabile precisa inoltre che l’ammortamento deve sempre essere calcolato econtabilizzato anche se si dovesse verificare un aumento nel valore recuperabile dell’attività immateriale.158 Eventualmente decrementato del valore residuo al termine della vita utile del bene in questione, secalcolabile. Per valore residuo, lo IAS 38 intende, appunto, “l’ammontare netto che l’impresa prevede diottenere da un’attività al termine della sua vita utile, dopo aver dedotto gli eventuali costi di cessione”.159 Lo IAS 38 definisce la vita utile di un bene immateriale alternativamente come: “a) il periodo ditempo nel quale ci si attende che un’attività sia utilizzata dall’impresa; o b) la quantità di prodotti o ilnumero di unità simili che l’impresa si attende di ottenere dal suo utilizzo”.
107
superare i 20 anni160. Invitando ad un’attenta osservazione della reale vite economica di
un’attività immateriale, il principio internazionale oggetto di analisi puntualizza che la
vita utile di un’intangible potrebbe essere anche molto lunga, ma mai infinita.
L’incertezza può giustificare la stima di una vita utile di un’attività immateriale
effettuata con prudenza, ma non giustifica la scelta di una vita che sia irrealisticamente
corta161. Il paragrafo 85 dello IAS 38 dispone, infine, che se il controllo dei futuri
benefici economici di un’attività immateriale è determinato da diritti legali che
permettono lo sfruttamento o l’uso dell’attività immateriale per un periodo di tempo
determinato, la vita utile dell’attività non dovrà eccedere tale periodo, a meno che i
diritti legali possano essere rinnovati e il rinnovo in questione sia con buona
approssimazione certo162. Potrebbero, inoltre, esserci fattori sia legali che economici che
influenzano la vita utile di un’attività immateriale: i fattori economici determinano il
periodo sul quale i benefici economici saranno ricevuti; i fattori legali possono
restringere il periodo durante il quale l’impresa controllerà l’accesso a tali benefici. La
vita utile, in questo caso, è il periodo di tempo più breve condizionato da questi fattori.
Secondo il principio contabile internazionale, il metodo di ammortamento utilizzato
deve riflettere il modo in cui i benefici economici dell’attività saranno utilizzati
dall’impresa. Se ciò non è determinabile, l’impresa deve utilizzare il metodo a quote
costanti163; ad ogni modo, lo IAS 38 prevede anche che possano essere utilizzati diversi
metodi di ammortamento per ripartire il valore ammortizzabile di un’attività in modo
160 Come evidenziato in precedenza, quanto stabilito dallo IAS a livello generale per tutte leimmobilizzazioni immateriali è stato stabilito anche dalla normativa italiana solo con riferimentoall’avviamento ammortizzato in un periodo superiore ai 5 anni.161 In Italia non è enunciato in modo tanto evidente che il principio di prudenza non giustifica vite utilitroppo brevi. Il principio italiano n. 11, relativo ai postulati di bilancio, invita ad evitare gli eccessi diapplicazione del principio di prudenza, in quanto pregiudizievoli per gli interessi degli azionisti epossibile causa di inattendibilità e non correttezza del bilancio. Quanto testé affermato non è, però,esplicitamente richiamato dal principio contabile n.24 in merito alle immobilizzazioni immateriali.162 Lo IAS 38 identifica alcuni fattori che rendono virtualmente certo il rinnovo dei diritti legali: a) ilvalore corrente dell’attività immateriale non si riduce nel tempo, o quantomeno si riduce solodell’ammontare necessario per rinnovare il diritto; b) c’è evidenza (possibilità basata sull’evidenzapassata) che i diritti legali saranno rinnovati; c) c’è evidenza delle condizioni necessarie per ottenere ilrinnovo dei diritti legali.163 L’ammortamento imputato in ogni periodo deve essere contabilizzato come un costo, a meno che unaltro principio contabile internazionale richieda o permetta che esso sia inserito nel valore contabile diun’altra attività.
108
sistematico sulla base della sua vita: si citano in questo, caso, oltre al metodo a quote
costanti, quello a quote decrescenti e quello per unità prodotta164.
Il paragrafo 91 dello IAS 38 stabilisce che il valore residuo di un’attività
immateriale deve essere considerato pari a zero, a meno che ci sia un impegno concreto
con terzi per cedere l’attività alla fine della sua vita utile o nel caso in cui, essendoci un
mercato attivo per l’attività, possa essere determinato con relativa certezza il valore
residuo dell’attività con riferimento a quello specifico mercato165. Il valore
ammortizzabile di un’attività, di conseguenza, è determinato detraendo il suo valore
residuo dal valore corrente: un valore residuo maggiore di zero comporta che
un’impresa si aspetta di cedere l’attività immateriale in questione prima della fine della
sua vita utile. Coerentemente con le differenze a livello di metodologie contabili
esistenti tra il metodo di contabilizzazione preferito (metodo del costo rettificato) ed il
metodo alternativo (metodo della rivalutazione), nel primo caso il valore residuo sarà
stimato utilizzando i prezzi noti alla data di acquisizione dell’attività per vendite di
attività simili che abbiano raggiunto la fine della loro vita utile stimata e che hanno
operato in condizioni simili a quelle per cui l’attività in questione sarà usata. Il valore
residuo così individuato, quindi, non sarà successivamente aumentato per tenere conto
di eventuali modifiche nei prezzi di vendita, in ossequio al criterio del costo storico.
Seguendo il secondo metodo, invece, si dovrà effettuare una nuova stima del valore
residuo alla data in cui si effettua una rivalutazione, utilizzando i prezzi prevalenti a
quella data.
Il principio contabile internazionale richiede, inoltre, che il periodo di
ammortamento ed il metodo adottato per ripartire in modo sistematico il costo
dell’attività immateriale sulla base della sua vita utile sia rivisto come minimo ad ogni
fine esercizio. Se ci si aspetta che la vita utile dell’attività sia differente dalle stime
effettuate in precedenza, l’ammortamento dovrà essere modificato; se si riscontra un
significativo cambiamento nel modo in cui l’impresa usufruirà dei benefici economici
generati dall’attività, il metodo di ammortamento dovrà essere cambiato per riflettere
164 Il principio contabile internazionale puntualizza inoltre che il metodo scelto deve essere applicato inmodo coerente in ogni periodo, a meno che ci si aspetti un cambiamento nel modo in cui l’impresa potràgodere dei benefici futuri generati dall’attività in questione.165 Lo IAS 38 pone anche una seconda condizione, a dire il vero di rilevanza più formale che sostanziale,richiedendo che un mercato simile esista con ragionevole probabilità alla fine della vita utile dell’attività.
109
questa diversa impostazione166. Allo stesso modo, durante la vita di
un’immobilizzazione immateriale potrebbe diventare evidente che la stima della sua vita
utile sia inappropriata. Ad esempio, capita frequentemente che questa possa essere
incrementata grazie a delle successive spese che hanno migliorato le condizioni
dell’attività rispetto a quanto era stata valutata inizialmente167.
2.3.6 – IAS 38: Perdita e recuperabilità del valore contabile
Per determinare se un’attività immateriale ha subito un perdita di valore, si deve
fare riferimento allo IAS 36. Lo IAS 36 spiega come un’impresa rivede il valore
contabile delle proprie attività, come determina il valore recuperabile e quando
contabilizzare una perdita di valore o un ripristino del valore originario.
Secondo lo IAS 22, se una perdita di valore si verifica prima della fine del primo
esercizio successivo a quello dell’acquisizione di un’attività immateriale acquisita in
una fusione per incorporazione, o nel caso di una nuova controllata che entra nell’area
di consolidamento, la perdita di valore è contabilizzata a rettifica del valore imputato
alle attività immateriali o all’avviamento, contabilizzati alla data di acquisizione. Se
invece la perdita di valore è dovuta a specifici eventi o a cambiamenti di circostanze che
sono avvenuti dopo la data di acquisizione, la perdita di valore è contabilizzata come
disposto dallo IAS 36168 e non come rettifica dell’ammontare assegnato all’avviamento,
che era stato contabilizzato alla data di acquisizione.
Il principio internazionale n. 38 dispone, infine, che per alcune tipologie di
attività immateriali un’impresa debba stimare il valore recuperabile come minimo ad
ogni fine esercizio, anche se non ci sono segnali che facciano prevedere una perdita di
valore; si tratta delle attività immateriali che non siano ancora disponibili per l’uso e di
166 Tale cambiamento deve essere contabilizzato come un cambiamento di stima, come stabilito dalloIAS 8 – Utile e perdita di competenza, errori determinanti e variazioni di principi contabili, perrettificare il costo dell’ammortamento per il periodo in corso e per i periodi futuri. L’ammortamentoaccumulato in passato rimane contabilizzato allo stesso importo: il cambiamento di metodo, infatti, andràeffettuato a partire dall’esercizio in corso e avrà valenza solamente per il futuro.167 Molto spesso, a riguardo, la contabilizzazione di un’eventuale perdita di valore può indicare che ilperiodo di ammortamento debba essere cambiato.168 In generale, una perdita di valore dovrà essere contabilizzata nel conto economico, anche se vi sonoregole particolari – come vedremo – per le attività che erano state rivalutate.
110
quegli intangibles che verranno ammortizzati per un periodo superiore ai venti anni
dalla data in cui saranno disponibili all’uso169.
2.3.7 – IAS 38: Cessioni e dismissioni
Un’attività immateriale deve essere stornata e conseguentemente eliminata
dall’attivo di stato patrimoniale quando è ceduta oppure quando ci si aspetta che non
genererà più futuri benefici economici attraverso il suo uso, e sarà, di conseguenza,
dismessa. Le eventuali plusvalenze o le minusvalenze derivanti dalla dismissione o
dalla cessione della suddetta attività devono essere determinate come differenza tra il
valore netto di cessione ed il valore contabile residuo dell’attività, dovendo essere
contabilizzate come un costo o un ricavo all’interno del conto economico. Nel caso in
cui un’attività immateriale sia scambiata con un’altra attività, ossia nel caso in cui si
verifichi una permuta, il costo dell’attività acquisita è uguale al valore contabile
dell’attività eliminata e non risulterà nessuna minusvalenza o plusvalenza. Un’attività
immateriale che è stata ritirata dall’uso attivo e rimane in rimanenza e destinata alla
vendita verrà valutata al valore contabile alla data in cui è stata ritirata. Almeno ad ogni
fine esercizio, l’impresa dovrà valutare se si è verificata una perdita di valore ed in quel
caso dovrà contabilizzarla come disposto dallo IAS 36170.
2.3.8 – IAS 38: Nota integrativa e altre informazioni
Così come in Italia, generalmente, la nota integrativa è lo strumento mediante il
quale integrare le informazioni quantitative offerte dai bilanci con quelle più
prettamente qualitative, al fine di migliorare la conoscenza delle varie poste di bilancio,
così lo IAS 38 richiede alcune informazioni aggiuntive, esplicative dei dati contenuti nei
prospetti di stato patrimoniale e conto economico. Al fine di fornire un’analisi
comparativa dettagliata tra quanto richiesto dalla disciplina italiana in merito alla nota
169 Il valore recuperabile deve essere determinato come stabilisce lo IAS 36 e l’eventuale perdita divalore contabilizzata coerentemente.170 Le stesse regole proposte in questo paragrafo sono contenute e riproposte nei principi contabiliitaliani.
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integrativa e il dettato dello IAS 38, proponiamo di seguito una tabella riepilogativa,
con specifico riferimento all’ambito delle attività immateriali
Tabella 5- Informazioni aggiuntive richieste dai principi contabili internazionali e italiani in meritoall'area delle attività immateriali
IAS 38 Principio Contabile n.24Il bilancio deve fornire le seguentiinformazioni, per ogni classe di attivitàimmateriale, distinguendo tra attivitàimmateriali generate internamente e altreattività immateriali: la vita utile o i tassi di ammortamento
utilizzati;
La nota integrativa deve fornire l’informazionerelativa al piano di ammortamento usato.
il metodo di ammortamento utilizzato; Il metodo e il piano di ammortamento usato.In particolare, per l’avviamento nell’ipotesi incui la durata dell’ammortamento sia superioreal periodo convenzionale di cinque anni,occorre dimostrare e motivare tale maggioredurata, evidenziando in nota integrativa glielementi specifici sulla base dei quali è fondatala determinazione della maggiore vita residua.
il valore lordo e il fondo ammortamento(aggregato con le perdite di valoreaccumulate) all’inizio e alla fine delperiodo;
una riconciliazione del valore contabile,all’inizio e alla fine del periodo, chemostri:1. gli incrementi, indicando
separatamente quelli sviluppatiinternamente o acquisiti con unafusione per incorporazione o a seguitodi nuove acquisizioni di controllate;
2. le dismissioni dall’attività produttivae le cessioni
3. incrementi o decrementi effettuatidurante il periodo risultanti darivalutazioni, perdite di valore oripristini di valore contabilizzatidirettamente contro le riserve delpatrimonio netto;
4. le perdite di valore contabilizzate nelconto economico secondo lo IAS 36;
5. i ripristini di valore contabilizzati nelconto economico secondo lo IAS 36;
6. gli ammortamenti contabilizzati nelperiodo;
7. le differenze di cambio nette derivantidalla traduzione del bilancio di unaentità straniera;
8. altri cambiamenti del valore contabileavvenuti nel periodo;
I movimenti delle immobilizzazioni,specificando per ciascuna voce il costooriginario, le precedenti rivalutazioni e quelledell’esercizio, le acquisizioni, i trasferimenti daun’altra voce, le alienazioni avvenutenell’esercizio, gli ammortamenti accumulati equelli dell’esercizio, le svalutazioni accumulatee quelle effettuate nell’esercizio, il totale dellerivalutazioni sulle immobilizzazioni esistentialla chiusura dell’esercizio.
le voci del conto economico nel qualel’ammortamento delle attività immaterialiè compreso;
Non previsto
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una classe di attività immateriali è unraggruppamento di attività con unanatura simile e stesso utilizzo inun’attività d’impresa. Esempi di separateclassi di immobilizzazioni immaterialisono:1. marchi;2. titoli pubblicitari;3. software;4. concessioni e licenze;5. copyright, diritti d’autore e altri diritti
di proprietà industriali;6. formule, modelli, disegni e prototipi;7. attività immateriali nella fase di
sviluppo;Le classi identificate possono essereraggruppate o disaggregate se ciòcontribuisce a rendere più intelligibile ilbilancio.
Lo stato patrimoniale deve rappresentare leattività immateriali secondo questaclassificazione:Immobilizzazioni immateriali:
1. costi di impianto e di ampliamento;2. costi di ricerca, di sviluppo e
pubblicità;3. diritti di brevetto industriale e diritti di
utilizzazione delle opere dell’ingegno;4. concessioni, licenze, marchi e diritti
simili;5. avviamento;6. immobilizzazioni in corso e acconti:7. altre;
Totale 171
Un’impresa deve fornire le informazioni sulleperdite di valore di un’attività immateriale,come richiede anche lo IAS 36, in aggiunta aquanto richiesto in precedenza
Le ragioni e l’ammontare della svalutazioneapportata per perdite durevoli di valore.
Un’impresa deve dare l’informazione circa lanatura e l’effetto del cambiamento nelle stimecontabili che abbiano un effetto significativonel periodo corrente o che ci si aspetta loabbiano in periodi successivi; tali informazionipossono riguardare i cambiamenti nel periododi ammortamento, nel metodo diammortamento, nei valori residui.
I cambiamenti dei metodo d’ammortamento edella residua vita utile ed i relativi effetti emotivazioni.
Il bilancio deve inoltre fornire le seguentiinformazioni:a. se un’attività immateriale è ammortizzata
per un periodo superiore ai venti anni, e leragioni del perché non sia stata rispettatala presunzione sulla vita utile diun’attività immateriale che non dovrebbeeccedere i venti anni dalla data in cuil’attività stessa è disponibile per l’uso. Nelfornire tali ragioni l’impresa devedescrivere i fattori che hanno giocato unruolo significativo nel determinare la vitautile della attività stessa;
Il Codice civile richiede per l’avviamento,qualora l’ammortamento sia stato calcolato suun periodo superiore ai cinque anni, di fornirele motivazioni della maggiore durataevidenziando nella nota integrativa glielementi specifici sulla base dei quali è fondatala determinazione della maggiore vita utile172.
b. una descrizione, il valore contabile e ilperiodo rimanente di ammortamento diogni attività immateriale individuata chesia rilevante nel bilancio;
Non previsto
c. per le attività immateriali acquistatetramite contributi pubblici e contabilizzateinizialmente al valore corrente: il valore corrente iniziale
Non previsto
171 In questo caso il riferimento non è al principio contabile n. 24 ma all’art. 2424 c.c.172 Anche in questo caso, in assenza di alcuna indicazione da parte del principio contabile n. 24, ilriferimento è all’art. 2427 c.c
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contabilizzato per queste attività; il loro valore contabile; il criterio utilizzato per la
contabilizzazione;d. l’esistenza e il valore contabile di attività
immateriali il cui titolo di proprietà siasoggetto a limitazioni e i valori contabilidi attività immateriali vincolate agaranzia di passività;
Non previsto
e. l’ammontare degli impegni per l’acquistodi attività immateriali;
Quando gli impegni consistono in rapportiobbligatori intercorrenti fra l’impresa e terzi,sono da iscrivere nei conti d’ordine, in calceallo stato patrimoniale, quando significativi, ese non riferiti alla attività ordinaria. La notaintegrativa deve riportare gli impegni nonrisultanti in calce allo stato patrimoniale.
Quando un’impresa descrive i fattori chegiocano un ruolo significativo nel determinarela vita utile di un’attività immateriale che èammortizzata in un periodo superiore ai ventianni, l’impresa deve fare esplicito riferimentoai fattori elencati più sopra e al paragrafo 80dello IAS 38.
Non previsto
Non previsto Il principio contabile con cui è statodeterminato il valore originario d’iscrizionedelle immobilizzazioni immateriali (il principiobase è il costo)
Non esplicitamente previsto Il criterio seguito per l’eventuale rivalutazionedel bene immateriale, la legge che l’hadeterminata, l’importo della rivalutazione, alloro ed al netto degli ammortamenti e l’effettosul patrimonio netto.
Capitalizzazione vietata per costi diversi daquelli di sviluppo.
La composizione delle voci “costi d’impianto edi ampliamento” e “costi di ricerca, disviluppo e di pubblicità”, nonché le ragionidell’iscrizione di tali voci, ossia le motivazioniche attribuiscono a tali voci il carattere dellapluriennalità.
2.3.8.1 - Informazioni richieste per intangibles contabilizzati secondo il metodo
alternativo
Come affermato in precedenza, lo IAS 38 prevede un criterio di contabilizzazione
per le attività immateriali definito alternativo173. Il criterio in questione consiste nel
valutare l’attività immateriale al valore corrente rivalutando il costo periodicamente, nei
limiti del costo inizialmente iscritto. In questo caso, però, l’impresa deve fornire alcune
informazioni aggiuntive nel bilancio:
173 Ricordiamo, ancora una volta, che la tecnica in questione è vietata in Italia.
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la data di riferimento della valutazione;
il valore contabile dell’attività immateriale rivalutata;
il valore contabile che sarebbe stato incluso nel bilancio se l’attività
immateriale fosse stata valutata in base al metodo preferito;
l’ammontare della rivalutazione positiva che si riferisce all’attività immateriale
all’inizio e alla fine del periodo, indicando i cambiamenti avvenuti nel periodo
e qualsiasi restrizione nella distribuzione delle riserve agli azionisti174.
2.3.8.2 - Costi di ricerca e sviluppo
Lo IAS 38 precisa che il bilancio deve dare informazioni aggiuntive in merito ad
ammontari aggregati di costi di ricerca e sviluppo contabilizzati nell’esercizio come
costo ed imputati al conto economico. Il paragrafo 117, in tal senso, incoraggia ma non
obbliga a dare le seguenti informazioni:
a. una descrizione di ogni attività immateriale completamente ammortizzata che è
ancora in uso
b. una breve descrizione di attività immateriali significative controllate
dall’impresa ma non contabilizzate come attività perché esse non hanno
soddisfatto le condizioni necessarie per la loro capitalizzazione, oppure perché
sono state acquistate o generate prima che lo IAS 38 diventasse operativo.
2.3.9 – IAS 36: Finalità
Lo IAS 36 stabilisce le regole contabili e definisce le procedure che assicurano
ad un’impresa di valutare le attività in base ad un importo che non sia superiore al
valore recuperabile dell’attività stessa e di identificare eventuali perdite di valore175.
174 Il paragrafo 114 aggiunge che potrebbe essere necessario aggregare alcune classi di attivitàimmateriali in classi più grandi per fornire le informazioni richieste. Tuttavia non è possibile effettuareaggregazioni se risultassero classi di immobilizzazioni immateriali che includono attività valutate con ilmetodo preferito e altre valutate con il metodo alternativo.175 Nonostante, come detto, questo obiettivo sia già perseguito dallo IAS 16 – Property, Plant andEquipment, e dallo IAS 38 – Intangible Assets, il principio contabile internazionale n.36 fornisce unadettagliata metodologia per identificare le perdite di valore delle attività.
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Secondo lo IAS 36, un’attività è contabilizzata ad un valore superiore al valore
realizzabile se il suo valore contabile è maggiore dell’importo che si potrebbe
recuperare attraverso l’uso o la vendita. In questo caso, si constata una perdita di valore
e il principio internazionale n. 36 richiede che tale perdita sia rilevata come una
svalutazione nel conto economico176. Il principio internazionale specifica inoltre come
accertarsi che si tratti effettivamente di una perdita di valore e descrive le metodologie
per determinare il valore recuperabile dell’attività, nonché l’eventuale necessità di
ripristinare il valore realizzabile quando le condizioni che avevano indotto ad effettuare
una svalutazione sono mutate. Lo IAS 36, quindi, si applica a tutte le perdite di valore e
alle conseguenti svalutazioni di qualsiasi attività, materiale, immateriale o finanziaria,
eccetto quelle per le quale esistano specifici principi contabili internazionali che trattino
in maniera specifica l’argomento177.
I principi contabili italiani, al contrario, non affrontano con uno specifico
documento l’argomento delle perdite di valore delle attività, ma ogni principio contabile
relativo alle diverse attività che compongono l’attivo dello stato patrimoniale affronta la
tematica della relativa valutazione, seppur in maniera meno sistematica di quanto fatto
dallo IAS 36178.
2.3.10 – IAS 36: Identificazione di un’attività da svalutare
Secondo lo IAS 36, come detto, quando il valore recuperabile di un’attività è
inferiore al valore contabile dell’attività stessa si deve procedere ad una svalutazione per
perdita di valore. Con il termine “attività”, il principio contabile internazionale intende
qualsiasi “bene facente parte del patrimonio aziendale” o alternativamente “unità
176 Secondo lo IAS 36, infatti, la perdita di valore deve essere sempre imputata al conto economico (o intaluni caso contro le riserve di rivalutazione) quando si constata che il valore contabile dell’attività èsuperiore al valore recuperabile (sia esso il valore d’uso o il valore netto di vendita) dell’attività stessa. Lacontropartita contabile della perdita di valore imputata al conto economico (o al patrimonio netto) èl’attività stessa, che verrà ridotta per adeguarsi al valore recuperabile.177 Si tratta in questo caso dello IAS 12 inerente le rimanenze, dello IAS 11 inerente le attività relative acommesse e lavori in corso su ordinazione e lo IAS 39 relativo alla contabilizzazione e valutazione deglistrumenti finanziari.178 In ogni singolo principio contabile del CNDC-CNR, infatti, sono definite le linee guida peridentificare la perdita di valore delle relative attività, i metodi contabili per il suo riconoscimento e lacorrezione del valore contabile della posta nel bilancio d’esercizio.
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operativa che genera flussi di cassa”179. Lo IAS 36, infatti, può essere applicato sia per
riconoscere una perdita di valore di un componente dell’attivo di stato patrimoniale, sia
per valutare se esiste una perdita di valore per unità operativa che genera flussi di cassa.
Lo IAS 36 dispone che un’impresa deve valutare, ad ogni data di chiusura del
bilancio di esercizio, se si sono verificate le condizioni affinché sia presumibile pensare
che un’attività potrebbe essere svalutata per una perdita di valore. Se alcuni indicatori
fanno presumere che potrebbe esistere una perdita di valore su un’attività, l’impresa
deve stimare il valore recuperabile dell’attività stessa180. Le condizioni che potrebbero
indicare una perdita di valore sono distinguibili tra fonti esterne e fonti interne; le prime,
hanno, chiaramente, origine all’interno dell’azienda e dipenderanno dall’uso che la
singola impresa vorrà fare del bene. Le seconde, invece, saranno esterne al possibile
controllo dell’azienda e saranno conseguenza di eventi di mercato, di situazioni
competitive contingenti e di influenze di soggetti terzi rispetto all’azienda. Di seguito, le
citeremo brevemente, così come fa lo IAS 36 stesso:
Tabella 6 - Possibili fonti e segnali di perdita di valore di un'attività
Fonti esterne Fonti interneDurante il periodo di riferimento, il valore dimercato dell’attività ha subito una forteriduzione: la riduzione non è collegata all’uso oal mero trascorrere del tempo, ma è unariduzione superiore alle aspettative;
Si ha evidenza di una obsolescenza tecnicadell’attività;
Durante il periodo si sono verificatisignificativi cambiamenti nella tecnologia, nelmercato, nella legislazione, nell’ambienteeconomico, con effetti negativi per l’impresa;tali cambiamenti potrebbero avere un effettonegativo sul valore dell’attività immobilizzata;
L’attività è stata danneggiata o comunque haperso buona parte della propria efficienzaproduttiva;
I tassi di interesse o gli altri indicatori chemisurano la redditività degli investimenti sonoincrementati, con la conseguenza che la
Durante il periodo si sono verificatisignificativi cambiamenti nell’impresa chehanno modificato o potrebbero modificare le
179 Lo IAS 36, infatti, può essere applicato sia per riconoscere una perdita di valore di un componentedell’attivo di stato patrimoniale, sia per valutare se esiste una perdita di valore per unità operativa chegenera flussi di cassa. Con questo termine, il principio internazionale intende “il più piccolo insieme diattività identificabile in un’impresa in grado di generare flussi di cassa grazie al suo utilizzo continuo”.Per poter identificare una simile unità, le entrate di risorse generate dalla unità operativa devono essereindipendenti dalle entrate generate dalle altre attività o gruppi di attività dell’impresa stessa.180 Come affermato in precedenza, lo IAS 36 precisa che, oltre alla singola attività riferita ai beni facentiparte dell’attivo patrimoniale, tale regola di valutazione è applicabile anche per le unità operative chegenerano flussi di cassa.
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variazione del tasso di attualizzazione utilizzatoper calcolare il valore d’uso dell’attività puòcomportare un significativo abbassamento delvalore recuperabile dell’immobilizzazionestessa;
condizioni di utilizzo dell’attività stessa; questicambiamenti includono piani diristrutturazione o che potrebbero comportarela cessione dell’attività stessa in un periodonon previsto dalle aspettative;
Il valore contabile dell’attività è chiaramenteincoerente con le quotazioni di borsadell’azienda;
Si ha evidenza contabile che i risultatieconomici di un’attività sono, o saranno,peggiori rispetto alle aspettative181
Lo IAS 36, onde evitare eccessi di prudenza nella valutazione del valore corrente
dell’attività e delle relative svalutazioni, precisa che qualora si evidenzi una condizione
che potrebbe far supporre una perdita di valore di un’attività, questo potrebbe indicare
che la vita utile residua, il piano di ammortamento o il residuo valore contabile
dell’attività potrebbero necessitare di un controllo. Di conseguenza, non è detto che si
debba immediatamente procedere ad una svalutazione dell’attività, ma si deve
determinare il valore recuperabile e verificare se esistono i presupposti per
contabilizzare una perdita di valore. Se l’esame evidenzia che ci si trova nel caso di una
perdita di valore, si procede alla conseguente svalutazione dell’attività in questione182.
2.3.11 – IAS 36: Determinazione del valore recuperabile
Lo IAS 36 definisce “valore recuperabile” l’importo maggiore tra il valore
realizzabile dall’alienazione (prezzo netto di vendita) dell’attività e il suo valore d’uso.
Il paragrafo 19 dello IAS 36 dispone che il valore recuperabile dovrebbe essere
determinato per ogni singola attività, a meno che l’attività da sola non sia in grado di
generare entrate: in questo caso è necessario identificare il gruppo di attività, o l’unità o
il ramo dell’azienda in grado di generare entrate a cui l’attività in esame appartiene.
181 L’evidenza contabile che indica che i risultati economici sono peggiori rispetto alle aspettative (equindi che un’attività potrebbe essere svalutata per una perdita di valore) è la seguente: a) i flussi di cassarelativi alla acquisizione dell’attività, o i costi relativi all’utilizzo e manutenzione dell’attività stessa sonomolto più alti rispetto a quanto preventivato in budget; b) i flussi di cassa netti, o i risultati operatividerivanti dall’attività sono peggiori rispetto ai budget; c) si verifica un declino del budget dei flussi dicassa netti o dei risultati operativi di un’attività, oppure aumenta il budget delle perdite operative ad essarelative.182 Il principio contabile internazionale puntualizza inoltre che il valore recuperabile non deve esserestimato ogni anno per tutte le attività: solo se sussistono alcune condizioni è necessario procedere allastima del valore recuperabile, oppure nel caso in cui periodo di ammortamento dell’avviamento ecceda i20 anni. Se una delle condizioni identificate (interne od esterne) si verifica, l’impresa non deve procedereimmediatamente alla contabilizzazione della perdita di valore, ma deve previamente calcolare il valorerecuperabile e, successivamente, verificare se esistono i presupposto per la svalutazione.
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Il valore realizzabile dall’alienazione è rappresentato, ad evidenza, dal prezzo
che scaturirebbe da un contratto vincolante per le parti, al netto dei costi direttamente
imputabili alla vendita stessa. Se non esiste un contratto vincolante, o non esiste un
mercato di riferimento attivo, il valore in questione è funzione delle migliori
informazioni di cui l’impresa è in possesso che riflettano l’ammontare che si potrebbe
realizzare dalla vendita, alla data di bilancio, contrattata a prezzi normali, con terze
economie ben informate e interessate, al netto degli oneri diretti da sostenere per la
cessione stessa183.
Il principio internazionale identifica, inoltre, le condizioni per determinare il valore
in uso e le relative fasi nelle quali il processo in questione si dovrebbe articolare:
1. stima dei futuri flussi di cassa, positivi e negativi, derivanti dall’uso dell’attività
e dalla sua eventuale vendita;
2. applicazione dell’appropriato tasso di sconto per l’attualizzazione dei flussi di
cassa;
Per determinare il valore in uso, dunque, secondo lo IAS 36, le proiezioni dei flussi
di cassa dovrebbero essere basate su ipotesi ragionevoli che rappresentino la miglior
stima effettuata dagli amministratori, delle condizioni economiche esterne che
esisteranno durante la rimanente vita utile del bene e i flussi di cassa attesi dovrebbero
essere basati su recenti budget o preventivi184.
Per quanto riguarda la seconda fase della stima, lo IAS 36 prevede che il tasso di
attualizzazione debba essere un tasso che tenga conto del diverso valore della moneta
nel corso del tempo185, in special modo per le proiezioni più lungo termine, ed i rischi
specifici connessi alla singola attività. A riguardo vengono forniti alcuni indicatori:
183 Naturalmente, non ci si riferisce a vendite forzate dell’ultimo minuto ma a normali cessioni di beniomogenei, in normali condizioni di mercato.184 Lo IAS 36 ha precisato che le proiezioni dei flussi di cassa attesi basati su questi dati dovrebberocoprire un massimo di cinque anni, a meno che sia giustificato l’uso di un periodo maggiore; al termine diquesto lasso di tempo, i dati verranno estrapolati attraverso l’utilizzo di tassi costanti di crescita o dideclino.185 A riguardo, lo IAS 36 prevede due specifiche alternative per tenere conto dell’effetto dell’inflazione.Il primo metodo identificato è quello di calcolare i flussi futuri di cassa in termini reali e quindi nonincrementarli per riflettere la futura inflazione: essi sono dunque attualizzati adottando un tasso di scontoreale. In alternativa, i flussi futuri potranno comprendere una stima dell’inflazione, ma essi dovranno
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dal punto di vista dell’impresa, il tasso da utilizzare potrebbe essere il costo
medio del capitale, ovvero il costo del denaro per i prestiti ottenuti, ovvero il
tasso esistente sul mercato per finanziamenti ad imprese simili;
il tasso dovrà essere considerato prima delle imposte: dovrà quindi essere
“nettato” dell’influenza delle imposte al fine di determinare il tasso reale;
il tasso dovrà essere diverso per ogni impresa, a seconda del grado di rischio ad
esse associato e delle caratteristiche dell’investimento che verrà finanziato;
il tasso di attualizzazione dovrà essere il più indipendente possibile dalla
struttura finanziaria dell’impresa e dal modo in cui l’impresa finanzia gli
acquisti e gli investimenti, dato che i flussi futuri attesi da un’attività sono
relativamente indipendenti dal modo in cui tale attività è acquisita dall’impresa;
2.3.12 – IAS 36: Riconoscimento e valutazione della perdita di valore di una singola
attività
Nel contesto del sistema a costi storici, se il valore recuperabile di un’attività è
inferiore al suo valore contabile, si deve ridurre il valore contabile di tale differenza in
modo da eguagliare il valore recuperabile. Questa differenza è definita dallo IAS 36
“perdita di valore”186. Questa verrà contabilizzata nel conto economico tra i costi187.
Dopo aver effettuato una riduzione di un’attività per perdita di valore, l’ammortamento
deve essere ricalcolato per tenere conto del nuovo valore contabile, del valore
realizzabile alla fine della vita utile e per riallocare in modo sistematico il costo
essere poi attualizzati sulla base di un tasso nominale di interesse, includente, quindi, il tasso di inflazioneatteso. Ovviamente non sono accettate valutazioni miste.186 Come noto, nei principi contabili italiani, le riduzioni di valore relative alle immobilizzazioni verrannoprese in considerazione solo nel momento in cui si trattino di perdite permanenti di valore, esistendoobiettive condizioni di irrecuperabilità del precedente valore del cespite.187 Lo IAS 36 precisa che nel caso l’attività sia stata in precedenza rivalutata, le perdite di valore devonoessere trattate come riduzione della rivalutazione, espressa dalla corrispondente riserva inclusa nelpatrimonio netto. In questo caso, è possibile ridurre la rivalutazione fino a concorrenza con il costooriginario dell’attività: l’eventuale eccedenza di perdita di valore rispetto alla rivalutazione effettuata inprecedenza si imputa al conto economico come costo.
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dell’attività sulla base della vita utile residua. Il ricalcolo del piano di ammortamento
deve essere effettuato lasciando il pregresso come un dato consolidato e considerando
solo il periodo compreso tra la data in cui la svalutazione è effettuata e la fine della vita
utile.
2.3.13 – IAS 36: Unità operative che generano flussi di cassa
Se esiste qualche indicazione che un’attività possa essere svalutata, dovrebbe
essere stimato il valore recuperabile di ogni attività. Se non è possibile stimare il valore
recuperabile di ogni singola attività, l’impresa dovrebbe determinare l’unità operativa
minima a cui l’attività in oggetto appartiene: unità, appunto, che è in grado di generare
flussi di cassa (il principio internazionale n. 36 chiama queste unità CGU – Cash
Generating Unit). Concretamente, il valore recuperabile di una singola attività non può
essere stimato quando il suo valore d’uso non è calcolabile188, oppure quando l’attività
non genera flussi di cassa derivanti dal suo uso continuo che siano indipendenti da
quelli di altre attività; in questi casi, il valore d’uso o il valore recuperabile potrà essere
determinato solo per l’unità operativa a cui l’attività appartiene189. Lo IAS 36, quindi,
definisce una CGU come “il più piccolo gruppo che include attività e che è in grado di
generare flussi di entrate a seguito del suo continuo utilizzo: tali entrate sono
ampiamente indipendenti dalle entrate che generano altre attività o altri gruppi di
attività”190.
Il valore recuperabile di una CGU sarà dato, come nel caso di una normale
singola attività, dal più altro tra il possibile prezzo di vendita della CGU (calcolato
relativamente ad un mercato attivo, se esistente) e il suo valore d’uso. Il valore contabile
188 Ad esempio, se non è possibile stimare in modo attendibile i futuri flussi di cassa direttamentederivanti dall’uso continuo dell’attività.189 A riguardo, è illuminante l’esempio fornito dallo stesso IAS 36 al fine di meglio spiegare comeidentificare e considerare una CGU: si pensi a caso di un’impresa mineraria che possiede una ferrovia asupporto dell’attività di estrazione. La ferrovia privata potrebbe essere venduta solo come rottame; inoltrenon genera flussi di entrata derivanti dall’uso continuo che siano indipendenti dalle altre attività relativealla miniera. Non è possibile determinare il valore recuperabile della ferrovia perché il valore d’uso nonpuò essere determinato in quanto la ferrovia non genera flussi di cassa indipendenti ma è ausiliariaall’attività di estrazione e probabilmente il valore d’uso della ferrovia differisce dal valore della stessacome rottame. In questo caso, è possibile identificare nella miniera l’unità operativa che genera flussi dicassa a cui la ferrovia appartiene: il valore recuperabile potrà quindi essere calcolato per la miniera nelsuo complesso e la valutazione dei flussi di cassa netti comprenderà la valutazione della ferrovia.190 Lo IAS 36 puntualizza che nell’identificare una CGU è necessario utilizzare un metodo il piùpossibile costante nel tempo, a meno che sia giustificabile un cambiamento.
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dell’unità operativa in grado di generare flussi di cassa dovrà quindi essere calcolato in
modo coerente con i metodi adottati per calcolarne il valore recuperabile, includendo il
valore delle sole attività che possono essere direttamente attribuite o allocate con
ragionevole certezza alla CGU e che genereranno i futuri flussi di entrate stimati nel
calcolo del valore d’uso e tralasciando il valore contabile di ogni passività, a meno che
il valore recuperabile della CGU non possa essere determinato senza considerare le
passività in oggetto. Questo perché nel determinare il valore d’uso ed il valore
realizzabile dall’alienazione della CGU non si devono considerare i flussi di cassa
generati da altre attività che non fanno parte della CGU e le passività che sono state già
riconosciute nello stato patrimoniale191.
2.3.14 – IAS 36: Ripristino di valore
Al paragrafo 95 dello IAS 36 viene precisato che un’impresa deve accertare ad
ogni data di bilancio se esistono indicazioni che una perdita di valore riconosciuta in
precedenti esercizi possa non avere più ragione di esistere o sia diminuita. Se esiste
qualche indicazione che possa far supporre una simile eventualità, l’impresa dovrebbe
stimare il valore recuperabile dell’attività stessa. Per verificare se esiste qualche
indicatore che mostri che la svalutazione di un’attività effettuata in passato non abbia
più ragione di esistere o si sia modificata nell’ammontare, l’impresa dovrà considerare
quelle fonti e quei segnali, interni ed esterni, citati in precedenza. Se ci sono degli
indicatori che fanno supporre che la perdita di valore di un’attività contabilizzata negli
esercizi precedenti potrebbe essere diminuita, o potrebbe non durare nel tempo, questo
potrebbe indicare che la vita residua, il metodo di ammortamento o il valore residuo
dell’attività stessa hanno necessità di essere riesaminati, verificando i principi contabili
internazionali specifici per quella attività.
Qualora in un periodo successivo il mutare delle circostanze renda non più
necessaria la svalutazione effettuata in passato, deve essere condotto il ripristino del
valore contabile, fino a concorrenza del valore recuperabile. Lo IAS 36 precisa, inoltre,
che una perdita di valore imputata al conto economico in passato può essere ripristinata
se, e solo se, si sono verificati cambiamenti nelle stime utilizzate per determinare il
191 Ricordiamo che in Italia non esistono principi di riferimento per valutare la perdita di valore di un
122
valore recuperabile di un’attività, a partire dall’ultima perdita di valore contabilizzata.
In questo caso, il valore contabile dell’attività deve essere incrementato fino al valore
recuperabile dell’attività stessa192. Lo stesso principio internazionale aggiunge, inoltre,
che l’aumento del valore contabile di un’attività – a seguito di ripristino di valore – non
deve eccedere il valore contabile che si sarebbe ottenuto, al netto degli ammortamenti,
in caso la perdita di valore non fosse mai stata contabilizzata nel passato. Importi
maggiori di questo limite costituiscono una rivalutazione di attività. Lo IAS 16 dispone
che il ripristino di valore deve essere imputato immediatamente come ricavo nel conto
economico, a meno che l’attività sia stata in precedenza rivalutata in base ad altri
principi contabili internazionali. In questo caso, lo IAS 16 precisa che il ripristini di
valore di un’attività rivalutata in passato dovrà essere contabilizzato come un
decremento di rivalutazione. Lo stesso principio internazionale, aggiunge che qualora si
adottasse il metodo di valutazione alternativo delle immobilizzazioni materiali – che
permette di valutare i beni in base al valore corrente alla data di rivalutazione meno gli
ammortamenti accumulati e le eventuali perdite di valore – l’eventuale decremento di
rivalutazione si imputa direttamente a riduzione della riserva di rivalutazione compresa
nel patrimonio netto. In questo caso, dunque, il ripristino di valore di un’attività
rivalutata in passato è portato a diminuzione della riserva di rivalutazione dell’attività
stessa, fino a concorrenza. L’eventuale eccedenza è imputata come costo nel conto
economico193.
A riguardo, lo IAS 36 richiede di fornire dettagliate informazioni in nota
integrativa, inerenti la dinamica contabile delle attività svalutate e rivalutate, sulle quali
però non ci soffermeremo dato il carattere meramente strumentale che l’analisi dello
IAS 36 assume ai nostri fini.
2.3.15 – IAS 22: Concentrazioni di aziende
Lo IAS 22 contempla due tipologie di integrazioni:
gruppo di attività che siano in grado di generare flussi di cassa.192 Lo IAS 36 definisce questo aumento di valore come “ripristino di valore”.193 Come noto, questa possibilità è esclusa dai principi contabili italiani. La perdita di valore, o ilsuccessivo ripristino di valore, di un’attività immobilizzata precedentemente rivalutata si imputanosempre, secondo il Principio contabile n.16 del CNDC-CNR al conto economico le svalutazioni alla voce
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Uniting of interests o fusione pura, nella quale non è possibile identificare una
parte acquirente
Acquisition o incorporazione: tutte le altre tipologie di integrazione devono
essere contabilizzate come acquisti
2.3.15.1 - Uniting of interests
E’ un’integrazione di imprese nella quale gli azionisti integrano il controllo sulla
totalità delle attività e delle operazioni, allo scopo di suddividere i rischi e i benefici
pertinenti alle attività fuse, in modo che nessuno possa esser chiaramente identificato
come acquirente194. In questo caso, i valori contabili di attività e passività vengono
mantenuti nell’impresa risultante dall’operazione, non dovendo contabilizzare alcun
avviamento. I bilanci degli esercizi precedenti, di conseguenza, vengono rielaborati
come se le due imprese fossero sempre state fuse.
2.3.15.2 - Acquisition
Con il termine in questione si intende un’integrazione di imprese nella quale
un’impresa (acquirente) ottiene il controllo delle attività nette e delle operazioni
dell’altra (acquisita), a fronte di un corrispettivo costituito dal trasferimento di attività,
assunzione di passività o emissione di azioni.
Senza dilungarci sulle motivazioni che potrebbero avere portato all’operazione
in questione, è evidente che, come in tutte le tipologie di acquisti, l’impresa acquirente
si attenderà con buona probabilità benefici economici futuri: per questo le attività e le
passività acquisite dovranno essere contabilizzate considerando probabile che se ne
otterrà un beneficio economico, per mezzo di una misura attendibile del loro costo e
soprattutto del loro valore corrente. Proprio a tale valore, infatti, le poste contabili della
società acquisita andranno contabilizzate nel bilancio consolidato. La differenza tra
“Altre svalutazioni delle immobilizzazioni”, mentre eventuali recuperi di valori in precedenza svalutatidevono essere iscritti nella stessa voce, con segno inverso rispetto a quello delle svalutazioni.194 I criteri per identificare questo tipo di operazioni sono: a) la sostanziale maggioranza delle azioni condiritto di voto sono scambiate o messe in comune; b) il valore corrente delle due imprese non differiscesostanzialmente; c) gli azionisti di ognuna delle due imprese mantengono sostanzialmente gli stessi dirittidi voto e quote di partecipazione, gli uni rispetto agli altri, che avevano prima dell’operazione.
124
costo di acquisto e valore corrente di attività e passività sarà contabilizzata come
avviamento.
Come nel caso delle attività immateriali, anche in questo caso si prevedono un
trattamento contabile preferito ed un trattamento contabile alternativo: seguendo il
primo, le quote di pertinenza di terzi non verranno valutate al valore corrente, mentre in
ossequio al secondo, anche queste potranno essere valutate al loro valore corrente195.
Le eventuali differenze di fusione o consolidamento, nonché l’avviamento, si
ammortizzano sulla vita utile che non può superare i venti anni, a meno che non sia
giustificato in nota integrativa un periodo più lungo: come già abbiamo visto per le
attività immateriali, le poste in questione dovranno essere riesaminate ogni anno per
identificare eventuali perdite permanenti di valore. Nel caso in cui queste dovessero
essere svalutate per perdite permanenti di valore, il loro valore contabile non potrà
essere reintegrato.
Nel caso limite in cui le differenze in questione dovessero essere negative196,
queste saranno imputate a conto economico negli esercizi in cui mi manifesteranno le
motivazioni che hanno portato alla valutazione di differenze negative197.
195 Come puntualizza il testo dello IAS 22, il valore corrente si quantifica con riferimento all’uso previstodall’acquirente.196 Ad esempio nel caso in cui siano dovute alla previsione di perdite future o di costi di ristrutturazionegià pianificati.197 Quindi, saranno di competenza degli esercizi in cui si verificheranno i suddetti costi di ristrutturazionee le probabili perdite future.
125
2.4 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I
PRINCIPI CONTABILI STATUNITENSI (SFAS 141, SFAS 142)
Nella realtà statunitense le modalità di contabilizzazione delle operazioni di
gestione straordinaria e dei beni immateriali198, sono radicalmente cambiate nel corso
del 2001 con l’emanazione da parte del Financial Accounting Standards Board
(FASB)199 di due nuovi principi contabili: lo SFAS 141 – Business Combinations e lo
SFAS 142 – Goodwill and other Intangible Assets. La necessità di una rinnovata
regolamentazione delle modalità di contabilizzazione delle operazioni di gestione
straordinaria e dei beni immateriali nasce dalla presa di coscienza di alcune esigenze
fortemente sentite dai diversi fruitori del bilancio di esercizio, tra le quali spiccano
sicuramente la necessità di uniformare le regole contabili relative alle operazioni di
198 In questo senso, le operazioni di gestione straordinaria, come già visto nel caso degli IAS, sono vistecome una delle possibili vie per costituire o acquisire beni immateriali.199 Fin dal 1973, il Financial Accounting Standards Board è stato l’organismo privato deputato a stabiliregli standard contabili applicabili in ambito americano.
126
fusione ed acquisizione, nonché l’esigenza di una più completa informativa contabile
relativa ai beni immateriali200.
2.4.1 - La situazione precedente
Le operazioni di gestione straordinaria hanno assunto nel corso dell’ultimo
ventennio una sempre maggiore rilevanza economica, non trovando, però, prima
dell’emanazione dello SFAS 141 una rappresentazione contabile univoca ed
omogenea201. Erano consentiti, difatti, due diversi metodi di contabilizzazione delle
business combinations: in ossequio al primo metodo – purchase method – che
presuppone l’acquisizione di un’azienda da parte di un’altra azienda, l’azienda
acquirente registra al costo di acquisto gli assets acquisiti meno le passività assunte. La
differenza tra il costo dell’azienda acquisita e il valore corrente (fair value) attribuibile
ai singoli assets materiali e ai beni immateriali identificabili era registrata come
avviamento (goodwill). Il metodo alternativo – pooling of interests – si applicava,
invece, alle operazioni che non comportavano il trasferimento o il consumo di risorse da
parte delle aziende coinvolte nella combination e che avevano come corrispettivo uno
scambio azionario. I diritti di proprietà si mantenevano in capo ai soggetti originari e
l’operazione veniva contabilizzata sulla base della continuità dei valori contabili delle
attività e delle passività apportate dalle aziende coinvolte nell’operazione202. I due
metodo, peraltro, non erano tra loro alternativi e sostitutivi: l’utilizzo del pooling
method era consentito solo se l’operazione era in grado di soddisfare 12 condizioni203,
mentre in tutti gli altri casi l’operazione doveva essere contabilizzata sulla base del
purchase method.
