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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E FINANZA INTANGIBLE ASSETS: PROFILI VALUTATIVI ED EVIDENZE EMPIRICHE CORSO: Corporate & Investment Banking RELATORE: Chiar.mo Prof. Stefano Monferrà CORRELATORE: Chiar.mo Prof. Gino Gandolfi LAUREANDO: Massimiliano Mattietti ANNO ACCADEMICO 2003/2004

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ DI ECONOMIA … · universitÀ degli studi di parma facoltÀ di economia corso di laurea in economia e finanza intangible assets: profili

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA INECONOMIA E FINANZA

INTANGIBLE ASSETS:

PROFILI VALUTATIVI ED EVIDENZE

EMPIRICHE

CORSO:

Corporate & Investment Banking

RELATORE:

Chiar.mo Prof. Stefano Monferrà

CORRELATORE:

Chiar.mo Prof. Gino Gandolfi

LAUREANDO:

Massimiliano Mattietti

ANNO ACCADEMICO 2003/2004

Ringraziamenti

Prima di entrare nel vivo dell’opera, sento il bisogno di ringraziare tutte le

persone che mi hanno aiutato e con le quali ho collaborato per la realizzazione di questo

lavoro. In primo luogo, vorrei ringraziare il relatore, Prof. Stefano Monferrà, per la

disponibilità e il Dott. Matteo Cotugno per l’attenzione, l’aiuto fornito e la pazienza

dimostrata nella definizione della struttura del lavoro e nella correzione periodica dei

capitoli. Secondariamente, il mio grazie va al Dott. Riccardo Savoldo e a Giovanni

Inglisa per l’aiuto fornito nel reperimento di materiale e di libri utili per la redazione

della tesi stessa, in un periodo in cui la biblioteca di facoltà non poteva offrire i propri

servizi.

Un grazie anche a tutti gli amici, di Mantova e non, per i consigli forniti ogni

qualvolta si discutesse della mia tesi o di qualsiasi altro argomento: mi riferisco in

particolare a Nicola, Francesco, Giuseppe e Cecilia. Non posso che rivolgere un

pensiero, inoltre, alle persone che hanno condiviso con me due delle esperienze più

importanti della mia vita, tra divertimenti e corsi di inglese, tra momenti di riflessione e

di gioia: mi riferisco ad Elena, Elisa, Giulio, Lorenza e Silvia, nonché ad Andrea,

Camilla, Elisa e Gloria.

Da ultimo, il grazie più sentito va ai miei genitori, senza l’aiuto, il supporto ed i

sacrifici dei quali, non sarei mai arrivato a questo punto, augurandomi che questo

traguardo raggiunto insieme, condividendo ogni momento, possa essere il punto di

partenza per nuove esperienze da vivere insieme.

I

INDICE GENERALE

INDICE DELLE FIGURE, TABELLE E GRAFICI…………………………………V

INTRODUZIONE……………………………………………………………….……. IX

CAPITOLO I – Identificazione e classificazione degli intangible assets……………...1

1.1 – Risorse intangibili, beni immateriali e immobilizzazioni immateriali: definizione ed identificazione………………………………………………3

1.2 – Criteri per l’individuazione dei beni immateriali.........................................8

1.3 – Criteri per la classificazione dei beni immateriali......................................12

1.4 – Disciplina legale dei marchi……………………………….……….……..191.4.1 – Requisiti di validità del marchio……………………………….……191.4.2 – Il marchio registrato…………………………………………….…..211.4.3 – Il marchio di fatto...............................................................................231.4.4 – Il trasferimento del marchio………………………………………...24

1.5 – Disciplina legale delle opere dell’ingegno e delle invenzioni industriali ……………………………………………………..25

1.5.1 – Il diritto d’autore………………………………………………....…251.5.2 – Le invenzioni industriali……………………………………….……27

1.5.2.1 – Il diritto al brevetto e l’invenzione brevettata…………….….281.5.2.2 – Brevetto internazionale, brevetto europeo e brevetto comunitario …………………………………………30

1.5.3 – I modelli industriali……………………………………………..…..31

1.6 – La formazione degli intangibles specifici………………………...….……331.6.1 – Acquisto da terze economie…………………………………….…..341.6.2 – Creazione in economia………………………………………….…..37

1.7 – Caratteristiche degli intangible assets e vantaggio competitivo…………411.7.1 – Risorse immateriali e strategie competitive………………....……...45

1.7.1.1 – Redditività, attrattività del settore e risorse immateriali ……………………………………………………47

1.7.1.2 – Redditività, vantaggio competitivo e risorse immateriali …………………………………………………...54

a – Risorse immateriali e leadership di costo ……………………...55b – Risorse immateriali e differenziazione …………………………57c – Risorse immateriali e focalizzazione …………………………...58

II

CAPITOLO II – La valutazione contabile degli intangible assets……………………61

2.1 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili italiani…………………………………………………………..63

2.1.1 – Aspetti generali di valutazione ……………………………………..652.1.1.1 – Il valore originario……………………………………………652.1.1.2 – Gli ammortamenti …………………………………………….662.1.1.3 – Le rivalutazioni ……………………………………………….672.1.1.4 – Il valore realizzabile come limite superiore e le svalutazioni ………………………………………………...68

2.1.2 – Le diverse tipologie di attività immateriali ………………………...712.1.2.1 – Costi di impianto e di ampliamento …………………………..712.1.2.2 – Costi di ricerca e di sviluppo …………………………………722.1.2.3 – Costi di pubblicità…………………………………………….742.1.2.4 – Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle

opere dell’ingegno…………………………………………….742.1.2.5 – Concessioni …………………………………………………..762.1.2.6 – Licenze………………………………………………………...762.1.2.7 – Marchi………………………………………………………...772.1.2.8 – Know-how …………………………………………………….782.1.2.9 – Avviamento …………………………………………………782.1.2.10 – Altre immobilizzazioni immateriali………………………….792.1.2.11 – Immobilizzazioni in corso e acconti…………………………81

2.1.3 – Contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione ……………………………………………………….81

2.2 – Introduzione agli International Accounting Standards (IAS)…………….842.2.1 – La storia.............................................................................................842.2.2 – L’International Accounting Standards Board (IASB)

e la sua struttura……………………………………………………862.2.3 – Il processo di predisposizione di un principio contabile

internazionale ………………………………………………………892.2.4 – La convergenza della UE agli IAS/IFRS …………………………...90

2.2.4.1 – Opzioni relative ai bilanci di esercizio delle società quotate e non quotate…………………………………………91

2.2.4.2 – Procedura di omologazione da parte della UE ………………92

2.3 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili internazionali (IAS 38, IAS 36, IAS 22).………………………..94

2.3.1 – IAS 38: Finalità e definizioni……………………………………….942.3.2 – IAS 38: Contabilizzazione e valutazione iniziale di

un’attività immateriale ……………………………………………..972.3.3 – IAS 38: Contabilizzazione di un costo…………………………….1012.3.4 – IAS 38: Valutazioni successive alla contabilizzazione iniziale …...1022.3.5 – IAS 38: Ammortamento……………………………………………1042.3.6 – IAS 38: Perdita e recuperabilità del valore contabile…………….1082.3.7 – IAS 38: Cessioni e dismissioni…………………………………….1092.3.8 – IAS 38: Nota integrativa e altre informazioni …………………….109

III

2.3.8.1 – Informazioni richieste per intangibles contabilizzati secondo il metodo alternativo………………………..............112

2.3.8.2 – Costi di ricerca e sviluppo ………………………………….1122.3.9 – IAS 36: Finalità …………………………………………………...1132.3.10 – IAS 36: Identificazione di un’attività da svalutare………………1142.3.11 – IAS 36: Determinazione del valore recuperabile………………..1162.3.12 – IAS 36: Riconoscimento e valutazione della perdita di

valore di una singola attività…………………………………….1182.3.13 – IAS 36: Unità operative che generano flussi di cassa …………..1182.3.14 – IAS 36: Ripristino di valore……………………………………...1192.3.15 – IAS 22: Concentrazioni di aziende ………………………………121

2.3.15.1 – Uniting of interests…………………………………………1212.3.15.2 – Acquisition …………………………………………………122

2.4 – La contabilizzazione dei beni immateriali secondo i principi contabili statunitensi (SFAS 141, SFAS 142) …………………………...124

2.4.1 – La situazione precedente ………………………………………….1242.4.2 – Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 141……………..126

2.4.2.1 – Metodo di contabilizzazione delle business combinations…..1262.4.2.2 – La definizione del concetto di goodwill……………………...1272.4.2.3 – La contabilizzazione del goodwill ….………………………1292.4.2.4 – Definizione, identificazione e contabilizzazione

degli intangibles specifici …………………………………...1302.4.3 – Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 142 …………….132

2.4.3.1 – Contabilizzazione dei beni immateriali specifici ……………132

CAPITOLO III – La valutazione economica degli intangible assets………….…… 135

3.1 – Perché quantificare il valore economico degli intangible assets……….1373.1.1 – Intangibles e stima del valore del capitale economico

d’azienda: un approfondimento…………………………………...140

3.2 – Il processo di valutazione dei beni immateriali…………………………151

3.3 – I metodi di valutazione…………………………………………………..1553.3.1 – L’approccio del costo ……………………………………………..155

3.3.1.1 – La tecnica del costo storico residuale……………………….162a. La scelta dei costi da capitalizzare……………………………..163b. Il fattore di aggiornamento del valore monetario ……………164c. La definizione della vita economica del bene……………….….165d. L’evoluzione del valore nel tempo……………………………...166

3.3.1.2 – La tecnica del costo di rimpiazzo……………………………167a. Procedimenti analitici ………………………………………….169b. Procedimenti sintetici…………………………………………..170

3.3.2 – L’approccio del reddito …………………………………………1723.3.2.1 – Il metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali……..173

a. La determinazione dei flussi rilevanti…………………………..176b. Il procedimento indiretto di determinazione dei

IV

flussi rilevanti…………………………………………………...179c. Il procedimento diretto di determinazione dei flussi rilevanti……………………………………………………188d. La determinazione del tasso di capitalizzazione ……………..189

3.3.2.2 – Il metodo da esenzione da royalties ……………………….1953.3.2.3 – Il metodo del costo della perdita…………………………….199

3.4.3 – L’approccio di mercato …………………………………………2023.3.3.1 – Il metodo dei moltiplicatori …………………………………204

a. Il valore della raccolta nelle banche…………………………...205b. Il valore del portafoglio premi di una compagnia di assicurazione………………………………………………... 208c. La valutazione di testate editoriali………………………......… 210

3.5 – Conclusioni………………………………………………………..……. 212

CAPITOLO IV – Immobilizzazioni immateriali ed intangible assets: evidenze empiriche………………………………………………....215

4.1 – L’indice S&P/MIB e le sue components…………………………….….. 217

4.2 – Incidenza e composizione della voce “Immobilizzazioni Immateriali”……………………………………………………………. 229

4.3 – Il patrimonio netto intangibile…………………………………………..245

4.4 – Effetto dei nuovi principi contabili…………………….……………….. 252

4.5 – Il caso BasicNet S.p.A.: L’acquisizione del marchio K-Way…………....2584.5.1 – La storia e l’attività……………………………..………….…….. 2584.5.2 – La struttura del gruppo……………………………………………2624.5.3 – Il network dei licenziatari…………………………………………2654.5.4 – Aree di espansione e prospettive future…………………………...2674.5.5 – L’operazione: Acquisizione da parte di BasicNet S.p.A.

del marchio K-Way………………………………………………..2684.5.5.1 – Motivazioni e finalità dell’operazione……………………… 2714.5.5.2 – Rischi e commenti relativi all’operazione…………………...2724.5.5.3 – Gli sviluppi dell’operazione…………………………………2764.5.5.4 – Le reazioni di Borsa…………………………………………277

CONCLUSIONI………………………………………………………………………283

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………….. 289

V

INDICE DELLE FIGURE,TABELLE E GRAFICI

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 – Uno schema di individuazione delle risorse intangibili e dei fattori produttivi………………………………….………………………………….4Figura 2 – Dalle risorse immateriali al valore economico…………………………......46Figura 3 – Il modello della concorrenza allargata di Porter………………………..… 48Figura 4 – Le tre strategie competitive di base………………………...………….……55Figura 5 – Prospetto di Stato Patrimoniale attivo: Immobilizzazioni immateriali...... 63Figura 6 – I passi di avvicinamento della UE agli IAS/IFRS………………………….. 86Figura 7 – La struttura dell’International Accounting Standards Board (IASB)………87Figura 8 – I 19 membri della IASC Foundation; ripartizione per aree geografiche….. 87Figura 9 – Composizione del Board……………………………………...……………. 88Figura 10 – La procedura di omologazione dei principi contabili prima e dopo l’introduzione degli IAS/IFRS……………………………………………. 90Figura 11 – Scomposizione del valore di capitale economico di un’azienda…………142Figura 12 – Il processo di valutazione dei beni immateriali…………………...…….. 151Figura 13 – Panoramica del metodo reddituale………………………………………177Figura 14 – Determinazione del margine netto di competenza del bene

immateriale………………………………………………………………184Figura 15 – Determinazione del margine differenziale complessivo………………… 201Figura 16 – Dinamica del valore contabile di un bene con ammortamento a quote costanti o con impairment test …………..…………...…………....257Figura 17 – La struttura del gruppo Basic……………………………………….……262

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1 – Distinzione tra risorse immateriali e risorse intangibili………………...….6Tabella 2 – Possibili classificazioni delle risorse immateriali…………………...…….13Tabella 3 – L’insieme degli intangibles legati al marketing………………………...… 17Tabella 4 – L’insieme degli intangibles legati alla tecnologia…………………...…… 17Tabella 5 – Informazioni aggiuntive richieste dai principi contabili internazionali ed italiani in merito all’area delle attività immateriali…………………..110Tabella 6 – Possibili fonti e segnali di perdita di valore di un’attività……………….115Tabella 7 – Ammontare dell’avviamento contabilmente iscritto nel bilancio di alcune delle principali imprese industriali statunitensi ed incidenza del goodwill sul totale dell’attivo…………………………………….….. 128Tabella 8 – Esemplificazione di alcuni coefficienti applicati nel corso degli anni ’80…………………………………………………………………...209Tabella 9 – Tabella riassuntiva: beni intangibili e modalità di valutazione………….213Tabella 10 – Principali differenze tra MIB 30 e S&P/MIB……………………..…….218Tabella 11 – Le società componenti l’indice S&P/MIB alla data del 1 Agosto 2004...219Tabella 12 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; dati di bilancio consolidato 2002………………………………………. 230Tabella 13 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; dati di bilancio consolidato 2003…………………………….………… 234

VI

Tabella 14 – Composizione media della voce “Immobilizzazioni immateriali” nei bilanci di 256 società quotate……………………………………….243Tabella 15 – Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; bilanci consolidati 2002………………………………..246Tabella 16 – Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; bilanci consolidati 2002……………………………………….……….. 247Tabella 17 – Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; bilanci consolidati 2003…………………….…………249Tabella 18 – Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; bilanci consolidati 2003……………………………………….……….. 250Tabella 19 – Effetto degli ammortamenti dell’avviamento e delle differenze da consolidamento sull’utile aziendale all’interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenenti all’indice S&P/MIB; bilanci consolidati 2002………………………………………...……… 254Tabella 20 – Effetto degli ammortamenti dell’avviamento e delle differenze da consolidamento sull’utile aziendale all’interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenenti all’indice S&P/MIB; bilanci consolidati 2003……………………………...………………… 255Tabella 21 – Fatturato aggregato del licenziatari…………………………..……….. 266Tabella 22 – Importanza dei licenziatari per paese……………………….…………. 266Tabella 23 – Prospetto di conto economico……………………………..…………… 275

INDICE DEI GRAFICI

Grafico 1 – Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2002……………………………….……………….... 238Grafico 2 – Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2002…………………………………………………. 239Grafico 3 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; bilanci consolidati 2002……………………………………...………….. 239Grafico 4 – Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2003……………………………….……………….... 240Grafico 5 – Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all’interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale); bilanci consolidati 2003…………………………………………………. 241Grafico 6 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; bilanci consolidati 2002……………………………………...………….. 241Grafico 7 – Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell’indice MIB TESSILE nel corso del 2004………………………………………………………….... 278Grafico 8 – Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell’indice MIB TESSILE in Febbraio 2004, mese dell’acquisizione del marchio K-Way……………..280Grafico 9 – Grafico a candele giapponesi del prezzo del titolo BasicNet S.p.A. nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’acquisizione……… 280

VII

VIII

IX

INTRODUZIONENel corso degli anni, alle risorse intangibili è stato riconosciuto dalla dottrina

economico-aziendale un ruolo sempre più preminente all’interno del processo di

gestione e di posizionamento strategico delle imprese, indipendentemente dal settore di

appartenenza delle stesse. Come commentano Baccarani e Golinelli, “la formulazione di

proposte a differenziale competitivo da parte delle imprese dipende sempre di più dalle

risorse immateriali”1. L’aumento dell’importanza assunta dagli intangible assets è

testimoniato anche dai sempre più numerosi casi di imprese che fondano il loro stesso

business system sul possesso e sull’utilizzo di questi beni: nel contempo, anche per le

imprese più meramente “industriali”, il peso delle attività immateriali a bilancio è in

continuo aumento. Si pensi, ancora, al divario esistente tra prezzo pagato e valore

contabile nel caso di operazioni di gestione straordinaria, quali fusioni o aggregazioni:

se questo plusvalore dipende in parte dalle prospettive future di redditività dell’azienda

in via di acquisizione, non bisogna comunque trascurare l’impatto che la valorizzazione

di beni immateriali non iscritti a livello contabile ha sulla determinazione del valore

complessivo dell’impresa in questione. Ad evidenza, quindi, accade sempre più spesso

che operazioni aziendali di gestione ordinaria o straordinaria non possano più

prescindere da una completa e attenta valorizzazione del patrimonio intangibile in

possesso dell’azienda: valorizzazione economica che non può essere ricondotta alla

mera considerazione del valore contabile di iscrizione degli intangibles a bilancio. Se si

sono sempre nutriti dubbi in merito alla reale corrispondenza tra valori economici e

valori contabili dei beni iscritti a bilancio, mai come in relazione agli intangible assets

le modalità di contabilizzazione degli stessi sono tanto lontane dal rispecchiare il loro

reale valore economico. La frequente necessità di proporre periodi di ammortamento

forfetari, processi di ammortamento sistematici e altre pratiche contabili obbligatorie,

hanno portato all’ampliamento del divario tra valore economico degli intangibles e

valore contabile degli stessi. A monte, inoltre, vi è persino un problema di rilevante

portata in merito alla stessa identificazione degli intangibles: se tutt’altro che unanime è

l’accordo in merito alla definizione e classificazione degli intangibili a livello dottrinale,

1 Cfr. Baccarani C, Golinelli G.M., L’impresa inesistente: relazioni tra immagine e strategia, in Sinergie,n. 29/1992

X

altrettanto problematica è la definizione di criteri concreti e pratici in base ai quali

identificare i beni in questione. D’altra parte, senza una preliminare e puntuale

identificazione degli stessi, non è nemmeno possibile, successivamente, proporre una

valutazione economica dei beni oggetto di analisi.

Come si può notare, quindi, chiunque debba avere a che fare con la valutazione

o l’identificazione degli intangible assets si troverà a dover affrontare una fitta aura di

incertezza, che non potrà che rendere ancor più complicata l’attività che l’operatore in

questione si accinge a compiere. Sempre più spesso si trovano in questa situazione tutti

quegli operatori che fanno della valutazione delle aziende e della quantificazione del

loro valore economico un punto fondamentale di partenza e di arrivo del loro business:

in special modo, in tal sede, ci riferiamo ai corporate bankers e a tutte quelle banche

d’investimento che hanno come fine istituzionale il supporto e la consulenza ad imprese

nel momento in cui debbano essere intraprese operazioni che richiedano competenze

economiche, finanziarie e contabili altre da quelle presenti all’interno delle aziende in

questione. Ci riferiamo, appunto, ad operazioni di gestione straordinaria, valutazioni di

aziende in caso di cessione o di acquisizioni di partecipazioni, operazioni di venture

finance e tutte quelle operazioni che abbiano come presupposto operativo la valutazione

del capitale economico di un’azienda. I corporate bankers, infatti, si trovano sempre più

spesso, di pari passo con l’aumentare dell’importanza rivestita dalle attività immateriali

all’interno dei vari business aziendali, ad avere a che fare con la valutazione e la

considerazione di intangible assets, spesso depositari di un ruolo chiave all’interno

dell’economicità aziendale.

Proprio in questa direzione, quindi, si situa il nostro lavoro, al fine di individuare

i principali punti critici che dovranno affrontare tutti quegli operatori che si troveranno a

dover valutare beni immateriali e quantificare la loro importanza in termini di valore

economico e redditività per l’azienda che li possiede. Ripercorrendo, quindi, i passaggi

brevemente citati in precedenza, introdurremo di seguito la struttura del lavoro, che si

divide in quattro capitoli.

All’interno del primo, affronteremo tutte quelle problematiche relative alla

identificazione e classificazione delle attività immateriali: problematiche la cui

risoluzione risulta necessaria a monte, prima ancora di intraprendere qualsiasi attività di

XI

valutazione dei beni in questione. A riguardo, innanzitutto, proporremo idee avanzate da

alcuni tra i più importanti esponenti della scuola aziendalistica italiana in merito alla

identificazione delle attività immateriali e alle loro caratteristiche precipue, nonché alla

loro classificazione secondo criteri di volta in volta diversi. Tutto questo al fine di avere

una ampia panoramica in merito all’oggetto della nostra trattazione, circoscrivendo la

trattazione alle attività immateriali che presentino determinate caratteristiche,

individuate dai suddetti autori. Una volta identificate, è necessario introdurre alcune

informazioni in merito alla disciplina giuridica relativa a questi beni: la stessa

giurisprudenza e la disciplina codicistica, infatti, forniscono importanti informazioni in

merito alla classificazione e alla definizione dei beni immateriali, disciplinandone anche

le modalità di utilizzo, la tutela legale e i diritti di pertinenza di coloro che possono

vantare la paternità di questi intangible assets. Successivamente, dedicheremo un

paragrafo alle modalità di formazione degli intangibles stessi: una delle possibili

modalità di classificazione delle attività immateriali, infatti, è basata proprio sulla loro

provenienza; d’altra parte, risulta necessario spendere alcune parole in merito alle

modalità di creazione delle attività immateriali, al fine di poter poi meglio individuare la

loro presenza all’interno del complesso sistema d’azienda. Di seguito, evidenzieremo il

ruolo rivestito dalle attività immateriali all’interno del processo accennato in precedenza

di creazione e mantenimento di un duraturo vantaggio competitivo: se in questo campo

il riferimento alle opere del Porter è d’obbligo, cercheremo di contestualizzare le sue

idee e i suoi schemi all’interno della nostra area d’interesse, focalizzandoci su come le

strategie da lui evidenziate possano essere perseguite facendo leva sulla presenza di beni

immateriali.

Come evidenziato in precedenza, una volta individuati i beni intangibili, sarà

necessario considerare il loro impatto a livello di bilancio: in funzione di ciò, è richiesta

la conoscenza delle modalità di contabilizzazione e di rappresentazione degli stessi.

Diversi principi contabili e prassi contabili non potranno che esplicitarsi in diverse

modalità formali di rappresentazione contabile degli intangible assets, a parità di

situazione sostanziale sottostante. Le direttive comunitarie hanno esercitato nel corso

dell’ultimo trentennio un reale impatto positivo nell’ambito dell’Unione Europea,

avviando un processo di armonizzazione e di conoscenza reciproca delle diverse culture

contabili, pur consentendo agli Stati membri, sostanzialmente, di preservare la propria

XII

tradizione contabile nazionale esistente prima della loro adozione. Conseguentemente,

all’interno degli Stati membri la qualità dell’informazione è migliorata in maniera

sensibile, in un’ottica di maggiore comparabilità ed omogeneità: lo stesso processo si è

esteso a livello globale, sotto la spinta delle necessità delle imprese europee a vocazione

globale, che desiderano raccogliere capitali anche sui mercati internazionali, per lo più

americani. Queste imprese sono obbligate a predisporre a tal fine bilanci paralleli,

redatti con principi contabili per alcuni aspetti molto diversi da quelli applicati in

Europa ed in Italia. In risposta, quindi, alla gravosa e penalizzante necessità di redigere

più serie di conti in funzione del mercato di riferimento, si è assistito negli ultimi anni

all’estensione su scala globale del processo di armonizzazione contabile, concretizzatosi

in una tendenziale convergenza tra i principi Europei – dal 2005 estesi a tutti gli Stati

membri, almeno per quanto riguarda i bilanci consolidati delle società quotate – ed

Americani, in un’ottica di maggiore trasparenza e comparabilità dei valori di bilancio e

di snellimento dei processi di accesso ai mercati internazionali. Al fine di analizzare

questo processo di capitale importanza, all’interno del secondo capitolo abbiamo voluto

trattare le diverse modalità di contabilizzazione ad oggi più diffuse: partendo

ovviamente dai principi contabili italiani, tuttora in vigore per le società italiane, siamo

successivamente passati alla descrizione dei principi contabili internazionali e di quelli

statunitensi. I primi, gli International Accounting Standards (IAS), diventeranno

obbligatori a partire dal 1 gennaio 2005 per i bilanci consolidati delle società quotate su

mercati europei, mentre i secondi, gli US General Accepted Accounting Principles

(GAAP) riguardano le società di diritto americano. Per quanto riguarda gli IAS abbiamo

innanzitutto fornito una breve introduzione del loro impatto futuro e del loro processo di

emissione, data la loro importanza prospettica. Per i secondi, invece, ci siamo limitati a

fornire informazione sui principali dettami relativi alle attività immateriali e

all’avviamento. All’interno degli IAS, il riferimento esplicito è allo IAS 38, relativo alle

attività immateriali, allo IAS 22, relativo alle concentrazioni d’aziende, e allo IAS 36,

relativo alle modalità di calcolo e di individuazione di eventuali perdite di valore dei

beni contabilizzati. Per quanto riguarda i US GAAP, il riferimento è agli SFAS 141 e

142, relativi rispettivamente alle concentrazioni aziendali e alle attività immateriali.

Anche sotto la spinta derivante dall’adozione dei nuovi principi contabili che

fanno del Fair Value uno dei criteri base per la contabilizzazione delle attività tanto

XIII

immateriali quanto tangibili, va assumendo sempre maggiore importanza la valutazione

economica degli intangibles. Il Fair Value è quel valore al quale un bene può essere

acquistato o venduto in una corretta transazione di mercato tra due parti consenzienti.

Tale valore non è inficiato da pressioni esterne e non deve tenere in considerazione

eventuali attese soggettive, eventuali sinergie, la forza contrattuale delle parti e gli

interessi specifici che possono influire nella definizione di un prezzo nell’ambito di una

trattativa tra soggetti indipendenti. Risulta quindi necessario cercare di definire il più

oggettivamente possibile un valore economico per il bene in questione, che possa

fungere da base tanto per le trattative, quanto per le valorizzazioni di bilancio.

Il terzo capitolo è, quindi, relativo alla parte fondamentale del processo

valutativo di un intangible asset, ossia alla concreta quantificazione del suo valore

economico. Dopo aver riservato alcuni paragrafi al fine di fornire informazioni in

merito ai possibili scopi per i quali potrebbe risultare necessario valutare le attività

immateriali, si passa a trattare il processo di valutazione vero e proprio e i diversi

metodi utilizzabili all’interno di tale processo. I metodi in questione sono riconducibili a

tre macrocategorie: i primi fanno riferimento ad un approccio basato sul costo, i secondi

si basano sul reddito prodotto dagli intangibles mentre gli ultimi sono riconducibili a

valori e dati di mercato. Questi ultimi sono i metodi più pratici perché basati sulle

comparable market transactions, ma risultano sovente di difficile applicazione data la

frequente mancanza di dati completi ed esaustivi su multipli o transazioni comparabili. I

metodi basati sul costo sono i più indicati in assenza di attendibili dati sulla resa futura

dell’intangible oggetto di valutazione e per quei beni che non possiedono una diretta

capacità di “cash generation”. Da ultimi, i metodi basati sul reddito prodotto dagli

intangibles sono generalmente i più utilizzati, tenendo conto dei rendimenti attesi futuri

e del grado di rischio a questi associato. Rimandiamo, quindi, al terzo capitolo per una

più approfondita trattazione dei metodi citati.

All’interno del quarto capitolo, infine, cercheremo di invidiare alcune evidenze

empiriche che possano supportare quanto esposto nel corso dell’intero lavoro: al fine di

dimostrare la reale importanza degli intangible assets all’interno della gestione

d’impresa, abbiamo condotto un’indagine che ha coinvolto 40 società quotate ed il loro

bilanci consolidati. All’interno di questi abbiamo guardato il peso rivestito dalla voce

“Immobilizzazioni Immateriali” prima nei confronti dell’attivo di bilancio e poi nei

XIV

confronti del patrimonio netto. Da ultimo, abbiamo analizzato il caso di un’impresa che

basa la propria gestione e la propria condotta strategica sulla presenza al proprio interno

di beni immateriali quali i marchi. Il riferimento è al gruppo Basic e alla capogruppo

BasicNet S.p.A. – azienda quotata in Borsa – , operante all’interno del settore

dell’abbigliamento per lo sport ed il tempo libero, recentemente coinvolta

nell’acquisizione del marchio K-Way. Proprio quest’operazione verrà analizzata nei

suoi particolari, cercando di contestualizzare la stessa all’interno della più ampia

strategia aziendale del gruppo, basata, appunto, sulla valorizzazione e sulla gestione

strategica dei marchi di proprietà.

Per concludere, proporremo qualche riflessione finale sull’intero lavoro e su

come il processo di gestione e valorizzazione degli intangibles non debba essere visto

solo come un passo strumentale ad operazioni di gestione straordinaria fondate sulla

valorizzazione del capitale economico aziendale, ma piuttosto come un processo che

deve far parte della gestione aziendale stessa: l’identificazione, la valutazione

economica, la comunicazione – con strumenti pubblici o meno – e l’esplicitazione del

collegamento tra intangibles e creazione di valore aziendale sono i quattro passi

fondamentali del processo di gestione strategica degli attivi intangibili, reso sempre più

necessario dal fondamentale ruolo giocato dagli intangible assets all’interno del

processo di creazione del valore aziendale e del mantenimento di un duraturo e solido

vantaggio competitivo.

1

CAPITOLO IIdentificazione e classificazione degli intangible

assets

Nel corso del primo capitolo esamineremo alcuni dei principali punti critici che

possono sorgere nel momento in cui si vogliano identificare e successivamente valutare

gli intangible assets. Dopo un primo paragrafo introduttivo, utile al fine di fare

chiarezza in merito alla terminologia utilizzata all’interno del testo, esamineremo i

criteri generalmente riconosciuti ed accettati a livello dottrinale per l’individuazione e

la classificazione degli intangibles: per fare ciò, presenteremo alcuni approcci proposti

da alcuni tra i più importanti studiosi della materia. Dopo aver identificato le principali

tipologie di attività immateriali, presenteremo alcuni cenni in merito alla disciplina

legale di alcuni tra questi, essendo l’identificazione e la gestione degli intangible assets

strettamente legata alla normativa che ne circoscrive lo sfruttamento e la proprietà: a

tal fine, esamineremo la disciplina legale dei marchi e delle opere dell’ingegno, due tra

i più comuni assets intangibili. Il paragrafo successivo tratta l’argomento della

formazione delle attività immateriali: molto spesso, difatti, lo stesso metodo di

creazione di un intangible è una importante discriminante al fine di valutare se

l’attività immateriale in questione è singolarmente individuabile o deve essere fatta

rientrare nel più generale concetto di avviamento: a riguardo, analizzeremo

brevemente le due più comuni forme di creazione di un intangible, ovvero l’acquisto da

terze economie e la creazione in economia, e le loro conseguenze. Da ultimo,

dedicheremo alcuni paragrafi all’analisi della importanza degli intangible assets

all’interno dell’economia d’azienda, in particolar modo dal punto di vista strategico e

competitivo: molto spesso, infatti, il vantaggio competitivo di un’impresa è fondato

sulla presenza stessa di questi assets. Al fine di evidenziare questo ruolo, riprenderemo

alcuni concetti propri della strategia aziendale, in particolar modo i contributi del

Porter a questa materia, riadattandoli ai nostri fini. Al termine del capitolo, quindi,

risulterà maggiormente chiaro l’ambito di nostro interesse e le fondamentali

implicazioni economico-strategiche che la presenza degli intangible assets all’interno

dei bilanci delle aziende possono comportare.

2

3

1.1 – RISORSE INTANGIBILI, BENI IMMATERIALI E IMMOBILIZZAZIONI

IMMATERIALI: DEFINIZIONE E IDENTIFICAZIONE

Per procedere all’analisi delle possibili modalità di classificazione delle attività

immateriali, è preliminarmente necessario fornire una generale visione d’insieme del

sistema produttivo e delle condizioni produttive all’interno delle quali si situano gli

intangibles, scopo della quale è fare chiarezza in merito alla terminologia usata e

all’oggetto del presente lavoro. Partendo dalla più generale definizione di condizioni di

produzione, si arriverà, in conclusione del paragrafo, ad identificare ed isolare gli

intangibles specifici, oggetto di trattazione nel corso del capitolo e nei successivi.

“Le condizioni di produzione sono tutti quegli elementi, modalità, procedure,

circostanze che influenzano, in maniera effettiva o anche solo potenziale, l’attività

aziendale, tanto di consistenza materiale quanto immateriale”2. Se le prime sono di

evidente identificazione, in quanto dotate dell’attributo della materialità e della

tangibilità, le seconde sono tanto di difficile definizione ed identificazione, quanto

importanti per l’economicità e la gestione aziendale. Esse, infatti, sono condizioni

favorevoli allo svolgimento della produzione profondamente diffuse ed incorporate

nell’organizzazione aziendale, nelle persone che ne fanno parte, influenzando anche le

condizioni ambientali esterne che favoriscono la creazione di valore per l’azienda e per

tutti gli stakeholders. Proprio per le problematiche definitorie ad esse associate,

proporremo di seguito uno schema che tenterà di individuare alcune caratteristiche ad

esse proprie, cercando di contestualizzare le stesse risorse immateriali all’interno

dell’economia d’azienda. Quello di condizione produttiva, infatti, è un concetto

generico, dal quale enucleare tramite distinzioni successive, quelli di fattore produttivo

e di risorsa intangibile. A seconda del grado di assoggettamento3 all’azione di governo

del soggetto economico aziendale, si possono distinguere condizioni produttive interne

ed esterne. Nella categoria delle condizioni produttive interne vengono ricomprese tutte

quelle su cui l’organo di governo aziendale può esercitare il suo potere di destinazione

2 Cfr. Antonelli V., Introduzione allo studio del sistema d’azienda, Giappichelli, Torino, 2002.3 Per grado di assoggettamento si intende la possibilità da parte dell’azienda di esercitare un effettivocontrollo sulle risorse stesse, senza dover essere condizionata da esse ma, anzi, condizionandole egestendole a sua volta, in funzione del raggiungimento degli obiettivi aziendali.

4

funzionale in forza di un impiego di fatto o di un titolo giuridico4 che lo permetta. A

loro volta, le condizioni produttive interne possono essere esogene o endogene.

Figura 1 - Uno schema di individuazione delle risorse intangibili e dei fattori produttivi

Le condizioni produttive esogene sono tali se pervengono all’azienda

dall’ambiente esterno ed impiegabili all’interno della stessa una volta acquisite: sono

onerose se negoziabili, esprimibili in termine di valore e generatrici di un onere per la

loro acquisizione o richiedenti una remunerazione entro un termine prefissato; sono

4 Quale la proprietà, un contratto di locazione, di leasing o di affitto.

Condizioniproduttive

Interne

Esterne

Endogene Esogene

Nonidentificabili néquantificabili

Identificabili equantificabili

Onerose Non onerose

Fattoriproduttivi

Risorseintangibili

Beni liberi

Conoscenze

Coesione ededizioneaziendale

Credibilità ei i

Benimateriali

(denaro, merci,terreni,

impianti, ecc…)

Beniimmateriali

(marchi,licenze, brevetti,

software)costruiti in

5

condizioni non onerose, invece, i beni liberi, come il lavoro volontario o le risorse

donate5.

Le condizioni produttive endogene, invece, sono quelle originate all’interno

dell’azienda per effetto di processi di costruzione in economia più o meno preventivati,

organizzati e razionalizzati, in una situazione di simultaneità con lo svolgimento

dell’attività aziendale. Le condizioni produttive appartenenti a questa classe possono

essere più o meno identificabili e quantificabili: per quantificabili si intende la loro

attitudine ad essere espresse per mezzo di indicatori monetari, mentre tramite il

requisito dell’identificabilità si precisa che le risorse in questione non devono essere

tanto pervasive da risultare non definibili con precisione, rimanendo su un piano

meramente astratto, essendo a conoscenza della loro presenza ma non potendo

identificare, appunto, chiaramente i loro effetti.

Per condizioni produttive esterne, invece, si intendono le condizioni d’ambiente

che incidono sulla vita dell’azienda per il solo fatto che questa esiste ed agisce in

determinate situazioni spazio-temporali; sono condizioni, situazioni sulle quali l’azienda

non può fare valere il proprio controllo ma può, eventualmente, arginarle e contenerle,

nel caso producano effetti negativi, o favorirle, nel caso in cui sprigionino benefici

positivi per l’economicità aziendale.

A questo punto, interviene la distinzione più rilevante dell’intero processo

definitorio oggetto di analisi: si definiscono fattori produttivi le condizioni produttive

interne, esogene, onerose – fattori produttivi negoziati sul mercato – e le condizioni di

produzione interne, endogene, identificabili e quantificabili in termini di valore – fattori

produttivi costruiti in economia – cioè tutte quelle condizioni individuabili nella loro

singolarità e quantificabili per mezzo del metro monetario. Solo i fattori produttivi,

infatti, sono pienamente identificabili e potenzialmente separabili dal sistema produttivo

aziendale; essi inoltre sono generalmente trasferibili, vincolabili, remunerabili nella loro

singolarità e, di conseguenza, passibili di misurazione monetaria.

5 Può tuttavia accadere che anche risorse donate o frutto di atti di liberalità siano beni immateriali, anchese questa situazione, come vedremo in seguito, si verifica molto raramente e la contabilizzazione dirisorse in tale modo rese disponibili offre ampi margini di incertezza e di dibattito a livello dottrinale.

6

Le risorse intangibli, invece, sono rappresentate da quelle condizioni produttive

interne, endogene e non identificabili in via separata dal sistema d’azienda né tanto

meno quantificabili in termini di valore6. Si tratta di risorse legate in maniera stretta ai

soggetti che operano all’interno dell’azienda e che gravitano attorno ad essa ma che non

sono vincolabili per mezzo di contratti o altre formalizzazioni che ne stabiliscano tempi

e modi di utilizzo7.

Nella pratica, i termini “risorse immateriali” e “risorse intangibili” vengono

quasi sempre utilizzati come sinonimi, così come espressioni quali “beni immateriali”,

“intangibles”, “invisible o intangible assets”. Qui invece, come esemplificato dalla

tabella proposta di seguito, si sottolinea la differenza tra le due tipologie di risorse,

anche al fine di focalizzare l’attenzione del presente lavoro sull’analisi delle prime.

Tabella 1 - Distinzione tra risorse immateriali e risorse intangibili

Risorse immateriali Risorse intangibili

Condizioni produttive prive di

corporeità

Misurabili in termini monetari

Atte a cedere utilità nel tempo

Identificabili

Trasferibili

(sono fattori produttivi, per esempio

brevetti, licenze, marchi)

Condizioni produttive prive di

corporeità

Non misurabili in termini monetari

Atte a cedere utilità nel tempo

Difficilmente o per nulla identificabili

Difficilmente o per nulla trasferibili

(non sono fattori produttivi, per

esempio esperienze, conoscenze)

6 Mancando, infatti, un prezzo negoziato o un costo sostenuto nel passato, chiaramente identificabili,nella rilevazione di queste “entità” si può, al più, fare riferimento al costo di acquisizione o produzione dialcuni fattori produttivi indirettamente collegati al processo di formazione, accumulo e consolidamentodelle risorse considerate. Si pensi, ad esempio, al caso della valorizzazione di un determinato know-howproprio di un gruppo di dipendenti, al massimo approssimabile con un’eventuale costo sostenuto perl’approntamento di un corso per mezzo del quale siano state comunicate queste conoscenze ai dipendentistessi.7 Queste risorse sono, in concreto, il risultato del comportamento degli individui appartenenti al sistemaaziendale, intesi tanto come singoli, quanto come collettività organizzata: possono essere sostanzialmenteindividuati nelle loro conoscenze specifiche, abilità, creatività, impegno, motivazione, coesione,dedizione, cultura, esperienza, fiducia e credibilità guadagnate nel corso del tempo. Si tratta, in sostanza,di entità coese con il tutto nel quale sono ricomprese, e per questo non valutabili singolarmente. Per unatrattazione più specifica di queste risorse cfr. Vicari S., Invisible asset e comportamento incrementale, inFinanza, Marketing e Produzione, n. 1/1989.

7

Le immobilizzazioni immateriali, invece, sono una classe di valori di capitale

inclusa nel lato dell’attivo del prospetto di bilancio di Stato Patrimoniale: gli elementi

attivi di capitale, infatti, sono classificati in funzione del tipo di utilità che cedono alla

gestione aziendale, distinguendo al loro interno quelle dotate di materialità da quelle

prive di questo attributo, tra elementi di capitale fisso ed elementi di capitale circolante

in funzione della prevista permanenza dell’attività in questione all’interno dell’azienda.

Senza addentrarci ulteriormente nelle possibili ripartizioni degli elementi di capitale,

focalizziamo la nostra attenzione sulla categoria proposta: appartengono alle

immobilizzazioni i beni, materiali ed immateriali, avvinti all’azienda in maniera

permanente e indispensabili al processo produttivo, mentre rientrano nelle disponibilità

quei fattori che potrebbero essere agevolmente distratti dalla loro destinazione senza

provocare, per questo stesso motivo, l’interruzione dell’attività aziendale.

Le immobilizzazioni immateriali, dunque, corrispondono ai fattori produttivi a

utilità immateriale – cioè alle risorse immateriali, secondo il criterio di classificazione

proposto in precedenza – identificabili e quantificabili, che, dal punto di vista

qualitativo, fanno parte integrante della struttura aziendale, non potendo essere distolti

da essa; dal punto di vista quantitativo, possono vantare un valore, più o meno

congetturato o attendibile, che rispecchia o il loro costo di produzione/acquisto o i

prevedibili flussi futuri potenzialmente conseguenti alla loro presenza ed al loro utilizzo.

8

1.2 – CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DEI BENI IMMATERIALI

Nella letteratura aziendalistica di matrice italiana è stato più volte trattato

l’argomento dell’identificazione e conseguente valutazione delle attività immateriali

possedute da un’impresa, al fine di evidenziarne il reale valore economico, molto spesso

non adeguatamente illustrato dal mero valore contabile. Se esiste un generale accordo in

merito all’importanza che queste risorse rivestono all’interno dell’economia d’azienda,

non altrettanto può dirsi relativamente alle metodologie di valutazione e di calcolo

dell’effettivo valore sprigionato dalla loro presenza e dal loro utilizzo. Come vedremo

in seguito, difatti, sono molteplici i metodi adottati per condurre queste valutazioni e

non sembrano esistere particolari convenzioni o accordi operativi grazie ai quali

associare ad ogni singola tipologia di bene, il metodo di valutazione più opportuno.

A questa incertezza in merito alla possibilità di fornire stime attendibili e

condivise da più operatori del valore di un bene immateriale, si aggiunge un’ulteriore

alea di scarsa chiarezza in merito alla individuazione di criteri atti ad identificare e

definire concretamente i beni immateriali. A causa della pervasività che

contraddistingue le risorse intangibili, queste sono difficilmente individuabili all’interno

dell’unitaria gestione d’impresa e, di conseguenza, è altrettanto complicata la loro

valutazione e l’esplicitazione di un nesso di causalità tra i flussi considerati e la

presenza degli intangibles. Nel corso degli anni, soprattutto a partire dalla fine degli

anni ’80, si è tentato di sviluppare l’argomento dell’individuazione e conseguente

valutazione dei beni immateriali, cercando di fornire alcuni criteri e requisiti che i vari

intangibles dovrebbero soddisfare per essere considerati tali. Questo tema, infatti, è

stato sviluppato da più autori italiani, fornendo contributi che spaziano all’interno del

più generale ambito dell’economia d’azienda, dal marketing alla strategia aziendale,

dalla finanza aziendale alle teorie organizzative. Proprio per l’ampio numero di

contributi offerti all’analisi della definizione e della valutazione degli intangible, risulta

preliminarmente necessario tentare di trovare un accordo in merito ai requisiti che questi

devono rispettare, anche al fine di circoscrivere l’ambito di analisi del presente lavoro.

A riguardo, a nostro avviso, è fondamentale il contributo offerto da Brugger,

nella sua pubblicazione “La valutazione dei beni immateriali legati al marketing e alla

9

tecnologia”8, all’interno della quale viene proposto un primo tentativo di classificazione

dei beni immateriali: proposta che, data la sua autorevolezza e coerenza logica, tutt’ora

viene spesso presa come riferimento al fine di identificare con precisione le risorse

immateriali.

Secondo l’autore, affinché sia possibile identificare un intangible, è necessario

che questo soddisfi tre ordini di requisiti:

Deve essere oggetto di un significativo flusso di investimenti

Deve essere all’origine di benefici economici differenziali futuri di entità

apprezzabile

Deve essere trasferibile, almeno idealmente

La prima caratteristica può essere verificata esaminando la struttura degli

investimenti dell’impresa, per accertare la rilevanza degli impieghi di risorse a favore di

tutte quelle attività che dovrebbero, almeno in linea teorica, portare allo sviluppo di un

bene immateriale. Gli investimenti sostenuti non dovranno essere semplici spese

inerenti generali attività di ricerca, promozionali o di sviluppo, ma sarà necessario che

questi siano riconducibili ad uno specifico bene immateriale, rendendo evidente il nesso

di causalità esistente tra lo sviluppo di questo e i costi affrontati.

Unendo il primo requisito proposto con il secondo, è possibile qualificare gli

intangible come investimenti in atto: se per investimento si fa riferimento ad

“un’operazione che comporta un sacrificio iniziale di risorse, in cambio della

formazione futura di nuove (e possibilmente accresciute) risorse”9, risulta evidente il

fatto che possano essere qualificati come tali i beni immateriali, per la disponibilità dei

quali sono state sostenute spese ben identificabili di competenza di esercizi precedenti e

a fronte delle quali ci si attende un ritorno in termini di benefici economici futuri attesi

tale da soddisfare le attese di remunerazione derivanti dagli investimenti sostenuti.

Questi benefici futuri, generalmente, possono essere quantificati per mezzo dell’analisi

differenziale, cercando di osservare i risultati di mercato ed identificare le componenti

degli stessi che possono essere riferibili all’esistenza e all’effettiva operatività del bene

8 Cfr. Brugger G., La valutazione dei beni immateriali legati al marketing e alla tecnologia, in Finanza,Marketing e Produzione, n. 1/1989, pp. 33 e ss.9 Cfr. Brugger G., op.cit.

10

immateriale: componenti che non avrebbero ragione di esistere nel caso in cui l’azienda

non potesse vantare la disponibilità del bene immateriale oggetto di analisi10. In alcuni

casi, però, si potrebbe verificare l’ipotesi di un difficile apprezzamento

dell’investimento in funzione dei suoi risultati futuri – mancando la possibilità di

individuarli puntualmente e procedere ad una loro verifica – potendo limitarsi solamente

alla considerazione dei costi sostenuti in passato per la realizzazione del bene11: in

questo caso, pur venendo apparentemente meno il requisito in esame, il bene potrebbe

comunque essere considerato “bene immateriale” e non mera “risorsa intangibile”12,

essendo esprimibile il valore stesso del bene tramite l’opportuna individuazione dei

costi sostenuti e la loro elaborazione al fine di tenere in considerazione lo stato di usura

del bene, la sua perdita di utilità e l’eventuale correzione dei costi sostenuti per mezzo

di adeguati indici monetari per tenere in considerazione il momento di sostenimento

degli stessi. Il criterio in questione, infatti, si tramuta concretamente nella necessaria

misurabilità del valore del bene immateriale stesso, qualsiasi sia il metodo utilizzabile

purché dotato della necessaria attendibilità e precisione.

Il terzo requisito individuato dall’autore è quello della trasferibilità, o comunque

della fruibilità separata. Proprio questo concetto è quello che, nella maggior parte dei

casi permette la concreta individuazione dei singoli beni immateriali: si tratta, infatti, di

un aspetto importante per decidere se si è in presenza di un elemento patrimoniale

dotato di una propria autonomia, come avviene più frequentemente nel caso dei beni

materiali, o se non sia possibile separare questo valore dal più generale contesto

d’impresa in funzionamento. Ovviamente, la trasferibilità in questione è da valutare in

relazione alle comunque esistenti difficoltà associate al trasferimento di un bene

immateriale, anche se nel corso del tempo si sono sempre più frequentemente sviluppati

accordi contrattuali e casi concreti per mezzo dei quali sfruttare economicamente il

10 Si pensi, ad esempio, alla possibilità che da investimenti compiuti a favore dello sviluppo e delladiffusione di un marchio derivino un certo differenziale di prezzo rispetto ai prodotti omogenei in terminidi caratteristiche dei concorrenti ed un certo differenziale di volume: questi dovrebbero permettere dicalcolare i margini incrementali derivanti da questi impieghi di risorse e proprio su questo principio sibasa il metodo di valutazione fondato sull’attualizzazione dei risultati differenziali, ampiamente trattatonei successivi capitoli.11 E’ su questo presupposto che si basano i procedimenti valutativi basati sul principio del costo.12 Come definito all’interno del capitolo 3, esaminando i metodi valutativi basati sui costi sostenuti.

11

requisito in questione13. Il requisito in esame, inoltre, consente a volte la selezione di

fronte a fattori convergenti, come per esempio, nel caso del marketing, le quote di

mercato: queste, difatti, non sono singolarmente trasferibili e pertanto non dovrebbero

essere considerate un bene immateriale; al contrario, sono trasferibili i prodotti, i

marchi, le strutture di vendita, entità alle quali sono riconducibili le specifiche quote di

mercato. I fattori che non possono vantare questa relativa autonomia, rappresentano, per

così dire, un “residuo” sinteticamente esprimibile in termini di capacità di

organizzazione ed imprenditoriale che è all’origine del più generale valore di

avviamento in senso proprio, inteso come voce individuata in maniera residuale dopo

aver enucleato tutti beni singolarmente identificabili. Il requisito della trasferibilità,

infine, è soddisfatto anche nel caso in cui il passaggio del bene debba essere condotto

insieme ad altri beni, di entità e valore limitati, ma che costituiscono il necessario

corredo pratico alla presenza del bene. Raramente, difatti, sono trasferibili conoscenze

senza il contestuale passaggio di supporti materiali o tecnici, da utilizzare in via

complementare all’intangible in sé e per sé. Il requisito in esame rappresenta uno dei

principi più innovativi e seguiti introdotti dall’analisi di Brugger, rispondendo alla

necessità di proteggere il soggetto preposto alla valutazione dal rischio, molto frequente

in questo campo, di sovrapposizioni e di duplicazioni.

13 Si pensi, a riguardo, ai contratti di franchising, alle licenze e al pagamento di royalty. Sul presuppostodella trasferibilità e della fruibilità separata si basa concretamente il criterio di valutazione fondatosull’esenzione da royalty, ampiamente analizzato in seguito.

12

1.3 – CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI BENI IMMATERIALI

Dopo aver fornito informazioni in merito ai criteri per mezzo dei quali vengono

usualmente identificate le attività immateriali e distinte le stesse dal più generale

concetto di avviamento d’impresa, voce residuale e comprendente tutto ciò che non

risponde ai requisiti analizzati in precedenza, risulta importante, delineare quali sono le

possibili classificazioni generalmente accettate per gli intangibles.

Dopo aver condotto un importante sforzo in sede di definizione, come ricordato

in precedenza, fase non priva di contrasti e di opinioni discordanti provenienti da diversi

autori, nella letteratura inerente l’argomento si sono succedute diverse tipologie di

classificazione, in funzione dei criteri di volta in volta considerati. Nella tabella

proposta di seguito14, si tenterà di riassumere i criteri di classificazione generalmente

accettati e le diverse tipologie di risorse immateriali così ottenute per poi procedere ad

una loro breve descrizione. La schematizzazione proposta non può che peccare in

termini di sistematicità e di precisione, essendo possibili molteplici soluzioni diverse,

tutte esposte al rischio di duplicazioni e sovrapposizioni, a causa dell’incertezza che è

strettamente associata anche al momento dell’individuazione delle singole risorse

intangibili.

I criteri proposti, inoltre, derivano da opere e da proposte operative relative a

ambiti diversi, in quanto finalizzate all’individuazione di ben precise classi, in via

strumentale a differenti obiettivi di analisi: alcuni dei criteri proposti, difatti, sono

individuati in un’ottica prettamente contabile mentre altri sono frutto di elaborazioni più

che altro teoriche da parte di autori che non hanno voluto focalizzare la loro attenzione

sull’aspetto meramente economico dell’intangible, quanto piuttosto sul ruolo che questo

riveste nell’organizzazione e nell’economia d’azienda. Ad ogni modo, riteniamo che la

classificazione proposta possa essere estremamente utile come corredo ai criteri

definitori rilevati in precedenza al fine di porre in evidenza le distinzioni formulate da

autori che hanno approfondito le seguenti tematiche, ben consci della relatività delle

distinzioni individuate in parte frutto della sinteticità con la quale le stesse sono

riportate.

13

Tabella 2 - Possibili classificazioni delle risorse immateriali

Criterio Classi

Fonte(Brugger)

Genesi(Itami, Vicari)

Oggetto(Renoldi)

Modalità di acquisizione

Durata

Utilità

Iscrivibilità a bilancio

Trasferibilità o separabilitàdall’impresa(Guatri)

Risorse individuabili legate allatecnologiaRisorse individuabili legate almarketingRisorse individuabili legate al fattoreumanoRisorse derivanti da autorizzazioni econtratti

Risorse interneRisorse esterne

DirittiProprietà intellettualiRelazioni aziendaliPortafoglio prodotti

Risorse acquisite da terze economieRisorse autoprodotte dall’impresa

Risorse con durata limitataRisorse con durata indeterminata

Risorse di attivazioneRisorse strutturali

Risorse iscrivibili a bilancioRisorse non iscrivibili

Risorse specifiche autonome cedibiliRisorse specifiche autonome noncedibili

Secondo la distinzione proposta da Brugger, a nostro avviso quella più articolata

e funzionale alla significativa individuazione di gruppi distinti di attività immateriali,

vengono individuate tre tipologie di risorse: quelle legate alla tecnologia, quelle legate

al marketing e quelle legate al fattore umano. Giova precisare che un prerequisito

14 Ns. elaborazioni da Fellegara A.M., I valori delle immobilizzazioni immateriali nelle sintesi diesercizio, Giuffrè Editore, Milano, 1995.

14

comune a tutte le categorie proposte all’interno di questo primo criterio di

classificazione è la individuabilità delle risorse in questione e la potenziale separabilità

delle stesse dal sistema dell’impresa.

Le risorse afferenti al primo gruppo sono costituite dalla dotazione di tecnologia

disponibile e da quella potenziale, incorporata in diritti o contratti – brevetti – o coperta

da segreto aziendale se non altrimenti tutelabile. Si tratta appunto di tutto quel know

how che fa parte della cultura d’impresa e ne permea l’operare, tanto più importante

quanto più l’azienda opera all’interno di settori dinamici o ad alto contenuto

tecnologico, nei quali l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo rivestano un ruolo

particolarmente importante.

Sono invece riferibili al nucleo delle risorse intangibili legate al marketing tutte

quelle risorse che scaturiscono dalle relazioni che l’azienda intrattiene con i soggetti che

con essa interagiscono, generalmente riconducibili alla reputazione aziendale, al

marchio dei prodotti e all’immagine associata alla qualità dei prodotti stessi.

Il terzo gruppo, infine, comprende tutte quelle risorse riferibili alla formazione,

all’esperienza, all’impegno e alla fedeltà dei prestatori di lavoro, a tutti i livelli della

struttura organizzativa, tanto intesi in relazione a singoli individui, quanto relativi a più

ampi gruppi organizzati.

Il secondo criterio proposto è riconducibile all’analisi della provenienza delle

risorse in questione. In base al criterio cosiddetto della “genesi”, infatti, si possono

distinguere le risorse interne da quelle esterne. Le prime sono frutto di informazioni di

derivazione aziendale, informazioni interne all’organizzazione costituita dall’impresa e

sfruttate dalla stessa; le seconde, invece, sono l’elaborazione di informazioni e relazioni

intercorrenti con l’ambiente esterno, utili per migliorare il posizionamento competitivo

dell’azienda stessa.

Maggiormente rilevante, invece, è il criterio proposto da Renoldi, distinguendo i

beni immateriali in base all’oggetto. Si configurano, in tal senso, quattro classi: i diritti,

le proprietà intellettuali, le relazioni aziendali e il portafoglio prodotti.