200 Come si può notare, sostanzialmente le stesse motivazioni hanno contribuito all’emanazione degliIAS nella forma in cui sono stati precedentemente descritti.201 La contabilizzazione delle business combinations era, infatti, disciplinata dal APB Opinion n. 16 –Business Combination, emanato nel 1970 dall’Accounting Principles Board (APB, appunto, in seguitodivenuto FASB).202 La principale differenza tra i due metodi, quindi, riguardava l’interpretazione economicadell’operazione di gestione straordinaria (acquisizione mediante trasferimento dei diritti di proprietà suun’azienda o unione di aziende). Di conseguenza, la rappresentazione contabile dei beni costituentil’azienda oggetto di questa operazione avveniva in base al principio del “costo d’acquisto” o, inalternativa, mantenendo la continuità dei valori contabili.203 Le condizioni in questione, senza procedere ad una loro elencazione, miravano ad accertare realmentei requisiti che introdotti in precedenza in merito ai diritti di proprietà in capo agli azionisti e all’effettivaoperatività delle aziende in questione.
127
Di fatto, però, molto spesso queste condizioni non erano in grado di discriminare tra
operazioni che a livello sostanziale non presentavano differenze ma erano formalmente
condotte secondo differenti soluzioni204. Tale situazione portava ad effetti negativi
quali:
L’ottenimento di risultati di bilancio altamente differenti per operazioni simili a
livello di contenuto economico, con la relativa limitazione di fornire una fedele
rappresentazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale
dell’impresa.
La non comparabilità dei dati di bilancio
Una distorsione competitiva nel mercato delle business combinations205
Di conseguenza, l’utilizzo del pooling of interests method, a differenza del purchase
method, prevedendo la continuità dei valori contabili originariamente iscritti, non
consentiva tra le altre cose l’evidenziazione dei beni immateriali acquisiti portando al
mero mantenimento dei beni immateriali eventualmente già iscritti nel bilancio delle
aziende partecipanti alla business combination. La crescente rilevanza strategica ed
operativa dei beni immateriali, quindi, nella maggior parte dei casi non trovava
un’adeguata corrispondenza nell’informativa contabile, dato che la rappresentazione a
bilancio degli intangibles era assolutamente incompleta e frequentemente assente206.
Sulla base delle suddette motivazioni il FASB ha avviato nel corso del 1996 un
progetto di revisione dei principi suddetti, processo che a seguito di vari passaggi, si è
concluso nel corso del 2001 con l’emanazione degli SFAS 141 e 142. Come emerge
anche dagli argomenti trattati, i due principi hanno un’origine comune e parallela e per
essere correttamente intesi devono venire letti congiuntamente.
2.4.2 - Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 141
204 Ciò in generale violazione del principio generale di predisposizione del bilancio della prevalenza dellasostanza economica dell’operazione sulla forma giuridica assunta da quest’ultima.205 Aziende che non erano in grado di soddisfare tutte le 12 condizioni previste per l’applicazione delpooling method, infatti, si sentivano svantaggiate in un’eventuale operazione di acquisizione rispetto adaziende che potevano adottare tale metodo.206 La contabilizzazione dei beni immateriali, nella realtà statunitense, fino al 2001 era disciplinata dalAPB Opinion n.17 – Intangible Assets emanato nel 1970 dall’APB e mai più rivisto. Analisti edutilizzatori del bilancio di esercizio hanno evidenziato più volte l’inadeguatezza del suddetto principio.
128
Le principali innovazioni apportate dallo SFAS 141 riguardano l’obbligo di
contabilizzare tutte le operazioni di business combination in base al solo purchase
method, la definizione, l’identificazione e la modalità di contabilizzazione
dell’avviamento nonché la definizione, l’identificazione e le modalità di
contabilizzazione dei beni immateriali.
2.4.2.1 - Metodo di contabilizzazione delle business combinations
La prima innovazione introdotta dallo SFAS 141 consiste nella previsione che
tutte le operazioni di business combination207 debbano essere contabilizzate in base al
purchase method. Senza dilungarci in merito alle fattispecie di operazioni a cui si
applica la disciplina contenuta nello SFAS 141, sono evidenti le motivazioni che hanno
portato il FASB a prevedere una simile ed univoca modalità di contabilizzazione: la
previsione di questo solo metodo migliora l’omogeneità e la comparabilità dei bilanci
delle imprese coinvolte in quanto meglio riflette i presupposti economici
dell’operazione, aldilà delle differenze formali. In particolare, si riuscirà a meglio
riflettere tramite i dati di bilancio l’investimento effettuato nella società acquisita e a
migliorare la completezza delle informazioni fornite in bilancio. In base al purchase
method l’operazione di business combination verrà registrata sulla base dei valori
scambiati, fornendo all’utilizzatore del bilancio una migliore informazione circa il
prezzo pagato per acquisire un’azienda. Tale circostanza consentirà peraltro, in un
secondo momento, una migliore e più precisa valutazione della performance dello stesso
nel tempo. In particolare, la più precisa definizione delle modalità di identificazione dei
beni immateriali in modo distinto dal goodwill e gli obblighi di disclosure previsti dal
principio SFAS 141, permetteranno di fornire una migliore informativa circa gli assets
acquisiti e le passività assunte in un’operazione di business combination. Tali
informazioni integrative dovrebbero infatti fornire agli utilizzatori del bilancio una
207 Lo stesso SFAS 141 premette che una business combination si verifica quando “un’entità acquisisceun insieme di assets che costituiscono un’azienda o acquisisce una partecipazione in un’altra entità edottiene in controllo su quella stessa entità”. Questo principio contabile, quindi, non riguarda le transazioniin cui il controllo è acquisito mediante altri mezzi rispetto all’acquisto di assets o di una partecipazione.
129
migliore comprensione delle risorse acquisite e accrescere la loro capacità di stimare la
redditività prospettica e i flussi futuri di cassa generabili dall’impresa.
2.4.2.2 - La definizione del concetto di goodwill
La scelta di prevedere un unico metodo di contabilizzazione per le operazioni di
gestione straordinaria è stata accompagnata da un’attenta analisi volta a migliorare le
modalità della sua applicazione. In particolare, data anche la sua rilevanza nei bilanci di
molte imprese che fanno della politica di M&A un punto forte della loro visione
strategica, il FASB ha voluto dedicare un’approfondita analisi all’avviamento e alla sua
natura economica. In merito all’importanza rivestita dall’avviamento nell’economia di
alcune società tra le principali imprese industriali statunitensi, si osservi la tabella
seguente: come si può notare, accade molto spesso che il peso dell’avviamento
all’interno dell’attivo di bilancio sia tutt’altro che trascurabile. Ne deriva la necessità di
prevedere metodi di contabilizzazione che permettano la reale espressione del reale
valore economico di questa “entità”, affrancandolo dalla visione troppo spesso
condivisa del goodwill come “voce spazzatura”. E’ altrettanto evidente come la
predisposizione di regole contabili poco chiare o non compatibili con la reale
importanza assunta questa voce di bilancio potrebbe permettere l’applicazione di
pratiche contabili tutt’altro che trasparenti.
Tabella 7 - Ammontare dell'avviamento contabilmente iscritto nel bilancio di alcune delle principaliimprese industriali statunitensi e incidenza del goodwill sul totale dell'attivo208
Nome gruppo Goodwill ($) Godwill / Totale
Attivo (%)
AOL TIME WARNER INC. 128.338.000.000 61,55%
VIACOM INC. 70.990.100.000 78,17%
VIVENDI UNIVERSAL 51.743.286.000 36,93%
ALTRIA GROUP INC. 37.548.000.000 44,19%
KRAFT FOODS INC. 35.957.000.000 64,44%
TYCO INTERNATIONAL LTD 35.310.400.000 31,73%
QWEST COMMUNICATIONS INT. 30.774.000.000 41,71%
208 Fonte: Bilanci consolidati esercizio 2001. Dati al 31/12/2001
130
INT.
AT&T CORP. 24.675.000.000 14,93%
BERKSHIRE HATHAWAY INC. 21.407.000.000 13,15%
WALT DISNEY CO. 17.083.000.000 34,14%
HEWLETT PACKARD CO. 15.089.000.000 21,34%
RAYTHEON CO. 12.298.000.000 46,17%
PROCTER & GAMBLE CO. 8.805.000.000 25,61%
Da un punto di vista operativo, infatti, il FASB ha evidenziato come nella voce
contabile comunemente detta “avviamento”, usualmente vengano incluse cinque
principali componenti aventi natura economica tra loro sostanzialmente differente:
1. la differenza tra il fair value delle attività e passività acquisite e il loro valore
contabile alla data dell’acquisizione;
2. il fair value degli assets non rilevati nel bilancio dell’azienda acquisita209, alla
data dell’acquisizione. Tra queste attività assumono estrema rilevanza gli
intangibles;
3. il fair value del going-concern element, relativo all’azienda acquisita210 . Tale
elemento corrisponde alla comune definizione di avviamento dell’azienda
acquisita, accettata anche nella realtà italiana;
4. il fair value delle sinergie attese e degli altri benefici economici derivanti dalla
gestione congiunta dell’azienda acquisita e di quella acquirente211;
5. l’eventuale sopra valutazione del corrispettivo pagato dall’azienda acquirente,
dovuta, ad esempio, alla fase di contrattazione;
Chiarite le componenti del goodwill, così come individuate dal FASB, risulta
evidente che le prime due, entrambe riferite all’entità acquisita, da un punto di vista
concettuale non dovrebbero essere incluse nell’avviamento. La prima, infatti, non può
209 Tali beni possono non essere stati rilevati per motivi differenti: perché non soddisfano i criteri diidentificazione separata, per problemi di attendibilità della loro misurazione, per un esplicito divieto operché l’acquirente ha ritenuto che i costi necessari per una loro identificazione separata fossero superioriai benefici.210 Come noto, tale elemento rappresenta la capacità di un’azienda avviata di conseguire, dall’insiemedegli assets detenuti e funzionanti, un rendimento superiore rispetto a quello ottenibile da una lorogestione separata.
131
essere considerata in sé e per sé un asset acquisito ma riflette esclusivamente plusvalori,
non espressi dal bilancio dell’impresa acquisita, su beni comunque contabilmente
evidenziati212. Così pure la seconda componente andrebbe estrapolata dalla residuale
voce dell’avviamento, essendo essenzialmente costituita dal valore dei beni immateriali
non identificati nel bilancio dell’azienda acquisita. Proprio in questa direzione, quindi,
si è mosso il processo di revisione delle modalità di applicazione del purchase method
al fine di consentire una corretta evidenziazione del goodwill, cercando di eliminare le
predette distorsioni, conservando all’interno dell’avviamento solo quei beni immateriali
generici che non soddisfano i criteri di identificazione separata più avanti evidenziati.
2.4.2.3 - La contabilizzazione del goodwill
Appurato dal FASB che l’avviamento è un asset a tutti gli effetti e,
conseguentemente, è accettabile la sua iscrivibilità separata a bilancio213, i principi
contabili statunitensi si preoccupano di fornire informazioni in merito a come
contabilizzare lo stesso; la misurazione iniziale del goodwill, definito come differenza
tra il costo dell’entità acquisita e l’ammontare netto delle attività e passività assunte
(fair values), deve avvenire al momento in cui si perfeziona un’operazione di
acquisizione aziendale. Il goodwill internamente generato, anche in ossequio ai principi
contabili statunitensi, non può quindi essere contabilizzato214. L’avviamento in
questione, inoltre, non dovrebbe essere considerato un asset aziendale riferibile
211 Tali benefici sono, ad evidenza, unici e specifici per ogni operazione di business combination e,quindi, il loro valore economico dipende dalla tipologia delle aziende coinvolte.212 Da un punto di vista economico, quindi, tale componente è riferibile all’azienda acquisita e non puòconcorrere alla determinazione del goodwill.213 Come similmente proposto per gli IAS, stabilisce il FASB che affinché un qualsiasi investimentopossa essere visto come un asset, questo deve soddisfare tre condizioni: a) l’investimento deve esserecorrelato ad un beneficio economico futuro; b) sia possibile attribuire il suddetto beneficio ad un’entitàche di questo investimento detiene il controllo; c) una transazione o altri eventi passati abbiano datoorigine al diritto, o al controllo da parte dell’entità, su tale beneficio economico. Affinché, inoltre, unasset possa essere separatamente iscritto a bilancio, come puntualizza il FASB stesso, questo deverispettare i requisiti di: a) definibilità; b) misurabilità; c) significatività; d) attendibilità.214 Lo SFAS 141 aggiunge che l’impresa acquirente, al fine di migliorare la quantificazione del goodwill,dovrà fare ogni sforzo al fine di: a) quantificare in modo corretto il corrispettivo dell’acquisizione; b)contabilizzare il fair value degli assets acquisiti e delle passività assunte, invece che il loro valorecontabile; c) assicurarsi che tutti i beni immateriali, che soddisfano i criteri di iscrizione separata, e chenon sono evidenziati nel bilancio dell’impresa acquisita, vengano autonomamente contabilizzati.
132
genericamente all’azienda acquirente, ma, al fine di migliorare l’informativa di bilancio,
dovrebbe essere attribuito a singole reporting units215.
Un ultimo aspetto, ma di capitale importanza a causa della sua portata
innovativa, è che il goodwill viene considerato, per presunzione, come un asset che ha
una vita economica indefinita, ma mai infinita. Tale presunzione, comporta che
l’avviamento non possa essere soggetto ad ammortamento sistematico ma debba esserne
verificato annualmente il valore, attraverso l’impairment test già visto all’interno della
disciplina IAS.
2.4.2.4 - Definizione, identificazione, contabilizzazione degli intangibles specifici
Come accennato in precedenza, anche lo SFAS 141 si occupa dei beni
immateriali specifici, innovando radicalmente le modalità di loro identificazione e
iscrizione a bilancio. Innanzitutto, il principio contabile in questione definisce i beni
immateriali come quegli assets aziendali (non di natura finanziaria) privi di sostanza
fisica. Nonostante tali beni abbiano un’incidenza sempre crescente sul totale dei beni e
dei diritti detenuti dalla maggior parte delle aziende, molto spesso questi stessi beni, a
seguito di operazioni di acquisizione, venivano generalmente ricompresi
nell’ammontare attribuito al goodwill. Tale situazione ha portato il FASB a prevedere
specifici riferimenti all’interno dello SFAS 141 e 142, al fine di migliorare la qualità e
l’utilità dell’informazione contabile, distinguendo ed identificando nella maniera più
precisa possibile quegli intangibles dotati del requisito di separabilità rispetto al
generico avviamento aziendale.
Il Board, quindi, ha concluso che, nell’identificazione delle attività acquisite e delle
passività assunte in un’acquisizione, l’entità acquirente deve iscrivere, in maniera
distinta rispetto al goodwill, i beni immateriali, anche se non evidenziati nel bilancio
dell’entità acquisita, che soddisfano particolari criteri (ossia i cosiddetti “beni
immateriali specifici”). In particolare, come prevede lo SFAS 141, in un’operazione di
gestione straordinaria, un bene immateriale deve essere contabilmente rilevato
215 La definizione di reporting unit è fornita dal principio contabile statunitense SFAS 131, che precisache col termine in questione si deve intendere una parte dell’impresa: a) che svolge un’attività dalla qualederivano costi e ricavi; b) per la quale è possibile identificare un responsabile dell’attività svolta; c) per laquale sono disponibili dati patrimoniali.
133
dall’entità acquirente come asset distinto dal goodwill se, e solo se, soddisfa
alternativamente uno dei seguenti criteri:
a. se il controllo sui futuri benefici economici deriva da un diritto contrattuale o
legale (contractual or legal rights criteria), indipendentemente dal fatto che tali
diritti siano autonomamente trasferibili o separabili dall’entità acquisita o da
altri diritti o obbligazioni.
b. Se l’asset immateriale è separabile (separability criteria), vale a dire se è in
grado di essere separato e diviso dall’entità acquisita e venduto, trasferito, dato
in licenza, affittato o scambiato, indipendentemente dalla circostanza che ci sia
la reale volontà di farlo216.
Gli intangibles specifici identificabili in modo autonomo rispetto al goodwill
devono essere contabilizzati sulla base del loro fair value alla data di acquisizione. Per
fair value, anche in questo caso, si intende l’ammontare al quale un determinato bene
potrebbe essere scambiato in una transazione tra parti disponibili, vale a dire non in una
situazione di vendita forzata o di liquidazione. Successivamente, il trattamento contabile
di questi beni viene differenziato in base alla distinzione tra beni immateriali aventi una
vita economica finita e intangibles aventi una vita economica indefinita, ma, come nel
caso dell’avviamento, per presunzione mai infinita217. Questo aspetto, tuttavia, solo
introdotto all’interno dello SFAS 141, è più ampiamente trattato nello SFAS 142,
specificamente riguardante i beni immateriali specifici.
2.4.3 - Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 142
Lo SFAS 142 disciplina le modalità di identificazione e di contabilizzazione dei
beni immateriali acquisiti singolarmente o congiuntamente ad altri assets, non
costituenti comunque un’impresa, nonché, a prescindere dall’oggetto dell’acquisizione
216 Il criterio della “separabilità” può dirsi soddisfatto anche se il bene immateriale non è individualmenteseparabile ma lo è congiuntamente ad altri contratti, attività o passività ad esso correlate.217 Lo SFAS 141 prevede anche specifiche informazioni da inserire in nota integrativa in merito alladurata della vita utile dei beni immateriali specifici e alla loro dinamica.
134
originaria (singolo asset, gruppo di assets o impresa), la successiva modalità di
valutazione e di iscrizione in bilancio dei beni immateriali e dell’avviamento218.
2.4.3.1 - Contabilizzazione dei beni immateriali specifici
Il principio contabile in esame prevede che tutti i beni immateriali, sia acquisiti
come parte di un più ampio gruppo di assets, sia individualmente, debbano essere
iscritti in base al loro fair value. Il FASB ritiene che al fine di identificare i beni
immateriali specifici sia possibile ricorrere ai criteri generali di identificazione della
attività aziendale, che la transazione, che avviene tra parti terze indipendenti fornisca
una sufficiente evidenza dell’esistenza dell’operazione e che il corrispettivo della stessa
costituisca una corretta stima del fair value dell’asset in questione.
Le modalità di successiva contabilizzazione dei beni immateriali specifici
dipendono direttamente dalla possibilità di determinare la loro vita utile residua219: un
bene immateriale con una vita utile determinabile verrà quindi contabilmente
ammortizzato, mentre un bene immateriale con una vita utile indefinita220 non sarà
oggetto di ammortamento ma dovrà essere oggetto di impairment test su base annuale.
Per la determinazione della vita utile di un bene, si rimanda a quanto visto in tema di
IAS, essendo estremamente simili i principi e le direzioni di analisi: è necessario, infatti,
fare riferimento ad eventuali previsioni legali o contrattuali che limitino la vita utile dei
beni, ad eventuali effetti di obsolescenza funzionale o tecnologica, nonché al livello di
spese di manutenzione attese che una volta superato può essere un’indicazione della
riduzione dell’efficienza e dell’utilità del bene stesso. In via residuale, quindi, si
determinano gli intangibles specifici a vita utile indefinita.
218 Lo SFAS 142 sostituisce l’APB Opinion n. 17 – Intangible Assets, in vigore dal lontano 1970, nonmodificando, però, la previsione già contenuta in tale principio contabile riguardante i beni immaterialiinternamente generati: i costi relativi ai beni immateriali internamente generati devono essere spesati almomento in cui vengono sostenuti. Così, infatti, il paragrafo 10 : “ I costi sostenuti per internamentesviluppare, mantenere o rivitalizzare beni immateriali che non siano passibili di specifica identificazionedevono essere spesati quando sostenuti”.219 Per vita utile (useful life) si deve intendere il periodo di tempo nel quale ci si attende che un assetcontribuisca, direttamente o indirettamente, alla generazione di flussi di cassa.220 Per vita utile indefinita si intende un periodo di tempo che eccede l’orizzonte attendibilmenteprevedibile. E’ bene precisare che indefinito non significa infinito e che non è possibile affermare che unbene immateriale possegga una vita utile indefinita solo perché risulta difficile determinare con precisionela sua vita utile finita.
135
I beni immateriali con vita utile definita, quindi, dovranno essere oggetto di
sistematico ammortamento: il metodo di ammortamento dovrà riflettere la dinamica con
la quale i benefici economici relativi al bene immateriale stesso sono consumati o
altrimenti esauriscono la loro utilità economica. Per quanto riguarda il metodo di
ammortamento, si rimanda a quanto evidenziato in ambito IAS, con la consueta
precisazione che il metodo scelto deve essere il più possibile aderente alla reale perdita
di valore economico del bene stesso. Gli intangibles soggetti ad ammortamento devono
comunque essere verificati ai fini di impairment nel caso in cui si dovesse verificare un
particolare evento (trigger event) che possa significativamente modificare il valore
economico del bene in questione: nel caso in cui questo si dovesse verificare, e quindi la
recuperabilità del bene essersi ridotta, il valore contabile del bene immateriale deve
essere soggetto a specifica valutazione ed eventualmente svalutato. Se tale circostanza
dovesse verificarsi, e quindi il valore contabile fosse maggiore del fair value, qualsiasi
perdita di valore iscritta andrebbe a ridurre il valore dell’asset, determinandone il nuovo
valore contabile: sarà poi vietato il successivo ripristino della perdita di valore
contabilmente iscritta.
I beni immateriali con vita utile indefinita, invece, non sono soggetti ad
ammortamento. Tuttavia la previsione di una vita utile indefinita non è di per sé non
riconvertibile: l’impresa dovrà quindi riconsiderare al termine di ogni periodo
amministrativo la decisione che un bene immateriale possegga una vita economica
indefinita221. Un bene immateriale che si presume abbia una vita utile indefinita, e che
quindi non viene sistematicamente ammortizzato, dovrà essere sottoposto a impairment
test almeno annualmente222. In concreto, quindi, l’impairment test consisterà nel
confronto tra il valore contabile del bene ed il suo fair value: nel caso in cui questo
risultasse inferiore al primo, si evidenzierà una perdita di valore del bene. Anche in
questo caso, però, sarà successivamente vietato il ripristino delle perdite di valore
precedentemente iscritte. L’avviamento, quindi, viene ricompreso tra gli assets
221 Se un bene immateriale non soggetto ad ammortamento è successivamente considerato possedere unavita utile finita, il bene immateriale deve essere contabilizzato al minore tra il suo fari value e il suovalore contabile; il bene, in questo caso, sarà ammortizzato prospetticamente, nel periodo corrispondentealla sua vita utile residua.
136
immateriali con vita economica indefinita: data questa presunzione, lo SFAS 142
prevede che l’avviamento debba essere sottoposto all’impairment test annuale e che non
possa essere mai sottoposto ad ammortamento sistematico223. Come tutti i beni
immateriali, quindi, il goodwill dovrà essere sottoposto ad una verifica di valore prima
del termine annuale se si è verificato un evento o si sono verificate circostanze che
possono indicare che è più che probabile che si sia verificata una perdita di valore.
CAPITOLO IIILa valutazione economica degli intangible assets
Nel corso del terzo capitolo tratteremo uno degli argomenti più importanti nel
momento in cui si vogliano gestire le risorse immateriali di proprietà di un’impresa,
ossia il processo che porta alla quantificazione del loro valore economico, molto spesso
222 Il bene immateriale in questione, come visto per gli intangibles a vita definita, dovrà essere sottopostoad una verifica di valore entro la scadenza annuale solo nel caso in cui esistano delle circostanze chepossono far supporre che il bene immateriale abbia perso di valore.223 Tale verifica di valore, come sottolineato in precedenza, dovrà essere effettuata a livello di reportingunit cui l’avviamento, o parte dello stesso, sarà stato allocato.
137
diverso dal valore contabilizzato delle stesse, a causa di pratiche contabili sovente non
coerenti con la realtà economica che vi sta alla base. Nel primo paragrafo, quindi,
espliciteremo alcuni dei motivi per i quali risulta necessario effettuare una attendibile
valutazione di uno o più intangible assets. Tra questi spicca la funzione strumentale che
questo processo riveste all’interno della più generale necessità di valutare il capitale
economico di un’azienda, inteso come un unicum. Dopo aver descritto questa
particolare funzione della valutazione economica degli intangible assets, descriveremo
il concreto processo che porta alla quantificazione del valore economico delle attività
immateriali, con particolare riferimento ai metodi di valutazione alternativi tra i quali
gli operatori si trovano a poter scegliere. Esamineremo, in particolare, tre macro-
approcci, a loro volta distinti in vari metodi a seconda del punto di vista che si
preferisce adottare e degli scopi prefissati dal valutatore. E’ possibile, quindi,
distinguere i metodi basati sull’approccio del costo, da quelli basati sul reddito da
quelli basati sui dati di mercato: i primi si fondano sull’esplicitazione dei costi sostenuti
nel corso del tempo per poter disporre del bene oggetto di valutazione; i secondi si
basano sulla quantificazione dei flussi economici o finanziari futuri di pertinenza del
bene immateriale, mentre i terzi contano sull’utilizzazione di dati di mercato per
transazioni simili o ottenuti grazie a particolari convenzioni accettate tra gli operatori:
non esistendo alcun metodo in assoluto migliore degli altri, la scelta dovrà essere
basata sulla particolare attività oggetto di valutazione e sui dati a disposizione. Al fine
di riassumere le possibilità a disposizione del valutatore, verrà presentata una tabella
contenente le principali scelte condotte nel corso del tempo dagli operatori, in relazione
alle differenti tipologie di attività immateriali. Al termine del capitolo, quindi, si avrà
una completa panoramica in merito ai principali metodi valutativi di volta in volta
utilizzabili al fine di esplicitare il reale valore economico degli intangibles.
138
3.1 – PERCHÉ QUANTIFICARE IL VALORE ECONOMICO DEGLI
INTANGIBLE ASSETS
Prima di procedere ad illustrare i metodi di stima del valore economico di una
attività immateriale, risulta preliminarmente necessario identificare quali potrebbero
essere le principali ragioni per le quali ci si trova a dover individuare il valore
economico di un intangible. L’elenco che segue, di conseguenza, cerca di enucleare le
139
principali motivazioni che potrebbero portare al sorgere della necessità di fornire una
valutazione di queste attività.
La valutazione del capitale economico d’impresa
Tale situazione, che coincide con il processo valutativo aziendale in senso lato,
richiede l’apprezzamento di tutte le componenti aziendali, tanto materiali quanto
immateriali, che offrono un loro contributo al processo di creazione di valore.
Queste ultime, in particolare, vengono valorizzate nei loro contenuti patrimoniali e
nei corrispondenti riflessi reddituali o finanziari, in funzione del metodo utilizzato,
attraverso opportune metodologie, analizzate nei paragrafi successivi. E’ da notare,
in tal senso, come la considerazione in maniera esplicita dei beni immateriali e del
loro valore, consenta di ottenere alcuni vantaggi significativi, tra cui vanno
sottolineati l’opportunità di ridimensionare quella voce residuale ed indifferenziata
comprendente valori eterogenei costituita dall’ “avviamento”, nonché la possibilità
di disporre di una maggiore precisione dei valori di stima del capitale economico
aziendale così ottenuti. Considerando esplicitamente la presenza di intangible assets
ed effettuandone una loro separata valorizzazione, sarà possibile – ad esempio –
scontare quote d’ammortamento riferite ai singoli beni immateriali identificati,
maggiormente espressive del reale valore economico dei beni stessi, oppure ancora
valorizzare beni e conoscenze connaturate all’azienda stessa, difficilmente
quantificabili in altro modo.
Determinazione del corrispettivo a fronte della vendita di un intangible
Questa fattispecie si verifica in occasione della cessione di una specifica attività
immateriale o quando obiettivo è l’acquisizione di un bene immateriale al fine di
qualificare la propria posizione competitiva. A differenza della precedente
situazione è oggetto di autonoma valutazione solo il singolo bene immateriale,
identificato nella sua individualità. Tale stima, finalizzata normalmente ad ottenere
un parere indipendente sul valore del bene stesso, può ricorre in occasione sia di
140
operazioni di compra-vendita, sia quando gli intangibles siano oggetto di
conferimento in nuove iniziative imprenditoriali224.
Determinazione del corrispettivo a fronte della concessione in uso di intangibles
Similmente alla precedente fattispecie, in questo caso la necessità di identificare il
valore economico di un bene immateriale sorge in sede di determinazione e di
dimostrazione della congruità dei corrispettivi dovuti a fronte della concessione in
uso del bene immateriale oggetto di stima. In tal senso, la valutazione del bene
concesso al licenziatario si rende opportuna dal momento che la misura del
corrispettivo richiesto a quest’ultimo – generalmente sotto forma di royalties o di
una quota percentuale del valore del bene stesso – dipende quasi sempre dal valore
dell’intangible stesso.
In sede di formazione del bilancio d’esercizio secondo i nuovi principi contabili
Si tratta di una finalità divenuta di grande attualità negli ultimi anni e direttamente
collegata con lo sviluppo di sistemi contabili omogenei, generalmente riconosciuti
ed accettati. Più precisamente, in questo contesto, la stima dei beni immateriali si
connette a due scopi principali: l’allocazione, per fini contabili, del prezzo
sopportato in sede di acquisizione/incorporazione di un’azienda alle varie classi di
attività; l’impairment test, cioè il controllo – tipicamente annuale – del valore del
goodwill e degli intangibili specifici di durata indeterminata, al fine di ridurre
eventualmente il valore contabile, secondo i principi di un corretto ammortamento
economico. Per quanto riguarda il primo aspetto, è evidente il collegamento con
l’obbligatorietà di contabilizzare le acquisizioni di aziende, le fusioni, le scissioni ed
altre operazioni straordinarie con il cosiddetto purchase method225. A tal fine,
224 Cfr. art. 2343 c.c., comma 1 : “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazionegiurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente ladescrizione dei beni o dei crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essiattribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo e i criteri divalutazione seguiti […]”.225 Cfr. IAS n. 22; il purchase method si applica tutte le volte in cui la sostanza dell’operazione consistenell’acquisizione di una società, ossia quando sia possibile identificare una società acquirente ed unaacquisita, sulla base della dinamica economica dell’operazione in questione. Questo metodo comporta chele attività e le passività trasferite vadano espresse nella contabilità della società acquirente a valoricorrenti con la conseguenza che l’eventuale eccedenza tra il costo di acquisto – nella fusione ilcorrispettivo è costituito dal valore delle azioni emesse al fine del con cambio – ed il fair value delleattività e passività trasferite sia imputato ad avviamento.
141
partendo dal prezzo – ovvero dal costo totale sostenuto per l’acquisizione
dell’azienda – si rende necessario un processo di ri-allocazione che deve fornire alla
contabilità tutti i valori analitici necessari ai fini del controllo del bilancio.
L’attribuzione, che interessa ovviamente tutte le attività materiali, i crediti, i debiti,
gli accantonamenti – e in linea generale tutte le tradizionali poste contabili –
riguarda anche le attività immateriali. A riguardo l’imputazione avviene su due
livelli: innanzitutto distinguendo tra goodwill e intangibili specifici, suddivisi per
classi; la suddivisione risponde anche all’intento di distinguere gli intangibili a
durata indeterminata da quelli a durata definita; per i primi si pone l’esigenza del
test annuale di valore, mentre per i secondi l’impairment può essere necessario solo
in caso di eventi straordinari. Proprio l’impairment test offre un’ulteriore
motivazione per cui valutare i beni immateriali, fondata sulla necessità di sostituire
il sistematico ammortamento – costituito da una quota percentuale di
ammortamento, sostanzialmente fissa, annuale – con un ammortamento
maggiormente rispondente a criteri economici, che rifletta cioè la reale dinamica del
valore, corrispondente alla riduzione intervenuta nel valore corrente226. Si pongono,
in proposito, tutti i problemi di misura dei beni intangibili, misure che – più che mai
– devono essere condotte secondo criteri razionali, affidabili, coerenti e dimostrabili.
Tutte queste necessità sono imposte dal fatto che le stime di impairment influenzano
direttamente i risultati contabili delle imprese e modificano oltre che i tipici
indicatori di redditività dell’impresa, anche lo stesso bilancio della società in
questione, influenzando – di riflesso – i giudizi degli investitori e degli operatori del
settore227.
Al fine di usufruire di opportunità di natura fiscale
Il riconoscimento da parte della legislazione fiscale di numerosi Paesi della
possibilità di ammortizzare i beni immateriali ha prodotto un duplice e correlato
effetto: da un lato, l’attenzione della dottrina e della prassi valutativa si è focalizzata
226 Cfr. IAS n. 36. Salvo che per nuove acquisizioni, non si contabilizzano mai eventuali aumentiintervenuti nel valore dell’attività oggetto di impairment test.227 Come autorevolmente sostengono Guatri L. e Bini M., Impairment 2: Gli intangibili specifici, Egea,Milano, 2003, : “Le scelte di impairment rappresentano la maggiore sfida che, in linea con le esigenzedei tempi, si pone alla misurazione del goodwill e degli altri intangibili specifici: una sfida che deveessere affrontata con rigore, che non ammette improvvisazioni, incompetenze e superficialità, se nonvogliamo che il tanto deplorato ammortamento sistematico – che elude qualsiasi logica economica
142
su quell’entità apparentemente monolitica, rappresentata dal goodwill, allo scopo di
isolare i fattori immateriali che, potendo essere preventivamente identificati, saranno
suscettibili di autonoma valutazione e ai quali può essere assegnata una vita
economica residua ben definita; dall’altro, sono cresciute le istanze del soggetto
economico acquirente volte a beneficiare, in sede di determinazione del reddito
imponibile, di tutte le deduzioni fiscalmente riconosciute a titolo di ammortamento.
Ciò richiede, evidentemente, la preventiva individuazione e valorizzazione delle
attività aziendali, tra le quali rientrano non solo i cespiti tangibili ma anche tutti i
beni immateriali.
In occasione di controversie e di liti giudiziarie
Per loro natura, i beni immateriali si prestano a violazioni, di tipo legale e
contrattuale, e sono, dunque, spesso al centro di liti giudiziarie e di cause di
risarcimento. E’ quanto avviene, ad esempio, nel caso di utilizzo abusivo di un
marchio commerciale o di un brevetto da parte di un soggetto economico che non ne
possieda la titolarità; oppure nel caso in cui il licenziatario di un intangible
contravvenga col proprio comportamento alle norme contrattualmente stipulate tra
le parti. In numerose circostanze, infatti, per dirimere la controversia e stabilire
l’entità dell’eventuale danno causato, risulta preliminarmente necessario stabilire il
valore del bene immateriale oggetto della violazione.
3.1.1 - Intangibles e stima del valore del capitale economico d’azienda: un
approfondimento
Dato lo stretto collegamento esistente tra valorizzazione dei beni immateriali e
stima del capitale economico d’azienda, risulta necessario dedicare un ulteriore spazio
alla disamina delle relazioni intercorrenti tra questi due argomenti, anche in funzione
della grande importanza rivestita dalla valutazione d’azienda in molteplici situazioni; si
pensi, ad esempio, alla necessità di stimare il valore di un’azienda nel momento in cui si
voglia procedere ad una valorizzazione delle sue azioni, tanto in un’ottica di trading,
quanto con finalità di acquisizione e controllo dell’azienda stessa. Oppure quando risulti
poiché è pura convenzione – non faccia rimpiangere che la sua sostituzione avvenga oscurando, anziché
143
necessario valorizzare il capitale aziendale in un’ottica di cessione della società
funzionante ad un altro soggetto economico. In tutte queste situazioni, generalmente, si
viene a creare una evidente discrepanza tra il prezzo corrisposto per la società target (P
= costo totale dell’acquisizione) e il valore di libro del capitale netto della società target
(BV = book value). Il “divario di valore” (∆W = differenza tra prezzo pagato e valore
contabile acquisito) è generalmente esprimibile come:
BVPW −=∆
e idealmente attribuibile a diverse componenti:
a. ∆W riguardante le attività e le passività contabilizzate: cioè divario tra valore
corrente e valori di bilancio delle poste contabili (in particolare
immobilizzazioni tecniche, partecipazioni, magazzini, crediti e tutte quelle poste
la cui valorizzazione al costo storico non risulti in linea con il loro effettivo
valore economico)
b. ∆W riguardante i beni non contabilizzati: tipicamente gli intangibili specifici
che comprendono tanto quelli iscrivibili in contabilità – rispondenti ai requisiti
di separabilità, derivazione da diritti contrattuali e tutti gli altri evidenziati nei
paragrafi precedenti – quanto quelli non iscrivibili secondo i principi contabili
per mancata rispondenza ai requisiti individuati.
c. ∆W riguardante il goodwill: l’avviamento, in sintesi, può comprendere la parte
attribuibile alla società acquisita nonché le sinergie attese dall’acquisizione
stessa.
d. ∆W derivante da sopravvalutazioni riferibili ad eventuali errori di stima in
eccesso del valore economico del capitale o ad una sopravvalutazione derivante
dal gioco delle forze contrattuali intercorrenti tra società acquirente e società
target.
Quanto descritto in precedenza può essere efficacemente riassunto nel grafico
proposto di seguito in cui la situazione base è rappresentata dal caso 2, corrispondente
ad un’azienda il cui valore è stimato in misura pari al suo valore contabile o “di libro”;
chiarendo, i risultati aziendali, di gruppo e di aree d’affari”.
144
essa non esprime alcuna maggiorazione né per plusvalenze su beni materiali (caso 3), né
tanto meno per beni immateriali (caso 4) e per avviamento (caso 5). Il caso 1, invece,
corrisponde all’ipotesi di un’azienda con W al di sotto del valore contabile.
Figura 11 - Scomposizione del valore di capitale economico di un'azienda
dove:
VC = valore contabile del capitale netto (valore di libro, Book Value)
P = plusvalenze su beni materiali
BI = valore di beni immateriali specifici
A = valore di avviamento
Nel caso 5, corrispondente alle aziende a più alta redditività, come visto in
precedenza, la differenza
)( PVCW +−
è in parte attribuita ai beni immateriali specifici (BI) ed in parte ad avviamento (A). La
suddetta scomposizione è anche connotata dalle seguenti caratteristiche:
Bad
will
Goodw
ill
VC VC VC VC
P P P
BI BI
A
(1) (2) (3) (4) (5)
Redditività
Valore (W)
145
a. è giudicata – quando risulti possibile – utile per definire in termini quantitativi lo
stock di beni immateriali, la cui dinamica nel tempo (per effetto di aggiunte,
cessioni o ammortamenti) può risultare significativa; il fatto di monitorare
attentamente la dinamica di questi beni permette, come sostenuto in precedenza,
una migliore specificazione della voce “avviamento”, che costituisce l’unica
alternativa alla separazione proposta. Senza questa specificazione, già a partire
dal caso 4, non avremmo che un'unica voce generica definita come goodwill.
b. La distinzione tra le voci di BI ed A è, inoltre, da intendere come meramente
indicativa e passibile di elevata imprecisione, a causa delle incertezze
metodologiche ed applicative che si accompagnano alla stima degli specifici
beni immateriali.
In merito a questa stessa composizione, è interessante notare quanto affermato da
Penman228, il cui pensiero è riassumibile nei seguenti concetti base, rintracciabili anche
in altri passaggi del nostro lavoro:
a. gli intangibili, come qualsiasi altro valore, possono essere riconosciuti solo se
misurabili con ragionevole precisione e se possono essere supportati con
obiettiva evidenza (cosiddetto “criterio di affidabilità”, reliability criterion)
b. questo criterio è la manifestazione, sul piano contabile, della massima degli
analisti “non mescolare la speculazione con la conoscenza” (in questo senso è
affidabile la contabilizzazione dei beni immateriali, separatamente dal goodwill
per i quali sia stato pagato un prezzo)
c. condizione essenziale per attribuire un valore agli intangibili è che esista per
l’azienda uno scenario di utili e che esso esprima un rendimento maggiore del
costo del capitale.
Oltre che a livello patrimoniale, la considerazione degli intangibles nel processo di
determinazione del valore del capitale economico aziendale, presenta riflessi anche sul
piano prettamente reddituale: da più parti, infatti, si è percepita la necessità di integrare i
228 Cfr. Penman S.H., Value and Prices of Intangible Assets: An American Point of View, realzione tenutaal convegno “Valore e prezzi delle azioni nell’era degli intangibili”, Milano, Università Bocconi, 25ottobre 2002.
146
risultati contabili periodici tenendo conto della variazione nel tempo dello stock di beni
intangibili, identificabile – rifacendoci ai simboli introdotti in precedenza – con ∆BI.
Come evidenziato da Guatri229 già negli anni Ottanta, il risultato economico di periodo
del complesso aziendale può essere idealmente scomposto in due addendi:
– la variazione del capitale netto contabile, universalmente accettata come misura
del reddito periodico creato dall’azienda (∆C);
– la variazione del valore dei beni immateriali (∆BI);
Se in merito alla prima componente non risulta necessario produrre alcuna
osservazione chiarificatrice, tanto condivisa è la stessa come misura del reddito di
periodo aziendale, in merito alla seconda variazione, che sfugge usualmente alla
rilevazione contabile e non di rado assume peso apprezzabile rispetto alla prima, risulta
necessario fornire qualche puntualizzazione. Basti pensare, ad esempio, al caso di
aziende che rallentano o annullano la spesa pubblicitaria o che contengono fortemente le
spese di ricerca: nel breve termine, queste politiche possono anche migliorare
sensibilmente i risultati economici, a favore di una più accentuata redditività; ma nel
lungo periodo, ciò non può che tradursi nella perdita di capacità di reddito futura – ossia
nell’attesa di minori risultati futuri, evidente causa di perdita di valore per l’impresa230.
Il fatto di trascurare gli investimenti in ricerca sviluppo, pubblicità, e in tutti quei campi
che, a fronte di uscite di competenza del periodo t, offriranno apprezzabili effetti
positivi solo al tempo nt + , non può che comportare una diminuzione della
competitività futura dell’impresa nei confronti delle altre aziende che, al contrario,
hanno sostenuto tali costi, privilegiando un’ottica di lungo periodo e sacrificando
margini di redditività immediati e di sicuro effetto agli occhi di operatori esterni, non
adeguatamente informati, a favore di una maggiore redditività futura derivante dai
maggiori investimenti sostenuti al presente. Il vero problema, a riguardo, non è tanto il
fatto di convincere operatori e manager della veridicità di tale visione, quanto piuttosto
229 Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano, ult. ed.230 Si pensi, ad esempio, a quanto è accaduto e tuttora accade in numerose imprese in difficoltà: per anniesse sono riuscite, in tale modo, a non rendere evidente all’esterno risultati in realtà fortemente negativi,ma questi comportamenti hanno anche posto le premesse dell’inevitabile crollo futuro.
147
di trovare un modo attraverso il quale sia possibile tenere conto di questo “differenziale
fantasma”231.
In termini moderni, si usa dare a questo fenomeno una rappresentazione
leggermente diversa da quella qui proposta, privilegiando un’ottica temporale più che
causale: si parla, in tal senso, di sistematici “differimenti” (earning lending) o
“anticipazioni” (earning borrowing) di utili da un anno all’altro. Se i costi dei beni
immateriali si sostengono con anticipo di alcuni anni rispetto ai ricavi che essi
generano, la loro mancata iscrizione nei conti è all’origine di due fenomeni:
– quando si investe più di quanto gli intangibili deperiscano232 (creazione di
valore intangibile), si prestano utili agli anni futuri (è come dire che si
sottostimano i risultati correnti);
– quando si investe meno di quanto gli intangibili deperiscano (distruzione di
valore intangibile) si prendono a prestito utili dal futuro (è come dire che si
sovrastimano i risultati correnti);
Solo nel caso in cui gli investimenti in beni immateriali siano realizzati in una
successione temporale ordinata e siano sopportati costi costanti per la loro
“manutenzione” si avrà una continua ricostituzione della dotazione di intangibles: solo
in questa situazione il reddito contabile coincide con il risultato economico233. Se
invece, come accade nella realtà, gli investimenti maturano in forma non ordinata e in
via discontinua, dando luogo ad accumuli e diminuzioni drastiche della dotazione di
beni intangibili, il risultato contabile finisce con il perdere di significato. A riguardo,
sottolineano autorevolmente Guatri e Bini234 come “l’accelerazione della dinamica
competitiva ha generato in capo alle imprese l’esigenza continua di trasferire risorse
intangibili nel tempo, con la conseguenza non solo di ridurre, come già detto, il
231 Cfr. Guatri L., op. cit.232 In questo caso torna ancora di maggiore attualità la necessità di imputare quote di ammortamentorealmente corrispondenti all’effettivo deperimento in termini di utilità economica del bene, tralasciando laprassi contabile dell’ammortamento sistematico a quote costanti: in tal senso, come evidenziato inprecedenza, si dirige l’implementazione del periodico impairment test sul valore dei beni immateriali.233 E’ evidente in tal caso, il richiamo ai modelli dinamici di crescita del capitale investito, e il richiamoal tasso di crescita di steady state.234 Cfr. Guatri L. e Bini M., op. cit., p. 32
148
contenuto informativo dell’utile contabile, ma anche di rendere instabile la relazione
fra utile contabile ed il vero risultato economico”.
Riprendendo la simbologia introdotta in precedenza, è possibile proporre la
definizione di REI (Risultato Economico Integrato), quale aggregato capace di tenere in
considerazione gli appunti prima mossi e di compendiarli in un unico indicatore,
espresso dalla seguente formula:
PLBIEREI ∆+∆+=
dove:
E = reddito contabile (possibilmente normalizzato) di periodo
∆BI = variazione di valore degli intangibili nel periodo di riferimento235
∆PL = variazione derivanti da plusvalenze e minusvalenze (inespresse
contabilmente) su beni materiali, crediti e debiti nel periodo236.
La misura del REI a livello consuntivo fa propri tutti i problemi legati alla misura della
dinamica dell’intangibile di anno in anno: l’indicatore in questione, infatti, risente della
mancanza di un criterio di specificazione in merito a come calcolare il valore di BI da
tenere in considerazione; limitare l’ottica di analisi al mero dato contabile, non farebbe
che riproporre in forma leggermente diversa il problema della corretta valorizzazione
economica dell’intangible. Vi è anche, in secondo luogo, il problema delle variazioni
degli intangibili attese per gli anni a venire ( nttt BIBIBI +++ ∆∆∆ ,,, 21 K ), nel momento in
cui si vogliano produrre stime del capitale economico dell’azienda che si fondino sulla
puntuale esplicitazione dei flussi di reddito futuri. Infatti, anche quando sia noto che su
di un periodo storico di n anni il ∆BI assume una certa misura in relazione al REI, ciò
non rappresenta una garanzia del fatto che negli anni a venire si verificherà la medesima
235 Il ∆BI, cioè la variazione dello stock di intangibili in un certo periodo ( 1−−=∆ ttt BIBIBI ) è unaquantità storica misurabile periodo per periodo esaminando i dati di bilancio, come pure proiettabile nelfuturo per stime di carattere previsivo.236 In merito a questa componente è opportuno sottolineare come col passare del tempo sia andataperdendo di peso, salvo casi sporadici, tanto nella pratica quanto nella teoria finanziaria, soprattutto perquei paesi caratterizzati da bassi tassi di inflazione: sembra, tuttavia, ingiustificato tralasciare l’analisi diquesta componente in quei paesi le cui economie sono state per decenni caratterizzate da alti tassi diinflazione, dai quali sono derivati scostamenti spesso sensibili tra valori contabili e valori correnti di
149
situazione. La proiezione, infatti, dipenderebbe da molteplici fattori spesso di difficile
identificazione e derivanti da influenze esterne di contesto. Nonostante questi limiti,
comunque, sia l’analisi storica sia la proiezione futura dei probabili ∆BI sono
fondamentali e necessarie per integrare le stime proposte con criteri alternativi, data la
notoria e palese incompletezza dei meri risultati contabili. In questo senso,
l’integrazione proposta dal REI funge anche da strumento di controllo, verificando che i
risultati constatati per il passato e artificiosamente gonfiati dalla mancata considerazione
dell’influenza del sostenimento di investimenti in intangibles non siano
imprudentemente proiettati nel futuro, facendo perdurare l’effetto di earning
lending/borrowing segnalato in precedenza.
A conclusione del paragrafo e prima di introdurre i metodi il cui fine, almeno in
linea teorica, è quello di dipanare l’aura di incertezza in merito alla valorizzazione degli
intangibles e alla corretta comunicazione ed esplicitazione del loro valore, riteniamo
opportuno effettuare qualche considerazione in merito alle carenze informative
connaturate a questo stato di incertezza: quelli presentati, dato che l’argomento trattato è
leggermente differente, saranno da intendersi come spunti di riflessione in merito,
rimandando a testi sul tema per l’approfondita disamina delle metodologie di
comunicazione del valore dei beni immateriali stessi237.
A riguardo, è innanzitutto evidente come la negazione sostanziale della
rappresentazione contabile delle attività immateriali a bilancio, abbassi fortemente la
qualità dell’informazione prodotta dai medesimi documenti: tralasciare o liquidare con
pochissime poste le attività immateriali, per giunta dal valore contabile tutt’altro che
corrispondente al loro effettivo valore, non può che far venir meno la veritiera
rappresentatività del bilancio di esercizio della reale situazione aziendale. Tale
atteggiamento è riferibile tanto ai beni immateriali prodotti internamente, quanto a
quelli acquisiti esternamente – basti pensare ad esempio a quanto accade, nel caso di
fusioni o acquisizioni, al mantenimento della continuità dei valori contabili (cosiddetto
mercato per importanti categorie di investimenti, generalmente contabilizzate col metodo del costostorico.237 Cfr. amplius Fontana F., Le risorse immateriali nella comunicazione aziendale: problemi dirappresentazione e di valutazione nella prospettiva del valore, Giappichelli, Torino, 2001, Liberatore G.,Le risorse immateriali nella comunicazione economica integrata: riflessioni per uno schema di analisi
150
pooling method). In merito al primo aspetto, è necessario evidenziare come, molto
spesso, il fatto di spesare determinati costi a conto economico non rende giustizia al
processo di costituzione del bene immateriale a cui questi costi potrebbero essere
riconducibili: trattasi, ad esempio, di spese di ricerca e sviluppo o di pubblicità. Nel
secondo caso, invece, applicando il pooling method238, non si riesce ad esprimere a
livello del bilancio della società acquirente il reale valore economico degli intangibles
acquisiti, riconducendo la differenza tra patrimonio netto contabile acquisito e prezzo
pagato alla voce residuale costituita dall’avviamento.
Anche senza portare alle massime conseguenze il problema della comunicazione
del valore degli intangibles – che in tal caso si concretizzerebbe nella totale mancanza
di rappresentazione contabile degli stessi – è comunque evidente che il rebus della
identificazione del loro valore, nel caso in cui si voglia comunicare, risulta
effettivamente problematico: fintanto che non saranno individuati criteri di stima
razionali, sostanzialmente standardizzatati e di generale accettazione, il problema della
misurazione degli intangibili rimarrà di difficile soluzione, soprattutto per i beni
immateriali generati internamente. Leggermente meno ardua, invece, risulta la
valutazione degli intangibles acquisiti, non fosse altro per la presenza di un prezzo
pagato per la disponibilità degli stessi che rappresenta una soglia minima alla quale far
corrispondere l’effettivo valore economico degli stessi.
In prospettiva, si può comunque notare una maggiore attenzione rivolta dai
manager e dai contabili nei confronti della corretta valorizzazione degli intangibili,
anche grazie alla sforzo della ricerca e dei lavori accademici. Due sono,
sostanzialmente, i motivi che hanno portato a questo miglioramento: per prima cosa, la
trascuratezza e l’oblio di cui è sempre storicamente stata circondata l’informazione sugli
intangibili hanno portato all’evidenziazione dei danni interni ed esterni (privati e
economico-aziendale, Cedam, Padova, 1996, La comunicazione degli intangibles e dell’intellectualcapital, in Quaderni AIAF, n.106/2002.238 Cfr. IAS n.22; contrariamente al purchase method, il pooling of interest method comporta lanecessaria contabilizzazione delle attività e delle passività acquisite agli stessi valori a cui erano in caricopresso la società acquisita, con conseguente perfetta continuità degli stessi; è evidente come questometodo non risulti idoneo ad informare efficacemente i terzi sugli effetti della combinazione attuata perl’impossibilità di dare espressione al valore degli intangibles e del residuale avviamento, che sempre piùspesso rappresentano i valori preponderanti attribuiti alle imprese in sede di negoziazione. Per questomotivo, lo IAS n.22 tenta di ridimensionare le possibilità di utilizzo del suddetto metodo, ritenendoloapplicabile solo per le “unioni tra eguali”, in cui si realizzi una condivisione dei patrimoni e del businesssenza che possa essere univocamente riconosciuta una parte acquirente ed una acquisita.
151
pubblici) a cui simili comportamenti danno vita; come sottolineato da Lev239, i danni
privati interni sono riconducibili al fatto che la misura degli intangibili è uno strumento
di guida per l’impresa: come evidenziato in precedenza, è possibile produrre redditi
contabili anche distruggendo valore per l’impresa e viceversa. Per assumere decisioni
consapevoli sulla convenienza di investimenti in beni immateriali, occorre monitorare
con attenzione la dinamica dei loro valori e, a tal fine, occorre preliminarmente
identificare i valori stessi. Una mancata o incorretta quantificazione di questi ultimi, può
quindi portare il management dell’impresa a condurre politiche gestionali scorrette o
improprie, rischiando di prendere decisioni errate a seguito di un’errata specificazione
della dinamica degli intangibles. I danni pubblici esterni, invece, derivano dal fatto che
le carenze informative sui beni immateriali possono trarre in inganno chi investe
nell’impresa, accentuando gli squilibri informativi tra i soggetti esterni ed interni,
impedendo corrette comparazioni tra aziende, distorcendo le scelte dei mercati
finanziari. Una maggiore informazione – magari standardizzata – in merito ai valori
degli intangibles contribuirebbe sicuramente a ridurre i margini di asimmetria
informativa ora presenti per quanto riguarda questi argomenti.
Il secondo motivo che ha portato alla maggiore attenzione dedicata dai manager
alla determinazione del valore degli intangibles è riconducibile alla democratizzazione
dell’informazione societaria: in tal senso, la corretta e veritiera rappresentazione
contabile ed extra-contabile degli intangibili è concepita come parte di quel più generale
processo di democratizzazione di informazioni rilevanti in merito al sistema aziendale,
ad oggi di esclusivo dominio degli analisti e degli intermediari finanziari, dotati di
competenze e capacità di analisi sicuramente superiori rispetto ai quelle in possesso dei
risparmiatori. Questo processo, non può che permettere l’accrescimento della
competitività dei mercati dei capitali – il cui accesso sarebbe garantito ad un maggior
numero di soggetti – e lo sviluppo delle capacità degli investitori di monitorare e
controllare le attività e le decisioni dei manager: due obiettivi di evidente importanza
economica e sociale. Occorre, infatti, sempre più riflettere sulla circostanza che il
bilancio delle società non è più soltanto uno strumento di protezione dei creditori, ma è
anche – e soprattutto – il mezzo informativo più rilevante a disposizione dell’impresa
per rapportarsi con tutti coloro che hanno interessi nell’impresa – stakeholders – tra i
239 Cfr. Lev B., Intangibles, Washington, Brooking Institution Press, 2001.
152
quali è ormai necessario annoverare una ampia serie di soggetti, quali gli azionisti, la
comunità finanziaria, i detentori di titoli di credito quotati, i lavoratori, i dipendenti, i
fornitori, i clienti, e cosi via. Risulta quindi evidente, in conclusione, come il continuo
monitoraggio del valore e della dinamica degli intangibili, la loro identificazione e
separazione dal più generale e omnicomprensivo concetto di avviamento vada nella
direzione del miglioramento del processo valutativo aziendale, per renderlo più
affidabile e dimostrabile nei suoi risultati. E’ chiaramente più semplice spiegare e
motivare i valori di alcuni noti marchi o di brevetti importanti, che non di un enorme,
generico ed eterogeneo goodwill; in termini tecnici, come dimostrato in precedenza,
l’informazione sugli intangibili specifici è un importante supporto per diversi metodi
valutativi e non solo per i metodi misti patrimoniali/reddituali, con i quali il legame è
massimamente evidente. E’ importante sul piano dell’informazione patrimoniale (stock
di intangibili, BI, secondo la simbologia proposta in precedenza), concorrendo a meglio
definire sia la misura del capitale netto investito – metodo misto patrimoniale/reddituale
– sia il denominatore dei multipli (EV, P) attraverso il loro aggiustamento. E’ altrettanto
fondamentale dal punto di vista economico-reddituale, cioè in termini di variazioni
periodiche (∆BI): questa integrazione, come descritto in precedenza, è spesso essenziale
nelle valutazioni che prendono come base la determinazione di flussi futuri o flussi
medi normalizzati da attualizzare o da capitalizzare.
Come dimostrato, quindi, la valorizzazione dei singoli beni immateriali è un
passo necessario per procedere ad una completa e ragionata valutazione dell’azienda nel
suo complesso.
153
3.2 – IL PROCESSO DI VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI
Prima di procedere all’analisi dei singoli procedimenti possibili per la
determinazione del valore di un attività immateriale, risulta necessario fornire un quadro
generale di come dovrebbe articolarsi il processo di valutazione in una prospettiva più
ampia, evidenziandone l’intero sviluppo e i passi da compiere al fine di fornire stime
che siano funzionali agli obiettivi proposti. A riguardo, il seguente schema240 riesce a
descrivere in maniera esauriente tutto il processo che dovrebbe portare come risultato
all’individuazione puntuale del valore dell’intangible oggetto di analisi.
Figura 12 - Il processo di valutazione dei beni immateriali
240 Ns. elaborazioni da Arthur Andersen, The valuation of intangible assets, Londra, 1992.
Beniimmaterialiindividuazioneclassificazione
Basedella
valutazione
Scopodella
valutazione
Scelta dellametodologia
di valutazione
Predisposizione informazioni
necessarie
Verificadei
risultati
Calcolie
valutazione
Individuazionepuntuale
154
Il grafico riportato fornisce una preliminare illustrazione del processo di
valutazione di un bene immateriale, enucleando le varie fasi dello stesso. Innanzitutto, è
necessario individuare in maniera precisa l’ambito entro il quale la valutazione dovrà
essere effettuata, cercando di circoscrivere chiaramente le manifestazioni della presenza
del bene immateriale sulle quali si focalizzerà l’intero processo valutativo. Come
affermato in precedenza, infatti le prime difficoltà sorgono fin dall’inizio del processo,
essendoci grande discordanza in merito ai criteri definitori e classificatori dei vari
intangibles241. In seconda battuta, risulta necessario porsi domande in merito agli
effettivi scopi perseguiti per mezzo della valutazione e a quale configurazione di valore
si voglia pervenire a seguito della stessa: è necessario stimare un valore corretto di
mercato per l’attività o un suo possibile floor-price in ipotesi di liquidazione
dell’azienda? In funzione degli obiettivi della valutazione sarà possibile scegliere in
maniera più consapevole il metodo più opportuno da utilizzare. In secondo luogo, è
altrettanto importante individuare e riflettere sulle effettive basi di partenza della
valutazione, considerando la qualità delle varie fonti informative, la possibile e fattiva
collaborazione del management aziendale ai fini di una completa disclosure di dati
riservati potenzialmente utili e la qualità degli strumenti di supporto e di misurazione.
Data l’alea di incertezza che circonda le metodologie di valutazione nonché la stessa
individuazione dei beni immateriali e dei loro effetti economici, risulterà necessario
condurre l’intero processo in stretta collaborazione con soggetti interni all’azienda, al
fine di permettere una migliore comprensione della realtà aziendale e del ruolo rivestito
dall’intangible nell’economia dell’impresa.
Solo a seguito di questa fase preparatoria sarà possibile passare alla concreta
scelta del metodo da utilizzare nella valutazione, in funzione degli obiettivi proposti e
della disponibilità di informazioni e di capacità tecniche: la scelta della metodologia più
opportuna sarà funzionale al calcolo di un valore che sia il più affidabile possibile,
senza dimenticare le caratteristiche intrinseche dei singoli beni, in funzione delle quali
potrebbe variare il criterio più opportuno da utilizzare. In secondo luogo, il reperimento
delle informazioni la cui completezza e appropriatezza è stata valutata nella fase
precedente è funzionale al metodo scelto: al variare dell’approccio utilizzato nella
valutazione cambia anche il set informativo necessario a colui che è preposto alla stessa.
241 In merito, cfr. capitolo 1.
155
D’altra parte, la relazione tra bagaglio informativo e scelta del metodo vale anche in
direzione inversa, essendo la seconda condizionata dalla presenza di informazioni
necessarie e quanto meno sufficienti per la concreta applicazione dei vari procedimenti.
Proprio il reperimento e l’estrapolazione delle informazioni più utili e precise possibili è
uno dei passi più importanti e, nel contempo, complicati dell’intero processo, data la
tendenziale diffidenza e ritrosia con cui molto spesso il management aziendale concede
a soggetti esterni il necessario supporto informativo.
A seguito della fase di scelta, tanto della metodologia, quanto dei documenti di
supporto, si passa al concreto svolgimento della valutazione, tramite l’applicazione delle
formule più idonee in funzione dei vari casi. Il processo in questione non può che essere
condotto con un occhio di riguardo alla concreta realtà in cui il bene è inserito,
prestando attenzione al rischio che le ipotesi prodotte in sede di valutazione – necessarie
per cercare di donare maggiore precisione possibile alle stime – possano portare
variazioni o semplificazioni tanto significative al processo di stima, da condurre il
risultato ottenuto ben lontano dal reale valore del bene. In seconda battuta, sarà
necessario un momento di riflessione in merito alla valutazione così ottenuta,
verificando l’effettiva affidabilità della stima e del metodo utilizzato al fine di
correggere eventuali ipotesi risultate non aderenti alla realtà o contestualizzare in
maniera più precisa le caratteristiche del bene, all’interno di un processo che in questa
fase si presenta come ricorsivo.
In concreto, quindi, il procedimento di stima si può chiaramente distinguere in
tre fasi: in un primo momento è necessario procedere alla valutazione di fattibilità e
all’analisi della situazione di contesto in cui verrà condotta l’analisi. Bisogna valutare
l’effettiva vita utile futura del bene considerato, identificarlo in maniera precisa, al fine
di riuscire a separarlo dall’unitario complesso aziendale, cercando di evidenziare le
possibili fonti di valore autonome legate al bene in questione.
In un secondo momento, durante la fase di analisi della metodologia di stima, si
dovrà appunto scegliere quale procedimento utilizzare: scelta che condizionerà tutto il
prosieguo del lavoro e deve essere fatta in base ad alcuni criteri di generale
accettazione. La metodologia di stima, difatti, deve essere credibile, tanto dal punto di
vista teorico, quanto da quello pratico, fornendo puntuali e razionali giustificazioni ai
156
singoli passaggi e alle ipotesi prodotte, al fine di permettere l’apprezzamento
dell’analisi anche da parte di soggetti non direttamente coinvolti nella valutazione;
obiettiva, essendo necessaria la predisposizione di un procedimento concettualmente
rigoroso e giustificato, senza lasciare spazio eccessivo ad apprezzamenti soggettivi del
soggetto preposto alla valutazione, valutando continuamente il trade-off presente tra
realisticità dell’analisi e precisione della stessa; versatile, essendo la credibilità
riconosciuta ad un metodo in relazione diretta con la sua estesa applicabilità a casi
anche apparentemente diversi tra loro ma accomunati dalla medesima base concettuale,
al fine di rendere il processo di stima un procedimento applicabile solamente al caso in
questione; efficiente, non dovendo la procedura di calcolo costare eccessivamente in
termini di tempo ad essa dedicato e di effettive ore di lavoro spese su di essa; coerente,
dovendo i calcoli essere il più possibile ripetibili anno per anno al fine di proporre stime
periodiche e ugualmente attendibili del bene, fornendo la possibilità, grazie alla
continuità dei calcoli e all’esplicitazione del procedimento sottostante, di monitorare
periodicamente il valore del bene; affidabile e trasparente, al fine di permettere
l’effettiva verificabilità della stessa anche da parte da soggetti esterni per non rendere
l’intero procedimento di stima una mera black-box.
La terza fase, infine, consiste nella verifica della valutazione e
nell’apprezzamento della sua correttezza. Questa fase mira a stabilire la coerenza
interna e l’affidabilità delle informazioni aziendali utilizzate, anche per mezzo del
confronto fra più valutazioni condotte con metodi differenti, al fine di verificare la
coerenza logica delle stesse. E’ sovente possibile convalidare i risultati ottenuti per
mezzo di consulenze e ricerche esterne onde apprezzare l’effettivo grado di
condivisione da parte di soggetti extra aziendali dei risultati ottenuti; da ultimo, ma di
massima importanza, conviene assicurarsi che il valore attribuito al bene immateriale
appaia ragionevole nel contesto del valore complessivo dell’azienda. Quest’ultima
verifica è, il cosiddetto controllo di redditività, utile per la verifica dell’appropriatezza
di qualsiasi stima, condotto rapportando il rendimento assoluto associato al bene al
valore patrimoniale ad esso conferito a seguito della processo di stima.
157
3.3 – I METODI DI VALUTAZIONE
Come evidenziato all’interno dello schema proposto in precedenza, non esiste un
solo metodo di valutazione per individuare il valore di un bene immateriale, essendo la
scelta tra gli stessi e la predilezione dell’uno sull’altro, funzione degli obiettivi del
processo valutativo e del set informativo a disposizione del soggetto che materialmente
porta a compimento il processo stesso: proprio per questo motivo non vi è generale
accordo in merito all’adozione di un criterio piuttosto che di un altro. Generalmente, i
criteri di valutazione vengono di visi in tre macrofamiglie, attraverso le quali si vuole
evidenziare la logica ad essi sottostante: l’approccio del costo, l’approccio del reddito e
l’approccio di mercato. Di seguito, analizzeremo i singoli approcci, fornendo
informazioni di carattere generale sugli stessi, per poi descrivere in maniera più
particolareggiata i singoli procedimenti e i loro fondamenti.
3.3.1 - L’approccio del costo
Il metodo del costo gode di una discreta fortuna nella prassi della stima del
valore dei beni immateriali, sebbene a livello concettuale, come vedremo in seguito,
possa presentare alcune lacune. Questo fatto è dovuto alla concomitanza di diverse
situazioni.
In primo luogo, l’obiettiva difficoltà di adottare metodi di valutazioni alternativi
a quello del costo, fa di quest’ultimo la soluzione più facile ed immediata, adottata da
molti operatori. E’ evidente la difficoltà di evidenziare il reddito specificamente
attribuibile al singolo fattore intangibile – presupposto per l’applicazione dei metodi
riconducibili all’approccio del reddito - , derivante da carenza di informazioni in merito
o da stime basate su ipotesi irrealistiche o forzature concettuali, soprattutto per le
imprese di minori dimensioni caratterizzate da un sistema informativo aziendale
limitato.. Inoltre, accade sovente che si verifichi una incompatibilità tra altri metodi
valutativi, quale quello reddituale, e le specifiche realtà aziendali: si pensi, ad esempio,
alla valutazione di quei beni immateriali legati al marketing, che anche a livello
meramente intuitivo possiedono un certo valore economico, ma che fanno capo ad
imprese in perdita, rendendo impossibile o quanto meno estremamente ardua una
158
valorizzazione basata su un approccio reddituale. Anche l’approccio di mercato, come
vedremo in seguito, presenta difficoltà operative tali da fare spesso venire meno
l’applicabilità e l’attendibilità delle stime così ottenute.
In secondo luogo, la natura stessa del procedimento di formazione di gran parte
dei beni immateriali è strettamente collegata ai presupposti concettuali che risiedono
alla base dei metodi riconducibili all’approccio del costo. La creazione di questi beni,
difatti, si configura come una serie di investimenti, più o meno distribuiti o concentrati
nel tempo, che vedono la loro giustificazione in flussi di reddito futuri, possibilmente
positivi. Se i redditi futuri sono di determinazione estremamente incerta, la descrizione
dei costi sostenuti in passato gode di maggiore certezza e precisione, fornendo una base
di dati più attendibile e realistica. Questa situazione, di conseguenza, permette
all’impresa all’interno della quale si è svolto il processo di creazione del bene
immateriale di essere in possesso di sufficienti dati contabili per portare avanti
valutazioni fondate e realistiche e nel contempo di evidenziare una certa coerenza tra il
metodo di valutazione basato sul costo e la realtà aziendale stessa.
Da ultimo, la stessa situazione contabile italiana favorisce questa metodologia di
valutazione delle attività immateriali, dovendo queste essere iscritte a bilancio in
ossequio al principio del costo storico242. Spesso, quindi, non vi è nemmeno l’incentivo
da parte dell’impresa ad affrontare percorsi valutativi alternativi, che potrebbero portare
ad una valutazione delle attività immateriali più aderenti al loro reale valore economico
ma che potrebbero concretamente risultare un inutile spreco di tempo nel caso in cui
non vi siano fondate finalità per pervenire ad una valutazione economica dei beni stessi.
Proprio l’effettiva significatività dell’informativa di bilancio associata alle risorse
immateriali è stata oggetto di numerose critiche e proposte correttive, al fine di
pervenire all’esplicitazione di un insieme di valori, quelli riferiti alle risorse immateriali,
appunto, che raramente sono adeguatamente descritti all’interno dei prospetti contabili.
Il fatto che questa metodologia di valutazione sia tanto diffusa, non deve però
creare l’errata convinzione che questa tecnica sia sempre di facile applicazione e di
adeguata efficacia: spesso, infatti, l’onere sostenuto per l’acquisto o la realizzazione
interna di un bene aziendale non è un indicatore attendibile del suo reale valore
economico. In sede applicativa, di conseguenza, si presentano spesso rilevanti problemi
242 A riguardo, cfr. capitolo 2.
159
in merito all’individuazione dei costi da considerare e alla loro valutazione, essendo
necessaria una mediazione tra la ricerca di un valore attendibile del bene e la
disponibilità di informazioni quali-quantitativamente adeguate.
Le tecniche di stima afferenti al più generale approccio del costo hanno come
obiettivo la misurazione dell’insieme dei benefici futuri che il bene oggetto di stima
potrà generare, attraverso la determinazione delle risorse monetarie che si dovrebbero
impiegare per sostituire quel bene con uno totalmente identico, o comunque ugualmente
idoneo ad offrire il servizio per il quale è utilizzato. A seguito di questa definizione,
possiamo evidenziare due aspetti rilevanti che fanno da base concettuale al
procedimento di stima trattato
Per prima cosa, è evidente come l’approccio del costo si uniformato al
fondamentale principio di sostituzione; questo si estrinseca nel fatto che,
indipendentemente dal sotto-metodo utilizzato, si procede alla stima del bene oggetto di
analisi tramite l’individuazione del costo di un sostituto ugualmente desiderabile del
bene in questione243.
In secondo luogo, a livello logico, il metodo del costo si basa sul presupposto
che il prezzo di un nuovo bene è strettamente correlato al valore economico che il bene
sarà in grado di rilasciare negli esercizi futuri244 in favore dell’impresa che ne può
disporre. In sostanza, a meno di distorsioni contingenti presentante dal mercato, il
prezzo dovrebbe tendere ad eguagliare il “fair market value” del bene.
In concreto, due sono le metodologie pratiche che possono essere utilizzate
all’interno dell’approccio concettuale qui delineato: il metodo del costo storico
residuale ed il metodo del costo di rimpiazzo. Il procedimento del costo storico
243 Affinché un processo di valutazione sia concettualmente rigoroso, questo deve rispondere ai principidi sostituzione, dei benefici futuri e delle alternative. Il primo afferma che il valore di un bene si forma inbase al costo di acquisizione di un altro bene che sia in grado di sostituirlo e che sia in ugual misuradesiderabile. Il principio dei benefici futuri sostiene che il valore economico di un bene dipende daivantaggi futuri che il bene è previsto rilasciare. L’ultimo principio, infine, asserisce che le contropartiimpegnate in una transazione dispongono ciascuna di varie soluzioni alternative per realizzare latransazione. Sull’argomento, cfr. amplius R.C. Miles, Guida alla valutazione delle imprese, Milano, F.Angeli, 1989.244 Denominati con p il prezzo di un nuovo bene e con a il valore attuale dei vantaggi economici futuriche si attendono dal bene in questione, se p > a, nessun operatore che opera secondo una logicaeconomica sarà interessato allo scambio; al contrario se p < a, si verifica un eccesso di domanda,provocando una crescita del prezzo fino al punto di equilibrio in cui p = a.
160
residuale consiste nell’accertamento dei costi che storicamente si sono dimostrati
necessari per la formazione del bene immateriale oggetto di valutazione – ovviamente a
prescindere dal loro trattamento contabile – se del caso procedendo al loro allineamento
monetario mediante la loro riespressione in unità di conto odierne, per poi procedere ad
un eventuale abbattimento per tener conto della residua utilità del bene. Il concetto di
costo rimpiazzo, invece, fa riferimento al costo, sempre riferito alla data di valutazione,
da sostenersi per ottenere un bene nuovo che sia una copia identica, in termini di utilità
rilasciata all’azienda, di quello il cui valore è sottoposto a stima.
Spesso, a livello pratico, i due approcci non riescono ad evidenziare un
medesimo valore per lo stesso bene, anche se a livello concettuale non sembrano
differire in maniera sostanziale: frequentemente, infatti, la metodologia del costo di
rimpiazzo tende ad offrir risultati inferiori a quelli offerti dal metodo del costo di
riproduzione. Il verificarsi di ciò è riconducibile alla continua evoluzione tecnologica, la
quale fa si che il bene che in maniera più conveniente può sostituire il bene oggetto di
valutazione non sia quello perfettamente identico, ricostruito con gli stessi costi
sostenuti nel passato, ma quello dotato di utilità equivalente. Il miglioramento
dell’efficienza produttiva nel corso degli anni comporta che lo stesso bene sia ora
reperibile sul mercato ad un prezzo minore di quelli definibile tramite il calcolo e
l’aggiornamento dei costi sostenuti in precedenza. In questo caso, il minor valore cui si
perviene per mezzo del criterio del costo di rimpiazzo è riconducibile al fatto che
quest’ultimo, per la logica che lo permea, sconta direttamente una parte di quella
obsolescenza funzionale che nel criterio del costo di riproduzione va invece a rettificare
il valore a nuovo con una successiva e separata evidenziazione, e, in secondo luogo,
tiene in considerazione il miglioramento dell’efficienza produttiva conseguente al
normale e continuo progresso tecnologico.
Nel caso dei beni materiali, i valori a nuovo determinati sono poi sottoposti ad
una serie di rettifiche in diminuzione, al fine di esprimere l’eventuale deprezzamento
sopportato dal bene nei confronti di quello nuovo. Oltre al semplice trascorrere del
tempo, altri fattori possono portare ad un rapido e ben più significativo degrado. In
primis, il deperimento fisico, causato dalla mera utilizzazione del bene, che si esplicita
in una progressiva perdita di efficienza o in una più continua necessità di interventi di
161
manutenzione. In secondo luogo, l’obsolescenza funzionale, legata alla dinamica delle
nuove applicazioni tecnologiche, a seguito delle quali il bene oggetto di stima può
presentare un’efficienza inferiore alle nuove soluzioni offerte dal mercato e
potenzialmente adottabili. In terzo luogo, l’obsolescenza economica, originata da fattori
esterni al bene il cui progredire comporta una svalutazione del valore del bene utilizzato
se quest’ultimo non è più in grado di contribuire alla formazione dei redditi d’impresa
tanto quanto era solito fare in passato, o se tali redditi abbiano dimensioni insufficienti a
garantire un’adeguata remunerazione alle attività aziendali, a seguito di cambiamenti
nell’ambiente di riferimento o all’interno all’azienda. L’ampiezza della perdita di valore
causata da questo tipo di obsolescenza risente anche della particolare tipologia del bene
e della sua versatilità: in linea di principio, sono maggiormente penalizzati quei beni
altamente specializzati o addirittura unici per i quali è difficile ipotizzare la loro
riconversione in settori alternativi; la penalizzazione è minore se il bene gode di una
versatilità maggiore, che permette una sua utilizzazione alternativa ed un migliore
adattamento alla mutevolezza delle situazioni di contesto.
Quanto evidenziato e valido per i beni materiali, diventa difficilmente
trasferibile a livello concettuale ai beni immateriali, a causa di difficoltà applicative
particolarmente rilevanti e di importanti quanto ovvie differenze concrete. Gli
intangibles, difatti, non sono generalmente suscettibili di deterioramento fisico: essi, al
contrario, tendono a mostrare una relazione diretta tra il loro valore ed il loro utilizzo
prolungato ed intenso. La loro affermazione prolungata e la loro continua utilizzazione,
tendono ad incrementare, entro certi limiti, il valore dei beni stessi. Si pensi, a riguardo,
ai beni immateriali legati al marketing: un marchio richiede un discreto periodo di
tempo per potersi affermare e la continua e duratura presenza sul mercato dei prodotti
riferibili ad esso permette al valore del marchio stesso di aumentare, grazie ad un
consolidamento ed ad un rafforzamento dell’immagine di marca. Tutt’al più, può
accadere che un uso troppo intenso dell’intangibile possa causare, nel lungo periodo, un
“impoverimento” dello stesso. Si possono, ad esempio, verificare fenomeni di
annacquamento di un marchio, nel caso in cui lo stesso sia utilizzato per troppe, o
comunque molto numerose, iniziative in settori molto differenziati tra loro; si può altresì
assistere ad un impoverimento della proprietà intellettuale complessiva di un’impresa se
162
questa tende a fare continuamente conto su conoscenze tecniche acquisite, senza dare la
necessaria attenzione allo sviluppo di nuove conoscenze, traducendosi questa situazione
in una minore capacità di stare al passo col progresso tecnologico a causa di una minore
capacità di aggiornamento e di ricerca: soprattutto in quei settori in cui la dinamica
competitiva fa leva in maniera particolare sulla tecnologia. In merito all’obsolescenza
funzionale si può affermare la quasi totale estraneità della stessa al campo dei beni
immateriali, a meno di riferirsi a quei beni che al fine di preservare nel tempo la propria
efficienza ed economicità operativa richiedono continui aggiornamenti, quali ad
esempio i software. Ad essi, infatti, sono riconducibili costi di “manutenzione e
aggiornamento”, essenziali per adeguare le prestazioni del prodotto al progredire delle
conoscenze specifiche in quel campo, che, se non sostenuti, potrebbero provocare una
rilevante perdita di efficienza e di utilità. Maggiormente rilevante appare l’obsolescenza
economica, ovviamente condizionata al fatto che sia possibile individuare correttamente
il reddito attribuibile ad uno specifico bene immateriale. Nel caso in cui ciò fosse
possibile, potrebbe rivelarsi significativo un processo di controllo del grado di coerenza
tra la dimensione patrimoniale del bene iscritto a bilancio e valutato secondo
l’approccio del costo e la sua capacità reddituale futura. In questo senso, diventa
necessario effettuare periodiche verifiche reddituali in sede di valutazione del capitale
economico dell’azienda tanto globalmente considerata, quanto con riferimento ad un
singolo bene. Questa verifica dovrebbe permettere di stabilire se il rendimento futuro
espresso dall’attività immateriale sia sostanzialmente allineato ai tassi di remunerazione
rilevabili sul mercato per beni simili245, sempre che sia possibile individuare sul mercato
beni simili o comunque paragonabili a quelli oggetto di valutazione246. Di conseguenza,
il saggio di rendimento atteso dallo specifico bene può essere espresso dalla formula:
dove:
245 E’ evidente la difficile applicazione pratica di questo procedimento, tanto da rendere lo stesso piùun’idea teorica che una comune prassi. I beni simili, inoltre, dovranno essere tali tanto per tipologia emodalità di impiego, quanto per rischio associato ai beni stessi.246 Proprio questo aspetto rappresenta uno dei principali punti critici dei metodi di valutazione riferibiliall’approccio di mercato, risultando spesso difficile trovare beni immateriali paragonabili a quelli oggettodi valutazione.
pWRr =
163
R = reddito atteso dal bene
Wp = valore patrimoniale del bene secondo il criterio del costo
Definito con i il tasso di remunerazione medio richiesto dal mercato, che si
adotterebbe se il bene fosse valutato per mezzo del metodo reddituale, si possono
presentare tre situazioni:
r > i: in questo caso il bene immateriale offre un saggio di rendimento più che
adeguato al entità dell’investimento valorizzato al costo del bene. Non si rende
necessaria alcuna rettifica ma, al contrario, il valore patrimoniale accertato
rappresenta una grandezza floor;
r = i: l’uguaglianza tra i due rendimenti permette di apprezzare la congruità del
valore patrimoniale del bene immateriale, in quanto confermato dalla verifica
reddituale. In questo caso, come vedremo nei paragrafi successivi, l’approccio
del costo e quello del reddito portano ad una medesima dimensione del fair
market value;
r < i: risulta necessario riconsiderare il procedimento di stima adottato. Il basso
saggio di rendimento rivela una probabile sopravvalutazione del valore
patrimoniale accolto secondo il criterio del costo, risultando necessaria una
svalutazione del bene nella misura rappresentata dalla differenza tra r ed i247;
Le osservazioni riportate mirano ad evidenziare lo stretto legame che intercorre tra
l’approccio del costo, valore trasparente di mercato e capacità reddituale associata al
bene immateriale stesso. Come evidenziato in precedenza, il metodo di valutazione del
costo, infatti, tiene in considerazione, seppur in via mediata248, l’utilità futura del bene
oggetto di stima ed i correlati benefici attesi. Il metodo del costo, infatti, come
affermato in precedenza, adotta un punto di vista backward looking al fine di stimare il
valore del bene, valorizzando i flussi economici futuri in funzione dei costi sostenuti nel
247 Data la difficile quantificabilità diretta del correttivo da apportare al valore del bene immateriale, puòrappresentare una buona proxy dell’effettivo grado di obsolescenza economica, la differenza tra il valoreespresso dal criterio patrimoniale del costo e quello risultante con il metodo reddituale, ossia la differenzatra r ed i.248 Tramite il riconoscimento di opportuni correttivi apportati al valore dei costi individuato.
164
passato, proprio per ovviare alla generalmente difficile quantificabilità dei flussi futuri
in questione: proprio questo è un o dei punti di forza dell’approccio oggetto di analisi.
3.3.1.1 - La tecnica del costo storico residuale
Questo criterio di stima si basa sulla ri-espressione a valori correnti dei costi
sostenuti in passato per disporre di una determinata attività immateriale oggetto di
valutazione. Condizione sostanziale affinché il metodo sia significativo è che gli
investimenti sostenuti in passato249, per realizzare il bene immateriale in questione
siano, tanto per tipologia, quanto per ammontare, con buona approssimazione
rappresentativi dei costi che si dovrebbero sostenere alla data di riferimento della
valutazione, per riprodurre il bene in questione. Alla base di questa condizione
applicativa risiedono due ulteriori ipotesi, che rappresentano anche i principali limiti del
metodo stesso.
Il procedimento del costo residuale comporta l’ipotesi “coeteris paribus”, ossia
recepisce la condizione di staticità nel tempo del contesto ambientale e delle variabili
intra ed extra aziendali in cui si sono venuti a formare i beni immateriali. Si considera
costante la situazione concorrenziale e di mercato, le tensioni competitive sui mercati di
sbocco e di approvvigionamento ed in generale tutte quelle condizioni che direttamente
od indirettamente influenzano la normale condotta aziendale. Soprattutto per quei settori
industriali caratterizzati da un contesto strutturale e competitivo molto dinamico, questa
ipotesi rappresenta una grave limitazione. E’ inoltre evidente come questa condizione
sia più difficile da rispettare quanto più è ampio il lasso temporale che è intercorso tra la
data di valutazione e il periodo in cui il bene immateriale è stato prodotto: è chiaro,
infatti, come, all’aumentare della distanza temporale tra la data di effettiva costruzione
del bene immateriale e la sua data di valutazione, possano anche variare in maniera più
significativa le variabili ambientali considerate, per ipotesi, generalmente invarianti o
comunque simili.
In secondo luogo, viene considerato costante anche il livello di efficienza degli
investimenti sostenuti, limitandosi il metodo a riproporre in termini monetari correnti i
249 Adeguatamente rivalutati e riconsiderati, come vedremo più ampiamente in seguito.
165
costi sostenuti nel passato senza entrare nel merito della produttività delle risorse
investite e della loro efficacia, in termini di risultati ottenuti.
Se una delle caratteristiche maggiormente apprezzate del metodo in esame è la
relativa certezza associata alla determinazione dei flussi sostenuti, in quanto di
competenza degli esercizi passati, proprio questa stessa specificità porta a dover
assumere le ipotesi appena menzionate, rappresentanti anche le principali limitazioni del
procedimento. In sede applicativa, il metodo del costo storico aggiornato richiede la
determinazione di grandezze quali il valore dei costi da capitalizzare, il fattore di
aggiornamento del valore monetario, la vita economica del bene e l’evoluzione del
valore del bene nel tempo. Di seguito, le analizzeremo singolarmente evidenziando le
principali criticità metodologiche del processo di stima delle stesse.
a. La scelta dei costi da capitalizzare
Premettendo che l’individuazione dei costi da capitalizzare risente in maniera
rilevante della tipologia di intangible oggetto di valutazione e delle caratteristiche dello
specifico bene, è comunque possibile individuare delle linee generali a cui attenersi per
la determinazione di questi costi. Risulta necessario, in primo luogo, che questi costi
abbiano natura di investimento, siano cioè il risultato di una serie di uscite finanziarie la
cui utilità, sotto forma di risultati economici futuri differenziali, sia differita nel tempo.
Si mira, in tal senso, a distinguere chiaramente quelli che possono essere considerati
meri costi da spesare all’intero del conto economico di periodo, da altre uscite che, al
contrario, offriranno un utilità differita nel tempo. In secondo luogo, tale flusso di
investimenti deve essere relativo alla formazione dell’intangibile ed all’accrescimento
del suo potenziale competitivo. Si tratta quindi di qui costi inerenti alla creazione, al
consolidamento e all’aggiornamento del bene immateriale nel tempo: nel caso dei beni
legati al marketing, ad esempio, assumeranno valore quei costi sostenuti una sola volta
nel ciclo di vita del prodotto, relativi alle fasi di lancio e di consolidamento dello stesso.
Vengono pertanto escluse quelle spese che non hanno natura di investimento ma si
limitano al mantenimento dell’immagine di marca, della fedeltà e della notorietà
raggiunta presso i clienti. Si tratta, quindi, di fare riferimento ad un investimento
cumulativo, opportunamente ricondotto ad un medesimo istante – capitalizzato alla data
166
di valutazione, quindi –, che l’impresa ha affrontato al fine di garantire l’affermazione
del proprio marchio e del proprio prodotto. Dubbi permangono in merito alla scelta di
considerare solamente i costi relativi al bene immateriale o considerare anche quote
parte di spese generali, nel caso in cui si voglia tenere in considerazione l’impegno
dell’azienda intesa nella sua globalità in merito allo sviluppo del bene stesso250.
b. Il fattore di aggiornamento del valore monetario
Una volta individuati i costi da capitalizzare si pone il problema di determinare
l’indice di aggiornamento monetario più opportuno da adottare, al fine di ricondurre ad
un unico istante i costi sostenuti in periodi diversi. Il coefficiente di rettifica dovrebbe
ovviamente essere inerente al bene oggetto di stima, riflettendo la variazione dei prezzi
dei singoli beni rientranti nei costi da capitalizzare. Generalmente, però, gli indici di
costo sono espressione dell’andamento ponderato del prezzo di un paniere di merci e
servizi, essendo il livello di appropriatezza del coefficiente stesso condizionato dalla
composizione del paniere. In altri casi, gli indici rispecchiano solamente la dinamica del
prezzo di un ben preciso prodotto251: di conseguenza, se da un lato il problema è relativo
ad una eccessiva generalità dell’indice, dall’altro alcuni indici non possono essere
considerati espressivi della reale variazione dei prezzi a causa di una loro eccessiva
specificità. Nel caso degli intangibles, mancando indici di costo specifici per ogni
tipologia di bene, risulta necessario fare riferimento ad indici di aggiornamento
monetario che abbiano il più possibile valenza generale e che siano espressivi della
reale variazione dei prezzi. Nel caso in cui dovessero essere chiaramente e
puntualmente identificabili i singoli input utilizzati per la produzione del bene
immateriale, potrebbe rivelarsi ancor più opportuno utilizzare vari indici, in funzione
della varietà dei fattori di input considerati.
250 In merito, cfr capitolo 2, e in special modo l’analisi dell’opportunità di capitalizzare quote parte dicosti generali, in ossequio ai principi contabili nazionali ed internazionali.251 Tra i coefficienti di aggiornamento monetario più frequentemente utilizzati si segnalano l’indice deiprezzi all’ingrosso, l’indice dei prezzi al consumo, l’indice del costo della vita ed altri indici relativi asingoli materiali come l’indice di variazione del prezzo del petrolio o di altre materie primequotidianamente quotate sui mercati finanziari internazionali. Anche in questo caso, è evidente come nonsia possibile produrre considerazioni generali, derivando la scelta dell’indice più opportuno dalle stessecaratteristiche dell’azienda coinvolta e del bene prodotto.
167
In secondo luogo, il coefficiente utilizzato dovrà essere disponibile per tutto
l’arco temporale considerato nel processo di aggiornamento dei costi sostenuti. In
mancanza di una serie storica continua e precisa di questi indici, si potrà sempre
ricorrere a soluzioni che mirano all’estrapolazione delle tendenze passate e alla
previsione dei valori futuri, ma questa soluzione non farebbe altro che aggiungere
sempre maggiore aleatorietà ad un processo valutativo che già di per se può far conto su
pochi elementi certi e verificabili.
c. La definizione della vita economica del bene
Se, come è stato evidenziato in precedenza, il valore di un qualsiasi bene – e
quindi anche di un bene immateriale – è funzione dei benefici futuri offerti dallo stesso,
risulta necessario stabilire anche quale sarà l’orizzonte temporale lungo il quale si
produrranno i suddetti vantaggi, per poi passare ad una loro quantificazione. Questa
esigenza, più prettamente appartenente ai metodi di valutazione di tipo reddituale, si
traduce all’interno dell’approccio del costo nella necessità di determinare un correttivo
per degrado che tenga conto della vita economica residua del bene, al fine di correggere
il valore individuato che, almeno in linea teorica, dovrebbe riferirsi ad un bene che
abbia ancora piena funzionalità.
Per vita economica di un bene si intende l’arco temporale nel quale il bene è in
grado di generare un vantaggio economico per l’impresa. Questa vita si esaurisce,
quindi, nel momento in cui il bene non sia più in grado di produrre redditi, o a seguito di
obsolescenza o di una pesante perdita di efficienza, o perché risulti più conveniente
l’impiego di un bene sostitutivo.
Se per le immobilizzazioni materiali sono state sviluppate, secondo principi
attuariali ed ingegneristici, tavole che evidenziano la “vita media” delle varie
immobilizzazioni tecniche, la stessa situazione non si verifica nel caso delle attività
immateriali, a causa dell’eccessiva alea di incertezza che le contraddistingue e del
necessario contributo in termini di ipotesi soggettive, che andrebbero a discapito
dell’attendibilità delle valutazioni stesse, nel caso in cui si volesse quantificare in
maniera precisa l’eventuale vita utile di un intangible. Il valore di alcuni intangibili,
quali quelli legati al marketing o alla tecnologia, risulta essere influenzato in maniera
168
molto più stretta di quanto non accada per le immobilizzazioni materiali dalle situazioni
di contesto aziendali, quali la concorrenza all’interno del settore o il progresso
tecnologico. In secondo luogo, come evidenziato in precedenza, molto spesso un
continuo e ripetuto uso di alcune attività immateriali non comporta un loro deperimento
ma piuttosto un loro rafforzamento: situazione che rende ancor meno definibile
secondo criteri che abbiano valenza generale la durata della vita utile di questi beni.
Inoltre, queste difficoltà vengono rese ancora più evidenti nel caso in cui si abbia a che
fare con intangibles nuovi, innovativi, di recente formazione e di non facile
replicabilità, magari ancora in fase sperimentale.
D’altra parte, sovente viene in aiuto la circostanza che ai beni immateriali sia
spesso associata una ben definita vita legale o contrattuale, anche se spesso il periodo di
tempo così individuato non sembra coincidere in maniera precisa con il reale lasso di
tempo all’interno del quale il bene rilascia benefici economici. Spesso accade, difatti,
che la vita legale del bene sia di gran lunga superiore al periodo in cui un determinato
intangible perde di valore: si pensi ad un brevetto che, pur avendo una ben determinata
vita legale, potrebbe diventare completamente inutile o superato a causa dell’evoluzione
tecnologica. Anche in questo caso, l’analisi non può che essere condotta in stretta
relazione alla realtà aziendale, cercando di evidenziare il ruolo che l’attività immateriale
riveste all’interno dell’azienda e le variabili di contesto che potrebbero minarne la
solidità e la durata.
d. L’evoluzione del valore nel tempo
Come evidenziato, la “dimensione temporale” associata ai vari intangibles
assume connotati molto particolari, per certi versi apertamente in contraddizione a quelli
assunti dalla maggior parte dei beni materiali. A questo proposito, l’aspetto di maggior
rilievo è riconducibile alla necessità di rilevare un coefficiente di degrado da apportare a
correzione dei costi capitalizzati, al fine di valorizzare il bene nello stato d’utilità in cui
esso si trova alla data della stima. Questa correzione può avvenire in maniera esplicita,
applicando un ben preciso correttivo al valore “a nuovo” stabilito in precedenza, o
implicitamente, tenendo in considerazione questo aspetto già in sede di individuazione e
di calcolo delle grandezze utilizzate.
169
Un’interessante applicazione, in tal senso, si verifica in presenza di progetti di
ricerca in corso ma non ancora giunti ad punto di avanzamento tale da poter
concretamente stabilire se la ricerca potrà avere successo commerciale o meno: in tal
caso, sarebbe possibile rettificare i costi individuati e successivamente aggiornati nella
loro dimensione monetaria in funzione della probabilità di successo tecnologico – che
dipende, ovviamente, dallo stato di avanzamento del progetto – e della possibili
potenzialità di mercato. In tal modo, si procederebbe ad una ponderazione dei vari costi
e del valore finale del bene in relazione alle sue reali possibilità di produrre benefici
futuri nel caso in cui la ricerca si concludesse con esito positivo252.
3.3.1.2 - La tecnica del costo di rimpiazzo
Questo criterio consiste nella stima dei costi che si dovrebbero sostenere, alla
data della valutazione, per disporre di un bene immateriale del tutto simile a quello il cui
valore è oggetto di stima. In sostanza, questo criterio mira a valutare il valore di un bene
immateriale per mezzo dell’espressione della dimensione degli investimenti che si
renderebbero necessari, nelle condizioni ambientali e competitive presenti alla data di
valutazione, qualora si volesse ricreare un intangible di potenzialità equivalenti a quelle
del bene da valutare.
Rispetto all’approccio presentato in precedenza, il metodo oggetto di analisi ha il
pregio di non rivolgere la propria attenzione al passato, capitalizzando i costi sostenuti
in precedenza, in condizioni competitive e ambientali diverse da quelle attuali, tentando
piuttosto di valorizzare il bene inserito nel contesto economico e di mercato corrente,
facendo venir meno uno dei principali punti critici sollevati in merito al precedente
metodo. In concreto, infatti, gli investimenti sostenuti in passato potrebbero differire in
maniera significativa per dimensione e distribuzione temporale da quelli da affrontare
nel contesto competitivo attuale, rendendo meno aderente alla realtà la valorizzazione
252 Per esaminare un caso concreto di redazione di una tabella che tenga in considerazione le due variabilidescritte in precedenza e riferibile al settore dell’industria farmaceutica, all’interno della quale vengonoindividuati coefficienti da applicare ai vari costi individuati si veda Guatri L., La valutazione delleaziende, Egea, Milano, 2000 e Grando A, Guazzoni L., Valutazione dei beni immateriali legati allatecnologia: i progetti di ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico, in La valutazione delle aziende, n.4/1997.
170
del bene immateriale effettuata tramite il metodo del costo storico residuale, rispetto ad
una valutazione basata sulla tecnica del costo di rimpiazzo.
Il procedimento si basa sostanzialmente sulla determinazione di due grandezze
fondamentali quali la dimensione degli investimenti ed i tempi di realizzazione di tali
impieghi di risorse. In funzione della definizione di un accurato piano degli
investimenti, tanto a livello di dimensione, quanto a livello di tempistica, è possibile
descrivere il processo tramite il quale sarà possibile ricostruire il bene oggetto di
valutazione a condizioni correnti.
Proprio questo aspetto, inoltre, rappresenta tanto il punto di forza quanto il
maggior punto di debolezza del metodo in questione. Rispetto al reale contesto in cui si
è venuto a formare il bene immateriale oggetto di stima, difatti, sono differenti le
condizioni attuali e future di efficienza e produttività degli input destinati alla
produzione del bene, il che può tradursi in una differenza nei costi e nei tempi di
produzione, alle condizioni di contesto attuali, del bene immateriale. La stessa struttura
di mercato relativa al momento in cui il bene immateriale è stato concretamente creato
sarà diversa da quella attuale, comportando un diverso ruolo dell’intangible stesso. Si
pensi, ad esempio, alla differenza in termini di intensità di investimento e di tempi dello
stesso relativi alla creazione e all’affermazione di un marchio in una situazione di
mercato perfettamente concorrenziale ed in una successiva situazione di oligopolio. Gli
investimenti che le imprese destinano al mercato e alla ricerca sono infatti volti a far
venir meno una situazione di concorrenza pura, a favore di una situazione in cui le varie
quote di mercato facciano capo a poche ed affermate aziende. Di conseguenza, nel caso
di concorrenza pura, gli investimenti saranno più elevati ed intensi, mentre col
procedere del tempo si ridurranno in termini di risorse impiegate: diventa quindi
necessario affiancare all’analisi dei costi sostenuti per il rimpiazzo di un bene
immateriale, un’attenta analisi del contesto competitivo attuale, prospettico – per
valorizzare le potenzialità del bene – e passato – al fine di individuare le peculiarità che
costituivano l’ambiente all’interno del quale il bene oggetto di stima si è formato - in
cui lo stesso si andrà ad inserire. Per lo stesso motivo, uguale importanza rivestono le
condotte competitive delle altre imprese, soprattutto se in grado di influenzare a loro
volta l’entità complessiva e la tempistica dell’investimento.