All’interno del primo gruppo rientrano tutti quei diritti che, di origine

contrattuale, permettono l’utilizzazione di un determinato bene, che sia o che non sia di

15

proprietà . Entro questo gruppo viene generalmente ricompresa una casistica quanto mai

ampia, includendo il frutto di tutti quei contratti che, fornendo un insieme di condizioni

favorevoli per l’impresa, economicamente rilevanti e qualificabili, racchiudono in se un

valore immateriale. Si tratta, ad esempio, dei marchi e del relativo diritto a farne uso,

essendo protetti a livello legale da eventuali imitazioni; dai brevetti, un diritto

giuridicamente tutelato per mezzo del quale il titolare si riserva, in via esclusiva, la

facoltà di poter disporre di una sua invenzione, inibendone a chiunque non sia

espressamente autorizzato, l’utilizzo; o ancora, i diritti d’autore, derivanti dalla

creazione di un’opera dell’ingegno e finalizzati alla relativa tutela.

Viene considerato all’interno del gruppo relativo alla proprietà intellettuale

dell’azienda quell’insieme articolato di valori immateriali, anch’essi suscettibili di

identificabilità, che non possono vantare, a differenza dei beni appena esaminati, un set

di diritti tutelati dalla legge o generati in sede contrattuale. Tali beni, infatti, traggono il

loro valore da conoscenze ed informazioni esclusive, che per il vantaggio competitivo e

le relative potenzialità di reddito che procurano all’impresa, vengono gestite da

quest’ultima con riservatezza, allo scopo di impedirne l’indebita appropriazione da parte

di concorrenti. Si possono ricondurre a questa categoria di beni le informazioni e le

conoscenze riservate, o le conoscenze modificative di beni già esistenti non brevettabili.

Tra la prima categoria, ad esempio, possono essere comprese le banche dati possedute

da un’azienda o le liste di informazioni personali relative ai clienti, a patto che siano

all’origine di vantaggi economici per l’impresa tali da giustificarne la segretezza e il

relativo valore sia dipendente dal fatto che questi siano sconosciuti a soggetti esterni

all’azienda.

All’interno della categoria delle relazioni aziendali si possono ricondurre in linea

di principio, gli svariati rapporti e collegamenti che l’impresa instaura con l’ambiente

esterno: i casi più importanti, a riguardo, sono sicuramente il portafoglio clienti,

espresso in termini di fedeltà e numerosità degli stessi, le reti di vendita e i rapporti tra

l’impresa ed i propri intermediari commerciali. Molto spesso, però, è estremamente

labile la distinzione tra queste entità e la forza di un marchio, tanto da ricomprendere le

sfaccettature qui evidenziate all’interno della più generale valutazione di una marca o di

un prodotto.

16

Da ultimo, Renoldi individua il portafoglio dei prodotti, allorquando sia

possibile individuare il contributo che ciascuna linea di prodotto è in grado di garantire

alla redditività aziendale e altrettanto determinabile, sia in una logica differenziale,

l’utilità che queste rilasciano nel corso degli anni all’azienda, al netto degli extracosti

necessari per il mantenimento delle linee stesse.

A nostro avviso, la classificazione qui proposta, lascia aperti molteplici margini

di dubbio, dato che non sembra essere verificata la condizione di mutua esclusività tra le

categorie individuate, essendo estremamente difficoltoso il puntuale inserimento di ogni

singolo asset all’interno di un’unica categoria.

Gli altri due criteri di definizione derivano dall’esperienza pratica e dalla

concreta gestione delle attività immateriali stesse, più che da contributi teorici ed analisi

sul tema: in base a questi, infatti, si ripartiscono le attività immateriali tra quelle

autoprodotte e quelle acquisite da terze economie, in base alla loro modalità di

formazione15, e tra quelle che presentano una durata dei vantaggi economici determinata

dalla legge o da vincoli contrattuali e quelle che, invece, offriranno benefici economici

all’azienda per un periodo di tempo illimitato o comunque non facilmente

determinabile. Anche i due criteri successivi risultano di immediata comprensione: in

base al criterio dell’utilità, si possono individuare le risorse di attivazione, generalmente

acquisibili dal mercato e quindi esogene, che esauriscono la propria utilità in un unico

processo o ciclo produttivo, e le risorse strutturali, ovvero condizioni produttive che

manifestano la propria utilità in molteplici cicli produttivi, indipendentemente dalla loro

provenienza originaria. Il criterio della iscrivibilità a bilancio, invece, si basa sulla

possibilità di inserire nel bilancio d’impresa o meno le attività immateriali, in funzione

della rispondenza delle caratteristiche peculiari delle stesse ai criteri individuati dai

principi contabili, come analizzato più ampiamente nel capitolo dedicato a

quest’argomento.

Da ultimo, risulta interessante spendere qualche parola in merito al

procedimento di classificazione proposto da Guatri16, non limitato al semplice rispetto

del principio di separabilità dall’impresa: l’autore, in primis, come sottolineato

15 In merito, cfr. il paragrafo successivo.

17

all’interno della tabella proposta in precedenza, distingue le risorse immateriali in base

alla loro effettiva separabilità e trasferibilità dal più generale complesso d’impresa,

ripercorrendo in parte il sentiero teorico già tracciato dal Brugger. Secondariamente,

riconoscendo l’inutilità del tentativo di scomporre gli intangibles in molteplici classi,

essendo troppo elevato il rischio di sovrapposizione tra le stesse, Guatri suggerisce di

limitarsi a inserire i beni immateriali in due categorie: gli intangibles di marketing e gli

intangibles legati alla tecnologia, sulla base della ripartizione effettuata all’interno delle

seguenti tabelle:

Tabella 3 - L'insieme degli intangibles legati al marketing

Nome e logo della

società

Denominazione dei

marchi

Insegne

Marche secondarie

Idee pubblicitarie

Strategie di

marketing

Garanzie sui prodotti

Grafica

Idee promozionali

Sforzo di pubbliche

relazioni

Design delle etichette

Design

dell’imballaggio

Registrazione dei

marchi

Tabella 4 - L'insieme degli intangibles legati alla tecnologia

Tecnologia

Know-how

produttivo

Progetti di ricerca e

sviluppo

Brevetti

Segreti industriali

Design / Styling

Software

Database

16 Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano, ult.ed.

18

Al limite, è possibile evidenziare una terza classe individuabile in via residuale,

oltre alle due citate in precedenza, che contenga tutti quegli intangibles legati alle

conoscenze, alle capacità, alle autorizzazioni, esistendo, infatti, intangibles non

collegabili direttamente né al marketing né alla tecnologia17. Anche se permangono

dubbi in merito all’utilizzo di riferimenti estremamente generici quali “le conoscenze” o

“le capacità”, risulta opportuno inserire questa terza categoria non tanto per includere

beni definibili in senso positivo – evidenziano ciò che sono – ma, al contrario, inserendo

tutti quelli non definibili come “legati al marketing” o “legati alla tecnologia”. Guatri,

infine, introduce il criterio della dominanza al fine di evitare il rischio di

sovrapposizioni tra i beni individuati, nel caso in cui i valori degli intangibles appaiano

legati, talvolta in maniera inestricabile, sia al marketing, sia alla tecnologia: tale criterio,

riconoscendo che esistono beni immateriali diversi collocati con vario peso lungo tutta

la catena del valore e compresi tra i due estremi ben identificati in precedenza –

intangibles di marketing, da un lato, e intangibles legati alla tecnologia, dall’altro –

afferma l’opportunità di stimare i beni immateriali facendo riferimento ai metodi

adottati per l’una o per l’altra classe, in funzione della prevalenza dell’uno o dell’altro

profilo.

Come si può apprezzare dalla breve disamina condotta in merito ai criteri in basi

ai quali è possibile classificare gli intangibles, appare a nostro avviso evidente come il

criterio più importante sia quello fornito da Brugger ed esposto per primo all’interno

della lista: questa metodologia di classificazione appare molto completa, avendo il

pregio di individuare quattro classi in senso positivo, senza dover ricorrere ad ulteriori

voci, evidenziate in via residuale. D’altra parte, una classificazione tanto rigorosa

potrebbe, in un campo tanto dinamico quale è quello dei beni immateriali, portare al

rischio di forzature, al fine di inserire in una delle classi individuate anche intangibles la

cui appartenenza ad una classe piuttosto che ad un'altra non appare ben chiara.

17 In tal senso, Guatri cita come esempi di possibili beni immateriali appartenenti a questa classeeventuali autorizzazioni governative per lo svolgimento dell’attività o la testata di un quotidiano.

19

1.4 – DISCIPLINA LEGALE DEI MARCHI

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi di un’impresa. Esso è

disciplinato sia dall’ordinamento nazionale18 sia da quello comunitario19 ed

internazionale20. Tali normative, imperniate sull’istituto della registrazione del marchio,

riconoscono al titolare del marchio, rispondente – come vedremo – a determinati

requisiti di validità, il diritto all’uso esclusivo dello stesso, permettendo così che il

marchio assolva la sua funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti

similari esistenti sul mercato.

1.4.1 – Requisiti di validità del marchio

Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve rispondere a determinati

requisiti di validità: liceità, verità, originalità e novità.

Il marchio, infatti, non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine

pubblico o al buon costume; stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali,

segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale21.

18 Il marchio nazionale è regolato dagli artt. 2569-2574 c.c. e dal r.d. 21-6-1942, n.929 (“LeggeMarchi”), modificati in più punti in attuazione di direttive comunitarie di armonizzazione e di accordiinternazionali in materia.19 Al marchio nazionale, cui circoscriveremo l’esposizione in questa sede, si è di recente affiancato ilmarchio comunitario, istituito con il regolamento CE, n. 40/94, del 20-12-1993. La relativa disciplinaconsente, in sostanza, di ottenere con un’unica procedura un marchio unico, unitariamente regolato etutelato in tutti i paesi dell’Unione Europea.20 Il marchio internazionale è a sua volta disciplinato da due convenzioni internazionali: la Convenzioned’Unione di Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale e l’Accordo di Madrid del 1891sulla registrazione internazionale dei marchi, recentemente integrato dal Protocollo di Madrid del 1989. Adifferenza del marchio comunitario, il marchio internazionale non è un marchio unico: le relativeconvenzioni consentono solo di semplificare le procedure per accedere alla tutela del marchio nei singoliStati Aderenti, secondo le rispettive discipline nazionali.21 A tutela dell’altrui diritto all’immagine, è altresì fatto divieto di utilizzare come marchio l’altrui ritrattosenza il consenso dell’interessato o, dopo la morte di questi, degli eredi. Per quanto riguarda, invece, latutela dell’altrui diritto al nome, è oggi introdotta un’opportuna distinzione fondata sulla diversa capacitàattrattiva che il nome può avere. Se si tratta di persona che ha acquisito notorietà, è necessario il consensodell’interessato o dei suoi eredi, s si vuole usare come marchio il nome della stessa o anche lopseudonimo. Per le persone non note, resta invece ferma la regola originaria: il nome altrui può essereinserito nel marchio anche senza il consenso dell’interessato, purché l’uso non sia tale da ledere la fama,il credito o il decoro dell’avente diritto al nome. L’Ufficio Brevetti ha tuttavia la facoltà di subordinare laregistrazione al consenso dell’interessato.

20

Il principio della verità vieta di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il

pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei

prodotti o dei servizi.

Per assolvere alla sua funzione, inoltre, il marchio deve essere originale. Deve

cioè essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati

fra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato22. E’ infine possibile usare

come marchio denominazioni generiche o parole di uso comune modificate o combinate

fra loro in modo fantasioso. In questi casi, però, la capacità distintiva del marchio è

affidata alla modificazione o alla combinazione di fantasia e solo entro tali limiti il

titolare del marchio è tutelato contro l’altrui imitazione. Il marchio è perciò definito

marchio debole e basteranno lievi modifiche o aggiunte per escludere la confondibilità

con altri marchi. Si definiscono, all’opposto, marchi forti, quelli dotati di accentuata

capacità distintiva e sono tali, in genere, i marchi di pura fantasia. Per tali marchi,

modifiche anche notevoli non basteranno ad evitare la contraffazione23.

Ultimo dei requisiti di validità del marchio è la sua novità. E’ questo un profilo

ulteriore della capacità distintiva del marchio, complementare ma distinto rispetto

all’originalità. A riguardo, l’attuale legge marchi introduce una distinzione fra marchi

ordinari e marchi celebri. Per i primi la regola è che non sono nuovi i segni che

possono determinare un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche

in un rischio di associazione fra i due segni, perché si tratta di segni identici o simili ad

un segno già noto come marchio, ditta o insegna di un altro imprenditore concorrente o

comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini. Il rapporto

di affinità fra prodotti non è però necessario se il marchio già registrato è diventato un

marchio celebre. Infatti, è ex lege non nuovo anche il marchio confondibile da altri

successivamente utilizzato per prodotti o servizi non affini, se chi lo usa è in grado di

trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o

recare pregiudizio agli stessi.

22 Il legislatore predetermina i tipi di segni privi di tale capacità distintiva: a) le denominazioni generichedel prodotto o del servizio o la loro figura generica; b) le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali,delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto; c) i segni divenuti di uso comune nellinguaggio corrente. La ratio di questi divieti è quella di impedire l’acquisto di posizioni di monopolio susimboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto.23 La distinzione in concreto fra marchi deboli e marchi forti non è però sempre agevole e si possonoanche verificare casi in cui un marchio inizialmente dotato di scarsa capacità distintiva diventi poi “forte”a seguito dell’uso che ne è stato fatto e della sua notorietà presso il pubblico.

21

Rispettati i requisiti di validità del marchio, la fantasia dell’imprenditore può

liberamente esprimersi nella composizione dello stesso. Possono, infatti, essere

utilizzati come marchi tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati

graficamente24.

Il difetto dei requisiti fin qui esposti comporta la nullità del marchio, che può

riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato.

Sono tuttavia previste due significative eccezioni:

a. La nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarata quando

chi ha richiesto la registrazione non era in mala fede ed il titolare del marchio

anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni. E’ questo l’istituto della

convalida del marchio.

b. La nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata

quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva

prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità.

1.4.2 – Il marchio registrato

Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità indicati nel paragrafo

precedente ha diritto all’uso esclusivo del marchio prescelto o creato. Il contenuto del

diritto sul marchio e la relativa tutela sono però sensibilmente diversi a seconda che il

marchio sia stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi25.

Cominciamo dal marchio registrato, che può essere ottenuto non solo dall’imprenditore

che intende utilizzarlo direttamente nella propria impresa, ma anche da chi si proponga

24 A riguardo si è soliti fare la seguente distinzione: il marchio può essere costituito da sole parole(marchio denominativo) o esclusivamente da figure lettere, cifre, disegni, o colori (marchio figurativo).Può essere composto da una mix di entrambi gli strumenti (marchio misto) oppure dalla semplice formadel prodotto, dalla confezione dello stesso (marchio di forma).25 La registrazione nazionale è poi presupposto per poter estendere la tutela del marchio in ambitointernazionale, attraverso la successiva registrazione presso l’Organizzazione Mondiale per la ProprietàIndustriale di Ginevra. Il deposito della domanda di registrazione in uno degli Stati aderenti all’Unione diParigi del 1883 attribuisce al depositante la facoltà di presentare, entro sei mesi, domanda di registrazioneper lo stesso segno in ciascuno degli Stati unionisti; domanda i cui effetti retroagiscono alla data dellaprima domanda. Il depositante è perciò protetto per il periodo di sei mesi contro il pericolo che unconcorrente depositi domanda per lo stesso marchio in altri Stati unionisti. Per il marchio comunitario,invece, la registrazione è indipendente da quella nazionale. La registrazione, effettuata presso l’Ufficioper l’Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) di Alicante (Spagna) produce gli stessi effetti in tuttal’Unione Europea.

22

di utilizzarlo in altre imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo

consenso26.

La registrazione attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo27

dello stesso su tutto il territorio nazionale ,quale che sia l’effettiva diffusione territoriale

dei suoi prodotti. In particolare, il titolare di un marchio registrato può impedire a terzi

di mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio

marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità quando ciò possa determinare un

rischio di confusione per il pubblico. Il diritto di esclusiva sul marchio registrato,

inoltre, copre non solo i prodotti identici ma anche quelli affini, qualora possa

determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Nel caso di marchi celebri,

tuttavia, si è avvertita la necessità di estendere l’ambito di tutela dei marchi stessi,

impedendo l’uso degli stessi anche per prodotti non affini: con la riforma del 1992,

infatti, la tutela dei marchi celebri è stata svincolata dal criterio dell’affinità

merceologica. Il titolare di un marchio registrato rinomato può infatti vietare a terzi di

usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini,

quando l’uso del segno senza giustificato motivo consenta di trarre indebitamente

vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio in questione o rechi

pregiudizio allo stesso.

La registrazione nazionale dura dieci anni ed è rinnovabile per un numero

illimitato di volte, sempre con efficacia decennale. La registrazione, quindi, assicura una

tutela pressoché perpetua, salvo che non sia successivamente dichiarata la nullità del

marchio per difetto originario di uno dei suoi requisiti o non sopravvenga una causa di

decadenza28.

Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, il titolare

del marchio il cui diritto di esclusiva sia stato leso da un concorrente, può promuovere

contro questi l’azione di contraffazione. Azione volta ad ottenere l’inibitoria alla

26 Sono, di conseguenza, rimossi gli ostacoli che in passato sembravano frapporsi alla registrazione di unmarchio di gruppo o da parte di chi non è imprenditore, fermo restando che è possibile solo un usoimprenditoriale del marchio stesso.27 Il diritto all’esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domandaall’Ufficio bevetti. Il titolare di un marchio registrato, quindi, è tutelato ancor prima che inizi ad utilizzareil marchio stesso.28 Dal marchio si decade, anche parzialmente, per: 1) volgarizzazione; 2) sopravvenuta ingannevolezzadello stesso; 3) mancata utilizzazione entro cinque anni dalla registrazione o se l’utilizzazione è statasospesa per ugual periodo, salvo che l’inerzia non sia dovuta ad un motivo legittimo. In particolare, si ha

23

continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti degli stessi

attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è stata attuata la

contraffazione29.

1.4.3 – Il marchio di fatto

La registrazione del marchio non è il solo fatto costitutivo del relativo diritto.

Infatti, l’ordinamento tutela anche chi usi un marchio senza registrarlo, ma si tratta di

una tutela sensibilmente minore di quella goduta da un marchio registrato.

Dispone, infatti, l’art. 2571 che “chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha

la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei

limiti in cui anteriormente se ne è avvalso”. La tutela del diritto di esclusiva sul marchio

non registrato si fonda perciò sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di

notorietà raggiunto in precedenza.

Il titolare di un marchio non registrato, diventato noto su tutto il territorio

nazionale, potrà impedire che altrui usi concretamente lo stesso marchio per gli stessi

prodotti, ma non per prodotti affini30. Ben più modesta è invece la protezione che riceve

il titolare di un marchio non registrato con notorietà locale: non potrà impedire che un

altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti in altra zona del

territorio nazionale. Non potrà, altresì, impedire che un concorrente registri validamente

lo stesso marchio ed in tal caso potrà solo continuare ad usare il proprio marchio nei

limiti della diffusione locale.

Il marchio di fatto gode, inoltre, di una tutela penale più limitata e non ha

ovviamente le prospettive di tutela internazionale riconosciute al marchio registrato.

volgarizzazione del marchio quando lo stesso è divenuto nel commercio denominazione generica di queldato prodotto, così perdendo la propria capacità distintiva.29 Il giudice, inoltre, può ordinare su domanda della parte lesa, la pubblicazione della sentenza dicondanna in uno o più giornali; sanzione questa ritenuta particolarmente grave per il discreditocommerciale che ne conseguirebbe. Si tenga presente, a riguardo, che il titolare di un marchio registratopuò crearsi una sorta di rete di difesa del proprio marchio contro le contraffazioni da parte di terzi,registrando uno o più marchi protettivi, simili a quello utilizzato, registrati al solo scopo di proteggere ilmarchio principale da imitazioni.

24

1.4.4 – Il trasferimento del marchio

Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo

temporaneo (cosiddetta licenza di marchio). E’ così consentito al titolare di un marchio

di monetizzare il valore commerciale dello stesso, determinato dalla capacità attrattiva

della clientela. Il marchio, infatti, contrariamente a quanto era previsto nella disciplina

anteriore alla riforma del 1992, può essere trasferito o concesso in licenza per tutto o

solo per parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario il

contemporaneo trasferimento dell’azienda o del relativo ramo produttivo.

La novità più significativa è però costituita dall’espresso riconoscimento

dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva: lo stesso marchio, quindi,

potrà essere utilizzato in contemporanea dal titolare originario e da uno o più

concessionari, sia per la titolarità dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato, sia

per parte di essi. A riguardo, tuttavia, il legislatore si preoccupa di porre adeguati limiti

al fine di evitare eventuali inganni al pubblico. E’ fissato, infatti, il principio cardine che

dal trasferimento del marchio non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o

servizi che sono essenziali nell’apprezzamento degli stessi da parte del pubblico. La

licenza non esclusiva è inoltre subordinata all’ulteriore condizione che il licenziatario si

obblighi ad utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a

quelle dei corrispondenti prodotti messi in commercio dal concedente o dagli altri

licenziatari. Il titolare del marchio, quindi, può avvalersi degli strumenti di tutela

previsti dalla legge marchi nei confronti del licenziatario che violi le disposizioni al

riguardo contenute nel contratto di licenza, che di regola prevede specifiche clausole di

controllo sull’attività del licenziatario.

30 Potrà altresì ottenere che sia dichiarato nullo per difetto del requisito della novità un marchioconfondibile successivamente registrato . La relativa azione dovrà però essere esercitata nel termine dicinque anni, per evitare la convalida del marchio successivamente registrato.

25

1.5 – DISCIPLINA LEGALE DELLE OPERE DELL’INGEGNO E DELLE

INVENZIONI INDUSTRIALI

Le opere dell’ingegno31 (idee creative nel campo culturale) e le invenzioni

industriali32 (idee creative nel campo della tecnica) costituiscono le due grandi categorie

di creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento. Come vedremo in seguito,

inoltre, diritto d’autore e brevetti industriali formano anche oggetto di un’articolata

disciplina internazionale, che integra ed estende la protezione offerta dalle singole

legislazioni nazionali.

1.5.1 – Il diritto d’autore

Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche,

letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne

sia il modo e la forma di espressione. Unica condizione richiesta affinché queste opere

siano oggetto di tutela, indipendente dal loro pregio o dalla loro utilità pratica, è che

l’opera abbia carattere creativo, che presenti, cioè un minimo di originalità oggettiva

rispetto a preesistenti opere dello stesso genere. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la

creazione dell’opera. Non è necessario che questa sia stata divulgata fra il pubblico,

bastando che essa sia stata comunque estrinsecata.

Il diritto di autore gode di una tutela sia morale che patrimoniale. Si distingue,

perciò, fra diritto morale33 e diritto patrimoniale d’autore. Il primo si estrinseca in diritti

disposti a tutela della personalità dell’autore e sono irrinunciabili ed inalienabili, non

31 Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore, regolato dagli artt. 2575-2583 c.c e dallalegge 22-4-1941, n.633, più volte modificata.32 Le invenzioni industriali possono formare oggetto, a secondo dello specifico contenuto: a) del brevettoper invenzioni industriali, regolato dagli artt. 2584-2591 c.c e dal r.d 29-6-1939, n. 1127, più voltemodificato; b) del brevetto per modelli di utilità oppure della registrazione per disegni e modelli, regolatidagli artt. 2592-2594 c.c e dal r.d 25-8-1940, n.1411, modificato dalla legge 60/1987 e dal d.lgs. 95/2001.33 L’autore ha diritto di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell’opera; di decidere sepubblicarla o meno e se pubblicarla col proprio nome o in forma anonima; di opporsi a modificazioni odeformazioni dell’opera stessa e ad ogni altro atto a danno dell’opera che possa arrecare pregiudizio al

26

perdendosi nemmeno con la cessione dei diritti patrimoniali ed esercitabili anche dai

congiunti dopo la morte dell’autore. In osservanza del diritto patrimoniale, invece,

l’autore ha diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo,

originale o derivato. Diritto che si articola in una serie di facoltà, quali la riproduzione,

trascrizione, diffusione, ecc…

Diversamente dal diritto morale, il diritto patrimoniale di autore ha durata

limitata, estinguendosi, infatti, in settanta anni dopo la morte dell’autore stesso. Ad ogni

modo, il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente

trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi che

mortis causa. Il trasferimento per atto fra vivi – che deve essere provato per iscritto –

può essere sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo e le parti possono utilizzare a

riguardo qualsiasi schema contrattuale tipico o atipico. I contratti specificamente

previsti e normalmente utilizzati per lo sfruttamento economico di un’opera

dell’ingegno sono, peraltro, il contratto di edizione34 ed il contratto di rappresentazione

ed esecuzione35.

Il diritto d’autore è protetto con specifiche sanzioni civili, amministrative,

pecuniarie e penali a carico di chi ponga in essere comportamenti lesivi, che possono

andare dall’imitazione totale o parziale degli elementi creativi essenziali di un’opera

altrui, alla lesione delle singole manifestazioni del diritto d’autore, quali l’abusiva

riproduzione o diffusione fra il pubblico di opere cinematografiche, letterarie o

musicali36.

suo onore o alla sua reputazione. Può inoltre ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano graviragioni morali, previo indennizzo di coloro ai quali ha ceduto i diritti di utilizzazione economica.34 Con il contratto di edizione, l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto dipubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore, a sua volta, si obbligaa stampare, a mettere in commercio l’opera e a corrispondere all’autore il compenso pattuito. Compensoche è costituito da una partecipazione percentuale al ricavato delle vendite o può essere fissato a forfait.35 Col contratto di rappresentazione e di esecuzione, l’autore cede, di regola non in via esclusiva, il solodiritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine (drammatiche, coreografiche, musicali,ecc…) o di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte si obbliga a provvedervi aproprie spese. La disciplina di tale contratto ricalca, con i necessari adattamenti, quella del contratto diedizione.36 In particolare, il titolare di uno dei diritti di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno e iltitolare del diritto morale, eventualmente diverso dal primo a seguito di particolari accordi contrattuali,che hanno ragione di temere la violazione del proprio diritto – o intendono impedire la continuazione o laripetizione di una violazione già avvenuta – possono interpellare l’autorità giudiziaria per chiederel’accertamento del proprio diritto e l’inibizione della violazione temuta o in atto. Ed in questo secondocaso possono altresì chiedere che vengano applicate le sanzioni tipiche della rimozione e delladistribuzione di quanto è stato strumento materiale della lesione del diritto patrimoniale o morale, salvo in

27

Le opere dell’ingegno godono, in principio, di una protezione circoscritta al

territorio nazionale ma per le loro caratteristiche intrinseche sono esposte al pericolo

della concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in altri Stati. Tale pericolo ha

sollecitato accordi internazionali volti ad estendere l’ambito territoriale di tutela del

diritto di autore37.

1.5.2 – Le invenzioni industriali

Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della

tecnica. Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di

pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Evidente è, perciò, la

distinzione rispetto alle opere dell’ingegno (tutelate dal diritto d’autore), dalle quali le

invenzioni industriali si differenziano anche per il diverso modo di acquisto del diritto

di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte

dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, salvo la limitata tutela accordata alle invenzioni

non brevettate.

Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale le idee inventive

di maggior rilievo tecnologico38. Queste possono essere distinte in tre grandi categorie:

a. Invenzioni di prodotto, che hanno per oggetto un nuovo prodotto materiale;

ogni caso il diritto al risarcimento dei danni subiti. Il giudice può inoltre ordinare la pubblicazione dellasentenza di condanna in uno o più giornali a spese della parte soccombente.37 A riguardo, va segnalato come l’Italia abbia aderito alle due principali Convenzioni Internazionali inmateria: a) la Convenzione di Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche del1896; b) la Convenzione Universale sul diritto d’autore di Ginevra del 1952. Entrambe le Convenzioni sifondano sul cosiddetto principio di assimilazione, in base al quale ogni Stato aderente assicura ai cittadinistranieri una tutela del diritto d’autore corrispondente a quella riconosciuta agli autori nazionali.Realizzano, inoltre, in ogni Stato aderente una protezione minima comune dei cittadini degli Staticonvenzionati, qualunque sia il trattamento che le singole legislazioni nazionali riservano ai propricittadini. Il che finisce con l’incidere anche sulle legislazioni interne, spingendo verso una progressivaomogeneità delle stesse.38 Per scelta legislativa, ispirata alla finalità di favorire la libera utilizzazione delle idee fondamentali e diutilità generale, non sono considerate invenzioni (e quindi tutti ne possono liberamente fruire): a) lescoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; b) i piani, i principi ed i metodi per attivitàintellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; c) le presentazioni diinformazioni. Di conseguenza, non può formare oggetto di brevetto ciò che già esiste “in natura” el’uomo si limita a percepire e formalizzare.

28

b. Invenzioni di procedimento, che possono consistere – secondo il dettato dell’art.

2585 – in un nuovo metodo di produzione di beni già noti o in un nuovo

processo di lavorazione industriale;

c. Invenzioni derivate, che si presentano come derivazione di una precedente

invenzione;

Le invenzioni che non ricadono in uno di questi divieti devono poi rispondere a

determinati requisiti di validità per poter formare oggetto di brevetto. Devono essere

lecite, devono essere nuove, devono implicare un’attività inventiva e devono essere

idonee ad avere una possibile applicazione industriale. E’ “nuova” l’invenzione che non

è compresa nello stato della tecnica, intendendosi per “stato della tecnica” tutto ciò che

sia comunque accessibile al pubblico, in Italia o all’estero, prima della data di deposito

della domanda di brevetto39. Secondariamente, l’invenzione implica attività inventiva se

per una persona esperta del ramo essa non risulta in modo evidente dallo stato della

tecnica. Si prescinde, quindi, da ogni valutazione del grado di progresso che

l’invenzione realizza, purché il ritrovato in questione sia espressione di attività creativa.

Anche il requisito dell’industrialità, infine, è oggi da intendere in senso ampio:

l’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale se il trovato può essere

fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria. Restano, quindi, non brevettabili

come invenzioni le conoscenze non sfruttabili industrialmente.

1.5.2.1 – Il diritto al brevetto e l’invenzione brevettata

La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale che patrimoniale.

L’inventore ha diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e acquista tale

diritto morale per il solo fatto dell’invenzione. L’inventore ha inoltre il diritto,

eventualmente trasferibile, di conseguire il brevetto, che ha funzione costitutiva ai fini

39 In sostanza, manca del requisito della novità l’invenzione già divulgata. Ad ogni modo, l’inventore ètuttavia parzialmente tutelato contro l’altrui illecita divulgazione dei propri segreti, ad esempio, ad operadi propri dipendenti. L’invenzione, infatti, è ugualmente brevettabile se la sua divulgazione si è verificatanei sei mesi che precedono il deposito della domanda di brevetto e risulta direttamente o indirettamenteda un abuso evidente ai danni del richiedente.

29

dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica in esclusiva del ritrovato40. Il

brevetto, quindi, viene concesso dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi41, sulla base di

una domanda corredata – a pena di nullità – dalla descrizione dell’invenzione in modo

sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla,

nonché da eventuali disegni necessari alla sua comprensione42.

Il brevetto per invenzioni industriali dura venti anni dalla data di deposito della

domanda ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo. Il relativo diritto di esclusiva si può

perdere prima della scadenza qualora sia dichiarata la nullità del brevetto o sopravvenga

una causa di decadenza dello stesso43. Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà

esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, fatte salve

talune specifiche forme di libera utilizzazione dell’invenzione da parte di terzi per scopi

privati e non commerciali. Il brevetto così ottenuto è altresì liberamente trasferibile sia

fra vivi che mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda all’interno

della quale possa essere stato scoperto. Sul brevetto possono essere costituiti diritti reali

di godimento o di garanzia e lo stesso può anche formare oggetto di esecuzione forzata

e di espropriazione per pubblica utilità44.

L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali. In particolare, il

titolare del brevetto (ed anche il licenziatario, se del caso) possono esercitare azione di

contraffazione nei confronti di che sfrutti abusivamente l’invenzione. La sentenza che

accerta la contraffazione – ed è sufficiente che siano stati imitati gli elementi essenziali

e caratteristici dell’invenzione – ordina l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o

40 Non sempre, però, l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il brevetto e asfruttarlo economicamente. La dissociazione fra le due posizioni può in particolare verificarsi quando sitratti di invenzioni realizzate dai dipendenti di un imprenditore, fattispecie contemplata e regolata daltesto legislativo.41 L’Ufficio Brevetti è tenuto ad accertare solo la regolarità formale della domanda, la liceità el’industrialità dell’invenzione. Non accerta, invece, se il richiedente sia l’effettivo titolare del diritto albrevetto, né è tenuto a compiere un’indagine preventiva volta ad accertare la novità e l’originalità delritrovato.42 Ogni domanda può avere per oggetto una sola invenzione e deve specificare ciò che si intende debbaformare oggetto del brevetto.43 Dal brevetto si decade per mancato pagamento della tassa annuale di concessione o qualora il brevettostesso non sia stato attuato o sia stato attuato in modo insufficiente entro due anni dalla già ricordataconcessione della prima licenza obbligatoria.44 Il titolare del brevetto può inoltre concedere licenza di uso dello stesso, con o senza esclusiva difabbricazione a favore del licenziatario. La licenza di brevetto non è espressamente regolata e puòassumere i contenuti più vari, sia per quanto riguarda gli obblighi reciproci delle parti, sia per quantoconcerne il compenso dovuto al titolare del brevetto.

30

dell’uso di quanto forma oggetto del brevetto45. Il titolare del brevetto ha in ogni caso

diritto al risarcimento dei danni subiti ed il giudice può disporre, come sanzione

accessoria, anche la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del

soccombente.

L’inventore può altresì astenersi dal brevettare il proprio trovato e sfruttarlo più

o meno in segreto, senza la suddetta protezione legale. Corre però il rischio che un altro

soggetto pervenga al medesimo risultato inventivo, lo brevetti ed acquisti il diritto di

esclusiva, dato che è indubbio che fra due inventori prevale chi per primo ha presentato

la domanda di brevetto, se non ricorre un diritto di priorità. La disciplina delle

invenzioni, tuttavia, riconosce una limitata tutela anche a chi abbia utilizzato

un’invenzione senza brevettarla: chiunque, inventore o licenziatario, abbia fatto uso

dell’invenzione all’interno della propria azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito

dell’altrui domanda di brevetto, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti

del preuso46. Si tratta, in sostanza, di un temperamento equitativo della funzione

costitutiva del brevetto, volto a tutelare chi in buona fede ha già dato attuazione

all’invenzione.

1.5.2.2 – Brevetto internazionale, brevetto europeo e brevetto comunitario

Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di esclusiva solo sul

territorio nazionale. L’esclusiva può essere però conseguita anche in altri Stati ed alcuni

trattati internazionali agevolano, sia pure in modo e misura diversi, il conseguimento di

tale risultato. La Convenzione di Unione di Parigi del 1883 per la protezione della

proprietà industriale riconosce a chi ha richiesto il brevetto per invenzione in uno degli

Stati dell’Unione diritto di priorità per ciascuno degli altri paesi. L’inventore dovrà

presentare distinte domande per ciascun paese – secondo le singole e differenti

procedure nazionali – ma la novità dell’invenzione è valutata con riferimento alla data

del primo deposito nazionale, purché le successive domande siano presentate entro

45 Sono altresì previste sanzioni, variamente graduabili, volte ad eliminare dal mercato gli oggettirealizzati in violazione del brevetto.46 Il preutente può altresì trasferire tale facoltà ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione èutilizzata, restando a suo carico la prova del preuso e dell’ampiezza dello stesso.

31

dodici mesi47. Il Trattato di Washington del 1970 (“Patent Cooperation Treaty”),

entrato in vigore in Italia nel 1985, ha poi consentito una notevole semplificazione della

procedura per il conseguimento del brevetto internazionale nei paesi aderenti a tale

trattato48.

L’inventore può inoltre conseguire il brevetto europeo, regolato dalla

convenzione di Monaco di Baviera del 1973, in vigore in Italia dal 1978, che si

caratterizza per una procedura ancora più snella. Unica è la domanda, unica è la

procedura ed unico è l’Ufficio che rilascia il brevetto (Ufficio Europeo dei Brevetti di

Monaco). Unica è altresì la disciplina per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità ed

il procedimento di brevettazione. Il contenuto del diritto di esclusiva resta però regolato,

in via di principio, dalle singole legislazioni nazionali dei paesi in cui il brevetto ha

efficacia49. Il brevetto europeo – come quello internazionale, quindi – non è un brevetto

autonomo ed unitario, quanto piuttosto un titolo equivalente, sul piano degli effetti, ad

un fascio di brevetti nazionali.

Un brevetto autonomo ed unitario è invece il brevetto comunitario, regolato

dalla Convenzione del Lussemburgo del 1975, dall’Italia ratificata nel 1993 ma non

ancora entrata in vigore per la mancata ratifica da parte di tutti gli Stati dell’Unione. Il

brevetto comunitario è rilasciato dallo stesso Ufficio Europeo di Monaco, secondo le

regole ed i procedimenti previsti per il brevetto europeo. Peraltro, ed è questo l’ulteriore

e significativo passo avanti, il brevetto comunitario ha carattere sopranazionale, unitario

ed autonomo. Può essere rilasciato solo per tutti i paesi dell’Unione Europea ed è

disciplinato in via esclusiva dalla Convenzione del Lussemburgo, producendo gli stessi

effetti in tutti i paesi aderenti alla Convenzione. Inoltre, la concessione del brevetto

comunitario comporta la cessazione degli effetti degli eventuali brevetti nazionali per la

47 In tal modo, l’inventore conseguirà tanti distinti brevetti nazionali, regolati in tutto e per tutto dallesingole legislazioni dei singoli paesi.48 L’inventore presenta una sola domanda internazionale di brevettazione all’Ufficio centrale brevetti (oall’Ufficio Europeo dei Brevetti di Monaco), specificando per quali paesi intende conseguire il brevettostesso. In base alla domanda, un’apposita organizzazione compie una ricerca documentata sullo statointernazionale della tecnica relativo a quella specifica invenzione e, se l’interessato lo richiede, effettuaanche un esame preliminare sulla novità, originalità ed industrialità dell’invenzione. Sulla base di questeindagini l’inventore è in grado di valutare la reale portata della sua invenzione e di decidere se è il caso difar proseguire la procedura con la trasmissione della documentazione agli uffici dei singoli paesi per iquali ha richiesto il brevetto. Ciascuno di tali paesi rilascerà poi distinti brevetti nazionali sulla base dellapropria legislazione.49 In generale tutti quelli aderenti alla Convenzione o solo alcuni a scelta dell’interessato.

32

stessa invenzione, a favore di un brevetto unitario ed autonomo, quale quello

comunitario.

1.5.3 – I modelli industriali

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor

rilievo rispetto alle invenzioni industriali. In base all’attuale disciplina i modelli

industriali sono distinti in modelli di utilità e in disegni e modelli. I modelli di utilità

sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità (efficacia o comodità di

utilizzo) a macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso50. I disegni e modelli sono,

invece, nuove idee destinate a migliorare l’aspetto (forma, linea, colore, contorni) dei

prodotti industriali51. In sostanza, i modelli industriali riguardano l’aspetto funzionale

(modelli di utilità) o estetico (disegni e modelli) dei prodotti. Distinguere tra i due tipi di

modelli industriali, tuttavia, non è sempre facile52.

La tutela dei modelli di utilità continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione

e – per esplicito rinvio legislativo – in materia trova applicazione larga parte della

disciplina delle invenzioni industriali, anche se i requisiti della novità e dell’originalità

vanno ovviamente adattati allo specifico minor rilievo dell’idea creativa in questione.

La differenza di portata più rilevante riguarda la durata del brevetto in questione: dieci

anni per i modelli di utilità, rispetto ai venti anni delle invenzioni industriali53.

Per quanto riguarda, invece, i disegni e modelli, la relativa tutela avviene oggi

mediante registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, prevedendo la

disciplina che sia possibile registrare disegni e modelli che siano nuovi ed abbiano

carattere individuale. Vale a dire, cioè, che il disegno o modello non deve essere

identico ad un disegno o modello già divulgato in precedenza e deve suscitare

nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa da quella suscitata da

qualsiasi altro disegno o modello divulgato in precedenza. La registrazione dura cinque

50 Ad esempio, una nuova forma di poltrona da dentista che ne aumenti la comodità; una particolareforma di attacco di sicurezza per sci.51 E’ questo il vasto campo dell’industrial design: l’originale disegno di un tessuto; l’originale forma diparaurti di automobile o la forma di un televisore.52 E’ consapevole di questa difficoltà di distinzione il legislatore che in tal caso consente di ottenere invia contemporanea il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello.

33

anni dalla domanda ma può essere prorogata per periodi di cinque anni, fino ad un

massimo di venticinque anni. Inoltre, la tutela è estesa ex lege ad ogni altro disegno o

modello che non dia un’impressione generale diversa54.

1.6 – LA FORMAZIONE DEGLI INTANGIBLES SPECIFICI

Il primo momento in cui risulta necessario condurre una valutazione precisa e

attendibile del valore di un’attività immateriale è, ad evidenza, il momento della sua

formazione, della sua creazione, a partire dal quale la risorsa in questione entrerà a far

parte del sistema aziendale offrendo i benefici di cui si fa portatrice. Come già

sottolineato in precedenza, tutto ciò che attiene alla sfera delle attività immateriali è

caratterizzato da una maggiore indeterminatezza ed incertezza rispetto ad osservazioni

simili ma rivolte a beni che presentino il requisito della tangibilità. Per questo motivo,

anche i processi di costituzione dei beni immateriali – rispetto a quelli materiali –

risultano contraddistinti da maggiore incertezza, rendendo difficoltosa la costruzione di

schemi concettuali comuni che non siano eccessivamente approssimativi. L’astrattezza

connaturata al processo di formazione degli intangibles è caratteristica comune alle

varie tipologie di beni e questo non fa che mettere ancora più a repentaglio

l’attendibilità della valutazioni condotte in merito. Tuttavia, questo preliminare

procedimento di analisi è necessario ai fini della esposizione a bilancio di un valore

associato al bene immateriale che sia affidabile e preciso, frutto di un procedimento

attento e giustificato nei suoi passaggi.

Proprio per la natura pervasiva che contraddistingue le attività immateriali, è

ardua persino la definizione iniziale del reale impatto che le stesse hanno all’interno

dell’economia d’impresa, essendo estremamente difficile circoscrivere gli effetti ad esse

53 Data l’ampia differenza in merito alla durata temporale della tutela, è usualmente possibile presentarecontemporaneamente domanda per entrambe le tipologie di brevetto, fermo restando che la concessionedell’uno esclude la concedibilità dell’altro.54 Da notare come, nel caso in cui presentino di per sé carattere creativo e valore artistico, le opere deldisegno industriale possano essere ammesse a godere anche della più ampia tutela del diritto d’autore.

34

conseguenti, evidenziando, ancora una volta, i rischi associati all’attendibilità del

processo valutativo: per questo motivo, il processo di ricognizione, valutazione ed

inserimento in bilancio dei valori relativi ai beni immateriali è complesso e risulta

necessario fornire informazioni aggiuntive rispetto a quelle strettamente quantitative

fornite dai prospetti di bilancio.

In concreto, la formazione dei valori originari delle attività immateriali è

riconducibile a due tipologie di acquisizioni delle stesse, a seguito delle quali l’azienda

potrà disporre – e quindi contabilizzare – dell’intangible: i due casi in analisi sono

l’acquisizione dell’attività da terze economie e la costruzione in economia, ovvero,

l’implementazioni di processi tecnici, fisici e procedurali interni all’azienda, che portino

come risultato ultimo alla creazione dell’intangible stesso e alla sua diffusione

all’interno dell’azienda. Con riferimento alla prima modalità, è evidente come questa

celi al suo interno molteplici vie differenti di acquisizione: rientrano in essa, infatti,

tanto l’acquisto in denaro contante della stessa, quanto l’acquisto con regolamento non

contestuale, magari con forme di pagamento non strettamente monetarie; rientrano

anche l’acquisto di un insieme di attività immateriali con la formazione di un unico,

indistinto prezzo, così come l’apporto o il conferimento di un singolo bene. Proprio per

questa variabilità interna alle due classi distinte, risulta necessario trattare separatamente

le due modalità di acquisizione, approfondendone le differenze e le peculiarità.

1.6.1 - Acquisto da terze economie

L’acquisto da terze economie quale modalità di formazione di una attività

immateriale comporta un processo di scambio tra l’azienda alla quale farà capo il bene

appena acquisito ed un soggetto esterno che si troverà in posizione di offerente, a

condizioni più o meno onerose, della disponibilità del bene stesso.

Se l’acquisto avviene in modo oneroso, attraverso uno scambio monetario, il

valore d’acquisto relativo al bene ha la natura di quantità economica certa derivata dallo

scambio e per questo motivo “oggettiva”. Questa, difatti, potrebbe essere una prima

approssimazione del valore economico del bene, essendo ipotizzabile che, salvo

situazioni contingenti che costringano una delle due parti contraenti a vendere il bene

sottocosto, il prezzo sia in linea con il valore di mercato del bene stesso. A livello

35

contabile, in questo caso, il valore iniziale è accolto nel sistema contabile aggiungendo

al mero costo d’acquisto tutti gli oneri sostenuti per rendere il bene in grado di essere

effettivamente utilizzato all’interno dell’impresa. Nella realtà, però, l’acquisizione da

terze economie può essere distinta in almeno altre due categorie, profondamente

differenti tanto sul piano contabile ed economico, quanto su quello logico: si può avere,

infatti, l’acquisto di un singolo elemento immateriale o l’acquisto di una attività

immateriale quale parte di un più ampio complesso aziendale.

Nella prima ipotesi, risulta relativamente più semplice la fase di riconoscimento

del valore iniziale55 e la stima della flussi futuri associati al bene, condizioni che se

rispettate comportano l’iscrizione dell’attività all’interno dello Stato Patrimoniale: la

natura sistemica dell’economia d’azienda, tuttavia, porta alla difficile individuazione dei

singoli benefici in un’ottica atomistica a meno di affrontare il rischio di esporsi ad

eccessivi margini di soggettività nella valutazione.

Nella seconda fattispecie considerata, il prezzo-costo di acquisto ha una

formazione unitaria con riferimento a differenti componenti, spesso non chiaramente

identificabili e distinguibili nella loro singolarità. La scomposizione del prezzo unitario

nelle sue diverse componenti associate alle singole attività immateriali sarà frutto di

procedimenti basati su congetture e ipotesi soggettive da parte del soggetto economico

acquirente, in funzione della specifica utilità rilasciata dal bene all’azienda coinvolta

nello scambio: alla normale aleatorietà associata alle valutazioni dei beni immateriali si

somma in questo caso anche quella relativa alla ripartizione di un valore comune sulla

base di apprezzamenti soggettivi. Se è possibile fare riferimento a valori di mercato per

beni simili, risulterà più precisa la ripartizione del costo d’acquisto, anche se raramente

55 Nonostante l’apparente semplicità associata alla contabilizzazione di un singolo bene acquisito da terzeeconomie, giova segnalare almeno due particolarità che ne potrebbero falsare la rilevazione se nonconsiderate in maniera adeguata. Spesso, accade che l’acquisto avvenga con regolamento differito oppuresu mercati esteri. Nel primo caso, è opinione diffusa e concorde nella dottrina contabile che il costoaccessorio associato all’interesse passivo derivante dal differimento del pagamento non debba essereannoverato tra le componenti del costo storico d’acquisto per l’estraneità delle scelte di finanziamentosulla formazione del valore di una specifica risorse e per l’infondatezza di correlazioni parziali traparticolari investimenti e specifici finanziamenti. L’acquisto effettuato su mercati esteri, con transazioneeffettuata in moneta non di conto pone ulteriori problemi di determinazione del costo di acquisto, legati almutare del rapporto di cambio nei diversi momenti in cui si svolge la transazione. In tal senso, si tengapresente che il costo da assumere è quello determinato sulla base del rapporto di cambio in essere almomento del perfezionamento del contratto d’acquisto: sono ininfluenti eventuali variazioni verificatesinell’intervallo di tempo compreso tra lo scambio e il regolamento del prezzo. Per una trattazione piùampia delle modalità di contabilizzazione delle attività immateriali cfr. Andrei P., Fellegara A.M. (a curadi ), Contabilità generale e bilancio d’impresa, Giappichelli Editore, Torino, 2001.

36

si verifica questa eventualità nella realtà dei fatti56. E’ evidente inoltre, come le

medesime difficoltà si ripresentino nel caso in cui l’acquisto del bene immateriale derivi

dall’acquisto di un complesso d’azienda, in seguito incorporata. In questi casi, si può

tentare di individuare un procedimento valutativo che abbia una valenza abbastanza

generale, riassumibile nei seguenti passaggi logici:

lo scambio è avvenuto e ha determinato la formazione di un costo certo;

la differenza tra costo di acquisizione complessivo e il valore attribuibile

agli elementi materiali definisce il limite massimo assegnabile ai valori

immateriali;

all’interno di questo intervallo si procede distinguendo i beni immateriali

separabili per i quali sia possibile individuare in modo affidabile il loro

valore in un’ottica stand-alone;

il restante nucleo di elementi che non soddisfano i requisiti di affidabilità

valutativa ed individuabilità restano genericamente ed indistintamente

ricompresi nell’avviamento, intendendo questo come espressione del

valore di elementi intangibili non separabili;

Si deve altresì considerare la possibilità di acquisizione di beni immateriali

attraverso atti a titolo gratuito57 o a prezzi irrisori, generalmente riconducibili ad oneri

fiscali o burocratici, rispetto al reale valore economico chiaramente associabile al

bene58. L’acquisizione a titolo gratuito delle entità menzionate comporta diversi dubbi

dottrinali in merito alla liceità e all’obbligatorietà della loro iscrizione a bilancio, non

ancora chiaramente risolti: in ossequio al principio della correttezza, della completezza

e della veridicità del bilancio, le attività immateriali così acquisite andrebbero iscritte in

quanto accrescono il patrimonio aziendale e concorrono alla produzione economica

d’impresa: dubbi rimangono sul valore ad esse associabile in quanto non attendibile se

limitato alla individuazione di quei costi minimi sostenuti per la loro acquisizione.

56 Proprio per la scarsa significatività dei risultati ottenuti da un simile processo di ripartizione, moltospesso si rendono necessarie rivalutazioni o svalutazioni del valore dei singoli beni acquisiti.57 E’ il caso, ad esempio, di donazioni, successioni o atti di liberalità.58 E’ il caso di disposizioni o concessioni governative gratuite quali quelle associate a diritti d’atterraggioagli aeroporti, licenze o diritti d’accesso.

37

Ulteriore modalità di acquisizione per vie esterne è l’apporto – il conferimento –

dei beni con vincolo di capitale proprio, ossia permanentemente vincolati al

funzionamento dell’impresa e alla sua esistenza. Con riferimento all’art. 2342 c.c.,

risultano conferibili tutti i beni immateriali59: il problema valutativo in merito risiede

nella necessità di donare una quantificazione appropriata al rapporto tra il valore

dell’attività conferita e al valore nominale della azioni della società ottenute in cambio.

A norma dell’art. 2343 c.c., si stabilisce che “chi conferisce beni in natura […] deve

presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale […]”60: questo al

fine di garantire indipendenza e autonomia al processo di stima, non ritenendo

sufficientemente garantiti i terzi dal mero accordo tra le parti.

Come si può notare, quindi, le modalità di acquisizione di beni immateriali

derivanti da terze economie sono molteplici e molto varie, differendo tra di loro in

maniera sostanziale, tanto sotto il profilo economico, quanto sotto quello giuridico.

1.6.2 – Creazione in economia

Le risorse immateriali autoprodotte sono usualmente il risultato di un processo

interno, generalmente di durata non breve, fondato su una continua interazione tra

attività umana e risorse disponibili. E’ evidente, infatti, che la maggior parte delle

risorse autoprodotte siano ampiamente connesse ad aspetti quali l’organizzazione, la

tecnologia ed il marketing: campi nei quali l’attività umana fa da necessario

complemento alle singole risorse fisiche.

Da un punto di vista contabile ed economico, risultano interessanti tre aspetti,

puntando la nostra attenzione in questa sede sui primi due:

individuazione delle risorse immateriali create internamente che possano essere

iscritte a bilancio;

59 Viene infatti esplicitamente escluso solo il conferimento di prestazioni d’opera o servizi.60 Dall’art.2343 c.c. si può osservare, inoltre, che il suddetto esperto deve essere designato dal tribunaledel luogo dove a sede la società, in ossequio al principio di indipendenza a cui prima abbiamo fattoriferimento. La relazione giurata deve contenere l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello adessi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale. La suddetta relazione deve essere allegataall’atto costitutivo. Per garantire l’attendibilità della stima, inoltre, “gli amministratori sono tenuti, neltermine di centottanta giorni dalla iscrizione della società a controllare le valutazioni contenute nellarelazione indicata e, se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima”.

38

individuazione degli elementi che possono concorrere a formare il costo di

produzione;

valutazione dei benefici futuri attesi dall’implementazione di tali risorse61;

Per quanto riguarda il primo aspetto, affinché un bene immateriale autoprodotto

possa essere iscritto a bilancio è necessario che risponda a tre requisiti fondamentali e

che si verifichino in maniera contemporanea62: la strumentalità, la pluriennalità e la

misurabilità del costo. In ossequio al primo principio, è necessario sia possibile

dimostrare l’esistenza di un preciso ruolo dell’elemento intangibile nel favorire

l’afflusso in azienda di benefici economici futuri, non solo da un punto di vista teorico.

In secondo luogo, i benefici suddetti dovranno protrarsi per un numero di anni tale da

consentire alle spese relative alla creazione del bene immateriale di non essere intese

come mere spese correnti, ma essere riconducibili ad entità che rilascino utilità per più

periodi. Da ultimo, è altrettanto necessario per soddisfare i principi riportati in

precedenza, che i costo sostenuti siano misurabili con un buon grado di

approssimazione e precisione, al fine di effettuare concreti apprezzamenti in merito alla

spesa sostenuta per la creazione del singolo asset. Proprio la misurazione dei costi

affrontati in relazione alla considerazione dello stato di avanzamento del progetto

riferibile alla risorsa immateriale potrà consentire di individuare uno specifico bene o un

semplice costo capitalizzato, espressivo del fatto che l’opera in questione sia ancora in

corso di esecuzione63.

In merito al secondo aspetto, relativo all’individuazione degli elementi che

possono essere considerati pertinenti alla formazione del costo di produzione, si pone la

difficoltà di distinguere, nel rispetto del principio della competenza economica e della

61 Questo punto verrà ampiamente sviluppato nel capitolo 3, relativo alle metodologie di valutazione deisingoli beni immateriali.62 I principi qui riportati sono desunti dalle osservazioni condotte in merito dalla Commissione IASC, piùampiamente trattati nelle pagine riguardati le modalità di contabilizzazione dei beni immateriali.63 In questo senso, molto spesso viene sottolineata l’importanza dell’adozione di un’ottica contabile chepreveda la frequente patrimonializzazione dei costi specifici riferiti a beni immateriali autoprodotti, alfine permettere al lettore di bilancio esterno all’azienda di assumere valide ed attendibili informazioni inmerito all’intensità dell’attività interna all’azienda di sviluppo di nuove risorse intangibili, disponendo diun indicatore – concreta espressione del costo storico sostenuto – del valore da queste assunto.Quest’opera di disclosure dei dati aziendali dovrà fare concretamente leva anche sulla completezza dellaNota Integrativa, molto spesso priva di informazioni qualitative in merito a simili aspetti. Nel contempo,una simile tecnica dovrà essere ampiamente e logicamente giustificata al fine di non rendere lacapitalizzazione dei costi suddetti una mera politica contabile atta ad aumentare i risultati di bilancio.

39

pertinenza, i costi che concorrono alla formazione del reddito dell’esercizio in cui sono

stati sostenuti, da quelli da imputarsi in maniera specifica ai singoli beni immateriali,

rinviandoli ad esercizi futuri. Il problema si basa sul fatto che la gestione economica

caratteristica dell’impresa, una volta avviata, si presenta unitaria e difficilmente

scindibile nelle sue varie componenti: nella stessa misura, è arduo riuscire ad imputare

correttamente le opportune quote parti di costi ai singoli beni oggetto di lavorazione

interna. Le alternative per la determinazione del valore del bene immateriale, comuni a

qualsiasi tipologia di bene oggetto di costruzione in economia, sono quelle del costo

primo, in ossequio alla quale nel computo dei costi si devono tenere in considerazione

solo quelli rigorosamente riferibili alla specifica entità, e del costo pieno, includendo in

aggiunta a quanto individuato in precedenza anche quote parti di costi generali di

produzione, amministrativi, finanziari e generali. A livello concreto, si deve cercare di

coniugare la necessità di individuare un costo di produzione che sia rappresentativo

delle risorse – tanto fisiche quanto umane – impiegate nell’opera di creazione e della

messa in utilizzo del bene immateriale, pena la mancanza di affidabilità e di realisticità

della posta di bilancio così individuata ed iscritta, con il mantenimento di margini di

oggettività tali da rendere la stima attendibile64. Il metodo del costo primo, proprio

perché si limita a considerare i soli costi rigorosamente riferibili alla specifica entità

oggetto di produzione in economia, nel caso in cui esista un valido sistema di contabilità

analitica tale da riuscire ad individuare in maniera puntuale le varie fonti di costo, si

presenta meno a rischio di valutazioni soggettive ed aleatorie e di conseguenza

altamente affidabile e prudente: nel contempo, il metodo del costo pieno, risulta essere

più rappresentativo dell’effettivo sforzo prodotto dall’azienda per la creazione e del

bene a livello interno, includendo nel computo dei costi anche quelli generali, tecnici e

finanziari, nella misura in cui sono riferibili all’intangible65. Interpretazioni dottrinali

rigorose, vorrebbero l’inclusione dei costi comuni di produzione solo nel caso in cui

64 L’eventuale ripartizione di costi comuni e generali secondo ipotesi metodologiche spesso caratterizzateda ampi margini di soggettività, non può che rappresentare un fattore di aumento del rischio che la stimasia inficiata da valutazioni non adeguatamente giustificate od oggettive.65 D’altra parte, il valore del costo così determinato perde quell’aura di certezza che circondava il metododel costo primo, offrendo un valore che ha la natura di costo congetturato, in quanto ottenuto dallascissione di costi comuni alle diversa attività dell’unitaria gestione aziendale.

40

l’attività di creazione interna di elementi immateriali sia ripetitiva, ordinaria, costante e

facente parte delle generali operazioni caratteristiche dell’impresa66.

In definitiva, non sembra esistere una modalità di contabilizzazione migliore

dell’altra essendo la scelta tra le due opportunità funzione del set informativo a

disposizione del soggetto preposto alla valutazione, rispettando i vincoli

dell’attendibilità e dell’oggettività della stima: nel momento in cui le ipotesi operative

rese necessarie dalla mancanza di un adeguato supporto informativo dovessero minare

alle fondamenta il metodo scelto, sarà opportuno cambiare strada, rinunciando a margini

di precisione per guadagnare realisticità nella stima.

Come evidenziato in precedenza, quindi, il principale rischio associato alla

valutazione e, ancora prima, alla contabilizzazione delle risorse immateriali, è che i due

procedimenti siano inficiati in maniera eccessiva da stime ed ipotesi irrealistiche: da più

parti, infatti, si rivolgono al bilancio di esercizio critiche in merito alla sua capacità, più

presunta che effettiva, di riflettere in modo adeguato il reale valore dei beni immateriali

ad utilità pluriennale67. Si ritiene, infatti, che le risorse immateriali che si formano in

azienda e che assumono sempre più rilevanza nella gestione e nel mantenimento del

vantaggio competitivo aziendale, non siano adeguatamente espresse all’interno del

bilancio d’esercizio. In primo luogo, perché spesso frutto – come abbiamo visto – di

autoproduzione e non di logiche di scambio, grazie alle quali sarebbe possibile

ricostruire il loro valore da documenti contabili; secondariamente, perché molto

raramente, lo stesso processo di creazione viene programmato e razionalizzato, con il

correlato rischio che buona parte dei costi relativi a fattori produttivi consumati

all’inizio del processo non vengano considerati e tenuti in considerazione nella

determinazione del valore del bene. D’altra parte, modelli valutativi fondati sul valore

economico del bene, basati sull’attualizzazione dei flussi di cassa futuri prodotti dal

bene, appaiono più rappresentativi del reale valore dell’entità immateriale, ma nel

contempo privi di quella base di certezza che permetterebbe l’iscrizione del valore così

66 E’ il caso, per esempio, delle spese di ricerca sostenute dalle imprese farmaceutiche per la produzionee lo studio di nuovi principi attivi, alle quali segue, in linea di principio, il deposito del relativo brevetto.67 In merito a queste critiche e a proposte operative per gettare luce sulla scarsa valenza informativa deidati espressi a bilancio in merito alla valorizzazione delle attività immateriali cfr. Fontana F., Le risorseimmateriali nella comunicazione aziendale: problemi di rappresentazione e di valutazione nella

41

ottenuto a bilancio. In sostanza, quindi, l’adozione di metodi alternativi a quelli del

costo storico, se compatibili con i principi contabili vigenti, deve essere valutata in

funzione della reale attendibilità delle stime così prodotte e della quantità e qualità delle

fonti informative aziendali sulle quali è possibile contare.

prospettiva del valore, Giappichelli, 2001 e Quaderno AIAF n. 106, La comunicazione degli intangibles edell’intellectual capital, gennaio 2002

42

1.7 – CARATTERISTICHE DEGLI INTANGIBLE ASSETS E VANTAGGIO

COMPETITIVO

Le attività immateriali molto spesso concorrono alla creazione e al mantenimento

del vantaggio competitivo perseguito da un’azienda: questo grazie ad alcune loro

caratteristiche, di seguito elencate e descritte, evidenziate con estrema puntualità da

Vicari68:

sedimentabilità

unicità

difficile acquisibilità

difficile copiabilità

molteplicità d’uso

trasferibilità

deperibilità

incrementabilità

Sedimentabilità: Gli intangible assets, sebbene caratterizzati dall’attributo della

immaterialità, possono comunque essere immagazzinati e conservati all’interno di

quella complessa organizzazione che è rappresentata dall’impresa. Proprio questa

conservazione e continua rielaborazione, porta negli anni al rafforzamento del vantaggio

competitivo derivante dalla presenza e dall’utilizzo di queste attività: questo processo di

continuo miglioramento è all’insegna di un atteggiamento di learning-by-doing da parte

dei soggetti coinvolti nella gestione e nell’utilizzo delle risorse immateriali, e di

continuo aggiornamento al fine di sostenere la posizione competitiva ottenuta. Nel

contempo, richiedono qualche spiegazione le possibili modalità di conservazione di

queste attività; esistono, infatti, beni immateriali che non possono che essere

“immagazzinati” all’interno della memoria dell’organizzazione o in quella del personale

che concretamente opera a contatto con questi beni. Rientrano tra questi, ad esempio, il

particolare know-how appreso da parte della manodopera nell’operare in un determinato

campo – certo codificabile ma non facilmente trasmissibile – o il particolare modo di

43

affrontare una campagna pubblicitaria da parte degli addetti marketing di un’azienda.

Indipendentemente dalle modalità di conservazione, ad ogni modo, col termine

sedimentabilità si mira ad evidenziare la specificità che fa dei beni immateriali oggetto

di continuo miglioramento e revisione nel corso della vita dell’azienda, proprio per lo

stretto legame che intercorre tra queste ed il vantaggio competitivo specifico

dell’azienda in questione.

Unicità: Proprio l’unicità, o comunque la scarsa diffusione, delle attività immateriali

di competenza di un’azienda, è uno dei punti chiave dell’intero processo di

identificazione e valutazione dei beni immateriali stessi: molto spesso, difatti, il

vantaggio competitivo derivante dalla presenza di un intangible all’interno di

un’azienda, deriva dal fatto che questo sia unico e peculiare dell’impresa stessa, non

essendo la sua presenza riscontrabile all’interno di altre organizzazioni. Nel contempo,

questa caratteristica porta alla difficile valutabilità di un’attività immateriale facendo

leva su possibili confronti instaurati tra il bene oggetto di valutazione e attività simili:

proprio in questo, risiede il valore della stessa e la fonte di benefici economici per

mezzo della quale l’impresa potrà assicurarsi flussi positivi di reddito futuri.

Difficile acquisibilità: Alcune risorse immateriali possono essere costruite e create

solo lentamente nel tempo e senza alcuna garanzia che eventuali investimenti sopportati

portino ai risultati previsti e stimati. Mentre gli investimenti in attività materiali

generalmente non comportano problemi simili, le risorse immateriali non sono di norma

costruibili mediante la semplice destinazione di mezzi finanziari. Si pensi, ad esempio, a

quegli intangibles di marketing quali la fedeltà alla marca o la fiducia nel prodotto

acquistato da parte di un consumatore: risorse e relazioni che derivano anche dalla storia

dell’azienda, dalle sue caratteristiche e non solo dalla quantità delle risorse finanziarie

impiegate. Se si esclude, inoltre, la possibilità di acquisire un marchio già avviato da

terze economie, è evidente come queste risorse non si possano creare: la fedeltà alla

marca non si può costruire ma solamente creare e consolidare per mezzo di un lento

processo, che coinvolge tanto l’azienda quanto i consumatori. In linea di principio,

quindi, più un bene immateriale è caratterizzato dall’attributo della unicità, più il

68 Cfr. Vicari S., “Invisibile asset” e comportamento incrementale, in Finanza, Marketing e Produzione,

44

vantaggio competitivo da questo derivante sarà duraturo e difendibile nel tempo,

facendo aumentare il valore intrinseco dell’attività immateriale.

Difficile copiabilità: Il rischio che un bene immateriale, proprio per l’alto

contenuto informativo che lo connota, sia oggetto di copia o di riproduzione, è

indubbiamente alto: al fine di evitare che questo si verifichi, sono state, come noto,

previste apposite tutele legali da applicare alle attività immateriali. Un marchio, un

brevetto, un particolare processo produttivo, possono essere – in maniera più o meno

efficace – oggetto di tutela giuridica: in questo caso, la copiabilità del bene sarebbe

ridotta ed il rischio di indebita appropriazione sarebbe, se non ridotto, quanto meno

bilanciato da un possibile perseguimento dell’autore del fatto per vie legali. Esistono

altre risorse immateriali, invece, che non sono brevettabili, non essendovi, di

conseguenza, alcuna protezione legale possibile, come tutte quelle relazioni o quel

know-how non formalizzabile ma di competenza dell’organizzazione aziendale e dei

suoi dipendenti. Nel contempo, anche nel momento in cui sia stata effettuata la copia o

la riproduzione dell’attività immateriale in questione, questa sarebbe applicabile non

senza qualche difficoltà all’interno di economie diverse da quella all’interno della quale

è stata prodotta, essendo difficile imitare il vantaggio competitivo di un’impresa

derivante dalla presenza di attività immateriali: in tale ottica va interpretato il principio

della “difficile copiabilità” in analisi, essendo difficile non tanto l’appropriazione

dell’intangibile stesso, quanto piuttosto la sua effettiva applicazione.

Molteplicità d’uso: Un aspetto di grande importanza è il possibile uso multiplo

dei beni immateriali, termine col quale si vuole intendere la possibilità di utilizzare le

risorse immateriali all’interno di contesti concorrenziali diversi. Le attività materiali,

difatti, sono dotate di notevole rigidità, nel senso che un determinato impianto non può

che essere usato per produrre un certo bene e non altri. Le risorse immateriali, invece,

possono essere utilizzate per più usi: si pensi all’immagine di marca o alla tecnologia

acquisita in un campo, applicabile ad un settore affine o collegato. Come discusso nel

successivo principio della “deperibilità”, è evidente il fatto che un uso intensivo ed

eccessivamente pervasivo e diffuso del bene immateriale, pone l’azienda di fronte al

n. 1/1989.

45

rischio di usura dell’attività stessa e della sua perdita di credibilità: se, ad esempio, un

marchio inizialmente associato al settore dell’alta moda dovesse essere utilizzato per la

produzione di oggettistica di più basso profilo, si correrebbe il rischio di una

banalizzazione del marchio e di una sua successiva perdita di valore.

Trasferibilità: Proprio per il già sottolineato alto contenuto informativo relativo

ad una attività immateriale, questa può essere condivisa e trasmessa dall’azienda a

soggetti esterni, tramite il normale processo di apprendimento. Una particolare

competenza o procedimento produttivo, così come può essere sottratta alla proprietà

dell’impresa, può anche essere da questa volontariamente condivisa e utilizzata da più

soggetti – interni ed esterni all’azienda – in misura più o meno accentuata in funzione

della relazione tra struttura aziendale e risorsa immateriale: più una conoscenza è

“tacita”, più questa sarà difficilmente trasferibile e condivisibile senza il necessario

supporto di capitale umano. Ad ogni modo, questo sfruttamento da parte di più soggetti

della medesima risorsa immateriale non può che essere il frutto di un lungo processo di

apprendimento e miglioramento, tale da richiedere la collaborazione tanto del soggetto

“docente” quanto di quello “ricevente”.

Deperibilità: Una ulteriore caratteristica delle risorse immateriali è che esse sono

soggette a rapida deteriorabilità, dato che il loro valore è in stretta relazione al possibile

uso che, dato un certo contesto ambientale, organizzativo e competitivo, di esse è

possibile fare. Al variare di queste condizioni, è evidente come anche il bene

immateriale debba essere oggetto di attente e periodiche revisioni, correzioni e

aggiornamenti, che permettano il mantenimento del vantaggio competitivo ottenuto.

Ogni mutamento ambientale, di mercato od organizzativo esterno all’impresa è,

pertanto, in grado di diminuire il capitale di risorse umane di cui l’impresa può disporre,

il che implica che il vantaggio competitivo basato sulla presenza delle risorse

immateriali in azienda, va alimentato ogni giorno al fine di mantenere ed incrementare il

valore del patrimonio intangibile di cui l’azienda può disporre.

Incrementabilità: Nella stessa misura in cui le risorse immateriali sono soggette

ad un rapido deterioramento, così esse possono essere deliberatamente e con modalità

46

differenti incrementate: ai fini strategici questa caratteristica permette un rafforzamento

del vantaggio competitivo basato sulla presenza e sull’utilizzo di intangibles, a patto di

tenere in considerazione i possibili rischi derivanti da un simile comportamento. I rischi

di un atteggiamento incrementale esasperato potrebbe portare, infatti, ad un uso

eccessivo delle risorse immateriali disponibili, ad una difficile integrazione delle stesse

o ad un eccessiva focalizzazione su un solo bene immateriale.

1.7.1 – Risorse immateriali e strategie competitive

Le risorse immateriali, come sostenuto da numerosi esperti e come evidenziato

anche da altrettanti casi concreti, sono frequentemente una delle principali fonti per la

creazione di valore da parte delle imprese: sempre più spesso, infatti, la redditività e

l’economicità di un’impresa non derivano dal sistema produttivo in senso stretto, inteso

nella sua materialità e fisicità, quanto piuttosto dalle conoscenze e dalle capacità

accumulate che permettono al sistema di funzionare ed operare in maniera efficiente e

produttiva. Gli stessi esperti che evidenziano l’importanza degli intangible assets nel

processo di creazione di valore dell’impresa, fanno di quest’ultimo il fine principale

dell’impresa: secondo questa impostazione, infatti, la creazione di nuovo valore

costituisce un obiettivo il cui perseguimento assicura lo sviluppo e la sopravvivenza nel

lungo termine dell’azienda, nell’interesse tanto dei diretti partecipanti all’impresa

stessa, quanto dell’intera società civile. Questa visione, quindi, si potrebbe riassumere

nella massima secondo la quale “creare valore per l’azionista significa creare valore

per tutti”69. Altri, al contrario, pongono l’accento sul fatto che la creazione di valore sia

semplicemente un fine strumentale – o comunque di ordine inferiore – rispetto al

raggiungimento di un fine superiore d’impresa, ossia il soddisfacimento degli interessi

istituzionali facenti capo al solo soggetto economico.

In buona sostanza, indipendentemente dal concetto di valore e dall’ottica che si

vuole sposare tra le due brevemente ricordate, è necessario sottolineare come il concetto

“quantitativo” a cui ispirarsi per la misura dell’effettiva creazione di valore – come

definito in precedenza – sia univocamente identificato nella nozione di capitale

69 Cfr. Guatri L., Valore e intangibles nella misura della performance aziendale, Egea, Milano, 1998.

47

economico. Tale esplicitazione del valore aziendale, infatti, è sicuramente quella che

meglio riesce a tenere in considerazione non solo il risultato reddituale e monetario

della gestione dell’impresa ma anche tutti quei fattori immateriali e difficilmente

identificabili che contribuiscono alla valorizzazione del capitale economico dell’azienda

stessa. E’ evidente, quindi, l’importanza assunta anche in questo ambito da parte delle

risorse immateriali, intese come driver per creare valore e raggiungere i fini indicati in

precedenza, secondo un processo che presenta alcuni passaggi intermedi che collegano

la semplice presenza delle risorse immateriali in questione alla creazione di valore

economico quale risultato finale: il processo in questione può essere sinteticamente

schematizzato dal grafico successivo, che verrà esploso ed analizzato passo per passo

all’interno dei paragrafi successivi, al fine di meglio apprezzarne i vari passaggi e

collegamenti.

Figura 2 - Dalle risorse immateriali al valore economico

Prima di proseguire nell’analisi dello schema e dei suoi componenti, è

necessario esplicitare l’ipotesi che sta alla base del processo evidenziato, ossia che la

redditività rappresenta una delle variabili alla base della creazione di valore delle

imprese. Anche se la suddetta ipotesi appare largamente condivisa sia dalla letteratura in

tema che da parte degli operatori del settore, risulta comunque opportuno proporre

alcune riflessioni in merito, strumentali a quanto verrà sviluppato successivamente.

Secondo la dottrina, infatti, il valore economico di un’azienda, così come quello

di una qualsiasi attività reale o finanziaria, è funzione dei frutti che l’investimento in

questione sarà in grado di generare nel corso del tempo e del profilo di rischio ad essi

associato: è evidente, quindi, come il reddito possa essere considerato uno dei più tipici

esempi di questi flussi da tenere in considerazione nel momento in cui si voglia valutare

un’impresa in funzionamento. L’equilibrio reddituale, quindi, si presenta come

Risorseimmater

iali

Vantaggiocompetitivo

Differenzialidi

redditività

Valoreeconomi

co

48

condizione necessaria per poter produrre convenienti remunerazioni economiche per i

soggetti partecipanti all’impresa e per l’affermazione dei necessari caratteri di durabilità

ed autonomia dell’istituto aziendale70. Per queste ragioni, l’apprezzamento del grado di

successo di un’impresa – pur senza trascurare risvolti che esulano dal piano strettamente

economico – avviene in genere, e comunque in prima approssimazione, sulla base

dell’analisi dei suoi risultati reddituali.

La redditività d’impresa, quindi, ha due fondamentali determinanti: l’attrattività

del settore all’interno del quale l’impresa opera e la posizione relativa ricoperta da

quest’ultima all’interno del settore di appartenenza: in considerazione di questa

evidenza, generalmente condivisa, espliciteremo di seguito il tema delle relazioni

intercorrenti tra redditività, attrattività del settore e risorse immateriali, procedendo ad

una schematica disamina dell’argomento per mezzo del modello delle cinque forze

competitive di Porter; in secondo luogo ci concentreremo sul ruolo assunto dalle risorse

in parola quali fonti di vantaggio competitivo sostenibile.

1.7.1.1 - Redditività, attrattività del settore e risorse immateriali

In base al noto approccio proposto da Porter71, l’attrattività di un settore può

essere efficacemente spiegata mediante il modello della concorrenza allargata: secondo

questo modello, di seguito esplicitato a livello grafico, la concorrenza operante a livello

settoriale non si esaurisce nei comportamenti posti in essere dai concorrenti presenti

all’interno dello stesso, ma coinvolge altre quattro forze competitive, rispettivamente

riconducibili ai comportamenti di quattro classi distinte di soggetti: i nuovi concorrenti

e la minaccia di una loro possibile entrata, la minaccia rappresentata dalle imprese

produttrici di prodotti sostitutivi, i fornitori ed i clienti, con il loro rispettivo potere

contrattuale. Ciò premesso, passeremo di seguito ad esaminare ogni singola fonte di

concorrenza, a partire dal grado di attrattività di un definito settore e dal ruolo giocato

dalle risorse immateriali in tal senso.

70 Cfr. Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Economia Aziendale, ult. ed.

49

Figura 3 - Il modello della concorrenza allargata di Porter

L’intensità della concorrenza nel settore è tanto maggiore – e di conseguenza

l’attrattività del settore minore – quanto più le imprese operanti in esso sono numerose,

il tasso di crescita del mercato è contenuto, i costi fissi sono elevati, la produzione è

indifferenziata e a basso valore aggiunto o vi sono importanti barriere all’uscita con

relativi costi irrecuperabili. Già da questo primo elenco, è possibile individuare alcuni

spunti di riflessione, che permettono l’evidenziazione del legame con le attività

immateriali: si pensi, ad esempio, al valore aggiunto, alla presenza di prodotti

differenziati e all’esistenza di barriere all’uscita.

Nel primo caso, secondo il modello di Porter, produzioni caratterizzate da un

elevato grado di valore aggiunto, determinano una minore intensità della concorrenza,

creando in tal modo le premesse per livelli di redditività più elevati: ma il valore

aggiunto dipende in larga parte proprio da caratteri firm specific quali il know-how

produttivo e di marketing accumulato, la dedizione del personale, l’abilità del

management e altre risorse immateriali, differenti a seconda dell’azienda analizzata.

In seconda battuta, anche il livello di differenziazione tra l’offerta dei

concorrenti incide sul grado di pressione concorrenziale e, di riflesso, sull’attrattività del

71 Cfr. Porter M.E., Competitive Advantage, The Free Press, New York, 1985.

IMPRESA

E

CONCORRENTI

Imprese potenzialientranti

ClientiFornitori

Impreseproduttrici di

50

settore: la possibilità di agire sulla leva della differenziazione permette ai concorrenti di

confrontarsi senza innescare pericolose guerre di prezzo; come spiegheremo meglio di

seguito, però, anche la possibilità di differenziare il proprio prodotto trova spesso la

propria fonte nella presenza di risorse immateriali di varia natura, come ad esempio il

know-how produttivo o la marca.

Da ultimo, anche la presenza di barriere all’uscita che ostacolano la

riconversione dei concorrenti verso altre produzioni influenza l’intensità della

concorrenza nel settore: queste barriere, si basano sul necessario sostenimento dei

cosiddetti sunk costs, costi irrecuperabili ed inconvertibili: costi che, molto spesso,

riguardano tipiche risorse immateriali – quali ad esempio ingenti investimenti in attività

di pubblicità o di ricerca e sviluppo.

Per quanto riguarda il l’influenza dei fornitori, possiamo evidenziare come il

potere da questi esercitato sia tanto maggiore quanto più il settore in cui i medesimi

operano è concentrato, i beni offerti dagli stessi non sono commodities, gli acquirenti

dispongono di informazioni limitate circa il mercato di approvvigionamento, gli acquisti

effettuati presso tali soggetti non rappresentano una porzione rilevante del loro volume

d’affari.

A riguardo, due sono le principali connessioni tra la forza contrattuale dei

fornitori e la presenza di risorse immateriali. In primo luogo, come accennato in

precedenza, questi rivestono maggiore importanza nel caso in cui i prodotti offerti non

siano beni materiali ma immateriali, quali, ad esempio, servizi di consulenza: simili

servizi, infatti, sono difficilmente o, comunque, non convenientemente sostituibili, per

via dell’alto contenuto informativo che presentano, frutto di durature relazioni tra

impresa e fornitore stesso. In secondo luogo, molto spesso il potere contrattuale dei

fornitori è rappresentato dalla loro capacità di integrarsi a valle, in contrapposizione alla

correlata capacità da parte dei loro clienti di integrarsi a monte: questa capacità e la

riuscita di simili processi di integrazione, si gioca sempre più spesso sul terreno delle

risorse immateriali. Pur in presenza, infatti, di ingenti risorse finanziarie a disposizione

per nuovi investimenti, un fornitore potrà integrarsi a valle solo se può disporre delle

conoscenze, delle relazioni, dell’immagine e cioè, in una parola, delle informazioni

51

possedute da chi opera più a valle nel settore da più lungo tempo. Informazioni, che

rappresentano, ad evidenza, una delle principali tipologie di risorsa immateriale.

Lo stesso discorso vale per il potere contrattuale dei clienti, ovviamente in una

prospettiva rovesciata. L’influenza dei soggetti in esame, infatti, è tanto maggiore

quanto più si tratta di clienti importanti – soprattutto in termini quantitativi di incidenza

sul fatturato totale dell’impresa -, quanto più i beni acquistati sono sostituibili e –

soprattutto – quanto più tali soggetti sono in grado di integrarsi a monte assumendo il

pericoloso ruolo di potenziali entranti. A riguardo, ancora una volta, si pensi alla

differenza tra l’acquisto di un normale bene materiale, un prodotto qualsiasi, ed un

servizio dalla più spiccata componente intellettuale, quale potrebbe essere, ancora una

volta, un servizio di consulenza: nel primo caso, risulta relativamente più agevole

passare da un fornitore ad un altro, senza gravi perdite in termini di utilità per

l’acquirente. Al contrario, nel secondo caso, nel momento in cui si volesse passare da un

fornitore del suddetto servizio ad un altro, si correrebbe il rischio di vedere perduto un

ampio bagaglio informativo, condiviso con il fornitore stesso nel corso del tempo72, con

l’aggravante di dover ripetere lo stesso processo informativo con il nuovo fornitore.

Un’altra forza che condiziona l’intensità del confronto competitivo è costituita

dalle minacce di sostituzione: esse sono tanto più elevate quanto più il prodotto è

redditizio per il produttore e quanto più elevato è il suo grado di fungibilità rispetto ad

altri prodotti. Di conseguenza, produzioni maggiormente differenziate e – meglio ancora

– caratterizzate da aspetti di unicità, sono quelle più al riparo da minacce di

sostituzione: differenziazione ed unicità, come già sottolineato, sono conseguenze

tipiche della presenza di risorse immateriali all’interno del processo produttivo del bene

in questione

Le minacce di ingresso, da ultimo, possono derivare, come si è visto, da

comportamenti di integrazione, rispettivamente a monte e a valle, di fornitori o clienti e

72 Molto spesso, ci si riferisce a questa situazione con il termine di cattura informativa: ossia quando unadelle due parti risulta essere vincolata all’altra – o comunque, dovrebbe affrontare elevati cosi nelmomento in cui volesse svincolarsi da questa – a causa della condivisione di informazioni necessarie peril corretto ed efficiente svolgimento del rapporto stesso.

52

per questo argomento si rimanda a quanto affermato in precedenza: ma i potenziali

entranti possono essere costituiti anche da soggetti diversi da quelli appena ricordati,

cioè da produttori in grado di collocarsi nella filiera produttiva al medesimo livello degli

attuali concorrenti. La consistenza e l’effettività di tale minaccia si ricollega al concetto

di barriere all’entrata, le cui determinanti, secondo lo schema di Porter, si fondano in

misura rilevante sulle risorse immateriali73. Passiamo ora in rassegna alcune delle

principali barriere all’entrata evidenziate dal Porter nel suo lavoro.

In primo luogo, le economie di scala, ossia il fenomeno per cui il rendimento

della funzione di produzione cresce all’aumentare delle scala, della dimensione, delle

attività di produzione74. Questo fenomeno, tipico della produzione di stampo Fordista,

continua oggi a giocare un ruolo di rilievo solo in quei settori in cui i fattori di successo

sono strettamente collegati alla presenza un ingente quantitativo di capitale fisico fisso.

Molto più spesso, infatti, nell’attuale contesto competitivo, si sente parlare – più che di

economie di scala – di economie di informazione75, evidenziandosi in questo senso lo

stretto legame con la presenza di risorse immateriali.

Per quanto riguarda la differenziazione come barriera all’entrata, questa affonda

le proprie radici prevalentemente nel terreno della immaterialità: si pensi, ad esempio, ai

rilevanti sforzi ed investimenti in pubblicità, assistenza tecnica, servizio pre e post

vendita, che un potenziale entrante dovrebbe sostenere per riuscire ad affermare la

propria immagine o il proprio marchio, al fine di conquistare la fedeltà dei clienti. Sono,

queste, risorse fondate su informazioni aziendali il cui processo di formazione e di

73 A riguardo, è esemplare quanto scritto da Vicari in Vicari S., Risorse Aziendali e funzionamentod’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 3/1992: “le difese dalle minacce competitive , lecosiddette barriere all’entrata o alla specificità, non sono date genericamente dagli investimentiirrecuperabili effettuati dall’impresa, ma unicamente da quella parte che si è sedimentata in risorseimmateriali. Il concetto di barriera va infatti riferito al differenziale di costo di un’impresa nuovaentrante rispetto ad una operante nel mercato: questo differenziale esiste solo in quanto l’impresa nuovaentrante non possa acquisire i beni necessari per operare a prezzi diversi da quelli delle imprese giàoperanti; orbene, questa caratteristica riguarda le risorse immateriali”.74 Ciò significa, in concreto, che il manifestarsi di economie di scala comporta una riduzione dei costimedi totali di produzione al crescere della potenzialità produttiva dell’unità economica considerata. CosìVolpato G., Concorrenza, impresa, strategie, Il Mulino, Bologna, 1992.75 Le economie di informazione possono essere distinte in tre tipologie: 1) le economie di replicazionedelle informazioni, dovute al costo nullo (o quanto meno ridotto) di riproduzione del know-howinformativo relativo a soluzioni già sperimentate; 2) le economie di regolazione, dovute allacentralizzazione delle informazioni e del potere decisionale, che permette una più efficace gestione dellacongiunzione sistemica tra risorse complementari; 3) le economie di selezione della varietà potenziale,dovute alla appropriatezza delle soluzioni tecnologiche e organizzative che possono essere identificate escelte quando cresce la varietà potenziale cui si può accedere. A riguardo, cfr. amplius Di Bernardo B.,

53

sedimentazione è lungo, complesso, costoso e soprattutto difficilmente quantificabile in

termini di aleatorietà ad esso associata.

I vantaggi di costo – ulteriore aspetto che concorre alla configurazione di

barriere all’entrata, si ricollegano tipicamente a risorse basate su informazioni

ambientali, quali ad esempio il know-how produttivo: a riguardo, come approfondiremo

in seguito, basti pensare alla presenza di una particolare prassi produttiva che porta ad

un miglioramento dell’efficienza aziendale, difficilmente acquisibile da altri potenziali

entranti a meno di elevati costi di ricerca ed incertezza in merito al buon esito degli

stessi.

Anche la possibilità di accesso a nuove ed ingenti fonti finanziarie per

supportare gli investimenti necessari per l’ingresso in un nuovo settore si fondano, tra

l’altro, su informazioni aziendali, quali la fiducia e la reputazione goduta sui mercati

finanziari, e dunque sulle risorse immateriali: si consideri, inoltre, che le difficoltà di

reperimento di fonti finanziarie aumenta in maniera notevole quanto più tali fonti

saranno utilizzate per investimenti di natura immateriale (ricerca, sviluppo, pubblicità),

difficilmente assoggettabili al sistema delle garanzie e dunque non agevolmente

recuperabili in caso di insuccesso dell’investimento76. Proprio perché molto spesso dagli

investimenti in risorse immateriali derivano costi irrecuperabili, all’impresa che

accresce il proprio patrimonio intangibile viene associato un maggiore grado rischio, si

a livello di leva operativa77 – con conseguente maggiore incidenza dei costi fissi, sia a

Economie di scala, economie di scopo, economie di varietà. Il valore economico della complessità, inEconomia e politica industriale, n. 61/1989.76 Le imprese caratterizzate da elevati investimenti in risorse immateriali ricorrono in misura prevalente afonti finanziarie interne, quali l’autofinanziamento o la dismissione di assets non strategici, privilegiandomodelli di proprietà chiusi e bassi gradi di leverage. Gli assetti proprietari chiusi permettono almanagement di godere di una maggiore autonomia operativa, senza dover rendere periodicamente contodello stato di avanzamento del progetto. Il basso grado di leverage risulta, invece, una direttaconseguenza della scarsa fiducia nutrita dalle istituzioni finanziarie nei confronti del finanziamento asocietà impegnate in simili campi, anche a seguito dell’alto tasso di insuccesso connaturato a progettitanto rischiosi. Tale aspetto, particolarmente vero con riferimento alla realtà italiana, ostacola, inprospettiva, la crescita e lo sviluppo delle imprese – le quali per fronteggiare la concorrenzainternazionale saranno sempre più chiamate ad ingenti investimenti immateriali – che vedono frenata laloro possibilità di condurre ricerca e investimenti in intangibles. A riguardo, cfr. Della Bella C.,Investimenti in attività immateriali e strutture finanziarie aziendali, in Sinergie, n. 30/1992 e Guatri L.,Sviluppo economico e impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 4/199677 Per Grado di Leva Operativa (GLO) si intende la reattività del reddito operativo al variare dei volumi,ossia GLO = )//()/( QQRoRo ∆∆ con Ro = Reddito operativo e Q = quantità prodotti venduti.Alternativamente GLO = RoMdcCfMdcMdcCfCvPQCvPQ /)/(])(/[)( =−=−−− con P =prezzo di vendita, Cv= costi variabili unitari, Cf= costi fissi totali, Mdc = margine di contribuzione. E’evidente, dalla seconda equazione proposta, come all’aumentare della presenza di costi fissi – in questo

54

livello di leva finanziaria78, per le ragioni sopra accennate. Di conseguenza, quanto più

le imprese appartenenti al settore presentano un’elevata importanza delle risorse

immateriali, tanto più le imprese potenziali entranti dovranno impegnarsi per condurre

investimenti che permettano loro di colmare il gap di intangibles presente: investimenti

che difficilmente troveranno finanziatori disposti ad accollarsi il rischio di investimenti

caratterizzati da una simile alea in merito alla loro riuscita.

Un discorso simile può essere fatto per quanto riguarda il tema della

distribuzione quale barriera all’entrata in un determinato settore: acquisire nuovi canali,

infatti, è sicuramente più oneroso che gestire distributori con i quali vengono

intrattenute relazioni stabili e durature: pertanto, quanto più gli attuali concorrenti

potranno disporre di una relazione consolidata con i distributori, tanto più sarà costoso

in termini di nuovi investimenti per i potenziali entranti giungere ai consumatori. Anche

in questo caso, le barriere all’entrata hanno una matrice immateriale, fondandosi sulle

relazioni sviluppate dall’impresa tanto con i distributori, quanto con i consumatori

finali: i distributori, infatti, generalmente, preferiscono i prodotti già noti al

consumatore finale, dotati di un marchio o comunque valorizzati dall’immagine

aziendale.

Da ultimo, le barriere governative e legali sono tra le barriere più efficaci, spesso

fondate anch’esse su risorse immateriali di varia natura: l’ingresso in molti settori di

pubblico interesse, ad esempio, è subordinato all’ottenimento di licenze ed

autorizzazioni concesse dalla pubblica autorità per ben definiti periodi di tempo79. E’

naturale, infatti, che imprese non conosciute, senza una propria affermata reputazione e

storia, difficilmente riescano ad ottenere le suddette concessioni. Barriere simili a quelle

rappresentate dalle concessioni sono quelle rappresentate dai brevetti e da tutte le forme

di conoscenza codificata e protetta a livello legale.

ambito ipotizzati derivare da investimenti in attività immateriali – aumentano il grado di leva operativa edil conseguente profilo di rischio associato all’azienda in questione. Cfr. Pavarani E. (a cura di), AnalisiFinanziaria, McGraw-Hill, Milano, 199278 Per Grado di Leva Finanziaria (GLF) si intende la reazione del risultato netto alle variazioni delreddito operativo, ossia GLF = )//()/( RoRoRnRn ∆∆ , dove Rn = reddito netto e Ro = redditooperativo. Cfr. Pavarani E. (a cura di), op. cit.79 Si pensi, ad esempio, al caso dei servizi di pubblica utilità, quali le utilities o le telecomunicazioni.Proprio la valorizzazione di queste concessioni, come vedremo in seguito, rappresenta uno dei principaliesempi per cui risulta necessario fornire valutazioni economiche delle attività immateriali.

55

In conclusione di questo paragrafo, quindi, vogliamo evidenziare come l’analisi

sopra proposta fornisca alcuni esempi di come le risorse immateriali possano rivestire

un ruolo di primo piano nella definizione del profilo di attrattività di un determinato

settore: pur non volendo indicare gli intangible assets quali le uniche risorse alla base

della valutazione dell’attrattività di un settore, è d’altra parte necessario sottolineare

come l’evoluzione dei mercati, dei processi di produzione e di consumo, e – soprattutto

– la crescente importanza assunta in tali contesti dalle informazioni – tanto in mano ai

soggetti d’offerta quanto a quelli di domanda – conferiscono oggigiorno alle risorse

immateriali una posizione centrale nelle analisi di settore.

1.7.1.2 - Redditività, vantaggio competitivo e risorse immateriali

Più che dall’attrattività del settore in cui l’impresa si trova ad operare, la

redditività aziendale è influenzata dal posizionamento competitivo ricoperto da

quest’ultima all’interno del settore di appartenenza. Infatti, se le cinque forze sopra

evidenziate definiscono – oggi in modo sempre più incerto – l’arena competitiva

all’interno della quale l’impresa si trova ad operare, è all’interno di questa stessa arena

che quest’ultima si trova ad agire, cercando di collocarsi in una posizione che le assicuri

prestazioni a lungo termine sostenibili e sopra la media: posizione, quindi, che assicuri

un vantaggio competitivo sostenibile.

Secondo il modello proposto da Porter80, a riguardo, esistono due tipi

fondamentali di vantaggio competitivo: il contenimento dei costi e la differenziazione;

Il tipo di vantaggio competitivo perseguito e l’ampiezza dell’ambito in cui l’impresa

intende conseguire tale vantaggio configurano tre tipologie di strategie, cosiddette “di

base”: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione. Le prime due strategie

citate mirano a perseguire il vantaggio competitivo in un’ampia gamma di segmenti del

settore di riferimento, mentre le strategie di focalizzazione tendono a realizzare le

precedenti strategie in un ambito maggiormente circoscritto. La leadership di costo

mira, appunto, alla riduzione dei costi di produzione in una maniera tale che nessuna

altra impresa concorrente sul medesimo mercato possa, nel medio periodo, produrre con

costi similmente bassi. La leadership basata sulla differenziazione, invece, mira a dotare

80 Cfr. Porter M.E., op. cit.

56

Leadership di costo Differenziazione

Focalizzazione sulladifferenziazione

Focalizzazionesui costi

Diminuzione dei costiDifferenziazione

Vantaggio competitivo

Obiettivo

generale

Obiettivo

specifi

il prodotto di determinate caratteristiche – materiali o immateriali, appunto – che lo

facciano percepire al consumatore come differente dagli altri ed unico, in grado di

donare un’utilità unica al momento del consumo.

Data la grandissima diffusione e l’ampio consenso suscitato dallo schema

proposto da Porter al fine dell’individuazione dei drivers del vantaggio competitivo,

riteniamo opportuno ripresentarlo in questa sede, cercando di esplicitare in che modo le

strategie di base individuate possano essere collegate alle presenza di intangible assets e

come questi possano favorire il perseguimento delle suddette strategie.

a. Risorse immateriali e leadership di costo

L’obiettivo di un’impresa che persegue la strategia di leadership di costo è, come si

è visto, quello di diventare il produttore con i costi più contenuti del proprio settore di

riferimento: l’ambito competitivo da dominare è ancora ampio e ciò significa rivolgersi

ad un elevato numero di segmenti di mercato. Tra le più tradizionali fonti di vantaggio

di costo, vanno ricordate le economie di scala e di informazione, le curve di esperienza

e le sinergie. Per quanto riguarda le curve di esperienza, rimandiamo a quanto esposto

nel paragrafo precedente, con la relativa puntualizzazione in merito all’accresciuta

Ambitocompetitivo

Figura 4- Le tre strategie competitive di base

57

importanza delle economie di informazione nell’economia moderna. Anche le curve di

esperienza ricoprono un ruolo importante nell’implementazione di strategie fondate

sulla leadership di costo: numerosi sono i fattori che vi sono alla base81, ma l’assunto

fondamentale alla base di queste curve è che i costi unitari collegati ai processi di

produzione e di vendita decrescono al crescere dell’esperienza cumulata. Ma

l’esperienza cumulata, a sua volta, altro non è che know-how tecnico, produttivo, di

marketing, distributivo: intangible assets, quindi.

Passando a considerare le sinergie come fonte dei vantaggi di costo, va ricordato che

tra le caratteristiche delle risorse immateriali vi è la molteplicità d’uso, ossia la

possibilità di utilizzare la medesima risorsa in contesti differenti82, traendo dalla stessa

vantaggi di diverso tipo a seconda dell’uso fattone. Si pensi, ad esempio, alle sinergie

collegate allo sfruttamento dell’immagine, di un marchio o ancora della fiducia di cui

l’impresa gode: un marchio affermato, a titolo esemplificativo, agevola l’affermazione

di nuove produzioni contenendo gli investimenti in promozione e pubblicità; una

elevata reputazione presso gli investitori può permettere all’impresa di diminuire il

costo del funding83.

Un terzo driver per quanto riguarda il perseguimento di strategie di leadership di

costo facendo leva sulle risorse immateriali può essere identificato con riguardo ai

vantaggi di costo ottenibili da informazioni codificate e protette: un particolare brevetto

o procedimento di produzione possono portare ad un incremento di efficienza del

sistema produttivo; l’impiego della risorsa intangibile, per così dire, consente una

riduzione del consumo delle risorse “tangibili”, modificando la struttura dei costi

dell’impresa, in direzione di una maggiore flessibilità e snellezza.

81 Senza scendere in particolari, possiamo citare quali fattori alla base delle curve di esperienza ilmiglioramento dell’efficienza del fattore lavoro grazie alla specializzazione del lavoro e stesso e almiglioramento dei metodi; la scoperta di nuovi processi produttivi, l’aumento della capacità produttiva, ilcambiamento del mix di risorse utilizzate, la standardizzazione della produzione e la riprogettazione delsistema di prodotto.82 Cfr. Vicari S., Invisible assets e comportamento incrementale, in Finanza, Marketing e Produzione, n.1/1989.83 A questo riguardo, va notato che lo sfruttamento intensivo della caratteristica della molteplicità d’usotipica delle risorse immateriali deve avvenire prestando adeguata attenzione ad eventuali fenomeni di“usura” che si possono manifestare. Come scrive Vicari S, op.cit., “ ad esempio, la credibilità cheun’impresa ha, le consente di accedere più facilmente al capitale di credito. Ma l’uso intensivo di questarisorsa può comportare una diminuzione della credibilità stessa. O ancora, l’immagine dell’azienda puòconsentire l’ingresso in più settori, ma un uso eccessivo della stessa per favorire lo sviluppo dei mercatipuò comportare una volgarizzazione dell’immagine stessa”.

58

b. Risorse immateriali e differenziazione

Secondo la strategia di base in esame, un’impresa mira a soddisfare in modo

ineguagliabile da parte dei concorrenti uno o più bisogni che sono percepiti come

rilevanti da un ampio numero di clienti. Ciò richiede, in primo luogo, l’individuazione

delle variabili del sistema d’offerta a cui la domanda risulta essere più sensibile, al fine

di offrire un prodotto da questi riconosciuto come unico. Naturalmente, l’ottenimento di

un simile prodotto, richiede sovente il sostenimento di costi superiori rispetto a quelli

sostenuti dai concorrenti: risulta necessario, in questo caso, applicare un premium price

superiore ai costi aggiuntivi al fine di permettere all’impresa di ottenere risultati

reddituali superiori a quelli ottenuti dalla media del settore.

Ovviamente, il potenziale perseguimento di una simile strategia è strettamente

collegato alla tipologia di prodotto offerto e alle sue caratteristiche tecniche e fisiche: è

evidente, infatti, come prodotti tecnicamente semplici possano avere limitate possibilità

di differenziazione, al contrario di prodotti maggiormente complessi ed articolati che

possono soddisfare bisogni complessi senza vincoli eccessivamente stringenti.

Oggigiorno, però, l’aumento della complessità dei settori e dei sistemi produttivi, hanno

portato alla creazione di sistemi produttivi complessi ed in correlati processi di consumo

complessi: il prodotto, anche il più semplice, è pertanto visto come “sistema di

prodotto”, in quanto il suo contenuto non si esaurisce nelle mere caratteristiche

fisiche84. Di conseguenza, la ricerca di sistemi di prodotto percepiti come unici, che

consentano di percorrere con successo la strada della differenziazione e di ricavarne una

fonte di vantaggio competitivo sostenibile, chiama sempre più in causa l’utilizzo di

risorse immateriali: esse, infatti, presentando i caratteri della “unicità”, della “difficile

acquisibilità” e della “difficile copiabilità”85, risultano idonee a costituire la fonte della

differenziazione. Un esempio significativo di risorsa immateriale su cui si può fondare

84 Come evidenziato da Coda V., L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988, il “sistemaprodotto” è definito “dai caratteri materiali del prodotto o servizio offerto (attributi qualitativi delprodotto, di tipo tecnico-funzionale e di tipo estetico; gamma); dagli elementi immateriali ad essoconnessi (come prestigio, eleganza, salute, sicurezza); dal servizio collegato al prodotto (velocità epuntualità di consegna, assistenza pre e post vendita, ecc…); dalle condizioni più strettamenteeconomiche dello scambio (prezzo, termini e modalità di pagamento, condizioni di trasporto, garanzie,assicurazioni,ecc…)”.85 Cfr. Vicari S., op.cit.

59

la differenziazione è la conoscenza approfondita dei clienti e dei loro bisogni;

conoscenza che poi, se ben sfruttata, permetterà di confezionare prodotti unici, capaci di

soddisfare i complessi bisogni dei consumatori. Si pensi, ancora, all’importanza

raggiunta dai livelli di servizio ed al ruolo determinante che a tale scopo rivestono le

risorse immateriali: oltre alla già ricordata conoscenza dei clienti, il fatto di voler

percorrere il sentiero della qualità del servizio per perseguire un sostenibile vantaggio

competitivo comporta il necessario controllo delle reti e dei canali di distribuzione,

l’educazione del personale di vendita e di servizio, l’attenta assistenza pre e post

vendita. Tutte condizioni che si fondano, seppur con diverse sfumature, sulla presenza

di un adeguato substrato di risorse immateriali.

Da ultimo, ma di massima importanza, un’ulteriore area di estrema rilevanza su si

fondano sempre più spesso i vantaggi di differenziazione è quella che si richiama alle

valenze immateriali e simboliche connesse al prodotto, valenze che si collegano ai

rinnovati processi e stili di consumo e che hanno senza dubbio origine in intangibles

quali il marchio e l’immagine del prodotto e dell’azienda. Sempre più spesso,

nell’economia moderna, si evidenzia come le scelte di un determinato prodotto da parte

dei consumatori non siano guidate dalla semplice analisi delle caratteristiche tecniche

del prodotto oggetto di acquisto, quanto piuttosto da fattori sociali, emozionali,

psicologici o estetici: bisogni ai quali solamente la componente intangibile del prodotto

acquistato può dare soddisfazione.

c. Risorse immateriali e focalizzazione

La terza strategia evidenziata è quella di focalizzazione: ossia una strategia fondata

sulla scelta di competere solo in un ambito ristretto del settore. Le imprese che si

focalizzano cercano di ottenere un vantaggio competitivo nei segmenti prescelti,

escludendo gli altri concorrenti, pur non possedendo un vantaggio competitivo generale.

Come si è accennato nello schema precedente, la strategia della focalizzazione ha

due varianti: la focalizzazione sui costi, in cui un’impresa persegue un vantaggio di

costo nel segmento selezionato, e la focalizzazione sulla differenziazione, in cui –

similmente – un’impresa cerca di ottenere un vantaggio di differenziazione

limitatamente al segmento prescelto. Per questo motivo e per gli evidenti collegamenti

60

tra questa e le due strategie proposte in precedenza, la strategia in esame richiama in

buona misura i driver già visti trattando delle altre due strategie di base, delle quali la

focalizzazione risulta una variante. Tuttavia, è possibile proporre un’ulteriore

osservazione in merito: la riuscita di una strategia di focalizzazione si basa sull’assunto

che il segmento prescelto sia diverso dagli altri e che chi decide si servire tale segmento

prescelto sia capace di soddisfare i bisogni dei consumatori ad esso appartenenti in

maniera migliore di coloro che operano ad ampio raggio. E’ quindi ancor più

determinante, quindi, che chi si dedica ad un dato segmento abbia sviluppato una

conoscenza del medesimo superiore a quella posseduta dagli altri concorrenti: solo così,

infatti, l’impresa sarà in grado di offrire un sistema di prodotto competitivo. Ma questa

“migliore conoscenza del segmento”, altro non è che una risorsa fondata

sull’informazione, uno specifico e preciso database dei clienti, una risorsa immateriale.

Da quanto evidenziato in precedenza, si possono trarre alcune conclusioni: in

primo luogo, è apparso il ruolo centrale ricoperto dagli intangibles quali fonti del

vantaggio competitivo86. Qualsiasi si la strategia prescelta, il raggiungimento del

vantaggio competitivo in un’economia moderna e sviluppata, affrancata dal paradigma

Fordista, riposa in larga misura sulla dotazione e sull’adeguato sviluppo delle risorse

immateriali. In secondo luogo, va sottolineato il ruolo ormai dominante giocato oggi dal

vantaggio competitivo nel conseguimento di differenziali positivi di redditività:

vantaggio competitivo che, in un quadro di sempre maggiore dinamicità del sistema-

azienda, presenta il carattere dalla sostenibilità soprattutto se fondato sulle risorse

immateriali, difficilmente replicabili nel breve termine da parte di aziende concorrenti.

Tale sostenibilità, infatti, si ricollega alla difficile riproducibilità e trasferibilità delle

risorse immateriali e alla loro difficile appropriazione ed erosione da parte della

concorrenza. In terzo luogo, a parziale correzione di quanto affermato in precedenza, se

86 “La capacità competitiva dell’impresa si configura come una capacità di cercare ed elaborareinformazioni – sulla clientela, sui concorrenti, sulle tecnologie, sulle risorse – e di tradurle in formeorganizzate di produzione. Quindi, al massimo livello di astrazione, la competitività dell’impresa è ilrisultato della capacità di incorporare nelle proprie attività: scienza (informazioni sulle regole difunzionamento dei sistemi fisici e sociali) e conoscenza (informazioni sugli stati dei sistemi fisici e socialie sulle esigenze dei soggetti). Molto spesso il risultato di queste attività è dato da un prodotto, vale a direda qualcosa di materiale. Ma questa circostanza non deve farci dimenticare che il “prodotto” costituisceil risultato di una “capacità immateriale” dell’impresa, rappresentata dalla sua abilità di incorporare eprodurre scienza e conoscenza. Quindi, il vero differenziale competitivo fra imprese si trova (e si produce

61

in generale il vantaggio competitivo fondato sulle risorse immateriali presenta il

carattere della sostenibilità, va tuttavia rilevato come oggi sia soprattutto il vantaggio

competitivo basato sulla differenziazione quello che più agevolmente presenta il

carattere della sostenibilità. L’aumento della concorrenza internazionale, infatti, ha

evidenziato la fragilità connaturata a posizioni di leadership di costo, apparentemente

solide a livello nazionale, facilmente attaccabili da parte di soggetti di offerta le cui

strutture di costo risultano indubbiamente più flessibili e meno gravate di costi fissi. Il

vantaggio competitivo basato sulla differenziazione, perciò, affonda le proprie radici

tipicamente in risorse caratterizzate da una più elevato contenuto di firm specificity che

sembrano porre al riparo da attacchi esterni il vantaggio competitivo in tal modo

perseguito.

nel tempo) a questo livello”. Così si è efficacemente espresso Volpato G., Concorrenza, impresa,

62

CAPITOLO IILa valutazione contabile degli intangible assets

Nel corso del secondo capitolo tratteremo l’argomento della valutazione

contabile degli intangible assets e della loro espressione all’interno dei documenti di

bilancio: tematica in continuo divenire e soggetta a continui cambiamenti, sotto la

spinta dei processi di armonizzazione contabile Europea e mondiale, nonché sotto

l’influsso della sempre maggiore democratizzazione dell’informazione societaria.

All’interno del primo paragrafo esamineremo i principi contabili italiani e le modalità

di contabilizzazione classiche e sedimentate in Italia, almeno fino al 1 gennaio 2005.

Da questa data, infatti, almeno per quanto riguarda i bilanci consolidati delle società

quotate, i principi contabili italiani verranno sostituiti dai principi contabili

internazionali IAS-IFRS, a cui sono dedicati il secondo e il terzo paragrafo: dopo una

breve descrizione storica dell’evoluzione di questi principi, dell’organo deputato alla

loro emissione e delle modalità attraverso le quali i suddetti principi verranno

implementati a livello di singolo Stato Europeo, tratteremo nello specifico le novità che

questa nuova modalità di contabilizzazione apporterà rispetto ai principi contabili

italiani. Proprio il principio contabile internazionale dedicato alla contabilizzazione

delle attività immateriali è uno di quelli che porterà maggiori cambiamenti nella prassi

contabile delle imprese Italiane. Da ultimo, in un’ottica di sempre maggiore

internazionalizzazione dei capitali e conseguente armonizzazione degli standard

contabili, dedicheremo un paragrafo alla descrizione delle modalità di

contabilizzazione adottate negli Stati Uniti per quanto riguarda le attività immateriali e

le business combinations – una delle possibili fonti di acquisizione degli intangible

assets. Concretamente, quindi, faremo riferimento al Principio Contabile n. 24 del

CNDC-CNR per descrivere le modalità di contabilizzazione in Italia, agli IAS/IFRS

22,36 e 38 per i principi contabili internazionali, e agli SFAS 141 e 142 per i principi

contabili statunitensi. Al termine del capitolo, quindi, dovrebbero risultare evidenti le

strategie, Il Mulino, Bologna, 1995

63

differenze tra le varie modalità di contabilizzazione, rimandando all’analisi delle

possibili conseguenze di questa transizione al Capitolo IV, dedicato all’analisi delle

evidenze empiriche.

64

2.1 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I

PRINCIPI CONTABILI ITALIANI

I principi contabili italiani considerano i beni immateriali all’interno della più

ampia classe delle immobilizzazioni immateriali, contenuta nello schema di stato

patrimoniale, di cui riportiamo di seguito lo scorcio che ci interessa.

Figura 5 - Prospetto di stato patrimoniale attivo: Immobilizzazioni immateriali

Nella tabella precedente vengono evidenziati vari elementi che il codice include

in tale classe di valori, contraddistinti dai numeri arabi, ma non fornisce alcun

commento chiarificatore né a livello dei singoli elementi, né complessivamente87. Di

conseguenza, prima di esaminare le problematiche valutative degli elementi citati, è

necessario esaminare le norme contenute nel documento n.24 dei principi contabili del

87 Come evidenzieremo successivamente, l’art. 2427 n.3, solo nel caso dei costi di ricerca, sviluppo, dipubblicità e nel caso dei costi di impianto e di ampliamento richiede che la nota integrativa contenga ladescrizione dei motivi che hanno indotto gli amministratori a “capitalizzarli”, ossia ad inserire tali costinello stato patrimoniale rinviandoli al futuro, anziché “spesarli” nell’esercizio di sostenimento,imputandoli, cioè, integralmente al conto economico dell’esercizio del quale risultano di competenza.

ATTIVO

A) Crediti verso soci per versamenti ancoradovuti

B) Immobilizzazioni

I – Immobilizzazioni immateriali1) Costi di impianto e di ampliamento2) Costi di ricerca, sviluppo e pubblicità3) Diritti di brevetto industriale e diritti di

utilizzazione delle opere d’ingegno4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili5) Avviamento6) Immobilizzazioni in corso e acconti7) Altre

65

CNDC-CNR88, il quale offre importanti spunti di riflessione ed integra – per quanto non

contemplato dal testo civilistico – la trattazione della contabilizzazione delle attività

immateriali: il principio in questione, infatti, titola “Le Immobilizzazioni Immateriali”

ed in apertura del testo viene individuato lo scopo del documento: “Il presente

documento ha lo scopo di definire le immobilizzazioni immateriali ed i principi

contabili relativi alla loro rilevazione, valutazione e rappresentazione nel bilancio

d’esercizio di imprese mercantili, industriali e di servizi […]”.

Il documento 24 precisa che i tratti comuni a tale gruppo di elementi consistono ne:

L’assenza di tangibilità;

Il sostenimento effettivo di costi per la loro acquisizione o la loro produzione

interna e la capacità di identificare e misurare tali oneri;

L’utilità pluriennale89, intesa come beneficio economico in termini di maggiori

ricavi o minori costi rispetto a quelli che si verificherebbero nel caso di assenza

di tali beni.

E’ evidente come, al contrario di quanto vedremo accadere nel documento IAS n.38,

vengano dati per scontati tanto il requisito della identificabilità – intesa come la capacità

di distinguere l’elemento considerato dal più generale ed eterogeneo avviamento

aziendale – che quello della controllabilità – da intendersi come la capacità di fruire in

esclusiva dei vantaggi da esso conseguibili90. Ai fini dell’iscrizione non rileva, invece,

la fonte di provenienza dei beni, nel senso che sono iscrivibili nell’attivo patrimoniale

elementi che soddisfino le condizioni precedentemente descritte, indipendentemente dal

fatto che essi siano disponibili a seguito di acquisto dall’esterno, produzione interna o

acquisizione a titolo di godimento91.

88 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti – Consiglio Nazionale dei Ragionieri89 Questo requisito è coerente con la decisione di annoverare i beni immateriali tra la categoria delleimmobilizzazioni, ossia elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente.90 La possibilità di godimento esclusivo spesso riposa su garanzie offerte da strumenti giuridici, qualileggi (ad esempio diritti d’autore o di brevetto) o contratti (contratto di imposizione di segretezza aidipendenti, privative commerciali, ecc…).91 Unica eccezione è rappresentata dal caso dell’acquisto a titolo gratuito, proprio perché il documenton.24 ritiene non soddisfatta la condizione della attendibile misurazione del costo. Al riguardo, è da notarecome non sussista un simile divieto per quanto riguarda le immobilizzazioni materiali, dovel’acquisizione a titolo gratuito non impedisce la capitalizzazione, affidando la stima dell’effettivo valore

66

All’interno della classe oggetto d’analisi – sempre rimanendo in merito a tematiche

definitorie – il documento n. 24 compie la fondamentale distinzione tra beni immateriali

in senso proprio, in quanto coperti da specifica tutela giuridica che li porta ad essere

oggetto di diritti attivi e passivi, e oneri pluriennali92. La distinzione tra beni

immateriali e oneri pluriennali non è di poco conto, infatti la maggiore incertezza

riguardo al reale contenuto economico in termini di utilità futura dei secondi, aveva già

portato il legislatore a prevedere specifiche forme di tutela prudenziale (art. 2426, n.5 e

n.6), quali la subordinazione della loro capitalizzazione al consenso del collegio

sindacale, il loro ammortamento in un tempo massimo di cinque anni e la possibilità di

distribuire utili in presenza di valori non ancora ammortizzati solo se a copertura del

costo residuo vi sono riserve di utili disponibili sufficientemente capienti.