171
In concreto, queste critiche vengono accantonate o raramente prese in
considerazione a causa delle ingenti difficoltà applicative ad esse associate: in questo
caso, quindi, il procedimento di stima assume implicitamente l’ipotesi di uguaglianza di
tutte le condizioni di mercato e competitive, postulando in particolare la costanza dei
comportamenti attuati dai concorrenti già operanti nel settore a fronte delle iniziative di
investimento portate avanti dall’impresa.
A livello applicativo, ci si trova spesso di fronte alla scelta tra un procedimento
analitico di stima o sintetico, che descriveremo di seguito, evidenziandone le differenze.
a. Procedimenti analitici
I procedimenti analitici muovono dall’apprezzamento specifico di tutti i singoli
parametri coinvolti nella valutazione, quali l’investimento cumulativo in termini
quantitativi e qualitativi, definendo preventivamente i volumi, le tipologie e i prezzi
unitari dei singoli input da utilizzare nel processo; l’orizzonte temporale prospettico su
cui distribuire le varie risorse impiegate, al fine di conferire il giusto valore finanziario a
tutte le future uscite di cassa; il saggio utilizzato per attualizzare le suddette uscite,
espressivo di un rendimento minimo accettabile dal mercato per il livello di rischio
associato all’investimento.
Se da un lato l’estrema analiticità del metodo proposto permette di pervenire ad
una stima attenta e precisa del reale valore del bene da valutare, dall’altro, se
correttamente applicate, le variabili oggetto di questo procedimento richiedono una serie
di informazioni molto particolareggiate ed una serie di dati quantitativi inerenti i futuri
flussi di spesa che potrebbero iniettare nel procedimento stesso eccessivi margini di
soggettività. Nel contempo, la predisposizione di un simile set informativo andrebbe a
beneficio della trasparenza della valutazione stessa e dell’attendibilità dei risultati
successivamente ottenuti, ma a discapito dell’efficienza della valutazione.
Basandosi su molteplici variabili di difficile quantificabilità e su ipotesi in
merito ai futuri oneri relativi alla costituzione dell’attività immateriale oggetto di
analisi, è evidente come l’approccio analitico non possa sempre essere applicato in
maniera efficace: la carenza delle suddette informazioni o la loro stima non supportata
da adeguate basi concrete possono rappresentare un pesante limite all’applicazione di
172
questo metodo, donando ai valori risultanti dallo stesso una scarsa attendibilità. Per
questo motivo, viene spesso preferito il metodo sintetico all’approccio appena descritto,
grazie alla sua facilità e relativa immediatezza di applicazione.
b. Procedimenti sintetici
In alternativa al procedimento analitico precedentemente esposto si pone il
procedimento sintetico che ha l’ovvio pregio di non dover veder basata la propria
concreta applicazione su numerose variabili difficilmente quantificabili. Nel contempo,
i parametri utilizzati, devono comunque essere il frutto di un’attenta analisi della
situazione di mercato attuale e prospettica, al fine di non rendere il procedimento un
mero esercizio algebrico. A livello analitico, il metodo può essere riassunto nella
formula seguente:
CMTVRn ⋅=
dove:
VR = valore di rimpiazzo “a nuovo”
MT = coefficiente tecnico di capitalizzazione, espresso in anni
C = configurazione di costo espressiva della dimensione normale e corrente di
risorse da destinare annualmente per la formazione di un bene immateriale
equivalente a quello da stimare
Le variabili introdotte richiedono alcune precisazioni. Il coefficiente tecnico
(MT) ha la funzione di legare il costo annuo normale e corrente (C) al valore di
rimpiazzo del bene immateriale (VR): essendo espresso in anni, il suddetto coefficiente
permette di apprezzare il tempo di realizzazione di tale intangibile, in ipotesi di un
costante dimensionamento annuo dell’investimento. Il tutto, ovviamente, è da porre
strettamente in relazione alla tipologia di bene considerato. L’apprezzamento di un
adeguato coefficiente è compito di esperti che si trovano quotidianamente ad operare nel
settore a cui il bene fa riferimento, avendo acquisito una sensibilità tale da permettere
loro di giudicare i tempi di realizzazione dell’attività in questione. Lo stesso
173
coefficiente, d’altra parte, è variabile in funzione delle condizioni di mercato e
competitive del settore in cui opera l’impresa. La base di costo (C) deve rappresentare il
livello normale di investimenti che, per generale accettazione, si ritiene indispensabile
annualmente per disporre del bene immateriale da produrre. A riguardo, è necessario
cercare di stimare il ruolo dei vari fattori produttivi all’interno del processo di creazione
del bene immateriale e della loro efficienza, in stretto contatto con il calcolo di un
adeguato moltiplicatore temporale. In concreto, accade spesso che le spese iniziali per la
produzione del bene immateriale analizzato siano maggiori di quelle successivamente
sostenute, risultando questa variabile C una media delle varie uscite relative al processo
di creazione del bene. Nel contempo, è risultato spesso molto utile e considerato nella
pratica il riferimento a situazioni di mercato simili al fine di estrapolare un livello di
investimento medio tramite l’osservazione dell’operato di altre aziende che si trovano
nella condizione di portare avanti simili investimenti. Di conseguenza, questo metodo si
trova in posizione di confine tra un approccio orientato al costo ed un approccio
orientato al mercato. Da notare, inoltre, come sebbene non siano coinvolte molteplici
variabili strumentali alla valutazione del bene immateriale, come accadeva nel metodo
precedente, i due valori da stimare all’interno di questo procedimento, si basino
sostanzialmente sulle stesse leve che all’interno del procedimento alternativo venivano
chiaramente esplicitate. La semplificazione apportata dal metodo sintetico risulta essere,
di conseguenza, più apparente che concreta, a meno di non privare della necessaria
attendibilità le stime prodotte.
Qualunque sia il procedimento applicato, anche per il metodo del costo di
rimpiazzo è necessario tenere in considerazione il problema di intervenire sul valore a
nuovo del bene tramite una rettifica per degrado, al fine di tener conto dell’effettivo
stato di utilità dello specifico bene intangibile. Ricordiamo, difatti, che la tecnica del
costo di rimpiazzo ha come obiettivo quello di pervenire al valore di un bene
equivalente a quello oggetto di stima, dotato quindi del medesimo grado di efficacia
esistente alla data della valutazione. Anche in questo caso, come evidenziato nella
descrizione del metodo precedente, la modifica può essere resa esplicita o può essere
mascherata all’interno del processo di valutazione delle singole variabili da tenere in
considerazione. L’impiego di una rettifica per degrado in forma esplicita è generalmente
174
applicata a quei beni per cui è possibile determinare una vita utile complessiva e la
velocità di deperimento della stessa: è il caso di quei beni legati alla tecnologia più che
di quelli legati al marketing e alla comunicazione. A livello analitico, questa rettifica
consiste nell’applicare un indicatore di efficienza residua, pari al rapporto tra la vita
economica residua (VEres) del bene e la sua vita economica totale (VEtot), alla
grandezza ottenuta dal processo di stima, rappresentativa del costo di ricostruzione “a
nuovo” (indicato in precedenza con VRn). Il valore di rimpiazzo effettivo è di
conseguenza dato dalla formula:
tot
resn
VEVEVRV ⋅=eR
A livello concreto, in letteratura vengono spesso portati esempi applicativi della
metodologia di valutazione descritta in relazione alla valutazione di beni immateriali di
marketing relativi a campagne pubblicitarie per l’affermazione di un marchio253.
3.3.2 – L’approccio del reddito
All’interno dell’approccio del reddito vengono generalmente ricomprese tre
metodologie di calcolo: il metodo di attualizzazione dei risultati differenziali, il metodo
di esenzione da royalty e il metodo del costo della perdita. I tre procedimenti sono
accomunati da un medesimo presupposto logico, in ossequio al quale il valore dei beni
immateriali oggetto di stima viene ricondotto al fatto che questi rilascino benefici
economici futuri all’azienda che ne ha la disponibilità. Se l’approccio del costo
giungeva allo stesso principio percorrendo la tappa intermedia dell’individuazione dei
costi sostenuti in passato per ottenere i vantaggi futuri in questione, il metodo qui
oggetto di analisi passa direttamente all’ultimo passaggio, forse perdendo qualcosa in
termini di oggettività e precisione ma, nel contempo, risultando maggiormente aderente
ai comuni principi che muovono le valutazioni delle aziende in funzionamento: se
l’approccio del costo, infatti, può ritenersi concettualmente più riferibile ad un
approccio di valutazione aziendale prettamente patrimoniale, l’approccio reddituale può
175
invece essere collegato a quei procedimenti che hanno come base logica
l’attualizzazione di flussi futuri, su tutti il modello DCF, Discounted Cash Flow.
Date le differenze che sottostanno ai due metodi ricompresi all’interno di questa
macroclasse, risulta opportuno procedere singolarmente alla loro analisi.
3.2.2.1 – Il metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali
Il metodo in esame si basa sul principio comunemente riconosciuto nella dottrina
aziendalistica per il quale il valore di un’attività – o di un insieme di attività, quale può
essere considerata un’azienda – si basa sulla relativa capacità prospettica di generare
futuri vantaggi economici. In funzione del quadro informativo entro il quale i soggetti a
cui spetta il compito di effettuare la valutazione si trovano ad operare, si possono
configurare diverse alternative operative in merito all’applicazione del suddetto metodo.
La distinzione più rilevante riguarda la tipologia di flussi futuri da attualizzare:
in tal senso, si può basare la valutazione su flussi economici o su flussi finanziari quali
variabili di riferimento. L’impiego di una grandezza reddituale di misura dei benefici
futuri è indubbiamente più cara alla tradizione aziendalistica e ragionieristica, mentre la
considerazione di flussi monetari futuri permette di avvicinarsi maggiormente ai dettami
propri dell’analisi finanziaria. Come affermato in precedenza, la scelta tra le due
soluzioni non dipende solo da problemi teorici in merito all’opportunità di considerare
l’una o l’altra tipologia di flussi, quanto piuttosto dal reale bagaglio informativo
aziendale e dall’effettiva capacità di proporre stime dei flussi stessi adeguate e
affidabili.
In secondo luogo, vi è la possibilità di considerare risultati economico-finanziari
puntuali, calcolati in maniera precisa periodo per periodo, o piuttosto normalizzati. Nel
primo caso, è evidente la necessità di un bagaglio informativo ampio ed articolato che
permetta la corretta imputazione dei vari flussi ai rispettivi periodi di competenza; a
fronte di una maggiore precisione nella stima e di una più puntuale valorizzazione del
bene oggetto di valutazione, si riscontra una difficoltà applicativa tale da far spesso
preferire agli operatori l’utilizzo di procedure di normalizzazione dei redditi attesi.
253 Cfr. Renoldi A., La valutazione dei beni immateriali, Egea, Milano, 1992 o Guatri L., Trattato sullavalutazione delle aziende, Egea, Milano, ult. ed.
176
In terzo luogo, soprattutto a livello applicativo, ci si trova spesso nella situazione
di dover scegliere tra il prendere in considerazione grandezze consuntive, riferite ad
esercizi passati ma ancora rispecchianti la situazione attuale, o grandezze future attese,
frutto di stime accurate da parte del management aziendale e contenute in budget
preventivi ad uopo predisposti. Nel primo caso, ci si troverebbe concretamente di fronte
alla necessità di capitalizzare flussi positivi riferiti a periodi passati che potrebbero
vantare una maggiore precisione ed un maggior grado di affidabilità rispetto a flussi
futuri oggetto di stima alla data della valutazione. I flussi passati, tuttavia, dovrebbero
essere rappresentativi della realtà aziendale prospettica, situazione che si verifica
soprattutto nel caso di aziende operanti in contesti competitivi relativamente statici:
questo al fine di non discostarsi troppo dalla reale situazione in cui l’attività immateriale
oggetto di valutazione si troverà immersa nel futuro. Nel caso si volessero considerare
come rilevanti i flussi futuri derivanti da analisi aziendali prospettiche, si tratterebbe di
attualizzare tali flussi e considerare il loro valore alla data di analisi.
Per la maggiore accuratezza che lo contraddistingue, se applicabile e se rilevabili
in maniera precisa e puntuale tutte le variabili che dovrebbero entrare nel processo di
valutazione, il procedimento basato sul reddito – o ancor meglio basato su grandezze
monetarie non distorte da eventuali politiche contabili – è una soluzione metodologica
sicuramente preferibile al metodo del costo, esposto in precedenza. In secondo luogo, la
soluzione della capitalizzazione di flussi medi-normali, risulta maggiormente
percorribile a livello operativo concreto, non essendo necessario formulare stime in
merito a flussi di cassa futuri che potrebbero esporre la valutazione a rischi di eccessiva
soggettività: tutto questo, ovviamente, a scapito di una precisione, che sarebbe massima
nel caso in cui si riuscissero a distinguere puntualmente i singoli flussi di reddito
considerati e la loro distribuzione temporale.
Da un punto di vista analitico, il metodo reddituale prevede l’utilizzo delle classiche
formule di capitalizzazione, distinguendo due casi a riguardo:
177
se il flusso dei redditi attesi futuri si estende su un orizzonte temporale
prospettico illimitato, si avrà che254
iRW =
dove:
R = risultato economico medio-normale
i = tasso di capitalizzazione
se il flusso dei redditi riguarda un arco temporale ben delimitato, la formula
diventa255
iiRW
n)1(1 +−
⋅=−
dove:
R = risultato economico medio-normale
i = tasso di capitalizzazione
n = durata della rendita in periodi di tempo (usualmente anni)
Qualora non si volesse fare riferimento ad una configurazione di reddito medio-
normale, ipotesi su cui si basano le due formule proposte in precedenza, si dovrebbe
ricorrere a misure puntuali di reddito, variabili di periodo in periodo, di modo che il
valore dell’attività immateriale sia il frutto dell’attualizzazione dei vari risultati di
periodo. A livello analitico, la formula si presenta
n
n
kV
kR
kRW
)1()1()1( 2
21
+++
++
+= L
254 La formula proposta non rappresenta altro che la formula del valore attuale di una rendita perpetua divalore R, attualizzata al tasso i.255 La formula proposta non rappresenta altro che la formula per calcolare il valore attuale di una renditaposticipata di valore R, di durata pari ad n anni, scontata al tasso i.
178
dove:
R1, R2, …, Rn = redditi attesi in ciascuno dei periodi futuri 1, 2, …, n
k = tasso di attualizzazione
Vn = terminal value dell’attività256
Come nel caso del metodo del costo, anche il metodo reddituale-finanziario
necessita di alcuni passaggi intermedi per approntare le variabili necessarie alla stima
del valore dell’attività immateriale in questione, rappresentando questi passaggi uno dei
momenti fondamentali per donare attendibilità al processo di stima stesso. A riguardo,
risultano importanti due tappe: innanzitutto è necessario determinare il flusso di reddito
“rilevante” da tenere in considerazione nel processo; in secondo luogo, è altrettanto
necessario individuare quale sia il tasso di attualizzazione più opportuno per scontare i
flussi futuri257. Tratteremo di seguito queste due problematiche, cercando di evidenziare
le principali difficoltà metodologiche, al fine di ridurre il grado di discrezionalità
proprio di simili processi di stima, onde ridurre la variabilità dei possibili risultati della
valutazione258.
a. La determinazione dei flussi rilevanti
Tanto nella sua accezione reddituale quanto in quella finanziaria, il metodo del
reddito259 richiede la preventiva determinazione di grandezze fondamentali quali il
profilo reddituale atteso in ciascun periodo futuro260 imputabile all’intangible oggetto di
specifica valutazione, nonché l’orizzonte temporale su cui si estenderà il predetto flusso
atteso di redditi, generalmente coincidente con la vita economica residua del bene261.
Dato che il reddito rilevante per il processo di valutazione è quello che si stima
essere legato ed almeno idealmente imputabile alla presenza e all’azione dell’intangible,
il calcolo di questo deve essere il frutto di un’attenta analisi dei risultati economici
256 Col termine Vn si esprime il valore che l’attività possiede oltre l’orizzonte di valutazione; valore cheviene determinato come rendita perpetua al periodo n del valore Rn-1 registrato nell’ultimo esercizio delperiodo di valutazione.257 O eventualmente quale sia il tasso di capitalizzazione per calcolare il montante deii flussi passati, nelcaso in cui si voglia basare l’analisi su osservazioni retrospettiche.258 Tanto questo metodo quanto i precedenti ed i successivi, difatti, presentano quale problema principalee comune il rischio che il processo di valutazione sia caratterizzato da una eccessiva soggettività.259 Chiameremo così il metodo oggetto di analisi, facendo riferimento sia al procedimento reddituale chea quello finanziario, dove non diversamente specificato.260 O eventualmente medio-normale nel caso in cui non si disponga di un sufficiente set informativo.
179
aziendali, basata su adeguate informazioni contabili che permettano la ripartizione
dell’unitario sistema dell’economia d’azienda in funzione della fonte dei risultati stessi.
A scopo introduttivo, al fine di sistematizzare e rappresentare graficamente
quanto stiamo per dire, risulta interessante proporre la tabella262 seguente che permette,
non senza alcune semplificazioni, di mettere in luce il contesto in cui il metodo
reddituale e le sue diverse accezioni si inseriscono.
In linea teorica il procedimento di quantificazione del risultato attribuibile al
singolo bene immateriale oggetto di analisi si può dividere in due tipologie: il metodo
indiretto o il metodo diretto, a seconda che il bene contribuisca alla formazione della
complessiva redditività aziendale o si identifichi con il totale potenziale di redditività
aziendale. A questa seconda metodologia, si tendono a ricondurre tutti i casi di quei
beni che traggono il loro valore da specifici accordi contrattuali, come ad esempio i
diritti di concessione in uso di brevetti o di marchi, o ancora le autorizzazioni per
l’erogazione di servizi. In secondo luogo, si rifanno a questa variante valutativa tutti i
261 Salvo poi tenere in considerazione l’eventuale terminal value dell’attività.
Determinazione Posizione del bene immateriale Tecnichedi determinazionedel reddito rispetto alla performance di delreddito e di valutazione
profitto d’impresa del bene
INDIRETTA A) Il bene da valutare Medio contribuisce alla normale
Capitalizzazione redditività aziendale
Tipo diB) Il bene da valutare risultato si identifica con il reddito d’azienda Puntuale
Attualizzazione per annoDIRETTA
Figura 13 - Panoramica del metodo reddituale
180
casi di analisi di quelle imprese di piccole dimensioni la cui economicità e il cui
vantaggio competitivo è strettamente collegato e dipendente dalla presenza di un
particolare intangible, quale ad esempio un marchio o una specifica tecnologia
produttiva. Nel caso di imprese di più ampie dimensioni, invece, si possono rilevare
diversi beni immateriali identificabili che concorrono, ciascuno per la propria quota
parte e con differente intensità, alla determinazione del risultato economico finale
dell’azienda. Rispetto al procedimento diretto, di più facile applicazione e esposto a
minor rischio di produrre valutazioni soggettive, il metodo di stima indiretto richiede
un’accurata ricognizione dei dati di bilancio e di ogni informazione utile, contabile ed
extra-contabile, ad enucleare dall’unitaria realtà aziendale la componente del reddito
dell’impresa che si stima attribuibile al singolo intangibile.
Va rilevato, inoltre, come anche il tipo di bene oggetto di stima possa e debba
condizionare la scelta del procedimento di valutazione da adottare: si pensi al caso in
cui si debba valutare un’intera linea di prodotti o un autorizzazione ad operare in
esclusiva in un dato settore. In questo caso le grandezze coinvolte nel calcolo del
risultato di pertinenza andrebbero assunte e considerate nella loro interezza. Tra i
procedimenti diretti vengono anche annoverate tutte quelle tecniche di determinazione
del reddito di pertinenza dell’intangibile che fanno riferimento ad una qualche
“formula” prevista a livello contrattuale. E’ il caso, ad esempio, del metodo delle
royalties da corrispondere a fronte della concessione in uso di un marchio o di un
brevetto; tali corrispettivi vengono determinati come percentuali, contrattualmente
stabilite, applicate a grandezze coerenti col grado di importanza e diffusione del
marchio – usualmente il fatturato263.
Al contrario, se si dovessero valutare un marchio od una specifica tecnologia
produttiva, l’ottica di analisi più opportuna sarebbe quella propria dell’analisi
differenziale. In un ottica differenziale, ad esempio, si inseriscono il metodo che mira a
calcolare il differenziale del prezzo di vendita (premium price method) dovuto ad una
determinata marca, oppure il metodo finalizzato alla determinazione di eventuali
risparmi di costo derivanti da particolari tecnologie264. La combinazione e la
262 Ns. elaborazioni da Renoldi A., op.cit.263 Il metodo in questione verrà trattato separatamente nei paragrafi successivi.264 Entrambi questi metodi verranno trattati più ampiamente nei paragrafi successivi.
181
valutazione delle diverse potenzialità delle singole metodologie portano alla scelta del
criterio di stima più opportuno.
b. Il procedimento indiretto di determinazione dei flussi rilevanti
Avendo presente le indicazioni operative fornite dal precedente schema di
riferimento, possiamo ora passare all’analisi del procedimento di misurazione indiretta
del risultato economico idealmente imputabile al vantaggio competitivo fornito da un
bene immateriale chiaramente identificabile, all’interno di un contesto aziendale nel
quale l’intera redditività conseguita non sia imputabile alla presenza di un singolo bene.
Pur non essendo possibile individuare ben precisi ed obbligatori passaggi
all’interno del metodo indiretto, risulta opportuno introdurre alcuni steps propri di
qualsiasi processo di valutazione, qualsiasi ne sia l’oggetto.
Normalizzazione dei risultati economici aziendali: In via prioritaria al processo di
stima, e generalmente riconducibile ad una fase preparatoria del procedimento stesso,
risulta importante depurare i risultati economici aziendali da eventuali poste di bilancio
che non appartengano alla gestione caratteristica dell’azienda stessa; si tratta, ad
esempio, di costi o ricavi riconducibili alla gestione straordinaria, in quanto non
ricorrenti o conseguenti a politiche di bilancio discrezionali da parte dell’azienda. In
questo senso, particolare rilevanza riveste il sistema contabile in vigenza del quale il
bilancio è stato redatto, potendo questi flussi essere influenzati da eventuali norme o
prassi riconducibili a principi contabili di generale accettazione. In questo senso si
colloca il problema della contabilizzazione degli investimenti in beni immateriali. E’
comune, ad esempio, la prassi di spesare integralmente gli oneri sostenuti in un
esercizio per attività promozionali, pubblicitarie o di R&S, piuttosto che adottare un
processo di preventiva capitalizzazione e successivo ammortamento. In tal senso è
evidente la contrapposizione tra il principio di prudenza nella redazione del bilancio e il
reale collegamento temporale esistente tra il sostenimento dei suddetti costi e l’incasso
dei conseguenti ricavi. In sede i normalizzazione, ad esempio, si pone la necessità di
apprezzare l’opportunità di una simile politica contabile, al fine di far emergere nella
182
maniera più chiara e precisa possibile l’effettiva capacità reddituale dell’azienda in
questione.
Individuazione e separazione delle componenti di reddito relative all’intangibile:
Superata la fase preparatoria, all’interno della quale è possibile ricondurre anche la
precedente fase di normalizzazione dei redditi, si deve affrontare la parte più
significativa dell’intero processo di determinazione per via indiretta del risultato
economico: l’individuazione e la separazione delle componenti di ricavi e di costi
strettamente afferenti al bene immateriale oggetto di stima. In tal senso è essenziale che
le grandezze considerate rispondano ad almeno due requisiti fondamentali, quali quello
della pertinenza e della rilevanza.
In merito al primo, ci si riferisce al fatto che i ricavi, i costi, gli investimenti e
tutti i dati reperiti a seguito della fase preparatoria di analisi devono essere riferibili
all’azione esercitata dal bene stesso. In altri termini, deve esistere un nesso di causalità
tra la presenza del bene immateriale all’interno della realtà aziendale e la
manifestazione di questi valori, al fine di poter imputare gli stessi nella determinazione
del reddito rilevante.
Il secondo requisito, invece, fa riferimento al fatto che, una volta isolati costi,
ricavi ed investimenti di pertinenza, non è detto che necessariamente vadano tutti
considerati ai fini della stima; sarebbe, ad esempio, opportuno escludere o considerare
in maniera minore quei valori per i quali sia stata accertata una volatilità molto ampia
nel corso dei vari periodi. Vanno quindi isolati e considerati solo quei valori che
risultano essere strettamente collegati alla presenza del bene intangibile, al fine di
introdurre una maggiore prudenza nella valutazione di un bene già di per sé
difficilmente definibile e valutabile in maniera ancor più complicata.
Valutazione del beneficio fiscale: Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione nella
determinazione delle grandezze rilevanti da attualizzare successivamente è l’impatto
fiscale che i flussi derivanti dalla presenza del bene immateriale nel complesso
aziendale producono. Nella disciplina contabile italiana, che prevede l’ammortamento
sistematico del bene immateriale, è necessario tenere in considerazione nella
183
valutazione dei flussi generati dal bene, il risparmio d’imposta derivante dallo spesare a
conto economico i vari flussi di ammortamento annui.
Se, infatti, il bene è identificabile, trasferibile a terzi in maniera autonoma
rispetto al complesso aziendale originario e dotato di una quantificabile vita economica
residua, allora esso possiede – in aggiunta al suo valore economico “intrinseco” – un
ulteriore componente di valore rappresentata, appunto, dai vantaggi fiscali che il terzo
acquirente potrà trarre dall’acquisto del bene stesso. Il processo di ammortamento al
quale il bene sarà sottoposto, infatti, porta ad una diminuzione del reddito imponibile e
di conseguenza del livello di prelievo fiscale subito dall’azienda.
A livello analitico possiamo concludere che
BFWWtot +=
nella quale
iiRW
n−+−⋅=
)1(1
dove:
W = valore intrinseco del bene secondo il metodo reddituale
R= reddito di pertinenza del bene immateriale
ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione definito da
n = numero di anni corrispondenti alla vita utile residua del bene
i = tasso di attualizzazione
e
iitABF
n−+−⋅⋅=
)1(1
dove:
BF = valore del beneficio fiscale derivante dal processo di ammortamento del
bene
184
A = quota annua di ammortamento
t = aliquota d’imposta sul reddito
ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione
Questa è sostanzialmente la fase che qualifica il procedimento indiretto, del tutto
assente in quello diretto: superate le difficoltà informative e conoscitive derivanti
dall’accuratezza di tale metodo e dalla grande mole informativa che richiede, l’obiettivo
è generalmente la determinazione di un margine operativo lordo265 generato
dall’intangibile. Tale grandezza, calcolata come differenza tra i ricavi di vendita ed i
costi diretti monetari – escludendo, quindi, gli ammortamenti e gli accantonamenti –
mira a rappresentare la definizione di un risultato imputabile al singolo intangible e nel
contempo esente dai possibili riflessi di politiche contabili e di bilancio in merito agli
ammortamenti e agli altri costi non monetari. Ai fini delle successive elaborazioni, il
MOL rappresenta un’ottima grandezza di riferimento, offrendo una dimensione
dell’effettivo margine di profitto che il bene è in grado di generare, su cui poi innestare
successive rielaborazioni per tenere conto di ulteriori costi indiretti, di natura
economico-operativa (spese generali ed amministrative) e finanziaria (oneri finanziari).
Il margine operativo lordo, infatti, deve esser corretto per tenere conto di una
serie di costi quali i costi indiretti monetari, gli ammortamenti e la remunerazione del
capitale investito. In tal senso risulta interessante fare riferimento al caso particolare
della valutazione di una particolare linea di prodotto, per le specificità operative che
questo caso può offrire. Per quanto riguarda i primi, si fa riferimento a quelle spese da
sostenere comunque per la realizzazione del normale ciclo di acquisto-produzione-
vendita, nella misura relativa alla singola attività immateriale, quali ad esempio
eventuali costi di manodopera indiretta, i costi per il controllo della qualità e talune
spese amministrative. In merito agli ammortamenti, si dovrebbe tenere in
considerazione lo stock di investimenti tecnici minimi indispensabili per garantire il
livello di produzione assunto ai fini della valutazione. In terzo luogo, si tratta di valutare
la remunerazione adeguata per gli stock di risorse investite nel processo di produzione,
265 Il margine operativo lordo (MOL) è dato dalla differenza tra ricavi di vendita (+), costi per acquisti dimaterie prime e servizi (-) e costo del lavoro (-). Proprio per il fatto di spesare solamente costi“monetari”, lo stesso MOL rappresenta una discreta approssimazione del flusso di cassa generato daun’azienda o, in questo caso, da una singola attività immateriale.
185
sulla base dei saggi espressi dal mercato. Da ultimo, vanno anche considerate le
eventuali imposte potenziali da attribuire al bene immateriale, a prescindere dalla
particolare posizione fiscale – eventuali crediti d’imposta o agevolazioni – del soggetto
aziendale a cui appartiene l’attività immateriale.
Proseguendo nella metodologia esposta, risulta spesso opportuno sottoporre i
risultati reddituali ottenuti ad alcuni correttivi, al fine di rendere più preciso e realistico
il procedimento di analisi. Innanzitutto, si tratta sovente di attuare una
omogeneizzazione monetaria tra i diversi flussi ottenuti, al fine di considerare gli stessi
al netto dell’effetto di perdita di valore determinato dall’inflazione. Attraverso adeguati
coefficienti espressivi, appunto, della dinamica inflazionistica verificatasi negli anni
considerati – tanto nel caso di redditi futuri da attualizzare, quanto di redditi passati da
capitalizzare – vengono riespressi in termini monetari correnti alla data di riferimento
della valutazione tutti i flussi di cassa calcolati in precedenza. Ad ogni modo, non è
sempre detto che tale rettifica, seppur opportuna e motivata dal punto di vista
concettuale, possa offrire effettivi contributi al miglioramento del grado di correttezza e
precisione delle stime. Questo, infatti, avviene in maniera sensibile nel caso di periodi
di accentuata tensione inflazionistica, dove la considerazione di grandezze riferite a
periodi diversi senza una preventiva omogeneizzazione monetaria potrebbe portare a
valutazioni irrealistiche: al contrario, in caso di periodi di inflazione relativamente
bassa, un simile intervento correttivo non sembra contribuire all’effettivo
miglioramento dell’attendibilità delle stime: in tal senso, basti ricordare l’estrema
soggettività correlata a queste procedure di valutazione, tale per cui un simile, limitato
correttivo non potrebbe accrescere la capacità informativa derivante dalla stima stessa.
Appare maggiormente rilevante, invece, una seconda possibile tipologia di
correttivo che consiste nella ponderazione dei vari flussi ottenuti in funzione della
probabilità di accadimento. Soprattutto in contesti altamente competitivi associati ad
un’ampia volatilità dei possibili risultati attesi – situazione nella quale anche le fonti
informative su cui basa l’analisi non sarebbero completamente attendibili – appare
opportuno attribuire ai singoli risultati periodici un peso che esprima un giudizio di
sintesi dell’analista in merito all’effettiva probabilità di conseguire quel reddito.
Attraverso un simile intervento, quindi, si mira a fornire informazioni ed ad esplicitare il
livello di rischio associato al flusso stesso, soprattutto per quei flussi che, più lontani nel
186
tempo, appaiono più frutto di congetture che di reali e attendibili stime. D’altra parte,
come più volte ripetuto nel corso dell’analisi delle singole varianti del metodo di
valutazione analizzato, appare evidente la necessità di valutare il trade-off tra il
miglioramento della stima e l’aumento della soggettività collegata alla stessa, valutando
l’opportunità o meno di applicare correttivi o formulare ulteriori ipotesi, in funzione
dell’effettivo perfezionamento delle stime. L’indagine fin qui sviluppata ha fatto
riferimento al procedimento indiretto di determinazione del reddito di competenza di un
intangible, in ipotesi di impiego di grandezze assolute. Di seguito analizzeremo, invece,
il medesimo procedimento relativamente al caso in cui si debbano adottare grandezze
differenziali, ottenute appunto tramite l’analisi differenziale. Come già fatto in
precedenza, eventuali esempi e riferimenti pratici verranno collegati al più frequente
campo di applicazione di questa metodologia, ossia alla valutazione di marchi o di linee
di prodotti. Al fine di permettere una esposizione più sistematica del procedimento,
appare opportuno introdurre fin da ora la seguente tabella266, all’interno della quale
viene riassunto il procedimento stesso.
Figura 14 - Determinazione del margine netto di competenza del bene immateriale
266 Cfr. Renoldi A., op.cit.
187
Come si evince dalla tabella, due sono i passi principali da compiere per
pervenire alla valorizzazione del bene immateriale in questione. A questo proposito
risulta necessario per prima cosa determinare il margine netto differenziale, per poi
passare concretamente alla valutazione dell’attività. Prima di procedere alla descrizione
dei due diversi passaggi, è necessario produrre due osservazioni rilevanti in merito alla
tabella: per prima cosa, le grandezze percentuali che partecipano alla determinazione del
margine netto differenziale si basano su valori medi unitari; in questo senso, si
prescinde dai volumi di vendita e di produzione267. In secondo luogo, l’ottica di analisi
differenziale su cui si basa il procedimento analizzato richiede l’individuazione di un
concorrente primario in relazione al quale si possano trarre conclusioni rispetto ad un
livello medio-normale: non sempre il reperimento di un simile termine di paragone
risulta facile e anche nel caso in cui ciò accadesse, si presenta spesso la necessità di
effettuare preliminari correzioni per omogeneizzare le due realtà.
267 Non va comunque dimenticato, come sottolineato in precedenza, che la disponibilità di un marchioaffermato esercita un duplice effetto congiunto in termini sia di premium price che di stabilizzazione – o
A) Determinazione del margine netto differenziale1
+ ∆ prezzo finale di vendita (premium price) - ∆ costi di commercializzazione2
- ∆ costi di produzione3
- ∆ costi di pubblicità + ∆ µ margine netto differenziale
B) Determinazione del valore economico dell’intangibile
iiFW
n−+−⋅⋅∆=
)1(1µ
dove:
µ∆ = percentuale del margine netto differenzialeF = ricavi totali di vendita del produttore relativamente alla linea di
prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di valutazione
ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione relativo ad un arco temporale
delimitato, pari alla presunta durata residua del marchio o delciclo di vita del prodotto qualificato dal marchio
1 : valori percentuali rapportati al prezzo praticato dal produttore titolare del marchio alrivenditore).2 : maggior margine di intermediazione riconosciuto dal produttore al rivenditore. i l i i di i li i
188
Sempre facendo riferimento, per donare maggiore concretezza all’analisi, alla
determinazione del valore di una determinata linea di prodotti o di un marchio, bisogna
innanzitutto notare come gli studi di marketing abbiano da tempo rilevato il fatto che le
risorse intangibili legate a questo ambito, permettano all’impresa che le possiede di
perseguire almeno i seguenti vantaggi differenziali: in primis, la possibilità di applicare
un prezzo di vendita più elevato, in presenza di una curva di domanda più rigida rispetto
alla normale curva di domanda evidenziata da un prodotto simile ma senza marca. In
secondo luogo, si rileva la possibilità che la domanda del prodotto sia più stabile, con
conseguenti benefici derivanti a cascata relativi alla migliore prevedibilità delle vendite
e al perseguimento di economie di scala. Nel contempo, molto spesso, questi effetti
migliorativi – che si riflettono generalmente in un aumento del fatturato – trovano
riscontro in un incremento compensativo dal lato dei costi di produzione e di
commercializzazione. Espressivo del reale valore del marchio – e quindi della risorsa
intangibile oggetto di valutazione – è non tanto il mero differenziale di prezzo (premium
price) rilevabile per il prodotto analizzato, quanto piuttosto il differenziale netto di
prezzo, depurando il premium price puro da quel ∆costi per mezzo del quale si viene a
formare il vantaggio competitivo del marchio oggetto di valutazione nei confronti degli
altri. Molto spesso questi costi sono collegati alla politica commerciale attuata
dall’impresa o alle effettive caratteristiche intrinseche del prodotto. Per quanto riguarda
la prima, ad esempio, si tratta spesso di considerare quei significativi aumenti del valore
del margine di intermediazione riconosciuto dal produttore-titolare del marchio ai propri
rivenditori, al fine di perseguire in maniera più efficiente la politica distributiva stabilita
a livello aziendale. In secondo luogo, accade spesso che il diverso posizionamento di un
marchio rispetto ad un altro faccia leva sulle reali caratteristiche qualitative e di
performance del prodotto stesso: differenze che hanno a che fare col vero e proprio
valore intrinseco del prodotto. Queste potrebbero riverberarsi in un aumento dei costi di
approvvigionamento, dei costi per il controllo di qualità, dei costi per materie prime:
tutte variazioni che andrebbero adeguatamente tenute in considerazione al momento di
valutare il differenziale netto associato al marchio analizzato.
In conclusione, tale modo di procedere è fondamentale per valutare se i premium
price individuati siano soltanto apparenti, in quanto rappresentanti lo sbocco obbligato
incremento – delle quantità vendute. Il procedimento proposto in tabella considera l’ “effetto volume”
189
per recuperare i maggiori costi di produzione o di commercializzazione derivanti dalla
specifica politica aziendale adottata, o siano reali, configurandosi come veri e propri
differenziali di prezzo rispetto agli altri prodotti, a parità delle altre condizioni
produttive.
Una volta determinato il margine netto differenziale unitario, si passa alla
concreta determinazione del valore economico dell’intangibile oggetto di stima,
calcolato come il prodotto tra il margine stesso ed il fatturato, al fine di considerare
anche l’effetto volume che il possesso di un marchio affermato può causare. Il terzo
fattore moltiplicativo permette di tenere in considerazione l’intero arco temporale lungo
il quale si spalmano i vantaggi derivanti dall’esistenza dell’intangibile all’interno
dell’azienda, fornendo informazioni in merito alla vita utile residua dell’attività stessa.
Date le difficoltà teoriche derivanti dall’individuazione e dalla descrizione di
simili processi valutativi, tali per cui gli stessi procedimenti si sono sviluppati di pari
passo con frequenti applicazioni pratiche e casi concreti, risulta interessante anche in
questa sede aggiungere una ulteriore esemplificazione pratica a quelle già proposte in
merito alla valutazione di beni immateriali legati alla sfera del marketing. Come
evidenziato da Brugger268, gli intangibles sono generalmente riconducibili a due
categorie generali: quelli relativi al marketing e quelli relativi alla tecnologia. Se i primi
tendono a mostrare il loro effetto concreto permettendo all’azienda che li possiede e li
utilizza di percepire un premium price – come descritto in precedenza – eventualmente
eroso da probabili incrementi di costi, i secondi manifestano la loro utilità in un modo
leggermente diverso.
Sebbene possa capitare che particolari specificità tecnologiche appartenenti ad
un determinato prodotto conferiscano all’azienda un premium price, è molto più
probabile che i beni legati alla tecnologia portino l’impresa che li possiede a riscontrare
all’interno del proprio processo produttivo delle riduzioni di costo che, a livello pratico,
hanno lo stesso effetto di un aumento del prezzo di vendita. La disponibilità di un
particolare know-how può permettere all’azienda di ridurre i propri costi di produzione o
di commercializzazione dei prodotti e ciò si traduce, al pari di un bene immateriale
legato al marketing, in un vantaggio competitivo per l’impresa. L’impiego di una nuova
allorché si considera il prodotto tra margine netto differenziale unitario e fatturato.
190
tecnologia può portare quindi a risparmi di costo, i cui benefici andranno ancora una
volta valutati in base alla logica differenziale, ossia confrontando la struttura dei costi
con una situazione media-normale di riferimento269. Nell’ottica dell’analisi
differenziale, difatti, potrebbero anche verificarsi eventuali fenomeni di “ricaduta”,
riscontrabili in altri costi accessori per supportare la suddetta tecnologia o in eventuali
modificazioni dei prezzi e dei volumi di vendita. A titolo esemplificativo, può darsi il
caso in cui un’impresa possa usufruire di un processo produttivo innovativo ed
esclusivo, a seguito del quale possa beneficiare di ingenti risparmi di costi unitari di
produzione: se, tuttavia, questa tecnologia comporta a cascata un peggioramento delle
caratteristiche estetiche del prodotto tale da rendere necessaria una riduzione del prezzo
di vendita per compensare la minore appetibilità riconosciuta dal mercato a questi
prodotti, di tale riflesso negativo si dovrà necessariamente tenere conto per valutare
l’effettivo potenziale reddituale legato al know-how preso singolarmente. Una volta
determinato il beneficio netto, si procederà anche in questo caso all’attualizzazione
dello stesso secondo le formule proposte in precedenza, valutando anche la probabile
vita utile residua del bene stesso: questa metodologia viene spesso applicata alla
valutazione di singoli accordi contrattuali che comportino l’effettivo sostenimento di
minori oneri rispetto a quelli correntemente e mediamente sostenuti nel mercato di
riferimento270 .
c. Il procedimento diretto di determinazione dei flussi rilevanti
Come sottolineato in precedenza, il procedimento diretto di determinazione dei
flussi rilevanti trova applicazione in un duplice ordine di casi: quando l’impresa
possiede un unico bene immateriale identificabile, al quale venga riconosciuto un ruolo
prioritario se non esclusivo nel condizionare la performance reddituale dell’impresa
oppure nel caso in cui vi siano le condizioni per l’applicazione della tecnica del
beneficio prodotto dalla mancata corresponsione di royalties. Tralasciando il secondo
268 Cfr. capitolo 1.269 Al riguardo si ripropongono le medesime osservazioni avanzate in precedenza in merito alla difficilereperibilità di situazioni aziendali adeguatamente comparabili.270 Si tratta frequentemente, quindi, di accordi di fornitura di merci o servizi, in presenza di prezzi econdizioni di pagamento più favorevoli rispetto a quelle mediamente riscontrabili sul mercato. E’ il casoanche di contratti di finanziamento che propongano tassi di interesse inferiori a quelli di mercato.
191
criterio, essendo oggetto di trattazione separata nei successivi paragrafi, riteniamo
opportuno focalizzare la nostra attenzione sul primo ordine di casi, premettendo che
raramente i requisiti richiesti da questo metodo vengono rispettati in maniera rigorosa.
A causa della sempre maggior importanza che i beni intangibili rivestono all’interno
dell’economia di qualsiasi azienda, diventano sempre più rari i casi in cui sia possibile
identificare un’unica fonte immateriale di vantaggio competitivo: per questo motivo
risulta molto più frequente nella pratica – sebbene avanzi richieste informative ben
maggiori – l’applicazione del procedimento indiretto.
Il procedimento diretto, d’altra parte, si confà sostanzialmente a quelle imprese
monoprodotto di minori dimensioni presenti con una frequenza maggiore in Italia
piuttosto che negli altri stati: si tratta di aziende che hanno sviluppato un particolare
know-how in campo tecnico – quali formule o disegni esclusivi – e devono la loro stessa
possibilità di sopravvivenza alla presenza e al mantenimento di queste fonti di
vantaggio competitivo. Più raramente, avviene che la situazione descritta sia riferita a
beni intangibili che rientrino nella sfera del marketing, spesso più adatti ad essere
valutati in un’ottica differenziale al fine di considerare i vantaggi forniti dal marchio
stesso rispetto agli altri competitors.
Da un punto di vista concettuale, le metodologie e gli schemi applicativi da
adottare sono del tutto simili a quelli trattati in precedenza per le altre varianti del
metodo reddituale, anche per quanto riguarda le specificità introdotte dalla tecnica del
premium price netto e da quella dei risparmi di costo. Il solo e significativo elemento di
differenziazione è riconducibile alla relativamente minore complessità applicativa
dell’approccio qui presentato, riconducibile all’assenza di procedure preliminari di
individuazione ed enucleazione dal complesso dei ricavi, dei costi e degli investimenti
dell’azienda, ossia dei valori di stretta pertinenza del singolo bene intangibile.
d. La determinazione del tasso di capitalizzazione
La seconda grandezza da determinare nell’ambito del metodo reddituale è il
tasso da utilizzare per attualizzare i flussi futuri di reddito rilevanti, al fine di ottenere
una stima coerente ed affidabile del valore dell’intangible. A riguardo è opportuno
domandarsi se i principi generali che guidano la determinazione del capitale economico
192
di un’azienda possano essere riproponibili per la valutazione di un singolo bene
immateriale, dotato di autonoma rilevanza.
In linea di principio va sottolineato che il tasso di attualizzazione adottato in
sede di stima del capitale economico dell’azienda riflette un complesso giudizio
imperniato sulle caratteristiche della singola impresa e del settore in cui opera. Esso
quindi si configura come un saggio di rendimento “composito”, tenendo conto delle
caratteristiche di rischiosità implicite nelle diverse tipologie di attività che nel loro
complesso compongono l’azienda nella sua totalità: di conseguenza, questa tasso non
può che differire da quello utilizzabile nella valutazione di un singolo bene, nello
specifico di un bene immateriale. A rigore, difatti, il tasso di capitalizzazione a livello di
azienda corrisponde alla media dei saggi richiesti sulle singole attività, ponderato in
funzione della dimensione delle attività stesse in relazione al totale dell’attivo di
bilancio. In questo senso, il grado di rischio tipico di una singola attività è funzione del
livello di molteplici caratteristiche dell’attività stessa, tra le quali spiccano la
trasferibilità e la liquidabilità.
In una accezione generale, per trasferibilità si intende la capacità di una attività
di essere ceduta a terzi, senza subire pregiudizi in termini di valore. Nel caso specifico
dei beni immateriali possono essere mosse due osservazioni rilevanti a riguardo. Questi,
infatti, possono essere trasferibili a diversi soggetti contemporaneamente, senza
passaggio di proprietà: è il caso della cessione in licenza: tali beni, infatti, possono
essere concessi in uso a fronte di corrispettivi (royalties) in diverse zone, presentando
una predisposizione al trasferimento superiore a quella, in linea di principio, associabile
alle tradizionali attività materiali. Nel contempo, a fronte di questa possibilità, i beni
immateriali presentano due ulteriori fonti di rischio, che ne peggiorano il profilo:
generalmente, infatti, agli intangibles è associato un elevato grado di deperibilità degli
stessi e la loro trasferibilità è resa più complicata dall’effettiva scindibilità
dell’intangible stesso dal complesso aziendale originario. In secondo luogo, è evidente
come non esista un mercato proprio all’interno del quale trattare i beni immateriali,
rendendo il trasferimento di un’attività immateriale più che altro un episodio
occasionale collegato a compravendite di imprese.
Si fa riferimento alla liquidabilità di un attività immateriale in merito alla
capacità del bene di essere tradotto in moneta, in tempi ragionevolmente brevi, e senza
193
sostanziali perdite di valore. All’aumentare di tale capacità, minore sarà, a parità di altre
condizioni, il coefficiente di rischio associabile al bene. Per le attività immateriali,
quindi, valgono le stesse considerazioni effettuate in precedenza in merito alla difficile
trasferibilità di un’immobilizzazione immateriale, a causa della mancanza di un reale
mercato per i beni in questione.
Data la difficile quantificabilità del profilo di rischio associato ad un bene
immateriale, quindi, risulta opportuno percorrere un sentiero di analisi particolareggiato
che dia la possibilità di apprezzare le varie fonti di rischiosità associate al bene stesso.
In tale senso, ci focalizzeremo su alcuni aspetti, quali la posizione attuale e futura sul
mercato del bene e dell’azienda, lo stadio del ciclo di vita in cui si colloca il bene
immateriale, la versatilità dell’intangible, la sua diffusione spaziale, il relativo livello di
appropriabilità e il grado di deperibilità.
La posizione attuale e attesa in futuro sul mercato: Dato che le risorse immateriali sono
una delle principali fonti di vantaggio competitivo per una impresa ed il loro stesso
valore è, in maniera più o meno accentuata, funzione di ciò, risulta necessario condurre
un’attenta analisi della posizione di mercato dell’intangibile e del suo grado di
resistenza, rappresentando questa uno dei punti principali per l’apprezzamento del grado
di rischio associato al bene. Il vantaggio strategico che si accompagna ad una posizione
di mercato di rilievo si concretizza nella possibilità per il possessore di influenzare
concretamente la concorrenza all’interno del proprio settore di appartenenza: una
posizione stabile e duratura dell’impresa, ottenuta grazie alla presenza e all’utilizzo
dell’intangible oggetto di stima, permette di limitare la rischiosità del bene stesso,
potendo così utilizzare a livello di concreta valutazione un tasso di sconto minore.