2.1.1 - Aspetti generali di valutazione

Nel paragrafo seguente, tratteremo di quegli aspetti comuni a tutti i beni

immateriali contabilizzati, senza che siano previste – in questi ambiti – specifiche

prescrizioni per singole categorie di beni. Successivamente, quindi, analizzeremo in

maniera distinta le varie categorie di attività immateriali, analizzandone le specificità

contabili.

2.1.1.1 - Il valore originario

Le immobilizzazioni immateriali che rispondono ai requisiti suddetti devono

essere inizialmente registrate al costo sostenuto per la loro acquisizione, conformemente

a quanto previsto dall’art. 2426, n.1, c.c. A seconda delle specifiche modalità di

formazione – esaminate all’interno del primo capitolo – la nozione di costo varierà nel

senso che:

del bene ai valori di mercato. In effetti, come più volte ripetuto all’interno di questo lavoro, come sembrapossibile dedurre dai principi del CNDC-CNR, la differenza tra i due casi risiede nella maggiore difficoltàdi stimare degli attendibili valori di mercato relativi alle immobilizzazioni immateriali.92 Ad evidenza, i primi consistono nei brevetti, nei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, neimarchi, nelle concessioni, nelle licenze; i secondi, invece, consistono nei costi pluriennali che non siconcretizzano nei beni suddetti, come i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di pubblicitàe gli altri oneri pluriennali. Rappresenta invece una categoria autonoma l’avviamento, sovente intesaquale voce residuale.

67

qualora le immobilizzazioni immateriali derivino da operazioni di acquisizione

esterna, si tratterà di computare un costo di acquisto comprensivo di tutti gli

oneri accessori (in genere consulenze ed intermediazioni, purché specificamente

riferite all’acquisto dell’immobilizzazione stessa);

nel caso di produzione interna, si tratterà di includere tutti i costi diretti e la

quota ragionevolmente imputabile di costi indiretti93;

2.1.1.2 - Gli ammortamenti

Il codice civile stabilisce (art. 2426, n.2) che le immobilizzazioni la cui

utilizzazione è limitata nel tempo, devono essere “sistematicamente ammortizzate in

ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”94. Nelle

parole del codice, l’ammortamento deve essere sistematico, cioè compiuto in ogni

esercizio sulla base di un piano e questo programma deve essere rivisto periodicamente

“per verificare che non siano intervenuti cambiamenti tali da richiedere una modifica

delle stime effettuate nella determinazione della residua possibilità di utilizzazione”95.

Il processo in questione, che prende inizio dal momento in cui l’immobilizzazione è

disponibile per l’uso, presuppone la definizione di tre elementi:

1. Il valore da ammortizzare

2. La vita utile

3. Il criterio di ripartizione del valore

Il valore da ammortizzare è costituito dalla differenza tra costo originario96 e valore

residuo della vita utile del bene, con quest’ultimo generalmente considerato nullo a

causa dell’incertezza in merito alla sua determinazione97.

93 La produzione interna, si ricorda, avrà originato una capitalizzazione inserita tra i ricavi del contoeconomico nella voce A.4 “Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni”, mentre in contropartitasarà stato acceso il conto riferito alla specifica immobilizzazione.94 L’ammortamento, in sostanza, consiste nella ripartizione del costo nei vari esercizi ai qualil’immobilizzazione offre un contributo ai processi produttivi, in funzione dell’intensità con cui questocontributo si verifica.95 Cfr. principio contabile n.24, CNDC-CNR96 Eventualmente aumentato delle rivalutazioni e delle migliorie e diminuito delle svalutazioni.

68

La vita utile è basata sulle prospettive temporali di utilizzo dell’elemento

considerato; per quanto riguarda i beni immateriali – intesi come diritti di brevetto,

marchi, licenze – la vita utile è spesso paragonata al periodo che la legge o il contratto

stabiliscono come intervallo nel quale l’azienda può sfruttare in via esclusiva il bene.

Nel caso degli oneri pluriennali, invece, mancando riferimenti così precisi, in ossequio

al principio della prudenza nella redazione delle sintesi di esercizio, la legge stabilisce

per i costi pluriennali e per l’avviamento98 una durata convenzionale massima pari a

cinque esercizi (art. 2426, n.5).

Il criterio di ripartizione del valore è la metodologia in base alla quale suddividere

ed imputare all’esercizio di competenza le varie quote di costo derivanti dal processo di

ammortamento. Il documento n.24 indica quello a “quote costanti” quale metodo più

immediato in ragione della sua semplicità di calcolo. In talune circostanze, il documento

suggerisce la maggiore coerenza ed opportunità del “metodo a quote decrescenti”, alla

base del quale vi è l’ipotesi che l’immobilizzazione immateriale offra il contributo

maggiore nei suoi primi esercizi di vita, anche in applicazione del postulato della

prudenza. In ogni caso, il documento ritiene accettabile l’uso, per diverse classi di

cespiti, di metodi diversi, pur invitando gli operatori ad instaurare una effettiva

correlazione tra quote di ammortamento ed effettiva perdita di valore economico del

bene a causa del suo utilizzo99.

2.1.1.3 - Le rivalutazioni

Conformemente al dettato civilistico, il documento n. 24 consente la possibilità

di compiere rivalutazioni dei cespiti solo se ciò è permesso da leggi speciali e negli

stretti limiti da queste stabiliti; la più recente legge di rivalutazione, ad esempio, è la

342/2000 che consentiva alle società e alle imprese individuali la possibilità di

97 E’ evidente che, data l’estrema incertezza che caratterizza la determinazione di questo valore nel casodi immobilizzazioni materiali, per le immobilizzazioni immateriali questo aspetto sia ancora di più incertaindividuazione.98 Solo nel caso dell’avviamento è prevista la possibilità che gli amministratori, dietro parere positivo delcollegio sindacale e adeguata motivazione nella nota integrativa – con indicazione degli specifici fattoriche giustificano una vite utile maggiore dei cinque esercizi convenzionali – stabiliscano un periodo diammortamento superiore (art. 2426, n.6)99 Ricordiamo come la quota di ammortamento vada riepilogata in conto economico nella voce B.10.a,mentre il fondo ammortamento accreditato in contropartita è inserito nello stato patrimoniale a direttarettifica dell’immobilizzazione a cui fa riferimento.

69

rivalutare nel bilancio dell’esercizio 2000 le immobilizzazioni materiali, immateriali e

le partecipazioni in imprese controllate e collegate. Pertanto, non è consentito nessun

margine di discrezionalità nell’operare rivalutazioni “monetarie”, finalizzate a tenere

conto dei processi inflazionistici, o rivalutazioni “economiche”, miranti ad evidenziare il

maggior valore associabile ad un bene a seguito di circostanze di mercato. In tal senso,

sarà eventualmente la legge a disciplinare tali situazioni, fermo restando il fatto che,

quando anche le leggi speciali lo consentissero, le rivalutazioni non potranno

determinare ricavi da inviare a conto economico, ma potranno produrre solamente

aumenti di speciali riserve componenti il patrimonio netto, esplicitando di conseguenza

in nota integrativa i criteri seguiti, l’importo della rivalutazione al lordo e al netto degli

ammortamenti e l’effetto sul patrimonio netto.

2.1.1.4 - Il valore realizzabile come limite superiore e le svalutazioni

Fin dal momento dell’acquisizione e poi, successivamente, in ogni momento

della vita utile, il valore al quale l’immobilizzazione è iscritta in contabilità non può

superare il valore recuperabile dell’immobilizzazione stessa100: in merito, il documento

n.24 puntualizza che si definisce valore recuperabile il maggiore tra il valore in uso ed il

valore realizzabile tramite alienazione.

Il valore realizzabile tramite alienazione consiste nel prezzo ricavabile da una

vendita in condizioni normali di mercato, al netto degli oneri diretti di cessione. Il

valore in uso, invece, è definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi durante la

vita utile dall’impiego della risorsa nei processi produttivi interni. Qualora, ovviamente,

il valore iscritto in contabilità risultasse superiore al limite in tal modo definito,

l’azienda dovrà svalutare l’immobilizzazione con relativo addebitamento al conto

economico dell’esercizio. Questa precisazione risulta coerente con la funzione stessa

che il bene andrà ad assumere all’interno del sistema aziendale: a rigor di logica, il

valore recuperabile coinciderà, quindi, con il valore di realizzo indiretto – determinato

100 Il dettato legislativo è coerente con quanto affermato dall’art. 2426, n.3, ove si afferma che “leimmobilizzazioni devono essere svalutate in caso di perdita durevole emergente alla data di chiusuradell’esercizio”. La eventuale svalutazione, ad evidenza, risulta logicamente distinta dal processo diammortamento sistematico, proprio per il carattere di straordinarietà ad essa associato. Lo stesso principiocontabile n.24 afferma che in ogni caso “le cause di svalutazione devono assumere carattere distraordinarietà e di gravità, altrimenti ricadrebbero nell’ordinario processo di ammortamento”.

70

attualizzando i flussi di cassa derivanti dall’impiego dell’immobilizzazione stessa101 –

se il bene è destinato ad essere impiegato nei processi produttivi interni, o con il valore

di realizzo diretto desumibile dall’andamento di mercato se, invece, la destinazione

economica è quella di una cessione a soggetti terzi.

Per quanto riguarda i momenti nei quali operare tali valutazioni, il documento

n.24 precisa che l’accertamento in merito alla recuperabilità del costo del bene deve

essere fatto inizialmente – nel momento in cui il bene entra a far parte per la prima volta

del sistema di contabilità aziendale – e successivamente ogniqualvolta “certe condizioni

di utilizzo del bene o addirittura l’operatività stessa della società possa subire

mutamenti di rilievo. Particolare attenzione va posta nel caso in cui l’impresa versi in

una situazione di perdita e nel contempo esponga in bilancio immobilizzazioni

immateriali, quali oneri pluriennali. In tali fattispecie, è massimamente necessaria la

dimostrazione della ricuperabilità dei costi iscritti nell’attivo”.

Una volta effettuata la svalutazione in ossequio ai dettami introdotti in

precedenza, se le cause che l’avevano determinata non sussistono più, il codice civile

stabilisce sempre all’art. 2426, n.3, che si debba stanziare una rivalutazione a conto

economico. Questo tipo di rivalutazione è l’unico caso di rivalutazione permesso ed è

comunemente riconosciuto con il termine di rivalutazione di ripristino, in quanto serve

per riportare il valore dell’immobilizzazione fino al massimo del costo residuo prima

della svalutazione102. In merito a questo argomento, il D.Lgs. n.6/2003 (“riforma

Vietti”) ha introdotto una modifica che interessa direttamente le immobilizzazioni

immateriali ed è quella prevista dal nuovo comma 3 bis dell’art. 2427 - Contenuto della

nota integrativa; il comma citato afferma che in nota integrativa si devono precisare “la

misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni

immateriali di durata indeterminata, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro

concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile

101 A livello metodologico, il documento n. 24, al di là delle affermazioni di principio, lasciaindeterminati gli aspetti tecnici della procedura di stima del flusso di cassa atteso dall’uso interno,diversamente da quanto – come vedremo – compie, invece, lo IAS n. 36102 Il documento n. 24 conferma, a tale proposito, che il ricavo per plusvalenza di ripristino debba essereal netto degli ulteriori ammortamenti non calcolati a causa della precedente svalutazione. Proprio perchéassume questo scopo, la rivalutazione di ripristino può essere operata fino a concorrenza del costooriginario. Nel conto economico la svalutazione confluirà nella voce B.10.c del conto economico (“altresvalutazioni delle immobilizzazioni”) mentre il fondo svalutazione era stato collocato in stato patrimonialea diretta detrazione della voce a cui si riferisce. L’eventuale rivalutazione di ripristino sarà collocata nellavoce A.5.

71

e, per quanto determinabile, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze

rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui

risultati economici dell’esercizio e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data

comunicazione”. Per prima cosa, nell’analisi della suddetta norma, risulta preliminare

delimitare il campo di applicazione della stessa: essa riguarda le immobilizzazioni “di

durata indeterminata”, espressione non immediatamente chiara quanto alla concreta

identificazione delle tipologie di risorse interessate: i commentatori, tuttavia, sembrano

concordare in merito al fatto che l’ambito di applicazione della norma possa essere

esteso a tutte quelle immobilizzazioni immateriali non aventi una predeterminata vita

giuridica – intesa come termine per l’esercizio del diritto allo sfruttamento esclusivo.

Precisato il campo di applicazione, bisogna altresì notare come alcuni passaggi della

norma riguardino specificamente i criteri di valutazione: in particolare, si fa riferimento

al valore di mercato103, alla prevedibile vita utile, alla loro utilità futura. In tal senso,

pertanto, il punto 3 bis sembra quasi sancire che la procedura di svalutazione non possa

prescindere dalla considerazione di tali elementi, come peraltro stabilito dal principio

contabile n. 24 stesso104. L’informativa integrativa da fornire sulle svalutazioni di tali

elementi, inoltre, è stata ampliata per mezzo del suddetto dettato legislativo: misura,

motivazioni, esplicito riferimento alla vita utile, al valore di mercato, al grado di

concorso alla produzione di risultati economici futuri, differenze rispetto a quelle

operate negli esercizi precedenti e impatto su risultati economici e su indicatori di

redditività se già comunicati. Tali informazioni integrative sono di indubbio interesse e

portano nella direzione della tanto richiesta trasparenza dell’informativa contabile in

merito alle attività immateriali: alcune sono, infatti, decisamente innovative come nel

caso del confronto con le svalutazioni operate “negli esercizi precedenti” e non solo in

quello immediatamente precedente, come finora richiesto dal codice, o nel caso

dell’informativa circa l’impatto sugli indicatori di redditività, se comunicati, in ossequio

alla sempre maggiore importanza da questi rivestiti nel processo di comunicazione della

redditività aziendale a soggetti esterni.

103 Sempre che questo sia determinabile, visto che in molti casi si tratta di elementi così specifici per lasingola azienda che non si potrà stabilire con adeguata precisione un opportuno valore di mercato.104 Alcuni commentatori, a riguardo, hanno sostenuto che si tratti di un primo tentativo di introdurre ilconcetto di fair value – ben noto in ambito IASB – all’interno dell’ordinamento contabile italiano.L’incertezza e la vaghezza con cui, però, questi argomenti sono trattati nel testo legislativo riportato,indeboliscono questa convinzione.

72

2.1.2 - Le diverse tipologie di attività immateriali

Dopo aver introdotto i principali dettati legislativi in merito all’argomento

generale delle immobilizzazioni immateriali, passiamo ora ad analizzare singolarmente

ogni voce della suddetta categoria.

2.1.2.1 - Costi di impianto e di ampliamento

Il documento n. 24 chiarisce subito che l’interpretazione fornita sul contenuto di

questa classe di elementi, previsti al punto B.I.1 dello schema di stato patrimoniale

civilistico, ha carattere estremamente restrittivo, per la necessaria prudenza da tenere in

considerazione nella valutazione di risorse gravate da margini di incertezza tanto

consistenti. Il documento ritiene inseribili in tale classe costi che non siano ricorrenti

ma riguardino ben precisi momenti della gestione aziendale. In tal senso, rientrano in

tale nozione:

I costi pre-operativi sia di tipo legale (costi per l’atto costitutivo, tasse, ecc…)

che di tipo più prettamente operativo (costi per iniziali ricerche di mercato,

addestramento iniziale del personale, ecc…);

I costi relativi ad ampliamenti successivi (ad esempio costi per aumenti del

capitale sociale, per ammissione alla quotazione di borsa, ecc…)

In ogni caso, ricordando le regole generali proposte in precedenza, la

capitalizzazione di tali costi è condizionata dalla continua verifica della loro utilità

futura, con particolare riferimento alla correlazione con i ricavi, e nel limite massimo

dato dal valore recuperabile105.

105 In particolare, per accertare la recuperabilità di tale valore, il documento n. 24 richiede di valutare sein presenza di costi di impianto e di ampliamento gli esercizi futuri prevedano utili in grado di coprire lequote di ammortamento relative a tali cespiti, oppure se sono previste perdite significative destinate aprotrarsi per lunghi periodi. Nel primo caso la condizione della ricuperabilità è rispettata ed i costi diimpianto potranno essere mantenuti tra le attività. Nel secondo caso, invece, l’inesistenza delle condizionidi ricuperabilità richiederà una loro svalutazione.

73

2.1.2.2 - Costi di ricerca e sviluppo

Il documento n. 24 specifica che i costi capitalizzabili all’interno della voce

oggetto di analisi sono riconducibili a quelli relativi alla ricerca applicata e allo

sviluppo, ritenendo pertanto che i costi connessi alla ricerca di base debbano essere

spesati al conto economico dell’esercizio di sostenimento, in quanto sostenuti in modo

ricorrente106. Di conseguenza, la distinzione tra ricerca di base, da una parte, e ricerca

applicata e sviluppo, dall’altra, assume una notevole rilevanza.

La ricerca di base è definita dal documento n. 24 come “l’insieme delle indagini

non precisamente finalizzate verso determinati risultati”, mentre la ricerca applicata si

caratterizza, invece, per l’esistenza di uno specifico progetto verso il quale sono diretti

gli sforzi dell’azienda.

Col termine sviluppo, invece si definisce “l’applicazione dei risultati delle

ricerche precedenti o di altre conoscenze, per pianificare o progettare la produzione di

nuovi materiali, strumenti, prodotti, processi, sistemi o servizi, fino al momento nel

quale sia iniziata la produzione destinata alla vendita o l’utilizzo interno del

risultato”107.

La ratio del principio contabile in questione e delle definizioni proposte è

riconducibile al fatto che nella fase di ricerca di base non sono dimostrabili i probabili

benefici futuri (intesi nel senso di maggiori ricavi o di minori costi) derivanti dallo

sfruttamento di nuove conoscenze. I costi relativi alla fase di ricerca applicata e

sviluppo, al contrario, possono essere capitalizzati al verificarsi di certe condizioni

perché la nascita di simili attività di sviluppo implica che l’azienda abbia la volontà

precisa di realizzare un quid novi da cui deriveranno ricavi futuri108.

106 Tradizionalmente, infatti, la questione più rilevante in merito alla voce B.I.2 è sempre consistita nellostabilire entro quali limiti i costi di ricerca e sviluppo possano essere capitalizzati, atteso che il codicecivile non fornisce indicazioni precise se non la generica indicazione della voce, appunto, in cui possonoessere inseriti.107 Nonostante le definizioni possano sembrare esaustive, si verificano molto spesso nella realtà operativadifficoltà nel distinguere le due fasi più sopra identificate. A riguardo, generalmente, si parladell’esistenza di un progetto come momento discriminante tra ricerca di base e ricerca applicata, senzaperaltro precisarne con maggiore dettagli gli aspetti formali (ricevimento delle autorizzazioni a procedereda parte degli amministratori, redazione di un piano economico specifico, ecc…).108 In questo senso, a livello pratico, è fondamentale che l’azienda possa definire una sorta di“probabilità” di ottenere futuri ricavi a differenza della fase di ricerca di base, in cui questa stima non èpossibile. Tale “probabilità” deve essere sufficientemente alta da giustificare la concreta attesa di beneficieconomici futuri.

74

La capitalizzazione dei costi di ricerca applicata e sviluppo richiede comunque il

congiunto verificarsi delle seguenti condizioni, non bastando la mera rispondenza alla

definizione riportata più sopra:

1. chiara definizione del progetto, identificabilità e misurabilità dei costi necessari

per la ricerca applicata e lo sviluppo del prodotto/processo

2. realizzabilità del progetto e possesso di adeguate risorse (tecniche, finanziarie ed

informative)109

3. recuperabilità dei costi tramite i ricavi futuri derivanti dal progetto.

La determinazione dei consumi da includere nei costi di ricerca applicata e sviluppo

comprende tutti gli oneri sostenuti a partire dal momento nel quale sono riscontrabili i

requisiti di identificabilità, controllo, misurabilità ed utilità precedentemente analizzati.

Potranno essere inclusi tanto i costi diretti (personale, ammortamenti, materie, servizi,

purché specificamente impegnati in tali attività) sia i costi indiretti allocati tramite

congrue basi costanti nel tempo (ad esclusione dei costi generali ed amministrativi)110.

L’ammortamento dei costi di ricerca e sviluppo capitalizzati deve iniziare dal

momento in cui la risorsa sarà utilizzabile: esso verrà poi condotto secondo un piano

sistematico, normalmente per quote costanti o, più prudenzialmente, per quote

decrescenti. Il limite convenzionale dei cinque anni imposto dal codice civile risulta

giustificato solo in base al generale criterio della prudenza nella redazione delle sintesi

di bilancio, giustamente in funzione della estrema incertezza in merito alla

determinazione dei costi relativi a simili progetti.

109 Il documento n. 24 riconosce l’estrema difficoltà nella stima del suddetto requisito della realizzabilità,dipendendo esso non solo da circostanze interne ma anche – e in molti casi, soprattutto – da fattori esterni(comportamenti concorrenziali, affermazioni di standards tecnologici, mutato contesto settoriale, ecc…).Di conseguenza è possibile sia ritenere non più fattibile un progetto inizialmente ritenuto realizzabile, siastimare possibile un progetto prima ipotizzato irrealizzabile. Nel primo caso, i costi eventualmentecapitalizzati all’inizio dovranno essere spesati nell’esercizio in cui sarà evidente la non realizzabilitàtecnico/economica del progetto. Nel secondo caso, si potranno capitalizzare costi a partire dal momentonel quale il progetto si è dimostrato fattibile; quelli in precedenza sostenuti e ormai spesati negli eserciziprecedenti non potranno, chiaramente, essere retroattivamente capitalizzati.110 Non vi è generale accordo in merito alla capitalizzazione dei costi per interessi passivi perfinanziamenti specificamente ottenuti a fronte dell’impegno nella ricerca, a causa del difficilecollegamento possibile tra singole fonti di finanziamento e specifici investimenti.

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2.1.2.3 - Costi di pubblicità

Il documento n. 24 ritiene possibile la capitalizzazione dei costi di pubblicità

solo quando siano sostenuti per consentire il successo di una iniziativa (lancio di un

nuovo prodotto, sviluppo di nuova attività o addirittura avvio iniziale dell’intera

azienda), assimilandoli pertanto ai costi di impianto e di ampliamento anche in merito

agli altri presupposti richiesti per la capitalizzazione e alle regole per l’ammortamento

successivo indipendentemente dal fatto che la collocazione dei costi di pubblicità nello

schema di stato patrimoniale sia separata dai costi di impianto e di ampliamento in

senso stretto. Per l’iscrizione nell’attivo dei costi di pubblicità, inoltre, si deve verificare

il carattere della non ricorrenza: non si possono, quindi,capitalizzare costi per

pubblicità di sostegno111.

Nei casi in cui i costi sostenuti siano ritenuti capitalizzabili, il metodo di

ammortamento dovrà necessariamente tenere conto della maggiore rapidità con la quale

l’utilità derivante dai costi sostenuti si trasferirà ai ricavi di vendita: in concreto, si

verifica nella maggior parte dei casi una cessione di utilità concentrata nei primi esercizi

successivi al sostenimento, suggerendo, quindi, un metodo di ammortamento a quote

decrescenti, invece che il normale metodo a quote costanti, maggiormente aderente alla

reale perdita di utilità economica dell’attività immateriale oggetto di analisi.

2.1.2.4 - Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno

Il documento n. 24 precisa che l’iscrivibilità nell’attivo di tali beni è subordinata

alla sussistenza dei requisiti generali già ricordati in precedenza, quali la titolarità di un

diritto esclusivo di sfruttamento, la recuperabilità dei costi di iscrizione tramite benefici

economici futuri (maggiori ricavi e/o minori costi), misurabilità del costo sostenuto. I

benefici economici dovranno essere dimostrati per mezzo dei piani relativi al concreto

impiego in azienda del bene oggetto di contabilizzazione: piani che dovranno essere

111 Con la medesima logica, i costi per materiale promozionale andranno generalmente spesatinell’esercizio di sostenimento (depliant, campioni distribuiti alla clientela). Solo nel caso in cui ilmateriale abbia effettivamente un’utilità pluriennale (come ad esempio nel caso di un catalogo generale,sarà giustificata una capitalizzazione dei costi sostenuti.

76

tecnicamente ed economicamente plausibili e fattibili ed i cui effetti siano inclusi nei

budget aziendali.

Per quanto riguarda la stima del costo iniziale, nel caso di acquisto del brevetto

da fornitore esterno, oltre al costo diretto di acquisto dovranno essere inclusi gli oneri

accessori, comprendenti i costi di progettazione e per gli studi di fattibilità ed

applicabilità relativi all’effettivo impiego del brevetto in azienda. Qualora i brevetto non

sia acquistato a titolo di proprietà ma sia utilizzato tramite l’ottenimento di licenza,

nell’attivo dello stato patrimoniale – sotto la voce brevetti e non come licenza – andrà

inserito il costo della licenza solo se questa ha dato origine ad un costo una tantum; se

invece il corrispettivo per la licenza consiste in somme dovute ogni esercizio – o

comunque con cadenza periodica – non sarà possibile alcuna capitalizzazione, dovendo

spesare i vari compensi a conto economico. In caso di acquisto a titolo originario,

quindi nel caso in cui il brevetto sia sviluppato internamente, si applicheranno le regole

del calcolo del costo di produzione già esaminate in precedenza con riferimento ai costi

di ricerca e sviluppo112.

La vita massima del brevetto si fonda sulla durata riconosciuta dalla legge;

ovviamente, questa rappresenta un limite massimo alla durata della rappresentazione del

brevetto stesso a bilancio, nulla vietando che – a seconda delle concrete circostanze

applicative – la vita utile del bene possa essere ridotta se il prospettato periodo di utilità

futura dovesse estendersi lungo un intervallo temporale più breve. Anche in questo

caso, come nei precedenti, il metodo a quote costanti – sebbene maggiormente diffuso –

può essere correttamente sostituito da altri metodi, come quello a quote decrescenti o a

quote variabili in funzione dei volumi di produzione, nel caso in cui queste modalità

riflettano in maniera più precisa la graduale ed effettiva riduzione dell’utilità

dell’intangible.

Oltre alle procedure di ammortamento, in ogni esercizio si dovrà valutare, come

evidenziato nei paragrafi precedenti, l’attuale sussistenza delle condizioni che

consentirono l’iscrizione iniziale del bene nell’attivo di stato patrimoniale, potendosi

essere verificata una modifica, in tutto o in parte, delle stesse. Qualora si riscontrasse il

verificarsi di questa eventualità, conformemente alle regole generali, l’azienda dovrà

operare una svalutazione.

77

Considerazioni sostanzialmente simili varranno per i diritti d’autore, quale

esempio di diritto di utilizzazione delle opere di ingegno. A riguardo, il documento n.

24 formula una particolare avvertenza in merito all’estrema aleatorietà connessa all’uso

di tali diritti, consigliando un periodo di ammortamento ragionevolmente breve.

2.1.2.5 - Concessioni

Come chiarito dal documento n.24, le concessioni iscrivibili nella voce B.I.4 sono

quelle riguardanti:

concessioni da parte della pubblica amministrazione di diritti su beni di proprietà

degli enti concedenti (come il diritto di sfruttamento esclusivo di parti del suolo

demaniale);

concessioni da parte della pubblica amministrazione di esercizio di attività

proprie degli enti concedenti (gestione di parcheggi, ecc…)

Lo stato patrimoniale, quindi, sarà interessato qualora l’acquisizione di tali diritti

abbia comportato il sostenimento di costi una tantum, dovuti alla pubblica

amministrazione concedente o ad altro soggetto che ha inteso trasferire a titolo oneroso

la concessione di cui poteva disporre. L’ammortamento deve avvenire in relazione alla

durata della concessione stessa, anche se niente è stabilito riguardo al metodo di

ammortamento (quote decrescenti, costanti o variabili) a differenza di quanto precisato

per le altre voci.

2.1.2.6 - Licenze

Il documento n. 24 ricorda che le licenze possono derivare da provvedimenti

della pubblica amministrazione o da accordi con soggetti privati (licenze su diritti di

brevetto, su modelli, ecc…). In questi ultimi casi il documento ritiene che l’opinione

prevalente vada nella direzione dell’inclusione dell’eventuale immobilizzazione nella

classe che accoglie il diritto principale – e quindi le licenze di brevetti andranno incluse

112 Si riproporranno, in tal caso, le medesimo considerazioni avanzate in merito al trattamento previsto

78

nella classe relativa ai brevetti – della quale accoglierà anche le regole contabili sopra

descritte. Al contrario, se si vuole accogliere la nozione restrittiva secondo la quale tra i

brevetti, ad esempio, non potranno essere iscritte anche le licenze d’uso per brevetti di

proprietà di terzi soggetti, il costo per le licenze dovrà essere iscritto nella voce B.I.4

dell’attivo patrimoniale, alla voce “concessioni, licenze, marchi e diritti simili”: al di là

della collocazione in bilancio, varranno per tali licenze le stesse regole di valutazione

esaminate in merito ai brevetti.

Le regole per l’iscrivibilità dei costi nell’attivo patrimoniale e per il relativo

ammortamento testé descritte relativamente alle concessioni sono riproponibili anche ai

costi per licenze.

2.1.2.7 - Marchi

Il documento n. 24 consente la capitalizzazione dei marchi sviluppati

internamente – con relativa iscrizione nella suddetta voce B.I.4 dell’attivo patrimoniale

– oltre che di quelli acquisiti da soggetti terzi, mentre non viene ritenuto iscrivibile il

marchio ricevuto a titolo gratuito113. Nel caso di produzione interna, il documento

richiama l’attenzione sulla necessaria distinzione tra i costi sostenuti in via specifica per

lo sviluppo del marchio – debbono trattarsi in ogni caso di costi diretti – e quelli relativi

ad eventuali progetti di ricerca, all’avviamento della produzione o a campagne

promozionali, riproponendo a riguardo i commenti esposti in precedenza in merito alla

loro individuazione e contabilizzazione. Se il marchio, inoltre, provenisse all’azienda a

seguito di acquisto di complesso aziendale (intera azienda o anche solo di ramo di

questa), esso deve essere comunque separatamente valutato ed iscritto in bilancio in

base al suo valore corrente.

Il documento n. 24 non fornisce regole tassative sull’ammortamento, salvo

precisare che il periodo di vita utile è normalmente collegato al periodo di produzione e

conseguente commercializzazione in esclusiva dei prodotti a cui il marchio si riferisce

per i costi indiretti e gli oneri finanziari.113 Come evidenziato in precedenza, la norma in questione deriva dall’assenza di un’adeguata base dicosto a partire dalla quale valorizzare il marchio ricevuto a titolo gratuito: in questo caso si tratta diun’ipotesi più che altro teorica.

79

(ammettendo implicitamente, varie durate). Se tale vita utile non è prevedibile, il

documento stabilisce un limite massimo di venti anni.

2.1.2.8 - Know-how

Se l’azienda acquisisce da soggetti terzi segreti industriali relativi a tecnologie

non brevettate114, il costo sostenuto potrà essere capitalizzato ed iscritto nell’attivo

patrimoniale alla voce B.I.4. L’iscrizione nell’attivo sarà ovviamente subordinata al

riscontro dei requisiti generali di capitalizzazione sopra esaminati (utilità futura,

misurabilità del costo). Il documento n. 24 precisa che sono da iscriversi in questa voce

anche i costi per know-how sviluppato internamente, se tutelati giuridicamente; si tratta

quindi di un vero e proprio intangible, a differenza dei costi di ricerca e sviluppo che,

come sopra esaminato, appartengono alla categoria degli oneri pluriennali.

2.1.2.9 - Avviamento

Il documento n.24 attribuisce rilevanza contabile solo all’avviamento “derivato”,

ossia derivante da acquisto di un’azienda, di un ramo d’azienda o di una partecipazione,

non offrendo alcuna possibilità di contabilizzazione all’avviamento internamente

originato o “originario”, determinato dalla sinergia della combinazione produttiva in

essere. L’avviamento “derivato” – d’ora innanzi, più semplicemente chiamato

solamente “avviamento” – si caratterizza per essere costituito da costi a utilità differita

nel tempo, e per il fatto di essere incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisizione

dell’azienda (o di parte di essa), non risultando scindibile dal complesso aziendale

acquisito.

Il primo accertamento da compiere per valutare la possibile iscrizione

dell’avviamento nell’attivo patrimoniale, consiste nel valutare se la differenza115 tra

costo sostenuto e valore corrente dei beni e degli altri elementi patrimoniali acquisiti sia

114 Nel caso in cui si avesse a che fare con tecnologie brevettate, il bene acquisito rientrerebbe nella voceB.I.3, valendo per esso tutto quanto affermato in merito ai brevetti, alla loro contabilizzazione e al loroammortamento.115 Tecnicamente, il metodo per determinare la differenza tra costo sostenuto e valore del patrimonionetto dell’azienda (o ramo di essa) acquisita (a seguito di acquisto, conferimento o fusione) espresso a

80

dovuta ad un beneficio economico futuro116. Se tale differenza risulta giustificata da

favorevoli prospettive reddituali dell’azienda acquisita e si prevede che verrà recuperata

con il flusso dei redditi futuri, essa andrà capitalizzata con iscrizione al punto B.I.5

dell’attivo patrimoniale117.

Una volta capitalizzato, l’avviamento dovrà essere ammortizzato in un periodo

non superiore ai cinque anni. Una maggior durata (permessa anche dal codice civile) è

consentita nel caso in cui la specifica situazione faccia presumere sostanzialmente il

mantenimento di un’utilità per lunghi periodi di tempo (sotto forma di duraturo

vantaggio competitivo da esso derivante, particolare stabilità in senso positivo delle

condizioni di mercato, ecc…). Tali ragioni andranno opportunamente esposte e motivate

in nota integrativa.

In ogni caso, l’avviamento deve essere rivisto al termine di ogni esercizio al fine

di valutare la sussistenza di possibili cause di svalutazione, che si tradurrebbero –

qualora ne fossero accertate alcune – in un addebito al conto economico della

svalutazione in questione. In tempi recenti, a riguardo, sulla scia dei principi contabili

internazionali e dell’evoluzione di quelli nazionali, è sorta una corrente di pensiero

secondo la quale l’avviamento dovrebbe non più essere obbligatoriamente

ammortizzato, ma soltanto sottoposto alla procedura nota come impairment test per

confrontare il valore iscritto a bilancio con il suo fair value e, se del caso, svalutarlo.

D’altra parte, il non evidente ed esplicito riferimento a queste procedure da parte del

principio contabile italiano in analisi, fa ritenere inopportuna l’osservazione precedente,

nonostante all’interno dei principi contabili internazionali la tendenza a spostarsi dal

criterio del costo verso il criterio del fair value abbia assunto ormai una posizione di

primaria importanza.

2.1.2.10 - Altre immobilizzazioni immateriali

valori correnti è commentato nei documenti n.21 e n.17 del CNDC-CNR riguardanti rispettivamente lavalutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto e il bilancio consolidato.116 In ossequio al principio della utilità futura (maggiori ricavi/minori costi) quale condizione perl’iscrivibilità di un bene immateriale a bilancio. Incideranno, a riguardo, le prospettive reddituali ecompetitive caratterizzanti l’azienda acquisita e le possibili sinergie derivanti dalla combinazione delleattività produttiva dei due soggetti aziendali.

81

Il documento n. 24 ribadisce, in primis, che per gli elementi includibili in questa

voce residuale prevista dallo schema di stato patrimoniale civilistico devono valere i

requisiti generali previsti per la classe delle immobilizzazioni immateriali , descritti più

sopra. Tra le tipologie di costi iscrivibili in tale voce, ed esemplificate all’interno del

documento stesso, spiccano:

Costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi: Tali costi sono iscrivibili tra

le “altre immobilizzazioni immateriali” solo se non si riferiscono a beni già presenti tra

le immobilizzazioni dell’azienda, nel qual caso andrebbero ad incrementare il costo

delle stesse. Conseguentemente, tali costi si riferiscono, ad esempio, a migliorie su beni

in locazione, usufrutto o godimento. In questo caso, la vita utile ai fini della procedura

di ammortamento sarà pari al minore tra il periodo residuo di utilizzazione delle

migliorie stesse e la durata residua della locazione, “tenuto conto dell’eventuale periodo

di rinnovo se dipendente dal conduttore”118.

Costi di software: Dopo aver precisato che il costo del software di sistema operativo

risulta sostanzialmente e contabilmente inscindibile dal costo della macchina nel suo

complesso119, il documento n.24 si sofferma ad analizzare la casistica relativa al

software applicativo:

1. Se detto software è stato acquisito a titolo di proprietà o a titolo di licenza dalla

durata indeterminata o se è stato sviluppato internamente e risulta tutelato

giuridicamente come oggetti di diritto d’autore, il costo relativo deve essere

iscritto nella voce B.I.3 “Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione

delle opere d’ingegno”.

2. Se il software è stato acquisito con un licenza a tempo determinato ed il

pagamento del canone è una tantum, la voce interessata sarà la B.I.4

“Concessioni, licenze, marchi e diritti simili”, specificando che l’ammortamento

117 Nel caso in cui, al contrario, la differenza fosse dovuta ad altre circostanze, quali il fatto che si siaconcluso un cattivo affare o l’influenza di motivazioni personali, non vi sarà nessuna capitalizzazione,quanto piuttosto invece un addebitamento al conto economico del periodo.118 Cfr. documento n.16 del CNDC-CNR, “Le immobilizzazioni materiali”.119 Il software operativo, infatti, risulta necessario al funzionamento stesso della macchina, non potendoquesta operare correttamente senza il supporto del primo. Proprio per questo collegamento non si ritienepossibile scindere i due beni a livello contabile.

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di tale somma dovrà avvenire a quote costanti sulla base della durata della

licenza d’uso.

3. Se il software deriva, invece, da uno sviluppo interno e non è tutelabile come

oggetto di diritti d’autore, i costi diretti sostenuti (stipendi ai programmatori ed

eventuali spese “esterne” dirette) sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce

B.I.7 “altre immobilizzazioni immateriali”, qualora il risultato ottenuto, come

affermato in precedenza, possa godere di utilità pluriennale. La capitalizzazione

riguarderà i costi sostenuti dopo che l’azienda “sia ragionevolmente certa del

completamento e dell’idoneità all’uso atteso del nuovo software”120.

Nei casi 1. e 3. l’ammortamento dovrà essere effettuato a quote costanti sulla base della

durata della vita utile, se determinabile. In caso contrario, il documento n.24 prevede un

tempo massimo di tre anni, limitato rispetto ai consueti cinque anni a causa della rapida

obsolescenza tecnologica che caratterizza il settore informatico. Nel secondo caso, il

periodo di ammortamento è delimitato dalla durata della licenza121.

2.1.2.11 - Immobilizzazioni in corso e acconti

Le immobilizzazioni in corso di realizzazione si riferiscono generalmente agli

elementi immateriali – beni o semplici oneri pluriennali – sviluppati internamente (costi

di ricerca e sviluppo, know-how, software, ecc…), prima che sia stato ultimato il loro

completamento. Per questo stesso motivo, non può esservi ammortamento sulle

immobilizzazioni in corso, ma solo un graduale processo di accumulo di costi e

successiva capitalizzazione122.

Per quanto riguarda gli acconti, si tratta di anticipi corrisposti a fornitori di

immobilizzazioni immateriali, classificati in tale voce per un mero criterio di

destinazione economica degli stessi123. Per la loro stessa natura, questi conti non

possono che riguardare elementi immateriali acquisiti da fornitori esterni.

120 Cfr. documento n.24 CNDC-CNR, “Le immobilizzazioni immateriali”.121 Non vengono generalmente considerati capitalizzabili i costi per consulenze informatiche e permanutenzione dei sistemi esistenti.122 A livello contabile, infatti, una volta ultimata la fase di sviluppo, non appena l’elemento è disponibileper l’uso, contabilmente avremo la chiusura del conto destinato all’immobilizzazione in corso e l’aperturadel conto destinato all’elemento che da tale processo di sviluppo è stato originato.123 Contabilmente, tali costi rimarranno accesi finché la fornitura non sarà stata completata conconseguente ricezione e registrazione della relativa fattura definitiva.

83

2.1.3 - Contenuto della nota integrativa e della relazione sulla gestione

Per quanto riguarda le informazioni presentate in nota integrativa in merito alle

attività immateriali, il Codice civile prescrive di indicare:

i criteri applicati nella valutazione (art. 2427, comma 1, n.1)

i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ogni voce il costo, le

precedenti rivalutazioni, svalutazioni, ammortamenti, le acquisizioni, le cessioni,

gli spostamenti da altra voce compiuti nell’esercizio e il totale delle rivalutazioni

riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura del bilancio (art. 2427,

comma 1, n.2)

Altre prescrizioni sono poi riportate dal Codice a livello di singola voce, come nel

caso dell’art. 2427, n.3, che richiede di indicare in nota la composizione, le ragioni della

iscrizione ed i criteri di ammortamento dei costi di ricerca e sviluppo, di pubblicità, di

impianto ed ampliamento, o nel caso dell’art. 2426, n.6, relativamente alla indicazione

di una vita utile per l’avviamento superiore ai cinque esercizi.

Il documento n. 24 del CNDC e del CNR, inoltre, rispetto a quanto previsto dalla

normativa civilistica, sancisce l’obbligo di inserire in nota integrativa:

il criterio seguito per l’eventuale rivalutazione del bene immateriale, la legge che

l’ha determinata, l’importo della rivalutazione, al lordo e al netto degli

ammortamenti e l’effetto sul patrimonio netto;

le ragioni e l’ammontare della svalutazione apportata per perdite durevoli di

valore;

Ben diverso è il contenuto della relazione sulla gestione richiesto dal documento

n.24 relativamente alle attività di ricerca e sviluppo. L’art. 2428 c.c. genericamente

prevede che gli amministratori illustrino le attività di ricerca e sviluppo; proprio per

ovviare a questa vaghezza, la Commissione del CNDC e del CNR, al fine di meglio

84

integrare ed interpretare la norma civilistica, ha precisato in aggiunta che nella relazione

sulla gestione debbano figurare:

il totale dei costi sostenuti per lo svolgimento delle attività di ricerca, anche se

non capitalizzati;

il totale dei costi capitalizzati con l’espressa indicazione delle ragioni che hanno

condotto ad una sospensione al futuro dei costi dei ricerca;

il totale dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti a tasso agevolato

incassati (o che si prevede ragionevolmente di incassare) a fronte dell’impegno

nella ricerca;

la descrizione del ruolo delle attività di ricerca all’interno della più ampia

condotta strategica aziendale, sia in termini di immagine che di riflesso sulla

gestione corrente;

L’importanza di queste disposizioni integrative è giustificata dal fatto che la

domanda di informazioni da parte dei lettori esterni di bilancio in merito alle attività di

ricerca, trova soddisfacimento soprattutto in questi due documenti. Ponendo l’accento

sul contenuto informativo della relazione sulla gestione e delle nota integrativa, si evita

di legare la fornitura di informazioni alla questione della capitalizzazione che, come

osservato, non potrà comunque essere rigidamente vincolante. In secondo luogo, spetta

proprio alla relazione sulla gestione la funzione di informare anche in termini più ampi

del linguaggio strettamente monetario dei bilanci i soggetti terzi che sui bilanci fanno

affidamento al fine di trarre apprezzamenti in merito alla effettiva situazione aziendale.

85

2.2 – INTRODUZIONE AGLI INTERNATIONAL ACCOUNTING STANDARDS(IAS)

Prima di introdurre l’analisi particolareggiata del principio contabile IAS n.38 in

merito alla contabilizzazione delle attività immateriali, risulta preliminarmente

necessario proporre una breve introduzione in merito alla rilevanza degli IAS stessi e al

loro processo evolutivo. Si pensi, solo per avere un generale inquadramento della

rilevanza che andranno ad assumere tali principi che, a partire dagli esercizi aventi

inizio l’1.1.2005 (ovvero in data successiva), tutte le società quotate su un mercato

regolamentato UE, soggette al diritto di uno Stato dell’Unione Europea, dovranno

redigere i propri bilanci consolidati in conformità ai principi contabili internazionali.

Analoga facoltà potrà essere prevista per i bilanci annuali delle società quotate ovvero

per i bilanci annuali e/o consolidati delle società non quotate. Con il presente paragrafo

intendiamo delineare in maniera più precisa le caratteristiche del processo di adozione

degli IAS stessi ed il loro campo applicativo.

2.2.1 - La storia

Con il Regolamento 19.7.2002 n. 1606, il Parlamento Europeo ed il Consiglio

dell’Unione Europea hanno stabilito che, a partire dal 2005, tutte le società dell’Unione

Europea quotate su un mercato regolamentato dovranno presentare il bilancio

consolidato conformemente ai principi contabili internazionali. Si è previsto, in tale

sede, inoltre, che tale obbligo possa essere esteso anche a tutte le società che preparano

un prospetto di offerta pubblica conformemente alla direttiva sul prospetto di

ammissione alla quotazione

Con il termine “principi contabili internazionali”, l’Unione Europea ha inteso

identificare gli International Accounting Standards (IAS), gli International Financial

Reporting Standards (IFRS – in tal modo saranno denominati in futuro i nuovi principi

contabili internazionali) e le relative interpretazioni (interpretazioni SIC/IFRIC) nonché

i principi e le relative interpretazioni che saranno emessi o adottati in futuro

dall’International Accounting Standards Board (IASB).

86

La scelta dell’Unione Europea non giunge inattesa: si inserisce nella precisa

strategia dell’Unione, volta a migliorare l’efficienza dei mercati finanziari europei. Il

Consiglio dell’Unione, tenutosi a Lisbona nel marzo 2000, pose infatti l’esigenza di

accelerare il completamento del mercato dei servizi finanziari, stabilendo nel contempo

la scadenza del 2005 per la messa in atto del piano d’azione per i servizi finanziari

predisposto dalla Commissione Europea, invitando a prendere le opportune misure per

migliorare la comparabilità dell’informativa finanziaria pubblicata dalle società i cui

titoli sono negoziati in mercati regolamentati. Conseguentemente, la Commissione

pubblicò nel giugno 2000 il documento “La strategia dell’UE in materia di informativa

finanziaria: la via da seguire” nel quale propose che tutte le società comunitarie con

titoli negoziati in mercati regolamentati fossero obbligate a preparare i loro conti

consolidati in maniera conforme ad un insieme unico di principi contabili, gli IAS,

appunto, al più tardi nel 2005.

Questa proposta nacque dalla constatazione che elemento fondamentale per la

competitività dei mercati comunitari dei capitali fosse la convergenza dei principi

seguiti in Europa per redigere i bilanci, introducendo l’uso di principi contabili che

fossero riconosciuti su scala europea – ed in prospettiva, mondiale – al fine di realizzare

operazioni transfrontaliere e/o di ottenere l’ammissione alla quotazione in maniera

agevole ovunque nel mondo. I già esistenti obblighi in materia informativa stabiliti dalle

vigenti direttive contabili europee (IV e VII direttiva) non furono infatti ritenuti

sufficienti a garantire l’elevato livello di trasparenza e comparabilità dell’informativa

finanziaria: condizione necessaria per creare un mercato dei capitali integrato ed

operante in maniera efficiente124.

Per concludere e riassumere questa sommaria descrizione storica dello sviluppo

dei principi contabili internazionali, introduciamo lo schema seguente:

124 Un primo passo normativo verso i principi contabili internazionali è stato comunque fatto dalla UEcon la direttiva 65/2001, con la quale è stata introdotta nelle direttive contabili europee la possibilità divalutare gli strumenti finanziari secondo il criterio del “fair value”, come definito dallo IAS 39. Ladirettiva 65/2001 non è ancora stata recepita nell’ordinamento italiano: la sua situazione, peraltro, nonmodificherebbe il contesto di riferimento, che prevede appunto la più generalizzata adozione degliIAS/IFRS a partire dal 2005.

87

Figura 6 - I passi di avvicinamento della UE agli IAS/IFRS

2.2.2 - L’International Accounting Standards Board (IASB) e la sua struttura

I principi contabili internazionali sono approvati dallo IASB, con sede a Londra,

i cui membri sono nominati dalla IASC Foundation. Attualmente, sono stati emessi 41

principi contabili (dei quali ne rimangono in vigore 34) e 33 SIC125, interpretazioni del

contenuto dei principi contabili stessi. Lo IASB ha iniziato ad operare a partire dal

2001, in sostituzione del precedente International Accounting Standards Comittee

(IASC), da quale ha, di fatto, ereditato le funzioni.

Il nuovo IASB ha anche deciso che i futuri principi contabili internazionali

saranno denominati IFRS e non più IAS126. Lo IASB è un’organizzazione privata,

sostenuta dai contributi delle principali società industriali, finanziarie, banche centrali,

società di revisione ed organizzazioni professionali; la struttura del Board è la seguente:

125 Acronimo di Standing Interpretations Comittee126 La denominazione IAS è mantenuta per i principi contabili internazionali già emanati, qualora nonassoggettati a successive revisioni.

23 marzo2000

13 giugno2000

19 luglio2002

entro il 2003 1 gennaio2005

Il ConsiglioEuropeo siriunisce aLisbona

Esprimel’esigenza diaccelerare il

completamento del mercato

interno deiservizi

finanziari estabilisce lascadenza del

2005 perl’adozione diun sistema

unico di

LaCommission

e dellaComunitàEuropea

pubblica ildocumento

“La strategiadella UE inmateria di

informativafinanziaria, la

via daseguire”

Il Parlamentoe il Consigliodell’Unione

Europeaemanano il

regolamentorelativo

all’applicazione dei principi

contabiliinternazionali

(RegolamentoCE n.

16/06/2002)

LaCommissione

decide inmerito

all’applicazione nell’unione

dei principicontabili

internazionaliesistenti alla

data del 19luglio 2002

(meccanismo di“endorsement”)

I bilanciconsolidati

delle societàeuropeequotate

sono redattisecondo iprincipiemanati

dallo IASB

E’ necessarioper le società

europeequotate già a

partire dal2004 redigere

i bilanci inossequio ai

suddettiprincipi,al

fine diff

88

Figura 7 - La struttura dell'International Accounting Standards Board (IASB)

La IASC Foundation ha i compiti di nominare i membri del Board, monitorare

l’attività svolta dal Board stesso e raccogliere i fondi per l’operatività dei diversi

organismi partecipanti all’elaborazione e sviluppo dei principi contabili internazionali. I

membri della IASC Foundation rappresentano in maniera omogenea le diverse

professionalità e provenienze geografiche interessate allo sviluppo dei principi contabili

internazionali. Nello schema seguente verrà evidenziata in breve la sua composizione:

Figura 8 - I 19 membri della IASC Foundation; ripartizione per aree geografiche e competenze

IASC Foundation19 membri

Standards AdvisoryCouncil (SAC)

49 membri

Board12 membri atempo pienoe 2 membri a

AdvisoryGroups

per i principalitti

International FinancialReporting Interpretations

Committee (IFRIC)12 b i

Definisce la“technical agenda”

Approva glistandards, gli

exposure draft e id ti

Nomina Supporta Riferisce a

6 membri

nominati dalNord America

6 membri

nominatidall’Europa

4 membri

nominatidall’Asia –

Oceano

3 membri

nominati dallealtre aree

11 membri

scelti in base alriconosciuto standing

professionale in materia

5 membri

rappresentantila professione

contabile

3 membri

rappresentanti ilmondo accademico e

delle imprese

89

Il Board è invece l’organismo che istituzionalmente ha il compito di definire ed

approvare i principi contabili internazionali; requisito per l’ammissione nel Board è la

riconosciuta competenza tecnica in materia contabile. La IASC Foundation, nel

nominare i membri del Board, valuta anche che non prevalgano all’interno dello stesso,

interessi di particolari aree geografiche o di specifici settori economici. Le decisioni del

Board in materia di principi contabili internazionali sono assunte con il voto favorevole

di almeno 8 membri su 14 e la composizione del Board stesso deve rispettare i seguenti

criteri:

Figura 9 - Composizione del Board

Nell’elaborazione della documentazione tecnica (nuovi principi contabili

internazionali o modifica di esistenti principi), il Board si avvale di uno staff tecnico,

costituito da professionisti con comprovata esperienza in materia contabile. I

componenti dello staff tecnico sono dipendenti a tempo pieno dello IASB, selezionati a

livello internazionale.

Lo Standards Advisory Council (SAC) è l’organismo tramite il quale altri

soggetti e/o organizzazioni, interessati allo sviluppo di principi contabili internazionali,

forniscono i loro suggerimenti al Board. Attualmente i membri del SAC sono circa 50,

nominati inizialmente dalla IASC Foundation. Tra gli obiettivi del SAC vi sono quelli di

fornire al Board suggerimenti sulle priorità da seguite nello sviluppo dei nuovi IFRS e

informare il Board stesso delle implicazioni su imprese ed utilizzatori di bilanci,

derivanti dall’adozione di nuovi IFRS.

L’International Finacial Reporting Interpretations Committee (IFRIC) ha

sostituito a partire dalla fine del 2001 il precedente Standards Interpretations

Committee (SIC). I membri dell’ IFRIC sono 12, nominati dalla IASC Foundation.

Compiti dell’IFRIC sono fornire interpretazioni circa l’applicazione degli IAS/IFRS e

almeno 5membri

con esperienza

Almeno 3membri

con esperienza

Almeno 3membri

con esperienza di

Almeno 1membro

di provenienza

90

dare tempestiva soluzione a problematiche contabili non specificamente affrontate dagli

IAS/IFRS (ovviamente nel rispetto del quadro concettuale definito dal Board),

preparare bozze di documenti interpretativi sui principi contabili internazionali e

renderli disponibili al pubblico, al fine di ottenere commenti e suggerimenti prima

dell’emanazione della versione definitiva, inviare al Board le interpretazioni definitive

ed ottenerne l’approvazione. Le interpretazioni emanate dall’IFRIC hanno la stessa

valenza dei principi contabili internazionali: un bilancio non è pertanto conforme a tali

principi se non rispetta anche quanto disposto da tutte le interpretazioni sinora emanate.

2.2.3 - Il processo di predisposizione di un principio contabile internazionale

I principi contabili internazionali sono predisposti mediante un articolato processo

di consultazione a livello internazionale, che coinvolge esperti di contabilità, analisti

finanziari, borse valori, autorità di regolamentazione e controllo dei mercati, organismi

di vigilanza e tutte quelle istituzioni concretamente interessate al processo di

armonizzazione e omogeneizzazione dei principi contabili in ambito europeo. I

principali passaggi di questo processo sono i seguenti:

1. lo staff tecnico individua ed esamina i temi connessi ad un argomento ritenuto

rilevante ai fini dell’emanazione di un principio e valuta l’applicabilità ad esso

dello IASB Framework

2. consultazione con il SAC circa l’opportunità di inserire l’argomento nell’agenda

del Board

3. pubblicazione e diffusione al pubblico di un Exposure Draft (ED), contenente la

bozza del nuovo principio contabile internazionale in corso d’esame

4. valutazione, da parte dello staff tecnico dei commenti ricevuti in merito all’ED

5. approvazione da parte del Board del nuovo principio contabile internazionale

Ad oggi sono stati emessi 41 principi contabili127 e 33 SIC (Standing Interpretations

Committee), ossia interpretazioni del contenuto dei principi contabili internazionali,

emanati dall’IFRIC o dall’organismo che lo ha preceduto (SIC). Lo IASB ha peraltro in

127 Considerando che taluni sono stati abrogati, ne rimangono attualmente in vigore 34

91

agenda una fitta attività128 di revisione di principi esistenti e di emanazione di nuovi

principi contabili internazionali129.

2.2.4 - La convergenza della UE agli IAS/IFRS

Per essere adottati nell’Unione Europea, i principi contabili internazionali

devono risultare conformi ai postulati fissati dalla IV e dalla VII direttiva CE e, in

particolare, a quello di più generale portata della “true and fair view”: al fine di valutare

la conformità degli IAS a tali postulati, il Regolamento 16/06/2002 ha previsto ed

avviato una particolare procedura di omologazione130.

Figura 10 - La procedura di omologazione dei principi contabili prima e dopo l'introduzione degliIAS/IFRS

128 L’attività del Board è pubblicata e chiunque può averne notizia. Sul sito del Board (www.iasb.org.uk)sono anche disponibili tutte le bozze dei nuovi principi contabili internazionali in corso di discussione (gliED).129 Tra i quali si segnala, per importanza, il nuovo testo del principio contabile sugli strumenti finanziari,che andrà ad aggiornare i vigenti IAS 39 e 32), il nuovo principio contabile sui contratti assicurativi equello sulle stock options, nonché la significativa revisione di alcuni principi già emessi, tra i quali lo IAS22, relativo alle aggregazioni di imprese.130 La scelta stessa da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio di emanare un Regolamento, inluogo delle usuali direttive, è già di per sé una indiscutibile affermazione della volontà del legislatoreeuropeo di imporre agli Stati membri un quadro contabile senza alternative al momento dell’applicazione.Infatti, a differenza delle direttive quali la IV e la VII, sempre per restare in tema di bilancio d’esercizio

92

Per adottare nell’Unione Europea i principi contabili internazionali è necessario

in primo luogo che essi rispettino i requisiti di base stabiliti dalle direttive già esistenti,

vale da dire che la loro applicazione contribuisca effettivamente alla “true and fair

view” della situazione patrimoniale e del risultato economico dell’impresa131: questo

rispetto, è ancor più necessario nella prospettiva della possibile estensione del campo di

applicazione degli IAS/IFRS aldilà dei soli bilanci consolidati delle società quotate.

2.2.4.1 - Opzioni relative ai bilanci d’esercizio delle società quotate e non quotate

Il regolamento 1606/2002 prevede alcune opzioni applicabili ai conti annuali (non

consolidati) delle società quotate e ai bilanci delle società i cui titoli non sono negoziati

in un mercato regolamentato. Secondo il Regolamento, infatti, gli Stati membri possono

consentire o prescrivere:

alle società quotate, che predisporranno i loro bilanci consolidati secondo i

principi contabili internazionali, di redigere anche i loro bilanci annuali secondo

i medesimi principi;

alle società non quotate sui mercati regolamentati (vale a dire, la generalità delle

imprese) di redigere i loro conti consolidati e/o i loro conti annuali secondo i

principi contabili internazionali;

Sulla base delle opzioni consentite dal Regolamento, anche in Italia si è avviato un

dibattito in merito alle scelte da adottare a livello locale. In particolare, i principali

aspetti sui quali si è incentrata la discussione sono i seguenti:

consentire alle capogruppo quotate di redigere anche i loro bilanci annuali

secondo i principi contabili internazionali

raccordare la normativa fiscale con i principi contabili internazionali

d’impresa, il Regolamento è immediatamente applicabile agli Stati membri e non necessita, affinchéabbia forza di legge per i singoli Paesi, di alcuna ulteriore emanazione di norme a livello nazionale.131 Concretamente, tale principio è stato recepito in Italia con l’art. 2 del D.Lgs. 127/91, che ha modificatol’art. 2423 c.c, stabilendo come finalità primaria del bilancio d’esercizio quella di “[…] rappresentare inmodo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economicodell’esercizio”.

93

prevedere che tutte le imprese appartenenti a settori assoggettati al controllo di

organismi di vigilanza – si pensi, ad esempio, a banche ed assicurazioni –

predispongano i loro bilanci individuali e consolidati secondo i principi contabili

internazionali, indipendentemente dalla quotazione su un mercato regolamentato

2.2.4.2 - Procedura di omologazione da parte della UE

Al fine di valicare i principi contabili internazionali alla luce delle direttive contabili

esistenti, il Regolamento 16/06/2002 ha previsto una procedura di omologazione –

cosiddetto “endorsment mechanism” – a livello europeo così articolata:

a livello politico: l’Accounting Regulatory Committee (ARC), espressione degli

Stati membri, con il compito di vagliare e fornire riconoscimento ufficiale al

lavoro svolto dai tecnici;

a livello tecnico: l’EFRAG ( European Financial Reporting Advisory Group,

organizzazione privata sostenuta da standard settlers nazionali, associazioni di

categoria e di regolamentazione dei mercati borsistici, ecc…) con il compito di

effettuare una valutazione tecnica degli IAS/IFRS e delle interpretazioni dello

IASB per conformità ai principi della IV e VII direttiva, nonché presentare

proposte di variazione alle direttive contabili UE, al fine di modificare la

normativa comunitaria ed evitare divergenze con gli IAS/IFRS.

Il Regolamento ha inizialmente previsto che il completamento del processo di

omologazione avvenisse entro il 31/12/2002; tuttavia, la complessità e le incertezze

relative alla materia sottoposta al lavoro degli esperti ha suggerito alla UE di posticipare

la conclusione del processo. Infatti, due aspetti hanno determinato la necessità di

considerare in maniera più attenta e ponderata i tempi dell’ “endorsement” definitivo:

per prima cosa, è stato rilevato come alcuni principi contabili internazionali sono tuttora

in corso di revisione. In particolare, gli IAS 32 e 39 relativi agli strumenti finanziari e lo

IAS 38 relativo alle attività immateriali, appunto, hanno un impatto molto significativo

sulla generalità delle imprese e, nel caso di banche ed assicurazioni, possono anche

condurre a rilevanti alterazioni nella convenienza economica di talune operazioni. In

94

secondo luogo, ai fini della pubblicazione degli IAS/IFRS sulla G.U.C.E. (Gazzetta

Ufficiale dell’Unione Europea) occorre che tutti i principi contabili internazionali siano

tradotti nelle lingue degli Stati membri: tale attività, trattandosi di concetti contabili di

elevato contenuto tecnico, ha causato un dispendio di tempo superiore a quanto

inizialmente preventivato. L’Accounting Regulatory Committee ha comunque precisato

che tali difficoltà non porteranno assolutamente ad un ulteriore rinvio da parte

dell’Unione Europea nell’adozione dei principi contabili internazionali, ed in particolare

dei principi di maggiore impatto, in quanto la scadenza del 1° gennaio 2005 per

l’adozione completa degli IAS/IFRS rimane immutata.

95

2.3 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I

PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI (IAS 38, IAS 36, IAS 22)

Lo IAS 38 si applica alle attività immateriali e rappresenta il corrispondente del

documento n. 24 del CNDC – CNR, in merito alla contabilizzazione delle stesse. Di

seguito verrà quindi analizzato e commentato. Tuttavia, lo IAS 38 non è il solo che

contiene riferimenti più o meno espliciti alle attività immateriali. Per questo motivo,

dopo aver trattato il 38, passeremo ad analizzare il 36, inerente le perdite di valore, il

loro significato e la loro contabilizzazione e, da ultimo il 22, contenente informazioni in

merito ad una delle possibili modalità di acquisizione delle attività immateriali, ossia

l’acquisto di azienda e le operazioni di gestione straordinaria.

2.3.1 – IAS 38: Finalità e definizioni

Lo IAS 38 stabilisce le regole contabili e definisce le informazioni aggiuntive,

esplicative dei dati contenuti nei prospetti di stato patrimoniale e conto economico,

relative alle attività immateriali132 che non siano già trattate in altri principi contabili

internazionali. Lo IAS 38, infatti, dispone esplicitamente che è possibile contabilizzare

un’attività immateriale se e solo se sono soddisfatte alcune condizioni che elencheremo

in seguito. Il principio deve essere applicato da tutte le imprese per contabilizzare le

attività immateriali, escluse:

Le attività che sono trattate in altri principi contabili internazionali133

Le attività finanziarie, come definite dallo IAS 32

132 Come introdotto dallo IAS 38 stesso, riporteremo in questa sede in nota alcune delle definizioniproposte dal principio contabile in merito a termini che utilizzeremo nel corso della trattazione al fine direndere più chiara la stessa; in seguito:Un’attività immateriale è un’identificabile attività non monetaria, con mancanza di fisicità (e quindiintangibile) utilizzata nella produzione o nella fornitura di merci e servizi, o destinata ad essere affittataad altri o utilizzata dall’impresa per motivi amministrativi.Un’attività è una risorsa controllata da un’impresa come risultato di eventi passati e dalla quale ci siaspettano flussi di futuri benefici economici.Le attività monetarie sono le disponibilità di denaro che saranno incassate in ammontari fissi odeterminati di denaro.Ulteriori definizioni verranno introdotte nelle sedi più opportune al fine di meglio comprendere i dettatinormativi del principio contabile.133 A riguardo, l’esempio sicuramente più rilevante è riconducibile al trattamento dell’avviamento chederivi da fusioni o concentrazioni di imprese, espressamente descritto dallo IAS 22

96

I diritti minerari e le spese di esplorazione, di sviluppo e di estrazione di

minerali, petrolio, gas naturale e altre risorse naturali simili

Le attività immateriali inerenti le compagnie di assicurazione che derivino da

contratti con gli assicurati.

Il principio internazionale precisa, inoltre, che alcune attività immateriali possono

essere comprese o possono contenere altri elementi fisici, come ad esempio i CD o i

dischetti (nel caso di software utilizzati per il computer), oppure la documentazione

legale (nel caso di licenze e concessioni), oppure ancora i film con le relative pellicole.

Per decidere se un’attività che incorpora un’attività immateriale e un’attività fisica

debba essere trattata dallo IAS 16 (attività materiali) o dallo IAS 38, è necessario che

gli amministratori effettuino una valutazione di quale elemento sia più significativo134.

Secondo lo IAS 38, l’impresa spesso impiega risorse e contrae passività per

l’acquisto, lo sviluppo, il mantenimento o il miglioramento di risorse intangibili, siano

esse conoscenze tecnologiche o scientifiche, creazione ed implementazione di nuovi

processi di sistemi, licenze, proprietà intellettuali, conoscenze di mercato o marchi. Non

è detto, però, che tutte queste tipologie di risorse intangibili siano automaticamente

attività immateriali: a tal fine, è richiesto il soddisfacimento di tre condizioni per

classificare tali beni come attività immateriali, che sono l’autonoma identificabilità, il

controllo dell’attività stessa e l’attesa di ottenere futuri benefici economici. Il paragrafo

9 dello IAS 38 dispone, inoltre, che se non sono soddisfatte tali condizioni i costi che si

sostengano per l’acquisto o la produzione di tali attività devono essere spesati nel conto

economico e non potranno, quindi, essere capitalizzati.

In merito all’autonoma identificabilità, lo IAS 38 precisa che la definizione di

“attività immateriali” richiede che un’attività intangibile sia identificabile al fine di

distinguerla in maniera netta dall’avviamento. L’avviamento che deriva da una fusione

per incorporazione oppure dall’acquisizione di una controllata che entra nell’area di

consolidamento, rappresenta il pagamento fatto dall’acquirente come anticipo dei futuri

134 Per esempio, come già visto durante la disamina del dettato del documento n.24 CNDC-CNR, ilsoftware per un computer che controlla il sistema operativo e senza il quale il computer non potrebbefunzionare, è una parte integrante del relativo hardware ed è quindi compreso nell’ambito di applicazionedello IAS 16. Dove, invece, il software non fosse parte integrante della relativa macchina, esso è trattatocome un’attività immateriale.

97

benefici economici derivanti dall’operazione in questione. Un’attività intangibile,

quindi, può essere chiaramente distinta dall’avviamento solo se l’attività è separabile.

Questo è possibile, in concreto, se l’impresa può vendere, affittare, scambiare o

distribuire gli specifici benefici economici futuri attribuibili all’attività senza cedere

anche i benefici economici che fluiscono dalle altre attività utilizzate nella stessa

produzione dei risultati.

La separabilità non è una condizione necessaria per soddisfare la condizione di

“autonoma identificabilità”, come puntualizza lo IAS 38, quando l’impresa è in grado di

identificare un’attività in qualche altro modo. Per esempio, se un’attività intangibile è

stata acquistata insieme ad un gruppo di attività, l’operazione potrebbe comportare il

trasferimento di diritti legali che permettono all’impresa di identificare l’attività

intangibile. Allo stesso modo, se un’attività genera futuri benefici economici insieme ad

un gruppo di altre attività, essa è identificabile se l’impresa è in grado di determinare la

parte di benefici economici che deriveranno dall’attività stessa.

Per quanto riguarda il controllo, il principio internazionale n.38 precisa che esso

sussiste quando l’impresa ha il potere di ottenere i benefici economici futuri che saranno

generati dall’attività stessa ed è in grado anche di restringere l’accesso a questi benefici

da parte dei terzi. La capacità dell’impresa di controllare i futuri benefici economici di

un’attività immateriale deriva normalmente da diritti legali tutelati dalla legge: in

assenza di diritti legali è difficile dimostrare l’effettivo controllo. Per quanto riguarda le

conoscenze tecniche e di mercato, ad esempio, esse possono dare luogo a futuri benefici

economici, e l’impresa ha il controllo su di esse quando ne ha la proprietà esclusiva – ad

esempio nel caso in cui siano protette da copyright o dalla limitazione di accordi

commerciali.

Per quanto riguarda, infine, il requisito della produzione di futuri benefici

economici, il paragrafo n. 17 dello IAS 38 precisa che essi possono essere composti dai

ricavi di vendita di prodotti e servizi, da risparmi di costo e da altri benefici che

risultano dall’uso dell’attività da parte dell’impresa. Anche in questo caso, come già

evidenziato per i principi contabili italiani, si può riassumere il tutto con la formula

“maggiori ricavi/minori costi”.

98

2.3.2 – IAS 38: Contabilizzazione e valutazione iniziale di un’attività immateriale

Secondo lo IAS 38, la contabilizzazione di un’attività immateriale richiede che

un’impresa dimostri che l’attività soddisfi la definizione di attività immateriale in

precedenza riportata, e soddisfi il criterio di contabilizzazione, descritto nel presente

paragrafo, ed esplicitato nel testo del principio contabile nei paragrafi 19-55.

Il paragrafo 19 dello IAS 38 stabilisce che un’attività immateriale può essere

contabilizzata come tale, soltanto se

1. è probabile che i futuri benefici economici che sono attribuibili all’attività

saranno goduti dall’impresa;

2. il costo dell’attività può essere attendibilmente determinato.

Nel decidere se una voce soddisfa il primo requisito, un’impresa deve accertare il

grado di certezza del flusso di benefici economici futuri sulla base delle conoscenze

disponibili al momento della rilevazione iniziale. Lo IAS 38, infatti, dispone che

l’impresa deve valutare la probabilità dei futuri benefici economici utilizzando

ragionevoli e supportabili ipotesi che rappresentino la miglior stima da parte degli

amministratori delle serie di condizioni economiche che esisteranno durante la vita utile

dell’attività. Secondo il paragrafo 22 dello IAS 38, inoltre, un’attività immateriale dovrà

essere valutata inizialmente al costo. Nel caso l’attività immateriale sia acquistata in via

separata, il costo può essere determinato agevolmente, in modo particolare quando il

corrispettivo è rappresentato da denaro o da altre attività monetarie135. Per quanto

riguarda il caso dell’acquisizione di un’attività immateriale a seguito di una fusione, il

costo di tale attività, come previsto dallo IAS 22, è basato sul valore corrente alla data

dell’acquisto dell’attività stessa. E’, di conseguenza, necessario un apprezzamento del

135 Il costo, secondo lo IAS 38, comprende il prezzo di acquisto inclusi eventuali dazi di importazione etasse di acquisto non recuperabili, nonché tutti i costi direttamente imputabili alla preparazionedell’attività per l’uso al quale è destinata. Tali costi diretti potrebbero comprendere, ad esempio, le speselegale e gli onorari professionali; nel caso di sconti commerciali, questi dovranno essere dedotti. Se ilpagamento dovesse essere differito secondo le normali condizioni di credito, inoltre, il costo dell’attivitàimmateriale è il valore monetario dell’attività stessa: la differenza tra questo importo e l’ammontarepagato è contabilizzato come un interesse sulla base della durata della dilazione di pagamento. Seun’attività immateriale, infine, è acquisita in cambio di strumenti finanziari rappresentativi delpatrimonio, quali azioni, quote o warrant, il costo dell’attività è il valore corrente dello strumentofinanziario emesso, che sarà uguale al valore corrente dell’attività.

99

valore dell’intangible per determinare se il costo – cioè, in questo caso, il valore

corrente136 – di un’attività immateriale acquisita da una fusione può essere determinato

con sufficiente attendibilità per perseguire l’obiettivo della “separata contabilizzazione”.

In accordo con lo IAS 22, il paragrafo 31 dello IAS 38 puntualizza che per la

contabilizzazione di un’attività/passività identificabile:

a. l’incorporante o l’acquirente rileva un’attività immateriale quando la stessa

soddisfa le condizioni dei paragrafi 19 e 20 dello IAS 38, anche se l’attività

immateriale non è stata contabilizzata nel bilancio dell’incorporata.

b. se il costo (valore corrente) dell’attività immateriale acquistata come parte di

una fusione non può essere misurato attendibilmente, questa attività non è

contabilizzata come un’attività immateriale separata ma è ricompresa

nell’avviamento.

Il principio contabile n.38 disciplina altre due fattispecie di acquisizione di attività

immateriale, a dire il vero non di frequente riscontro nella realtà aziendale: si tratta

dell’acquisizione mediante contributi pubblici e dell’acquisizione mediante permuta. Il

primo caso si verifica quando un ente pubblico trasferisce o distribuisce ad un ‘impresa

delle attività immateriali, come ad esempio i diritti di atterraggio per aeroporti, licenze

per emittenti radio o stazioni televisive137. Il paragrafo 34 dello IAS 38, identifica il

caso di permuta, invece, come il caso in cui un’attività immateriale sia acquisita in

136 I prezzi quotati in un mercato attivo rappresentano il più attendibile strumento per misurare il valorecorrente. Per valore corrente si intende il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata tra partiinteressate e ben informate, in un’operazione tra soggetti terzi indipendenti. Un mercato attivo è unmercato in cui esistono le seguenti condizioni: a) gli articoli trattati sul mercato sono omogenei, b) ipotenziali compratori e venditori sono disponibili a contrattare in qualsiasi momento, c) i prezzi sonodisponibili al pubblico. Generalmente, il prezzo di mercato più appropriato è quello formulato dal latodell’offerta: in assenza della disponibilità di un simile prezzo, si considera il più recente prezzo trattato inuna transazione simile, in modo da stimare il valore corrente supponendo che le condizioni del mercatoattuale siano le medesime di quando era stata fatta la contrattazione. Se alcune circostanze hanno reso nonuguale la transazione non è possibile utilizzare questa metodologia. Se non esiste un mercato attivo perun’attività, il suo costo riflette l’ammontare che l’impresa avrebbe pagato, alla data di acquisizione, inuna transazione simile tra parti interessate, ben informate ed indipendenti. Nel determinare questoammontare l’impresa considera i risultati di altre recenti transazioni per attività simili.137 Secondo lo IAS 20 – Contabilizzazione dei contributi pubblici e dell’assistenza pubblica, un’impresapuò scegliere di contabilizzare sia l’attività immateriale ricevuta che il contributo pubblico al loro valorecorrente iniziale. Se un’impresa sceglie di non contabilizzare l’attività iniziale al valore corrente,l’impresa contabilizza l’attività in base al valore nominale più tutti i costi che possono essere direttamenteattribuibili alla stessa per predisporla all’uso a cui è destinata.

100

cambio di altre immobilizzazioni immateriali, oppure altre attività138. Data la modesta

rilevanza applicativa di queste fattispecie, entrambe verranno sviluppate in nota.

Di maggiore rilevanza è, invece, l’analisi della contabilizzazione delle attività

immateriali generate internamente, a partire da ciò che precisa il paragrafo 36 dello IAS

38 in merito al fatto che l’avviamento generato internamente non possa essere

contabilizzato139. Dopo aver escluso in maniera esplicita l’ammissibilità di

contabilizzare l’avviamento generato internamente, il paragrafo 39 dello IAS 38 afferma

che, non senza qualche difficoltà, è possibile identificare alcune attività immateriali

generate internamente che soddisfano le condizioni per la loro contabilizzazione

nell’attivo di stato patrimoniale. Il medesimo paragrafo precisa che è massimamente

difficile, in particolare, individuare se e quando esiste un’identificabile attività che

genererà probabili flussi futuri di benefici economici e, conseguentemente, determinare

in maniera attendibile il costo dell’attività stessa.

In merito, ad esempio, alle attività immateriali derivanti dall’attività di ricerca e

sviluppo, per valutare se un’attività immateriale generata internamente soddisfa i criteri

per la sua contabilizzazione, l’impresa deve classificare la produzione dell’attività a

seconda che essa sia nella “fase di ricerca”140 oppure nella “fase dello sviluppo”141. Il

paragrafo 42 dello IAS 38 dispone chiaramente che non è possibile contabilizzare

attività immateriali che riguardino la ricerca. Le spese di ricerca – o nella fase di ricerca

di un progetto interno – devono essere imputate al conto economico al momento del

138 In questo caso, il costo di ogni attività ricevuta è determinato sulla base del valore correntedell’attività ricevuta; nel caso ci siano delle differenze erogate o incassate in denaro o in altre formemonetarie, esse rettificano il costo iniziale. Quando, inoltre, un’attività immateriale è acquisita in permutacon un’attività simile che ha un uso uguale nella stessa linea di attività e ha un valore corrente simile, nonè possibile contabilizzare utili o perdite relative all’operazione poiché non vi è stata la realizzazione di talicomponenti economici. Il costo della nuova attività è il valore contabile della attività ceduta. Tuttaviapotrebbe accadere che il valore contabile della attività ricevuta possa mostrare una perdita di valoredell’attività ceduta. In queste circostanze si contabilizza la perdita di valore per l’attività che è stataceduta e il valore contabile residuo, dopo aver detratto la svalutazione per perdita di valore, è il nuovovalore contabile dell’attività acquisita.139 Di conseguenza, come anche in Italia, sarà possibile iscrivere solo l’avviamento acquisito a titolooneroso, derivante da operazioni di gestione straordinaria quali fusioni, acquisti di azienda, ecc…140 Per ricerca, lo IAS 38 intende “un’indagine pianificata ed originale svolta con l’obiettivo di ottenerenuove conoscenze tecnologiche o scientifiche”141 Per sviluppo, lo IAS 38 intende “l’applicazione dei risultati della ricerca o di altre conoscenze perprogrammare o disegnare la produzione di nuovi o migliorati materiali, strumenti, prodotti, processi,sistemi o servizi nuovi, prima dell’inizio della produzione commerciale o della loro utilizzazione”

101

loro sostenimento142. Il principio internazionale, di fatto similmente al corrispondente

principio contabile italiano, parte dal presupposto che nella fase di ricerca di un

progetto, l’impresa non può dimostrare che un’attività immateriale esiste e che essa

genererà probabili benefici economici futuri. Per questa incertezza associata alla

destinazione economica dei costi, questi verranno sempre contabilizzati come una spesa

nel momento in cui sono sostenuti. Per quanto riguarda la fase dello sviluppo, il

paragrafo 45 dello IAS 38 dispone che i costi sostenuti siano contabilizzati come attività

immateriale solo a condizione che l’impresa sia in grado di soddisfare i seguenti

requisiti:

a. la fattibilità tecnica del completamento della attività immateriale in modo che

essa sia disponibile con relativa certezza per l’uso o la vendita

b. l’intenzione di completare l’attività e di usarla o venderla

c. l’abilità di utilizzare o vendere l’attività stessa

d. il modo in cui l’attività immateriale genererà i futuri benefici economici143

e. l’abilità di determinare con relativa sicurezza il costo attribuibile alla attività

immateriale durante la sua fase di completamento

Secondo il suddetto paragrafo, quindi, nella fase di sviluppo l’impresa dovrà essere

in grado in qualunque momento di dimostrare che l’attività genererà benefici economici

futuri144.

Il principio internazionale affronta inoltre l’argomento di come determinare il costo

di un’attività immateriale generata internamente. Secondo lo IAS 38 il costo in

questione è dato dalla somma dei costi sostenuti dalla data in cui l’attività soddisfa per

la prima volta i requisiti stabiliti in precedenza; è inoltre vietato capitalizzare nel valore

142 Se un’impresa non è in grado di distinguere la fase della ricerca dalla fase dello sviluppo di unprogetto interno, deve considerare le spese come se riferite alla fase di ricerca e quindi non puòcapitalizzare i costi che sostiene per tale obiettivo, che dovranno – anch’essi – essere imputati a contoeconomico.143 L’impresa, a riguardo, deve dimostrare l’esistenza di un mercato (per il prodotto dell’attivitàimmateriali o anche solo per l’attività stessa) oppure, se l’attività è utilizzata internamente, l’impresa devedimostrare l’utilità dell’attività immateriale.144 A riguardo, è interessante notare come per i principi contabili internazionali nella fase di sviluppol’impresa abbia l’obbligo di capitalizzare i costi sostenuti nell’attivo di stato patrimoniale come un’attivitàimmateriale. Nei principi italiani, invece, la capitalizzazione dei costi di sviluppo è una facoltà, in quantol’impresa è libera di scegliere se spesare tali costi nel conto economico oppure capitalizzarli tra leimmobilizzazioni immateriali.

102

dell’attività immateriale i costi che erano stati precedentemente spesati nel conto

economico di anni precedenti o di bilanci infra-annuali precedenti145.

2.3.3 – IAS 38: Contabilizzazione di un costo

Secondo il paragrafo 56 dello IAS 38, la spesa per un bene immateriale deve essere

contabilizzata come un costo, al momento del sostenimento, a meno che:

a. formi parte del costo di un’attività immateriale che soddisfa i criteri per la

capitalizzazione, come definiti nei paragrafi precedenti146;

b. l’attività sia acquisita in una fusione per incorporazione, oppure in seguito

all’entrata di una nuova controllata, e l’attività stessa non possa essere

contabilizzata come specifica attività immateriale. In questo caso, l’attività è

ricompresa nell’avviamento.

Il principio internazionale precisa inoltre che quando si spesano nel conto

economico i costi relativi all’ottenimento di un’attività immateriale non è

successivamente possibile imputare tali costi al valore dell’attività capitalizzata

nell’attivo147. Similmente, i costi che si sosterranno successivamente all’acquisto di

un’attività immateriale oppure dopo che l’attività stessa è stata completata, dovranno

essere contabilizzati come un costo, a meno che

145 Il costo, dunque, di un’attività generata internamente comprende tutte le spese che possono esseredirettamente attribuite e allocate in modo ragionevole e coerente per creare, produrre e preparareun’attività per l’uso a cui questa è destinata. I costi in questione comprendono: a) il costo dei materiali edelle prestazioni utilizzati o consumati per generare l’attività immateriale; b) il costo del personaledirettamente impiegato per generare l’attività immateriale; c) qualsiasi costo che sia direttamenteimputabile alla generazione della attività immateriale, come ad esempio gli onorari per la registrazione dieventuali diritti legali; d) le spese generali che sono necessarie per generare l’attività e che possono essereallocate in modo ragionevole e coerente all’attività stessa. Il paragrafo 55 dello IAS 38 individua anchealcuni costi che non possono essere componenti del costo dell’attività immateriale generata internamentequali: a) costi di vendita, amministrazione e altre spese generali; b) costi per inefficienze chiaramenteidentificati; c) costi per l’addestramento di personale per operare con l’attività.146 Ci sono anche casi in cui la spesa è sostenuta per ottenere benefici economici futuri ma non è statacreata alcuna attività immateriale o di altro tipo: in questi casi la spesa è imputata al conto economico.Esempi di questo tipo sono i costi per l’avvio di una nuova attività (costi di start-up), i costi perl’addestramento del personale, i costi per la promozione e la pubblicità ed i costi di riorganizzazione eristrutturazione aziendale. Nei principi contabili italiani è invece ammessa la capitalizzazione dei costi perl’avvio di nuova attività commerciale, i costi per l’addestramento del personale e i costi per lapromozione e la pubblicità.

103

a. sia probabile che queste spese aumentino i futuri benefici economici generati

dall’attività, rispetto alla valutazione che era stata fatta quando tali spese non

erano state sostenute;

b. questi costi possono essere stimati e attribuiti all’attività in modo realistico e

ragionevole;

Se sussistono queste condizioni, i costi successivi che si sostengono relativi ad

un’attività immateriale devono essere portati in aumento del costo dell’attività

immateriale148. E’ evidente, quindi, come la mera tipologia di attività immateriale a cui i

costi si riferiscono, potrebbe rendere molto difficile lo stabilire se i costi sostenuti sono

in grado di mantenere o migliorare i benefici economici che si genereranno dall’attività

stessa.

2.3.4 – IAS 38: Valutazioni successive alla contabilizzazione iniziale

Il principio contabile n. 38 dispone due trattamenti contabili possibili per valutare le

attività immateriali: il paragrafo 63 definisce come trattamento contabile preferito il

metodo di esporre le attività immateriali al costo iniziale meno l’ammortamento

accumulato e al netto di ogni eventuale perdita di valore accumulata. Il successivo

paragrafo 64 e seguenti, invece, definiscono il trattamento contabile alternativo,

comunque accettabile, che consiste nel rivalutare il costo dell’attività immateriale al

valore corrente149 dell’attività stessa, dedotto l’ammortamento accumulato e le perdite

147 Il paragrafo 59 dello IAS 38 dispone che questo principio vale sia nel caso in cui i costi siano statiimputati nel conto economico di un bilancio annuale, sia nel caso si tratti di un bilancio interinale.148 A questo proposito, il SIC 6 ha precisato, in merito ai costi che si sostengono per la modifica disoftware già esistenti, al fine di reintegrare o mantenere i benefici economici futuri che un’impresa siattendeva dalla valutazione originaria delle prestazioni e dei risultati stimati, che essi devono esserecontabilizzati come un costo quando la reintegrazione o il lavoro di manutenzione è eseguito permantenere meramente operativo il sistema ( ad esempio conversione all’euro). Se, invece, i costi che sisostengono in un periodo successivo servono al mantenimento in uso dell’attività immateriale, in quantole prestazioni ed i benefici forniti rimangono uguali a prima, i costi sostenuti si imputano a contoeconomico. Il SIC 6, in sostanza, sostiene con specifico riferimento ai costi di software, il concettogenerale che le spese di manutenzione che non migliorano le prestazioni del bene non sono capitalizzabilie devono essere imputate al conto economico quando sostenute.149 In questo caso ci si riferisce al valore corrente determinato alla data di rivalutazione

104

di valore150; presupposto fondamentale è che esista un mercato attivo, dato che le

rivalutazioni andrebbero effettuate, secondo lo IAS 38, con regolarità in modo che il

valore contabile dell’attività stessa non differisca in modo significativo da quello che

sarebbe stato determinato utilizzando il valore corrente alla data di bilancio151. Bisogna

tuttavia precisare come il trattamento contabile alternativo non consenta di:

a. rivalutare le attività immateriali che non erano state in precedenza contabilizzate

come attività;

b. contabilizzare inizialmente un’attività immateriale per un importo superiore al

relativo costo.

Il metodo alternativo, infatti, può essere applicato solo per quelle attività immateriali

che sono state contabilizzate al costo; la frequenza delle rivalutazioni, come ovvio,

dipende dalla volatilità delle quotazioni e del valore corrente delle attività immateriali in

corso di rivalutazione. Maggiore è la differenza tra il valore corrente di un’attività

immateriale e il suo valore contabile, maggiore è la necessità di procedere ad una sua

rivalutazione152.

Lo IAS 38 precisa, inoltre, che se un’attività immateriale è stata rivalutata, tutte le

altre attività della sua classe devono essere rivalutate, a meno che non sia disponibile un

mercato attivo per tali attività. Se un’intangible in una voce di attività immateriali

rivalutate non può essere rivalutata perché non esiste un mercato attivo per tale attività,

150 Lo IAS 38 definisce come perdita di valore “l’importo che si origina quanto il valore contabile diun’attività è superiore al valore recuperabile della stessa”.151 E’ di immediata evidenza come questo metodo non sia accettabile sotto la vigenza dei principicontabili Italiani, essendo ammesse rivalutazioni solamente nel caso di leggi speciali ad uopo emanate.152 Se un’attività immateriale è rivalutata, gli ammortamenti accumulati alla data di rivalutazione sonoricalcolati proporzionalmente al cambiamento del valore lordo della attività, in modo che il valorecontabile dell’attività dopo la rivalutazione sia l’importo rivalutato; in alternativa, gli ammortamentiaccumulati verranno eliminati contro il valore lordo dell’attività, e l’importo netto ricalcolato sulla basedel valore rivalutato dell’attività stessa. Il principio internazionale, quindi, ammette due metodologie pertrattare e determinare l’importo rivalutato dell’attività immateriale; metodologie che sono diverse nellaforma ma che dovranno portare al medesimo risultato. Inoltre, ai fini dell’esposizione nel bilancio diesercizio, il metodo analitico secondo il quale l’impresa decide di effettuare i conteggi e di tenere lescritture contabili è ininfluente, in quanto l’attività è esposta nello stato patrimoniale al nettodell’ammortamento accumulato ed i risultati delle metodologie sopra esposte sono sostanzialmenteidentici. Con il primo metodo, l’impresa ricalcola il fondo ammortamento stesso considerando chel’ammortamento sia stato effettuato nel tempo sul valore storico rivalutato (valore lordo). Con il secondometodo, invece, l’impresa detrae dal valore lordo il fondo ammortamento accumulato fino alla data dirivalutazione e ricalcola il valore dell’importo netto risultante, per tenere conto della rivalutazione daeffettuare alla data.

105

questa andrà esposta al costo iniziale, dedotti l’ammortamento accumulato e le eventuali

perdite di valore. Se il valore corrente di un intangibile rivalutato non può essere

determinato con riferimento ad un mercato attivo, il valore contabile dell’attività deve

essere il valore rivalutato alla data dell’ultima rivalutazione, al netto degli

ammortamenti effettuati e delle eventuali perdite di valore che si siano verificate in

passato.

Se il valore contabile di un’attività immateriale è aumentato come conseguenza di

una rivalutazione, l’incremento deve essere accreditato direttamente in una apposita

posta del patrimonio netto153. Tuttavia, un aumento di rivalutazione deve essere

contabilizzato come un provento se esso ripristina una diminuzione di valore della

stessa attività: diminuzione di valore che in precedenza era stata imputata al conto

economico come costo154. Se, invece, il valore contabile è diminuito come risultato di

una rivalutazione, il decremento deve essere contabilizzato come un costo. Ovviamente,

una diminuzione che si dovesse verificare dopo che era stato contabilizzato un fondo

rivalutazione – in quanto in precedenza la rivalutazione era positiva – deve essere

contabilizzata come una diminuzione del fondo stesso, addebitando le poste del

patrimonio netto, e quindi non addebitando il conto economico, almeno fino al

raggiungimento della capienza massima del fondo iscritto a bilancio: l’eventuale

eccedenza è imputata a conto economico come costo.

2.3.5 – IAS 38: Ammortamento

Il paragrafo 79 dello IAS 38 dispone che il valore ammortizzabile155 di

un’attività immateriale deve essere distribuito in base ad un metodo sistematico156, che

rappresenti la miglior stima possibile della ripartizione del costo sulla base della vita

utile dell’attività stessa. Il principio internazionale ritiene che, salvo prova contraria, la

153 Anche in Italia, l’eventuale rivalutazione ammessa da leggi speciali è portata direttamente in unariserva del patrimonio netto.154 Questa possibilità è esclusa in Italia; non è infatti previsto un trattamento contabile per larivalutazione negativa. Come visto in precedenza, nel caso il valore recuperabile di un’attivitàimmateriale sia inferiore al valore contabile, ci si può trovare nelle condizioni di contabilizzare unaperdita di valore quando la stessa ha carattere permanente.155 Lo IAS 38 definisce il valore ammortizzabile di un’attività come “il costo di un’attività immateriale,detratto il suo valore residuo”.156 Secondo lo IAS 38, l’ammortamento è appunto il processo che comporta “la sistematica ripartizionedel valore ammortizzabile di un’attività immateriale durante la sua vita utile”.

106

vita utile di un’attività immateriale non ecceda i venti anni dalla data in cui l’attività è

disponibile per l’uso. L’ammortamento, quindi, inizierà proprio da quel preciso

momento157. Il principio internazionale afferma anche che, dato che i futuri benefici

economici di un’attività immateriale sono generati in modo continuo, il valore contabile

dell’attività deve essere ridotto per riflettere questo processo. Questo si ottiene

ripartendo il costo stesso, oppure il valore rivalutato dell’attività158, come un costo

imputato nel conto economico sulla base della vita utile159 dell’attività.

Lo IAS 38, al successivo paragrafo 80, precisa che in merito alla determinazione

della vita utile di un’attività immateriale si devono considerare numerosi fattori, quali:

a. l’utilizzo atteso dell’attività da parte dell’impresa

b. i cicli di vita del prodotto tipici per l’attività oppure le pubbliche informazioni di

stime di vite utili per tipi simili di attività che abbiano il medesimo uso

c. l’obsolescenza tecnica, tecnologica o di altro tipo

d. la stabilità dell’impresa nella quale l’attività è utilizzata e i cambiamenti nella

domanda dei prodotti o dei servizi forniti dall’impresa stessa

e. le azioni attese dei concorrenti nonché dei potenziali concorrenti

f. il livello dei costi di manutenzione necessari per ottenere i benefici economici

attesi dall’attività

g. il periodo di controllo, ciò l’eventuale esistenza e durata di diritti o limiti legali

sulla attività che ne limitino l’uso

h. la dipendenza della vita utile dell’attività stessa dalla vita utile di altre attività

Il principio internazionale ammette, inoltre, il caso in cui la vita utile di un’attività

immateriale ecceda i venti anni. In questo caso, quando ciò sia ragionevole, l’impresa

ammortizza l’attività nel più lungo periodo, stima almeno annualmente l’ammontare

recuperabile e fornisce l’informazione integrativa delle ragioni che l’hanno indotta a

157 Il principio contabile precisa inoltre che l’ammortamento deve sempre essere calcolato econtabilizzato anche se si dovesse verificare un aumento nel valore recuperabile dell’attività immateriale.158 Eventualmente decrementato del valore residuo al termine della vita utile del bene in questione, secalcolabile. Per valore residuo, lo IAS 38 intende, appunto, “l’ammontare netto che l’impresa prevede diottenere da un’attività al termine della sua vita utile, dopo aver dedotto gli eventuali costi di cessione”.159 Lo IAS 38 definisce la vita utile di un bene immateriale alternativamente come: “a) il periodo ditempo nel quale ci si attende che un’attività sia utilizzata dall’impresa; o b) la quantità di prodotti o ilnumero di unità simili che l’impresa si attende di ottenere dal suo utilizzo”.

107

superare i 20 anni160. Invitando ad un’attenta osservazione della reale vite economica di

un’attività immateriale, il principio internazionale oggetto di analisi puntualizza che la

vita utile di un’intangible potrebbe essere anche molto lunga, ma mai infinita.

L’incertezza può giustificare la stima di una vita utile di un’attività immateriale

effettuata con prudenza, ma non giustifica la scelta di una vita che sia irrealisticamente

corta161. Il paragrafo 85 dello IAS 38 dispone, infine, che se il controllo dei futuri

benefici economici di un’attività immateriale è determinato da diritti legali che

permettono lo sfruttamento o l’uso dell’attività immateriale per un periodo di tempo

determinato, la vita utile dell’attività non dovrà eccedere tale periodo, a meno che i

diritti legali possano essere rinnovati e il rinnovo in questione sia con buona

approssimazione certo162. Potrebbero, inoltre, esserci fattori sia legali che economici che

influenzano la vita utile di un’attività immateriale: i fattori economici determinano il

periodo sul quale i benefici economici saranno ricevuti; i fattori legali possono

restringere il periodo durante il quale l’impresa controllerà l’accesso a tali benefici. La

vita utile, in questo caso, è il periodo di tempo più breve condizionato da questi fattori.

Secondo il principio contabile internazionale, il metodo di ammortamento utilizzato

deve riflettere il modo in cui i benefici economici dell’attività saranno utilizzati

dall’impresa. Se ciò non è determinabile, l’impresa deve utilizzare il metodo a quote

costanti163; ad ogni modo, lo IAS 38 prevede anche che possano essere utilizzati diversi

metodi di ammortamento per ripartire il valore ammortizzabile di un’attività in modo

160 Come evidenziato in precedenza, quanto stabilito dallo IAS a livello generale per tutte leimmobilizzazioni immateriali è stato stabilito anche dalla normativa italiana solo con riferimentoall’avviamento ammortizzato in un periodo superiore ai 5 anni.161 In Italia non è enunciato in modo tanto evidente che il principio di prudenza non giustifica vite utilitroppo brevi. Il principio italiano n. 11, relativo ai postulati di bilancio, invita ad evitare gli eccessi diapplicazione del principio di prudenza, in quanto pregiudizievoli per gli interessi degli azionisti epossibile causa di inattendibilità e non correttezza del bilancio. Quanto testé affermato non è, però,esplicitamente richiamato dal principio contabile n.24 in merito alle immobilizzazioni immateriali.162 Lo IAS 38 identifica alcuni fattori che rendono virtualmente certo il rinnovo dei diritti legali: a) ilvalore corrente dell’attività immateriale non si riduce nel tempo, o quantomeno si riduce solodell’ammontare necessario per rinnovare il diritto; b) c’è evidenza (possibilità basata sull’evidenzapassata) che i diritti legali saranno rinnovati; c) c’è evidenza delle condizioni necessarie per ottenere ilrinnovo dei diritti legali.163 L’ammortamento imputato in ogni periodo deve essere contabilizzato come un costo, a meno che unaltro principio contabile internazionale richieda o permetta che esso sia inserito nel valore contabile diun’altra attività.

108

sistematico sulla base della sua vita: si citano in questo, caso, oltre al metodo a quote

costanti, quello a quote decrescenti e quello per unità prodotta164.

Il paragrafo 91 dello IAS 38 stabilisce che il valore residuo di un’attività

immateriale deve essere considerato pari a zero, a meno che ci sia un impegno concreto

con terzi per cedere l’attività alla fine della sua vita utile o nel caso in cui, essendoci un

mercato attivo per l’attività, possa essere determinato con relativa certezza il valore

residuo dell’attività con riferimento a quello specifico mercato165. Il valore

ammortizzabile di un’attività, di conseguenza, è determinato detraendo il suo valore

residuo dal valore corrente: un valore residuo maggiore di zero comporta che

un’impresa si aspetta di cedere l’attività immateriale in questione prima della fine della

sua vita utile. Coerentemente con le differenze a livello di metodologie contabili

esistenti tra il metodo di contabilizzazione preferito (metodo del costo rettificato) ed il

metodo alternativo (metodo della rivalutazione), nel primo caso il valore residuo sarà

stimato utilizzando i prezzi noti alla data di acquisizione dell’attività per vendite di

attività simili che abbiano raggiunto la fine della loro vita utile stimata e che hanno

operato in condizioni simili a quelle per cui l’attività in questione sarà usata. Il valore

residuo così individuato, quindi, non sarà successivamente aumentato per tenere conto

di eventuali modifiche nei prezzi di vendita, in ossequio al criterio del costo storico.

Seguendo il secondo metodo, invece, si dovrà effettuare una nuova stima del valore

residuo alla data in cui si effettua una rivalutazione, utilizzando i prezzi prevalenti a

quella data.

Il principio contabile internazionale richiede, inoltre, che il periodo di

ammortamento ed il metodo adottato per ripartire in modo sistematico il costo

dell’attività immateriale sulla base della sua vita utile sia rivisto come minimo ad ogni

fine esercizio. Se ci si aspetta che la vita utile dell’attività sia differente dalle stime

effettuate in precedenza, l’ammortamento dovrà essere modificato; se si riscontra un

significativo cambiamento nel modo in cui l’impresa usufruirà dei benefici economici

generati dall’attività, il metodo di ammortamento dovrà essere cambiato per riflettere

164 Il principio contabile internazionale puntualizza inoltre che il metodo scelto deve essere applicato inmodo coerente in ogni periodo, a meno che ci si aspetti un cambiamento nel modo in cui l’impresa potràgodere dei benefici futuri generati dall’attività in questione.165 Lo IAS 38 pone anche una seconda condizione, a dire il vero di rilevanza più formale che sostanziale,richiedendo che un mercato simile esista con ragionevole probabilità alla fine della vita utile dell’attività.

109

questa diversa impostazione166. Allo stesso modo, durante la vita di

un’immobilizzazione immateriale potrebbe diventare evidente che la stima della sua vita

utile sia inappropriata. Ad esempio, capita frequentemente che questa possa essere

incrementata grazie a delle successive spese che hanno migliorato le condizioni

dell’attività rispetto a quanto era stata valutata inizialmente167.

2.3.6 – IAS 38: Perdita e recuperabilità del valore contabile

Per determinare se un’attività immateriale ha subito un perdita di valore, si deve

fare riferimento allo IAS 36. Lo IAS 36 spiega come un’impresa rivede il valore

contabile delle proprie attività, come determina il valore recuperabile e quando

contabilizzare una perdita di valore o un ripristino del valore originario.

Secondo lo IAS 22, se una perdita di valore si verifica prima della fine del primo

esercizio successivo a quello dell’acquisizione di un’attività immateriale acquisita in

una fusione per incorporazione, o nel caso di una nuova controllata che entra nell’area

di consolidamento, la perdita di valore è contabilizzata a rettifica del valore imputato

alle attività immateriali o all’avviamento, contabilizzati alla data di acquisizione. Se

invece la perdita di valore è dovuta a specifici eventi o a cambiamenti di circostanze che

sono avvenuti dopo la data di acquisizione, la perdita di valore è contabilizzata come

disposto dallo IAS 36168 e non come rettifica dell’ammontare assegnato all’avviamento,

che era stato contabilizzato alla data di acquisizione.

Il principio internazionale n. 38 dispone, infine, che per alcune tipologie di

attività immateriali un’impresa debba stimare il valore recuperabile come minimo ad

ogni fine esercizio, anche se non ci sono segnali che facciano prevedere una perdita di

valore; si tratta delle attività immateriali che non siano ancora disponibili per l’uso e di

166 Tale cambiamento deve essere contabilizzato come un cambiamento di stima, come stabilito dalloIAS 8 – Utile e perdita di competenza, errori determinanti e variazioni di principi contabili, perrettificare il costo dell’ammortamento per il periodo in corso e per i periodi futuri. L’ammortamentoaccumulato in passato rimane contabilizzato allo stesso importo: il cambiamento di metodo, infatti, andràeffettuato a partire dall’esercizio in corso e avrà valenza solamente per il futuro.167 Molto spesso, a riguardo, la contabilizzazione di un’eventuale perdita di valore può indicare che ilperiodo di ammortamento debba essere cambiato.168 In generale, una perdita di valore dovrà essere contabilizzata nel conto economico, anche se vi sonoregole particolari – come vedremo – per le attività che erano state rivalutate.

110

quegli intangibles che verranno ammortizzati per un periodo superiore ai venti anni

dalla data in cui saranno disponibili all’uso169.

2.3.7 – IAS 38: Cessioni e dismissioni

Un’attività immateriale deve essere stornata e conseguentemente eliminata

dall’attivo di stato patrimoniale quando è ceduta oppure quando ci si aspetta che non

genererà più futuri benefici economici attraverso il suo uso, e sarà, di conseguenza,

dismessa. Le eventuali plusvalenze o le minusvalenze derivanti dalla dismissione o

dalla cessione della suddetta attività devono essere determinate come differenza tra il

valore netto di cessione ed il valore contabile residuo dell’attività, dovendo essere

contabilizzate come un costo o un ricavo all’interno del conto economico. Nel caso in

cui un’attività immateriale sia scambiata con un’altra attività, ossia nel caso in cui si

verifichi una permuta, il costo dell’attività acquisita è uguale al valore contabile

dell’attività eliminata e non risulterà nessuna minusvalenza o plusvalenza. Un’attività

immateriale che è stata ritirata dall’uso attivo e rimane in rimanenza e destinata alla

vendita verrà valutata al valore contabile alla data in cui è stata ritirata. Almeno ad ogni

fine esercizio, l’impresa dovrà valutare se si è verificata una perdita di valore ed in quel

caso dovrà contabilizzarla come disposto dallo IAS 36170.

2.3.8 – IAS 38: Nota integrativa e altre informazioni

Così come in Italia, generalmente, la nota integrativa è lo strumento mediante il

quale integrare le informazioni quantitative offerte dai bilanci con quelle più

prettamente qualitative, al fine di migliorare la conoscenza delle varie poste di bilancio,

così lo IAS 38 richiede alcune informazioni aggiuntive, esplicative dei dati contenuti nei

prospetti di stato patrimoniale e conto economico. Al fine di fornire un’analisi

comparativa dettagliata tra quanto richiesto dalla disciplina italiana in merito alla nota

169 Il valore recuperabile deve essere determinato come stabilisce lo IAS 36 e l’eventuale perdita divalore contabilizzata coerentemente.170 Le stesse regole proposte in questo paragrafo sono contenute e riproposte nei principi contabiliitaliani.

111

integrativa e il dettato dello IAS 38, proponiamo di seguito una tabella riepilogativa,

con specifico riferimento all’ambito delle attività immateriali

Tabella 5- Informazioni aggiuntive richieste dai principi contabili internazionali e italiani in meritoall'area delle attività immateriali

IAS 38 Principio Contabile n.24Il bilancio deve fornire le seguentiinformazioni, per ogni classe di attivitàimmateriale, distinguendo tra attivitàimmateriali generate internamente e altreattività immateriali: la vita utile o i tassi di ammortamento

utilizzati;

La nota integrativa deve fornire l’informazionerelativa al piano di ammortamento usato.

il metodo di ammortamento utilizzato; Il metodo e il piano di ammortamento usato.In particolare, per l’avviamento nell’ipotesi incui la durata dell’ammortamento sia superioreal periodo convenzionale di cinque anni,occorre dimostrare e motivare tale maggioredurata, evidenziando in nota integrativa glielementi specifici sulla base dei quali è fondatala determinazione della maggiore vita residua.

il valore lordo e il fondo ammortamento(aggregato con le perdite di valoreaccumulate) all’inizio e alla fine delperiodo;

una riconciliazione del valore contabile,all’inizio e alla fine del periodo, chemostri:1. gli incrementi, indicando

separatamente quelli sviluppatiinternamente o acquisiti con unafusione per incorporazione o a seguitodi nuove acquisizioni di controllate;

2. le dismissioni dall’attività produttivae le cessioni

3. incrementi o decrementi effettuatidurante il periodo risultanti darivalutazioni, perdite di valore oripristini di valore contabilizzatidirettamente contro le riserve delpatrimonio netto;

4. le perdite di valore contabilizzate nelconto economico secondo lo IAS 36;

5. i ripristini di valore contabilizzati nelconto economico secondo lo IAS 36;

6. gli ammortamenti contabilizzati nelperiodo;

7. le differenze di cambio nette derivantidalla traduzione del bilancio di unaentità straniera;

8. altri cambiamenti del valore contabileavvenuti nel periodo;

I movimenti delle immobilizzazioni,specificando per ciascuna voce il costooriginario, le precedenti rivalutazioni e quelledell’esercizio, le acquisizioni, i trasferimenti daun’altra voce, le alienazioni avvenutenell’esercizio, gli ammortamenti accumulati equelli dell’esercizio, le svalutazioni accumulatee quelle effettuate nell’esercizio, il totale dellerivalutazioni sulle immobilizzazioni esistentialla chiusura dell’esercizio.

le voci del conto economico nel qualel’ammortamento delle attività immaterialiè compreso;

Non previsto

112

una classe di attività immateriali è unraggruppamento di attività con unanatura simile e stesso utilizzo inun’attività d’impresa. Esempi di separateclassi di immobilizzazioni immaterialisono:1. marchi;2. titoli pubblicitari;3. software;4. concessioni e licenze;5. copyright, diritti d’autore e altri diritti

di proprietà industriali;6. formule, modelli, disegni e prototipi;7. attività immateriali nella fase di

sviluppo;Le classi identificate possono essereraggruppate o disaggregate se ciòcontribuisce a rendere più intelligibile ilbilancio.

Lo stato patrimoniale deve rappresentare leattività immateriali secondo questaclassificazione:Immobilizzazioni immateriali:

1. costi di impianto e di ampliamento;2. costi di ricerca, di sviluppo e

pubblicità;3. diritti di brevetto industriale e diritti di

utilizzazione delle opere dell’ingegno;4. concessioni, licenze, marchi e diritti

simili;5. avviamento;6. immobilizzazioni in corso e acconti:7. altre;

Totale 171

Un’impresa deve fornire le informazioni sulleperdite di valore di un’attività immateriale,come richiede anche lo IAS 36, in aggiunta aquanto richiesto in precedenza

Le ragioni e l’ammontare della svalutazioneapportata per perdite durevoli di valore.

Un’impresa deve dare l’informazione circa lanatura e l’effetto del cambiamento nelle stimecontabili che abbiano un effetto significativonel periodo corrente o che ci si aspetta loabbiano in periodi successivi; tali informazionipossono riguardare i cambiamenti nel periododi ammortamento, nel metodo diammortamento, nei valori residui.

I cambiamenti dei metodo d’ammortamento edella residua vita utile ed i relativi effetti emotivazioni.

Il bilancio deve inoltre fornire le seguentiinformazioni:a. se un’attività immateriale è ammortizzata

per un periodo superiore ai venti anni, e leragioni del perché non sia stata rispettatala presunzione sulla vita utile diun’attività immateriale che non dovrebbeeccedere i venti anni dalla data in cuil’attività stessa è disponibile per l’uso. Nelfornire tali ragioni l’impresa devedescrivere i fattori che hanno giocato unruolo significativo nel determinare la vitautile della attività stessa;

Il Codice civile richiede per l’avviamento,qualora l’ammortamento sia stato calcolato suun periodo superiore ai cinque anni, di fornirele motivazioni della maggiore durataevidenziando nella nota integrativa glielementi specifici sulla base dei quali è fondatala determinazione della maggiore vita utile172.

b. una descrizione, il valore contabile e ilperiodo rimanente di ammortamento diogni attività immateriale individuata chesia rilevante nel bilancio;

Non previsto

c. per le attività immateriali acquistatetramite contributi pubblici e contabilizzateinizialmente al valore corrente: il valore corrente iniziale

Non previsto

171 In questo caso il riferimento non è al principio contabile n. 24 ma all’art. 2424 c.c.172 Anche in questo caso, in assenza di alcuna indicazione da parte del principio contabile n. 24, ilriferimento è all’art. 2427 c.c

113

contabilizzato per queste attività; il loro valore contabile; il criterio utilizzato per la

contabilizzazione;d. l’esistenza e il valore contabile di attività

immateriali il cui titolo di proprietà siasoggetto a limitazioni e i valori contabilidi attività immateriali vincolate agaranzia di passività;

Non previsto

e. l’ammontare degli impegni per l’acquistodi attività immateriali;

Quando gli impegni consistono in rapportiobbligatori intercorrenti fra l’impresa e terzi,sono da iscrivere nei conti d’ordine, in calceallo stato patrimoniale, quando significativi, ese non riferiti alla attività ordinaria. La notaintegrativa deve riportare gli impegni nonrisultanti in calce allo stato patrimoniale.

Quando un’impresa descrive i fattori chegiocano un ruolo significativo nel determinarela vita utile di un’attività immateriale che èammortizzata in un periodo superiore ai ventianni, l’impresa deve fare esplicito riferimentoai fattori elencati più sopra e al paragrafo 80dello IAS 38.

Non previsto

Non previsto Il principio contabile con cui è statodeterminato il valore originario d’iscrizionedelle immobilizzazioni immateriali (il principiobase è il costo)

Non esplicitamente previsto Il criterio seguito per l’eventuale rivalutazionedel bene immateriale, la legge che l’hadeterminata, l’importo della rivalutazione, alloro ed al netto degli ammortamenti e l’effettosul patrimonio netto.

Capitalizzazione vietata per costi diversi daquelli di sviluppo.

La composizione delle voci “costi d’impianto edi ampliamento” e “costi di ricerca, disviluppo e di pubblicità”, nonché le ragionidell’iscrizione di tali voci, ossia le motivazioniche attribuiscono a tali voci il carattere dellapluriennalità.

2.3.8.1 - Informazioni richieste per intangibles contabilizzati secondo il metodo

alternativo

Come affermato in precedenza, lo IAS 38 prevede un criterio di contabilizzazione

per le attività immateriali definito alternativo173. Il criterio in questione consiste nel

valutare l’attività immateriale al valore corrente rivalutando il costo periodicamente, nei

limiti del costo inizialmente iscritto. In questo caso, però, l’impresa deve fornire alcune

informazioni aggiuntive nel bilancio:

173 Ricordiamo, ancora una volta, che la tecnica in questione è vietata in Italia.

114

la data di riferimento della valutazione;

il valore contabile dell’attività immateriale rivalutata;

il valore contabile che sarebbe stato incluso nel bilancio se l’attività

immateriale fosse stata valutata in base al metodo preferito;

l’ammontare della rivalutazione positiva che si riferisce all’attività immateriale

all’inizio e alla fine del periodo, indicando i cambiamenti avvenuti nel periodo

e qualsiasi restrizione nella distribuzione delle riserve agli azionisti174.

2.3.8.2 - Costi di ricerca e sviluppo

Lo IAS 38 precisa che il bilancio deve dare informazioni aggiuntive in merito ad

ammontari aggregati di costi di ricerca e sviluppo contabilizzati nell’esercizio come

costo ed imputati al conto economico. Il paragrafo 117, in tal senso, incoraggia ma non

obbliga a dare le seguenti informazioni:

a. una descrizione di ogni attività immateriale completamente ammortizzata che è

ancora in uso

b. una breve descrizione di attività immateriali significative controllate

dall’impresa ma non contabilizzate come attività perché esse non hanno

soddisfatto le condizioni necessarie per la loro capitalizzazione, oppure perché

sono state acquistate o generate prima che lo IAS 38 diventasse operativo.

2.3.9 – IAS 36: Finalità

Lo IAS 36 stabilisce le regole contabili e definisce le procedure che assicurano

ad un’impresa di valutare le attività in base ad un importo che non sia superiore al

valore recuperabile dell’attività stessa e di identificare eventuali perdite di valore175.

174 Il paragrafo 114 aggiunge che potrebbe essere necessario aggregare alcune classi di attivitàimmateriali in classi più grandi per fornire le informazioni richieste. Tuttavia non è possibile effettuareaggregazioni se risultassero classi di immobilizzazioni immateriali che includono attività valutate con ilmetodo preferito e altre valutate con il metodo alternativo.175 Nonostante, come detto, questo obiettivo sia già perseguito dallo IAS 16 – Property, Plant andEquipment, e dallo IAS 38 – Intangible Assets, il principio contabile internazionale n.36 fornisce unadettagliata metodologia per identificare le perdite di valore delle attività.

115

Secondo lo IAS 36, un’attività è contabilizzata ad un valore superiore al valore

realizzabile se il suo valore contabile è maggiore dell’importo che si potrebbe

recuperare attraverso l’uso o la vendita. In questo caso, si constata una perdita di valore

e il principio internazionale n. 36 richiede che tale perdita sia rilevata come una

svalutazione nel conto economico176. Il principio internazionale specifica inoltre come

accertarsi che si tratti effettivamente di una perdita di valore e descrive le metodologie

per determinare il valore recuperabile dell’attività, nonché l’eventuale necessità di

ripristinare il valore realizzabile quando le condizioni che avevano indotto ad effettuare

una svalutazione sono mutate. Lo IAS 36, quindi, si applica a tutte le perdite di valore e

alle conseguenti svalutazioni di qualsiasi attività, materiale, immateriale o finanziaria,

eccetto quelle per le quale esistano specifici principi contabili internazionali che trattino

in maniera specifica l’argomento177.