Lo stadio del ciclo di vita del bene immateriale: Così come si è soliti fare per un singolo
prodotto o per un determinato settore, si può ugualmente ipotizzare l’esistenza di un
ciclo di vita per il singolo bene immateriale, anche in funzione dell’estrema dinamicità
che ne contraddistingue la vita e l’evoluzione. Se per alcuni beni, infatti, quali marchi
ben affermati o testate giornalistiche è difficile immaginare un ciclo di vita di durata
definita, soprattutto per i beni riconducibili nella sfera della tecnologia è possibile
individuare diverse fasi evolutive in funzione delle tendenze in atto a livello settoriale.
194
Si pensi, ad esempio, alla necessità di valutare una determinata ricerca scientifica,
ancora a stadi di avanzamento iniziali, durante i quali la probabilità di successo della
stessa è ben minore di quella che si potrebbe evidenziare in successive fasi. La stima del
bene immateriale in un ottica di “ciclo di vita”, permette di fornire informazioni utili su
aspetti segnaletici del grado di solidità del bene stesso, soprattutto in funzione
dell’analisi del grado di sfruttamento avvenuto in passato e delle residue capacità future
di contribuire alla redditività aziendale. E’ evidente, perciò, come l’analisi imperniata
sul ciclo di vita debba essere svolta tanto in un’ottica consuntiva quanto da un punto di
vista prospettico, al fine di inquadrare al meglio il posizionamento del bene stesso.
La versatilità del bene: Il contenuto di immaterialità proprio di un intangible, può
permettere al bene in questione di sfuggire ai condizionamenti tipici della
specializzazione, propria delle attività materiali: è noto, ad esempio, che impianti e
macchinari altamente specializzati rappresentano investimenti a contenuto di rischio più
elevato rispetto a soluzioni tecniche caratterizzate da maggiore genericità. Per
“versatilità”, quindi, si intende la capacità di un bene di non veder ridimensionate le
proprie potenzialità reddituali e strategiche se applicato al di fuori dell’impresa
originaria o in situazioni estranee a quelle del settore in cui è inserito. Alcuni beni
immateriali, difatti, possiedono un’intrinseca predisposizione ad essere potenzialmente
destinati ad impieghi alternativi, senza dover sostenere ingenti costi di “riconversione”.
E’ massimamente il caso di conoscenze tecnologiche esclusive sviluppate in un
determinato settore ma che trovano un fertile terreno applicativo anche in altre industrie;
oppure marchi e denominazioni che possano applicarsi a settori correlati a quello
originario271, senza mettere a repentaglio il posizionamento competitivo del bene
primario. A parità di ogni altra condizione, quindi, un bene immateriale potenzialmente
versatile presenta un livello di rischio inferiore a quello di un intangible che non possa
vantare un simile requisito: in questo senso, è evidente il riferimento ai concetti
introdotti in precedenza di liquidabilità e di trasferibilità. Un bene estremamente
versatile, infatti, può essere appetibile da un maggior numero di potenziali acquirenti
271 Si pensi, in tal senso, a marchi affermatisi nel campo dell’abbigliamento, che si diversifichino in unsecondo momento nell’industria dei profumi o dell’arredamento. Oppure ancora, eventuali conoscenze emarchi sviluppate da alcuni operatori nell’ambito farmaceutico, efficacemente dirottate in un secondomomento su prodotti OTC o dell’alimentazione per l’infanzia.
195
data la molteplicità di impieghi possibili, rendendo meno probabile la sua perdita di
valore in caso di trasferimento.
La diffusione spaziale del bene: Tale aspetto rappresenta in un certo senso, una forma di
diversificazione del bene, non tanto a livello di settore o business – accezione nella
quale rientra il precedente aspetto della versatilità – quanto piuttosto a livello
geografico. E’ fuor di dubbio, infatti, che un intangibile dotato di una diffusione
internazionale o comunque molto ampia a livello geografico, possa vantare un pregio
superiore – e di conseguenza un grado di rischio minore – di quello che abbia una
valenza regionale o nazionale. In questo senso, infatti, il pregio dell’internazionalità,
comporta che proprio per gli effetti compensativi potenzialmente presenti sui vari
mercati, il bene sia associato ad una performance economica dotata di maggiore
stabilità, in termini di quantità vendute e di prezzo. In secondo luogo, l’importanza
internazionale di un determinato bene immateriale dovrebbe essere, a rigore, il frutto di
una ingente politica di investimenti, strumentale all’effettiva diffusione del bene in
questione: in questo senso, il valore stesso del bene dovrebbe risentirne in maniera
positiva.
Il livello di appropriabilità: Con il termine “appropriabilità”, si intende la
predisposizione di un determinato bene ad essere riprodotto per imitazione dalla
concorrenza. Se, infatti, per talune attività immateriali è possibile disporre di forme più
o meno efficienti di protezione legale – a seguito delle quali il livello di appropriabilità
del bene da parte dei concorrenti appare ridimensionato – per altre le forme di
protezione sono meno formalizzate e non supportate da strumenti giuridici. Si tratta, ad
esempio, del caso di particolari conoscenze o tecnologie, per le quali si configurano
forme di protezione effettive non istituzionali: in tale circostanza, l’apprezzamento del
livello di rischio connaturato all’intangible non può prescindere da un giudizio in merito
all’effettiva efficacia ed adeguatezza delle misure difensive adottate dall’impresa.
In secondo luogo, è evidente che il livello di appropriabilità è funzione delle
stesse caratteristiche intrinseche di un determinato bene: all’aumentare della sua
complessità ed articolazione – soprattutto nel campo delle conoscenze scientifiche e
tecnologiche – è evidente che i processi imitativi possono risultare ampiamente
196
ostacolati; a maggior ragione, se la semplice comprensione delle specificità del bene
dovesse richiedere un bagaglio ben determinato di pre-conoscenze tecniche.
Da ultimo, bisogna evidenziare come la “complessità” a cui si sta facendo
riferimento non vada interpretata in senso restrittivo, limitandosi alla considerazione
delle mere caratteristiche fisico-tecniche dei beni: complesso, infatti, può essere non
solo l’interpretazione o l’applicazione di una nuova tecnologia ma anche il semplice
raggiungimento di un determinato livello di notorietà di un marchio all’interno di un
settore già altamente competitivo. Di conseguenza, all’aumentare della complessità
associata al bene immateriale oggetto di analisi, questo risulta più difficilmente
acquisibile per riproduzione e dunque possiede i presupposti per offrire all’impresa che
lo possiede e lo utilizza un vantaggio competitivo più duraturo nel tempo.
Il grado di deperibilità: Tra le varie caratteristiche associate ad un determinato bene
immateriale, quella qui oggetto di trattazione può essere sicuramente annoverata tra
quelle che rivestono un maggior rilievo in sede di apprezzamento del livello di rischio
connaturato al bene. In linea di principio, la vita utile di un bene e la sua possibilità di
rilasciare utilità per l’impresa sostenendo in maniera duratura il suo vantaggio
competitivo è funzione della velocità di deperimento del bene stesso: i beni immateriali,
infatti, sono tanto difficili da evidenziare in termini di valore all’interno dell’unitaria
gestione d’impresa, quanto rapidi nel perdere parte della consistenza precedentemente
espressa in concomitanza di periodi di difficoltà aziendale o di contesto competitivo. Se
tale considerazione è valida per la maggiorana dei beni immateriali usualmente
considerati, è altrettanto vero che, in assenza di condizioni eccezionali d’impresa o di
fenomeni profondamente turbativi dell’ambiente di riferimento, molti di essi non sono
suscettibili di deperimento economico o lo sono secondo modelli o gradi di intensità
differenziati in funzione della particolare tipologia del bene e del suo specifico
posizionamento nel settore272.
Ne consegue la necessità di un apprezzamento specifico, bene per bene, al fine
di evidenziare il livello di deperibilità associato ad ogni intangible, differente in
272 E’ opinione diffusa, ad esempio, che a parità di condizioni aziendali, i marchi appartenenti alleindustrie alimentari e delle bevande, siano dotati, per la stabilità e la continuità dei risultati, di un pregiosuperiore a quelli appartenenti a settori legati all’high-tech o alla moda: questi, infatti, tendono a mostrareuna capacità di sopravvivenza intrinsecamente minore, in funzione di fattori molto variabili da caso acaso, quali i repentini mutamenti tecnologici o dei gusti dei consumatori.
197
funzione di molteplici variabili. Questo non può che portare ad un maggior grado di
aleatorietà della valutazione del bene stesso, sempre più frutto della sensibilità
dell’analista nell’apprezzamento dei molteplici fattori che influenzano il valore
dell’attività immateriale in questione.
L’analisi integrata dei fattori proposti, quindi, permette di qualificare in maniera
più precisa il profilo di rischio implicito nel bene immateriale oggetto di stima,
esplicitando le variabili massimamente legate alla determinazione del tasso di sconto
più opportuno in relazione ad ogni singolo bene. Una delle conclusioni più evidenti a
seguito di quanto esposto in precedenza, è l’impossibilità di individuare un unico
metodo per l’apprezzamento del grado di rischio associato ad ogni singolo intangible,
frutto più di valutazioni qualitative in merito al bene stesso che di rigorose formule
quantitative.
Per le considerazioni illustrate, è altrettanto evidente come tale rischio non possa
che essere mediamente superiore a quello complessivo dell’azienda all’interno della
quale il bene è collocato, con la necessaria puntualizzazione che il profilo stesso sarà
più correttamente apprezzato tenendo presente le connotazioni di volta in volta più
opportune, evidenziate dal singolo bene. In generale, infatti, la determinazione del tasso
da utilizzare per l’attualizzazione dei flussi legati ad un singolo bene immateriale muove
dalla considerazione del tasso legato all’azienda a cui il bene appartiene – o del relativo
settore - , rettificato secondo una qualche forma di progressività, in funzione delle
caratteristiche di volta in volta assunte dal bene.
L’approccio presentato, di conseguenza, più che un metodo di calcolo del
premio per il rischio da riconoscere alla singola attività immateriale, rappresenta un iter
logico, in funzione del quale giustificare razionalmente la quantificazione finale del
tasso più adatto per ogni bene. Di conseguenza, se un generale accordo, almeno a livello
teorico, lega i vari analisti in merito alla determinazione dei flussi più opportuni da
attualizzare, lo stesso non si può dire in merito alla quantificazione dei tassi di sconto
più opportuni, determinati caso per caso.
3.3.2.2 - Il metodo da esenzione da royalties
198
Un ulteriore procedimento di stima finalizzato al calcolo del valore di un bene
immateriale è il metodo della esenzione da royalty. E’ evidente, fin dalle ipotesi di base
su cui questo modello è basato, che il suo campo di applicazione principale è limitato ai
beni immateriali legati al marketing, nello specifico ai marchi. Non mancano, tuttavia,
le applicazioni anche nei confronti di beni quali i diritti d’autore, i brevetti o conoscenze
esclusive dell’impresa ma concesse in uso ad altri soggetti. Generalmente, quindi, il
criterio discriminante per valutare l’applicabilità o meno di questo metodo è il fatto che
il bene oggetto di valutazione possa essere oggetto di “concessione”, in via esclusiva o
meno.
L’idea principale che risiede alla base della tecnica di valutazione in esame, può
essere esplicitata secondo una duplice ottica:
Il soggetto che possiede un bene immateriale ottiene, a parità di altre condizioni
interne od esterne all’azienda, un vantaggio nei confronti dei suo concorrenti in
termini di corrispettivi “risparmiati” – le royalties, appunto – che in caso
contrario avrebbe dovuto pagare per poter disporre del diritto di utilizzare quel
bene di cui invece è già titolare, a seguito di acquisto o creazione interna.
Da un secondo punto di vista, è altresì evidente come il proprietario della
suddetta risorsa immateriale abbia la facoltà, decidendo autonomamente, di non
utilizzarla solamente in maniera diretta ma di autorizzarne l’uso da parte di terzi,
riuscendo in tal modo a cogliere un’opportunità di reddito aggiuntiva – le
rappresentata anche in questo caso dalle royalties – che andrebbe ad
incrementare i risultati economici ottenuti con la propria attività.
Dal punto di vista concettuale, i due approcci divergono sostanzialmente,
essendo però ricondotti ad unità all’interno del metodo stesso. Secondo la prima
accezione, le royalties vengono considerate un costo che l’impresa non deve sostenere
potendo disporre in proprio del bene immateriale oggetto di stima; nel secondo caso,
invece, le stesse sono viste come una possibile fonte di reddito aggiuntiva, da sommare
ai normali risultati economici aziendali ottenuti anche col contributo di questa attività
immateriale. Se dal primo punto di vista l’approccio sembra fare esplicito riferimento al
199
metodo reddituale nella sua accezione basata sul risparmio di costi, nella seconda il
procedimento richiama il metodo reddituale puro.
La giustificazione delle royalties risiede nel fatto che, essendo i beni immateriali
fonte di un possibile vantaggio competitivo, la semplice disponibilità dei beni stessi in
capo al proprietario rappresenta un presupposto necessario e sufficiente affinché vi sia
un miglioramento del profilo reddituale del proprietario, derivante da questa situazione.
Le royalties, quindi, rappresentano quel quantitativo monetario che il licenziatario è
tenuto a corrispondere al licenziante, effettivo proprietario del bene, per la concessione
del diritto di utilizzo di quel determinato bene immateriale oggetto di valutazione, in
funzione di variabili prestabilite a livello contrattuale.
La valutazione dei beni immateriali in base alla logica delle esenzioni da royalty
consiste nella capitalizzazione di questi proventi, al netto delle eventuali spese
aggiuntive per controllare l’effettivo e corretto utilizzo del bene da parte del
concessionario. Più precisamente, il valore del bene oggetto di stima corrisponde al
valore attuale dei corrispettivi che il proprietario dell’intangibile sarebbe tenuto a pagare
a titolo di diritti d’uso, su un arco temporale pari alla vita economica residua del bene,
nell’ipotesi che questo bene non fosse di sua proprietà.
Questa tecnica richiede la definizione in via prioritaria dell’ammontare annuo
delle royalties, in funzione della variabile a cui parametrare il coefficiente percentuale
di royalty espressivo dei corrispettivi da pagare e del coefficiente stesso.
La variabile cui applicare il coefficiente percentuale di royalty è di solito fatta
coincidere con il ricavo totale ottenuto dal licenziatario con i prodotti che beneficiano
della presenza del bene immateriale concesso in uso, stimato per ognuno degli anni che
compongono la vita economica residua dell’intangibile273. E’ evidente che, al fine di
pattuire un adeguato coefficiente di royalty, è necessario condurre approfondite analisi
in merito alla formazione del fatturato del prodotto stesso, in termini di quantità vendute
e di prezzo unitario: il rischio è che un eccessivo coefficiente di royalty sopravvaluti il
reale valore del bene immateriale stesso, rendendo irrealistica la sua stima.
Il coefficiente espressivo delle royalties, invece, può essere osservato dal
mercato e da esso estrapolato, nel caso in cui esista un numero di transazioni
sufficientemente rappresentative e trasparenti, nonché simili a quella oggetto di stima,
200
tanto a livello di prodotto in concreto dato in concessione, quanto di situazione di
mercato e concorrenziale. Proprio per questa necessaria omogeneità, il riferimento a
grandezze di mercato è tutt’altro che frequente. La natura strategica dei beni
immateriali, infatti, rende sempre molto restie le aziende a divulgare e rendere
pubbliche le necessarie informazioni in merito ai tassi di royalty praticati a livello
contrattuale: quando disponibili, di conseguenza, questi valori rappresentano più uno
standard omogeneo indipendente dalla concreta situazione in cui è stato pattuito che un
effettivo indicatore del valore di un bene immateriale.
A livello concettuale, la dimensione dei coefficienti è il risultato di un complesso
giudizio in merito ad una molteplicità di fattori i quali, in definitiva, dovrebbero essere
rappresentativi della reale forza dell’intangibile, ovviamente molto variabili in funzione
delle realtà aziendali in cui sono inseriti e in funzione della tipologia di bene.
A livello analitico
n
nnn
ss
ss
iiCR
iCSrW
)1(1
')(
)1()(
1 +⋅
−+
+−⋅
= ∑=
dove
W= valore economico del bene intangibile
n = arco temporale lungo il quale si estende la previsione dei flussi di royalties
attesi
r = tasso di royalties274
Rs = flussi di royalties attesi lungo l’arco temporale n
Rn = flusso di royalties al termine dell’arco temporale considerato
i = tasso di attualizzazione dei flussi di royalties attesi
i’ = tasso di capitalizzazione del flusso di royalties al termine dell’arco
temporale considerato
Cs = eventuali costi di gestione dell’attività immateriale in carico al licenziante
Cn = eventuali costi di gestione dell’attività immateriale al termine dell’arco
temporale considerato
273 Oppure, nel caso di un contratto dalla durata prestabilita o di un bene dalla vita residua ben definita,per la durata da questi evidenziata.274 Ipotizzato costante.
201
Come si può evincere dalla formula proposta, quindi, il valore economico di un
attività immateriale valutata secondo il metodo in analisi risulta dalla somma delle
seguenti componenti:
Il valore attuale dei flussi di royalties nette generate dalla cessione, in licenza,
dell’intangible per un definito arco temporale
Il valore residuo (terminal value), stimato pari al flusso di royalties nette a
regime, cioè al termine dell’orizzonte temporale assunto a riferimento,
considerato nella sua perpetuità e quindi attualizzato alla data di valutazione
Il metodo in questione, proprio per le sue caratteristiche particolari, viene
usualmente collocato sulla linea di frontiera tra l’approccio reddituale e l’approccio di
mercato: del primo sfrutta la logica di attualizzazione di reddituali o finanziari futuri,
mentre fa riferimento al secondo nel momento in cui vengono tratte informazioni
rilevanti per la conduzione dell’analisi dall’osservazione del mercato e dell’ambiente
competitivo, come succede per l’individuazione dei tassi di royalties più opportuni.
3.3.2.3 - Il metodo del costo della perdita
Il metodo del costo della perdita, benché per certi versi distante dai normali
metodi economico-finanziari di stima del valore di un intangible, può essere ricondotto
alla macrofamiglia dei criteri di stima reddituali, dal momento che ad esso non è
estranea una logica basata sulla preventiva determinazione di particolari risultati
differenziali – nel caso specifico, come vedremo di seguito, non più realizzabili – che
andrebbero, quindi, perduti se l’impresa si vedesse privata del bene immateriale275. Da
un certo punto di vista, dunque, il metodo del costo della perdita richiama l’iter logico
della tecnica di valutazione della esenzione da royalty ma, a nostro modo di vedere, si
collega in maniera più stretta alla determinazione assicurativa dell’eventuale danno
derivante da interruzione d’esercizio276.
275 Magari a seguito di una eventuale cessione a terzi o a causa di una ipotetica perdita di disponibilità.276 Cfr. amplius Cacciamani C., Il rischio da interruzione dell’attività di esercizio, Egea, Milano, 2001oppure Forestieri G. (a cura di), La gestione dei rischi di interruzione di attività, Egea, Milano 1999
202
A seguito dell’interruzione del regolare svolgimento dell’attività di un’impresa,
conseguente ad un sinistro o ad altro evento negativo, l’azienda si trova a non poter
portare avanti la normale attività produttiva, non incassando i conseguenti ricavi di
vendita. Nel contempo, sarà necessario sostenere ugualmente i costi operativi che le
normali imprese in funzionamento si trovano a dover affrontare: è possibile ripartire
questi costi in due tipologie, quelli variabili in funzione del volume della produzione e
quelli fissi. I primi, per definizione, non verranno sostenuti – o sostenuti solo in parte –
a seguito del fermo produttivo, mentre i secondi dovranno essere comunque spesati a
conto economico. Proprio al fine di far fronte all’evidente rischio di tensioni finanziarie
derivanti da questo evento sono state ad uopo predisposte polizze assicurative che
indennizzano l’impresa colpita da interruzione dell’attività di esercizio, rimborsandola
in misura pari alla perdita del profitto idealmente ottenuto nel caso di normale
funzionamento dell’azienda.. Nelle forme più evolute e diffuse, la polizza assicurativa
indennizza l’azienda colpita in misura pari al Margine di Contribuzione perso a seguito
del sinistro, aumentato degli eventuali extracosti sostenuti dall’azienda al fine di
riprendere l’attività produttiva o per svolgere la stessa in sedi diverse da quelle colpite
da sinistro, per mezzo di modalità temporanee ed alternative.
La stessa logica sembra, a nostro avviso, sottostare al metodo del costo della
perdita: se si parte dall’evidenza che molte delle attività immateriali di marketing e
dell’area R&S possiedono una forte valenza strategica ai fini del posizionamento
competitivo dell’impresa, appare evidente il pregiudizio – il danno, appunto – che
questa potrebbe subire, in termini di caduta delle vendite e dei margini di profitto, in
concomitanza con la perdita di tali intangibles, senza considerare i probabili costi
addizionali che la stessa dovrebbe sostenere per disporre nuovamente di un intangible di
equivalente efficacia.
In sede operativa, il costo della perdita può essere identificato nel valore attuale
dei margini complessivi futuri andati perduti a seguito dell’assenza dell’intangible
oggetto di valutazione, stimati sulla base dell’analisi differenziale e relativi ad un arco
temporale generalmente pari al periodo idealmente necessario per la ricostituzione di
risorse immateriali capaci di rimpiazzare il bene la cui disponibilità è andata perduta.
Proprio nella fase di concreta determinazione di questi flussi e del possibile
tempo di rimpiazzo, il metodo del costo della perdita mostra chiaramente i suoi legami
203
coi procedimenti esposti in precedenza: è evidente il collegamento con il metodo
reddituale nel momento della valutazione dei flussi futuri andati perduti in un’ottica
differenziale; è altrettanto evidente la connessione con il metodo del costo di rimpiazzo
nel momento in cui risulti necessario stabilire il quantitativo e la tempistica degli
eventuali investimenti addizionali resi necessari dalla volontà di sostituire il bene andato
perduto con uno di pari utilità. Proprio questa pluralità di riferimenti che pone il metodo
in analisi leggermente al di fuori delle classificazioni precedenti, rende il procedimento
stesso un ottimo corredo e controllo per l’affidabilità e la congruità delle stime ottenute
per mezzo dell’applicazione degli altri metodi alternativi: si deve sottolineare, infatti,
come il valore economico dell’intangibile determinato per mezzo del costo della perdita
si vada a configurare come una grandezza soglia inferiore (floor-price), essendo
irrazionale l’ipotesi che la parte venditrice sia disposta a trasferire il bene ad un prezzo
inferiore al valore del danno complessivo che la stessa andrebbe a subire a seguito
dell’ipotizzata operazione di cessione277. Proprio per la base concettuale che fa da
sostrato al metodo in analisi, il valore ottenuto da questo procedimento valutativo può
anche essere una buona approssimazione del danno che l’impresa subirebbe nel caso in
cui conoscenze riservate, coperte da segreto aziendale o tutelate per mezzo di strumenti
legali, diventassero di dominio pubblico, facendo venire meno quel vantaggio
competitivo in precedenza donato all’azienda.
Come evidenziato nella tabella proposta in seguito, i margini differenziali da
rilevare sono espressione di un duplice ordine di fattori: in primo luogo, della caduta del
margine di contribuzione aziendale, talvolta corretta per tenere conto dei risparmi di
costo ottenibili in alcune categorie di spese indirette e fisse; in secondo luogo, degli
eventuali costi incrementali che si dovrebbero sostenere al fine di ricostituire le
condizioni di competitività dell’impresa preesistenti alla perdita dell’intangibile. Si
tratta dunque, come già evidenziato in merito al procedimento basato sul costo di
rimpiazzo, di stimare gli investimenti, gli oneri connessi e la relativa tempistica
necessari per riprodurre un bene immateriale di efficacia equivalente a quello
perduto278.
277 A meno che la parte venditrice non si trovi nella assoluta necessità di liquidare il bene immateriale aseguito di difficoltà aziendali o situazioni contingenti.278 Il metodo in esame postula implicitamente un comportamento reattivo da parte del management,tenendo conto degli eventuali interventi indispensabili per rilanciare l’azienda a seguito della perditasubita.
204
Tale aspetto e il fatto che il metodo qui analizzato si configuri come una
combinazione di due metodi analizzati in precedenza, sono sicuramente i tratti distintivi
del procedimento di valutazione di un intangible basato sul costo della perdita. In
riferimento a quanto sostenuto in precedenza in merito al collegamento tra questo
metodo e la determinazione del danno derivante dall’interruzione dell’attività di
esercizio, è necessario evidenziare come la perdita di disponibilità di un bene
immateriale possa essere sostanzialmente equiparata ad un fermo parziale di attività: i
normali cicli aziendali, infatti, anche in assenza dell’attività immateriale possono
continuare, producendo i relativi flussi economici279 evidenziando però una perdita in
termini differenziali rispetto a quanto si sarebbe ottenuto in condizioni normali.
Situazione simile si verificherebbe nel caso in cui, a seguito di un sinistro, si verificasse
un fermo parziale di attività, senza che questo comprometta l’intero svolgimento della
normale attività aziendale.
Va inoltre precisato come il metodo qui esaminato, sebbene condivisibile dal
punto di vista concettuale, risulti spesso di non agevole applicazione soprattutto a
seguito della mancanza della disponibilità di tutte le informazioni rilevanti al fine della
puntuale determinazione dei flussi da considerare nel procedimento di attualizzazione.
3.3.3 – L’approccio di mercato
279 A meno di casi eccezionali in cui la perdita di un intangible non permetta la continuazionedell’attività.
Perdita di margine di contribuzione(–)
Riduzione eventuale di costi fissi(+)
Investimento addizionale per laricostituzione della risorsa immateriale
(–)perduta
Figura 15 - Determinazione del margine differenziale complessivo
205
Il criterio in esame mira a rilevare il valore attuale dell’utilità futura attesa da un
bene attraverso il giudizio prevalente sul mercato circa il valore – prezzo – di attività
simili, oggetto di recenti negoziazioni. Tale definizione, permette di evidenziare
immediatamente i requisiti fondamentali su cui si fonda l’attendibilità stessa del metodo
che, come spesso accade, rappresentano tanto i punti di forza quanto i principali punti di
debolezza del metodo.
Il metodo in questione, infatti, risulta un tecnica applicabile ed affidabile quando
si disponga di mercati di riferimento attivi, vale a dire caratterizzati da transazioni
frequenti e possibilmente continue; trasparenti, al fine di rendere pubblicamente
disponibili i prezzi negoziati al loro interno, esplicitandone tanto l’ammontare quanto le
modalità di affermazione; ed infine aventi ad oggetto transazioni riguardanti beni
confrontabili con quello oggetto di valutazione, tanto in termini di caratteristiche
intrinseche al bene quanto di tempistica di rilevazione: transazioni che rispondano a tutti
i requisiti proposti ma che si riferiscano a periodi nei quali le condizioni del mercato
stesso erano diverse, non potrebbero essere considerati significativi del reale valore del
bene alla data di valutazione. Nel caso in cui il grado confrontabilità non fosse
adeguato, chi è preposto alla valutazione dovrà tenerne conto attraverso l’assunzione di
idonei correttivi che permettano di rimuovere le cause della discrepanza individuata.
Classico è il caso in cui i prezzi si siano venuti a formare in periodi tanto lontani nel
tempo da richiedere un aggiornamento del prezzo stesso sulla base di opportuni indici di
adeguamento monetario.
Come accennato in precedenza, i requisiti menzionati non sono facilmente
riscontrabili, soprattutto in contesti ambientali – quali quello italiano – nei quali le
transazioni di aziende, di rami d’aziende e di singole attività non si presentano ancora
con frequenza e comunque tutt’altro che all’insegna della trasparenza. I beni immateriali
di proprietà di aziende partecipanti ad operazioni di scambio presentano spesso
specificità tanto spiccate da risultare pressoché irripetibili, tanto da rendere impossibile
l’individuazione di un campione di beni e transazioni simili sulla base del quale
impostare quel confronto che è alla base stessa del metodo di stima in esame. Molto
spesso, poi, la valutazione dei beni in questione viene inficiata dal fatto che questi
vengono considerati non tanto nella loro singolarità ma anche in funzione delle possibili
sinergie che sprigioneranno all’interno dell’azienda di cui andranno a far parte: in tal
206
senso, risulta ancora più difficile distinguere all’interno dei valori evidenziati quella
parte che è frutto di sinergie e valutazioni soggettive da quella inerente la
considerazione del bene immateriale in un’ottica stand-alone.
In funzione delle considerazioni effettuate risultano evidenti le difficoltà applicative che
questo metodo incontra nell’ambito della valutazione di beni immateriali di scarsa
omogeneità e suscettibili di grande variabilità, quali quelli riconducibili al marketing e
all’area tecnico-scientifica. Va sottolineato, per contro, che il procedimento in esame
incontra maggior fortuna con riferimento alla valutazione di alcuni elementi immateriali
– spesso di difficile separabilità dal restante complesso aziendale – tipici delle imprese
che operano nel ramo del terziario avanzato e dei servizi finanziari. L’apprezzamento di
tali intangibles avviene, in un’ottica sostanzialmente patrimoniale, sulla base di
indicatori empirici, spesso espressi nella forma di coefficienti moltiplicativi, applicati a
grandezze di Stato Patrimoniale o di Conto Economico idealmente segnaletiche della
rilevanza assunta all’interno dell’unitario contesto aziendale dall’intangible oggetto di
valutazione. Tali indicatori vengono spesso desunti da giudizi e consuetudini di mercato
o dalla traduzione in termini quantitativi di nozioni teoriche e qualitative, frutto
dell’osservazione empirica della situazione intra ed extra aziendale. In questi indicatori
convergono in via sintetica diverse tipologie di considerazioni, legate alla redditività
potenziale del bene, al suo livello di rischio, alla situazione del settore, passibili di
rapide variazioni in funzione della situazione economica generale e della situazione
delle singola impresa a cui l’attività appartiene.
Nel paragrafo successivo, analizzeremo alcuni dei casi più comuni in cui questa
metodologia di valutazione è adottata , ad esempio in occasione della stima del valore
della raccolta o della massa amministrata nelle aziende ci credito, oppure del valore del
portafoglio premi nelle compagnie di assicurazione o delle testate giornalistiche nel
campo dell’editoria.
3.3.3.1 - Il metodo dei moltiplicatori
Come affermato in precedenza, la mancanza di un generale accordo tra gli
analisti, al fine di adottare un’unica soluzione valutativa per i beni immateriali, ha
portato alla proliferazione dei metodi ritenuti di volta in volta più opportuni: se alcuni di
207
questi hanno un importante fondamento logico, altri appaiono più che altro il risultato di
osservazioni empiriche, nascendo dall’osservazione e dalla valutazione dei
comportamenti negoziali degli operatori d’impresa che concretamente hanno a che fare
con le attività immateriali oggetto di valutazione. Tra questi metodi, per così dire
“empirici”, spicca quello dei moltiplicatori
Questo metodo consiste nell’applicazione di determinati moltiplicatori –
coefficienti moltiplicativi dedotti dall’osservazione del mercato – a varie grandezze, di
rilevanza più o meno contabile. Talora, come vedremo di seguito, il metodo si articola
anche sulla considerazione di più grandezze contabili, legate tra loro da formule
elementari, al fine di considerare due o più variabili nella determinazione del valore
dell’intangible.
Non essendo possibile un’adeguata trattazione teorica del metodo in analisi,
frutto, come affermato in precedenza, dell’osservazione del mercato in cui gli
intangibles sono inseriti, riteniamo opportuno proporre alcuni casi concreti in cui il
metodo dei moltiplicatori ha trovato applicazione e generale consenso. Questo, al fine di
enucleare le varie ipotesi su cui esso si basa e nel contempo di spiegare come
concretamente viene applicato.
a. Il valore della raccolta nelle banche
Il caso storicamente più noto di stima con moltiplicatori del valore di beni
immateriali è rappresentato in Italia, e non solo, dal “valore della raccolta” della aziende
di credito, talvolta denominato anche “avviamento sui depositi”. In questo caso,
l’obiettivo è determinare, oltre al valore nominale delle consistenze della raccolta
bancaria, quel plusvalore riconoscibile alla stessa in funzione della particolare tipologia
di rapporti fiduciari che vengono ad instaurarsi tra risparmiatore e banca depositaria.
In concreto, l’osservazione del mercato delle fusioni e acquisizioni bancarie –
molto attivo in questi ultimi anni – ha portato all’attribuzione, più o meno esplicita, alla
“raccolta” delle banche di determinati valori, compresi generalmente in un range di
prezzo, espressi appunto da questi moltiplicatori, da applicare alla raccolta nel suo
insieme o distinta per classi.
Storicamente, la stima è concretamente basata sull’elementare formula:
208
tt DcW ⋅=
dove
Wt = valore della raccolta al tempo t della valutazione
Dt = consistenza, al momento della valutazione, della raccolta ordinaria da
clienti
c = moltiplicatore da applicare al valore della raccolta, generalmente compreso
tra il 6% ed il 15%
In tempi più recenti, l’affermazione di forme di raccolta cosiddetta “indiretta”,
cioè in stretta relazione alla gestione dei titoli e dei patrimoni di liquidità della clientela,
ha comportato la necessità di tenere in considerazione questa nuova forma di raccolta,
valutando separatamente le due tipologie, applicando alle stesse due moltiplicatori
diversi in quanto a valore. Come vedremo di seguito nella formula, il valore del
moltiplicatore relativo alla raccolta indiretta è minor di quello relativo alla raccolta
diretta per una maggiore instabilità connaturata al primo tipo di raccolta, in relazione al
fatto che questa è maggiormente dipendente dai risultati ottenuti dalle gestioni più che
dall’effettivo rapporto fiduciario tra depositario e banca Di conseguenza, la formula
proposta in precedenza viene riespressa come:
id DcDcW ⋅+⋅= 21
dove
W = valore della raccolta diretta e indiretta
Dd = raccolta ordinaria da clienti (raccolta diretta)
Di = raccolta in diretta (corrispondente al valore dei titoli e della liquidità
amministrata)
c1 = moltiplicatore da applicare alla raccolta diretta (6% ≤ c1 ≤ 15%)
c2 = moltiplicatore da applicare alla raccolta indiretta (1%≤ c2 ≤ 3%)280
280 Anche a livello concettuale, risulta evidente che il moltiplicatore da applicare alla raccolta indirettanon potrà che essere minore rispetto a quello da riferire alla raccolta diretta; in quest’ultima, infatti, spiccamaggiormente la componente di fiducia intrinseca nel rapporto bancario, mentre nella prima prevale, piùche il rapporto fiduciario, l’effettivo compimento del mandato di investimento ed il successo redditualedegli investimenti finanziari intrapresi. Risulta, di conseguenza, maggiormente voltatile e soggetta acambiamenti la clientela che alimenta la raccolta indiretta, in quanto maggiormente sensibile ai risultati
209
Come affermato in precedenza, il riferimento ai moltiplicatori nelle varie
trattative di compravendita avvenute negli anni più recenti può essere esplicito od
implicito. Nel primo caso, all’interno della negoziazione è stata definita e comunicata
all’esterno, o comunque resa nota in maniera più o meno formalizzata a livello
contrattuale, una determinata percentuale da applicare alla consistenza della raccolta.
Nel secondo, invece, il procedimento viene comunque svolto tramite l’individuazione di
un opportuno moltiplicatore, seppur non comunicato all’esterno a soggetti terzi. Proprio
per il fatto che le percentuali adottate non hanno una significativa base logica ma sono
estrapolate dall’osservazione dei comportamenti di mercato del periodo, queste non
possono che essere valide pro-tempore, discutibili non tanto sul piano logico ma
piuttosto sulla significatività delle operazione per mezzo delle quali è resa possibile la
loro osservazione. E’ necessario, in tal senso, verificare l’effettiva rappresentatività
delle negoziazioni oggetto di analisi e la loro conclusione positiva, indice della
congruità della valutazione in sede di pattuizioni contrattuali. Valori che scaturiscano da
una o pochissime negoziazioni, magari caratterizzate da particolari specificità inerenti
aziende coinvolte o il contesto competitivo di riferimento, non potrebbero essere
considerate rilevanti in sede di formazione del campione per lo svolgimento
dell’effettiva valutazione.
Nel contempo, pur in presenza di un campione ampio, omogeneo e
rappresentativo delle reali condizioni di mercato, il processo di individuazione di questi
valori, muovendo dall’osservazione della concreta realtà delle negoziazioni svolte
presenta alcuni punti deboli. Innanzitutto, generalmente le compravendite dalle quali si
trae spunto per l’apprezzamento di questi moltiplicatori riguardano pacchetti di
controllo delle aziende oggetto di trattativa: se già il rischio di rendere eccessivamente
soggettiva la valutazione è presente in maniera rilevante nell’ambito
dell’apprezzamento del valore di un’attività materiale, questo non può che essere
accresciuto dalla necessità di estrapolare all’interno dei prezzi di vendita anche il
corrispettivo per il premio di controllo riconosciuto alla proprietà dell’impresa
acquisita. Spesso, quindi, all’interno delle varie negoziazioni non sono ben distinguibili
le varie componenti del prezzo di vendita. In secondo luogo, i valori borsistici, sulla
degli specifici investimenti: di conseguenza, il valore del moltiplicatore a questa relativo non potrà che
210
base dei quali vengono generalmente condotte queste trattative, spesso non sono
espressivi del reale valore delle aziende oggetto di compravendita, non tenendo in
adeguata considerazione il contributo alla redditività aziendale fornito dalle risorse
intangibili. Da ultimo, questa pratica non è applicata in maniera frequente nei paesi
diversi dall’Italia281, comportando la mancanza di dati esterni al sistema economico
italiano che possano fornire un maggior grado di accuratezza alle stime di questi
moltiplicatori. La stessa formazione del campione sulla base del quale vengono tratte le
conclusioni in merito al valore da attribuire ai moltiplicatori presenta rilevanti
particolarità: in primis, bisogna verificare l’effettiva comparabilità delle aziende ad esso
appartenenti in termini di area nella quale la banca opera, di caratteristiche dei
depositi282, di efficienza della rete degli sportelli – tanto nella raccolta quanto
nell’investimento -, di forbice tra tassi attivi e passivi, di qualità dei servizi resi
all’impresa e di tutte quelle variabili che sembrano appartenere più alle mere
caratteristiche tecniche della singola banca che non essere in stretta relazione con il
valore dei depositi. In secondo luogo, una volta individuato il range più opportuno
all’interno del quale inserire il moltiplicatore, è altrettanto necessario basare la propria
analisi sulle stesse variabili al fine di segnalare puntualmente quale sia il valore più
opportuno da attribuire al singolo caso concreto di valutazione. E’ evidente, quindi, il
maggior grado di soggettività connaturato a questa modalità di stima di un particolare
intangible, rappresentato dal valore della raccolta bancaria: nel contempo, d’altra parte,
la mancanza di criteri di stima alternativi non offre margini di manovra per l’adozione
di diverse e più attendibili metodologie di stima.
Sempre rimanendo nel campo dei servizi finanziari, si registrano ulteriori esempi
di valorizzazione della raccolta quale bene immateriale, soprattutto nei casi di società di
gestione di fondi d’investimento, di società di gestione patrimoniale o di società di
distribuzione di prodotti finanziari al pubblico (“reti” distributive). Nei primi due casi il
valore della raccolta è usualmente espresso, come già nel caso precedente, tramite
l’applicazione di un moltiplicatore c alla consistenza stabilmente raccolta raggiunta
essere basso.281 Sebbene non sia correntemente applicata nei paesi diversi dall’Italia, questo metodo non èsconosciuto: prova ne è la pubblicazione di alcuni libri a riguardo, nei quali si identificano i “coredeposits as a special type of intangible asset valutation”. Cfr. Miller W.D., Commercial Bank Valuation,Wiley, 1995, pp.216.282 In termini di stabilità della raccolta, del loro costo, di eventuali tendenze evolutive riscontrabili.
211
all’istante della valutazione od in un dato periodo. In Italia, tale moltiplicatore viene
generalmente ricompreso tra il 2% e il 3%; per lo società di distribuzione di prodotti
finanziari, il coefficiente c viene considerato variabile tra il 4% e il 5%. D’altra parte, a
riguardo, gli esempi concreti non sono molto frequenti ed i valori riportati sono frutto di
un campione troppo ristretto affinché questi possano rappresentare indicazioni affidabili
e generali. Le misure indicate, ovviamente, si riferiscono a società che abbiano già
raggiunto un discreto grado di sviluppo e consolidato buoni rapporti con la clientela,
ossia che abbiano superato la fase iniziale di avviamento dell’attività e operino con
adeguata continuità sul mercato.
b. Il valore del portafoglio premi in un compagnia di assicurazione
Un altro esempio classico della valutazione di un intangible per mezzo
dell’utilizzo di moltiplicatori è rappresentato dalla stima del valore del portafoglio
premi di una compagnia di assicurazione. Nell’esperienza italiana, soprattutto a partire
dagli anni ’70, il valore di questo intangible era espresso attraverso una serie di
moltiplicatori applicati alle varie categorie di premi direttamente acquisiti ed ai premi
indiretti. Di seguito riportiamo una tabella con i principali valori utilizzati in sede di
valutazione:
Tabella 8 - Esemplificazione di alcuni coefficienti applicati nel corso degli anni '80
Rami Moltiplicatori(in % dei premi annui) – anni
‘90
Moltiplicatori(in % dei premi annui) –
fine anni ‘90Infortuni 50 40 – 70
R.C. Auto 25 20 – 70
Incendio 60 40 – 70
R.C. Diversi 10 40 – 70
Cauzioni 20 40 – 70
Furto 40 40 – 70
Altri rami 10 40 – 70
Ramo Vita 100-200 75 – 150
212
I moltiplicatori evidenziati vengono generalmente applicati all’importo dei
premi dell’ultimo anno o eventualmente, se prevedibile in maniera precisa, in funzione
dei premi di competenza dell’anno in corso. Nel contempo, però, la stima del valore del
portafoglio premi presenta margini di incertezza ancora maggiori di quelli riferibili alla
valutazione della raccolta bancaria, come proposta in precedenza: i valori evidenziati in
tabella, difatti, sono estremamente variabili in funzione del contesto di mercato e delle
specificità operative della singola compagnia assicurativa. Si noti, infatti, come
all’inizio degli anni ’90, in un contesto di mercato stabile e piuttosto statico, i valori
venissero individuati in maniera sostanzialmente puntuali: alla fine del decennio,
invece, gli stessi vengono meglio evidenziati tramite la definizione di un range
opportuno, con valori generalmente più bassi di quelli adottati in precedenza, anche in
funzione di un contesto concorrenziale molto più dinamico e della maggiore facilità con
cui i consumatori sono in grado di cambiare compagnia assicurativa.
Negli anni più recenti, si sono diffuse altre metodologie valutative, relative
principalmente ai rami vita delle varie compagnie di assicurazioni, distinte in “stime a
portafoglio chiuso” (EV, Embedded Value) – in relazione al portafoglio già acquisito – e
“stime a portafoglio aperto” (Av, Appraisal Value) – in relazione ai premi
ragionevolmente incassabili in futuro. La prima metodologia di stima è basata sui
classici moltiplicatori del ramo vita al portafoglio premi già in essere alla data della
valutazione, mentre la seconda considera in aggiunta alla stessa anche la nuova
produzione annua che la rete di vendita dovrebbe essere ragionevolmente capace di
realizzare, generalmente considerando un moltiplicatore da 4 a 8 volte la raccolta media
annua attesa.
Recentemente, però, alla tecnica di stima degli intangibles a mezzo di
moltiplicatori di mercato, si è gradualmente affiancato il criterio attuariale, inteso come
attualizzazione dei profitti futuri compresi nei contratti assicurativi in essere.
c. La valutazione di “testate” editoriali
La valutazione delle testate di giornali e periodici all’interno delle aziende
editoriali rappresenta uno dei più comuni casi di utilizzo di moltiplicatori all’interno di
213
una formula che si basa su una pluralità di variabili. L’importanza di quel bene
immateriale che è la testata di un giornale si basa sul presupposto che il suo valore non
si limiti al semplice risvolto economico ma sia legato anche al “fattore influenza” che
affida alla testata la capacità di influire sull’opinione pubblica, soprattutto in campo
politico e sociale, aumentando la notorietà della stessa e l’interesse del pubblico e della
società nei suoi confronti. In secondo luogo, l’affermazione e l’ampia diffusione di una
testata comporta il sostenimento di determinati costi e investimenti che permettano
l’effettivo aumento della sua importanza, controbilanciati in un secondo momento
dall’aumento dei ricavi derivanti tanto dalle semplici vendite dei giornali, quanto dagli
introiti pubblicitari. Proprio queste, infatti, sono le variabili considerate all’interno della
formula valutativa:
cRPbPbaFV −++= 2211
dove
F = fatturato medio annuo derivante dalla vendita di giornali
P1 = fatturato medio annuo derivante dalla pubblicità locale
P2 = fatturato medio annuo derivante dalla pubblicità nazionale
R = livello medio delle perdite operative annuali
Nella concreta esperienza relativa al contesto italiano, i parametri sono stati
assunti come segue:
a = 1
b1 = da 2 a 3
b2 = da 1 a 2
c = da 3 a 5
214
3.5 - CONCLUSIONI
Dopo aver analizzato le fasi che compongono il processo di valutazione delle
attività immateriali ed i relativi criteri oggetto di generale accettazione, nel presente
paragrafo si vogliono trarre alcune conclusioni in merito a quanto presentato sin qui.
Come più volte ribadito nel corso del capitolo, non esiste una chiara
associazione tra metodi di valutazione e tipologie di attività. Generalmente la scelta
dell’una o delle altre è riconducibile a molteplici variabili, tra le quali il set informativo
di riferimento e le finalità della valutazione. Di conseguenza, ne deriva che solamente
l’esperienza pratica del singolo soggetto preposto alla valutazione potrà permettere una
scelta metodologica consapevole. Nella tabella presentata di seguito si evidenziano le
principali associazioni tra tipologie di intangibles e metodi di valutazione. Si può notare
come il metodo di più generale accettazione sia quello riconducibile all’attualizzazione
di flussi futuri, seguito da quello del costo, per i motivi già evidenziati in precedenza: il
primo è contraddistinto da una maggior precisione ma richiede anche un bagaglio
informativo più particolareggiato e puntuale; il secondo è meno pretenzioso in termini
di informazioni richieste ma si presenta anche meno attendibile perché derivante da
un’ottica backward looking, in ipotesi di costanza della situazione dell’ambiente di
riferimento dell’azienda.
Questa generale incertezza associata al procedimento di valutazione non può,
però, far venir meno la necessità di condurre appropriate e precise valutazioni
periodiche del patrimonio intangibile dell’azienda: componente imprescindibile, difatti,
di una corretta gestione delle risorse immateriali è la loro misurazione, senza la quale si
rischia di rimanere nell’ambito della semplice percezione del loro valore. La
misurazione delle attività immateriali, inoltre, diventa necessaria nei momenti
evidenziati nel paragrafo relativo alle finalità della valutazione: in questi casi, infatti, un
corretto apprezzamento del valore del patrimonio intangibile di pertinenza dell’azienda
risulta fondamentale per il perseguimento degli obiettivi evidenziati. Anche all’interno
dei periodi in cui non si vedono all’orizzonte operazione di gestione straordinaria, però,
risulta sempre più necessario fornire periodiche stime in merito al patrimonio
intangibile dell’azienda: tanto con finalità informative esterne, quanto ai fini del
controllo di gestione interno.
215
Tabella 9 – Tabella riassuntiva: beni intangibili e modalità di valutazione283
283 Ns. elaborazioni da Perfumo S., Luison C., La misurazione quale componente indispensabile per lagestione delle risorse immateriali, in La valutazione delle aziende, n. 23
216
Soprattutto le imprese più innovative, che della ricerca e della tecnologia fanno
il loro punto forza, o le imprese che possono vantare il possesso di un marchio forte e
conosciuto, dovrebbero avvertire l’esigenza di non ridurre la quantificazione del valore
di questi intangibles a meri dati contabili. L’apprezzamento da parte dei soggetti esterni
del reale valore di queste attività non può che giovare all’apprezzamento della più
generale redditività d’impresa, come evidenziato in questo capitolo: a nostro avviso,
quindi, i benefici derivanti dalla puntuale valorizzazione del patrimonio intangibile, non
potranno che risultare superiore ai costi necessari per reperire ed elaborare le
informazioni strumentali al calcolo in questione. Anche nell’ottica dei nuovi principi
contabili IAS, inoltre, come evidenziato nel capitolo precedente, risulta sempre più
stringente l’obbligo di fornire periodiche stime del reale valore di questi beni, anche ai
fini di adempimento di obblighi contabili. In tal senso ci auguriamo che l’adozione in
via obbligatoria di questi principi possa portare ad una maggiore attenzione nei
confronti di una classe di attività troppo spesso trascurata ma sovente portatrice di un
ruolo fondamentale all’interno dell’economicità aziendale.