I principi contabili italiani, al contrario, non affrontano con uno specifico

documento l’argomento delle perdite di valore delle attività, ma ogni principio contabile

relativo alle diverse attività che compongono l’attivo dello stato patrimoniale affronta la

tematica della relativa valutazione, seppur in maniera meno sistematica di quanto fatto

dallo IAS 36178.

2.3.10 – IAS 36: Identificazione di un’attività da svalutare

Secondo lo IAS 36, come detto, quando il valore recuperabile di un’attività è

inferiore al valore contabile dell’attività stessa si deve procedere ad una svalutazione per

perdita di valore. Con il termine “attività”, il principio contabile internazionale intende

qualsiasi “bene facente parte del patrimonio aziendale” o alternativamente “unità

176 Secondo lo IAS 36, infatti, la perdita di valore deve essere sempre imputata al conto economico (o intaluni caso contro le riserve di rivalutazione) quando si constata che il valore contabile dell’attività èsuperiore al valore recuperabile (sia esso il valore d’uso o il valore netto di vendita) dell’attività stessa. Lacontropartita contabile della perdita di valore imputata al conto economico (o al patrimonio netto) èl’attività stessa, che verrà ridotta per adeguarsi al valore recuperabile.177 Si tratta in questo caso dello IAS 12 inerente le rimanenze, dello IAS 11 inerente le attività relative acommesse e lavori in corso su ordinazione e lo IAS 39 relativo alla contabilizzazione e valutazione deglistrumenti finanziari.178 In ogni singolo principio contabile del CNDC-CNR, infatti, sono definite le linee guida peridentificare la perdita di valore delle relative attività, i metodi contabili per il suo riconoscimento e lacorrezione del valore contabile della posta nel bilancio d’esercizio.

116

operativa che genera flussi di cassa”179. Lo IAS 36, infatti, può essere applicato sia per

riconoscere una perdita di valore di un componente dell’attivo di stato patrimoniale, sia

per valutare se esiste una perdita di valore per unità operativa che genera flussi di cassa.

Lo IAS 36 dispone che un’impresa deve valutare, ad ogni data di chiusura del

bilancio di esercizio, se si sono verificate le condizioni affinché sia presumibile pensare

che un’attività potrebbe essere svalutata per una perdita di valore. Se alcuni indicatori

fanno presumere che potrebbe esistere una perdita di valore su un’attività, l’impresa

deve stimare il valore recuperabile dell’attività stessa180. Le condizioni che potrebbero

indicare una perdita di valore sono distinguibili tra fonti esterne e fonti interne; le prime,

hanno, chiaramente, origine all’interno dell’azienda e dipenderanno dall’uso che la

singola impresa vorrà fare del bene. Le seconde, invece, saranno esterne al possibile

controllo dell’azienda e saranno conseguenza di eventi di mercato, di situazioni

competitive contingenti e di influenze di soggetti terzi rispetto all’azienda. Di seguito, le

citeremo brevemente, così come fa lo IAS 36 stesso:

Tabella 6 - Possibili fonti e segnali di perdita di valore di un'attività

Fonti esterne Fonti interneDurante il periodo di riferimento, il valore dimercato dell’attività ha subito una forteriduzione: la riduzione non è collegata all’uso oal mero trascorrere del tempo, ma è unariduzione superiore alle aspettative;

Si ha evidenza di una obsolescenza tecnicadell’attività;

Durante il periodo si sono verificatisignificativi cambiamenti nella tecnologia, nelmercato, nella legislazione, nell’ambienteeconomico, con effetti negativi per l’impresa;tali cambiamenti potrebbero avere un effettonegativo sul valore dell’attività immobilizzata;

L’attività è stata danneggiata o comunque haperso buona parte della propria efficienzaproduttiva;

I tassi di interesse o gli altri indicatori chemisurano la redditività degli investimenti sonoincrementati, con la conseguenza che la

Durante il periodo si sono verificatisignificativi cambiamenti nell’impresa chehanno modificato o potrebbero modificare le

179 Lo IAS 36, infatti, può essere applicato sia per riconoscere una perdita di valore di un componentedell’attivo di stato patrimoniale, sia per valutare se esiste una perdita di valore per unità operativa chegenera flussi di cassa. Con questo termine, il principio internazionale intende “il più piccolo insieme diattività identificabile in un’impresa in grado di generare flussi di cassa grazie al suo utilizzo continuo”.Per poter identificare una simile unità, le entrate di risorse generate dalla unità operativa devono essereindipendenti dalle entrate generate dalle altre attività o gruppi di attività dell’impresa stessa.180 Come affermato in precedenza, lo IAS 36 precisa che, oltre alla singola attività riferita ai beni facentiparte dell’attivo patrimoniale, tale regola di valutazione è applicabile anche per le unità operative chegenerano flussi di cassa.

117

variazione del tasso di attualizzazione utilizzatoper calcolare il valore d’uso dell’attività puòcomportare un significativo abbassamento delvalore recuperabile dell’immobilizzazionestessa;

condizioni di utilizzo dell’attività stessa; questicambiamenti includono piani diristrutturazione o che potrebbero comportarela cessione dell’attività stessa in un periodonon previsto dalle aspettative;

Il valore contabile dell’attività è chiaramenteincoerente con le quotazioni di borsadell’azienda;

Si ha evidenza contabile che i risultatieconomici di un’attività sono, o saranno,peggiori rispetto alle aspettative181

Lo IAS 36, onde evitare eccessi di prudenza nella valutazione del valore corrente

dell’attività e delle relative svalutazioni, precisa che qualora si evidenzi una condizione

che potrebbe far supporre una perdita di valore di un’attività, questo potrebbe indicare

che la vita utile residua, il piano di ammortamento o il residuo valore contabile

dell’attività potrebbero necessitare di un controllo. Di conseguenza, non è detto che si

debba immediatamente procedere ad una svalutazione dell’attività, ma si deve

determinare il valore recuperabile e verificare se esistono i presupposti per

contabilizzare una perdita di valore. Se l’esame evidenzia che ci si trova nel caso di una

perdita di valore, si procede alla conseguente svalutazione dell’attività in questione182.

2.3.11 – IAS 36: Determinazione del valore recuperabile

Lo IAS 36 definisce “valore recuperabile” l’importo maggiore tra il valore

realizzabile dall’alienazione (prezzo netto di vendita) dell’attività e il suo valore d’uso.

Il paragrafo 19 dello IAS 36 dispone che il valore recuperabile dovrebbe essere

determinato per ogni singola attività, a meno che l’attività da sola non sia in grado di

generare entrate: in questo caso è necessario identificare il gruppo di attività, o l’unità o

il ramo dell’azienda in grado di generare entrate a cui l’attività in esame appartiene.

181 L’evidenza contabile che indica che i risultati economici sono peggiori rispetto alle aspettative (equindi che un’attività potrebbe essere svalutata per una perdita di valore) è la seguente: a) i flussi di cassarelativi alla acquisizione dell’attività, o i costi relativi all’utilizzo e manutenzione dell’attività stessa sonomolto più alti rispetto a quanto preventivato in budget; b) i flussi di cassa netti, o i risultati operatividerivanti dall’attività sono peggiori rispetto ai budget; c) si verifica un declino del budget dei flussi dicassa netti o dei risultati operativi di un’attività, oppure aumenta il budget delle perdite operative ad essarelative.182 Il principio contabile internazionale puntualizza inoltre che il valore recuperabile non deve esserestimato ogni anno per tutte le attività: solo se sussistono alcune condizioni è necessario procedere allastima del valore recuperabile, oppure nel caso in cui periodo di ammortamento dell’avviamento ecceda i20 anni. Se una delle condizioni identificate (interne od esterne) si verifica, l’impresa non deve procedereimmediatamente alla contabilizzazione della perdita di valore, ma deve previamente calcolare il valorerecuperabile e, successivamente, verificare se esistono i presupposto per la svalutazione.

118

Il valore realizzabile dall’alienazione è rappresentato, ad evidenza, dal prezzo

che scaturirebbe da un contratto vincolante per le parti, al netto dei costi direttamente

imputabili alla vendita stessa. Se non esiste un contratto vincolante, o non esiste un

mercato di riferimento attivo, il valore in questione è funzione delle migliori

informazioni di cui l’impresa è in possesso che riflettano l’ammontare che si potrebbe

realizzare dalla vendita, alla data di bilancio, contrattata a prezzi normali, con terze

economie ben informate e interessate, al netto degli oneri diretti da sostenere per la

cessione stessa183.

Il principio internazionale identifica, inoltre, le condizioni per determinare il valore

in uso e le relative fasi nelle quali il processo in questione si dovrebbe articolare:

1. stima dei futuri flussi di cassa, positivi e negativi, derivanti dall’uso dell’attività

e dalla sua eventuale vendita;

2. applicazione dell’appropriato tasso di sconto per l’attualizzazione dei flussi di

cassa;

Per determinare il valore in uso, dunque, secondo lo IAS 36, le proiezioni dei flussi

di cassa dovrebbero essere basate su ipotesi ragionevoli che rappresentino la miglior

stima effettuata dagli amministratori, delle condizioni economiche esterne che

esisteranno durante la rimanente vita utile del bene e i flussi di cassa attesi dovrebbero

essere basati su recenti budget o preventivi184.

Per quanto riguarda la seconda fase della stima, lo IAS 36 prevede che il tasso di

attualizzazione debba essere un tasso che tenga conto del diverso valore della moneta

nel corso del tempo185, in special modo per le proiezioni più lungo termine, ed i rischi

specifici connessi alla singola attività. A riguardo vengono forniti alcuni indicatori:

183 Naturalmente, non ci si riferisce a vendite forzate dell’ultimo minuto ma a normali cessioni di beniomogenei, in normali condizioni di mercato.184 Lo IAS 36 ha precisato che le proiezioni dei flussi di cassa attesi basati su questi dati dovrebberocoprire un massimo di cinque anni, a meno che sia giustificato l’uso di un periodo maggiore; al termine diquesto lasso di tempo, i dati verranno estrapolati attraverso l’utilizzo di tassi costanti di crescita o dideclino.185 A riguardo, lo IAS 36 prevede due specifiche alternative per tenere conto dell’effetto dell’inflazione.Il primo metodo identificato è quello di calcolare i flussi futuri di cassa in termini reali e quindi nonincrementarli per riflettere la futura inflazione: essi sono dunque attualizzati adottando un tasso di scontoreale. In alternativa, i flussi futuri potranno comprendere una stima dell’inflazione, ma essi dovranno

119

dal punto di vista dell’impresa, il tasso da utilizzare potrebbe essere il costo

medio del capitale, ovvero il costo del denaro per i prestiti ottenuti, ovvero il

tasso esistente sul mercato per finanziamenti ad imprese simili;

il tasso dovrà essere considerato prima delle imposte: dovrà quindi essere

“nettato” dell’influenza delle imposte al fine di determinare il tasso reale;

il tasso dovrà essere diverso per ogni impresa, a seconda del grado di rischio ad

esse associato e delle caratteristiche dell’investimento che verrà finanziato;

il tasso di attualizzazione dovrà essere il più indipendente possibile dalla

struttura finanziaria dell’impresa e dal modo in cui l’impresa finanzia gli

acquisti e gli investimenti, dato che i flussi futuri attesi da un’attività sono

relativamente indipendenti dal modo in cui tale attività è acquisita dall’impresa;

2.3.12 – IAS 36: Riconoscimento e valutazione della perdita di valore di una singola

attività

Nel contesto del sistema a costi storici, se il valore recuperabile di un’attività è

inferiore al suo valore contabile, si deve ridurre il valore contabile di tale differenza in

modo da eguagliare il valore recuperabile. Questa differenza è definita dallo IAS 36

“perdita di valore”186. Questa verrà contabilizzata nel conto economico tra i costi187.

Dopo aver effettuato una riduzione di un’attività per perdita di valore, l’ammortamento

deve essere ricalcolato per tenere conto del nuovo valore contabile, del valore

realizzabile alla fine della vita utile e per riallocare in modo sistematico il costo

essere poi attualizzati sulla base di un tasso nominale di interesse, includente, quindi, il tasso di inflazioneatteso. Ovviamente non sono accettate valutazioni miste.186 Come noto, nei principi contabili italiani, le riduzioni di valore relative alle immobilizzazioni verrannoprese in considerazione solo nel momento in cui si trattino di perdite permanenti di valore, esistendoobiettive condizioni di irrecuperabilità del precedente valore del cespite.187 Lo IAS 36 precisa che nel caso l’attività sia stata in precedenza rivalutata, le perdite di valore devonoessere trattate come riduzione della rivalutazione, espressa dalla corrispondente riserva inclusa nelpatrimonio netto. In questo caso, è possibile ridurre la rivalutazione fino a concorrenza con il costooriginario dell’attività: l’eventuale eccedenza di perdita di valore rispetto alla rivalutazione effettuata inprecedenza si imputa al conto economico come costo.

120

dell’attività sulla base della vita utile residua. Il ricalcolo del piano di ammortamento

deve essere effettuato lasciando il pregresso come un dato consolidato e considerando

solo il periodo compreso tra la data in cui la svalutazione è effettuata e la fine della vita

utile.

2.3.13 – IAS 36: Unità operative che generano flussi di cassa

Se esiste qualche indicazione che un’attività possa essere svalutata, dovrebbe

essere stimato il valore recuperabile di ogni attività. Se non è possibile stimare il valore

recuperabile di ogni singola attività, l’impresa dovrebbe determinare l’unità operativa

minima a cui l’attività in oggetto appartiene: unità, appunto, che è in grado di generare

flussi di cassa (il principio internazionale n. 36 chiama queste unità CGU – Cash

Generating Unit). Concretamente, il valore recuperabile di una singola attività non può

essere stimato quando il suo valore d’uso non è calcolabile188, oppure quando l’attività

non genera flussi di cassa derivanti dal suo uso continuo che siano indipendenti da

quelli di altre attività; in questi casi, il valore d’uso o il valore recuperabile potrà essere

determinato solo per l’unità operativa a cui l’attività appartiene189. Lo IAS 36, quindi,

definisce una CGU come “il più piccolo gruppo che include attività e che è in grado di

generare flussi di entrate a seguito del suo continuo utilizzo: tali entrate sono

ampiamente indipendenti dalle entrate che generano altre attività o altri gruppi di

attività”190.

Il valore recuperabile di una CGU sarà dato, come nel caso di una normale

singola attività, dal più altro tra il possibile prezzo di vendita della CGU (calcolato

relativamente ad un mercato attivo, se esistente) e il suo valore d’uso. Il valore contabile

188 Ad esempio, se non è possibile stimare in modo attendibile i futuri flussi di cassa direttamentederivanti dall’uso continuo dell’attività.189 A riguardo, è illuminante l’esempio fornito dallo stesso IAS 36 al fine di meglio spiegare comeidentificare e considerare una CGU: si pensi a caso di un’impresa mineraria che possiede una ferrovia asupporto dell’attività di estrazione. La ferrovia privata potrebbe essere venduta solo come rottame; inoltrenon genera flussi di entrata derivanti dall’uso continuo che siano indipendenti dalle altre attività relativealla miniera. Non è possibile determinare il valore recuperabile della ferrovia perché il valore d’uso nonpuò essere determinato in quanto la ferrovia non genera flussi di cassa indipendenti ma è ausiliariaall’attività di estrazione e probabilmente il valore d’uso della ferrovia differisce dal valore della stessacome rottame. In questo caso, è possibile identificare nella miniera l’unità operativa che genera flussi dicassa a cui la ferrovia appartiene: il valore recuperabile potrà quindi essere calcolato per la miniera nelsuo complesso e la valutazione dei flussi di cassa netti comprenderà la valutazione della ferrovia.190 Lo IAS 36 puntualizza che nell’identificare una CGU è necessario utilizzare un metodo il piùpossibile costante nel tempo, a meno che sia giustificabile un cambiamento.

121

dell’unità operativa in grado di generare flussi di cassa dovrà quindi essere calcolato in

modo coerente con i metodi adottati per calcolarne il valore recuperabile, includendo il

valore delle sole attività che possono essere direttamente attribuite o allocate con

ragionevole certezza alla CGU e che genereranno i futuri flussi di entrate stimati nel

calcolo del valore d’uso e tralasciando il valore contabile di ogni passività, a meno che

il valore recuperabile della CGU non possa essere determinato senza considerare le

passività in oggetto. Questo perché nel determinare il valore d’uso ed il valore

realizzabile dall’alienazione della CGU non si devono considerare i flussi di cassa

generati da altre attività che non fanno parte della CGU e le passività che sono state già

riconosciute nello stato patrimoniale191.

2.3.14 – IAS 36: Ripristino di valore

Al paragrafo 95 dello IAS 36 viene precisato che un’impresa deve accertare ad

ogni data di bilancio se esistono indicazioni che una perdita di valore riconosciuta in

precedenti esercizi possa non avere più ragione di esistere o sia diminuita. Se esiste

qualche indicazione che possa far supporre una simile eventualità, l’impresa dovrebbe

stimare il valore recuperabile dell’attività stessa. Per verificare se esiste qualche

indicatore che mostri che la svalutazione di un’attività effettuata in passato non abbia

più ragione di esistere o si sia modificata nell’ammontare, l’impresa dovrà considerare

quelle fonti e quei segnali, interni ed esterni, citati in precedenza. Se ci sono degli

indicatori che fanno supporre che la perdita di valore di un’attività contabilizzata negli

esercizi precedenti potrebbe essere diminuita, o potrebbe non durare nel tempo, questo

potrebbe indicare che la vita residua, il metodo di ammortamento o il valore residuo

dell’attività stessa hanno necessità di essere riesaminati, verificando i principi contabili

internazionali specifici per quella attività.

Qualora in un periodo successivo il mutare delle circostanze renda non più

necessaria la svalutazione effettuata in passato, deve essere condotto il ripristino del

valore contabile, fino a concorrenza del valore recuperabile. Lo IAS 36 precisa, inoltre,

che una perdita di valore imputata al conto economico in passato può essere ripristinata

se, e solo se, si sono verificati cambiamenti nelle stime utilizzate per determinare il

191 Ricordiamo che in Italia non esistono principi di riferimento per valutare la perdita di valore di un

122

valore recuperabile di un’attività, a partire dall’ultima perdita di valore contabilizzata.

In questo caso, il valore contabile dell’attività deve essere incrementato fino al valore

recuperabile dell’attività stessa192. Lo stesso principio internazionale aggiunge, inoltre,

che l’aumento del valore contabile di un’attività – a seguito di ripristino di valore – non

deve eccedere il valore contabile che si sarebbe ottenuto, al netto degli ammortamenti,

in caso la perdita di valore non fosse mai stata contabilizzata nel passato. Importi

maggiori di questo limite costituiscono una rivalutazione di attività. Lo IAS 16 dispone

che il ripristino di valore deve essere imputato immediatamente come ricavo nel conto

economico, a meno che l’attività sia stata in precedenza rivalutata in base ad altri

principi contabili internazionali. In questo caso, lo IAS 16 precisa che il ripristini di

valore di un’attività rivalutata in passato dovrà essere contabilizzato come un

decremento di rivalutazione. Lo stesso principio internazionale, aggiunge che qualora si

adottasse il metodo di valutazione alternativo delle immobilizzazioni materiali – che

permette di valutare i beni in base al valore corrente alla data di rivalutazione meno gli

ammortamenti accumulati e le eventuali perdite di valore – l’eventuale decremento di

rivalutazione si imputa direttamente a riduzione della riserva di rivalutazione compresa

nel patrimonio netto. In questo caso, dunque, il ripristino di valore di un’attività

rivalutata in passato è portato a diminuzione della riserva di rivalutazione dell’attività

stessa, fino a concorrenza. L’eventuale eccedenza è imputata come costo nel conto

economico193.

A riguardo, lo IAS 36 richiede di fornire dettagliate informazioni in nota

integrativa, inerenti la dinamica contabile delle attività svalutate e rivalutate, sulle quali

però non ci soffermeremo dato il carattere meramente strumentale che l’analisi dello

IAS 36 assume ai nostri fini.

2.3.15 – IAS 22: Concentrazioni di aziende

Lo IAS 22 contempla due tipologie di integrazioni:

gruppo di attività che siano in grado di generare flussi di cassa.192 Lo IAS 36 definisce questo aumento di valore come “ripristino di valore”.193 Come noto, questa possibilità è esclusa dai principi contabili italiani. La perdita di valore, o ilsuccessivo ripristino di valore, di un’attività immobilizzata precedentemente rivalutata si imputanosempre, secondo il Principio contabile n.16 del CNDC-CNR al conto economico le svalutazioni alla voce

123

Uniting of interests o fusione pura, nella quale non è possibile identificare una

parte acquirente

Acquisition o incorporazione: tutte le altre tipologie di integrazione devono

essere contabilizzate come acquisti

2.3.15.1 - Uniting of interests

E’ un’integrazione di imprese nella quale gli azionisti integrano il controllo sulla

totalità delle attività e delle operazioni, allo scopo di suddividere i rischi e i benefici

pertinenti alle attività fuse, in modo che nessuno possa esser chiaramente identificato

come acquirente194. In questo caso, i valori contabili di attività e passività vengono

mantenuti nell’impresa risultante dall’operazione, non dovendo contabilizzare alcun

avviamento. I bilanci degli esercizi precedenti, di conseguenza, vengono rielaborati

come se le due imprese fossero sempre state fuse.

2.3.15.2 - Acquisition

Con il termine in questione si intende un’integrazione di imprese nella quale

un’impresa (acquirente) ottiene il controllo delle attività nette e delle operazioni

dell’altra (acquisita), a fronte di un corrispettivo costituito dal trasferimento di attività,

assunzione di passività o emissione di azioni.

Senza dilungarci sulle motivazioni che potrebbero avere portato all’operazione

in questione, è evidente che, come in tutte le tipologie di acquisti, l’impresa acquirente

si attenderà con buona probabilità benefici economici futuri: per questo le attività e le

passività acquisite dovranno essere contabilizzate considerando probabile che se ne

otterrà un beneficio economico, per mezzo di una misura attendibile del loro costo e

soprattutto del loro valore corrente. Proprio a tale valore, infatti, le poste contabili della

società acquisita andranno contabilizzate nel bilancio consolidato. La differenza tra

“Altre svalutazioni delle immobilizzazioni”, mentre eventuali recuperi di valori in precedenza svalutatidevono essere iscritti nella stessa voce, con segno inverso rispetto a quello delle svalutazioni.194 I criteri per identificare questo tipo di operazioni sono: a) la sostanziale maggioranza delle azioni condiritto di voto sono scambiate o messe in comune; b) il valore corrente delle due imprese non differiscesostanzialmente; c) gli azionisti di ognuna delle due imprese mantengono sostanzialmente gli stessi dirittidi voto e quote di partecipazione, gli uni rispetto agli altri, che avevano prima dell’operazione.

124

costo di acquisto e valore corrente di attività e passività sarà contabilizzata come

avviamento.

Come nel caso delle attività immateriali, anche in questo caso si prevedono un

trattamento contabile preferito ed un trattamento contabile alternativo: seguendo il

primo, le quote di pertinenza di terzi non verranno valutate al valore corrente, mentre in

ossequio al secondo, anche queste potranno essere valutate al loro valore corrente195.

Le eventuali differenze di fusione o consolidamento, nonché l’avviamento, si

ammortizzano sulla vita utile che non può superare i venti anni, a meno che non sia

giustificato in nota integrativa un periodo più lungo: come già abbiamo visto per le

attività immateriali, le poste in questione dovranno essere riesaminate ogni anno per

identificare eventuali perdite permanenti di valore. Nel caso in cui queste dovessero

essere svalutate per perdite permanenti di valore, il loro valore contabile non potrà

essere reintegrato.

Nel caso limite in cui le differenze in questione dovessero essere negative196,

queste saranno imputate a conto economico negli esercizi in cui mi manifesteranno le

motivazioni che hanno portato alla valutazione di differenze negative197.

195 Come puntualizza il testo dello IAS 22, il valore corrente si quantifica con riferimento all’uso previstodall’acquirente.196 Ad esempio nel caso in cui siano dovute alla previsione di perdite future o di costi di ristrutturazionegià pianificati.197 Quindi, saranno di competenza degli esercizi in cui si verificheranno i suddetti costi di ristrutturazionee le probabili perdite future.

125

2.4 – LA CONTABILIZZAZIONE DEI BENI IMMATERIALI SECONDO I

PRINCIPI CONTABILI STATUNITENSI (SFAS 141, SFAS 142)

Nella realtà statunitense le modalità di contabilizzazione delle operazioni di

gestione straordinaria e dei beni immateriali198, sono radicalmente cambiate nel corso

del 2001 con l’emanazione da parte del Financial Accounting Standards Board

(FASB)199 di due nuovi principi contabili: lo SFAS 141 – Business Combinations e lo

SFAS 142 – Goodwill and other Intangible Assets. La necessità di una rinnovata

regolamentazione delle modalità di contabilizzazione delle operazioni di gestione

straordinaria e dei beni immateriali nasce dalla presa di coscienza di alcune esigenze

fortemente sentite dai diversi fruitori del bilancio di esercizio, tra le quali spiccano

sicuramente la necessità di uniformare le regole contabili relative alle operazioni di

198 In questo senso, le operazioni di gestione straordinaria, come già visto nel caso degli IAS, sono vistecome una delle possibili vie per costituire o acquisire beni immateriali.199 Fin dal 1973, il Financial Accounting Standards Board è stato l’organismo privato deputato a stabiliregli standard contabili applicabili in ambito americano.

126

fusione ed acquisizione, nonché l’esigenza di una più completa informativa contabile

relativa ai beni immateriali200.

2.4.1 - La situazione precedente

Le operazioni di gestione straordinaria hanno assunto nel corso dell’ultimo

ventennio una sempre maggiore rilevanza economica, non trovando, però, prima

dell’emanazione dello SFAS 141 una rappresentazione contabile univoca ed

omogenea201. Erano consentiti, difatti, due diversi metodi di contabilizzazione delle

business combinations: in ossequio al primo metodo – purchase method – che

presuppone l’acquisizione di un’azienda da parte di un’altra azienda, l’azienda

acquirente registra al costo di acquisto gli assets acquisiti meno le passività assunte. La

differenza tra il costo dell’azienda acquisita e il valore corrente (fair value) attribuibile

ai singoli assets materiali e ai beni immateriali identificabili era registrata come

avviamento (goodwill). Il metodo alternativo – pooling of interests – si applicava,

invece, alle operazioni che non comportavano il trasferimento o il consumo di risorse da

parte delle aziende coinvolte nella combination e che avevano come corrispettivo uno

scambio azionario. I diritti di proprietà si mantenevano in capo ai soggetti originari e

l’operazione veniva contabilizzata sulla base della continuità dei valori contabili delle

attività e delle passività apportate dalle aziende coinvolte nell’operazione202. I due

metodo, peraltro, non erano tra loro alternativi e sostitutivi: l’utilizzo del pooling

method era consentito solo se l’operazione era in grado di soddisfare 12 condizioni203,

mentre in tutti gli altri casi l’operazione doveva essere contabilizzata sulla base del

purchase method.

200 Come si può notare, sostanzialmente le stesse motivazioni hanno contribuito all’emanazione degliIAS nella forma in cui sono stati precedentemente descritti.201 La contabilizzazione delle business combinations era, infatti, disciplinata dal APB Opinion n. 16 –Business Combination, emanato nel 1970 dall’Accounting Principles Board (APB, appunto, in seguitodivenuto FASB).202 La principale differenza tra i due metodi, quindi, riguardava l’interpretazione economicadell’operazione di gestione straordinaria (acquisizione mediante trasferimento dei diritti di proprietà suun’azienda o unione di aziende). Di conseguenza, la rappresentazione contabile dei beni costituentil’azienda oggetto di questa operazione avveniva in base al principio del “costo d’acquisto” o, inalternativa, mantenendo la continuità dei valori contabili.203 Le condizioni in questione, senza procedere ad una loro elencazione, miravano ad accertare realmentei requisiti che introdotti in precedenza in merito ai diritti di proprietà in capo agli azionisti e all’effettivaoperatività delle aziende in questione.

127

Di fatto, però, molto spesso queste condizioni non erano in grado di discriminare tra

operazioni che a livello sostanziale non presentavano differenze ma erano formalmente

condotte secondo differenti soluzioni204. Tale situazione portava ad effetti negativi

quali:

L’ottenimento di risultati di bilancio altamente differenti per operazioni simili a

livello di contenuto economico, con la relativa limitazione di fornire una fedele

rappresentazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale

dell’impresa.

La non comparabilità dei dati di bilancio

Una distorsione competitiva nel mercato delle business combinations205

Di conseguenza, l’utilizzo del pooling of interests method, a differenza del purchase

method, prevedendo la continuità dei valori contabili originariamente iscritti, non

consentiva tra le altre cose l’evidenziazione dei beni immateriali acquisiti portando al

mero mantenimento dei beni immateriali eventualmente già iscritti nel bilancio delle

aziende partecipanti alla business combination. La crescente rilevanza strategica ed

operativa dei beni immateriali, quindi, nella maggior parte dei casi non trovava

un’adeguata corrispondenza nell’informativa contabile, dato che la rappresentazione a

bilancio degli intangibles era assolutamente incompleta e frequentemente assente206.

Sulla base delle suddette motivazioni il FASB ha avviato nel corso del 1996 un

progetto di revisione dei principi suddetti, processo che a seguito di vari passaggi, si è

concluso nel corso del 2001 con l’emanazione degli SFAS 141 e 142. Come emerge

anche dagli argomenti trattati, i due principi hanno un’origine comune e parallela e per

essere correttamente intesi devono venire letti congiuntamente.

2.4.2 - Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 141

204 Ciò in generale violazione del principio generale di predisposizione del bilancio della prevalenza dellasostanza economica dell’operazione sulla forma giuridica assunta da quest’ultima.205 Aziende che non erano in grado di soddisfare tutte le 12 condizioni previste per l’applicazione delpooling method, infatti, si sentivano svantaggiate in un’eventuale operazione di acquisizione rispetto adaziende che potevano adottare tale metodo.206 La contabilizzazione dei beni immateriali, nella realtà statunitense, fino al 2001 era disciplinata dalAPB Opinion n.17 – Intangible Assets emanato nel 1970 dall’APB e mai più rivisto. Analisti edutilizzatori del bilancio di esercizio hanno evidenziato più volte l’inadeguatezza del suddetto principio.

128

Le principali innovazioni apportate dallo SFAS 141 riguardano l’obbligo di

contabilizzare tutte le operazioni di business combination in base al solo purchase

method, la definizione, l’identificazione e la modalità di contabilizzazione

dell’avviamento nonché la definizione, l’identificazione e le modalità di

contabilizzazione dei beni immateriali.

2.4.2.1 - Metodo di contabilizzazione delle business combinations

La prima innovazione introdotta dallo SFAS 141 consiste nella previsione che

tutte le operazioni di business combination207 debbano essere contabilizzate in base al

purchase method. Senza dilungarci in merito alle fattispecie di operazioni a cui si

applica la disciplina contenuta nello SFAS 141, sono evidenti le motivazioni che hanno

portato il FASB a prevedere una simile ed univoca modalità di contabilizzazione: la

previsione di questo solo metodo migliora l’omogeneità e la comparabilità dei bilanci

delle imprese coinvolte in quanto meglio riflette i presupposti economici

dell’operazione, aldilà delle differenze formali. In particolare, si riuscirà a meglio

riflettere tramite i dati di bilancio l’investimento effettuato nella società acquisita e a

migliorare la completezza delle informazioni fornite in bilancio. In base al purchase

method l’operazione di business combination verrà registrata sulla base dei valori

scambiati, fornendo all’utilizzatore del bilancio una migliore informazione circa il

prezzo pagato per acquisire un’azienda. Tale circostanza consentirà peraltro, in un

secondo momento, una migliore e più precisa valutazione della performance dello stesso

nel tempo. In particolare, la più precisa definizione delle modalità di identificazione dei

beni immateriali in modo distinto dal goodwill e gli obblighi di disclosure previsti dal

principio SFAS 141, permetteranno di fornire una migliore informativa circa gli assets

acquisiti e le passività assunte in un’operazione di business combination. Tali

informazioni integrative dovrebbero infatti fornire agli utilizzatori del bilancio una

207 Lo stesso SFAS 141 premette che una business combination si verifica quando “un’entità acquisisceun insieme di assets che costituiscono un’azienda o acquisisce una partecipazione in un’altra entità edottiene in controllo su quella stessa entità”. Questo principio contabile, quindi, non riguarda le transazioniin cui il controllo è acquisito mediante altri mezzi rispetto all’acquisto di assets o di una partecipazione.

129

migliore comprensione delle risorse acquisite e accrescere la loro capacità di stimare la

redditività prospettica e i flussi futuri di cassa generabili dall’impresa.

2.4.2.2 - La definizione del concetto di goodwill

La scelta di prevedere un unico metodo di contabilizzazione per le operazioni di

gestione straordinaria è stata accompagnata da un’attenta analisi volta a migliorare le

modalità della sua applicazione. In particolare, data anche la sua rilevanza nei bilanci di

molte imprese che fanno della politica di M&A un punto forte della loro visione

strategica, il FASB ha voluto dedicare un’approfondita analisi all’avviamento e alla sua

natura economica. In merito all’importanza rivestita dall’avviamento nell’economia di

alcune società tra le principali imprese industriali statunitensi, si osservi la tabella

seguente: come si può notare, accade molto spesso che il peso dell’avviamento

all’interno dell’attivo di bilancio sia tutt’altro che trascurabile. Ne deriva la necessità di

prevedere metodi di contabilizzazione che permettano la reale espressione del reale

valore economico di questa “entità”, affrancandolo dalla visione troppo spesso

condivisa del goodwill come “voce spazzatura”. E’ altrettanto evidente come la

predisposizione di regole contabili poco chiare o non compatibili con la reale

importanza assunta questa voce di bilancio potrebbe permettere l’applicazione di

pratiche contabili tutt’altro che trasparenti.

Tabella 7 - Ammontare dell'avviamento contabilmente iscritto nel bilancio di alcune delle principaliimprese industriali statunitensi e incidenza del goodwill sul totale dell'attivo208

Nome gruppo Goodwill ($) Godwill / Totale

Attivo (%)

AOL TIME WARNER INC. 128.338.000.000 61,55%

VIACOM INC. 70.990.100.000 78,17%

VIVENDI UNIVERSAL 51.743.286.000 36,93%

ALTRIA GROUP INC. 37.548.000.000 44,19%

KRAFT FOODS INC. 35.957.000.000 64,44%

TYCO INTERNATIONAL LTD 35.310.400.000 31,73%

QWEST COMMUNICATIONS INT. 30.774.000.000 41,71%

208 Fonte: Bilanci consolidati esercizio 2001. Dati al 31/12/2001

130

INT.

AT&T CORP. 24.675.000.000 14,93%

BERKSHIRE HATHAWAY INC. 21.407.000.000 13,15%

WALT DISNEY CO. 17.083.000.000 34,14%

HEWLETT PACKARD CO. 15.089.000.000 21,34%

RAYTHEON CO. 12.298.000.000 46,17%

PROCTER & GAMBLE CO. 8.805.000.000 25,61%

Da un punto di vista operativo, infatti, il FASB ha evidenziato come nella voce

contabile comunemente detta “avviamento”, usualmente vengano incluse cinque

principali componenti aventi natura economica tra loro sostanzialmente differente:

1. la differenza tra il fair value delle attività e passività acquisite e il loro valore

contabile alla data dell’acquisizione;

2. il fair value degli assets non rilevati nel bilancio dell’azienda acquisita209, alla

data dell’acquisizione. Tra queste attività assumono estrema rilevanza gli

intangibles;

3. il fair value del going-concern element, relativo all’azienda acquisita210 . Tale

elemento corrisponde alla comune definizione di avviamento dell’azienda

acquisita, accettata anche nella realtà italiana;

4. il fair value delle sinergie attese e degli altri benefici economici derivanti dalla

gestione congiunta dell’azienda acquisita e di quella acquirente211;

5. l’eventuale sopra valutazione del corrispettivo pagato dall’azienda acquirente,

dovuta, ad esempio, alla fase di contrattazione;

Chiarite le componenti del goodwill, così come individuate dal FASB, risulta

evidente che le prime due, entrambe riferite all’entità acquisita, da un punto di vista

concettuale non dovrebbero essere incluse nell’avviamento. La prima, infatti, non può

209 Tali beni possono non essere stati rilevati per motivi differenti: perché non soddisfano i criteri diidentificazione separata, per problemi di attendibilità della loro misurazione, per un esplicito divieto operché l’acquirente ha ritenuto che i costi necessari per una loro identificazione separata fossero superioriai benefici.210 Come noto, tale elemento rappresenta la capacità di un’azienda avviata di conseguire, dall’insiemedegli assets detenuti e funzionanti, un rendimento superiore rispetto a quello ottenibile da una lorogestione separata.

131

essere considerata in sé e per sé un asset acquisito ma riflette esclusivamente plusvalori,

non espressi dal bilancio dell’impresa acquisita, su beni comunque contabilmente

evidenziati212. Così pure la seconda componente andrebbe estrapolata dalla residuale

voce dell’avviamento, essendo essenzialmente costituita dal valore dei beni immateriali

non identificati nel bilancio dell’azienda acquisita. Proprio in questa direzione, quindi,

si è mosso il processo di revisione delle modalità di applicazione del purchase method

al fine di consentire una corretta evidenziazione del goodwill, cercando di eliminare le

predette distorsioni, conservando all’interno dell’avviamento solo quei beni immateriali

generici che non soddisfano i criteri di identificazione separata più avanti evidenziati.

2.4.2.3 - La contabilizzazione del goodwill

Appurato dal FASB che l’avviamento è un asset a tutti gli effetti e,

conseguentemente, è accettabile la sua iscrivibilità separata a bilancio213, i principi

contabili statunitensi si preoccupano di fornire informazioni in merito a come

contabilizzare lo stesso; la misurazione iniziale del goodwill, definito come differenza

tra il costo dell’entità acquisita e l’ammontare netto delle attività e passività assunte

(fair values), deve avvenire al momento in cui si perfeziona un’operazione di

acquisizione aziendale. Il goodwill internamente generato, anche in ossequio ai principi

contabili statunitensi, non può quindi essere contabilizzato214. L’avviamento in

questione, inoltre, non dovrebbe essere considerato un asset aziendale riferibile

211 Tali benefici sono, ad evidenza, unici e specifici per ogni operazione di business combination e,quindi, il loro valore economico dipende dalla tipologia delle aziende coinvolte.212 Da un punto di vista economico, quindi, tale componente è riferibile all’azienda acquisita e non puòconcorrere alla determinazione del goodwill.213 Come similmente proposto per gli IAS, stabilisce il FASB che affinché un qualsiasi investimentopossa essere visto come un asset, questo deve soddisfare tre condizioni: a) l’investimento deve esserecorrelato ad un beneficio economico futuro; b) sia possibile attribuire il suddetto beneficio ad un’entitàche di questo investimento detiene il controllo; c) una transazione o altri eventi passati abbiano datoorigine al diritto, o al controllo da parte dell’entità, su tale beneficio economico. Affinché, inoltre, unasset possa essere separatamente iscritto a bilancio, come puntualizza il FASB stesso, questo deverispettare i requisiti di: a) definibilità; b) misurabilità; c) significatività; d) attendibilità.214 Lo SFAS 141 aggiunge che l’impresa acquirente, al fine di migliorare la quantificazione del goodwill,dovrà fare ogni sforzo al fine di: a) quantificare in modo corretto il corrispettivo dell’acquisizione; b)contabilizzare il fair value degli assets acquisiti e delle passività assunte, invece che il loro valorecontabile; c) assicurarsi che tutti i beni immateriali, che soddisfano i criteri di iscrizione separata, e chenon sono evidenziati nel bilancio dell’impresa acquisita, vengano autonomamente contabilizzati.

132

genericamente all’azienda acquirente, ma, al fine di migliorare l’informativa di bilancio,

dovrebbe essere attribuito a singole reporting units215.

Un ultimo aspetto, ma di capitale importanza a causa della sua portata

innovativa, è che il goodwill viene considerato, per presunzione, come un asset che ha

una vita economica indefinita, ma mai infinita. Tale presunzione, comporta che

l’avviamento non possa essere soggetto ad ammortamento sistematico ma debba esserne

verificato annualmente il valore, attraverso l’impairment test già visto all’interno della

disciplina IAS.

2.4.2.4 - Definizione, identificazione, contabilizzazione degli intangibles specifici

Come accennato in precedenza, anche lo SFAS 141 si occupa dei beni

immateriali specifici, innovando radicalmente le modalità di loro identificazione e

iscrizione a bilancio. Innanzitutto, il principio contabile in questione definisce i beni

immateriali come quegli assets aziendali (non di natura finanziaria) privi di sostanza

fisica. Nonostante tali beni abbiano un’incidenza sempre crescente sul totale dei beni e

dei diritti detenuti dalla maggior parte delle aziende, molto spesso questi stessi beni, a

seguito di operazioni di acquisizione, venivano generalmente ricompresi

nell’ammontare attribuito al goodwill. Tale situazione ha portato il FASB a prevedere

specifici riferimenti all’interno dello SFAS 141 e 142, al fine di migliorare la qualità e

l’utilità dell’informazione contabile, distinguendo ed identificando nella maniera più

precisa possibile quegli intangibles dotati del requisito di separabilità rispetto al

generico avviamento aziendale.

Il Board, quindi, ha concluso che, nell’identificazione delle attività acquisite e delle

passività assunte in un’acquisizione, l’entità acquirente deve iscrivere, in maniera

distinta rispetto al goodwill, i beni immateriali, anche se non evidenziati nel bilancio

dell’entità acquisita, che soddisfano particolari criteri (ossia i cosiddetti “beni

immateriali specifici”). In particolare, come prevede lo SFAS 141, in un’operazione di

gestione straordinaria, un bene immateriale deve essere contabilmente rilevato

215 La definizione di reporting unit è fornita dal principio contabile statunitense SFAS 131, che precisache col termine in questione si deve intendere una parte dell’impresa: a) che svolge un’attività dalla qualederivano costi e ricavi; b) per la quale è possibile identificare un responsabile dell’attività svolta; c) per laquale sono disponibili dati patrimoniali.

133

dall’entità acquirente come asset distinto dal goodwill se, e solo se, soddisfa

alternativamente uno dei seguenti criteri:

a. se il controllo sui futuri benefici economici deriva da un diritto contrattuale o

legale (contractual or legal rights criteria), indipendentemente dal fatto che tali

diritti siano autonomamente trasferibili o separabili dall’entità acquisita o da

altri diritti o obbligazioni.

b. Se l’asset immateriale è separabile (separability criteria), vale a dire se è in

grado di essere separato e diviso dall’entità acquisita e venduto, trasferito, dato

in licenza, affittato o scambiato, indipendentemente dalla circostanza che ci sia

la reale volontà di farlo216.

Gli intangibles specifici identificabili in modo autonomo rispetto al goodwill

devono essere contabilizzati sulla base del loro fair value alla data di acquisizione. Per

fair value, anche in questo caso, si intende l’ammontare al quale un determinato bene

potrebbe essere scambiato in una transazione tra parti disponibili, vale a dire non in una

situazione di vendita forzata o di liquidazione. Successivamente, il trattamento contabile

di questi beni viene differenziato in base alla distinzione tra beni immateriali aventi una

vita economica finita e intangibles aventi una vita economica indefinita, ma, come nel

caso dell’avviamento, per presunzione mai infinita217. Questo aspetto, tuttavia, solo

introdotto all’interno dello SFAS 141, è più ampiamente trattato nello SFAS 142,

specificamente riguardante i beni immateriali specifici.

2.4.3 - Le principali innovazioni introdotte dallo SFAS 142

Lo SFAS 142 disciplina le modalità di identificazione e di contabilizzazione dei

beni immateriali acquisiti singolarmente o congiuntamente ad altri assets, non

costituenti comunque un’impresa, nonché, a prescindere dall’oggetto dell’acquisizione

216 Il criterio della “separabilità” può dirsi soddisfatto anche se il bene immateriale non è individualmenteseparabile ma lo è congiuntamente ad altri contratti, attività o passività ad esso correlate.217 Lo SFAS 141 prevede anche specifiche informazioni da inserire in nota integrativa in merito alladurata della vita utile dei beni immateriali specifici e alla loro dinamica.

134

originaria (singolo asset, gruppo di assets o impresa), la successiva modalità di

valutazione e di iscrizione in bilancio dei beni immateriali e dell’avviamento218.

2.4.3.1 - Contabilizzazione dei beni immateriali specifici

Il principio contabile in esame prevede che tutti i beni immateriali, sia acquisiti

come parte di un più ampio gruppo di assets, sia individualmente, debbano essere

iscritti in base al loro fair value. Il FASB ritiene che al fine di identificare i beni

immateriali specifici sia possibile ricorrere ai criteri generali di identificazione della

attività aziendale, che la transazione, che avviene tra parti terze indipendenti fornisca

una sufficiente evidenza dell’esistenza dell’operazione e che il corrispettivo della stessa

costituisca una corretta stima del fair value dell’asset in questione.

Le modalità di successiva contabilizzazione dei beni immateriali specifici

dipendono direttamente dalla possibilità di determinare la loro vita utile residua219: un

bene immateriale con una vita utile determinabile verrà quindi contabilmente

ammortizzato, mentre un bene immateriale con una vita utile indefinita220 non sarà

oggetto di ammortamento ma dovrà essere oggetto di impairment test su base annuale.

Per la determinazione della vita utile di un bene, si rimanda a quanto visto in tema di

IAS, essendo estremamente simili i principi e le direzioni di analisi: è necessario, infatti,

fare riferimento ad eventuali previsioni legali o contrattuali che limitino la vita utile dei

beni, ad eventuali effetti di obsolescenza funzionale o tecnologica, nonché al livello di

spese di manutenzione attese che una volta superato può essere un’indicazione della

riduzione dell’efficienza e dell’utilità del bene stesso. In via residuale, quindi, si

determinano gli intangibles specifici a vita utile indefinita.

218 Lo SFAS 142 sostituisce l’APB Opinion n. 17 – Intangible Assets, in vigore dal lontano 1970, nonmodificando, però, la previsione già contenuta in tale principio contabile riguardante i beni immaterialiinternamente generati: i costi relativi ai beni immateriali internamente generati devono essere spesati almomento in cui vengono sostenuti. Così, infatti, il paragrafo 10 : “ I costi sostenuti per internamentesviluppare, mantenere o rivitalizzare beni immateriali che non siano passibili di specifica identificazionedevono essere spesati quando sostenuti”.219 Per vita utile (useful life) si deve intendere il periodo di tempo nel quale ci si attende che un assetcontribuisca, direttamente o indirettamente, alla generazione di flussi di cassa.220 Per vita utile indefinita si intende un periodo di tempo che eccede l’orizzonte attendibilmenteprevedibile. E’ bene precisare che indefinito non significa infinito e che non è possibile affermare che unbene immateriale possegga una vita utile indefinita solo perché risulta difficile determinare con precisionela sua vita utile finita.

135

I beni immateriali con vita utile definita, quindi, dovranno essere oggetto di

sistematico ammortamento: il metodo di ammortamento dovrà riflettere la dinamica con

la quale i benefici economici relativi al bene immateriale stesso sono consumati o

altrimenti esauriscono la loro utilità economica. Per quanto riguarda il metodo di

ammortamento, si rimanda a quanto evidenziato in ambito IAS, con la consueta

precisazione che il metodo scelto deve essere il più possibile aderente alla reale perdita

di valore economico del bene stesso. Gli intangibles soggetti ad ammortamento devono

comunque essere verificati ai fini di impairment nel caso in cui si dovesse verificare un

particolare evento (trigger event) che possa significativamente modificare il valore

economico del bene in questione: nel caso in cui questo si dovesse verificare, e quindi la

recuperabilità del bene essersi ridotta, il valore contabile del bene immateriale deve

essere soggetto a specifica valutazione ed eventualmente svalutato. Se tale circostanza

dovesse verificarsi, e quindi il valore contabile fosse maggiore del fair value, qualsiasi

perdita di valore iscritta andrebbe a ridurre il valore dell’asset, determinandone il nuovo

valore contabile: sarà poi vietato il successivo ripristino della perdita di valore

contabilmente iscritta.

I beni immateriali con vita utile indefinita, invece, non sono soggetti ad

ammortamento. Tuttavia la previsione di una vita utile indefinita non è di per sé non

riconvertibile: l’impresa dovrà quindi riconsiderare al termine di ogni periodo

amministrativo la decisione che un bene immateriale possegga una vita economica

indefinita221. Un bene immateriale che si presume abbia una vita utile indefinita, e che

quindi non viene sistematicamente ammortizzato, dovrà essere sottoposto a impairment

test almeno annualmente222. In concreto, quindi, l’impairment test consisterà nel

confronto tra il valore contabile del bene ed il suo fair value: nel caso in cui questo

risultasse inferiore al primo, si evidenzierà una perdita di valore del bene. Anche in

questo caso, però, sarà successivamente vietato il ripristino delle perdite di valore

precedentemente iscritte. L’avviamento, quindi, viene ricompreso tra gli assets

221 Se un bene immateriale non soggetto ad ammortamento è successivamente considerato possedere unavita utile finita, il bene immateriale deve essere contabilizzato al minore tra il suo fari value e il suovalore contabile; il bene, in questo caso, sarà ammortizzato prospetticamente, nel periodo corrispondentealla sua vita utile residua.

136

immateriali con vita economica indefinita: data questa presunzione, lo SFAS 142

prevede che l’avviamento debba essere sottoposto all’impairment test annuale e che non

possa essere mai sottoposto ad ammortamento sistematico223. Come tutti i beni

immateriali, quindi, il goodwill dovrà essere sottoposto ad una verifica di valore prima

del termine annuale se si è verificato un evento o si sono verificate circostanze che

possono indicare che è più che probabile che si sia verificata una perdita di valore.

CAPITOLO IIILa valutazione economica degli intangible assets

Nel corso del terzo capitolo tratteremo uno degli argomenti più importanti nel

momento in cui si vogliano gestire le risorse immateriali di proprietà di un’impresa,

ossia il processo che porta alla quantificazione del loro valore economico, molto spesso

222 Il bene immateriale in questione, come visto per gli intangibles a vita definita, dovrà essere sottopostoad una verifica di valore entro la scadenza annuale solo nel caso in cui esistano delle circostanze chepossono far supporre che il bene immateriale abbia perso di valore.223 Tale verifica di valore, come sottolineato in precedenza, dovrà essere effettuata a livello di reportingunit cui l’avviamento, o parte dello stesso, sarà stato allocato.

137

diverso dal valore contabilizzato delle stesse, a causa di pratiche contabili sovente non

coerenti con la realtà economica che vi sta alla base. Nel primo paragrafo, quindi,

espliciteremo alcuni dei motivi per i quali risulta necessario effettuare una attendibile

valutazione di uno o più intangible assets. Tra questi spicca la funzione strumentale che

questo processo riveste all’interno della più generale necessità di valutare il capitale

economico di un’azienda, inteso come un unicum. Dopo aver descritto questa

particolare funzione della valutazione economica degli intangible assets, descriveremo

il concreto processo che porta alla quantificazione del valore economico delle attività

immateriali, con particolare riferimento ai metodi di valutazione alternativi tra i quali

gli operatori si trovano a poter scegliere. Esamineremo, in particolare, tre macro-

approcci, a loro volta distinti in vari metodi a seconda del punto di vista che si

preferisce adottare e degli scopi prefissati dal valutatore. E’ possibile, quindi,

distinguere i metodi basati sull’approccio del costo, da quelli basati sul reddito da

quelli basati sui dati di mercato: i primi si fondano sull’esplicitazione dei costi sostenuti

nel corso del tempo per poter disporre del bene oggetto di valutazione; i secondi si

basano sulla quantificazione dei flussi economici o finanziari futuri di pertinenza del

bene immateriale, mentre i terzi contano sull’utilizzazione di dati di mercato per

transazioni simili o ottenuti grazie a particolari convenzioni accettate tra gli operatori:

non esistendo alcun metodo in assoluto migliore degli altri, la scelta dovrà essere

basata sulla particolare attività oggetto di valutazione e sui dati a disposizione. Al fine

di riassumere le possibilità a disposizione del valutatore, verrà presentata una tabella

contenente le principali scelte condotte nel corso del tempo dagli operatori, in relazione

alle differenti tipologie di attività immateriali. Al termine del capitolo, quindi, si avrà

una completa panoramica in merito ai principali metodi valutativi di volta in volta

utilizzabili al fine di esplicitare il reale valore economico degli intangibles.

138

3.1 – PERCHÉ QUANTIFICARE IL VALORE ECONOMICO DEGLI

INTANGIBLE ASSETS

Prima di procedere ad illustrare i metodi di stima del valore economico di una

attività immateriale, risulta preliminarmente necessario identificare quali potrebbero

essere le principali ragioni per le quali ci si trova a dover individuare il valore

economico di un intangible. L’elenco che segue, di conseguenza, cerca di enucleare le

139

principali motivazioni che potrebbero portare al sorgere della necessità di fornire una

valutazione di queste attività.

La valutazione del capitale economico d’impresa

Tale situazione, che coincide con il processo valutativo aziendale in senso lato,

richiede l’apprezzamento di tutte le componenti aziendali, tanto materiali quanto

immateriali, che offrono un loro contributo al processo di creazione di valore.

Queste ultime, in particolare, vengono valorizzate nei loro contenuti patrimoniali e

nei corrispondenti riflessi reddituali o finanziari, in funzione del metodo utilizzato,

attraverso opportune metodologie, analizzate nei paragrafi successivi. E’ da notare,

in tal senso, come la considerazione in maniera esplicita dei beni immateriali e del

loro valore, consenta di ottenere alcuni vantaggi significativi, tra cui vanno

sottolineati l’opportunità di ridimensionare quella voce residuale ed indifferenziata

comprendente valori eterogenei costituita dall’ “avviamento”, nonché la possibilità

di disporre di una maggiore precisione dei valori di stima del capitale economico

aziendale così ottenuti. Considerando esplicitamente la presenza di intangible assets

ed effettuandone una loro separata valorizzazione, sarà possibile – ad esempio –

scontare quote d’ammortamento riferite ai singoli beni immateriali identificati,

maggiormente espressive del reale valore economico dei beni stessi, oppure ancora

valorizzare beni e conoscenze connaturate all’azienda stessa, difficilmente

quantificabili in altro modo.

Determinazione del corrispettivo a fronte della vendita di un intangible

Questa fattispecie si verifica in occasione della cessione di una specifica attività

immateriale o quando obiettivo è l’acquisizione di un bene immateriale al fine di

qualificare la propria posizione competitiva. A differenza della precedente

situazione è oggetto di autonoma valutazione solo il singolo bene immateriale,

identificato nella sua individualità. Tale stima, finalizzata normalmente ad ottenere

un parere indipendente sul valore del bene stesso, può ricorre in occasione sia di

140

operazioni di compra-vendita, sia quando gli intangibles siano oggetto di

conferimento in nuove iniziative imprenditoriali224.

Determinazione del corrispettivo a fronte della concessione in uso di intangibles

Similmente alla precedente fattispecie, in questo caso la necessità di identificare il

valore economico di un bene immateriale sorge in sede di determinazione e di

dimostrazione della congruità dei corrispettivi dovuti a fronte della concessione in

uso del bene immateriale oggetto di stima. In tal senso, la valutazione del bene

concesso al licenziatario si rende opportuna dal momento che la misura del

corrispettivo richiesto a quest’ultimo – generalmente sotto forma di royalties o di

una quota percentuale del valore del bene stesso – dipende quasi sempre dal valore

dell’intangible stesso.

In sede di formazione del bilancio d’esercizio secondo i nuovi principi contabili

Si tratta di una finalità divenuta di grande attualità negli ultimi anni e direttamente

collegata con lo sviluppo di sistemi contabili omogenei, generalmente riconosciuti

ed accettati. Più precisamente, in questo contesto, la stima dei beni immateriali si

connette a due scopi principali: l’allocazione, per fini contabili, del prezzo

sopportato in sede di acquisizione/incorporazione di un’azienda alle varie classi di

attività; l’impairment test, cioè il controllo – tipicamente annuale – del valore del

goodwill e degli intangibili specifici di durata indeterminata, al fine di ridurre

eventualmente il valore contabile, secondo i principi di un corretto ammortamento

economico. Per quanto riguarda il primo aspetto, è evidente il collegamento con

l’obbligatorietà di contabilizzare le acquisizioni di aziende, le fusioni, le scissioni ed

altre operazioni straordinarie con il cosiddetto purchase method225. A tal fine,

224 Cfr. art. 2343 c.c., comma 1 : “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazionegiurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente ladescrizione dei beni o dei crediti conferiti, l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essiattribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo e i criteri divalutazione seguiti […]”.225 Cfr. IAS n. 22; il purchase method si applica tutte le volte in cui la sostanza dell’operazione consistenell’acquisizione di una società, ossia quando sia possibile identificare una società acquirente ed unaacquisita, sulla base della dinamica economica dell’operazione in questione. Questo metodo comporta chele attività e le passività trasferite vadano espresse nella contabilità della società acquirente a valoricorrenti con la conseguenza che l’eventuale eccedenza tra il costo di acquisto – nella fusione ilcorrispettivo è costituito dal valore delle azioni emesse al fine del con cambio – ed il fair value delleattività e passività trasferite sia imputato ad avviamento.

141

partendo dal prezzo – ovvero dal costo totale sostenuto per l’acquisizione

dell’azienda – si rende necessario un processo di ri-allocazione che deve fornire alla

contabilità tutti i valori analitici necessari ai fini del controllo del bilancio.

L’attribuzione, che interessa ovviamente tutte le attività materiali, i crediti, i debiti,

gli accantonamenti – e in linea generale tutte le tradizionali poste contabili –

riguarda anche le attività immateriali. A riguardo l’imputazione avviene su due

livelli: innanzitutto distinguendo tra goodwill e intangibili specifici, suddivisi per

classi; la suddivisione risponde anche all’intento di distinguere gli intangibili a

durata indeterminata da quelli a durata definita; per i primi si pone l’esigenza del

test annuale di valore, mentre per i secondi l’impairment può essere necessario solo

in caso di eventi straordinari. Proprio l’impairment test offre un’ulteriore

motivazione per cui valutare i beni immateriali, fondata sulla necessità di sostituire

il sistematico ammortamento – costituito da una quota percentuale di

ammortamento, sostanzialmente fissa, annuale – con un ammortamento

maggiormente rispondente a criteri economici, che rifletta cioè la reale dinamica del

valore, corrispondente alla riduzione intervenuta nel valore corrente226. Si pongono,

in proposito, tutti i problemi di misura dei beni intangibili, misure che – più che mai

– devono essere condotte secondo criteri razionali, affidabili, coerenti e dimostrabili.

Tutte queste necessità sono imposte dal fatto che le stime di impairment influenzano

direttamente i risultati contabili delle imprese e modificano oltre che i tipici

indicatori di redditività dell’impresa, anche lo stesso bilancio della società in

questione, influenzando – di riflesso – i giudizi degli investitori e degli operatori del

settore227.

Al fine di usufruire di opportunità di natura fiscale

Il riconoscimento da parte della legislazione fiscale di numerosi Paesi della

possibilità di ammortizzare i beni immateriali ha prodotto un duplice e correlato

effetto: da un lato, l’attenzione della dottrina e della prassi valutativa si è focalizzata

226 Cfr. IAS n. 36. Salvo che per nuove acquisizioni, non si contabilizzano mai eventuali aumentiintervenuti nel valore dell’attività oggetto di impairment test.227 Come autorevolmente sostengono Guatri L. e Bini M., Impairment 2: Gli intangibili specifici, Egea,Milano, 2003, : “Le scelte di impairment rappresentano la maggiore sfida che, in linea con le esigenzedei tempi, si pone alla misurazione del goodwill e degli altri intangibili specifici: una sfida che deveessere affrontata con rigore, che non ammette improvvisazioni, incompetenze e superficialità, se nonvogliamo che il tanto deplorato ammortamento sistematico – che elude qualsiasi logica economica

142

su quell’entità apparentemente monolitica, rappresentata dal goodwill, allo scopo di

isolare i fattori immateriali che, potendo essere preventivamente identificati, saranno

suscettibili di autonoma valutazione e ai quali può essere assegnata una vita

economica residua ben definita; dall’altro, sono cresciute le istanze del soggetto

economico acquirente volte a beneficiare, in sede di determinazione del reddito

imponibile, di tutte le deduzioni fiscalmente riconosciute a titolo di ammortamento.

Ciò richiede, evidentemente, la preventiva individuazione e valorizzazione delle

attività aziendali, tra le quali rientrano non solo i cespiti tangibili ma anche tutti i

beni immateriali.

In occasione di controversie e di liti giudiziarie

Per loro natura, i beni immateriali si prestano a violazioni, di tipo legale e

contrattuale, e sono, dunque, spesso al centro di liti giudiziarie e di cause di

risarcimento. E’ quanto avviene, ad esempio, nel caso di utilizzo abusivo di un

marchio commerciale o di un brevetto da parte di un soggetto economico che non ne

possieda la titolarità; oppure nel caso in cui il licenziatario di un intangible

contravvenga col proprio comportamento alle norme contrattualmente stipulate tra

le parti. In numerose circostanze, infatti, per dirimere la controversia e stabilire

l’entità dell’eventuale danno causato, risulta preliminarmente necessario stabilire il

valore del bene immateriale oggetto della violazione.

3.1.1 - Intangibles e stima del valore del capitale economico d’azienda: un

approfondimento

Dato lo stretto collegamento esistente tra valorizzazione dei beni immateriali e

stima del capitale economico d’azienda, risulta necessario dedicare un ulteriore spazio

alla disamina delle relazioni intercorrenti tra questi due argomenti, anche in funzione

della grande importanza rivestita dalla valutazione d’azienda in molteplici situazioni; si

pensi, ad esempio, alla necessità di stimare il valore di un’azienda nel momento in cui si

voglia procedere ad una valorizzazione delle sue azioni, tanto in un’ottica di trading,

quanto con finalità di acquisizione e controllo dell’azienda stessa. Oppure quando risulti

poiché è pura convenzione – non faccia rimpiangere che la sua sostituzione avvenga oscurando, anziché

143

necessario valorizzare il capitale aziendale in un’ottica di cessione della società

funzionante ad un altro soggetto economico. In tutte queste situazioni, generalmente, si

viene a creare una evidente discrepanza tra il prezzo corrisposto per la società target (P

= costo totale dell’acquisizione) e il valore di libro del capitale netto della società target

(BV = book value). Il “divario di valore” (∆W = differenza tra prezzo pagato e valore

contabile acquisito) è generalmente esprimibile come:

BVPW −=∆

e idealmente attribuibile a diverse componenti:

a. ∆W riguardante le attività e le passività contabilizzate: cioè divario tra valore

corrente e valori di bilancio delle poste contabili (in particolare

immobilizzazioni tecniche, partecipazioni, magazzini, crediti e tutte quelle poste

la cui valorizzazione al costo storico non risulti in linea con il loro effettivo

valore economico)

b. ∆W riguardante i beni non contabilizzati: tipicamente gli intangibili specifici

che comprendono tanto quelli iscrivibili in contabilità – rispondenti ai requisiti

di separabilità, derivazione da diritti contrattuali e tutti gli altri evidenziati nei

paragrafi precedenti – quanto quelli non iscrivibili secondo i principi contabili

per mancata rispondenza ai requisiti individuati.

c. ∆W riguardante il goodwill: l’avviamento, in sintesi, può comprendere la parte

attribuibile alla società acquisita nonché le sinergie attese dall’acquisizione

stessa.

d. ∆W derivante da sopravvalutazioni riferibili ad eventuali errori di stima in

eccesso del valore economico del capitale o ad una sopravvalutazione derivante

dal gioco delle forze contrattuali intercorrenti tra società acquirente e società

target.

Quanto descritto in precedenza può essere efficacemente riassunto nel grafico

proposto di seguito in cui la situazione base è rappresentata dal caso 2, corrispondente

ad un’azienda il cui valore è stimato in misura pari al suo valore contabile o “di libro”;

chiarendo, i risultati aziendali, di gruppo e di aree d’affari”.

144

essa non esprime alcuna maggiorazione né per plusvalenze su beni materiali (caso 3), né

tanto meno per beni immateriali (caso 4) e per avviamento (caso 5). Il caso 1, invece,

corrisponde all’ipotesi di un’azienda con W al di sotto del valore contabile.

Figura 11 - Scomposizione del valore di capitale economico di un'azienda

dove:

VC = valore contabile del capitale netto (valore di libro, Book Value)

P = plusvalenze su beni materiali

BI = valore di beni immateriali specifici

A = valore di avviamento

Nel caso 5, corrispondente alle aziende a più alta redditività, come visto in

precedenza, la differenza

)( PVCW +−

è in parte attribuita ai beni immateriali specifici (BI) ed in parte ad avviamento (A). La

suddetta scomposizione è anche connotata dalle seguenti caratteristiche:

Bad

will

Goodw

ill

VC VC VC VC

P P P

BI BI

A

(1) (2) (3) (4) (5)

Redditività

Valore (W)

145

a. è giudicata – quando risulti possibile – utile per definire in termini quantitativi lo

stock di beni immateriali, la cui dinamica nel tempo (per effetto di aggiunte,

cessioni o ammortamenti) può risultare significativa; il fatto di monitorare

attentamente la dinamica di questi beni permette, come sostenuto in precedenza,

una migliore specificazione della voce “avviamento”, che costituisce l’unica

alternativa alla separazione proposta. Senza questa specificazione, già a partire

dal caso 4, non avremmo che un'unica voce generica definita come goodwill.

b. La distinzione tra le voci di BI ed A è, inoltre, da intendere come meramente

indicativa e passibile di elevata imprecisione, a causa delle incertezze

metodologiche ed applicative che si accompagnano alla stima degli specifici

beni immateriali.

In merito a questa stessa composizione, è interessante notare quanto affermato da

Penman228, il cui pensiero è riassumibile nei seguenti concetti base, rintracciabili anche

in altri passaggi del nostro lavoro:

a. gli intangibili, come qualsiasi altro valore, possono essere riconosciuti solo se

misurabili con ragionevole precisione e se possono essere supportati con

obiettiva evidenza (cosiddetto “criterio di affidabilità”, reliability criterion)

b. questo criterio è la manifestazione, sul piano contabile, della massima degli

analisti “non mescolare la speculazione con la conoscenza” (in questo senso è

affidabile la contabilizzazione dei beni immateriali, separatamente dal goodwill

per i quali sia stato pagato un prezzo)

c. condizione essenziale per attribuire un valore agli intangibili è che esista per

l’azienda uno scenario di utili e che esso esprima un rendimento maggiore del

costo del capitale.

Oltre che a livello patrimoniale, la considerazione degli intangibles nel processo di

determinazione del valore del capitale economico aziendale, presenta riflessi anche sul

piano prettamente reddituale: da più parti, infatti, si è percepita la necessità di integrare i

228 Cfr. Penman S.H., Value and Prices of Intangible Assets: An American Point of View, realzione tenutaal convegno “Valore e prezzi delle azioni nell’era degli intangibili”, Milano, Università Bocconi, 25ottobre 2002.

146

risultati contabili periodici tenendo conto della variazione nel tempo dello stock di beni

intangibili, identificabile – rifacendoci ai simboli introdotti in precedenza – con ∆BI.

Come evidenziato da Guatri229 già negli anni Ottanta, il risultato economico di periodo

del complesso aziendale può essere idealmente scomposto in due addendi:

– la variazione del capitale netto contabile, universalmente accettata come misura

del reddito periodico creato dall’azienda (∆C);

– la variazione del valore dei beni immateriali (∆BI);

Se in merito alla prima componente non risulta necessario produrre alcuna

osservazione chiarificatrice, tanto condivisa è la stessa come misura del reddito di

periodo aziendale, in merito alla seconda variazione, che sfugge usualmente alla

rilevazione contabile e non di rado assume peso apprezzabile rispetto alla prima, risulta

necessario fornire qualche puntualizzazione. Basti pensare, ad esempio, al caso di

aziende che rallentano o annullano la spesa pubblicitaria o che contengono fortemente le

spese di ricerca: nel breve termine, queste politiche possono anche migliorare

sensibilmente i risultati economici, a favore di una più accentuata redditività; ma nel

lungo periodo, ciò non può che tradursi nella perdita di capacità di reddito futura – ossia

nell’attesa di minori risultati futuri, evidente causa di perdita di valore per l’impresa230.

Il fatto di trascurare gli investimenti in ricerca sviluppo, pubblicità, e in tutti quei campi

che, a fronte di uscite di competenza del periodo t, offriranno apprezzabili effetti

positivi solo al tempo nt + , non può che comportare una diminuzione della

competitività futura dell’impresa nei confronti delle altre aziende che, al contrario,

hanno sostenuto tali costi, privilegiando un’ottica di lungo periodo e sacrificando

margini di redditività immediati e di sicuro effetto agli occhi di operatori esterni, non

adeguatamente informati, a favore di una maggiore redditività futura derivante dai

maggiori investimenti sostenuti al presente. Il vero problema, a riguardo, non è tanto il

fatto di convincere operatori e manager della veridicità di tale visione, quanto piuttosto

229 Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, Milano, ult. ed.230 Si pensi, ad esempio, a quanto è accaduto e tuttora accade in numerose imprese in difficoltà: per anniesse sono riuscite, in tale modo, a non rendere evidente all’esterno risultati in realtà fortemente negativi,ma questi comportamenti hanno anche posto le premesse dell’inevitabile crollo futuro.

147

di trovare un modo attraverso il quale sia possibile tenere conto di questo “differenziale

fantasma”231.

In termini moderni, si usa dare a questo fenomeno una rappresentazione

leggermente diversa da quella qui proposta, privilegiando un’ottica temporale più che

causale: si parla, in tal senso, di sistematici “differimenti” (earning lending) o

“anticipazioni” (earning borrowing) di utili da un anno all’altro. Se i costi dei beni

immateriali si sostengono con anticipo di alcuni anni rispetto ai ricavi che essi

generano, la loro mancata iscrizione nei conti è all’origine di due fenomeni:

– quando si investe più di quanto gli intangibili deperiscano232 (creazione di

valore intangibile), si prestano utili agli anni futuri (è come dire che si

sottostimano i risultati correnti);

– quando si investe meno di quanto gli intangibili deperiscano (distruzione di

valore intangibile) si prendono a prestito utili dal futuro (è come dire che si

sovrastimano i risultati correnti);

Solo nel caso in cui gli investimenti in beni immateriali siano realizzati in una

successione temporale ordinata e siano sopportati costi costanti per la loro

“manutenzione” si avrà una continua ricostituzione della dotazione di intangibles: solo

in questa situazione il reddito contabile coincide con il risultato economico233. Se

invece, come accade nella realtà, gli investimenti maturano in forma non ordinata e in

via discontinua, dando luogo ad accumuli e diminuzioni drastiche della dotazione di

beni intangibili, il risultato contabile finisce con il perdere di significato. A riguardo,

sottolineano autorevolmente Guatri e Bini234 come “l’accelerazione della dinamica

competitiva ha generato in capo alle imprese l’esigenza continua di trasferire risorse

intangibili nel tempo, con la conseguenza non solo di ridurre, come già detto, il

231 Cfr. Guatri L., op. cit.232 In questo caso torna ancora di maggiore attualità la necessità di imputare quote di ammortamentorealmente corrispondenti all’effettivo deperimento in termini di utilità economica del bene, tralasciando laprassi contabile dell’ammortamento sistematico a quote costanti: in tal senso, come evidenziato inprecedenza, si dirige l’implementazione del periodico impairment test sul valore dei beni immateriali.233 E’ evidente in tal caso, il richiamo ai modelli dinamici di crescita del capitale investito, e il richiamoal tasso di crescita di steady state.234 Cfr. Guatri L. e Bini M., op. cit., p. 32

148

contenuto informativo dell’utile contabile, ma anche di rendere instabile la relazione

fra utile contabile ed il vero risultato economico”.

Riprendendo la simbologia introdotta in precedenza, è possibile proporre la

definizione di REI (Risultato Economico Integrato), quale aggregato capace di tenere in

considerazione gli appunti prima mossi e di compendiarli in un unico indicatore,

espresso dalla seguente formula:

PLBIEREI ∆+∆+=

dove:

E = reddito contabile (possibilmente normalizzato) di periodo

∆BI = variazione di valore degli intangibili nel periodo di riferimento235

∆PL = variazione derivanti da plusvalenze e minusvalenze (inespresse

contabilmente) su beni materiali, crediti e debiti nel periodo236.

La misura del REI a livello consuntivo fa propri tutti i problemi legati alla misura della

dinamica dell’intangibile di anno in anno: l’indicatore in questione, infatti, risente della

mancanza di un criterio di specificazione in merito a come calcolare il valore di BI da

tenere in considerazione; limitare l’ottica di analisi al mero dato contabile, non farebbe

che riproporre in forma leggermente diversa il problema della corretta valorizzazione

economica dell’intangible. Vi è anche, in secondo luogo, il problema delle variazioni

degli intangibili attese per gli anni a venire ( nttt BIBIBI +++ ∆∆∆ ,,, 21 K ), nel momento in

cui si vogliano produrre stime del capitale economico dell’azienda che si fondino sulla

puntuale esplicitazione dei flussi di reddito futuri. Infatti, anche quando sia noto che su

di un periodo storico di n anni il ∆BI assume una certa misura in relazione al REI, ciò

non rappresenta una garanzia del fatto che negli anni a venire si verificherà la medesima

235 Il ∆BI, cioè la variazione dello stock di intangibili in un certo periodo ( 1−−=∆ ttt BIBIBI ) è unaquantità storica misurabile periodo per periodo esaminando i dati di bilancio, come pure proiettabile nelfuturo per stime di carattere previsivo.236 In merito a questa componente è opportuno sottolineare come col passare del tempo sia andataperdendo di peso, salvo casi sporadici, tanto nella pratica quanto nella teoria finanziaria, soprattutto perquei paesi caratterizzati da bassi tassi di inflazione: sembra, tuttavia, ingiustificato tralasciare l’analisi diquesta componente in quei paesi le cui economie sono state per decenni caratterizzate da alti tassi diinflazione, dai quali sono derivati scostamenti spesso sensibili tra valori contabili e valori correnti di

149

situazione. La proiezione, infatti, dipenderebbe da molteplici fattori spesso di difficile

identificazione e derivanti da influenze esterne di contesto. Nonostante questi limiti,

comunque, sia l’analisi storica sia la proiezione futura dei probabili ∆BI sono

fondamentali e necessarie per integrare le stime proposte con criteri alternativi, data la

notoria e palese incompletezza dei meri risultati contabili. In questo senso,

l’integrazione proposta dal REI funge anche da strumento di controllo, verificando che i

risultati constatati per il passato e artificiosamente gonfiati dalla mancata considerazione

dell’influenza del sostenimento di investimenti in intangibles non siano

imprudentemente proiettati nel futuro, facendo perdurare l’effetto di earning

lending/borrowing segnalato in precedenza.

A conclusione del paragrafo e prima di introdurre i metodi il cui fine, almeno in

linea teorica, è quello di dipanare l’aura di incertezza in merito alla valorizzazione degli

intangibles e alla corretta comunicazione ed esplicitazione del loro valore, riteniamo

opportuno effettuare qualche considerazione in merito alle carenze informative

connaturate a questo stato di incertezza: quelli presentati, dato che l’argomento trattato è

leggermente differente, saranno da intendersi come spunti di riflessione in merito,

rimandando a testi sul tema per l’approfondita disamina delle metodologie di

comunicazione del valore dei beni immateriali stessi237.

A riguardo, è innanzitutto evidente come la negazione sostanziale della

rappresentazione contabile delle attività immateriali a bilancio, abbassi fortemente la

qualità dell’informazione prodotta dai medesimi documenti: tralasciare o liquidare con

pochissime poste le attività immateriali, per giunta dal valore contabile tutt’altro che

corrispondente al loro effettivo valore, non può che far venir meno la veritiera

rappresentatività del bilancio di esercizio della reale situazione aziendale. Tale

atteggiamento è riferibile tanto ai beni immateriali prodotti internamente, quanto a

quelli acquisiti esternamente – basti pensare ad esempio a quanto accade, nel caso di

fusioni o acquisizioni, al mantenimento della continuità dei valori contabili (cosiddetto

mercato per importanti categorie di investimenti, generalmente contabilizzate col metodo del costostorico.237 Cfr. amplius Fontana F., Le risorse immateriali nella comunicazione aziendale: problemi dirappresentazione e di valutazione nella prospettiva del valore, Giappichelli, Torino, 2001, Liberatore G.,Le risorse immateriali nella comunicazione economica integrata: riflessioni per uno schema di analisi

150

pooling method). In merito al primo aspetto, è necessario evidenziare come, molto

spesso, il fatto di spesare determinati costi a conto economico non rende giustizia al

processo di costituzione del bene immateriale a cui questi costi potrebbero essere

riconducibili: trattasi, ad esempio, di spese di ricerca e sviluppo o di pubblicità. Nel

secondo caso, invece, applicando il pooling method238, non si riesce ad esprimere a

livello del bilancio della società acquirente il reale valore economico degli intangibles

acquisiti, riconducendo la differenza tra patrimonio netto contabile acquisito e prezzo

pagato alla voce residuale costituita dall’avviamento.

Anche senza portare alle massime conseguenze il problema della comunicazione

del valore degli intangibles – che in tal caso si concretizzerebbe nella totale mancanza

di rappresentazione contabile degli stessi – è comunque evidente che il rebus della

identificazione del loro valore, nel caso in cui si voglia comunicare, risulta

effettivamente problematico: fintanto che non saranno individuati criteri di stima

razionali, sostanzialmente standardizzatati e di generale accettazione, il problema della

misurazione degli intangibili rimarrà di difficile soluzione, soprattutto per i beni

immateriali generati internamente. Leggermente meno ardua, invece, risulta la

valutazione degli intangibles acquisiti, non fosse altro per la presenza di un prezzo

pagato per la disponibilità degli stessi che rappresenta una soglia minima alla quale far

corrispondere l’effettivo valore economico degli stessi.

In prospettiva, si può comunque notare una maggiore attenzione rivolta dai

manager e dai contabili nei confronti della corretta valorizzazione degli intangibili,

anche grazie alla sforzo della ricerca e dei lavori accademici. Due sono,

sostanzialmente, i motivi che hanno portato a questo miglioramento: per prima cosa, la

trascuratezza e l’oblio di cui è sempre storicamente stata circondata l’informazione sugli

intangibili hanno portato all’evidenziazione dei danni interni ed esterni (privati e

economico-aziendale, Cedam, Padova, 1996, La comunicazione degli intangibles e dell’intellectualcapital, in Quaderni AIAF, n.106/2002.238 Cfr. IAS n.22; contrariamente al purchase method, il pooling of interest method comporta lanecessaria contabilizzazione delle attività e delle passività acquisite agli stessi valori a cui erano in caricopresso la società acquisita, con conseguente perfetta continuità degli stessi; è evidente come questometodo non risulti idoneo ad informare efficacemente i terzi sugli effetti della combinazione attuata perl’impossibilità di dare espressione al valore degli intangibles e del residuale avviamento, che sempre piùspesso rappresentano i valori preponderanti attribuiti alle imprese in sede di negoziazione. Per questomotivo, lo IAS n.22 tenta di ridimensionare le possibilità di utilizzo del suddetto metodo, ritenendoloapplicabile solo per le “unioni tra eguali”, in cui si realizzi una condivisione dei patrimoni e del businesssenza che possa essere univocamente riconosciuta una parte acquirente ed una acquisita.

151

pubblici) a cui simili comportamenti danno vita; come sottolineato da Lev239, i danni

privati interni sono riconducibili al fatto che la misura degli intangibili è uno strumento

di guida per l’impresa: come evidenziato in precedenza, è possibile produrre redditi

contabili anche distruggendo valore per l’impresa e viceversa. Per assumere decisioni

consapevoli sulla convenienza di investimenti in beni immateriali, occorre monitorare

con attenzione la dinamica dei loro valori e, a tal fine, occorre preliminarmente

identificare i valori stessi. Una mancata o incorretta quantificazione di questi ultimi, può

quindi portare il management dell’impresa a condurre politiche gestionali scorrette o

improprie, rischiando di prendere decisioni errate a seguito di un’errata specificazione

della dinamica degli intangibles. I danni pubblici esterni, invece, derivano dal fatto che

le carenze informative sui beni immateriali possono trarre in inganno chi investe

nell’impresa, accentuando gli squilibri informativi tra i soggetti esterni ed interni,

impedendo corrette comparazioni tra aziende, distorcendo le scelte dei mercati

finanziari. Una maggiore informazione – magari standardizzata – in merito ai valori

degli intangibles contribuirebbe sicuramente a ridurre i margini di asimmetria

informativa ora presenti per quanto riguarda questi argomenti.

Il secondo motivo che ha portato alla maggiore attenzione dedicata dai manager

alla determinazione del valore degli intangibles è riconducibile alla democratizzazione

dell’informazione societaria: in tal senso, la corretta e veritiera rappresentazione

contabile ed extra-contabile degli intangibili è concepita come parte di quel più generale

processo di democratizzazione di informazioni rilevanti in merito al sistema aziendale,

ad oggi di esclusivo dominio degli analisti e degli intermediari finanziari, dotati di

competenze e capacità di analisi sicuramente superiori rispetto ai quelle in possesso dei

risparmiatori. Questo processo, non può che permettere l’accrescimento della

competitività dei mercati dei capitali – il cui accesso sarebbe garantito ad un maggior

numero di soggetti – e lo sviluppo delle capacità degli investitori di monitorare e

controllare le attività e le decisioni dei manager: due obiettivi di evidente importanza

economica e sociale. Occorre, infatti, sempre più riflettere sulla circostanza che il

bilancio delle società non è più soltanto uno strumento di protezione dei creditori, ma è

anche – e soprattutto – il mezzo informativo più rilevante a disposizione dell’impresa

per rapportarsi con tutti coloro che hanno interessi nell’impresa – stakeholders – tra i

239 Cfr. Lev B., Intangibles, Washington, Brooking Institution Press, 2001.

152

quali è ormai necessario annoverare una ampia serie di soggetti, quali gli azionisti, la

comunità finanziaria, i detentori di titoli di credito quotati, i lavoratori, i dipendenti, i

fornitori, i clienti, e cosi via. Risulta quindi evidente, in conclusione, come il continuo

monitoraggio del valore e della dinamica degli intangibili, la loro identificazione e

separazione dal più generale e omnicomprensivo concetto di avviamento vada nella

direzione del miglioramento del processo valutativo aziendale, per renderlo più

affidabile e dimostrabile nei suoi risultati. E’ chiaramente più semplice spiegare e

motivare i valori di alcuni noti marchi o di brevetti importanti, che non di un enorme,

generico ed eterogeneo goodwill; in termini tecnici, come dimostrato in precedenza,

l’informazione sugli intangibili specifici è un importante supporto per diversi metodi

valutativi e non solo per i metodi misti patrimoniali/reddituali, con i quali il legame è

massimamente evidente. E’ importante sul piano dell’informazione patrimoniale (stock

di intangibili, BI, secondo la simbologia proposta in precedenza), concorrendo a meglio

definire sia la misura del capitale netto investito – metodo misto patrimoniale/reddituale

– sia il denominatore dei multipli (EV, P) attraverso il loro aggiustamento. E’ altrettanto

fondamentale dal punto di vista economico-reddituale, cioè in termini di variazioni

periodiche (∆BI): questa integrazione, come descritto in precedenza, è spesso essenziale

nelle valutazioni che prendono come base la determinazione di flussi futuri o flussi

medi normalizzati da attualizzare o da capitalizzare.

Come dimostrato, quindi, la valorizzazione dei singoli beni immateriali è un

passo necessario per procedere ad una completa e ragionata valutazione dell’azienda nel

suo complesso.

153

3.2 – IL PROCESSO DI VALUTAZIONE DEI BENI IMMATERIALI

Prima di procedere all’analisi dei singoli procedimenti possibili per la

determinazione del valore di un attività immateriale, risulta necessario fornire un quadro

generale di come dovrebbe articolarsi il processo di valutazione in una prospettiva più

ampia, evidenziandone l’intero sviluppo e i passi da compiere al fine di fornire stime

che siano funzionali agli obiettivi proposti. A riguardo, il seguente schema240 riesce a

descrivere in maniera esauriente tutto il processo che dovrebbe portare come risultato

all’individuazione puntuale del valore dell’intangible oggetto di analisi.

Figura 12 - Il processo di valutazione dei beni immateriali

240 Ns. elaborazioni da Arthur Andersen, The valuation of intangible assets, Londra, 1992.

Beniimmaterialiindividuazioneclassificazione

Basedella

valutazione

Scopodella

valutazione

Scelta dellametodologia

di valutazione

Predisposizione informazioni

necessarie

Verificadei

risultati

Calcolie

valutazione

Individuazionepuntuale

154

Il grafico riportato fornisce una preliminare illustrazione del processo di

valutazione di un bene immateriale, enucleando le varie fasi dello stesso. Innanzitutto, è

necessario individuare in maniera precisa l’ambito entro il quale la valutazione dovrà

essere effettuata, cercando di circoscrivere chiaramente le manifestazioni della presenza

del bene immateriale sulle quali si focalizzerà l’intero processo valutativo. Come

affermato in precedenza, infatti le prime difficoltà sorgono fin dall’inizio del processo,

essendoci grande discordanza in merito ai criteri definitori e classificatori dei vari

intangibles241. In seconda battuta, risulta necessario porsi domande in merito agli

effettivi scopi perseguiti per mezzo della valutazione e a quale configurazione di valore

si voglia pervenire a seguito della stessa: è necessario stimare un valore corretto di

mercato per l’attività o un suo possibile floor-price in ipotesi di liquidazione

dell’azienda? In funzione degli obiettivi della valutazione sarà possibile scegliere in

maniera più consapevole il metodo più opportuno da utilizzare. In secondo luogo, è

altrettanto importante individuare e riflettere sulle effettive basi di partenza della

valutazione, considerando la qualità delle varie fonti informative, la possibile e fattiva

collaborazione del management aziendale ai fini di una completa disclosure di dati

riservati potenzialmente utili e la qualità degli strumenti di supporto e di misurazione.

Data l’alea di incertezza che circonda le metodologie di valutazione nonché la stessa

individuazione dei beni immateriali e dei loro effetti economici, risulterà necessario

condurre l’intero processo in stretta collaborazione con soggetti interni all’azienda, al

fine di permettere una migliore comprensione della realtà aziendale e del ruolo rivestito

dall’intangible nell’economia dell’impresa.

Solo a seguito di questa fase preparatoria sarà possibile passare alla concreta

scelta del metodo da utilizzare nella valutazione, in funzione degli obiettivi proposti e

della disponibilità di informazioni e di capacità tecniche: la scelta della metodologia più

opportuna sarà funzionale al calcolo di un valore che sia il più affidabile possibile,

senza dimenticare le caratteristiche intrinseche dei singoli beni, in funzione delle quali

potrebbe variare il criterio più opportuno da utilizzare. In secondo luogo, il reperimento

delle informazioni la cui completezza e appropriatezza è stata valutata nella fase

precedente è funzionale al metodo scelto: al variare dell’approccio utilizzato nella

valutazione cambia anche il set informativo necessario a colui che è preposto alla stessa.

241 In merito, cfr. capitolo 1.

155

D’altra parte, la relazione tra bagaglio informativo e scelta del metodo vale anche in

direzione inversa, essendo la seconda condizionata dalla presenza di informazioni

necessarie e quanto meno sufficienti per la concreta applicazione dei vari procedimenti.

Proprio il reperimento e l’estrapolazione delle informazioni più utili e precise possibili è

uno dei passi più importanti e, nel contempo, complicati dell’intero processo, data la

tendenziale diffidenza e ritrosia con cui molto spesso il management aziendale concede

a soggetti esterni il necessario supporto informativo.

A seguito della fase di scelta, tanto della metodologia, quanto dei documenti di

supporto, si passa al concreto svolgimento della valutazione, tramite l’applicazione delle

formule più idonee in funzione dei vari casi. Il processo in questione non può che essere

condotto con un occhio di riguardo alla concreta realtà in cui il bene è inserito,

prestando attenzione al rischio che le ipotesi prodotte in sede di valutazione – necessarie

per cercare di donare maggiore precisione possibile alle stime – possano portare

variazioni o semplificazioni tanto significative al processo di stima, da condurre il

risultato ottenuto ben lontano dal reale valore del bene. In seconda battuta, sarà

necessario un momento di riflessione in merito alla valutazione così ottenuta,

verificando l’effettiva affidabilità della stima e del metodo utilizzato al fine di

correggere eventuali ipotesi risultate non aderenti alla realtà o contestualizzare in

maniera più precisa le caratteristiche del bene, all’interno di un processo che in questa

fase si presenta come ricorsivo.

In concreto, quindi, il procedimento di stima si può chiaramente distinguere in

tre fasi: in un primo momento è necessario procedere alla valutazione di fattibilità e

all’analisi della situazione di contesto in cui verrà condotta l’analisi. Bisogna valutare

l’effettiva vita utile futura del bene considerato, identificarlo in maniera precisa, al fine

di riuscire a separarlo dall’unitario complesso aziendale, cercando di evidenziare le

possibili fonti di valore autonome legate al bene in questione.

In un secondo momento, durante la fase di analisi della metodologia di stima, si

dovrà appunto scegliere quale procedimento utilizzare: scelta che condizionerà tutto il

prosieguo del lavoro e deve essere fatta in base ad alcuni criteri di generale

accettazione. La metodologia di stima, difatti, deve essere credibile, tanto dal punto di

vista teorico, quanto da quello pratico, fornendo puntuali e razionali giustificazioni ai

156

singoli passaggi e alle ipotesi prodotte, al fine di permettere l’apprezzamento

dell’analisi anche da parte di soggetti non direttamente coinvolti nella valutazione;

obiettiva, essendo necessaria la predisposizione di un procedimento concettualmente

rigoroso e giustificato, senza lasciare spazio eccessivo ad apprezzamenti soggettivi del

soggetto preposto alla valutazione, valutando continuamente il trade-off presente tra

realisticità dell’analisi e precisione della stessa; versatile, essendo la credibilità

riconosciuta ad un metodo in relazione diretta con la sua estesa applicabilità a casi

anche apparentemente diversi tra loro ma accomunati dalla medesima base concettuale,

al fine di rendere il processo di stima un procedimento applicabile solamente al caso in

questione; efficiente, non dovendo la procedura di calcolo costare eccessivamente in

termini di tempo ad essa dedicato e di effettive ore di lavoro spese su di essa; coerente,

dovendo i calcoli essere il più possibile ripetibili anno per anno al fine di proporre stime

periodiche e ugualmente attendibili del bene, fornendo la possibilità, grazie alla

continuità dei calcoli e all’esplicitazione del procedimento sottostante, di monitorare

periodicamente il valore del bene; affidabile e trasparente, al fine di permettere

l’effettiva verificabilità della stessa anche da parte da soggetti esterni per non rendere

l’intero procedimento di stima una mera black-box.

La terza fase, infine, consiste nella verifica della valutazione e

nell’apprezzamento della sua correttezza. Questa fase mira a stabilire la coerenza

interna e l’affidabilità delle informazioni aziendali utilizzate, anche per mezzo del

confronto fra più valutazioni condotte con metodi differenti, al fine di verificare la

coerenza logica delle stesse. E’ sovente possibile convalidare i risultati ottenuti per

mezzo di consulenze e ricerche esterne onde apprezzare l’effettivo grado di

condivisione da parte di soggetti extra aziendali dei risultati ottenuti; da ultimo, ma di

massima importanza, conviene assicurarsi che il valore attribuito al bene immateriale

appaia ragionevole nel contesto del valore complessivo dell’azienda. Quest’ultima

verifica è, il cosiddetto controllo di redditività, utile per la verifica dell’appropriatezza

di qualsiasi stima, condotto rapportando il rendimento assoluto associato al bene al

valore patrimoniale ad esso conferito a seguito della processo di stima.

157

3.3 – I METODI DI VALUTAZIONE

Come evidenziato all’interno dello schema proposto in precedenza, non esiste un

solo metodo di valutazione per individuare il valore di un bene immateriale, essendo la

scelta tra gli stessi e la predilezione dell’uno sull’altro, funzione degli obiettivi del

processo valutativo e del set informativo a disposizione del soggetto che materialmente

porta a compimento il processo stesso: proprio per questo motivo non vi è generale

accordo in merito all’adozione di un criterio piuttosto che di un altro. Generalmente, i

criteri di valutazione vengono di visi in tre macrofamiglie, attraverso le quali si vuole

evidenziare la logica ad essi sottostante: l’approccio del costo, l’approccio del reddito e

l’approccio di mercato. Di seguito, analizzeremo i singoli approcci, fornendo

informazioni di carattere generale sugli stessi, per poi descrivere in maniera più

particolareggiata i singoli procedimenti e i loro fondamenti.

3.3.1 - L’approccio del costo

Il metodo del costo gode di una discreta fortuna nella prassi della stima del

valore dei beni immateriali, sebbene a livello concettuale, come vedremo in seguito,

possa presentare alcune lacune. Questo fatto è dovuto alla concomitanza di diverse

situazioni.

In primo luogo, l’obiettiva difficoltà di adottare metodi di valutazioni alternativi

a quello del costo, fa di quest’ultimo la soluzione più facile ed immediata, adottata da

molti operatori. E’ evidente la difficoltà di evidenziare il reddito specificamente

attribuibile al singolo fattore intangibile – presupposto per l’applicazione dei metodi

riconducibili all’approccio del reddito - , derivante da carenza di informazioni in merito

o da stime basate su ipotesi irrealistiche o forzature concettuali, soprattutto per le

imprese di minori dimensioni caratterizzate da un sistema informativo aziendale

limitato.. Inoltre, accade sovente che si verifichi una incompatibilità tra altri metodi

valutativi, quale quello reddituale, e le specifiche realtà aziendali: si pensi, ad esempio,

alla valutazione di quei beni immateriali legati al marketing, che anche a livello

meramente intuitivo possiedono un certo valore economico, ma che fanno capo ad

imprese in perdita, rendendo impossibile o quanto meno estremamente ardua una

158

valorizzazione basata su un approccio reddituale. Anche l’approccio di mercato, come

vedremo in seguito, presenta difficoltà operative tali da fare spesso venire meno

l’applicabilità e l’attendibilità delle stime così ottenute.

In secondo luogo, la natura stessa del procedimento di formazione di gran parte

dei beni immateriali è strettamente collegata ai presupposti concettuali che risiedono

alla base dei metodi riconducibili all’approccio del costo. La creazione di questi beni,

difatti, si configura come una serie di investimenti, più o meno distribuiti o concentrati

nel tempo, che vedono la loro giustificazione in flussi di reddito futuri, possibilmente

positivi. Se i redditi futuri sono di determinazione estremamente incerta, la descrizione

dei costi sostenuti in passato gode di maggiore certezza e precisione, fornendo una base

di dati più attendibile e realistica. Questa situazione, di conseguenza, permette

all’impresa all’interno della quale si è svolto il processo di creazione del bene

immateriale di essere in possesso di sufficienti dati contabili per portare avanti

valutazioni fondate e realistiche e nel contempo di evidenziare una certa coerenza tra il

metodo di valutazione basato sul costo e la realtà aziendale stessa.

Da ultimo, la stessa situazione contabile italiana favorisce questa metodologia di

valutazione delle attività immateriali, dovendo queste essere iscritte a bilancio in

ossequio al principio del costo storico242. Spesso, quindi, non vi è nemmeno l’incentivo

da parte dell’impresa ad affrontare percorsi valutativi alternativi, che potrebbero portare

ad una valutazione delle attività immateriali più aderenti al loro reale valore economico

ma che potrebbero concretamente risultare un inutile spreco di tempo nel caso in cui

non vi siano fondate finalità per pervenire ad una valutazione economica dei beni stessi.

Proprio l’effettiva significatività dell’informativa di bilancio associata alle risorse

immateriali è stata oggetto di numerose critiche e proposte correttive, al fine di

pervenire all’esplicitazione di un insieme di valori, quelli riferiti alle risorse immateriali,

appunto, che raramente sono adeguatamente descritti all’interno dei prospetti contabili.

Il fatto che questa metodologia di valutazione sia tanto diffusa, non deve però

creare l’errata convinzione che questa tecnica sia sempre di facile applicazione e di

adeguata efficacia: spesso, infatti, l’onere sostenuto per l’acquisto o la realizzazione

interna di un bene aziendale non è un indicatore attendibile del suo reale valore

economico. In sede applicativa, di conseguenza, si presentano spesso rilevanti problemi

242 A riguardo, cfr. capitolo 2.

159

in merito all’individuazione dei costi da considerare e alla loro valutazione, essendo

necessaria una mediazione tra la ricerca di un valore attendibile del bene e la

disponibilità di informazioni quali-quantitativamente adeguate.

Le tecniche di stima afferenti al più generale approccio del costo hanno come

obiettivo la misurazione dell’insieme dei benefici futuri che il bene oggetto di stima

potrà generare, attraverso la determinazione delle risorse monetarie che si dovrebbero

impiegare per sostituire quel bene con uno totalmente identico, o comunque ugualmente

idoneo ad offrire il servizio per il quale è utilizzato. A seguito di questa definizione,

possiamo evidenziare due aspetti rilevanti che fanno da base concettuale al

procedimento di stima trattato

Per prima cosa, è evidente come l’approccio del costo si uniformato al

fondamentale principio di sostituzione; questo si estrinseca nel fatto che,

indipendentemente dal sotto-metodo utilizzato, si procede alla stima del bene oggetto di

analisi tramite l’individuazione del costo di un sostituto ugualmente desiderabile del

bene in questione243.

In secondo luogo, a livello logico, il metodo del costo si basa sul presupposto

che il prezzo di un nuovo bene è strettamente correlato al valore economico che il bene

sarà in grado di rilasciare negli esercizi futuri244 in favore dell’impresa che ne può

disporre. In sostanza, a meno di distorsioni contingenti presentante dal mercato, il

prezzo dovrebbe tendere ad eguagliare il “fair market value” del bene.

In concreto, due sono le metodologie pratiche che possono essere utilizzate

all’interno dell’approccio concettuale qui delineato: il metodo del costo storico

residuale ed il metodo del costo di rimpiazzo. Il procedimento del costo storico

243 Affinché un processo di valutazione sia concettualmente rigoroso, questo deve rispondere ai principidi sostituzione, dei benefici futuri e delle alternative. Il primo afferma che il valore di un bene si forma inbase al costo di acquisizione di un altro bene che sia in grado di sostituirlo e che sia in ugual misuradesiderabile. Il principio dei benefici futuri sostiene che il valore economico di un bene dipende daivantaggi futuri che il bene è previsto rilasciare. L’ultimo principio, infine, asserisce che le contropartiimpegnate in una transazione dispongono ciascuna di varie soluzioni alternative per realizzare latransazione. Sull’argomento, cfr. amplius R.C. Miles, Guida alla valutazione delle imprese, Milano, F.Angeli, 1989.244 Denominati con p il prezzo di un nuovo bene e con a il valore attuale dei vantaggi economici futuriche si attendono dal bene in questione, se p > a, nessun operatore che opera secondo una logicaeconomica sarà interessato allo scambio; al contrario se p < a, si verifica un eccesso di domanda,provocando una crescita del prezzo fino al punto di equilibrio in cui p = a.

160

residuale consiste nell’accertamento dei costi che storicamente si sono dimostrati

necessari per la formazione del bene immateriale oggetto di valutazione – ovviamente a

prescindere dal loro trattamento contabile – se del caso procedendo al loro allineamento

monetario mediante la loro riespressione in unità di conto odierne, per poi procedere ad

un eventuale abbattimento per tener conto della residua utilità del bene. Il concetto di

costo rimpiazzo, invece, fa riferimento al costo, sempre riferito alla data di valutazione,

da sostenersi per ottenere un bene nuovo che sia una copia identica, in termini di utilità

rilasciata all’azienda, di quello il cui valore è sottoposto a stima.

Spesso, a livello pratico, i due approcci non riescono ad evidenziare un

medesimo valore per lo stesso bene, anche se a livello concettuale non sembrano

differire in maniera sostanziale: frequentemente, infatti, la metodologia del costo di

rimpiazzo tende ad offrir risultati inferiori a quelli offerti dal metodo del costo di

riproduzione. Il verificarsi di ciò è riconducibile alla continua evoluzione tecnologica, la

quale fa si che il bene che in maniera più conveniente può sostituire il bene oggetto di

valutazione non sia quello perfettamente identico, ricostruito con gli stessi costi

sostenuti nel passato, ma quello dotato di utilità equivalente. Il miglioramento

dell’efficienza produttiva nel corso degli anni comporta che lo stesso bene sia ora

reperibile sul mercato ad un prezzo minore di quelli definibile tramite il calcolo e

l’aggiornamento dei costi sostenuti in precedenza. In questo caso, il minor valore cui si

perviene per mezzo del criterio del costo di rimpiazzo è riconducibile al fatto che

quest’ultimo, per la logica che lo permea, sconta direttamente una parte di quella

obsolescenza funzionale che nel criterio del costo di riproduzione va invece a rettificare

il valore a nuovo con una successiva e separata evidenziazione, e, in secondo luogo,

tiene in considerazione il miglioramento dell’efficienza produttiva conseguente al

normale e continuo progresso tecnologico.

Nel caso dei beni materiali, i valori a nuovo determinati sono poi sottoposti ad

una serie di rettifiche in diminuzione, al fine di esprimere l’eventuale deprezzamento

sopportato dal bene nei confronti di quello nuovo. Oltre al semplice trascorrere del

tempo, altri fattori possono portare ad un rapido e ben più significativo degrado. In

primis, il deperimento fisico, causato dalla mera utilizzazione del bene, che si esplicita

in una progressiva perdita di efficienza o in una più continua necessità di interventi di

161

manutenzione. In secondo luogo, l’obsolescenza funzionale, legata alla dinamica delle

nuove applicazioni tecnologiche, a seguito delle quali il bene oggetto di stima può

presentare un’efficienza inferiore alle nuove soluzioni offerte dal mercato e

potenzialmente adottabili. In terzo luogo, l’obsolescenza economica, originata da fattori

esterni al bene il cui progredire comporta una svalutazione del valore del bene utilizzato

se quest’ultimo non è più in grado di contribuire alla formazione dei redditi d’impresa

tanto quanto era solito fare in passato, o se tali redditi abbiano dimensioni insufficienti a

garantire un’adeguata remunerazione alle attività aziendali, a seguito di cambiamenti

nell’ambiente di riferimento o all’interno all’azienda. L’ampiezza della perdita di valore

causata da questo tipo di obsolescenza risente anche della particolare tipologia del bene

e della sua versatilità: in linea di principio, sono maggiormente penalizzati quei beni

altamente specializzati o addirittura unici per i quali è difficile ipotizzare la loro

riconversione in settori alternativi; la penalizzazione è minore se il bene gode di una

versatilità maggiore, che permette una sua utilizzazione alternativa ed un migliore

adattamento alla mutevolezza delle situazioni di contesto.

Quanto evidenziato e valido per i beni materiali, diventa difficilmente

trasferibile a livello concettuale ai beni immateriali, a causa di difficoltà applicative

particolarmente rilevanti e di importanti quanto ovvie differenze concrete. Gli

intangibles, difatti, non sono generalmente suscettibili di deterioramento fisico: essi, al

contrario, tendono a mostrare una relazione diretta tra il loro valore ed il loro utilizzo

prolungato ed intenso. La loro affermazione prolungata e la loro continua utilizzazione,

tendono ad incrementare, entro certi limiti, il valore dei beni stessi. Si pensi, a riguardo,

ai beni immateriali legati al marketing: un marchio richiede un discreto periodo di

tempo per potersi affermare e la continua e duratura presenza sul mercato dei prodotti

riferibili ad esso permette al valore del marchio stesso di aumentare, grazie ad un

consolidamento ed ad un rafforzamento dell’immagine di marca. Tutt’al più, può

accadere che un uso troppo intenso dell’intangibile possa causare, nel lungo periodo, un

“impoverimento” dello stesso. Si possono, ad esempio, verificare fenomeni di

annacquamento di un marchio, nel caso in cui lo stesso sia utilizzato per troppe, o

comunque molto numerose, iniziative in settori molto differenziati tra loro; si può altresì

assistere ad un impoverimento della proprietà intellettuale complessiva di un’impresa se

162

questa tende a fare continuamente conto su conoscenze tecniche acquisite, senza dare la

necessaria attenzione allo sviluppo di nuove conoscenze, traducendosi questa situazione

in una minore capacità di stare al passo col progresso tecnologico a causa di una minore

capacità di aggiornamento e di ricerca: soprattutto in quei settori in cui la dinamica

competitiva fa leva in maniera particolare sulla tecnologia. In merito all’obsolescenza

funzionale si può affermare la quasi totale estraneità della stessa al campo dei beni

immateriali, a meno di riferirsi a quei beni che al fine di preservare nel tempo la propria

efficienza ed economicità operativa richiedono continui aggiornamenti, quali ad

esempio i software. Ad essi, infatti, sono riconducibili costi di “manutenzione e

aggiornamento”, essenziali per adeguare le prestazioni del prodotto al progredire delle

conoscenze specifiche in quel campo, che, se non sostenuti, potrebbero provocare una

rilevante perdita di efficienza e di utilità. Maggiormente rilevante appare l’obsolescenza

economica, ovviamente condizionata al fatto che sia possibile individuare correttamente

il reddito attribuibile ad uno specifico bene immateriale. Nel caso in cui ciò fosse

possibile, potrebbe rivelarsi significativo un processo di controllo del grado di coerenza

tra la dimensione patrimoniale del bene iscritto a bilancio e valutato secondo

l’approccio del costo e la sua capacità reddituale futura. In questo senso, diventa

necessario effettuare periodiche verifiche reddituali in sede di valutazione del capitale

economico dell’azienda tanto globalmente considerata, quanto con riferimento ad un

singolo bene. Questa verifica dovrebbe permettere di stabilire se il rendimento futuro

espresso dall’attività immateriale sia sostanzialmente allineato ai tassi di remunerazione

rilevabili sul mercato per beni simili245, sempre che sia possibile individuare sul mercato

beni simili o comunque paragonabili a quelli oggetto di valutazione246. Di conseguenza,

il saggio di rendimento atteso dallo specifico bene può essere espresso dalla formula:

dove:

245 E’ evidente la difficile applicazione pratica di questo procedimento, tanto da rendere lo stesso piùun’idea teorica che una comune prassi. I beni simili, inoltre, dovranno essere tali tanto per tipologia emodalità di impiego, quanto per rischio associato ai beni stessi.246 Proprio questo aspetto rappresenta uno dei principali punti critici dei metodi di valutazione riferibiliall’approccio di mercato, risultando spesso difficile trovare beni immateriali paragonabili a quelli oggettodi valutazione.

pWRr =

163

R = reddito atteso dal bene

Wp = valore patrimoniale del bene secondo il criterio del costo

Definito con i il tasso di remunerazione medio richiesto dal mercato, che si

adotterebbe se il bene fosse valutato per mezzo del metodo reddituale, si possono

presentare tre situazioni:

r > i: in questo caso il bene immateriale offre un saggio di rendimento più che

adeguato al entità dell’investimento valorizzato al costo del bene. Non si rende

necessaria alcuna rettifica ma, al contrario, il valore patrimoniale accertato

rappresenta una grandezza floor;

r = i: l’uguaglianza tra i due rendimenti permette di apprezzare la congruità del

valore patrimoniale del bene immateriale, in quanto confermato dalla verifica

reddituale. In questo caso, come vedremo nei paragrafi successivi, l’approccio

del costo e quello del reddito portano ad una medesima dimensione del fair

market value;

r < i: risulta necessario riconsiderare il procedimento di stima adottato. Il basso

saggio di rendimento rivela una probabile sopravvalutazione del valore

patrimoniale accolto secondo il criterio del costo, risultando necessaria una

svalutazione del bene nella misura rappresentata dalla differenza tra r ed i247;

Le osservazioni riportate mirano ad evidenziare lo stretto legame che intercorre tra

l’approccio del costo, valore trasparente di mercato e capacità reddituale associata al

bene immateriale stesso. Come evidenziato in precedenza, il metodo di valutazione del

costo, infatti, tiene in considerazione, seppur in via mediata248, l’utilità futura del bene

oggetto di stima ed i correlati benefici attesi. Il metodo del costo, infatti, come

affermato in precedenza, adotta un punto di vista backward looking al fine di stimare il

valore del bene, valorizzando i flussi economici futuri in funzione dei costi sostenuti nel

247 Data la difficile quantificabilità diretta del correttivo da apportare al valore del bene immateriale, puòrappresentare una buona proxy dell’effettivo grado di obsolescenza economica, la differenza tra il valoreespresso dal criterio patrimoniale del costo e quello risultante con il metodo reddituale, ossia la differenzatra r ed i.248 Tramite il riconoscimento di opportuni correttivi apportati al valore dei costi individuato.

164

passato, proprio per ovviare alla generalmente difficile quantificabilità dei flussi futuri

in questione: proprio questo è un o dei punti di forza dell’approccio oggetto di analisi.

3.3.1.1 - La tecnica del costo storico residuale

Questo criterio di stima si basa sulla ri-espressione a valori correnti dei costi

sostenuti in passato per disporre di una determinata attività immateriale oggetto di

valutazione. Condizione sostanziale affinché il metodo sia significativo è che gli

investimenti sostenuti in passato249, per realizzare il bene immateriale in questione

siano, tanto per tipologia, quanto per ammontare, con buona approssimazione

rappresentativi dei costi che si dovrebbero sostenere alla data di riferimento della

valutazione, per riprodurre il bene in questione. Alla base di questa condizione

applicativa risiedono due ulteriori ipotesi, che rappresentano anche i principali limiti del

metodo stesso.

Il procedimento del costo residuale comporta l’ipotesi “coeteris paribus”, ossia

recepisce la condizione di staticità nel tempo del contesto ambientale e delle variabili

intra ed extra aziendali in cui si sono venuti a formare i beni immateriali. Si considera

costante la situazione concorrenziale e di mercato, le tensioni competitive sui mercati di

sbocco e di approvvigionamento ed in generale tutte quelle condizioni che direttamente

od indirettamente influenzano la normale condotta aziendale. Soprattutto per quei settori

industriali caratterizzati da un contesto strutturale e competitivo molto dinamico, questa

ipotesi rappresenta una grave limitazione. E’ inoltre evidente come questa condizione

sia più difficile da rispettare quanto più è ampio il lasso temporale che è intercorso tra la

data di valutazione e il periodo in cui il bene immateriale è stato prodotto: è chiaro,

infatti, come, all’aumentare della distanza temporale tra la data di effettiva costruzione

del bene immateriale e la sua data di valutazione, possano anche variare in maniera più

significativa le variabili ambientali considerate, per ipotesi, generalmente invarianti o

comunque simili.

In secondo luogo, viene considerato costante anche il livello di efficienza degli

investimenti sostenuti, limitandosi il metodo a riproporre in termini monetari correnti i

249 Adeguatamente rivalutati e riconsiderati, come vedremo più ampiamente in seguito.

165

costi sostenuti nel passato senza entrare nel merito della produttività delle risorse

investite e della loro efficacia, in termini di risultati ottenuti.

Se una delle caratteristiche maggiormente apprezzate del metodo in esame è la

relativa certezza associata alla determinazione dei flussi sostenuti, in quanto di

competenza degli esercizi passati, proprio questa stessa specificità porta a dover

assumere le ipotesi appena menzionate, rappresentanti anche le principali limitazioni del

procedimento. In sede applicativa, il metodo del costo storico aggiornato richiede la

determinazione di grandezze quali il valore dei costi da capitalizzare, il fattore di

aggiornamento del valore monetario, la vita economica del bene e l’evoluzione del

valore del bene nel tempo. Di seguito, le analizzeremo singolarmente evidenziando le

principali criticità metodologiche del processo di stima delle stesse.

a. La scelta dei costi da capitalizzare

Premettendo che l’individuazione dei costi da capitalizzare risente in maniera

rilevante della tipologia di intangible oggetto di valutazione e delle caratteristiche dello

specifico bene, è comunque possibile individuare delle linee generali a cui attenersi per

la determinazione di questi costi. Risulta necessario, in primo luogo, che questi costi

abbiano natura di investimento, siano cioè il risultato di una serie di uscite finanziarie la

cui utilità, sotto forma di risultati economici futuri differenziali, sia differita nel tempo.

Si mira, in tal senso, a distinguere chiaramente quelli che possono essere considerati

meri costi da spesare all’intero del conto economico di periodo, da altre uscite che, al

contrario, offriranno un utilità differita nel tempo. In secondo luogo, tale flusso di

investimenti deve essere relativo alla formazione dell’intangibile ed all’accrescimento

del suo potenziale competitivo. Si tratta quindi di qui costi inerenti alla creazione, al

consolidamento e all’aggiornamento del bene immateriale nel tempo: nel caso dei beni

legati al marketing, ad esempio, assumeranno valore quei costi sostenuti una sola volta

nel ciclo di vita del prodotto, relativi alle fasi di lancio e di consolidamento dello stesso.

Vengono pertanto escluse quelle spese che non hanno natura di investimento ma si

limitano al mantenimento dell’immagine di marca, della fedeltà e della notorietà

raggiunta presso i clienti. Si tratta, quindi, di fare riferimento ad un investimento

cumulativo, opportunamente ricondotto ad un medesimo istante – capitalizzato alla data

166

di valutazione, quindi –, che l’impresa ha affrontato al fine di garantire l’affermazione

del proprio marchio e del proprio prodotto. Dubbi permangono in merito alla scelta di

considerare solamente i costi relativi al bene immateriale o considerare anche quote

parte di spese generali, nel caso in cui si voglia tenere in considerazione l’impegno

dell’azienda intesa nella sua globalità in merito allo sviluppo del bene stesso250.

b. Il fattore di aggiornamento del valore monetario

Una volta individuati i costi da capitalizzare si pone il problema di determinare

l’indice di aggiornamento monetario più opportuno da adottare, al fine di ricondurre ad

un unico istante i costi sostenuti in periodi diversi. Il coefficiente di rettifica dovrebbe

ovviamente essere inerente al bene oggetto di stima, riflettendo la variazione dei prezzi

dei singoli beni rientranti nei costi da capitalizzare. Generalmente, però, gli indici di

costo sono espressione dell’andamento ponderato del prezzo di un paniere di merci e

servizi, essendo il livello di appropriatezza del coefficiente stesso condizionato dalla

composizione del paniere. In altri casi, gli indici rispecchiano solamente la dinamica del

prezzo di un ben preciso prodotto251: di conseguenza, se da un lato il problema è relativo

ad una eccessiva generalità dell’indice, dall’altro alcuni indici non possono essere

considerati espressivi della reale variazione dei prezzi a causa di una loro eccessiva

specificità. Nel caso degli intangibles, mancando indici di costo specifici per ogni

tipologia di bene, risulta necessario fare riferimento ad indici di aggiornamento

monetario che abbiano il più possibile valenza generale e che siano espressivi della

reale variazione dei prezzi. Nel caso in cui dovessero essere chiaramente e

puntualmente identificabili i singoli input utilizzati per la produzione del bene

immateriale, potrebbe rivelarsi ancor più opportuno utilizzare vari indici, in funzione

della varietà dei fattori di input considerati.