217
CAPITOLO IVImmobilizzazioni immateriali ed intangible assets:
evidenze empiriche
Il quarto capitolo è interamente dedicato all’analisi delle prove empiriche a
supporto di quanto discusso nei capitoli precedenti. Per prima cosa, infatti, abbiamo
condotto un’analisi che ha coinvolto le 40 società appartenenti all’indice S&P/MIB, al
fine di analizzare il peso delle attività immateriali rispetto all’attivo di bilancio e
rispetto al capitale netto delle imprese stesse: due indicatori che permettono
l’evidenziazione in prima approssimazione dell’importanza degli intangible assets per
le aziende analizzate. Secondariamente, abbiamo voluto evidenziare il possibile impatto
dei nuovi principi contabili analizzati all’interno del secondo capitolo: l’eliminazione
dell’ammortamento sistematico per le attività immateriali a durata indefinita comporta
l’eliminazione di un componente negativo di reddito a conto economico, provocando un
aumento dell’utile delle società che mettono in pratica questo mutamento di prassi
contabile: abbiamo quindi tentato di quantificare l’entità di questo cambiamento. Da
ultimo, per concludere, abbiamo analizzato il caso di BasicNet S.p.A.: azienda,
appartenente al gruppo Basic, operante all’interno del settore dell’abbigliamento
sportivo e per il tempo libero, che fonda il proprio stesso business sulla gestione
strategica e sulla valorizzazione di intangible assets quali i marchi di proprietà. Nel
febbraio 2004, l’azienda oggetto di analisi è stata protagonista dell’acquisizione del
marchio K-Way: l’operazione ha riguardato solo l’attivo intangibile del marchio, senza
coinvolgere nessun tipo di attività o passività materiale. Dopo aver, quindi, delineato la
struttura del gruppo e le caratteristiche principali del business dell’azienda abbiamo
descritto l’operazione nei suoi particolari, evidenziandone l’impatto strategico e le
operazioni condotte dal gruppo in momenti successivi ma ad essa collegate. Da ultimo,
abbiamo commentato le reazioni degli operatori di Borsa – BasicNet S.p.A. è un società
quotata sul Mercato Telematico Azionario – alla acquisizione e alle operazioni ad esse
relative, evidenziando l’apprezzamento dimostrato dagli operatori stessi, testimoniato
da consistenti rialzi dei corsi azionari in corrispondenza delle date di effettuazione
delle operazioni oggetto di analisi.
219
4.1 – L’INDICE S&P/MIB E LE SUE COMPONENTS
L’indice S&P/MIB è il nuovo indicatore recentemente proposto da Borsa
Italiana al fine di rappresentare più efficacemente l’insieme delle società quotate in
Italia, migliorando la rappresentatività settoriale e aumentando la visibilità del nostro
mercato a livello internazionale. In concreto, l’indice oggetto di analisi, andrà a
sostituire per importanza e per ruolo di sottostante su molteplici contratti derivati,
l’indice MIB 30.
Le società componenti l’indice S&P/MIB vengono selezionate attraverso una
rigorosa analisi dell’universo azionario italiano da parte dell’Index Committee, in base
ai seguenti criteri generali:
Rappresentazione settoriale: l’obiettivo è selezionare i titoli più liquidi e
rappresentativi dei vari settori, classificando ogni società secondo la sua
primaria attività aziendale, nel rispetto della metodologia GICS284;
Liquidità: le azioni vengono classificate in base alla liquidità, calcolata
considerando il controvalore negoziato nei 6 mesi precedenti, il flottante,
nonché il numero di giorni di negoziazione;
Free Float (capitalizzazione del flottante): per tenere in considerazione le sole
azioni effettivamente disponibili agli investitori, vengono normalmente inclusi
nell’indice i soli titoli con un IWF (Investible Weight Factor) maggiore del
25%. L’IWF viene calcolato escludendo tutti gli azionisti ed i patti di
sindacato superiori al 5% ad eccezione di fondi comuni e SICAV. La
ponderazione delle società componenti il paniere S&P/MIB viene calcolata
sulla base del suddetto IWF.
284 Lo standard di classificazione GICS (Global Industry Classification Standard) – sviluppato daStandard & Poor’s e Morgan Stanley Capital International (MSCI) – è stato creato per soddisfarel’esigenza della comunità finanziaria internazionale di una metodologia globalmente riconosciuta per laclassificazione settoriale delle società quotate. Tale standard è stato rapidamente accettato in tutto ilmondo e il suo utilizzo nell’ S&P/MIB consente agli investitori un’accurata comparazione delleperformance degli indici italiani con gli altri indici mondiali. Oltre che all’indice, la classificazione GICSviene applicata anche all’intero mercato azionario italiano. In concreto, l’approccio GICS prevede lasuddivisione delle società secondo la loro principale attività, normalmente identificata sulla base dellaprevalenza di fatturato, con classificazione iniziale e revisioni annuali da parte di S&P e MSCI. Lastruttura di classificazione comprende livelli successivi di approfondimenti, riflessi, a conclusione delprocesso, in un codice numerico a 8 cifre.
220
Revisioni periodiche: l’indice e la sua composizione vengono aggiornati per
mezzo di revisioni periodiche.
Introduciamo di seguito le principali differenze tra MIB30 e S&P/MIB, anche al
fine di meglio individuare le caratteristiche di quest’ultimo indice:
Tabella 10 - Principali differenze tra MIB 30 e S&P/MIB; fonte: Borsa Italiana S.p.A.
Caratteristiche MIB30 S&P/MIB
Paniere 30 titoli 40 titoli, con facoltà – amarzo di ogni anno – di
ampliare /ridurre ilpaniere
Componenti Società quotate in Borsa(incluse società di diritto
estero)
Società quotate inqualsiasi mercato di
Borsa Italiana, inclusesocietà di diritto estero
Criteri di selezione eponderazione
Capitalizzazione eliquidità (ILC: Indice di
Liquidità eCapitalizzazione)
Classificazione settoriale
Capitalizzazione dimercato float adjusted
LiquiditàRevisioni annuali 2 revisioni dei
componenti e dei pesi(marzo e settembre)
Revisioni straordinarieper eventi societari
2 revisioni deicomponenti (marzo e
settembre)
4 revisioni dei pesi(marzo, giugno,
settembre, dicembre)
Revisioni straordinarieper eventi societari
Gestione dell’indice Borsa Italiana Index Committee (3membri di S&P, 2membri di BorsaItaliana, riunioni
mensili)
Introduciamo di seguito l’elenco delle società componenti l’indice alla data del 1
agosto 2004, con il relativo settore di appartenenza; società che poi prenderemo
221
singolarmente in considerazione, fornendo una sintetica descrizione delle stesse e della
loro attività
Tabella 11 - Le società componenti l'indice S&P/MIB alla data del 1 Agosto 2004; fonte: BorsaItaliana S.p.A.
Società Settore GICS
Alleanza Assicurazioni Financials (Insurance)Assicurazioni Generali Financials (Insurance)
Autogrill Consumer DiscretionaryAutostrade Industrials
Banca Antonveneta Financials (Banking)Banca Fideuram Financials (Banking)
Banca Intesa Financials (Banking)Banca Monte dei Paschi Financials (Banking)
Banca Nazionale del Lavoro – BNL Financials (Banking)Banca Popolare di Milano Financials (Banking)
Banche Popolari Unite Financials (Banking)Banco Pop. Verona e Novara Financials (Banking)
Benetton Group Consumer DiscretionaryBulgari Consumer Discretionary
Capitalia Financials (Banking)E. Biscom Telecommunication Services
Edison IndustrialsENEL UtilitiesENI EnergyFIAT Consumer Discretionary
Finmeccanica IndustrialsFondiaria SAI Financials (Insurance)
Gruppo Editoriale l’Espresso Consumer DiscretionaryItalcementi MaterialsLuxottica Consumer DiscretionaryMediaset Consumer Discretionary
Mediobanca Financials (Banking)Mediolanum Financials (Banking)Mondadori Consumer DiscretionaryPirelli & C. Industrials
RAS Financials (Insurance)RCS Mediagroup Consumer DiscretionarySan Paolo – IMI Financials (Banking)
Seat Pagine Gialle Consumer DiscretionarySnam Rete Gas Utilities
ST Microelectronics Information Technology
222
Telecom Italia Telecommunication ServicesTelecom Italia Mobile – TIM Telecommunication Services
Tiscali Information TechnologyUnicredito Italiano Financials (Banking)
Alleanza Assicurazioni: Alleanza Assicurazioni, società fondata a Genova nel 1898, è
una delle società leader nel mercato Vita, con oltre due milioni di clienti e 4.493 milioni
di euro di premi incassati al 31.12.2003. Uno degli assets fondamentali della
Compagnia è rappresentato dalla capillare rete di vendita degli Agenti: negli ultimi tre
anni, inoltre, per rispondere con efficacia alla crescente richiesta nell’ambito del
Risparmio Gestito, sono stati formati e abilitati oltre 1.000 Promotori Finanziari, in
media uno per ogni punto vendita. Alleanza Assicurazioni è inoltre la Capogruppo di un
network finanziario – assicurativo altamente specializzato in servizi per gli individui e le
famiglie. Oggi il gruppo Alleanza è protagonista nella gestione globale del risparmio
per la soddisfazione dei bisogni di previdenza, protezione e di investimento, completati
da nuovi servizi di bancassurance (tramite Intesa Vita) e conti online (tramite Banca
Generali).
Assicurazioni Generali: Il Gruppo Generali è una delle più importanti realtà assicurative
e finanziarie internazionali. Il Gruppo ha come capofila Assicurazioni Generali S.p.A.,
leader fra le compagnie assicurative, fondata a Trieste nel 1831. Da sempre
caratterizzate da una forte proiezione internazionale e oggi presenti in 40 Paesi, le
Generali hanno consolidato la propria posizione tra i maggiori gruppi assicurativi
mondiali, acquistando una crescente importanza sul mercato europeo occidentale,
principale area di operatività, dove si collocano ai primi posti in Germania, Francia,
Austria, Spagna, Svizzera, nonché in Israele. Nel corso degli ultimi anni, il Gruppo ha
ricostituito una significativa presenza nei Paesi dell’Europa centro orientale e ha
cominciato a svilupparsi nei principali mercati dell’Estremo Oriente. Nell’ultimo
decennio, il Gruppo Generali ha inoltre ampliato il proprio campo d’azione dal business
assicurativo all’intera gamma dei servizi finanziari e di Risparmio Gestito.
Autogrill: Autogrill è il primo operatore al mondo nel settore della ristorazione per chi
viaggia. Con un giro di affari di oltre 3,1 miliardi di Euro nel 2003, i due terzi dei quali
223
realizzati all’estero e la metà negli Stati Uniti, è una delle più importanti multinazionali
italiane. Presente in 14 Paesi con oltre 4.000 punti vendita, il Gruppo opera lungo le
autostrade, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nei centri commerciali e in alcune
città. La ricchezza del portafoglio prodotti e brand, di qualità e notorietà internazionale,
nazionale e locale, è uno dei punti di forza di Autogrill.
Autostrade: Il Gruppo Autostrade gestisce la più estesa rete autostradale in concessione
in Europa, che rappresenta il 61% della rete autostradale italiana a pedaggio e il 18% del
sistema autostradale europeo a pedaggio. Il Gruppo Autostrade è inoltre impegnato
anche in aree di attività collegate al core business: sviluppo internazionale dei parcheggi
e della mobilità urbana, tower management e infomobilità nonché servizi integrati per la
mobilità e la comunicazione.
Banca Antonveneta: Grazie al numero di sportelli, di dipendenti e di clienti, il Gruppo
Banca Antonveneta è uno dei principali gruppi bancari nazionali. Ad un forte
posizionamento competitivo nelle regioni di insediamento tradizionali, quali Veneto e
Friuli, il Gruppo associa un’ampia copertura nazionale, realizzata principalmente
attraverso l’acquisizione di una serie di realtà locali. Il Gruppo offre prodotti e servizi di
banca tradizionale, opera nell’attività di Private Banking e nel settore della gestione del
risparmio e distribuisce prodotti assicurativi, sia vita che danni.
Banca Fideuram: Banca Fideuram è uno dei protagonisti del private banking in Italia e
in Europa; a Banca Fideuram, infatti, fa capo un complesso integrato di società, italiane
ed estere, specializzate nella gestione di prodotti finanziari, assicurativi e previdenziali,
distribuiti in esclusiva dai propri private banker. A tali prodotti si affiancano anche i
tradizionali servizi bancari di compravendita titoli, disponibili anche online. Da notare
come Banca Fideuram non svolga, invece, alcuna attività di lending.
Banca Intesa: Banca Intesa è il maggiore gruppo bancario italiano, nato
dall’integrazione di Banco Ambrosiano Veneto, Banca Commerciale Italiana e Cariplo,
offrendo un’ampia gamma di prodotti e servizi a oltre 10 milioni di clienti. Il Gruppo
224
Intesa riveste una posizione di primo piano nell’intermediazione bancaria , nel risparmio
gestito, nei rapporti con l’estero e nel sistema dei pagamenti.
Banca Monte dei Paschi di Siena: Il Gruppo MPS è il quinto gruppo bancario italiano in
termini di totale dell’attivo ed è attivo su tutto il territorio nazionale tramite una rete di
filiali. Il Gruppo evidenzia una focalizzazione dell’attività sul mercato Retail e
corporate, contestualmente ad un continuo rafforzamento della propria presenza sul
mercato Private.
Banca Nazionale del Lavoro: Il Gruppo BNL è tra i maggiori gruppi bancari italiani e
tra le prime 100 banche al mondo: fondata nel 1913 è stata privatizzata solo nel 1998. Il
Gruppo è in grado di offrire un’ampia gamma di servizi bancari, finanziari ed
assicurativi, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi, per soddisfare le esigenze
dei propri clienti, ripartiti all’interno tanto del segmento retail quanto di quello
corporate e private.
Banca Popolare di Milano: Fondata a Milano nel 1865, BPM è una società cooperativa
a responsabilità limitata, sviluppatasi con le caratteristiche di banca di territorio, tanto
da avere oltre il 70% delle proprie filiali concentrato in Lombardia, specializzata nei
target delle famiglie, dei professionisti, dei commercianti e degli artigiani, oltre che dei
piccoli e medi imprenditori. Il Gruppo, ora, opera anche nell’area della gestione del
risparmio, dell’assicurazione, dell’investment banking, del private banking e nei fondi
immobiliari.
Banche Popolari Unite: Il Gruppo Banche Popolari Unite nasce recentemente dalla
fusione tra Banca Popolare di Bergamo, Banca Popolare Commercio e Industria e
Banca Popolare di Luino e Varese. Il Gruppo comprende una capogruppo quotata, cui
fanno capo banche rete che svolgono attività tradizionale di intermediazione sul
territorio di radicamento storico e società prodotto specializzate in settori quali l’asset
management, la bancassurance, il leasing e il credito al consumo.
225
Banco Popolare di Verona e Novara: Il Banco Popolare di Verona e Novara è una
società cooperativa a responsabilità limitata che sorge dalla fusione tra la Banca
Popolare di Verona e la Banca Popolare di Novara; rappresenta uno dei maggiori gruppi
bancari nazionali e focalizza la propria presenza operativa soprattutto nel nord del
paese. Il Gruppo è particolarmente attivo nel settore delle piccole e medie imprese, che
costituiscono i suoi naturali e storici interlocutori nell’ambito creditizio, e nei confronti
del risparmio delle famiglie.
Benetton Group: Il Gruppo Benetton è attivo nella produzione e distribuzione di capi di
abbigliamento casual e sportivo e di prodotti complementari quali accessori e scarpe,
attraverso i marchi di abbigliamento casual United Colors of Benetton e Sisley ed i
marchi di abbigliamento sportivo Playlife e Killer Loop. L’azienda, con una produzione
totale di oltre 100 milioni di capi l’anno effettuata per oltre il 90% in Europa, è
caratterizzata da un network commerciale presente in 120 paesi del mondo con oltre
5.000 negozi.
Bulgari: Il Gruppo Bulgari possiede fama internazionale nell’ambito della gioielleria e
degli accessori per abbigliamento, anche grazie ad una intensa politica di espansione
internazionale, condotta a partire dagli agli ’70. Una volta conquistati i mercati
internazionali, tanto occidentali quanti orientali, all’inizio degli anni ’90 il Gruppo si
diversifica all’interno del settore dei profumi e delle fragranze, acquisendo una
posizione di primo piano nel settore dei beni di lusso.
Capitalia: Il Gruppo Bancario Capitalia è nato recentemente dall’integrazione di due
realtà pre-esistenti, quali il Gruppo Bancaroma e il Gruppo Bipop-Carire. Il Gruppo
offre una completa gamma di servizi bancari a tutti i segmenti di clientela, ponendosi
come quarto gruppo bancario italiano in termini di raccolta diretta.
E.Biscom: Fondata a Milano nel settembre 1999, la Società ha sviluppato una nuova
generazione di reti di trasmissione, del tutto alternative a quelle telefoniche tradizionali
ed estese alle principali città ed aree metropolitane italiane. E.Biscom basa il proprio
vantaggio competitivo su una soluzione tecnologica senza precedenti: per prima ha
226
coniugato l’uso estensivo del protocollo IP per la gestione integrata di dati e video con
la fibra ottica e il sistemi ADSL. La disponibilità di una simile piattaforma ha permesso
di riunire funzioni finora distinte e separate e ha offerto la possibilità di sviluppare
servizi innovativi e ad alto valore aggiunto, fruibili contemporaneamente con un solo
collegamento. Il Gruppo, quindi, fornisce un’ampia gamma di servizi a tutti i segmenti
del mercato: grandi, medie e piccole aziende, studi professionali, esercizi commerciali e
clienti residenziali.
Edison: Edison è il secondo operatore italiano nell’energia ed il primo tra i privati,
possedendo anche 2.900 km di rete di trasmissione elettrica. La capacità di generazione
disponibile è di circa 10.000 MW e l’energia prodotta viene venduta sul mercato libero
e a clienti industriali idonei, consorzi di acquisto ed al Gestore della Rete Nazionale. Il
gruppo, inoltre, opera anche nel settore degli idrocarburi lungo tutta la catena del valore.
Enel: Nata nel 1962, Enel risponde alle sfide del mercato concentrando la propria
attività nella produzione, distribuzione e vendita di elettricità, sia in Italia che all’estero.
A questa competenza storica Enel affianca oggi la distribuzione e la vendita del gas
naturale. Enel è inoltre attiva nelle telecomunicazioni dove, attraverso Wind posseduta
al 100%, offre servizi convergenti di telefonia fissa, mobile, trasmissione dati e internet.
Eni: Con una capitalizzazione di borsa di oltre 65 miliardi di Euro, Eni è una delle
società energetiche integrate più importanti al mondo; opera nelle attività del petrolio e
del gas naturale, della generazione di energia elettrica e dell’ingegneria delle costruzioni
in cui vanta competenze di eccellenza e forti posizioni di mercato a livello
internazionale. La strategia della compagnia è focalizzata sullo sviluppo delle attività
del core business.
Fiat : La Fiat è tra i fondatori dell’industria automobilistica europea, nonostante, nel
corso del tempo, l’azienda abbia interpretato la propria vocazione automotoristica
attraverso l’impegno in tutte le forme della mobilità di persone e beni. Nel 2003 il
Gruppo ha ridefinito il perimetro di business, tornando a focalizzare le proprie attività
227
industriali e di servizio attorno al tradizionale settore automotive, a seguito di una ben
nota crisi societaria e proprietaria.
Finmeccanica: Finmeccanica è la società leader in Italia nel settore delle alte tecnologie;
il Gruppo, che realizza un giro d’affari annuo pari a 8,6 miliardi di euro, opera in
prevalenza nell’aerospazio e nella difesa. La società, infatti, è impegnata nel settore
dell’aeronautica e degli elicotteri, nella progettazione, sviluppo e produzione di satelliti
per usi civili e militari, nonché nel settore dell’elettronica per la difesa.
Fondiaria – SAI: Società derivante dalla recente fusione tra SAI e La Fondiaria
Assicurazioni, Fondiaria – Sai rappresenta dalla sua nascita il terzo gruppo assicurativo
italiano per premi raccolti, e primo a livello nazionale nei Rami Danni con una quota di
mercato pari a circa il 20%.
Gruppo Editoriale l’Espresso: Il Gruppo Editoriale l’Espresso con le sue controllate è
una delle più importanti aziende italiane del settore media con attività nelle aree della
stampa quotidiana e periodica, della radiofonia, della raccolta pubblicitaria, di internet e
della tv digitale. Oltre ad essere proprietario anche di tre radio nazionali, tra le quali
Radio Deejay, prima per ascolti tra le emittenti private in Italia e un canale televisivo
satellitare di musica, il Gruppo possiede anche alcune radio estere e l’internet company
Kataweb.
Italcementi: Italcementi è la holding di un gruppo industriale che è tra i primi produttori
di cemento a livello mondiale e il principale operatore nel bacino del Mediterraneo.
L’attività del gruppo è focalizzata sul cemento (oltre il 60% del fatturato) che si integra
con la produzione di calcestruzzo e altri materiali per l’edilizia.
Luxottica: Luxottica Group è leader mondiale nel design, produzione e
commercializzazione di montature da vista e di occhiali da sole nella fascia di mercato
medio-alta e alta. Il Gruppo è inoltre leader nella vendita al dettaglio di prodotti ottici
nel mercato nord-americano e nel mercato australiano. L’attuale portafoglio marchi di
Luxottica Group è composto da 23 marchi, di cui 8 propri, e 15 in licenza.
228
Mediaset: Il Gruppo Mediaset è il principale gruppo nel settore della televisione
commerciale in Italia e una delle maggiori società media a livello europeo. Le varie
società del Gruppo svolgono l’attività di ideazione e realizzazione di palinsesti, di
produzione di programmi originali, di acquisizione di diritti di produzione e di gestione
della rete di diffusione dei segnali.
Mediobanca: Mediobanca è la banca d’affari leader in Italia. Da oltre 50 anni assiste la
clientela, principalmente costituita da large corporates, in merito ai processi di sviluppo
imprenditoriale, fornendo sia servizi di consulenza professionale e di advisory, sia
servizi di finanza pura.
Mediolanum : Il Gruppo Mediolanum è uno dei principali players del mercato del
risparmio gestito italiano. Il suo core business è oggi focalizzato in Italia ma, forte
dell’esperienza acquisita, si sta espandendo anche in Europa.
Mondadori: Il Gruppo Mondadori è leader nel mercato editoriale italiano e uno dei
principali gruppi del settore media in Europa. Nel settore dei Periodici, il Gruppo è
leader con una quota di oltre il 40% del mercato. Il portafoglio delle testate è composta
da oltre 50 riviste e per quanto riguarda la Divisione Libri, l’azienda ha confermato la
propria posizione di leader con oltre il 25% di quota di mercato.
Pirelli: Le attività del Gruppo Pirelli sono concentrate nei settori industriali Pneumatici,
Cavi e Sistemi di Telecomunicazione, nonché nel settore immobiliare attraverso Pirelli
& C. Real Estate. Oggi Pirelli è un’impresa multinazionale, con il 65% per cento del
fatturato prodotto destinato all’area Europea. La forza competitiva di Pirelli, inoltre, è
da sempre fondata sulla ricerca e sulle capacità tecnologiche.
Ras: Con cinque milioni di clienti fra privati e aziende in Italia, Ras è un gruppo leader
nel settore assicurativo e finanziario, in grado offrire una gamma completa e integrata di
servizi, che spaziano dalla protezione dei rischi alla previdenza integrativa, dagli
229
investimenti ai finanziamenti, dal risparmio gestito ed amministrato ai prodotti
tipicamente bancari.
RCS Mediagroup: RCS Mediagroup è il principale gruppo italiano nel settore
media/publishing con importanti posizioni di leadership nelle attività della stampa
quotidiana, periodica e dell’editoria libraria. Il Gruppo possiede anche partecipazioni in
imprese editoriali estere ed è attivo nel settore della raccolta pubblicitaria e della
radiofonia.
San Paolo – IMI: Il Gruppo San Paolo – IMI è un grande gruppo bancario europeo,
attivo con estrema capillarità sul mercato italiano e con numerose filiali attive anche
nelle più importanti piazze europee. Il modello di business del Gruppo si focalizza sulle
attività di Banca Commerciale, presidiate dalle numerose società controllate e da società
specializzate in credito al consumo e leasing, in base ad una precisa segmentazione
della clientela.
Seat Pg: Il Gruppo Seat Pagine Gialle è leader europeo ed uno dei principali operatori a
livello mondiale nel settore dell’editoria telefonica multimediale. Opera, infatti, in
campo internazionale delle Directories, nella Directory Assistance. Il gruppo Seat offre
inoltre alle aziende interessate anche altri strumenti, diversi e complementari, per far
crescere il business come il direct marketing in Italia.
Snam Rete Gas: Snam Rete Gas è la società che gestisce il servizio di trasporto del gas
naturale in Italia, con una copertura capillare del territorio nazionale attraverso un
sistema di gasdotti, direttamente collegati ai giacimenti, alle linee di importazione e ai
centri di stoccaggio che alimentano il sistema gas italiano
ST Microelectronics: La ST è tra i più grandi produttori di semiconduttori al mondo. La
ST offre oltre 3.000 tipi principali di prodotti, tutti dall’elevata base tecnologica, quali
smart card, hard disk drive, circuiti integarti, a più di 1.500 clienti in tutto il mondo, tra
i quali le principali imprese a base tecnologica mondiali.
230
Telecom Italia: Il Gruppo Telecom Italia è una grande realtà italiana che comprende
aziende leader nel settore strategico dell’ICT, in cui figura tra i principali gruppi a
livello europeo. Basate su innovazione tecnologica, centralità del cliente ed eccellenza
del servizio, le aziende del Gruppo operano nei mercati delle telecomunicazione, di
internet, dei media e dell’information technology.
Tim: Il Gruppo Tim, presente, oltre che sul mercato italiano, in America Latina e nel
bacino del Mediterraneo, ha raggiunto complessivamente quasi 47 milioni di linee al
marzo 2004, di cui oltre 26 milioni sul mercato nazionale, con una market share del
45%. L’attenzione da parte del management allo sviluppo e all’innovazione riconferma
la posizione di leadership di Tim non solo nel business della fonia tradizionale ma
anche nell’intero settore dell’ICT.
Tiscali: Tiscali fornisce accesso ad internet, oltre che contenuti, applicazioni business e
servizi a valore aggiunto. Al 31 marzo 2004, Tiscali con oltre 8 milioni di utenti attivi di
cui più di un milione clienti Adsl è il terzo ISP (Internet Service Provider) in Europa.
Nata sei anni fa, grazie ad un piano di espansione sostenuto da una serie di acquisizioni
mirate, Tiscali è oggi una delle principali realtà europee nel campo dell’Internet Service.
Unicredito: Unicredit è il primo gruppo bancario italiano in termini di capitalizzazione
di Borsa e tra i primi in Europa per numero di clienti e massa intermediata. In Italia
opera attraverso una serie di banche specializzate per segmento di impresa ed è attivo in
tutti i segmenti di clientela.
231
4.2 – INCIDENZA E COMPOSIZIONE DELLA VOCE “IMMOBILIZZAZIONI
IMMATERIALI”
Nel presente paragrafo, analizzeremo l’incidenza della classe delle
immobilizzazioni immateriali e la sua composizione all’interno dei bilanci consolidati
delle 40 società quotate descritte in precedenza, appartenenti all’indice S&P/MIB. Per
fare ciò, ad evidenza, abbiamo considerato i bilanci delle varie società ed estrapolato da
essi i dati relativi alle attività immateriali, sfruttando gli schemi di bilancio e la nota
integrativa: il risultato è riportato nella tabella proposta di seguito, divisa tra varie
pagine per motivi di spazio. A riguardo, è necessario evidenziare le lacune informative a
volte presentatesi al momento dell’analisi dei bilanci, soprattutto in merito alla
ripartizione delle attività immateriali all’interno delle rispettive classi, spesso non
sufficientemente precisa. Le società, inoltre, sono indicate in ordine crescente in
funzione del peso dell’attivo immateriale sull’attivo di bilancio.
Obiettivo del lavoro è dimostrare e rendere evidente l’importanza che la voce
“Immobilizzazioni Immateriali” – appartenente all’attivo dello Stato Patrimoniale –
riveste all’interno dei bilanci di alcune tra le più importanti società quotate. All’interno
di questa voce, come noto, vengono inseriti tutti quegli attivi immateriali passibili di
capitalizzazione che abbiamo descritto nel corso dei precedenti capitoli. Abbiamo
voluto focalizzare la nostra attenzione sulle società componenti l’indice S&P/MIB in
quanto rappresentanti un campione discretamente diversificato per quanto riguarda i
settori di appartenenza e la tipologia di imprese. In secondo luogo, abbiamo analizzato i
bilanci consolidati delle suddette società in quanto saranno questi ad essere
primariamente influenzati dall’introduzione dei nuovo principi contabili: come descritto
nell’introduzione, infatti, l’analisi dei potenziali effetti dell’introduzione dei nuovi
principi contabili sarà parte delle successive analisi empiriche.
232
Dopo le tabelle, verranno proposti dei grafici utili ad evidenziare le conclusioni
più significative raggiunte grazie all’analisi condotta, per poi soffermarci a fornire
alcune informazioni in merito alle aziende che presentano un maggiore peso delle
attività immateriali a bilancio, cercando di capire il perché di questo risultato.
Tabella 12 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; fonte: dati di bilancio consolidato 2002
Costi di
Impianto e diAmpliamento
Costi di Ricerca,Sviluppo ePubblicità
Software
Mediobanca 4.000 Generali Alleanza Capitalia 74.091.000 140.056.000Bnl 22.068.000 Intesa 26.000.000 SanPaolo-Imi 2.000.000 310.000.000Ras Snam Rete Gas 26.000.000 2.000.000 MPS 12.246.763 Unicredit 2.883.000 Fideuram B.Pop.Vr.No. 21.264.000 63.728.000Medioanum 8.689.000 Antonveneta 13.033.000 BPU 1.557.000 BPM 11.563.000 Autostrade 7.680.000 STM 83.000.000Fondiaria-Sai Eni 39.000.000 510.000.000 Finmeccanica 1.356.000 33.164.000 Fiat 77.000.000 18.000.000 Pirelli 10.616.000 Bulgari 1.434.000 1.207.000 Benetton 10.835.000 Mondadori 781.000 RCS 3.000.000 E.Biscom 2.888.000 19.825.000 60.660.000Enel 28.000.000 81.000.000 Italcementi 15.280.000 402.000 Edison 21.000.000 Tim 42.000.000 L'Espresso 157.000 196.000
233
Telecom 83.000.000 Tiscali 5.281.000 38.000.000 Autogrill 412.000 Mediaset 1.900.000 1.400.000 Seat Pg 1.015.000 22.000
Luxottica 178.000
TOTALE 574.211.763 705.216.000 657.444.000
Brevetti e Opere
dell'IngegnoConcessioni,
Licenze e Marchi Avviamento
Mediobanca Generali Alleanza 37.000.000Capitalia 40.161.000Bnl 8.338.000Intesa 12.000.000SanPaolo-Imi 16.000.000Ras 40.904.000Snam ReteGas 23.000.000 MPS 5.043.606Unicredit 966.854.000Fideuram 1.367.000B.Pop.Vr.No. 55.328.000Medioanum 6.311.000 Antonveneta 727.852.000BPU 83.715.000BPM 630.520.000Autostrade 4.973.000 114.799.000 STM 228.000.000 159.000.000Fondiaria-Sai 737.290.000Eni 88.000.000 411.000.000 147.000.000Finmeccanica 16.494.000 7.642.000 1.040.700.000Fiat 416.000.000 467.000.000 229.000.000Pirelli 4.048.000 12.362.000 39.912.000Bulgari 5.979.000 477.000 7.774.000Benetton 2.276.000 26.621.000 91.465.000Mondadori 1.294.000 132.272.000 10.827.000RCS 2.600.000 104.600.000 32.400.000E.Biscom 11.731.000 64.442.000Enel 465.000.000 2.839.000.000 1.717.000.000Italcementi 2.415.000 28.846.000 20.010.000Edison 941.000.000 26.000.000Tim 574.000.000 3.446.000.000 L'Espresso 1.924.000 8.731.000 330.911.000Telecom 1.269.000.000 3.995.000.000 17.000.000
234
Tiscali 3.686.000 141.933.000 160.000Autogrill 39.993.000 547.312.000Mediaset 13.500.000 1.851.000.000 15.100.000Seat Pg 5.778.000 1.236.000 713.064.000
Luxottica 31.175.000 514.091.000 705.854.000
TOTALE 2.942.873.000 15.317.914.000 9.277.303.606
Differenza da
Consolidamento
Immobilizzazioni in Corso
e AccontiAltre
Mediobanca 1.928.000Generali 44.799.515Alleanza 14.400.000 29.200.000Capitalia 240.705.000 203.618.000Bnl 385.234.000Intesa 733.000.000 680.000.000SanPaolo-Imi 842.000.000 78.000.000Ras 363.436.000 78.391.000Snam ReteGas 30.000.000 6.000.000MPS 756.508.923 417.005.702Unicredit 961.888.000 285.951.000Fideuram 19.657.000 45.160.000B.Pop.Vr.No. 353.892.000 57.635.000Medioanum 143.000 305.000Antonveneta 7.807.000 138.130.000BPU 996.730.000 154.623.000BPM 14.522.000 86.808.000Autostrade 8.956.000 16.055.000STM Fondiaria-Sai 210.606.000 337.964.000Eni 396.000.000 128.000.000 1.124.000.000Finmeccanica 6.831.000 113.444.000Fiat 3.371.000.000 263.000.000 359.000.000Pirelli 508.269.000 4.656.000 82.139.000Bulgari 28.740.000 5.800.000 7.265.000Benetton 7.628.000 5.396.000 110.775.000Mondadori 11.423.000 1.428.000 6.131.000RCS 192.700.000 5.700.000 12.000.000E.Biscom 204.792.000 419.000 50.783.000Enel 5.674.000.000 285.000.000 1.940.000.000Italcementi 1.260.490.000 6.601.000 45.027.000Edison 3.967.000.000 14.000.000 86.000.000
235
Tim 957.000.000 127.000.000 79.000.000L'Espresso 30.120.000 9.274.000 8.792.000Telecom 27.877.000.000 832.000.000 488.000.000Tiscali 540.987.000 6.161.000 13.005.000Autogrill 247.016.000 3.915.000 228.810.000Mediaset 12.100.000 132.400.000 5.600.000Seat Pg 460.981.000 1.759.000 26.027.000
Luxottica 710.228.000
TOTALE 51.262.540.923 1.878.296.000 8.542.833.217
Totale Attività
Immateriali Totale Attivo
TotaleAttività
Immateriali /Totale Attivo
Mediobanca 1.932.000 30.505.162.000 0,0063Generali 44.799.515 33.507.253.352 0,1337Alleanza 80.600.000 31.958.188.000 0,2522Capitalia 698.631.000 140.941.771.000 0,4957Bnl 415.640.000 83.710.780.000 0,4965Intesa 1.451.000.000 280.733.000.000 0,5169SanPaolo-Imi 1.248.000.000 203.773.000.000 0,6124Ras 482.731.000 55.792.173.000 0,8652Snam Rete Gas 87.000.000 10.018.000.000 0,8684MPS 1.190.804.994 128.882.985.368 0,9239Unicredit 2.217.576.000 213.349.326.000 1,0394Fideuram 66.184.000 6.257.921.000 1,0576B.Pop.Vr.No. 551.847.000 48.247.490.000 1,1438Medioanum 15.448.000 1.149.415.000 1,3440Antonveneta 886.822.000 49.580.489.000 1,7887BPU 1.236.625.000 62.877.838.000 1,9667BPM 743.413.000 32.535.874.000 2,2849Autostrade 152.463.000 5.647.336.000 2,6997STM 470.000.000 12.004.000.000 3,9154Fondiaria-Sai 1.285.860.000 31.396.429.000 4,0956Eni 2.843.000.000 65.195.000.000 4,3608Finmeccanica 1.219.631.000 24.287.732.000 5,0216Fiat 5.200.000.000 92.521.000.000 5,6203Pirelli 662.002.000 10.897.325.000 6,0749Bulgari 58.676.000 931.188.000 6,3012Benetton 254.996.000 2.643.144.000 9,6475Mondadori 164.156.000 1.622.040.000 10,1203RCS 353.000.000 2.521.300.000 14,0007E.Biscom 415.540.000 2.507.877.000 16,5694Enel 13.029.000.000 67.937.000.000 19,1781Italcementi 1.379.071.000 7.103.652.000 19,4135Edison 5.055.000.000 18.194.000.000 27,7839
236
Tim 5.225.000.000 14.211.000.000 36,7673L'Espresso 390.105.000 1.042.164.000 37,4322Telecom 34.561.000.000 83.384.000.000 41,4480Tiscali 749.213.000 1.691.505.000 44,2927Autogrill 1.087.458.000 2.383.980.000 45,6152Mediaset 2.033.000.000 4.159.500.000 48,8761Seat Pg 1.209.882.000 2.312.471.000 52,3199
Luxottica 1.961.526.000 3.586.332.000 54,6945
TOTALE 91.178.632.509 1.872.000.640.720 MEDIA=13,30%
Tabella 13 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; fonte: dati di bilancio consolidato 2003
Costi di
Impianto e diAmpliamento
Costi di Ricerca,Sviluppo ePubblicità
Software
Mediobanca 1.000 Mediolanum 759.000 Intesa 74.000.000 521.000.000BNL 22.068.000 Capitalia 53.996.000 SanPaolo -Imi 2.000.000 274.000.000Fideuram 31.070.000Ras 582.000 545.000 Banca MPS 4.566.000 220.849.000B.Pop.VR.NO. 16.511.000 47.093.000Unicredit Snam ReteGas 19.000.000 2.000.000 Alleanza Generali 3.500.000 78.200.000 188.200.000Antonveneta 8.002.000 40.788.000BPU 1.702.000 BPM 16.981.000 Fondiaria-Sai 38.160.000 55.172.000 7.826.000STM 103.000.000Finmeccanica 1.652.000 30.343.000 Eni 29.000.000 303.000.000 Pirelli 19.775.000 Fiat 144.000.000 22.000.000 Bulgari 1.401.000 1.202.000 Benetton 7.361.000 Mondadori 489.000 RCS 5.300.000 E.Biscom 1.404.000 17.081.000 57.159.000
237
Italcementi 32.204.000 202.000 Enel 65.000.000 40.000.000 Edison 12.000.000 Autostrade 7.743.000 L'Espresso 4.000 Tim 25.000.000 Telecom 51.000.000 Tiscali 2.602.000 8.987.000 Autogrill 162.000 Mediaset 1.800.000 1.400.000 Luxottica 189.000
Seat Pg 998.000
TOTALE 670.912.000 560.132.000 1.490.985.000
Brevetti e Opere
dell'IngegnoConcessioni,
Licenze e Marchi Avviamento
Mediobanca Mediolanum 7.477.000,00 Intesa BNL 8.338.000,00Capitalia 37.120.000,00SanPaolo - Imi 7.000.000,00Fideuram Ras 36.359.000,00Banca MPS 3.732.000,00B.Pop.VR.NO. 21.525.000,00Unicredit 260.620.000,00 770.785.000,00Snam ReteGas 57.000.000,00 Alleanza 505.600.000,00Generali 386.900.000,00Antonveneta 642.529.000,00BPU 736.094.000,00BPM 555.824.000,00Fondiaria-Sai 671.044.000,00STM 222.000.000,00 267.000.000,00Finmeccanica 15.224.000,00 8.404.000,00 1.009.980.000,00Eni 149.000.000,00 1.034.000.000,00 143.000.000,00Pirelli 1.708.000,00 24.844.000,00 33.132.000,00Fiat 406.000.000,00 347.000.000,00 151.000.000,00Bulgari 9.135.000,00 354.000,00 6.172.000,00Benetton 1.491.000,00 26.734.000,00 83.236.000,00Mondadori 1.120.000,00 134.369.000,00 7.919.000,00RCS 800.000,00 125.000.000,00 18.000.000,00E.Biscom 879.000,00 2.804.000,00Italcementi 5.289.000,00 25.514.000,00 17.542.000,00
238
Enel 489.000.000,00 2.707.000.000,00 1.611.000.000,00Edison 317.000.000,00 23.000.000,00Autostrade 5.267.000,00 84.379.000,00 0,00L'Espresso 655.000,00 4.695.000,00 316.844.000,00Tim 773.000.000,00 3.413.000.000,00 Telecom 1.850.000.000,00 3.761.000.000,00 8.000.000,00Tiscali 28.195.000,00 159.358.000,00 208.000,00Autogrill 30.172.000,00 422.484.000,00Mediaset 14.900.000,00 1.954.200.000,00 9.700.000,00Luxottica 33.103.600,00 545.895.000,00 749.522.000,00
Seat Pg 910.193.000,00 1.134.000,00 3.182.715.000,00
TOTALE 4.751.080.600,00 15.195.028.000,00 12.446.108.000,00
Differenza da
Consolidamento
Immobilizzazioni in Corso
e AccontiAltre
Mediobanca 1.475.000,00Mediolanum 126.000,00 163.000,00 167.000,00Intesa 26.000.000,00
BNL385.234.000,0
0Capitalia 149.237.000,00 417.714.000,00SanPaolo -Imi 883.000.000,00 60.000.000,00Fideuram 8.777.000,00Ras 342.692.000,00 58.754.000,00
Banca MPS 668.688.000,00143.970.000,0
0B.Pop.VR.NO. 325.955.000,00 41.635.000,00
Unicredit 1.229.299.000,00135.885.000,0
0Snam ReteGas 18.000.000,00 10.000.000,00Alleanza 29.600.000,00
Generali 2.168.165.000,00644.957.000,0
0Antonveneta 182.091.000,00 82.434.000,00
BPU 362.044.000,00243.404.000,0
0
BPM 12.102.000,00123.016.000,0
0Fondiaria-Sai 197.264.000,00
264.355.000,00
STM 0,00Finmeccanica 7.803.000,00
124.837.000,00
Eni 1.164.000.000,00 135.000.000,0 218.000.000,0
239
0 0
Pirelli 421.376.000,00 2.096.000,00 53.577.000,00
Fiat 2.251.000.000,00246.000.000,0
0157.000.000,0
0Bulgari 33.634.000,00 1.257.000,00 5.839.000,00Benetton 6.842.000,00 206.000,00 105.155.000,00Mondadori 8.381.000,00 319.000,00 5.829.000,00RCS 172.500.000,00 400.000,00 19.400.000,00E.Biscom 263.103.000,00 5.000,00 49.660.000,00Italcementi 1.151.333.000,00 2.934.000,00 38.373.000,00
Enel 6.702.000.000,00199.000.000,0
01.763.000.000,
00Edison 3.588.000.000,00 12.000.000,00 65.000.000,00Autostrade 4.379.873.000,00 5.097.000,00 111.387.000,00L'Espresso 28.344.000,00 1.257.000,00 6.755.000,00
Tim 734.000.000,00209.000.000,0
0 96.000.000,00
Telecom27.137.000.000,0
0742.000.000,0
0304.000.000,0
0Tiscali 503.908.000,00 1.979.000,00 10.666.000,00
Autogrill 293.330.000,00 4.015.000,00240.663.000,0
0Mediaset 308.400.000,00 175.400.000,00 7.900.000,00Luxottica 754.167.400,00
Seat Pg 420.119.000,00 3.865.000,00 38.468.000,00
TOTALE56.087.806.000,0
01.767.796.000,0
06.853.053.400,
00
Totale Attività
Immateriali Totale Attivo
TotaleAttività
Immateriali /Totale Attivo
Mediobanca 1.476.000,00 32.888.898.000,00 0,0045Mediolanum 8.692.000,00 9.610.920.000,00 0,0904Intesa 621.000.000,00 260.215.000.000,00 0,2387BNL 415.640.000,00 81.059.718.000,00 0,5128Capitalia 712.063.000,00 128.382.868.000,00 0,5546
SanPaolo - Imi 1.226.000.000,00202.580.000.000,0
0 0,6052Fideuram 39.847.000,00 6.026.270.000,00 0,6612Ras 438.932.000,00 61.304.725.000,00 0,7160Banca MPS 1.041.804.857,00 122.989.116.020,00 0,8471B.Pop.VR.NO. 452.719.000,00 48.606.095.000,00 0,9314Unicredit 2.396.589.000,00 238.255.636.000,00 1,0059Snam Rete Gas 106.000.000,00 9.850.000.000,00 1,0761Alleanza 535.200.000,00 46.722.375.000,00 1,1455Generali 3.469.922.000,00 259.811.328.000,00 1,3356Antonveneta 947.842.000,00 47.603.832.000,00 1,9911
240
BPU 1.343.244.000,00 62.993.690.000,00 2,1324BPM 707.923.000,00 32.441.737.000,00 2,1821Fondiaria-Sai 1.233.821.000,00 31.396.429.000,00 3,9298STM 592.000.000,00 13.477.000.000,00 4,3927Finmeccanica 1.198.243.000,00 26.679.016.000,00 4,4913Eni 3.175.000.000,00 68.943.000.000,00 4,6053Pirelli 556.508.000,00 9.961.046.000,00 5,5868Fiat 3.724.000.000,00 62.711.000.000,00 5,9384Bulgari 58.994.000,00 861.956.000,00 6,8442Benetton 231.025.000,00 2.697.443.000,00 8,5646Mondadori 158.426.000,00 1.843.881.000,00 8,5920RCS 341.000.000,00 2.486.500.000,00 13,7141E.Biscom 392.095.000,00 2.444.797.000,00 16,0379Italcementi 1.273.391.000,00 6.865.098.000,00 18,5488Enel 13.576.000.000,00 69.839.000.000,00 19,4390Edison 4.017.000.000,00 16.496.000.000,00 24,3514Autostrade 4.593.746.000,00 13.783.872.000,00 33,3270L'Espresso 358.554.000,00 1.049.441.000,00 34,1662Tim 5.250.000.000,00 14.773.000.000,00 35,5378
Telecom33.853.000.000,0
0 80.501.000.000,00 42,0529Tiscali 715.903.000,00 1.661.261.000,00 43,0940Autogrill 990.826.000,00 2.100.113.000,00 47,1797Mediaset 2.473.000.000,00 4.696.400.000,00 52,6574Luxottica 2.082.877.000,00 3.901.942.000,00 53,3805
Seat Pg 4.557.492.000,00 5.827.709.000,00 78,2038
TOTALE 99.867.794.857,002.096.339.112.020,0
0 MEDIA=14,52%
Di seguito, presentiamo il grafico che mostra sull’asse delle ascisse le varie
società, ordinate in base al peso che la classe delle immobilizzazioni immateriali riveste
rispetto all’attivo, all’interno del loro bilancio consolidato. Verranno innanzitutto presi
in considerazione i dati inerenti l’esercizio 2002 e successivamente quelli inerenti i
bilanci dell’esercizio 2003.
Grafico 1 - Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all'interno del lorobilancio consolidato (dati in percentuale) – dati: bilanci consolidati 2002
241
0
10
20
30
40
50
60
Med
ioba
nca
Gen
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iAl
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Ras
Snam
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set
Seat
Pg
Luxo
ttica
Come si può notare, è evidente il fatto che le attività immateriali pesano in
misura meno rilevante sulle società che operano all’interno del settore finanziario, quali
banche ed assicurazioni: sedici delle prime diciassette società, infatti, appartengono al
settore in questione, fatta eccezione per Snam Rete Gas. Sicuramente, questo fatto è
strettamente collegato alla tipologia di business condotto dalle società in questione: pur
basate su risorse intangibili fondamentali quali la reputazione, la sicurezza,la fiducia e
l’abilità del personale, le attività condotte dalle imprese appartenenti al settore
finanziario sfruttano beni intangibili di difficile – se non impossibile – quantificazione
ed identificazione.
Per questo motivo, ci sembra opportuno introdurre il grafico successivo, simile
al primo ma con la sola differenza che vengono prese in considerazione solo le società
appartenenti a settori diversi da quello finanziario.
242
Grafico 2 - Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delleimmobilizzazioni immateriali all'interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale) – dati:bilanci consolidati 2002
0102030405060
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Med
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gLu
xotti
ca
La media del peso delle attività immateriali a bilancio, calcolata considerando
tutte le società prese in considerazione, indipendentemente dal settore in cui operano, è
pari al 13,30%; se si prendono in considerazione solamente le società industriali, invece,
questa sale al 22,31%. Il grafico presentato di seguito, sempre con riferimento ai dati di
bilancio 2002, mostra la ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali:
Grafico 3 - Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; dati: bilanci consolidati 2002
Concessioni, Licenze e Marchi17%
Altre9%
Software1%
Costi di Impianto e di Ampliamento
1%
Costi di Ricerca, Sviluppo e Pubblicità
1%
Brevetti e Opere dell'Ingegno
3%Immobilizzazioni in Corso e Acconti
2%
Differenza da Consolidamento
56%
Avviamento10%
243
Dal grafico risulta chiaramente che, come era possibile aspettarsi dato che
stiamo lavorando con bilanci consolidati, le differenze da consolidamento hanno un
peso preponderante. Tralasciando queste, però, al secondo posto troviamo la voce
“Concessioni, Licenze e Marchi”, ossia quella che, insieme alla voce “Brevetti e Opere
dell’Ingegno” contengono prettamente gli intangible assets di cui ci occupiamo
all’interno del presente lavoro.
Passiamo ora ad analizzare i dati relativi all’esercizio 2003, sempre seguendo lo
schema e l’ordine di esposizione proposto in precedenza. Per primo, quindi,
introdurremo il grafico inerente il peso delle attività immateriali rispetto all’attivo di
bilancio all’interno dei bilanci consolidati delle società prese in esame, senza
considerare il loro settore d’appartenenza. Secondariamente, proporremo il medesimo
grafico, stavolta con riferimento solo alle società non operanti all’interno del settore
finanziario.
Grafico 4 - Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all'interno del lorobilancio consolidato (dati in percentuale) – dati: bilanci consolidati 2003
0102030405060708090
Med
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LC
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244
Grafico 5 - Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delleimmobilizzazioni immateriali all'interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale) – dati:bilanci consolidati 2003
0102030405060708090
Sna
m R
ete
STM
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nica Eni
Pire
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com
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ogril
l
Med
iase
t
Luxo
ttica
Sea
t Pg
Anche in questo caso, è evidente la differenza tra il peso delle attività
immateriali all’interno delle imprese operanti nel settore finanziario e nelle imprese
operanti in altri settori. La media del peso delle immobilizzazioni immateriali sull’attivo
di bilancio è pari, complessivamente, al 14,52%; questo dato aumenta al 24,43% se non
si considerano le società appartenenti al settore finanziario.Di seguito, analizziamo la
ripartizione delle attività immateriali, con riferimento ai dati consolidati del 2003:
Grafico 6 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; dati: bilanci consolidati 2003
Concessioni, Licenze e Marchi15%
Altre7%
Software2%
Costi di Impianto e di Ampliamento
1%
Costi di Ricerca, Sviluppo e Pubblicità
1%
Brevetti e Opere dell'Ingegno
5%Immobilizzazioni in Corso e Acconti
2%
Differenza da Consolidamento
56%
Avviamento11%
245
Anche in questo caso, è evidente il peso delle differenza da consolidamento, seguite
dalla classe includente “Concessioni, Licenze e Marchi”, subito seguita dalla classe
comprendete i valori di “Avviamento”.
Come si può notare, tanto nell’esercizio 2002, quanto in quello 2003, le prime
quattro aziende in termini di peso delle attività immateriali a bilancio sono Luxottica,
Seat Pg, Mediaset e Autogrill. Ci sembra opportuno, di conseguenza, analizzare
brevemente le motivazioni che hanno portato a questa posizione di leadership per
ognuna delle società.
Autogrill: Per quanto riguarda Autogrill, le attività immateriali pesano circa per il 46%
rispetto all’attivo di bilancio, tanto all’interno dell’esercizio 2002, quanto all’interno
dell’esercizio 2003. Se buona parte delle attività immateriali fa riferimento alle
differenze da consolidamento e agli avviamenti, notevole influenza riveste anche la
voce “Concessioni, Licenze e Marchi”, specificamente grazie ai diritti di superfici
acquisiti, che permettono ad Autogrill di operare ai bordi delle autostrade, in posizione
strategica per il proprio business. Questi diritti, presentano una periodo di
ammortamento di 30 anni, pari alla durata dei diritti stessi.
Seat Pagine Gialle: In Seat Pg, le attività immateriali pesano sull’attivo di bilancio per
il 52% circa nel 2002 e per il 78% nel 2003. Anche in questo caso, buona parte delle
attività immateriali è costituita da avviamenti e differenze da consolidamento, derivanti
anche da un processo di riorganizzazione che ha portato alla fusione di alcune società
del gruppo. Tuttavia, tra i “diritti di brevetto industriale e di utilizzazione delle opere
dell’ingegno” è stata inclusa una voce rappresentativa del patrimonio informativo e
relazionale relativo alla clientela, chiamato appunto “Customer Data Base”, costituitosi
nel tempo in capo a Seat S.p.A. e inteso come “insieme inscindibile di dati organizzati e
informazioni, modelli di elaborazione e classificazione dei dati e delle specifico know-
how commerciale e di marketing a supporto delle decisioni strategiche della società,
connesse allo sviluppo e alla conservazione dei clienti285”.
285 Cfr. Bilancio Consolidato 2003 di Seat Pg, Nota Integrativa;
246
Mediaset: Sul totale dell’attivo di bilancio di Mediaset, le attività immateriali pesano
per il 52% circa nel 2002 e per il 48% nel 2003. Tralasciando le voci residuali
rappresentate dalle differenze di consolidamento e dall’avviamento, grande peso
rivestono all’interno del bilancio consolidato i diritti televisivi acquisiti, nonché i
marchi dei tre network Mediaset ed i marchi relativi alle produzioni televisive.
Luxottica: All’interno del bilancio Luxottica le immobilizzazioni immateriali pesano
attorno al 53% tanto nel corso dell’esercizio 2002 quanto nel corso dell’esercizio 2003.
Anche in questo caso, senza prendere in considerazione avviamenti e differenze da
consolidamento, grande importanza rivestono i marchi di fama internazionale dei quali
Luxottica è distributrice e proprietaria.
A supporto dei risultati ottenuti, vogliamo introdurre anche i dati elaborati da
una ricerca condotta dall’Ordine dei Commercialisti di Torino, in merito all’importanza
degli attivi immateriali all’interno dei bilanci di esercizio e consolidati di 256 società
quotate. Con riferimento alle sole società industriali – quelle per le quali le
immobilizzazioni immateriali rivestono una maggiore importanza e peso in termini
quantitativi – la composizione media delle voci risulta essere la seguente:
Tabella 14 - Composizione media della voce "Immobilizzazioni Immateriali" nei bilanci di 256 societàquotate
Bilancio d’esercizio Bilancio consolidatoCosti di impianto eampliamento
2,78% 0,67%
Costi di ricerca, sviluppoe pubblicità
0,41% 0,57%
Diritti di brevettoindustriale e diritti diutilizzazione delle opered’ingegno
9,81% 4,72%
Concessioni, licenze,marchi e diritti simili
30,48% 23,55%
Avviamento 33,51% 7,11%Immobilizzazioni incorso e acconti
7,81% 3,01%
Altre 15,20% 5,20%Differenza da --------- 55,17%
247
consolidamentoTotale 100,00% 100,00%
Il peso delle immobilizzazioni immateriali sul totale dell’attivo risulta essere,
inoltre, pari a circa il 14,2% nel caso in cui si considerino i bilanci d’esercizio delle
società quotate; aumenta fino a raggiungere un peso pari al 15,40% del totale dell’attivo
nel caso in cui si guardi ai bilanci consolidati. Come si può apprezzare, i dati estratti da
questa ricerca sono sostanzialmente simili a quelli ottenuti dalle nostre elaborazioni.
248
4.3 – IL PATRIMONIO NETTO INTANGIBILE
Dopo aver analizzato il peso assunto dalle attività immateriali all’interno
dell’attivo di bilancio e la composizione della classe in questione, passiamo ora ad
introdurre all’interno della nostra analisi empirica un ulteriore indicatore: l’indicatore in
questione è calcolato come il rapporto tra le attività immateriali a bilancio e il
patrimonio netto della società. Questo indice, evidenzia quanta parte del capitale netto
d’impresa è destinato alla copertura delle immobilizzazioni immateriali: come noto, il
patrimonio netto è costituito da quelle poste di bilancio permanentemente legate alla
gestione aziendale, rappresentando, per certi versi, una garanzia nei confronti dei
creditori e di tutti quei soggetti che sulla continuità della gestione aziendale fanno
affidamento.
L’indicatore in questione può essere scomposto, quindi, come di seguito
evidenziato:
CNTA
TAAI
CNAI *=
dove:
AI= attività immateriali
CN= capitale netto
TA= totale attivo
Di conseguenza, come dimostra la scomposizione, un elevato valore
dell’indicatore calcolato in questa sede, può derivare da un alta incidenza delle attività
immateriali sul totale dell’attivo di bilancio, sintomo dell’importanza rivestite da queste
all’interno della gestione e dell’economicità aziendale: così come può derivare anche da
un elevato rapporto di leverage – espresso dall’indicatore TA/CN286 – che funge da
moltiplicatore del rapporto calcolato in precedenza. Proponiamo di seguito le tabelle
contenenti i dati calcolati per gli anni 2002 e 2003.
286 Il rapporto di leverage rappresenta la proporzione esistente tra risorse proprie e risorse di terziutilizzate per finanziare gli impieghi: esprime, quindi, il grado di dipendenza da terzi finanziatori. Dalpunto di vista finanziario, se il rapporto è elevato, l’impresa viene percepita dai potenziali finanziatoricome più rischiosa e la conseguenza più immediata è un aumento della remunerazione richiesta da chiapporta capitale. L’indice, quindi, aumenta all’aumentare del grado di indebitamento e di dipendenza daterzi finanziatori, assumendo un ruolo critico una volta superato il valore 5 o 6. I valori indicati sonofunzione dell’analisi condotta, delle imprese considerate e degli obiettivi degli operatori.
249
Tabella 15 - Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; fonte: bilanciconsolidati 2002
Totale AttivoImmateriale
PatrimonioNetto
Totale Attivo
Mediobanca 1.932.000,00 4.962.990.000,00 30.505.162.000,00Generali 44.799.515,00 7.853.700.000,00 33.507.253.352,00Snam Rete Gas 87.000.000,00 5.451.000.000,00 10.018.000.000,00Mediolanum 15.448.000,00 505.406.000,00 1.149.415.000,00Alleanza 80.600.000,00 2.076.519.000,00 31.958.188.000,00Autostrade 152.463.000,00 2.680.392.000,00 5.647.336.000,00Banca Fideuram 66.184.000,00 999.600.000,00 6.257.921.000,00STM 470.000.000,00 6.994.000.000,00 12.004.000.000,00Ras 482.731.000,00 5.533.000.000,00 55.792.173.000,00
Eni 2.843.000.000,0029.095.000.000,0
0 65.195.000.000,00
Banca Intesa 1.451.000.000,00 13.951.000.000,00280.733.000.000,0
0Capitalia 698.631.000,00 6.716.889.000,00 140.941.771.000,00Bnl 415.640.000,00 3.963.185.000,00 83.710.780.000,00Bulgari 58.676.000,00 538.551.000,00 931.188.000,00
SanPaolo-Imi 1.248.000.000,0010.702.000.000,0
0203.773.000.000,0
0B.POP.VR.NOV 551.847.000,00 3.288.500.000,00 48.247.490.000,00
Unicredit 2.217.576.000,0012.261.000.000,0
0 213.349.326.000,00MPS 1.190.804.994,00 5.551.000.000,00 128.882.985.368,00Benetton 254.996.000,00 1.140.573.000,00 2.643.144.000,00Antonveneta 886.822.000,00 2.961.427.000,00 49.580.489.000,00Mondadori 164.156.000,00 531.931.000,00 1.622.040.000,00BPM 743.413.000,00 2.335.737.000,00 32.535.874.000,00E.Biscom 415.540.000,00 1.256.716.000,00 2.507.877.000,00BPU 1.236.625.000,00 3.653.047.000,00 62.877.838.000,00Pirelli 662.002.000,00 1.932.938.000,00 10.897.325.000,00RCS 353.000.000,00 971.900.000,00 2.521.300.000,00Finmeccanica 1.219.631.000,00 3.304.493.000,00 24.287.732.000,00Fondiaria-Sai 1.285.860.000,00 2.420.973.000,00 31.396.429.000,00
Enel 13.029.000.000,0020.772.000.000,0
0 67.937.000.000,00Italcementi 1.379.071.000,00 2.128.415.000,00 7.103.652.000,00Fiat 5.200.000.000,00 7.641.000.000,00 92.521.000.000,00Mediaset 2.033.000.000,00 2.467.200.000,00 4.159.500.000,00Tim 5.225.000.000,00 5.409.000.000,00 14.211.000.000,00L'Espresso 390.105.000,00 392.401.000,00 1.042.164.000,00Edison 5.055.000.000,00 4.476.000.000,00 18.194.000.000,00Seat Pg 1.209.882.000,00 1.011.204.000,00 2.312.471.000,00Tiscali 749.213.000,00 616.028.000,00 1.691.505.000,00Luxottica 1.961.526.000,00 846.546.000,00 3.586.332.000,00
Telecom 34.561.000.000,0011.640.000.000,0
0 83.384.000.000,00
250
Autogrill 1.087.458.000,00 219.100.000,00 2.383.980.000,00
TOTALE 91.178.632.509,00201.252.361.000,0
01.872.000.640.720,
00
Tabella 16 - Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; fonte: bilanci consolidati 2002
Attivo
Immateriale /Totale Attivo
Totale Attivo /Capitale Netto(LEVERAGE)
AttivoImmateriale / Capitale
NettoMediobanca 0,0063% 6,15 0,0389%Generali 0,1337% 4,27 0,5704%Snam Rete Gas 0,8684% 1,84 1,5960%Mediolanum 1,3440% 2,27 3,0566%Alleanza 0,2522% 15,39 3,8815%Autostrade 2,6997% 2,11 5,6881%Banca Fideuram 1,0576% 6,26 6,6210%STM 3,9154% 1,72 6,7200%Ras 0,8652% 10,08 8,7246%Eni 4,3608% 2,24 9,7714%Banca Intesa 0,5169% 20,12 10,4007%Capitalia 0,4957% 20,98 10,4011%Bnl 0,4965% 21,12 10,4875%Bulgari 6,3012% 1,73 10,8952%SanPaolo-Imi 0,6124% 19,04 11,6614%B.POP.VR.NOV 1,1438% 14,67 16,7811%Unicredit 1,0394% 17,40 18,0864%MPS 0,9239% 23,22 21,4521%Benetton 9,6475% 2,32 22,3568%Antonveneta 1,7887% 16,74 29,9458%Mondadori 10,1203% 3,05 30,8604%BPM 2,2849% 13,93 31,8278%E.Biscom 16,5694% 2,00 33,0655%BPU 1,9667% 17,21 33,8519%Pirelli 6,0749% 5,64 34,2485%RCS 14,0007% 2,59 36,3206%Finmeccanica 5,0216% 7,35 36,9083%Fondiaria-Sai 4,0956% 12,97 53,1134%Enel 19,1781% 3,27 62,7239%Italcementi 19,4135% 3,34 64,7933%Fiat 5,6203% 12,11 68,0539%Mediaset 48,8761% 1,69 82,4011%Tim 36,7673% 2,63 96,5983%L'Espresso 37,4322% 2,66 99,4149%Edison 27,7839% 4,06 112,9357%Seat Pg 52,3199% 2,29 119,6477%Tiscali 44,2927% 2,75 121,6200%Luxottica 54,6945% 4,24 231,7093%Telecom 41,4480% 7,16 296,9158%
251
Autogrill 45,6152% 10,88 496,3295%
MEDIA 13,3011% 8,29 58,8119%
All’interno della tabella, le società sono ordinate in ordine crescente in base
all’indice AI/CN: come si può notare, le stesse società che ricoprono le prime posizioni
all’interno della tabella precedente, stilata in base all’indicatore AI/TA, sono in
posizione di vertice anche in all’interno di questa tabella; la classifica è parzialmente
modificata in funzione dell’indicatore TA/CN che funge da moltiplicatore, specialmente
per banche e imprese appartenenti al settore finanziario, in cui alto è l’apporto di
capitale di debito, configurandosi la raccolta di questa tipologia di capitale come
l’essenza stessa dell’attività delle suddette società. Come si può notare, in rosso
vengono evidenziate le società che presentano situazioni critiche in merito alla loro
struttura finanziaria, mentre vengono rappresentate col colore verde quelle che hanno
invece strutture finanziarie sostanzialmente sane. A riguardo è interessante il caso di
FIAT che a causa della sua squilibrata struttura finanziaria – eccessivamente spinta
verso l’assunzione di debiti – guadagna molte posizioni rispetto alla tabella proposta in
precedenza. L’indicatore AI/CN, quindi, assume un valore medio di circa 59%: ciò sta a
significare che circa il 59% del patrimonio netto delle varie società è in media deputato
alla copertura delle attività immateriali. Si noti, a riguardo, i casi estremi di Autogrill,
Telecom e Luxottica, per i quali il capitale netto non copre assolutamente il totale delle
attività immateriali iscritte a bilancio. Questo è sintomo di elevata importanza delle
attività immateriali a bilancio ma anche di una struttura finanziaria non completamente
in equilibrio, con valori dell’indice di leverage ben oltre la soglia di attenzione. A
contrario, Luxottica presenta una situazione patrimoniale sana e una adeguata
patrimonializzazione, dovendo la sua posizione in special modo al peso degli
intangibles a bilancio.
Ricordiamo che, ai nostri fini, ottenere un elevato valore dell’indicatore AI/CN a
causa di un elevato valore del rapporto di leverage, interessa in minima misura, non
riguardando questo particolare indice l’ambito delle attività immateriali, ma piuttosto la
struttura finanziaria aziendale e le politiche da questa condotte.
Nella tabella seguente proponiamo i medesimi dati, con riferimento ai bilanci
consolidati del 2003:
252
Tabella 17 - Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; fonte: bilanciconsolidati 2003
Totale AttivoImmateriale
PatrimonioNetto Totale Attivo
Mediobanca 1.476.000,00 4.890.400.000,00 32.888.898.000,00Mediolanum 8.692.000,00 562.438.000,00 9.610.920.000,00Snam Rete Gas 106.000.000,00 5.683.000.000,00 9.850.000.000,00Banca Fideuram 39.847.000,00 1.012.400.000,00 6.026.270.000,00
Banca Intensa 621.000.000,0015.093.000.000,0
0260.215.000.000,0
0STM 592.000.000,00 8.100.000.000,00 13.477.000.000,00Ras 438.932.000,00 4.972.000.000,00 61.304.725.000,00BNL 415.640.000,00 4.419.686.000,00 81.059.718.000,00Bulgari 58.994.000,00 586.900.000,00 861.956.000,00
Capitalia 712.063.000,00 6.617.600.000,00128.382.868.000,0
0
SanPaolo - Imi 1.226.000.000,0010.955.000.000,0
0202.580.000.000,0
0
Eni 3.175.000.000,0028.318.000.000,0
0 68.943.000.000,00B.POP.VR.NO. 452.719.000,00 3.471.100.000,00 48.606.095.000,00Pirelli 556.508.000,00 3.678.000.000,00 9.961.046.000,00Banca MPS 1.041.804.857,00 6.154.000.000,00 122.989.116.020,00Alleanza 535.200.000,00 2.910.000.000,00 46.722.375.000,00
Unicredit 2.396.589.000,0013.013.000.000,0
0238.255.636.000,0
0Benetton 231.025.000,00 1.174.000.000,00 2.697.443.000,00Mondadori 158.426.000,00 555.200.000,00 1.843.881.000,00BPM 707.923.000,00 2.348.800.000,00 32.441.737.000,00E.Biscom 392.095.000,00 1.193.100.000,00 2.444.797.000,00RCS 341.000.000,00 1.006.900.000,00 2.486.500.000,00Antonveneta 947.842.000,00 2.696.300.000,00 47.603.832.000,00BPU 1.343.244.000,00 3.742.800.000,00 62.993.690.000,00Finmeccanica 1.198.243.000,00 3.302.200.000,00 26.679.016.000,00Fondiaria-Sai 1.233.821.000,00 3.082.700.000,00 31.396.429.000,00Generali 3.469.922.000,00 8.499.000.000,00 259.811.328.000,00Italcementi 1.273.391.000,00 2.825.300.000,00 6.865.098.000,00Fiat 3.724.000.000,00 7.494.000.000,00 62.711.000.000,00Enel 13.576.000.000,00 21.315.000.000,00 69.839.000.000,00Edison 4.017.000.000,00 6.013.000.000,00 16.496.000.000,00Tim 5.250.000.000,00 7.803.000.000,00 14.773.000.000,00Mediaset 2.473.000.000,00 2.591.600.000,00 4.696.400.000,00Seat Pg 4.557.492.000,00 4.374.500.000,00 5.827.709.000,00L'Espresso 358.554.000,00 332.000.000,00 1.049.441.000,00Luxottica 2.082.877.000,00 1.374.500.000,00 3.901.942.000,00Telecom 33.853.000.000,00 20.589.000.000,0 80.501.000.000,00
253
0
Tiscali 715.903.000,00 419.200.000,00 1.661.261.000,00Autostrade 4.593.746.000,00 1.596.500.000,00 13.783.872.000,00
Autogrill 990.826.000,00 283.200.000,00 2.100.113.000,00
TOTALE: 99.867.794.857,00225.048.324.000,
002.096.339.112.020,
00
Tabella 18 - Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; fonte: bilanci consolidati 2003
Attivo
Immateriale /Totale Attivo
Totale Attivo /Capitale Netto(LEVERAGE)
AttivoImmateriale / Capitale
NettoMediobanca 0,0045% 6,73 0,0302%Mediolanum 0,0904% 17,09 1,5454%Snam Rete Gas 1,0761% 1,73 1,8652%Banca Fideuram 0,6612% 5,95 3,9359%Banca Intensa 0,2386% 17,24 4,1145%STM 4,3927% 1,66 7,3086%Ras 0,7160% 12,33 8,8281%BNL 0,5128% 18,34 9,4043%Bulgari 6,8442% 1,47 10,0518%Capitalia 0,5546% 19,40 10,7601%SanPaolo - Imi 0,6052% 18,49 11,1912%Eni 4,6053% 2,43 11,2119%B.POP.VR.NO. 0,9314% 14,00 13,0425%Pirelli 5,5868% 2,71 15,1307%Banca MPS 0,8471% 19,99 16,9289%Alleanza 1,1455% 16,06 18,3918%Unicredit 1,0059% 18,31 18,4169%Benetton 8,5646% 2,30 19,6784%Mondadori 8,5920% 3,32 28,5349%BPM 2,1821% 13,81 30,1398%E.Biscom 16,0379% 2,05 32,8635%RCS 13,7141% 2,47 33,8663%Antonveneta 1,9911% 17,66 35,1534%BPU 2,1323% 16,83 35,8887%Finmeccanica 4,4913% 8,08 36,2862%Fondiaria-Sai 3,9298% 10,18 40,0240%Generali 1,3356% 30,57 40,8274%Italcementi 18,5488% 2,43 45,0710%Fiat 5,9384% 8,37 49,6931%Enel 19,4390% 3,28 63,6922%Edison 24,3514% 2,74 66,8053%Tim 35,5378% 1,89 67,2818%Mediaset 52,6574% 1,81 95,4237%Seat Pg 78,2038% 1,33 104,1832%L'Espresso 34,1662% 3,16 107,9982%Luxottica 53,3805% 2,84 151,5371%
254
Telecom 42,0529% 3,91 164,4228%Tiscali 43,0940% 3,96 170,7784%Autostrade 33,3270% 8,63 287,7386%
Autogrill 47,1797% 7,42 349,8679%
MEDIA 14,5166% 8,82 55,4979%
Per quanto riguarda i dati relativi al 2003, sono sostanzialmente riproponibili le
considerazione avanzate in precedenza, tanto in merito all’ordine della tabella e alle
prime posizioni, rivestite come sempre da Autogrill, Telecom e Luxottica, quanto in
merito all’incidenza dell’effetto leverage. In questo caso, è da evidenziare il caso di
Autostrade che passa tra le prime posizioni in funzioni di un aumento tanto
dell’incidenza delle attività immateriali, quanto dell’apporto di capitale di debito. La
media dell’indice AI/CN è pari a circa il 56%, in linea con quanto evidenziato in
precedenza. Anche in questo caso, la modifica dell’ordine della tabella è dovuto in
buona misura all’introduzione della variabile leverage, che permette a buona parte delle
imprese operanti all’interno del settore finanziario di spostarsi dalle posizioni più basse,
a causa dell’importante contributo del capitale di debito al loro business.
255
4.4 – EFFETTO DEI NUOVI PRINCIPI CONTABILI
La terza parte della nostra analisi empirica riguarderà le relazioni tra le attività
immateriali, il loro peso a livello di bilancio in percentuale dell’attivo ed i principi
contabili in ossequio ai quali sono contabilizzate. A riguardo, come abbiamo analizzato
all’interno del secondo capitolo, sono sostanzialmente tre le tipologie di principi
contabili di cui ci siamo occupati: quelli italiani, secondo i quali sono stati redatti i
bilanci quivi considerati, quelli internazionali IAS, ai quali i bilanci analizzati dovranno
conformarsi a partire dal 1 gennaio 2005, e quelli americani. Varie sono le differenze
intercorrenti tra questi, ma la principale riguarda la sostituzione del sistematico processo
di ammortamento da parte di un impairment test periodico, generalmente con cadenza
annuale, almeno per gli intangibles a vita indefinita. Secondo i principi contabili
americani, infatti, gli intangibili a vita indefinita – come l’avviamento o le differenze da
consolidamento287 – non andranno più ammortizzati a livello sistematico secondo un
processo che rappresenti al meglio l’effettiva perdita di valore subita dal bene, a favore
di un impairment test annuale che verifichi la rispondenza del valore contabile del bene
immateriale con il suo fair value. Se all’interno dei principi contabili italiani questa
pratica è vietata, è necessario sottolineare, invece, come i principi IAS-IFRS sembrino
tendere proprio a questa modalità di contabilizzazione dell’avviamento e delle
differenze da consolidamento. A riguardo, ad esempio, ricordiamo come allo stato
attuale della legislazione, tanto l’avviamento quanto le differenze da consolidamento,
287 Il principio contabile internazionale 22 descrive le procedure di rilevazione e valutazionedell’avviamento e delle differenze da consolidamento. Esso stabilisce che l’eliminazione dellepartecipazioni e delle corrispondenti frazioni di patrimonio netto deve essere effettuata in base ai valoricontabili del momento d’acquisto della partecipazione. Il principio contabile internazionale stabilisce chela differenza da consolidamento deriva dal confronto tra il costo della partecipazione e i fair value delleattività e passività identificabili acquisite (o patrimonio netto “espresso a valori correnti”) al momentodell’acquisto della partecipata. Tale “differenza contabile” può essere positiva o negativa. La differenzapositiva di consolidamento è definita come “qualsiasi eccedenza del costo d’acquisto rispetto al fairvalue delle attività e passività identificabili acquisite alla data di acquisizione”. La differenza negativa èdefinita come “l’eventuale eccedenza, alla data della compravendita, della quota di partecipazionedell’acquirente nei fair value delle attività e passività identificabili acquisite rispetto al costo diacquisizione”.
256
possano essere iscritte tra le attività immateriali288 e ammortizzati in un periodo non
superiore ai 20 anni. Le eventuali differenze da consolidamento, infatti, devono essere
iscritte come attività immateriali quando esprimono il maggior prezzo corrisposto
dall’acquirente in previsione di futuri benefici economici derivanti da sinergie o da
attività immateriali che non possono essere rilevati distintamente. Queste differenze,
quindi, saranno sistematicamente ammortizzate nell’arco della loro vita utile, in
ossequio alla presunzione che la vita utile di queste non ecceda i venti anni289.
L’Exposure Draft emanato dallo IAS nel dicembre 2002 e tuttora in discussione,
tuttavia, innova radicalmente questa tematica prevedendo il non ammortamento
dell’avviamento e della differenza da consolidamento, a favore della loro valutazione
sistematica per valutare eventuali perdite di valore, approccio, come visto, in linea coi
principi americani US GAAP.
L’introduzione di una simile prassi contabile non può che essere oggetto di
accesi dibattiti e consultazioni tra gli operatori, dato che l’influenza da questa esercitata
a livello di bilancio non si limita a coinvolgere il prospetto di stato patrimoniale delle
società coinvolte – modificando il peso delle attività immateriali a bilancio – andando
anche a toccare il prospetto di conto economico. In tal senso, infatti, è evidente come il
venir meno di una posta di ammortamento non può che far aumentare l’utile finale di
bilancio della società soggetta ai nuovi principi contabili: così facendo, aumenteranno
anche i multipli di mercato della società suddetta, la valutazione della sua economicità e
la quantità di dividendi distribuibili.
Proprio in tal senso si muove la nostra simulazione, cercando di evidenziare
quale potrebbe essere l’effetto dell’introduzione di una simile prassi contabile
all’interno dei bilanci consolidati delle società precedentemente analizzate. Abbiamo
voluto focalizzarci sui soli bilanci consolidati in quanto saranno i primi ad essere
coinvolti dall’introduzione dei nuovi principi contabili IAS-IFRS, a meno di ulteriori
espansioni della loro applicazione da parte delle autorità nazionali. In secondo luogo,
abbiamo voluto restringere la valutazione condotta alle sole società industriali
appartenenti all’indice S&P/MIB, ossia a quelle società per le quali era maggiore il peso
delle attività immateriali a bilancio e di conseguenza più rilevante il loro apporto per
288 All’interno della voce “Avviamento”.289 Nel caso in cui l’impresa ritenga di superare questa presunzione, essa dovrà indicare il fattore o ifattori che ne hanno determinato il superamento.
257
l’economicità complessiva dell’azienda. Abbiamo proceduto, quindi, considerando i
singoli bilanci, gli utili riportati al termine dell’esercizio 2002 e 2003, nonché le quote
di ammortamento relative alle differenze da consolidamento e all’avviamento. I dati
riportati sono riassunti nella tabella proposta di seguito:
Tabella 19 - Effetto degli ammortamenti dell'avviamento e delle differenze da consolidamentosull'utile aziendale all'interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenentiall'indice S&P/MIB. fonte: Bilanci consolidati 2002
UtileAmmortamenti
attivitàimmateriali
Ammortamenti
dell'avviamento
Ammortamenti delle
differenze daconsolidamen
toSnam Rete Gas 545.000.000,00 57.000.000,00 0,00 0,00
STM 1.452.000.000,00 127.000.000,0024.000.000,0
0 0,00Finmeccanica 202.701.000,00 115.818.000,00 61.157.000,00 0,00
Eni 4.593.000.000,00 1.423.000.000,0030.000.000,0
0 44.000.000,00Pirelli -405.160.000,00 90.844.000,00 5.477.000,00 69.748.000,00
Fiat
-3.948.000.000,0
0 595.000.000,0037.000.000,0
0 252.000.000,00Bulgari 76.127.000,00 12.587.000,00 943.000,00 1.673.000,00Benetton -9.861.000,00 66.434.000,00 15.049.000,00 1.255.052,00Mondadori 81.074.000,00 23.750.000,00 1.566.444,00 1.652.673,00RCS -152.300.000,00 41.200.000,00 4.500.000,00 18.500.000,00E.Biscom -195.310.000,00 91.554.000,00 4.692.000,00 20.065.000,00Italcementi 274.031.000,00 101.387.000,00 1.471.100,00 64.963.000,00
Enel2.008.000.000,0
0 1.142.000.000,0086.000.000,0
0 543.000.000,00Edison -697.000.000,00 355.000.000,00 17.000.000,00 205.000.000,00Autostrade 172.100.000,00 9.538.657,00 0,00 0,00L'Espresso 67.838.000,00 27.092.000,00 14.361.000,00 1.728.000,00Tim 1.165.000.000,00 611.000.000,00 0,00 100.000.000,00
Telecom -773.000.000,003.419.000.000,0
0 9.000.000,002.142.000.000,0
0
Tiscali -593.145.000,00 253.560.000,0080.000.000,0
0 216.000.000,00Autogrill 7.463.000,00 173.702.000,00 44.155.000,00 113.768.000,00Mediaset 362.000.000,00 734.800.000,00 5.400.000,00 4.100.000,00
258
Luxottica 350.589.000,00 74.262.000,0032.986.000,0
0 0,00
Seat Pg 58.753.000,00 157.000.000,00 92.530.500,00 59.819.000,00
TOTALE 4.641.900.000,00 9.702.528.657,00567.288.044,0
03.859.271.725,0
0% dell'utile 100,0000% 209,0206% 12,2210% 83,1399%
Tabella 20 – Effetto degli ammortamenti dell'avviamento e delle differenze da consolidamentosull'utile aziendale all'interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenentiall'indice S&P/MIB. fonte: Bilanci consolidati 2003
UtileAmmortamenti
attivitàimmateriali
Ammortamenti
dell'avviamento
Ammortamenti delle
differenze daconsolidamen
toSnam Rete Gas 431.000.000,00 45.000.000,00 0,00 0,00STM 253.000.000,00 251.000.000,00 0,00 0,00
Finmeccanica 199.257.000,00 144.154.000,0082.008.000,0
0 0,00
Eni 7.751.000.000,00 1.370.000.000,0035.000.000,0
0 106.000.000,00Pirelli 4.288.000,00 82.853.000,00 5.276.000,00 31.283.000,00
Fiat
-1.900.000.000,0
0 519.000.000,00 17.000.000,00 175.000.000,00Bulgari 92.141.000,00 12.422.000,00 782.000,00 2.019.000,00Benetton 107.874.000,00 42.916.000,00 10.980.410,00 902.590,00Mondadori 82.101.000,00 23.494.000,00 1.175.000,00 1.243.000,00RCS 46.100.000,00 44.900.000,00 3.000.000,00 16.800.000,00E.Biscom -331.542.000,00 102.801.000,00 3.589.000,00 27.941.000,00Italcementi 276.790.000,00 93.507.000,00 4.727.000,00 59.004.000,00
Enel2.509.000.000,0
0 1.253.000.000,00110.000.000,0
0 483.000.000,00Edison 144.000.000,00 293.000.000,00 3.000.000,00 207.000.000,00Autostrade 232.823.000,00 287.402.000,00 0,00 260.707.000,00
259
L'Espresso 46.093.000,00 27.621.000,00 14.318.000,00 12.844.000,00
Tim2.342.000.000,0
0 596.000.000,0076.000.000,0
0 99.000.000,00
Telecom 1.192.000.000,003.109.000.000,0
0 5.000.000,001.830.000.000,0
0Tiscali -242.448.000,00 131.724.000,00 42.000,00 72.063.000,00Autogrill 50.174.000,00 169.868.000,00 51.155.000,00 42.063.000,00Mediaset 369.700.000,00 922.200.000,00 5.400.000,00 43.200.000,00Luxottica 350.589.000,00 74.262.000,00 32.985.600,00 0,00
Seat Pg -32.454.000,00 172.172.000,00 67.829.000,00 22.723.000,00
TOTALE13.973.486.000,0
0 9.768.296.000,00529.267.010,0
03.492.792.590,0
0% dell'utile 100,0000% 69,9059% 3,7877% 24,9959%
Dall’analisi riportata, focalizzandoci sui risultati relativi all’esercizio 2002,
risulta che il totale degli utili conseguiti dalle società considerati è pari a circa 4,6
miliardi di euro e la sommatoria degli ammortamenti degli intangibili a vita indefinita è
pari a circa 4,4 miliardi di euro. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui nessuno degli
intangibili a vita indefinita considerati avesse perso valore nel corso dell’esercizio in
questione, non ci sarebbe stata alcuna svalutazione né, tanto meno, alcun
ammortamento, portando ad un aumento dell’utile aggregato del 95% circa: quasi un
raddoppio degli utili conseguiti dalle società appartenenti al campione.
Osservando, invece, i dati relativi all’esercizio 2003, osserviamo come il totale
degli utili ammonti a circa 14 miliardi di euro, mentre la sommatoria degli
ammortamenti degli intangibili a vita indefinita è pari a circa 4 miliardi di euro. Anche
in questa situazione, nel caso in cui non vi fossero state perdite di valore degli
avviamenti e delle differenze da consolidamento, avremmo assistito ad un aumento del
monte utili del 29% circa.
La grandissima differenza esistente tra i due aumenti in termini percentuali è
dovuta non tanto ad un cambiamento dell’ammontare degli ammortamenti spesati a
conto economico, quanto piuttosto ad un drastico aumento degli utili, passando
dall’esercizio 2002 all’esercizio 2003: segno e conseguenza di una ripresa economica
260
lenta e stentata nel corso del primo esercizio considerato ma maggiormente accentuata e
rapida nel corso del 2003.
E’ evidente, quindi, come anche tutti gli indicatori di redditività che si basano
sugli utili di bilancio verranno modificati e facendo variare, di conseguenza,
l’apprezzamento del valore aziendale condotto da osservatori esterni non adeguatamente
attenti al cambiamento della prassi contabile adottata.
A livello grafico, quindi, possiamo esplicitare questo passaggio
dall’ammortamento sistematico degli intangibili a vita indefinita al loro impairment test
per mezzo dello schema seguente. Da notare come, in prospettiva, questo epocale
cambiamento possa essere esteso anche alle attività immateriali a vita definita, in
sostituzione del loro ammortamento in base alla vita utile presunta.
Figura 16 - Dinamica del valore contabile di un bene con ammortamento a quote costanti o conimpairment test
Come si può notare dal grafico proposto, applicando un processo di
ammortamento sistematico, il valore contabile del bene viene generalmente decurtato di
un ammontare predeterminato, ogni anno, in maniera costante o meno a seconda del
tipo di metodo di ammortamento applicato: nel grafico proposto, si applica un metodo
costante. Utilizzando la tecnica dell’impairment test periodico, invece, è chiaro che il
valore potrà subire modifiche in alcuni esercizi e non subirne in altri, così come varierà
anche l’ammontare di tali diminuzioni di valore che, in linea di principio, dovrebbero
corrispondere a perdite di valore del bene stesso e diminuzioni del suo fair value.
ImpairmentTest
Ammortamento
Valorecontabil
eintangib
ile
Vitaeconomica
261
4.5 – IL CASO BASICNET: L’ACQUISIZIONE DEL MARCHIO K-WAY
Nel presente paragrafo discuteremo e analizzeremo un caso aziendale relativo
all’acquisizione di un marchio: la società acquirente è BasicNet S.p.A., società
appartenente al gruppo Basic; il marchio oggetto di acquisizione è il marchio K-Way.
L’operazione è stata perfezionata a metà febbraio 2004 e riguarda solo e solamente il
marchio appena citato. Di seguito tratteremo in via introduttiva del business model di
BasicNet S.p.A., per poi soffermarci sui dettagli dell’operazione.
4.5.1 – La storia e l’attività
Il Gruppo Basic è attivo nel settore dell’abbigliamento, delle calzature e degli
accessori, per lo sport, il tempo libero e per tutte le occasioni di vita sociale e
professionale ove non è richiesta la formalità, operando principalmente attraverso i
marchi Kappa® e Robe di Kappa®, oltre ad essere proprietario di altri marchi fra i quali
il più noto è Jesus Jeans®.
Il Gruppo Basic nasce nel 1994, quando la Football Sport Merchandise di Marco
Boglione rileva dal fallimento il Maglificio Calzificio Torinese (fondato nel 1916),
262
proprietario di numerosi marchi di abbigliamento fra i quali Kappa, Robe di Kappa e
Jesus Jeans. Il progetto di Boglione consiste nella creazione di un nuovo soggetto
economico idoneo a ridare valore e commercializzare i marchi di proprietà. Con
l'introduzione di un nuovo modello di business, avviene quindi la transizione dalla
forma tradizionale di azienda di abbigliamento ad un modello di impresa a rete,
presupposto necessario per consentire la strategia di internazionalizzazione sul mercato
globale. L'azienda supera la crisi e avvia un programma quinquennale di rilancio. Dal
17 Novembre 1999, la holding capogruppo BasicNet S.p.A. è quotata alla Borsa Valori
di Milano.
BasicNet S.p.A. è la società di controllo del Gruppo Basic, all’interno della
quale vengono sviluppate le attività di servizio a beneficio del Network dei licenziatari:
attività quali l’information technology, la ricerca e lo sviluppo di prodotti, la
comunicazione e il processo strategico. Il Network è prevalentemente costituito da
imprenditori terzi indipendenti ai quali sono concessi in licenza i marchi di proprietà del
Gruppo, ne sono coordinate le strategie di crescita, sono loro fornite collezioni a valenza
internazionale e strumenti di marketing al fine di supportare la loro attività: viene,
inoltre, verificata la qualità dei prodotti da loro distribuiti, anche curando
l’approvvigionamento dei prodotti finali dalle varie fonti di fornitura collocate in
differenti aree produttive290.
L’attività del gruppo Basic, quindi, consiste nello sviluppare il valore dei marchi
di cui è titolare e la diffusione dei prodotti attraverso il proprio “Business System”,
ovvero, nel loro insieme, l’oggetto della licenza offerta dal Gruppo Basic ai licenziatari.
A Tal fine, il Gruppo sviluppa e coordina il Network nonché presidia, con gestione
diretta, aspetti di particolare importanza e di rilevanza traversale all’intero Network,
rappresentati da:
a. Il posizionamento dei marchi e dei prodotti;
b. La strategia di marketing e comunicazione;
c. La concezione e l’industrializzazione dei prodotti: creatività, ricerca e sviluppo;
d. L’approvvigionamento dei prodotti tramite i sourcing centers;
263
e. Lo sviluppo e la gestione del Network.
Le attività ed i servizi sopra indicati sono elementi essenziali del business system del
gruppo Basic per lo sviluppo del valore dei marchi e la diffusione dei prodotti291. Di
conseguenza, il Gruppo non svolge alcuna attività diretta nella produzione industriale
dei prodotti, essendo quest’ultima affidata a soggetti terzi, partecipando, tuttavia, alla
redditività del ciclo produttivo del Network. Il gruppo, infatti, mediante società dedicate
– i cosiddetti Sourcing Centers –, presidia ed ottimizza tutte le fasi della produzione per
conto dei licenziatari, realizzando significative economie di scala e di scopo derivanti
dall’individuazione delle fonti di produzione più convenienti (per costo e garanzia di
qualità) su scala mondiale. A fronte di tale attività, il Gruppo Basic percepisce
commissioni dai licenziatari sulla merce da questi acquistata tramite i Sourcing Centers.
L’attività di distribuzione all’ingrosso (wholesale) e di marketing locale è affidata
nei mercati in cui opera il Network ad una rete di società licenziatarie, che riconoscono
al Gruppo Basic commissioni calcolate sulle vendite a compenso della licenza dei
marchi, del beneficio che deriva dal marketing globale sviluppato direttamente dal
Gruppo e del “business know-how” loro messo a disposizione292. Nel 2003, il Network
si estendeva su 84 paesi, basandosi su una rete di 38 società licenziatarie, tra le quali
ricordiamo Kappa Italia S.p.A., società direttamente controllata dal gruppo e da 37
imprenditori indipendenti, licenziataria in Italia del gruppo293.
290 Quest’ultimo servizio viene offerto per il tramite della joint-venture LF Basic Ltd, in partnership conil Gruppo Li & Fung di Hong Kong, una delle principali trading companies mondiali del settore.291 Come sottolineato dall’azienda stessa “Tale business system è stato concepito e fortemente perseguitoin modo da essere modulare, flessibile e strutturato in modo da consentire lo sviluppo sia per lineeinterne (nuovi licenziatari o società), che per linee esterne (nuovi marchi sviluppati o acquisiti, nuovelinee di business)”.
292 Il Gruppo Basic, tuttavia, è anche presente direttamente nella distribuzione al dettaglio medianteil Gigastore Kappa collocato all’interno del “Basic Village” di Torino e con il nuovo negozio diPortofino. Inoltre, il Gruppo ha recentemente intrapreso un progetto di franchising di negozi Robe diKappa sul territorio nazionale, con l’apertura di due negozi test ad Aosta e Porto Recanati, clienti diKappa Italia, a cui seguiranno altri, non solo sul territorio nazionale Il gruppo, quindi, è presente nellavendita diretta al pubblico con tre modelli di negozio: il negozio monomarca RDK, il Gigastore e loSpaccio, tipico outlet aziendale. Tutti e tre i format sono stati sviluppati con l’obiettivo di poterlireplicare, naturalmente in numero e condizioni di mercato diverse.293 La società Kappa Italia S.p.A. rappresenta anche storicamente il laboratorio di sviluppo dell’interonetwork, essendo l’Italia il luogo di origine del gruppo.
264
I punti di forza del gruppo coincidono con le scelte strategiche intraprese e
perseguite fin dal momento dell'acquisizione del Maglificio Calzificio Torinese e che si
riferiscono al posizionamento dei marchi, al business system e alla web integration.
I marchi del Gruppo Basic si posizionano nel settore dell'abbigliamento informale,
mercato in forte crescita sin dalla fine degli anni '60 e che si ritiene sia destinato ad un
continuo sviluppo in considerazione della progressiva "liberalizzazione" del costume a
livello globale. All'interno del settore "abbigliamento informale" sono stati identificati 3
distinti posizionamenti: maschile, unisex e femminile, ove, in linea generale, al
maschile è attribuita una connotazione di prodotto "sportivo per il tempo libero", a
quello unisex una connotazione di prodotto "sportivo funzionale" e a quello femminile
una connotazione di prodotto "moda". Attualmente, i prodotti Robe di Kappa coprono il
segmento tempo libero (all'interno del quale si posizionano fra gli altri Polo Sport,
Tommy Hilfiger e Nautica) e i prodotti Kappa, il segmento funzionale / sport attivo (nel
quale rientrano Nike, Adidas e Reebok). con il marchio K-Way il gruppo rafforza il
proprio posizionamento affiancando Kappa nel segmento funzionale/sport attivo e con
Superga raggiunge in modo trasversale i tre segmenti del settore . Attualmente sono in
corso test sui prodotti a marchio Jesus per completare il posizionamento nel settore
unisex-jeans&casual, e JeasusJeans per il segmento moda a posizionamento femminile.
Per quanto riguarda il Business System, il gruppo Basic ha impostato il proprio
sviluppo su un modello di impresa "a rete", identificando nel licenziatario il partner
ideale per la diffusione e la distribuzione dei propri prodotti nel mondo e scegliendo di
porsi nei confronti di quest'ultimo non come fornitore del prodotto in sé, ma come
fornitore di un insieme integrato di servizi, o meglio di un’opportunità di business.
Il Business System, inoltre, è stato concepito e strutturato in modo da consentire lo
sviluppo sia per linee interne (nuovi licenziatari o società), sia per linee esterne (nuovi
marchi sviluppati o acquisiti, nuove linee di business); Il suo funzionamento è molto
particolare: alla capogruppo BasicNet S.p.A. fanno capo le attività strategiche di ricerca
e sviluppo prodotto, global marketing, sviluppo e coordinamento del Network dei
Licenziatari, Finanza Strategica e Information Technology (creazione di sistemi
software per consentire la gestione on line di tutti i processi della catena dell'offerta).
Direttamente collegati con BasicNet S.p.A., vi sono i sourcing centers che hanno il
compito di individuare e coordinare le fabbriche cui affidare la realizzazione dei
265
prodotti. Ai licenziatari, definiti su base territoriale o per specifiche categorie
merceologiche è affidata la distribuzione dei prodotti ai dettaglianti nonché l'attività di
marketing su base locale, secondo le linee guida del gruppo. Per l'approvvigionamento
dei prodotti finiti, i licenziatari possono appoggiarsi ai sourcing centers che BasicNet
mette loro a disposizione.
Per quanto concerne la web integration, la piattaforma informatica costituisce uno
dei principali investimenti strategici del Gruppo, al quale è dedicata la massima
attenzione sia in termini di risorse umane, sia di centralità nello sviluppo del Business
System. Tale piattaforma è stata concepita e sviluppata in un'ottica completamente
integrata sul web, interpretato dal Gruppo come lo strumento ideale di comunicazione
fra gli elementi che costituiscono il network. Il dipartimento di Information Technology
si occupa dunque di progettare e implementare sistemi di raccolta e trasmissione dati,
sfruttando le opportunità date dalle reti Internet, per collegare le società del Network
Basicnet fra loro e con l'esterno. In quest'ottica, lo schema di business è stato disegnato
in base a cosiddetti e-process e cioè in divisioni dotcom che eseguono ognuna un
tassello del processo produttivo e lo propongono alle altre divisioni utilizzando per
l'interscambio e la negoziazione esclusivamente le transazioni on line.
4.5.2 - La struttura del gruppo
La struttura organizzativa è stata studiata per assecondare le esigenze operative
del Gruppo. In particolare vanno evidenziate alcune caratteristiche fondamentali: le
società operative italiane sono direttamente controllate da BasicNet S.p.A., con sede a
Torino, mentre le e società operative estere sono detenute per il tramite della Basic
Properties che opera anche come master licensee gestendo i flussi principali di royalties
attive e i costi internazionali di comunicazione. I marchi sono posseduti dalla Basic
Trademark e da BasicNet S.p.A. e vengono valorizzati attraverso le strutture societarie
del gruppo preposte a tale funzione. I sourcing centers del gruppo, infine, costituiscono
un area specifica della struttura, gestiti in joint-venture con il gruppo Li & Fung. Per
chiarire la struttura del gruppo e la sua composizione, proponiamo lo schema seguente:
266
Figura 17 – La struttura del gruppo Basic
Forniamo di seguito alcuni dati in merito alle singole società componenti il
Gruppo, al fine di meglio evidenziare i compiti di pertinenza di ognuna e il ruolo
giocato all’interno del Network:
Basicnet S.p.A., accanto alla già menzionata funzione essenziale di Capogruppo, ha
svolto la funzione di gestione accentrata del Network, fornendo il know-how per l’uso
dei marchi del Gruppo, proseguendo l’attività di ricerca e sviluppo dei servizi e dei
nuovi prodotti per il miglior utilizzo dei marchi, nonché conducendo l’attività di
concezione, sviluppo e coordinamento della comunicazione e dei sistemi informatici del
Gruppo BasicNet. Nell’ambito delle sue funzioni, la società coordina e fornisce al
Gruppo servizi di amministrazione, finanza e controllo, informatica e gestione del
personale.
Kappa Italia S.p.A. è partecipata per il 90% da BasicNet S.p.A. e per il 10% da Basic
Properties B.V ed opera quale licenziatario per l’utilizzo e lo sviluppo dei diritti di
proprietà intellettuale e dei prodotti del Gruppo Basic in Italia e per tutti quei paesi del
mondo in cui non sono già presenti altri licenziatari. La società è titolare di importanti
BasicNetS.p.A.
BasicProperties
B V
KappaItaliaS p A
BasicVillageS p A
Rdk0 S.r.l.Basic
PropertiesEspana
S L
LF BasicLtd.
BasicTrademar
k S.A.
BasicPropertiesAmerica
LF BasicEurope
S r l
90%100%
10%
100%100%50%30% 100%
100%
100%
267
contratti di sponsorizzazione tecnica, merchandising e licenza con, tra gli altri, la
Federazione Italiana Rugby, la Federazione Italiana Golf ed il Brescia Calcio. La società
ha chiuso l’esercizio 2003 con un risultato negativo di 3,5 milioni di Euro, cui ha
contribuito in misura preponderante la svalutazione dei crediti verso il Gruppo
Giacomelli. Il fatturato conseguito nell’esercizio si è attestato a 63,2 milioni di Euro,
contro 89,4 milioni di Euro dell’esercizio precedente, in cui il fatturato includeva
vendite di prodotti legati alla sponsorizzazione della Squadra Nazionale di Calcio e
della AS Roma. Alla diminuzione dei ricavi è comunque corrisposta una riduzione degli
impegni di sponsorizzazione e sono state effettuate operazioni di riduzione sia dei costi
operativi, sia degli oneri finanziari, questi ultimi tramite sensibili riduzioni del capitale
circolante.
RdK0 S.r.l. è la società costituita nel mese di ottobre 2003, interamente controllata da
Kappa Italia S.p.A., al fine di gestire un nuovo negozio situato nel Basic Village di
Torino, con la funzione di entità sperimentale per le iniziative studiate per i negozi in
franchising. La società ha chiuso il primo bilancio in sostanziale pareggio.
Basic Village S.p.A., società interamente controllata, gestisce da settembre 2001
unicamente l’attività immobiliare del Basic Village, concedendo in sublocazione parte
delle unità immobiliari alle società del Gruppo nonché a terzi. A fine esercizio 2003 il
complesso immobiliare era completamente locato e a livello di bilancio, la società
presentava un utile di 35 mila Euro contro la perdita di 90 mila Euro dell’esercizio
precedente.
Basic Trademark (Soparfi) S.A. è la società interamente controllata da Basic Properties
B.V., proprietaria della maggior parte dei marchi del Gruppo. Ha chiuso l’esercizio
2003 con un utile di 0,2 milioni di Euro.
Basic Properties B.V., controllata al 100% da BasicNet S.p.A., opera quale licenziataria
mondiale di Basic Trademark S.A., con facoltà di sublicenza. La sua attività consiste nel
concedere in sub licenza i diritti di proprietà intellettuale del Gruppo Basic ai diversi
licenziatari locali, amministrare e gestire i contratti di sublicenza e le royalties di
268
competenza da essi rivenienti. La società è titolare di contratti di sponsorizzazione e
coordina l’attività di comunicazione, promozione e marketing globale del Gruppo Basic.
Nell’ambito delle operazioni di semplificazione della struttura di gruppo citate in
precedenza, è diventata sub-holding delle società operative estere. Per effetto della
riorganizzazione societaria del Gruppo, la società è oggi titolare del 100% del capitale
sociale della Basic Trademark S.A. e ha chiuso l’esercizio 2003 con una perdita pari a
3,1 milioni di Euro, contro 1,2 milioni di Euro dell’esercizio precedente, massimamente
per l’effetto della svalutazione di alcune partecipazioni.
LF Basic (Hong Kong) Ltd. è partecipata per il 50% da Basic Properties B.V e per il
50% da Li & Fung Trading Ltd. di Hong Kong, società del gruppo multinazionale Li &
Fung e controlla a sua volta al 100% la LF Basic Europe S.r.l di Torino. Le due società
operano come Sourcing Centers, la prima prevalentemente per l’area asiatica, la
seconda nell’area del bacino del Mediterraneo: insieme hanno conseguito un utile di
circa 1,5 milioni di Euro.
Basic Properties America Inc. (già Kappa Usa Inc.) gestiva la licenza per il territorio
statunitense concessa alla Kappa Usa, LLC. Per effetto di rilevanti problemi finanziari,
chiude l’esercizio 2003 con una perdita di circa 6,6 milioni di Euro.
Basic Properties Espana S.L. (già Kappa Spain Sports S.L.), partecipata dal Gruppo
Basic con una quota del 30%, opera quale licenziatario per l’utilizzo e lo sviluppo dei
diritti di proprietà intellettuale e dei prodotti del Gruppo Basic per la Spagna. La società
ha chiuso l’esercizio 2003 con un risultato negativo di circa 3,8 milioni di Euro, contro
0,3 milioni di Euro di utile del 2003, a seguito di un profondo processo di
ristrutturazione avvenuto nel corso del 2003, attraverso la messa in liquidazione degli
attivi aziendali a favore di una riconversione di tipo industriale.
4.5.3 - Il network dei licenziatari
La concessione di licenze, e più in generale il sistema organizzativo della catena
R&D, comunicazione e fonti di approvvigionamento, costituiscono in via principale
269
l’attività del Gruppo Basic. Come già evidenziato il Gruppo non distribuisce
direttamente il prodotto sui mercati in cui i marchi sono presenti ma opera tramite una
rete di licenziatari, cui fornisce una serie di servizi qualificati e tali da consentire loro
un’efficace penetrazione dei mercati o delle categorie di prodotto loro contrattualmente
concessi. In questo contesto, risulta interessante fornire qualche informazione sul grado
di diffusione dei marchi in questione sui diversi mercati, riferendoci ai fatturati
aggregati realizzati dai licenziatari nel periodo considerato294:
Tabella 21 - Fatturato aggregato dei licenziatari; Fonte: Bilancio BasicNet S.p.A. 2003
Tabella 22 - Importanza dei licenziatari per paese; Fonte: Bilancio BasicNet S.p.A. 2003
294 I fatturati conseguiti dai licenziatari nel 2003 e nel 2002, successivamente presentati, sono espressi inmigliaia di Euro, ai cambi delle rispettive date di bilancio.
270
Come si può notare, l’Italia rappresenta il maggiore mercato di sbocco per i
prodotti del gruppo, seguito dal Regno Unito e dall’Irlanda a grande distanza. Non può
che conseguirne che l’Europa è il principale mercato per il Gruppo, che vede l’84%
circa dei propri prodotti destinati alla clientela europea.
4.5.4 – Aree di espansione e prospettive future
Il gruppo è attualmente impegnato in tre direzioni: a livello commerciale, è in
corso un progetto di sviluppo al fine di integrare il livello retail al sistema BasicNet; dal
punto di vista geografico, il Gruppo sta implementando strategie di espansione
271
territoriale, al fine di diversificare i propri mercati di sbocco; da ultimo, ma di capitale
importanza, il Gruppo si sta focalizzando sul rilancio e sul riposizionamento dei nuovi
marchi, quali i neoacquisiti Kway e Superga. Vediamo brevemente di seguito le linee
guida delle tre strategie indicate.
Nell’ambito della vendita al dettaglio, il gruppo sta dando particolare impulso allo
sviluppo dei 3 “concept store” BasicNet.
Robe di Kappa (RDK): Negozio monomarca che trova l’ideale collocazione nei
centri pedonali e storici cittadini e nelle gallerie dei centri commerciali. Gestito in
franchising, propone una gamma di abbigliamento classico-sportivo per adulti. I
monomarca RDK si distinguono per il particolare interior design, ma soprattutto per la
gestione innovativa e totalmente on-line di tutte le attività del negozio.
Il Gigastore: Grande boutique dei marchi BasicNet. Con una metratura
compresa tra i 400 e 1200 mq. e localizzazione ideale negli outlet village, propone tutto
l’assortimento di sport, jeans & casual.
Lo Spaccio: E’ un factory outlet realizzato in aree non tipicamente commerciali
con la caratteristica di proporre un vasto assortimento di stock e convenienza di prezzo.
In secondo luogo, oltre a rafforzare i mercati europei, il gruppo punta ora su 2
grandi aree di sviluppo: il Nord America e l’area asiatica, dove gli accordi più recenti
sono rappresentati rispettivamente dal nuovo licenziatario che opera sul mercato
statunitense e dai contratti di licenza stipulati in Corea del Sud dove alla fine del 2003
erano già operativi 40 Kappastore e in Cina con il più grande gruppo per la
distribuzione di abbigliamento sportivo, presente sul territorio con oltre 300 negozi a
marchio Kappa.
Da ultimo, per quanto riguarda il rilancio dei marchi neo acquisiti, quali Kway e
Superga, è in corso un programma di rilancio articolato in tre fasi: l’acquisizione del
marchio, la sua integrazione nel sistema BasicNet e il successivo sviluppo delle vendite
dirette sul territorio.
Perseguendo l’obiettivo di proporre sul mercato marchi storici con forti
possibilità di sviluppo, da Febbraio 2004 BasicNet acquisisce il marchio K-Way e
contestualmente diviene licenziatario unico mondiale del prestigioso marchio Superga
con un diritto di opzione per l’acquisto dello stesso, come descritto in seguito
272
La grande flessibilità del sistema BasicNet ha permesso al gruppo di ipotizzare
l’integrazione dei nuovi assets in tempi relativamente brevi mettendo a disposizione la
conoscenza specifica dei vari mercati e le strutture ad essi preposti.
Il gruppo prevede di sviluppare per il marchio K-Way una strategia distributiva
simile a quella di Kappa indirizzata soprattutto ai negozi multimarca di articoli sportivi;
per Superga, si prevede di raggiungere i mercati asiatici e americani attraverso specifici
accordi di licenza, mentre quello europeo verrà in larga misura fornito con vendite
dirette sviluppate dalla BasicItalia di Torino.
4.5.5 – L’operazione: Acquisizione da parte di BasicNet S.p.A. del marchio K-Way
L’operazione di acquisizione, conclusasi in data 13 febbraio 2004, riguarda il
solo attivo intangibile del marchio K-Way, ovvero non sono state acquistate quelle
attività (magazzino, crediti commerciali, ecc…) e passività (debiti commerciali, altre
passività, ecc…) normalmente correlate al marchio e a tali tipologie di acquisizione. Di
conseguenza, l’operazione si presenta come il mero acquisto a titolo oneroso di
un’intangible assets, rappresentato nello specifico dal marchio K-Way: anche la
valutazione fatta dell’attivo immateriale stesso, quindi, non risentirà di componenti
materiali ma sarà riferita sic et sempliciter al marchio acquisito.
K-Way costituisce uno dei marchi di abbigliamento più noti al mondo nel
segmento delle giacche a protezione dal vento, dalla pioggia e dal freddo. Il marchio è
infatti strettamente legato, tanto da essere ormai diventato sinonimo, dell’articolo che lo
contraddistingue: una leggera giacca impermeabile che si richiude in una piccola tasca
da legare in vita295.
Quale effetto dell’acquisizione del Marchio K-Way, sono stati trasferiti in capo a
BasicNet S.p.A. i contratti di licenza attualmente in essere: mediamente il rendimento
riconosciuto sotto forma di royalties sui contratti in oggetto è compreso tra il 6% e l’8%
295 Creata a Parigi nel 1965, nel primo anno di produzione ne furono vendute 250.000 unità. Il marchio fupoi esteso anche al resto dell’Europa ed in America. Dopo essere stato un prodotto di punta per tutti glianni ’70, il marchio, anche per effetto delle numerose imitazioni, attraversò un periodo di crisi. Nel 1990venne acquisito da Superga e nel 1992 il marchio diventò fornitore ufficiale della squadra francese neigiochi invernali di Albertville, riacquistando un’importante visibilità. Nel 2000, l’intero pacchettoazionario della Superga venne acquistato dalla società Formula Sport Group S.r.l., società oggi cedente ilmarchio.
273
delle vendite nette che il licenziatario va a sviluppare sui territori o per le categorie di
prodotti ad esso assicurati296.
Il prezzo di acquisto dell’attivo intangibile è stato determinato sulla base delle
prospettive di sviluppo del Marchio per gli esercizi futuri, tenendo conto delle
condizioni di mercato. In particolare, il cash-flow che il Marchio sarà in grado di
generare sarà legato sia alla autonoma capacità di generare i flussi reddituali delle
previsioni commerciali sia all’interazione con il business system del Gruppo Basic,
interagendo altresì sulle strutture già esistenti e ottimizzando la redditività d’impresa. La
metodologia applicata, riconosciuta dalla dottrina e dalla pratica professionale in Italia e
livello internazionale, nonché trattata all’interno di questo lavoro e già utilizzata per la
valutazione dei marchi di proprietà del Gruppo, è basata sull’attualizzazione dei flussi di
cassa prospettici derivanti dalle vendite dirette e dalle royalties provenienti dai
licenziatari terzi, per un periodo di dieci anni. Il tasso di attualizzazione è stato
determinato sulla base del costo medio del capitale, ottenuto ponderando i tassi relativi
alle fonti finanziarie della società (costo dei mezzi propri e costo del debito), tenuto
conto dei livelli di rischio associabili all’attività tipica di gestione dei marchi. La stima
del reddito atteso, inoltre, è stata formulata utilizzando le previsioni prospettiche dei
volumi di vendita specifici del marchio K-Way, confortate anche dall’evoluzione
commerciale storica degli altri marchi gestiti dal Gruppo. Il prezzo del marchio, quindi,
è stato fissato in 8 milioni di Euro, oltre Iva297.
Dal punto di vista prettamente finanziario, l’operazione è stata assistita da un
finanziamento di 8 milioni di Euro, concesso in quote paritetiche da Unicredit Banca
d’Impresa e da Banca Intesa, a un tasso pari all’Euribor trimestrale più 200 punti base,
con rimborso della quota capitale a rate costanti trimestrali in sette anni, di cui il primo
anno di pre-ammortamento. A garanzia del finanziamento assunto, il marchio K-Way è
stato costituito in pegno a favore delle banche finanziatrici. Inoltre, il contratto di
finanziamento prevede il rispetto di ratios finanziari d’uso nonché il mantenimento di
296 A riguardo, giova sottolineare che i licenziatari K-Way France S.a.s., Compagnia delle Pelli S.p.A. eGroup Mizrahi Textile S.A. hanno già acconsentito alla cessione dei rispettivi contratti. Per quantoriguarda i licenziatari che ancora non hanno fornito il consenso, il cedente si è obbligato a prestare ognicollaborazione affinché gli stessi acconsentano al trasferimento a BasicNet S.p.A. dei rispettivi contrattidi licenza, fermo restando che, in ogni caso, saranno riconosciute a BasicNet S.p.A. le royalties dipertinenza.297 L’ammontare verrà regolato in tre rate, di cui l’ultima entro 180 giorni dalla data di sottoscrizionedell’atto di cessione.
274
talune condizioni relative all’assetto proprietario nel capitale di Basic World N.V. e
BasicNet S.p.A.298.
L’acquisizione in questione produce anche degli evidenti effetti a livello
contabile: poiché, come già citato, il contratto di acquisto è limitato al solo marchio K-
Way e al conseguente diritto di sfruttamento dello stesso, gli effetti contabili a livello
patrimoniale dell’operazione si risolvono in un incremento delle immobilizzazioni
immateriali per 8 milioni di Euro299 e un corrispettivo incremento dei finanziamenti a
medio/lungo termine per 8 milioni di Euro. A livello di conto economico, invece,
appariranno a bilancio ammortamenti annuali dei marchi per 410.000 Euro annuali300,
nonché oneri finanziari direttamente imputabili al finanziamento acceso per l’acquisto
dell’attivo immateriale301.
L’operazione, inoltre, non comporta sostanziali modifiche nella struttura dei
rapporti infragruppo rispetto a quanto in essere nel periodo precedente all’operazione,
salvo il flusso di royalties sulle vendite di prodotti a marchio K-Way, che verrà
corrisposto a BasicNet S.p.A. da Kappa Italia S.p.A. in qualità di Licenziatario.
Contestualmente alla proprietà del marchio K-Way, BasicNet S.p.A. ha
acquistato da Formula Sport Group S.r.l. la licenza esclusiva mondiale del marchio
Superga e un diritto di opzione per l’acquisto del marchio stesso. In particolare, il
contratto di licenza mondiale, valido per 14 anni, per la distribuzione in tutti i Paesi e
per tutte le categorie merceologiche dei prodotti a marchio Superga, prevede per i primi
tre anni il pagamento da parte di BasicNet S.p.A. di flat fees di 1,5 milioni di Euro nel
2004, 2 milioni di Euro nel 2005 e 2,5 milioni di Euro nel 2006. Per gli anni successivi
il Gruppo dovrà corrispondere alla società proprietaria del marchio royalties del 4%
sulle vendite nette con minimi garantiti tra i 2,6 e i 3,1 milioni di Euro.
Il contratto di licenza Superga è stato inoltre integrato dal diritto di opzione per
l’acquisto del marchio: diritto che sarà esercitabile a partire dal 2007 e per i successivi 4
298 In particolare, è previsto il mantenimento da parte del sig. Marco Daniele Boglione (sia in mododiretto che indiretto) di almeno il 51% del capitale di Basic World N.V., società che detenendo il 30,01%delle azioni di BasicNet S.p.A., ne è socio di riferimento. In secondo luogo, la partecipazionecomplessiva, diretta o indiretta, di Basic World N.V. nel capitale di BasicNet S.p.A. non dovrà ridursi aldi sotto del 20% del capitale della medesima.299 Il valore incrementale delle immobilizzazioni immateriali includerà inoltre gli oneri accessori diacquisizione, quantificabili in circa 200.000 Euro, interamente autofinanziati.300 Derivanti da un coefficiente di ammortamento pari al 5% annuo.
275
anni, sulla base per la determinazione del prezzo finale, anche del flusso delle royalties
riconosciute alla licenziante fino al momento dell’eventuale esercizio, che andranno ad
eventuale riduzione dello stesso. Il diritto per l’acquisto della proprietà del marchio
Superga da parte di BasicNet S.p.A. avrà validità sino al 2010 e potrà essere esercitato
nel periodo 2007-2008 ad un prezzo di riferimento di 28 milioni di Euro e nel periodo
2009-2010 di 27 milioni di Euro, fatti salvi i correttivi di riduzione del prezzo prima
indicati. Successivamente a tale data e sino al termine del contratto di licenza, BasicNet
S.p.A. beneficerà in ogni caso di un diritto di prelazione da esercitare alle medesime
condizioni dell’eventuale offerente terzo. Si noti che entrambi i diritti non sono a titolo
oneroso.
4.5.5.1 - Motivazioni e finalità dell’operazione
L’operazione di acquisizione, come evidenziato in precedenza, si inquadra nella
strategia di crescita del Gruppo BasicNet al fine di consolidare la propria posizione sul
mercato dell’abbigliamento informale e sportivo. Attraverso l’acquisizione del marchio
K-Way, infatti, il Gruppo intende diversificare ed accrescere il proprio portafoglio
prodotti e marchi, fruendo degli effetti sinergici sui costi generali di struttura, per effetto
di porzioni aggiuntive di fatturato (derivanti tanto dalle vendite dirette, quanto dalle
royalties e dalle commissioni), con redditività marginale aggiuntiva.
Lo sviluppo del valore del marchio viene attuato in primo luogo attraverso
l’attività commerciale del Gruppo Basic, che intende ripristinare la notorietà del
marchio, ricostruire il know-how di prodotto e sviluppare il marchio su scala globale
mediante rapporti di licenza. Lo sviluppo passerà attraverso una prima fase dedicata al
rilancio dei prodotti classici e continuativi che hanno reso famoso il marchio K-Way in
tutto il mondo, estendendo in un momento successivo la linea di prodotti ad una gamma
più ampia ed articolata e specialistica di indumenti per la protezione da pioggia, vento e
freddo. E’ stato previsto, a tal fine, l’inserimento nell’organico di BasicNet S.p.A. di un
brand manager al quale verrà affidato lo sviluppo commerciale del marchio302.
301 Ai tassi attuali, gli oneri finanziari ammonterebbero a circa 326.000 euro302 A livello concreto, il flusso dei ricavi legati al marchio è stato previsto in misura marginale nelsecondo semestre 2004 per la collezione inverno 2004-2005, che sarà distribuita in Italia da Kappa ItaliaS.p.A. Mentre proseguiranno nel corso dell’esercizio 2004 le attività commerciali svolte dai licenziatariterzi, i cui contratti sono stati trasferiti in capo a BasicNet S.p.A., da Formula Sport Group S.r.l., attivi sul
276
4.5.5.2 - Rischi e commenti relativi all’operazione
In via generale giova ricordare che il settore dell’abbigliamento sportivo ed
informale è sensibilmente esposto all’andamento del ciclo economico. Gli acquisti di
abbigliamento sportivo ed informale tendono a diminuire durante periodi di recessione
economica, influenzando negativamente il risultato dell’esercizio. In secondo luogo,
l’andamento del settore di riferimento del Gruppo Basic è soggetto a fenomeni di
fluttuazione della domanda correlati alla tipica stagionalità delle collezioni. Nonostante
il Gruppo Basic riesca ad attenuare gli effetti economici di tale fenomeno mediante una
produzione continua di nuovi modelli e collezioni, i risultati infra annuali del Gruppo
possono risentire della stagionalità del settore. A riguarda, è interessante notare come
l’acquisizione del marchio K-Way, relativo ad un capo di abbigliamento la cui funzione
è quella di proteggere dalle intemperie, dal vento e dalla pioggia, possa contribuire alla
riduzione di questo fenomeno di stagionalità: è quanto meno prevedibile, infatti, che le
vendite di tale prodotto si incrementino in un periodo quale quello autunnale ed
invernale, bilanciando la diminuzione delle vendite di quei capi di abbigliamento più
prettamente estivi, legati alla presenza di una stagione calda e soleggiata.
In secondo luogo, lo sviluppo e la gestione dei marchi – attività tipica del
Gruppo Basic e della capogruppo BasicNet S.p.A. – richiede continui investimenti nella
comunicazione tramite azioni di marketing a livello globale e sponsorizzazioni
nell’ambito del settore dello sport303. Oltre alle spese di comunicazione sostenute dal
Gruppo Basic, i Licenziatari sono impegnati ad investire direttamente in attività di
mercato francese, belga, svizzero e tedesco. A partire dall’esercizio 2005 è pianificato l’avvio dellosviluppo dell’attività, ottimizzando l’effetto sinergico del network di Licenziatari nel mondo,caratterizzanti il sistema distributivo del Gruppo Basic.303 BasicNet promuove l’attività del proprio network e la notorietà dei propri marchi attraverso un’importante attività di sponsorizzazione in numerose discipline sportive. Il calcio è lo sport dove ilmarchio Kappa storicamente è più presente e oggi vestono il marchio degli “omini” più di 100 team intutto il mondo tra cui il Totteham, Feynoord, Werder Bremen, Real Betis, Genk, Sampdoria e Brescia,Copenhagen, Partizan e Botafogo. Tra gli altri sport BasicNet è attiva nel Rugby con la Nazionale Italianaed il più esclusivo club di Francia lo Stade Français, nel ciclismo con i campioni del mondo della SAECOe nello sci con la fornitura tecnica a 30 tra i più importanti sci club europei e con le federazioni nazionalidi Argentina e Messico. Ulteriori attività dell’azienda torinese riguardano anche il Basket con ben 15squadre di livello internazionale , il volley con oltre 20 team in 5 paesi, il motociclismo con i team Derby-Gilera e Honda e l’hockey su ghiaccio con 20 team tra Repubblica Ceca, Finlandia,Svizzera e Russia.
277
comunicazione e marketing a supporto dei marchi Kappa e Robe di Kappa. Qualora
l’azione di comunicazione del Gruppo non risultasse efficace, ovvero nel caso in cui
non fosse in grado di mantenere la visibilità dei propri marchi304 si potrebbero verificare
effetti negativi sul potere di attrazione dei marchi di proprietà del Gruppo e,
conseguentemente, sull’attività e redditività del Gruppo Basic.
Consistendo l’attività del Gruppo nello sviluppo del valore dei propri marchi e
nella diffusione dei propri prodotti attraverso il “business system” descritto in
precedenza, quindi, è evidente come mentre il Gruppo esercita un controllo sull’azione
di marketing globale dei propri marchi, la politica di marketing locale e
l’organizzazione gestionale e finanziaria dei licenziatari siano autonome e, di
conseguenza, l’attività distributiva di questi ultimi sia soggetta al rischio d’impresa.
Sebbene il Gruppo ritenga che nella maggioranza dei casi i licenziatari possano essere
eventualmente sostituiti, qualora non fosse possibile un’immediata sostituzione di un
licenziatario per un qualsiasi motivo inadempiente, l’ammontare del fatturato e dei
profitti del Gruppo potrebbe subirne un effetto negativo; se, per giunta, a tale evento
seguisse una minore diffusione dei prodotti del Gruppo Basic, anche il valore dei
marchi di proprietà potrebbe esserne influenzato. Inoltre, eventuali risultati negativi
realizzati da Kappa Italia S.p.A., licenziatario direttamente controllato dal Gruppo,
peserebbero negativamente sui bilanci dell’emittente.
Similmente, è necessario ricordare come l’attività di produzione industriale dei
prodotti non è realizzata dal Gruppo stesso, bensì mediante un insieme di rapporti di
carattere contrattuale tra i produttori e i licenziatari, attraverso un sistema di
intermediazione gestito dai sourcing centers, fermo restando il diritto dei licenziatari di
poter accedere direttamente a fonti di produzione, ma con il controllo degli standard
produttivi e qualitativi effettuato a livello accentrato dal Gruppo stesso. Di conseguenza,
qualora il Gruppo non riuscisse ad assicurare tramite i sourcing centers un’adeguata
competitività produttiva, potendo i licenziatari rivolgersi a fonti produttive dirette,
potrebbe diminuire il flusso di commissioni che il BasicNet S.p.A. percepisce su tali
attività. Sebbene questa criticità non si mai verificata in maniera significativa nella
304 In special modo nell’ambito delle manifestazioni sportive di maggior rilievo o all’interno deiprincipali campionati, tramite la sponsorizzazione di squadre o personaggi sportivi.
278
storia del Gruppo, non vi è garanzia che in futuro tale problema non si possa
manifestare.
Da ultimo, è importante rilevare le conseguenze e i rischi finanziari derivanti
dall’operazione di acquisizione portata a termine, nonché legati alla più generale attività
del Gruppo. Essendo l’operazione di acquisizione da parte di BasicNet S.p.A.
interamente assistita da un finanziamento a titolo di capitale di debito a medio termine,
questo non può che provocare un aumento del grado di leva finanziaria del Gruppo,
correlata strettamente al piano di sviluppo progettato per marchio recentemente
acquisito. Al fine di poter supportare in maniera adeguata il processo di consolidamento
e di sviluppo nel quale il Gruppo si è impegnato, anche attraverso l’operazione descritta
in precedenza, il Consiglio di Amministrazione della società ha ritenuto opportuno
deliberare nella direzione di un rafforzamento finanziario del Gruppo. In tale senso, il
C.d.A., nella riunione tenutasi il 23 marzo 2004, ha determinato le modalità, le
condizioni e la tempistica per un aumento di capitale per un importo massimo di 25
milioni di Euro. L’effetto patrimoniale dell’aumento dei mezzi propri aziendali sarà
pertanto quello di mantenere adeguato il rapporto fra indebitamento finanziario e
disponibilità proprie, sostenendo in condizioni di equilibrio finanziario lo sviluppo del
giro d’affari diretto, dal quale deriva, normalmente, una dinamica espansiva dei
fabbisogni connessi al capitale circolante netto305.
Sempre dal punto di vista finanziario, in un’ottica più propriamente di tesoreria
aziendale, giova ricordare come i ricavi ed i margini operativi del Gruppo siano
influenzati dall’impatto dell’oscillazione dei tassi di cambio sui prezzi dei prodotti
acquistati dal licenziatario italiano Kappa Italia S.p.A., sulle royalties attive dai
licenziatari denominate in valute diverse dall’Euro e sulle commissioni di sourcing. A
riguardo, riportiamo di seguito un estratto del bilancio consolidato del Gruppo, atto ad
evidenziare l’importanza assunta da queste tre fonti di ricavo all’interno
dell’economicità dell’azienda.
305 L’aumento di capitale effettuato risponde, inoltre, anche alle previsioni del contratto di finanziamentosindacato in essere, stipulato nel novembre 2001 e con scadenza novembre 2007 (di originari 26,25milioni di Euro, ora ridotti a 20,72 milioni per effetto degli avvenuti rimborsi alle scadenza pattuite) cherichiedeva quale presupposto per il mantenimento del finanziamento il mantenimento di una condizionedi equilibrio finanziario tra mezzi propri e capitale di debito.
279
Tabella 23 - Prospetto di conto economico; Fonte: Bilancio BasicNet 2003
Il Gruppo Basic non ha effettuato sino ad oggi coperture dei ricavi in valuta,
bensì ha utilizzato i proventi in USD dai licenziatari a titolo di royalties e commissioni,
per effettuare pagamenti su acquisti nella medesima valuta, ottenendo implicitamente
una copertura dei rischi di cambio. Il rischio sulla restante porzione di acquisti in USD
viene gestito con operazioni di copertura tendenti a fissare il valore della valuta, con
riferimento ai costi della merce individuati in fase di budget e conseguentemente
adottati per la redazione dei listini di vendita. L’oscillazione dei tassi di cambio di
alcune valute straniere, quindi, potrebbero provocare un effetto negativo sulla redditività
del Gruppo per le operazioni non assoggettate a copertura.
280
4.5.5.3 – Gli sviluppi dell’operazione
L’operazione di acquisizione del marchio K-Way e della licenza mondiale per il
marchio Superga descritta in precedenza influenza profondamente la gestione del
gruppo Basic e della capogruppo BasicNet S.p.A. in particolare. In questo paragrafo,
quindi, vogliamo analizzare tre delle principali operazioni condotte dal gruppo,
strettamente collegate col perfezionamento della suddetta operazione.
Per prima cosa, merita attenzione l’aumento di capitale – già menzionato in
precedenza – approvato in data 13 maggio 2004, per un ammontare di nominali 25
milioni di euro306. Come sottolineato dal management anche all’interno del prospetto
informativo relativo all’operazione, l’aumento di capitale in questione è volto al
rafforzamento finanziario del gruppo, al fine di poter supportare il processo di sviluppo
che il gruppo Basic ha intrapreso – all’interno del quale si inserisce l’operazione di
acquisizione perfezionata, con particolare riferimento al marchio K-Way e alla licenza
mondiale Superga – nonché al fine di riequilibrare la struttura finanziaria del gruppo, a
seguito dell’acquisizione del marchio K-Way, fondata tutta sull’utilizzo di capitale di
debito.
In data 28 luglio 2004, il gruppo balza ancora agli onori della cronaca, dopo
l’annuncio di un nuovo accordo di licenza stipulato negli Emirati Arabi: in virtù del
contratto di licenza siglato con la Al Wasl Trading Group di Abu Dhabi, il gruppo Basic
estenderà la diffusione dei marchi Kappa e Robe di Kappa anche al mercato degli
Emirati Arabi Uniti307. Un business valutato almeno 700 mila dollari (circa 580 mila
euro) per tutto il periodo della licenza, la cui scadenza è stata fissata il 30 giugno 2005,
fra meno di un anno.
Da ultimo, in data 20 settembre 2004, BasicNet S.p.A. ha siglato un'intesa di
partnership con Canada Inc. di Montreal per la distribuzione dei suoi prodotti a marchio
K-Way nel Nord America: l'intesa avrà una validità iniziale di cinque anni, con la
306 A seguito dell’aumento di capitale, il capitale sociale di BasicNet S.p.A. passa da poco più di 15milioni di euro a poco più di 40 milioni. L’emissione è avvenuta al prezzo di 0,52 euro per azione, senzasovrapprezzo, per un totale di circa 48 milioni di azioni ordinarie emesse.307 Allo scopo di promuovere la crescita dei brand sportivi Kappa e Robe di Kappa, la Al Wasl TradingGroup ha già firmato un contratto di sponsorizzazione con la nazionale di calcio degli Emirati Arabi, cheparteciperà ai gironi di qualificazione per i prossimi campionati mondiali di calcio del 2006 in Germania.Tenendo conto dell’espansione in Medio Oriente e del recente accordo siglato nell’Est europeo, salgonocosì a 87 i paesi nel mondo in cui vengono distribuiti i prodotti del gruppo Basic.
281
possibilità di rinnovare l'accordo per altri cinque, e garantirà fino a dicembre 2009
vendite dei prodotti a marchio per almeno 20 milioni di dollari. Si tratta del primo
nuovo contratto di licenza firmato da BasicNet dallo scorso febbraio, quando il gruppo
aveva acquisito il marchio K-Way da Formula Sport Group. L’intesa appena siglata,
quindi, rappresenta indubbiamente un’espansione altamente strategica in un mercato
chiave ed estremamente ampio come quello del Nord America.
4.5.5.4 - La reazione all’acquisizione di Borsa
La capogruppo BasicNet S.p.A., come noto, è quotata all’interno del Mercato
Telematico Azionario di Borsa Italiana S.p.A. Risulta, quindi, interessante esaminare le
reazioni del mercato e degli investitori alla notizia dell’acquisizione da parte
dell’azienda del marchio K-Way e agli eventi ad esso collegati descritti in precedenza.
Analizzeremo, quindi, con maggiore attenzione i grafici relativi all’acquisizione
condotta nel Febbraio 2004, per poi dedicare qualche commento alle reazioni degli
operatori di Borsa conseguenti alle operazioni di aumento di capitale del Maggio 2004,
alla licenza siglata per gli Emirati Arabi nel luglio 2004 e alla stipula del contratto di
licenza per i prodotti a marchio K-Way per il Nord America, recentemente conclusa a
fine settembre. Vediamo di seguito il grafico dell’andamento del prezzo del titolo
BasicNet S.p.A. durante il 2004, a confronto con l’indice MIB relativo ai titoli operanti
nel settore tessile e dell’abbigliamento.
Grafico 7 - Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell'indice MIB TESSILE nel corso del 2004
282
Come si può notare, il titolo ha presentato un andamento evidentemente
peggiore dell’indice di riferimento, perdendo circa il 25% da inizio anno, contro una
sostanziale invariabilità o leggero miglioramento nell’ultimo periodo, del valore
dell’indice che, nonostante per quasi tutto il periodo si attesti su livelli più alti rispetto
all’inizio dell’anno, ritorna a metà agosto ai valori di gennaio per poi intraprendere un
trend positivo che dura tuttora. All’interno della cornice blu abbiamo evidenziato il
periodo all’interno del quale si sono riverberati gli effetti dell’acquisizione.
Analizzeremo di seguito, in maniera più particolareggiata, l’andamento del titolo
all’interno del periodo in esame; ma già ad una prima occhiata risulta evidente il picco
nel valore del titolo, che raggiunge i massimi del 2004, in contrapposizione ad una
relativa piattezza nell’andamento del grafico del valore dell’indice di riferimento.
All’interno della cornice verde abbiamo evidenziato il periodo in cui è stato effettuato
l’aumento di capitale a servizio dell’acquisizione: come si può notare, da allora si è
innescato un trend decrescente che dura fino a metà agosto. L’azione arriva a perdere,
più o meno come diretta conseguenza dell’aumento di capitale, circa il 27% a partire da
maggio per arrivare fino a metà luglio. A fine luglio, come descritto in precedenza,
BasicNet S.p.A. stipula un accordo di commercializzazione dei prodotti a marchio
Kappa e Robe di Kappa per la zona degli Emirati Arabi e il mercato premia la società
283
con un importante rialzo dell’8,77% in un solo giorno, portando alla sospensione della
contrattazione delle azioni per eccesso di rialzo. Da ultimo, evidenziamo all’interno
della cornice grigia il rialzo a seguito dell’accordo di commercializzazione per il Nord
America del marchio K-Way, pari al 5,11% in un solo giorno. L’evidente rialzo che ha
preceduto quello analizzato, pari circa al 14% in un solo giorno di contrattazione, è
relativo alla diffusione da parte della società di una relazione semestrale nettamente
positiva, evidenziante un utile ante imposte di 1,6 milioni di euro (+52,6%) e un netto
miglioramento delle vendite aggregate, nonostante la sfavorevole evoluzione del
rapporto euro/dollaro (+7,5% o +11% a parità di tasso di cambio).
Di conseguenza, possiamo osservare come, pur in presenza di un generale trend
negativo, invertito solo a partire da metà agosto, gli operatori di borsa sembrino
premiare la politica di acquisizione e gestione degli intangibles di BasicNet S.p.A.: il
trend non positivo, infatti, coinvolge tutti i competitors almeno fino a maggio, essendo
quello in cui opera la società un settore estremamente sensibile ai periodi di lenta
crescita economica o di stagnazione. All’interno di questo trend negativo, però, i
contratti stipulati dal gruppo ed analizzati in precedenza vengono premiati ed
accompagnati da consistenti rialzi; questo non si può dire per quanto riguarda l’aumento
di capitale deliberato a metà Maggio, accolto negativamente dal mercato e causa –
insieme alla comunicazione di non brillanti risultati economici per il 2003 –
dell’inasprimento del trend e del peggioramento dell’andamento dei corsi azionari per
quanto riguarda BasicNet S.p.A. rispetto all’indice di riferimento. Ad ogni modo, è
necessario sottolineare che l’aumento di capitale in questione è più che altro una scelta
di politica finanziaria, non direttamente legata alla politica di acquisizione e gestione
delle risorse immateriali intrapresa dalla società.
Vediamo ora nei particolari l’andamento del titolo nei giorni relativamente vicini
alla data dell’acquisizione del marchio K-Way a metà febbraio: analizzeremo quanto
accaduto nei giorni immediatamente precedenti e successivi, confrontando l’andamento
del prezzo dell’azione con quello dell’indice MIB TESSILE nel medesimo periodo.
284
Grafico 8 - Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell'indice MIB TESSILE in Febbraio 2004, mesedell'acquisizione del marchio K-Way
All’interno del grafico precedente abbiamo evidenziato in verde la data ufficiale
di acquisto del marchio, giorno a partire dal quale è possibile notare molto chiaramente
l’inizio del trend discendente in netta contrapposizione con i precedenti movimenti
rialzisti del titolo. Nel grafico successivo, analizziamo ancora più nel particolare i giorni
precedenti e seguenti l’acquisto, tramite l’ausilio di un grafico a candele giapponesi.
Grafico 9 - Grafico a candele giapponesi del prezzo del titolo BasicNet S.p.A. nei giorniimmediatamente precedenti e successivi all'acquisizione avvenuta in data 13 Febbraio
285
Come noto, l’acquisto è stato perfezionato in data 13 Febbraio e di estrema
importanza risulta l’analisi dell’andamento del titolo nei giorni precedenti: come si può
notare tanto dal primo grafico quanto dal secondo, nei giorni di contrattazione
immediatamente precedenti all’acquisto, il titolo ha subito un’impennata dei corsi
azionari, soprattutto a partire dal 6 Febbraio. Molto interessante è il comportamento del
titolo nei giorni 11, 12 e 13 febbraio: l’11 febbraio il titolo ha guadagnato circa il 6%,
continuando un trend positivo già presente nei giorni precedenti. A partire dal 12
febbraio, vi sono state le prime prese di beneficio: il titolo perde il 6% in un giorno,
nonostante abbia toccato i massimi di periodo all’interno della medesima giornata. In
questi due giorni, come evidenziato dalla parte bassa del grafico, l’elevato valore dei
volumi di trading conferma la situazione di sostanziale anormalità del mercato,
evidenziando un particolare interesse da parte degli investitori nella situazione di
BasicNet S.p.A. Dopo il 13, continuano le prese di beneficio, facendo diminuire i corsi
del titolo ben al di sotto dei loro valori iniziali.
Possiamo quindi concludere che il mercato ha sostanzialmente apprezzato
l’operazione di acquisizione, premiando la stessa con importanti rialzi nei giorni
precedenti la sua ufficializzazione. Dopo un periodo tanto di rialzi tanto continui e
consistenti, gli investitori hanno voluto prendere beneficio dei guadagni ottenuti,
chiudendo le posizioni aperte in precedenza.
287
CONCLUSIONI
Gli intangible assets sono sempre stati parte fondamentale dell’economia e della
gestione delle aziende: non erano assenti nel passato e la loro importanza è sempre stata
decisiva per la creazione di valore aziendale. Dall’interazione di queste attività con il
più generale processo di gestione aziendale sono più volte nate strategie e azioni che
hanno decretato il successo di molteplici imprese nel corso della storia. Nel corso della
storia, d’altra parte, il concetto stesso di risorse immateriali si è presentato sotto
molteplici forme in più situazioni, denotando una continua evoluzione frutto di
arricchimenti continui derivanti dallo sviluppo tecnologico, industriale e sociale.
Proprio questa continua evoluzione ed interazione con l’ambiente economico
circostante, ha portato ad un incremento dell’attenzione posta in merito a questo
argomento, derivante principalmente dalla sempre più frequente centralità assunta da
queste risorse nel processo di creazione di un vantaggio competitivo duraturo e
sostenibile, come mostrato all’interno del primo capitolo. La rivoluzione tecnologica
tuttora in atto, l’apertura delle aziende ai mercati finanziari mondiali globalizzati e la
crescente dematerializzazione dell’economia sono solo alcuni dei drivers che hanno
alimentato questo processo.
Ormai tutte le aziende ritengono che gestire le risorse immateriali sia uno
strumento fondamentale per raggiungere l’obiettivo della creazione di valore per gli
azionisti, ma, in concreto, poche di queste hanno focalizzato la loro attenzione
sull’importanza di definire una strategia ad hoc per le loro consapevole gestione e sulla
necessità di condurre attente ricerche al fine di individuare un sistema di collegamento
tra le risorse immateriali e le strategie di creazione di valore. Nasce, quindi, l’esigenza
di implementare un sistema che sia in grado di identificare, misurare e monitorare il
legame tra attività intangibili e i value drivers dell’azienda308. Se, tuttavia, gli intangible
assets stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nella costruzione e nella
difesa di un vantaggio competitivo duraturo e sostenibile, al contempo la loro gestione
comporta difficoltà di natura concettuale ed operativa: come identificare gli intangible
assets strategici ? Come valorizzarli quali/quantitavamente? Come comunicare il loro
288
valore agli investitori e a tutti gli stakeholders in un’ottica di bilancio e di informazione
integrativa? Sempre più importante risulta la misurazione e la gestione attiva ai fini
della loro valorizzazione delle risorse immateriali e di pari passo lo sviluppo del tema
degli intangible assets nelle strategie di comunicazione aziendali, pur in un’ottica di
necessaria riservatezza.
In tal senso, è necessario muovere da un approccio basato sulla semplice
misurazione degli attivi intangibili, verso un approccio omnicomprensivo, che si occupi
della loro gestione e della loro valorizzazione. Sfortunatamente, tuttavia, alcune imprese
non compiono nemmeno il primo passo di questo processo ideale, tralasciando
completamente la valorizzazione e l’identificazione del loro patrimonio intangibile. Ma
come è composto questo processo? Quali sono le sue tappe fondamentali? A livello
teorico possiamo distinguere cinque fasi, molto spesso sovrapposte e interdipendenti a
livello pratico. Si tratta della individuazione degli intangibili, della loro analisi e
valutazione, della loro gestione strategica, della loro implementazione e successiva
comunicazione. Durante la prima fase è necessario identificare gli intangible assets che
fanno parte del patrimonio aziendale ed individuare quelli suscettibili di autonoma
valutazione economica. In un secondo momento, è necessario identificare il legame tra
questi e i driver del valore e del vantaggio competitivo aziendale, al fine di poter
determinare in maniera attendibile il valore economico di quelli suscettibili di autonoma
valutazione. In terzo luogo, la fase della gestione strategica si occuperà di sviluppare
strategie allineate con le macrostrategie aziendali nell’ottica di gestire il rischio e
l’incertezza associati agli intangibles, al fine di fornire un solido substrato al processo di
implementazione di tattiche di valorizzazione di queste attività coerenti con gli obiettivi
aziendali. Da ultimo, sarà necessario comunicare all’interno e all’esterno dell’azienda
l’attività svolta e i risultati ottenuti, tanto con strumenti obbligatori quali il bilancio
d’esercizio, quanto con strumenti collaterali e predisposti ad uopo.
Il nostro lavoro, quindi, si è focalizzato principalmente sul fornire strumenti atti
a portare a termine tre delle fasi individuate: nel corso del primo capitolo abbiamo
parlato delle difficoltà presenti al momento di identificare gli intangible assets ed
esplicitare il loro collegamento con la posizione e la strategia competitiva perseguita
dall’azienda. Nel secondo capitolo abbiamo parlato della informativa di bilancio
308 Come si può notare, questo processo ricalca la struttura del nostro lavoro, avendo dedicato una parte
289
associata alle attività intangibili e alla progressiva omogeneizzazione dei vari principi
contabili su scala globale. Nel terzo capitolo, abbiamo esaminato i metodi di
valorizzazione degli intangible e di loro valutazione economica, passo fondamentale per
la loro gestione e successiva comunicazione. Da ultimo, all’interno del quarto capitolo,
abbiamo voluto fornire alcune evidenze empiriche dell’importanza degli intangible
assets all’interno dell’attività di numerose imprese, tramite l’analisi empirica condotta
sui titoli appartenenti all’indice S&P/MIB, per poi soffermarci sulla descrizione
dell’attività del gruppo Basic e della recente acquisizione del marchio K-Way condotta
dalla capogruppo BasicNet S.p.A. Questo gruppo fornisce un ottimo esempio di
gestione strategica degli intangible assets e di messa in pratica del processo delineato in
precedenza: l’individuazione degli intangibles ha portato ad una loro precisa
valorizzazione e successiva gestione strategica, il tutto concluso con la comunicazione
degli stessi, grazie agli strumenti di informativa pubblica.
Questo processo dovrebbe essere se non all’ordine del giorno in ogni impresa,
quanto meno ampiamente diffuso e condiviso all’interno delle varie aziende, in special
modo in quelle per le quali il vantaggio competitivo da esse perseguito è correlato alla
presenza e alla valorizzazione di intangible assets. Sfortunatamente, così non è: come
mostrato da una ricerca condotta da PriceWaterhouseCoopers su un campione di 800
aziende europee operanti all’interno di diversi settori, sebbene il 78% degli intervistati
affermi che la consapevole gestione delle attività immateriali generi valore per gli
azionisti, solo il 24% delle imprese interpellate può vantare un sistema di gestione
strategica degli intangibles.
A questa carenza non si può porre rimedio nel breve termine, comportando la
soluzione di questo problema l’implementazione di un sistema di gestione strategica
delle attività immateriali, conseguente ad un importante sforzo a livello tanto di
management aziendale, quanto di utilizzatori esterni del bilancio: proprio da questi,
infatti, nasce sempre più spesso la necessità di avere maggiori informazioni in merito a
beni che spesso sono contornati da un’ampia aurea in incertezza in merito alla
quantificazione del loro valore. Proprio nel senso di cercare di dipanare questa
incertezza, fornendo strumenti atti al perseguimento e all’implementazione di questa
gestione strategica degli intangibles muove il nostro lavoro. Per imprese come BasicNet
di questo alla identificazione degli intangibles ed una seconda parte alla loro valutazione.
290
S.p.A. e per aggregazioni di aziende come il gruppo Basic, ve ne sono altrettanti che
non attuano alcuna gestione delle attività immateriali, avendo a malapena iscritto a
bilancio il proprio marchio. In un’economia all’interno della quale i valori intangibili
hanno sempre più valore e sono sempre più fonte di vantaggio competitivo, è proprio
questa la strada da non seguire: tralasciare l’individuazione, la valorizzazione e la
comunicazione del proprio patrimonio intangibile è tanto anacronistico quanto
penalizzante. Una consapevole gestione e quantificazione del valore degli intangibles,
infatti, può offrire opportunità di business, come dimostra il caso aziendale proposto,
altrimenti non perseguibili, fornendo all’esterno dell’azienda agli utilizzatori e valutatori
dei bilanci tanto un’immagine positiva del management aziendale, quanto un importante
aiuto per la quantificazione del reale valore dell’azienda.
293
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