250 In merito, cfr capitolo 2, e in special modo l’analisi dell’opportunità di capitalizzare quote parte dicosti generali, in ossequio ai principi contabili nazionali ed internazionali.251 Tra i coefficienti di aggiornamento monetario più frequentemente utilizzati si segnalano l’indice deiprezzi all’ingrosso, l’indice dei prezzi al consumo, l’indice del costo della vita ed altri indici relativi asingoli materiali come l’indice di variazione del prezzo del petrolio o di altre materie primequotidianamente quotate sui mercati finanziari internazionali. Anche in questo caso, è evidente come nonsia possibile produrre considerazioni generali, derivando la scelta dell’indice più opportuno dalle stessecaratteristiche dell’azienda coinvolta e del bene prodotto.

167

In secondo luogo, il coefficiente utilizzato dovrà essere disponibile per tutto

l’arco temporale considerato nel processo di aggiornamento dei costi sostenuti. In

mancanza di una serie storica continua e precisa di questi indici, si potrà sempre

ricorrere a soluzioni che mirano all’estrapolazione delle tendenze passate e alla

previsione dei valori futuri, ma questa soluzione non farebbe altro che aggiungere

sempre maggiore aleatorietà ad un processo valutativo che già di per se può far conto su

pochi elementi certi e verificabili.

c. La definizione della vita economica del bene

Se, come è stato evidenziato in precedenza, il valore di un qualsiasi bene – e

quindi anche di un bene immateriale – è funzione dei benefici futuri offerti dallo stesso,

risulta necessario stabilire anche quale sarà l’orizzonte temporale lungo il quale si

produrranno i suddetti vantaggi, per poi passare ad una loro quantificazione. Questa

esigenza, più prettamente appartenente ai metodi di valutazione di tipo reddituale, si

traduce all’interno dell’approccio del costo nella necessità di determinare un correttivo

per degrado che tenga conto della vita economica residua del bene, al fine di correggere

il valore individuato che, almeno in linea teorica, dovrebbe riferirsi ad un bene che

abbia ancora piena funzionalità.

Per vita economica di un bene si intende l’arco temporale nel quale il bene è in

grado di generare un vantaggio economico per l’impresa. Questa vita si esaurisce,

quindi, nel momento in cui il bene non sia più in grado di produrre redditi, o a seguito di

obsolescenza o di una pesante perdita di efficienza, o perché risulti più conveniente

l’impiego di un bene sostitutivo.

Se per le immobilizzazioni materiali sono state sviluppate, secondo principi

attuariali ed ingegneristici, tavole che evidenziano la “vita media” delle varie

immobilizzazioni tecniche, la stessa situazione non si verifica nel caso delle attività

immateriali, a causa dell’eccessiva alea di incertezza che le contraddistingue e del

necessario contributo in termini di ipotesi soggettive, che andrebbero a discapito

dell’attendibilità delle valutazioni stesse, nel caso in cui si volesse quantificare in

maniera precisa l’eventuale vita utile di un intangible. Il valore di alcuni intangibili,

quali quelli legati al marketing o alla tecnologia, risulta essere influenzato in maniera

168

molto più stretta di quanto non accada per le immobilizzazioni materiali dalle situazioni

di contesto aziendali, quali la concorrenza all’interno del settore o il progresso

tecnologico. In secondo luogo, come evidenziato in precedenza, molto spesso un

continuo e ripetuto uso di alcune attività immateriali non comporta un loro deperimento

ma piuttosto un loro rafforzamento: situazione che rende ancor meno definibile

secondo criteri che abbiano valenza generale la durata della vita utile di questi beni.

Inoltre, queste difficoltà vengono rese ancora più evidenti nel caso in cui si abbia a che

fare con intangibles nuovi, innovativi, di recente formazione e di non facile

replicabilità, magari ancora in fase sperimentale.

D’altra parte, sovente viene in aiuto la circostanza che ai beni immateriali sia

spesso associata una ben definita vita legale o contrattuale, anche se spesso il periodo di

tempo così individuato non sembra coincidere in maniera precisa con il reale lasso di

tempo all’interno del quale il bene rilascia benefici economici. Spesso accade, difatti,

che la vita legale del bene sia di gran lunga superiore al periodo in cui un determinato

intangible perde di valore: si pensi ad un brevetto che, pur avendo una ben determinata

vita legale, potrebbe diventare completamente inutile o superato a causa dell’evoluzione

tecnologica. Anche in questo caso, l’analisi non può che essere condotta in stretta

relazione alla realtà aziendale, cercando di evidenziare il ruolo che l’attività immateriale

riveste all’interno dell’azienda e le variabili di contesto che potrebbero minarne la

solidità e la durata.

d. L’evoluzione del valore nel tempo

Come evidenziato, la “dimensione temporale” associata ai vari intangibles

assume connotati molto particolari, per certi versi apertamente in contraddizione a quelli

assunti dalla maggior parte dei beni materiali. A questo proposito, l’aspetto di maggior

rilievo è riconducibile alla necessità di rilevare un coefficiente di degrado da apportare a

correzione dei costi capitalizzati, al fine di valorizzare il bene nello stato d’utilità in cui

esso si trova alla data della stima. Questa correzione può avvenire in maniera esplicita,

applicando un ben preciso correttivo al valore “a nuovo” stabilito in precedenza, o

implicitamente, tenendo in considerazione questo aspetto già in sede di individuazione e

di calcolo delle grandezze utilizzate.

169

Un’interessante applicazione, in tal senso, si verifica in presenza di progetti di

ricerca in corso ma non ancora giunti ad punto di avanzamento tale da poter

concretamente stabilire se la ricerca potrà avere successo commerciale o meno: in tal

caso, sarebbe possibile rettificare i costi individuati e successivamente aggiornati nella

loro dimensione monetaria in funzione della probabilità di successo tecnologico – che

dipende, ovviamente, dallo stato di avanzamento del progetto – e della possibili

potenzialità di mercato. In tal modo, si procederebbe ad una ponderazione dei vari costi

e del valore finale del bene in relazione alle sue reali possibilità di produrre benefici

futuri nel caso in cui la ricerca si concludesse con esito positivo252.

3.3.1.2 - La tecnica del costo di rimpiazzo

Questo criterio consiste nella stima dei costi che si dovrebbero sostenere, alla

data della valutazione, per disporre di un bene immateriale del tutto simile a quello il cui

valore è oggetto di stima. In sostanza, questo criterio mira a valutare il valore di un bene

immateriale per mezzo dell’espressione della dimensione degli investimenti che si

renderebbero necessari, nelle condizioni ambientali e competitive presenti alla data di

valutazione, qualora si volesse ricreare un intangible di potenzialità equivalenti a quelle

del bene da valutare.

Rispetto all’approccio presentato in precedenza, il metodo oggetto di analisi ha il

pregio di non rivolgere la propria attenzione al passato, capitalizzando i costi sostenuti

in precedenza, in condizioni competitive e ambientali diverse da quelle attuali, tentando

piuttosto di valorizzare il bene inserito nel contesto economico e di mercato corrente,

facendo venir meno uno dei principali punti critici sollevati in merito al precedente

metodo. In concreto, infatti, gli investimenti sostenuti in passato potrebbero differire in

maniera significativa per dimensione e distribuzione temporale da quelli da affrontare

nel contesto competitivo attuale, rendendo meno aderente alla realtà la valorizzazione

252 Per esaminare un caso concreto di redazione di una tabella che tenga in considerazione le due variabilidescritte in precedenza e riferibile al settore dell’industria farmaceutica, all’interno della quale vengonoindividuati coefficienti da applicare ai vari costi individuati si veda Guatri L., La valutazione delleaziende, Egea, Milano, 2000 e Grando A, Guazzoni L., Valutazione dei beni immateriali legati allatecnologia: i progetti di ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico, in La valutazione delle aziende, n.4/1997.

170

del bene immateriale effettuata tramite il metodo del costo storico residuale, rispetto ad

una valutazione basata sulla tecnica del costo di rimpiazzo.

Il procedimento si basa sostanzialmente sulla determinazione di due grandezze

fondamentali quali la dimensione degli investimenti ed i tempi di realizzazione di tali

impieghi di risorse. In funzione della definizione di un accurato piano degli

investimenti, tanto a livello di dimensione, quanto a livello di tempistica, è possibile

descrivere il processo tramite il quale sarà possibile ricostruire il bene oggetto di

valutazione a condizioni correnti.

Proprio questo aspetto, inoltre, rappresenta tanto il punto di forza quanto il

maggior punto di debolezza del metodo in questione. Rispetto al reale contesto in cui si

è venuto a formare il bene immateriale oggetto di stima, difatti, sono differenti le

condizioni attuali e future di efficienza e produttività degli input destinati alla

produzione del bene, il che può tradursi in una differenza nei costi e nei tempi di

produzione, alle condizioni di contesto attuali, del bene immateriale. La stessa struttura

di mercato relativa al momento in cui il bene immateriale è stato concretamente creato

sarà diversa da quella attuale, comportando un diverso ruolo dell’intangible stesso. Si

pensi, ad esempio, alla differenza in termini di intensità di investimento e di tempi dello

stesso relativi alla creazione e all’affermazione di un marchio in una situazione di

mercato perfettamente concorrenziale ed in una successiva situazione di oligopolio. Gli

investimenti che le imprese destinano al mercato e alla ricerca sono infatti volti a far

venir meno una situazione di concorrenza pura, a favore di una situazione in cui le varie

quote di mercato facciano capo a poche ed affermate aziende. Di conseguenza, nel caso

di concorrenza pura, gli investimenti saranno più elevati ed intensi, mentre col

procedere del tempo si ridurranno in termini di risorse impiegate: diventa quindi

necessario affiancare all’analisi dei costi sostenuti per il rimpiazzo di un bene

immateriale, un’attenta analisi del contesto competitivo attuale, prospettico – per

valorizzare le potenzialità del bene – e passato – al fine di individuare le peculiarità che

costituivano l’ambiente all’interno del quale il bene oggetto di stima si è formato - in

cui lo stesso si andrà ad inserire. Per lo stesso motivo, uguale importanza rivestono le

condotte competitive delle altre imprese, soprattutto se in grado di influenzare a loro

volta l’entità complessiva e la tempistica dell’investimento.

171

In concreto, queste critiche vengono accantonate o raramente prese in

considerazione a causa delle ingenti difficoltà applicative ad esse associate: in questo

caso, quindi, il procedimento di stima assume implicitamente l’ipotesi di uguaglianza di

tutte le condizioni di mercato e competitive, postulando in particolare la costanza dei

comportamenti attuati dai concorrenti già operanti nel settore a fronte delle iniziative di

investimento portate avanti dall’impresa.

A livello applicativo, ci si trova spesso di fronte alla scelta tra un procedimento

analitico di stima o sintetico, che descriveremo di seguito, evidenziandone le differenze.

a. Procedimenti analitici

I procedimenti analitici muovono dall’apprezzamento specifico di tutti i singoli

parametri coinvolti nella valutazione, quali l’investimento cumulativo in termini

quantitativi e qualitativi, definendo preventivamente i volumi, le tipologie e i prezzi

unitari dei singoli input da utilizzare nel processo; l’orizzonte temporale prospettico su

cui distribuire le varie risorse impiegate, al fine di conferire il giusto valore finanziario a

tutte le future uscite di cassa; il saggio utilizzato per attualizzare le suddette uscite,

espressivo di un rendimento minimo accettabile dal mercato per il livello di rischio

associato all’investimento.

Se da un lato l’estrema analiticità del metodo proposto permette di pervenire ad

una stima attenta e precisa del reale valore del bene da valutare, dall’altro, se

correttamente applicate, le variabili oggetto di questo procedimento richiedono una serie

di informazioni molto particolareggiate ed una serie di dati quantitativi inerenti i futuri

flussi di spesa che potrebbero iniettare nel procedimento stesso eccessivi margini di

soggettività. Nel contempo, la predisposizione di un simile set informativo andrebbe a

beneficio della trasparenza della valutazione stessa e dell’attendibilità dei risultati

successivamente ottenuti, ma a discapito dell’efficienza della valutazione.

Basandosi su molteplici variabili di difficile quantificabilità e su ipotesi in

merito ai futuri oneri relativi alla costituzione dell’attività immateriale oggetto di

analisi, è evidente come l’approccio analitico non possa sempre essere applicato in

maniera efficace: la carenza delle suddette informazioni o la loro stima non supportata

da adeguate basi concrete possono rappresentare un pesante limite all’applicazione di

172

questo metodo, donando ai valori risultanti dallo stesso una scarsa attendibilità. Per

questo motivo, viene spesso preferito il metodo sintetico all’approccio appena descritto,

grazie alla sua facilità e relativa immediatezza di applicazione.

b. Procedimenti sintetici

In alternativa al procedimento analitico precedentemente esposto si pone il

procedimento sintetico che ha l’ovvio pregio di non dover veder basata la propria

concreta applicazione su numerose variabili difficilmente quantificabili. Nel contempo,

i parametri utilizzati, devono comunque essere il frutto di un’attenta analisi della

situazione di mercato attuale e prospettica, al fine di non rendere il procedimento un

mero esercizio algebrico. A livello analitico, il metodo può essere riassunto nella

formula seguente:

CMTVRn ⋅=

dove:

VR = valore di rimpiazzo “a nuovo”

MT = coefficiente tecnico di capitalizzazione, espresso in anni

C = configurazione di costo espressiva della dimensione normale e corrente di

risorse da destinare annualmente per la formazione di un bene immateriale

equivalente a quello da stimare

Le variabili introdotte richiedono alcune precisazioni. Il coefficiente tecnico

(MT) ha la funzione di legare il costo annuo normale e corrente (C) al valore di

rimpiazzo del bene immateriale (VR): essendo espresso in anni, il suddetto coefficiente

permette di apprezzare il tempo di realizzazione di tale intangibile, in ipotesi di un

costante dimensionamento annuo dell’investimento. Il tutto, ovviamente, è da porre

strettamente in relazione alla tipologia di bene considerato. L’apprezzamento di un

adeguato coefficiente è compito di esperti che si trovano quotidianamente ad operare nel

settore a cui il bene fa riferimento, avendo acquisito una sensibilità tale da permettere

loro di giudicare i tempi di realizzazione dell’attività in questione. Lo stesso

173

coefficiente, d’altra parte, è variabile in funzione delle condizioni di mercato e

competitive del settore in cui opera l’impresa. La base di costo (C) deve rappresentare il

livello normale di investimenti che, per generale accettazione, si ritiene indispensabile

annualmente per disporre del bene immateriale da produrre. A riguardo, è necessario

cercare di stimare il ruolo dei vari fattori produttivi all’interno del processo di creazione

del bene immateriale e della loro efficienza, in stretto contatto con il calcolo di un

adeguato moltiplicatore temporale. In concreto, accade spesso che le spese iniziali per la

produzione del bene immateriale analizzato siano maggiori di quelle successivamente

sostenute, risultando questa variabile C una media delle varie uscite relative al processo

di creazione del bene. Nel contempo, è risultato spesso molto utile e considerato nella

pratica il riferimento a situazioni di mercato simili al fine di estrapolare un livello di

investimento medio tramite l’osservazione dell’operato di altre aziende che si trovano

nella condizione di portare avanti simili investimenti. Di conseguenza, questo metodo si

trova in posizione di confine tra un approccio orientato al costo ed un approccio

orientato al mercato. Da notare, inoltre, come sebbene non siano coinvolte molteplici

variabili strumentali alla valutazione del bene immateriale, come accadeva nel metodo

precedente, i due valori da stimare all’interno di questo procedimento, si basino

sostanzialmente sulle stesse leve che all’interno del procedimento alternativo venivano

chiaramente esplicitate. La semplificazione apportata dal metodo sintetico risulta essere,

di conseguenza, più apparente che concreta, a meno di non privare della necessaria

attendibilità le stime prodotte.

Qualunque sia il procedimento applicato, anche per il metodo del costo di

rimpiazzo è necessario tenere in considerazione il problema di intervenire sul valore a

nuovo del bene tramite una rettifica per degrado, al fine di tener conto dell’effettivo

stato di utilità dello specifico bene intangibile. Ricordiamo, difatti, che la tecnica del

costo di rimpiazzo ha come obiettivo quello di pervenire al valore di un bene

equivalente a quello oggetto di stima, dotato quindi del medesimo grado di efficacia

esistente alla data della valutazione. Anche in questo caso, come evidenziato nella

descrizione del metodo precedente, la modifica può essere resa esplicita o può essere

mascherata all’interno del processo di valutazione delle singole variabili da tenere in

considerazione. L’impiego di una rettifica per degrado in forma esplicita è generalmente

174

applicata a quei beni per cui è possibile determinare una vita utile complessiva e la

velocità di deperimento della stessa: è il caso di quei beni legati alla tecnologia più che

di quelli legati al marketing e alla comunicazione. A livello analitico, questa rettifica

consiste nell’applicare un indicatore di efficienza residua, pari al rapporto tra la vita

economica residua (VEres) del bene e la sua vita economica totale (VEtot), alla

grandezza ottenuta dal processo di stima, rappresentativa del costo di ricostruzione “a

nuovo” (indicato in precedenza con VRn). Il valore di rimpiazzo effettivo è di

conseguenza dato dalla formula:

tot

resn

VEVEVRV ⋅=eR

A livello concreto, in letteratura vengono spesso portati esempi applicativi della

metodologia di valutazione descritta in relazione alla valutazione di beni immateriali di

marketing relativi a campagne pubblicitarie per l’affermazione di un marchio253.

3.3.2 – L’approccio del reddito

All’interno dell’approccio del reddito vengono generalmente ricomprese tre

metodologie di calcolo: il metodo di attualizzazione dei risultati differenziali, il metodo

di esenzione da royalty e il metodo del costo della perdita. I tre procedimenti sono

accomunati da un medesimo presupposto logico, in ossequio al quale il valore dei beni

immateriali oggetto di stima viene ricondotto al fatto che questi rilascino benefici

economici futuri all’azienda che ne ha la disponibilità. Se l’approccio del costo

giungeva allo stesso principio percorrendo la tappa intermedia dell’individuazione dei

costi sostenuti in passato per ottenere i vantaggi futuri in questione, il metodo qui

oggetto di analisi passa direttamente all’ultimo passaggio, forse perdendo qualcosa in

termini di oggettività e precisione ma, nel contempo, risultando maggiormente aderente

ai comuni principi che muovono le valutazioni delle aziende in funzionamento: se

l’approccio del costo, infatti, può ritenersi concettualmente più riferibile ad un

approccio di valutazione aziendale prettamente patrimoniale, l’approccio reddituale può

175

invece essere collegato a quei procedimenti che hanno come base logica

l’attualizzazione di flussi futuri, su tutti il modello DCF, Discounted Cash Flow.

Date le differenze che sottostanno ai due metodi ricompresi all’interno di questa

macroclasse, risulta opportuno procedere singolarmente alla loro analisi.

3.2.2.1 – Il metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali

Il metodo in esame si basa sul principio comunemente riconosciuto nella dottrina

aziendalistica per il quale il valore di un’attività – o di un insieme di attività, quale può

essere considerata un’azienda – si basa sulla relativa capacità prospettica di generare

futuri vantaggi economici. In funzione del quadro informativo entro il quale i soggetti a

cui spetta il compito di effettuare la valutazione si trovano ad operare, si possono

configurare diverse alternative operative in merito all’applicazione del suddetto metodo.

La distinzione più rilevante riguarda la tipologia di flussi futuri da attualizzare:

in tal senso, si può basare la valutazione su flussi economici o su flussi finanziari quali

variabili di riferimento. L’impiego di una grandezza reddituale di misura dei benefici

futuri è indubbiamente più cara alla tradizione aziendalistica e ragionieristica, mentre la

considerazione di flussi monetari futuri permette di avvicinarsi maggiormente ai dettami

propri dell’analisi finanziaria. Come affermato in precedenza, la scelta tra le due

soluzioni non dipende solo da problemi teorici in merito all’opportunità di considerare

l’una o l’altra tipologia di flussi, quanto piuttosto dal reale bagaglio informativo

aziendale e dall’effettiva capacità di proporre stime dei flussi stessi adeguate e

affidabili.

In secondo luogo, vi è la possibilità di considerare risultati economico-finanziari

puntuali, calcolati in maniera precisa periodo per periodo, o piuttosto normalizzati. Nel

primo caso, è evidente la necessità di un bagaglio informativo ampio ed articolato che

permetta la corretta imputazione dei vari flussi ai rispettivi periodi di competenza; a

fronte di una maggiore precisione nella stima e di una più puntuale valorizzazione del

bene oggetto di valutazione, si riscontra una difficoltà applicativa tale da far spesso

preferire agli operatori l’utilizzo di procedure di normalizzazione dei redditi attesi.

253 Cfr. Renoldi A., La valutazione dei beni immateriali, Egea, Milano, 1992 o Guatri L., Trattato sullavalutazione delle aziende, Egea, Milano, ult. ed.

176

In terzo luogo, soprattutto a livello applicativo, ci si trova spesso nella situazione

di dover scegliere tra il prendere in considerazione grandezze consuntive, riferite ad

esercizi passati ma ancora rispecchianti la situazione attuale, o grandezze future attese,

frutto di stime accurate da parte del management aziendale e contenute in budget

preventivi ad uopo predisposti. Nel primo caso, ci si troverebbe concretamente di fronte

alla necessità di capitalizzare flussi positivi riferiti a periodi passati che potrebbero

vantare una maggiore precisione ed un maggior grado di affidabilità rispetto a flussi

futuri oggetto di stima alla data della valutazione. I flussi passati, tuttavia, dovrebbero

essere rappresentativi della realtà aziendale prospettica, situazione che si verifica

soprattutto nel caso di aziende operanti in contesti competitivi relativamente statici:

questo al fine di non discostarsi troppo dalla reale situazione in cui l’attività immateriale

oggetto di valutazione si troverà immersa nel futuro. Nel caso si volessero considerare

come rilevanti i flussi futuri derivanti da analisi aziendali prospettiche, si tratterebbe di

attualizzare tali flussi e considerare il loro valore alla data di analisi.

Per la maggiore accuratezza che lo contraddistingue, se applicabile e se rilevabili

in maniera precisa e puntuale tutte le variabili che dovrebbero entrare nel processo di

valutazione, il procedimento basato sul reddito – o ancor meglio basato su grandezze

monetarie non distorte da eventuali politiche contabili – è una soluzione metodologica

sicuramente preferibile al metodo del costo, esposto in precedenza. In secondo luogo, la

soluzione della capitalizzazione di flussi medi-normali, risulta maggiormente

percorribile a livello operativo concreto, non essendo necessario formulare stime in

merito a flussi di cassa futuri che potrebbero esporre la valutazione a rischi di eccessiva

soggettività: tutto questo, ovviamente, a scapito di una precisione, che sarebbe massima

nel caso in cui si riuscissero a distinguere puntualmente i singoli flussi di reddito

considerati e la loro distribuzione temporale.

Da un punto di vista analitico, il metodo reddituale prevede l’utilizzo delle classiche

formule di capitalizzazione, distinguendo due casi a riguardo:

177

se il flusso dei redditi attesi futuri si estende su un orizzonte temporale

prospettico illimitato, si avrà che254

iRW =

dove:

R = risultato economico medio-normale

i = tasso di capitalizzazione

se il flusso dei redditi riguarda un arco temporale ben delimitato, la formula

diventa255

iiRW

n)1(1 +−

⋅=−

dove:

R = risultato economico medio-normale

i = tasso di capitalizzazione

n = durata della rendita in periodi di tempo (usualmente anni)

Qualora non si volesse fare riferimento ad una configurazione di reddito medio-

normale, ipotesi su cui si basano le due formule proposte in precedenza, si dovrebbe

ricorrere a misure puntuali di reddito, variabili di periodo in periodo, di modo che il

valore dell’attività immateriale sia il frutto dell’attualizzazione dei vari risultati di

periodo. A livello analitico, la formula si presenta

n

n

kV

kR

kRW

)1()1()1( 2

21

+++

++

+= L

254 La formula proposta non rappresenta altro che la formula del valore attuale di una rendita perpetua divalore R, attualizzata al tasso i.255 La formula proposta non rappresenta altro che la formula per calcolare il valore attuale di una renditaposticipata di valore R, di durata pari ad n anni, scontata al tasso i.

178

dove:

R1, R2, …, Rn = redditi attesi in ciascuno dei periodi futuri 1, 2, …, n

k = tasso di attualizzazione

Vn = terminal value dell’attività256

Come nel caso del metodo del costo, anche il metodo reddituale-finanziario

necessita di alcuni passaggi intermedi per approntare le variabili necessarie alla stima

del valore dell’attività immateriale in questione, rappresentando questi passaggi uno dei

momenti fondamentali per donare attendibilità al processo di stima stesso. A riguardo,

risultano importanti due tappe: innanzitutto è necessario determinare il flusso di reddito

“rilevante” da tenere in considerazione nel processo; in secondo luogo, è altrettanto

necessario individuare quale sia il tasso di attualizzazione più opportuno per scontare i

flussi futuri257. Tratteremo di seguito queste due problematiche, cercando di evidenziare

le principali difficoltà metodologiche, al fine di ridurre il grado di discrezionalità

proprio di simili processi di stima, onde ridurre la variabilità dei possibili risultati della

valutazione258.

a. La determinazione dei flussi rilevanti

Tanto nella sua accezione reddituale quanto in quella finanziaria, il metodo del

reddito259 richiede la preventiva determinazione di grandezze fondamentali quali il

profilo reddituale atteso in ciascun periodo futuro260 imputabile all’intangible oggetto di

specifica valutazione, nonché l’orizzonte temporale su cui si estenderà il predetto flusso

atteso di redditi, generalmente coincidente con la vita economica residua del bene261.

Dato che il reddito rilevante per il processo di valutazione è quello che si stima

essere legato ed almeno idealmente imputabile alla presenza e all’azione dell’intangible,

il calcolo di questo deve essere il frutto di un’attenta analisi dei risultati economici

256 Col termine Vn si esprime il valore che l’attività possiede oltre l’orizzonte di valutazione; valore cheviene determinato come rendita perpetua al periodo n del valore Rn-1 registrato nell’ultimo esercizio delperiodo di valutazione.257 O eventualmente quale sia il tasso di capitalizzazione per calcolare il montante deii flussi passati, nelcaso in cui si voglia basare l’analisi su osservazioni retrospettiche.258 Tanto questo metodo quanto i precedenti ed i successivi, difatti, presentano quale problema principalee comune il rischio che il processo di valutazione sia caratterizzato da una eccessiva soggettività.259 Chiameremo così il metodo oggetto di analisi, facendo riferimento sia al procedimento reddituale chea quello finanziario, dove non diversamente specificato.260 O eventualmente medio-normale nel caso in cui non si disponga di un sufficiente set informativo.

179

aziendali, basata su adeguate informazioni contabili che permettano la ripartizione

dell’unitario sistema dell’economia d’azienda in funzione della fonte dei risultati stessi.

A scopo introduttivo, al fine di sistematizzare e rappresentare graficamente

quanto stiamo per dire, risulta interessante proporre la tabella262 seguente che permette,

non senza alcune semplificazioni, di mettere in luce il contesto in cui il metodo

reddituale e le sue diverse accezioni si inseriscono.

In linea teorica il procedimento di quantificazione del risultato attribuibile al

singolo bene immateriale oggetto di analisi si può dividere in due tipologie: il metodo

indiretto o il metodo diretto, a seconda che il bene contribuisca alla formazione della

complessiva redditività aziendale o si identifichi con il totale potenziale di redditività

aziendale. A questa seconda metodologia, si tendono a ricondurre tutti i casi di quei

beni che traggono il loro valore da specifici accordi contrattuali, come ad esempio i

diritti di concessione in uso di brevetti o di marchi, o ancora le autorizzazioni per

l’erogazione di servizi. In secondo luogo, si rifanno a questa variante valutativa tutti i

261 Salvo poi tenere in considerazione l’eventuale terminal value dell’attività.

Determinazione Posizione del bene immateriale Tecnichedi determinazionedel reddito rispetto alla performance di delreddito e di valutazione

profitto d’impresa del bene

INDIRETTA A) Il bene da valutare Medio contribuisce alla normale

Capitalizzazione redditività aziendale

Tipo diB) Il bene da valutare risultato si identifica con il reddito d’azienda Puntuale

Attualizzazione per annoDIRETTA

Figura 13 - Panoramica del metodo reddituale

180

casi di analisi di quelle imprese di piccole dimensioni la cui economicità e il cui

vantaggio competitivo è strettamente collegato e dipendente dalla presenza di un

particolare intangible, quale ad esempio un marchio o una specifica tecnologia

produttiva. Nel caso di imprese di più ampie dimensioni, invece, si possono rilevare

diversi beni immateriali identificabili che concorrono, ciascuno per la propria quota

parte e con differente intensità, alla determinazione del risultato economico finale

dell’azienda. Rispetto al procedimento diretto, di più facile applicazione e esposto a

minor rischio di produrre valutazioni soggettive, il metodo di stima indiretto richiede

un’accurata ricognizione dei dati di bilancio e di ogni informazione utile, contabile ed

extra-contabile, ad enucleare dall’unitaria realtà aziendale la componente del reddito

dell’impresa che si stima attribuibile al singolo intangibile.

Va rilevato, inoltre, come anche il tipo di bene oggetto di stima possa e debba

condizionare la scelta del procedimento di valutazione da adottare: si pensi al caso in

cui si debba valutare un’intera linea di prodotti o un autorizzazione ad operare in

esclusiva in un dato settore. In questo caso le grandezze coinvolte nel calcolo del

risultato di pertinenza andrebbero assunte e considerate nella loro interezza. Tra i

procedimenti diretti vengono anche annoverate tutte quelle tecniche di determinazione

del reddito di pertinenza dell’intangibile che fanno riferimento ad una qualche

“formula” prevista a livello contrattuale. E’ il caso, ad esempio, del metodo delle

royalties da corrispondere a fronte della concessione in uso di un marchio o di un

brevetto; tali corrispettivi vengono determinati come percentuali, contrattualmente

stabilite, applicate a grandezze coerenti col grado di importanza e diffusione del

marchio – usualmente il fatturato263.

Al contrario, se si dovessero valutare un marchio od una specifica tecnologia

produttiva, l’ottica di analisi più opportuna sarebbe quella propria dell’analisi

differenziale. In un ottica differenziale, ad esempio, si inseriscono il metodo che mira a

calcolare il differenziale del prezzo di vendita (premium price method) dovuto ad una

determinata marca, oppure il metodo finalizzato alla determinazione di eventuali

risparmi di costo derivanti da particolari tecnologie264. La combinazione e la

262 Ns. elaborazioni da Renoldi A., op.cit.263 Il metodo in questione verrà trattato separatamente nei paragrafi successivi.264 Entrambi questi metodi verranno trattati più ampiamente nei paragrafi successivi.

181

valutazione delle diverse potenzialità delle singole metodologie portano alla scelta del

criterio di stima più opportuno.

b. Il procedimento indiretto di determinazione dei flussi rilevanti

Avendo presente le indicazioni operative fornite dal precedente schema di

riferimento, possiamo ora passare all’analisi del procedimento di misurazione indiretta

del risultato economico idealmente imputabile al vantaggio competitivo fornito da un

bene immateriale chiaramente identificabile, all’interno di un contesto aziendale nel

quale l’intera redditività conseguita non sia imputabile alla presenza di un singolo bene.

Pur non essendo possibile individuare ben precisi ed obbligatori passaggi

all’interno del metodo indiretto, risulta opportuno introdurre alcuni steps propri di

qualsiasi processo di valutazione, qualsiasi ne sia l’oggetto.

Normalizzazione dei risultati economici aziendali: In via prioritaria al processo di

stima, e generalmente riconducibile ad una fase preparatoria del procedimento stesso,

risulta importante depurare i risultati economici aziendali da eventuali poste di bilancio

che non appartengano alla gestione caratteristica dell’azienda stessa; si tratta, ad

esempio, di costi o ricavi riconducibili alla gestione straordinaria, in quanto non

ricorrenti o conseguenti a politiche di bilancio discrezionali da parte dell’azienda. In

questo senso, particolare rilevanza riveste il sistema contabile in vigenza del quale il

bilancio è stato redatto, potendo questi flussi essere influenzati da eventuali norme o

prassi riconducibili a principi contabili di generale accettazione. In questo senso si

colloca il problema della contabilizzazione degli investimenti in beni immateriali. E’

comune, ad esempio, la prassi di spesare integralmente gli oneri sostenuti in un

esercizio per attività promozionali, pubblicitarie o di R&S, piuttosto che adottare un

processo di preventiva capitalizzazione e successivo ammortamento. In tal senso è

evidente la contrapposizione tra il principio di prudenza nella redazione del bilancio e il

reale collegamento temporale esistente tra il sostenimento dei suddetti costi e l’incasso

dei conseguenti ricavi. In sede i normalizzazione, ad esempio, si pone la necessità di

apprezzare l’opportunità di una simile politica contabile, al fine di far emergere nella

182

maniera più chiara e precisa possibile l’effettiva capacità reddituale dell’azienda in

questione.

Individuazione e separazione delle componenti di reddito relative all’intangibile:

Superata la fase preparatoria, all’interno della quale è possibile ricondurre anche la

precedente fase di normalizzazione dei redditi, si deve affrontare la parte più

significativa dell’intero processo di determinazione per via indiretta del risultato

economico: l’individuazione e la separazione delle componenti di ricavi e di costi

strettamente afferenti al bene immateriale oggetto di stima. In tal senso è essenziale che

le grandezze considerate rispondano ad almeno due requisiti fondamentali, quali quello

della pertinenza e della rilevanza.

In merito al primo, ci si riferisce al fatto che i ricavi, i costi, gli investimenti e

tutti i dati reperiti a seguito della fase preparatoria di analisi devono essere riferibili

all’azione esercitata dal bene stesso. In altri termini, deve esistere un nesso di causalità

tra la presenza del bene immateriale all’interno della realtà aziendale e la

manifestazione di questi valori, al fine di poter imputare gli stessi nella determinazione

del reddito rilevante.

Il secondo requisito, invece, fa riferimento al fatto che, una volta isolati costi,

ricavi ed investimenti di pertinenza, non è detto che necessariamente vadano tutti

considerati ai fini della stima; sarebbe, ad esempio, opportuno escludere o considerare

in maniera minore quei valori per i quali sia stata accertata una volatilità molto ampia

nel corso dei vari periodi. Vanno quindi isolati e considerati solo quei valori che

risultano essere strettamente collegati alla presenza del bene intangibile, al fine di

introdurre una maggiore prudenza nella valutazione di un bene già di per sé

difficilmente definibile e valutabile in maniera ancor più complicata.

Valutazione del beneficio fiscale: Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione nella

determinazione delle grandezze rilevanti da attualizzare successivamente è l’impatto

fiscale che i flussi derivanti dalla presenza del bene immateriale nel complesso

aziendale producono. Nella disciplina contabile italiana, che prevede l’ammortamento

sistematico del bene immateriale, è necessario tenere in considerazione nella

183

valutazione dei flussi generati dal bene, il risparmio d’imposta derivante dallo spesare a

conto economico i vari flussi di ammortamento annui.

Se, infatti, il bene è identificabile, trasferibile a terzi in maniera autonoma

rispetto al complesso aziendale originario e dotato di una quantificabile vita economica

residua, allora esso possiede – in aggiunta al suo valore economico “intrinseco” – un

ulteriore componente di valore rappresentata, appunto, dai vantaggi fiscali che il terzo

acquirente potrà trarre dall’acquisto del bene stesso. Il processo di ammortamento al

quale il bene sarà sottoposto, infatti, porta ad una diminuzione del reddito imponibile e

di conseguenza del livello di prelievo fiscale subito dall’azienda.

A livello analitico possiamo concludere che

BFWWtot +=

nella quale

iiRW

n−+−⋅=

)1(1

dove:

W = valore intrinseco del bene secondo il metodo reddituale

R= reddito di pertinenza del bene immateriale

ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione definito da

n = numero di anni corrispondenti alla vita utile residua del bene

i = tasso di attualizzazione

e

iitABF

n−+−⋅⋅=

)1(1

dove:

BF = valore del beneficio fiscale derivante dal processo di ammortamento del

bene

184

A = quota annua di ammortamento

t = aliquota d’imposta sul reddito

ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione

Questa è sostanzialmente la fase che qualifica il procedimento indiretto, del tutto

assente in quello diretto: superate le difficoltà informative e conoscitive derivanti

dall’accuratezza di tale metodo e dalla grande mole informativa che richiede, l’obiettivo

è generalmente la determinazione di un margine operativo lordo265 generato

dall’intangibile. Tale grandezza, calcolata come differenza tra i ricavi di vendita ed i

costi diretti monetari – escludendo, quindi, gli ammortamenti e gli accantonamenti –

mira a rappresentare la definizione di un risultato imputabile al singolo intangible e nel

contempo esente dai possibili riflessi di politiche contabili e di bilancio in merito agli

ammortamenti e agli altri costi non monetari. Ai fini delle successive elaborazioni, il

MOL rappresenta un’ottima grandezza di riferimento, offrendo una dimensione

dell’effettivo margine di profitto che il bene è in grado di generare, su cui poi innestare

successive rielaborazioni per tenere conto di ulteriori costi indiretti, di natura

economico-operativa (spese generali ed amministrative) e finanziaria (oneri finanziari).

Il margine operativo lordo, infatti, deve esser corretto per tenere conto di una

serie di costi quali i costi indiretti monetari, gli ammortamenti e la remunerazione del

capitale investito. In tal senso risulta interessante fare riferimento al caso particolare

della valutazione di una particolare linea di prodotto, per le specificità operative che

questo caso può offrire. Per quanto riguarda i primi, si fa riferimento a quelle spese da

sostenere comunque per la realizzazione del normale ciclo di acquisto-produzione-

vendita, nella misura relativa alla singola attività immateriale, quali ad esempio

eventuali costi di manodopera indiretta, i costi per il controllo della qualità e talune

spese amministrative. In merito agli ammortamenti, si dovrebbe tenere in

considerazione lo stock di investimenti tecnici minimi indispensabili per garantire il

livello di produzione assunto ai fini della valutazione. In terzo luogo, si tratta di valutare

la remunerazione adeguata per gli stock di risorse investite nel processo di produzione,

265 Il margine operativo lordo (MOL) è dato dalla differenza tra ricavi di vendita (+), costi per acquisti dimaterie prime e servizi (-) e costo del lavoro (-). Proprio per il fatto di spesare solamente costi“monetari”, lo stesso MOL rappresenta una discreta approssimazione del flusso di cassa generato daun’azienda o, in questo caso, da una singola attività immateriale.

185

sulla base dei saggi espressi dal mercato. Da ultimo, vanno anche considerate le

eventuali imposte potenziali da attribuire al bene immateriale, a prescindere dalla

particolare posizione fiscale – eventuali crediti d’imposta o agevolazioni – del soggetto

aziendale a cui appartiene l’attività immateriale.

Proseguendo nella metodologia esposta, risulta spesso opportuno sottoporre i

risultati reddituali ottenuti ad alcuni correttivi, al fine di rendere più preciso e realistico

il procedimento di analisi. Innanzitutto, si tratta sovente di attuare una

omogeneizzazione monetaria tra i diversi flussi ottenuti, al fine di considerare gli stessi

al netto dell’effetto di perdita di valore determinato dall’inflazione. Attraverso adeguati

coefficienti espressivi, appunto, della dinamica inflazionistica verificatasi negli anni

considerati – tanto nel caso di redditi futuri da attualizzare, quanto di redditi passati da

capitalizzare – vengono riespressi in termini monetari correnti alla data di riferimento

della valutazione tutti i flussi di cassa calcolati in precedenza. Ad ogni modo, non è

sempre detto che tale rettifica, seppur opportuna e motivata dal punto di vista

concettuale, possa offrire effettivi contributi al miglioramento del grado di correttezza e

precisione delle stime. Questo, infatti, avviene in maniera sensibile nel caso di periodi

di accentuata tensione inflazionistica, dove la considerazione di grandezze riferite a

periodi diversi senza una preventiva omogeneizzazione monetaria potrebbe portare a

valutazioni irrealistiche: al contrario, in caso di periodi di inflazione relativamente

bassa, un simile intervento correttivo non sembra contribuire all’effettivo

miglioramento dell’attendibilità delle stime: in tal senso, basti ricordare l’estrema

soggettività correlata a queste procedure di valutazione, tale per cui un simile, limitato

correttivo non potrebbe accrescere la capacità informativa derivante dalla stima stessa.

Appare maggiormente rilevante, invece, una seconda possibile tipologia di

correttivo che consiste nella ponderazione dei vari flussi ottenuti in funzione della

probabilità di accadimento. Soprattutto in contesti altamente competitivi associati ad

un’ampia volatilità dei possibili risultati attesi – situazione nella quale anche le fonti

informative su cui basa l’analisi non sarebbero completamente attendibili – appare

opportuno attribuire ai singoli risultati periodici un peso che esprima un giudizio di

sintesi dell’analista in merito all’effettiva probabilità di conseguire quel reddito.

Attraverso un simile intervento, quindi, si mira a fornire informazioni ed ad esplicitare il

livello di rischio associato al flusso stesso, soprattutto per quei flussi che, più lontani nel

186

tempo, appaiono più frutto di congetture che di reali e attendibili stime. D’altra parte,

come più volte ripetuto nel corso dell’analisi delle singole varianti del metodo di

valutazione analizzato, appare evidente la necessità di valutare il trade-off tra il

miglioramento della stima e l’aumento della soggettività collegata alla stessa, valutando

l’opportunità o meno di applicare correttivi o formulare ulteriori ipotesi, in funzione

dell’effettivo perfezionamento delle stime. L’indagine fin qui sviluppata ha fatto

riferimento al procedimento indiretto di determinazione del reddito di competenza di un

intangible, in ipotesi di impiego di grandezze assolute. Di seguito analizzeremo, invece,

il medesimo procedimento relativamente al caso in cui si debbano adottare grandezze

differenziali, ottenute appunto tramite l’analisi differenziale. Come già fatto in

precedenza, eventuali esempi e riferimenti pratici verranno collegati al più frequente

campo di applicazione di questa metodologia, ossia alla valutazione di marchi o di linee

di prodotti. Al fine di permettere una esposizione più sistematica del procedimento,

appare opportuno introdurre fin da ora la seguente tabella266, all’interno della quale

viene riassunto il procedimento stesso.

Figura 14 - Determinazione del margine netto di competenza del bene immateriale

266 Cfr. Renoldi A., op.cit.

187

Come si evince dalla tabella, due sono i passi principali da compiere per

pervenire alla valorizzazione del bene immateriale in questione. A questo proposito

risulta necessario per prima cosa determinare il margine netto differenziale, per poi

passare concretamente alla valutazione dell’attività. Prima di procedere alla descrizione

dei due diversi passaggi, è necessario produrre due osservazioni rilevanti in merito alla

tabella: per prima cosa, le grandezze percentuali che partecipano alla determinazione del

margine netto differenziale si basano su valori medi unitari; in questo senso, si

prescinde dai volumi di vendita e di produzione267. In secondo luogo, l’ottica di analisi

differenziale su cui si basa il procedimento analizzato richiede l’individuazione di un

concorrente primario in relazione al quale si possano trarre conclusioni rispetto ad un

livello medio-normale: non sempre il reperimento di un simile termine di paragone

risulta facile e anche nel caso in cui ciò accadesse, si presenta spesso la necessità di

effettuare preliminari correzioni per omogeneizzare le due realtà.

267 Non va comunque dimenticato, come sottolineato in precedenza, che la disponibilità di un marchioaffermato esercita un duplice effetto congiunto in termini sia di premium price che di stabilizzazione – o

A) Determinazione del margine netto differenziale1

+ ∆ prezzo finale di vendita (premium price) - ∆ costi di commercializzazione2

- ∆ costi di produzione3

- ∆ costi di pubblicità + ∆ µ margine netto differenziale

B) Determinazione del valore economico dell’intangibile

iiFW

n−+−⋅⋅∆=

)1(1µ

dove:

µ∆ = percentuale del margine netto differenzialeF = ricavi totali di vendita del produttore relativamente alla linea di

prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di valutazione

ii n−+− )1(1 = fattore di attualizzazione relativo ad un arco temporale

delimitato, pari alla presunta durata residua del marchio o delciclo di vita del prodotto qualificato dal marchio

1 : valori percentuali rapportati al prezzo praticato dal produttore titolare del marchio alrivenditore).2 : maggior margine di intermediazione riconosciuto dal produttore al rivenditore. i l i i di i li i

188

Sempre facendo riferimento, per donare maggiore concretezza all’analisi, alla

determinazione del valore di una determinata linea di prodotti o di un marchio, bisogna

innanzitutto notare come gli studi di marketing abbiano da tempo rilevato il fatto che le

risorse intangibili legate a questo ambito, permettano all’impresa che le possiede di

perseguire almeno i seguenti vantaggi differenziali: in primis, la possibilità di applicare

un prezzo di vendita più elevato, in presenza di una curva di domanda più rigida rispetto

alla normale curva di domanda evidenziata da un prodotto simile ma senza marca. In

secondo luogo, si rileva la possibilità che la domanda del prodotto sia più stabile, con

conseguenti benefici derivanti a cascata relativi alla migliore prevedibilità delle vendite

e al perseguimento di economie di scala. Nel contempo, molto spesso, questi effetti

migliorativi – che si riflettono generalmente in un aumento del fatturato – trovano

riscontro in un incremento compensativo dal lato dei costi di produzione e di

commercializzazione. Espressivo del reale valore del marchio – e quindi della risorsa

intangibile oggetto di valutazione – è non tanto il mero differenziale di prezzo (premium

price) rilevabile per il prodotto analizzato, quanto piuttosto il differenziale netto di

prezzo, depurando il premium price puro da quel ∆costi per mezzo del quale si viene a

formare il vantaggio competitivo del marchio oggetto di valutazione nei confronti degli

altri. Molto spesso questi costi sono collegati alla politica commerciale attuata

dall’impresa o alle effettive caratteristiche intrinseche del prodotto. Per quanto riguarda

la prima, ad esempio, si tratta spesso di considerare quei significativi aumenti del valore

del margine di intermediazione riconosciuto dal produttore-titolare del marchio ai propri

rivenditori, al fine di perseguire in maniera più efficiente la politica distributiva stabilita

a livello aziendale. In secondo luogo, accade spesso che il diverso posizionamento di un

marchio rispetto ad un altro faccia leva sulle reali caratteristiche qualitative e di

performance del prodotto stesso: differenze che hanno a che fare col vero e proprio

valore intrinseco del prodotto. Queste potrebbero riverberarsi in un aumento dei costi di

approvvigionamento, dei costi per il controllo di qualità, dei costi per materie prime:

tutte variazioni che andrebbero adeguatamente tenute in considerazione al momento di

valutare il differenziale netto associato al marchio analizzato.

In conclusione, tale modo di procedere è fondamentale per valutare se i premium

price individuati siano soltanto apparenti, in quanto rappresentanti lo sbocco obbligato

incremento – delle quantità vendute. Il procedimento proposto in tabella considera l’ “effetto volume”

189

per recuperare i maggiori costi di produzione o di commercializzazione derivanti dalla

specifica politica aziendale adottata, o siano reali, configurandosi come veri e propri

differenziali di prezzo rispetto agli altri prodotti, a parità delle altre condizioni

produttive.

Una volta determinato il margine netto differenziale unitario, si passa alla

concreta determinazione del valore economico dell’intangibile oggetto di stima,

calcolato come il prodotto tra il margine stesso ed il fatturato, al fine di considerare

anche l’effetto volume che il possesso di un marchio affermato può causare. Il terzo

fattore moltiplicativo permette di tenere in considerazione l’intero arco temporale lungo

il quale si spalmano i vantaggi derivanti dall’esistenza dell’intangibile all’interno

dell’azienda, fornendo informazioni in merito alla vita utile residua dell’attività stessa.

Date le difficoltà teoriche derivanti dall’individuazione e dalla descrizione di

simili processi valutativi, tali per cui gli stessi procedimenti si sono sviluppati di pari

passo con frequenti applicazioni pratiche e casi concreti, risulta interessante anche in

questa sede aggiungere una ulteriore esemplificazione pratica a quelle già proposte in

merito alla valutazione di beni immateriali legati alla sfera del marketing. Come

evidenziato da Brugger268, gli intangibles sono generalmente riconducibili a due

categorie generali: quelli relativi al marketing e quelli relativi alla tecnologia. Se i primi

tendono a mostrare il loro effetto concreto permettendo all’azienda che li possiede e li

utilizza di percepire un premium price – come descritto in precedenza – eventualmente

eroso da probabili incrementi di costi, i secondi manifestano la loro utilità in un modo

leggermente diverso.

Sebbene possa capitare che particolari specificità tecnologiche appartenenti ad

un determinato prodotto conferiscano all’azienda un premium price, è molto più

probabile che i beni legati alla tecnologia portino l’impresa che li possiede a riscontrare

all’interno del proprio processo produttivo delle riduzioni di costo che, a livello pratico,

hanno lo stesso effetto di un aumento del prezzo di vendita. La disponibilità di un

particolare know-how può permettere all’azienda di ridurre i propri costi di produzione o

di commercializzazione dei prodotti e ciò si traduce, al pari di un bene immateriale

legato al marketing, in un vantaggio competitivo per l’impresa. L’impiego di una nuova

allorché si considera il prodotto tra margine netto differenziale unitario e fatturato.

190

tecnologia può portare quindi a risparmi di costo, i cui benefici andranno ancora una

volta valutati in base alla logica differenziale, ossia confrontando la struttura dei costi

con una situazione media-normale di riferimento269. Nell’ottica dell’analisi

differenziale, difatti, potrebbero anche verificarsi eventuali fenomeni di “ricaduta”,

riscontrabili in altri costi accessori per supportare la suddetta tecnologia o in eventuali

modificazioni dei prezzi e dei volumi di vendita. A titolo esemplificativo, può darsi il

caso in cui un’impresa possa usufruire di un processo produttivo innovativo ed

esclusivo, a seguito del quale possa beneficiare di ingenti risparmi di costi unitari di

produzione: se, tuttavia, questa tecnologia comporta a cascata un peggioramento delle

caratteristiche estetiche del prodotto tale da rendere necessaria una riduzione del prezzo

di vendita per compensare la minore appetibilità riconosciuta dal mercato a questi

prodotti, di tale riflesso negativo si dovrà necessariamente tenere conto per valutare

l’effettivo potenziale reddituale legato al know-how preso singolarmente. Una volta

determinato il beneficio netto, si procederà anche in questo caso all’attualizzazione

dello stesso secondo le formule proposte in precedenza, valutando anche la probabile

vita utile residua del bene stesso: questa metodologia viene spesso applicata alla

valutazione di singoli accordi contrattuali che comportino l’effettivo sostenimento di

minori oneri rispetto a quelli correntemente e mediamente sostenuti nel mercato di

riferimento270 .

c. Il procedimento diretto di determinazione dei flussi rilevanti

Come sottolineato in precedenza, il procedimento diretto di determinazione dei

flussi rilevanti trova applicazione in un duplice ordine di casi: quando l’impresa

possiede un unico bene immateriale identificabile, al quale venga riconosciuto un ruolo

prioritario se non esclusivo nel condizionare la performance reddituale dell’impresa

oppure nel caso in cui vi siano le condizioni per l’applicazione della tecnica del

beneficio prodotto dalla mancata corresponsione di royalties. Tralasciando il secondo

268 Cfr. capitolo 1.269 Al riguardo si ripropongono le medesime osservazioni avanzate in precedenza in merito alla difficilereperibilità di situazioni aziendali adeguatamente comparabili.270 Si tratta frequentemente, quindi, di accordi di fornitura di merci o servizi, in presenza di prezzi econdizioni di pagamento più favorevoli rispetto a quelle mediamente riscontrabili sul mercato. E’ il casoanche di contratti di finanziamento che propongano tassi di interesse inferiori a quelli di mercato.

191

criterio, essendo oggetto di trattazione separata nei successivi paragrafi, riteniamo

opportuno focalizzare la nostra attenzione sul primo ordine di casi, premettendo che

raramente i requisiti richiesti da questo metodo vengono rispettati in maniera rigorosa.

A causa della sempre maggior importanza che i beni intangibili rivestono all’interno

dell’economia di qualsiasi azienda, diventano sempre più rari i casi in cui sia possibile

identificare un’unica fonte immateriale di vantaggio competitivo: per questo motivo

risulta molto più frequente nella pratica – sebbene avanzi richieste informative ben

maggiori – l’applicazione del procedimento indiretto.

Il procedimento diretto, d’altra parte, si confà sostanzialmente a quelle imprese

monoprodotto di minori dimensioni presenti con una frequenza maggiore in Italia

piuttosto che negli altri stati: si tratta di aziende che hanno sviluppato un particolare

know-how in campo tecnico – quali formule o disegni esclusivi – e devono la loro stessa

possibilità di sopravvivenza alla presenza e al mantenimento di queste fonti di

vantaggio competitivo. Più raramente, avviene che la situazione descritta sia riferita a

beni intangibili che rientrino nella sfera del marketing, spesso più adatti ad essere

valutati in un’ottica differenziale al fine di considerare i vantaggi forniti dal marchio

stesso rispetto agli altri competitors.

Da un punto di vista concettuale, le metodologie e gli schemi applicativi da

adottare sono del tutto simili a quelli trattati in precedenza per le altre varianti del

metodo reddituale, anche per quanto riguarda le specificità introdotte dalla tecnica del

premium price netto e da quella dei risparmi di costo. Il solo e significativo elemento di

differenziazione è riconducibile alla relativamente minore complessità applicativa

dell’approccio qui presentato, riconducibile all’assenza di procedure preliminari di

individuazione ed enucleazione dal complesso dei ricavi, dei costi e degli investimenti

dell’azienda, ossia dei valori di stretta pertinenza del singolo bene intangibile.

d. La determinazione del tasso di capitalizzazione

La seconda grandezza da determinare nell’ambito del metodo reddituale è il

tasso da utilizzare per attualizzare i flussi futuri di reddito rilevanti, al fine di ottenere

una stima coerente ed affidabile del valore dell’intangible. A riguardo è opportuno

domandarsi se i principi generali che guidano la determinazione del capitale economico

192

di un’azienda possano essere riproponibili per la valutazione di un singolo bene

immateriale, dotato di autonoma rilevanza.

In linea di principio va sottolineato che il tasso di attualizzazione adottato in

sede di stima del capitale economico dell’azienda riflette un complesso giudizio

imperniato sulle caratteristiche della singola impresa e del settore in cui opera. Esso

quindi si configura come un saggio di rendimento “composito”, tenendo conto delle

caratteristiche di rischiosità implicite nelle diverse tipologie di attività che nel loro

complesso compongono l’azienda nella sua totalità: di conseguenza, questa tasso non

può che differire da quello utilizzabile nella valutazione di un singolo bene, nello

specifico di un bene immateriale. A rigore, difatti, il tasso di capitalizzazione a livello di

azienda corrisponde alla media dei saggi richiesti sulle singole attività, ponderato in

funzione della dimensione delle attività stesse in relazione al totale dell’attivo di

bilancio. In questo senso, il grado di rischio tipico di una singola attività è funzione del

livello di molteplici caratteristiche dell’attività stessa, tra le quali spiccano la

trasferibilità e la liquidabilità.

In una accezione generale, per trasferibilità si intende la capacità di una attività

di essere ceduta a terzi, senza subire pregiudizi in termini di valore. Nel caso specifico

dei beni immateriali possono essere mosse due osservazioni rilevanti a riguardo. Questi,

infatti, possono essere trasferibili a diversi soggetti contemporaneamente, senza

passaggio di proprietà: è il caso della cessione in licenza: tali beni, infatti, possono

essere concessi in uso a fronte di corrispettivi (royalties) in diverse zone, presentando

una predisposizione al trasferimento superiore a quella, in linea di principio, associabile

alle tradizionali attività materiali. Nel contempo, a fronte di questa possibilità, i beni

immateriali presentano due ulteriori fonti di rischio, che ne peggiorano il profilo:

generalmente, infatti, agli intangibles è associato un elevato grado di deperibilità degli

stessi e la loro trasferibilità è resa più complicata dall’effettiva scindibilità

dell’intangible stesso dal complesso aziendale originario. In secondo luogo, è evidente

come non esista un mercato proprio all’interno del quale trattare i beni immateriali,

rendendo il trasferimento di un’attività immateriale più che altro un episodio

occasionale collegato a compravendite di imprese.

Si fa riferimento alla liquidabilità di un attività immateriale in merito alla

capacità del bene di essere tradotto in moneta, in tempi ragionevolmente brevi, e senza

193

sostanziali perdite di valore. All’aumentare di tale capacità, minore sarà, a parità di altre

condizioni, il coefficiente di rischio associabile al bene. Per le attività immateriali,

quindi, valgono le stesse considerazioni effettuate in precedenza in merito alla difficile

trasferibilità di un’immobilizzazione immateriale, a causa della mancanza di un reale

mercato per i beni in questione.

Data la difficile quantificabilità del profilo di rischio associato ad un bene

immateriale, quindi, risulta opportuno percorrere un sentiero di analisi particolareggiato

che dia la possibilità di apprezzare le varie fonti di rischiosità associate al bene stesso.

In tale senso, ci focalizzeremo su alcuni aspetti, quali la posizione attuale e futura sul

mercato del bene e dell’azienda, lo stadio del ciclo di vita in cui si colloca il bene

immateriale, la versatilità dell’intangible, la sua diffusione spaziale, il relativo livello di

appropriabilità e il grado di deperibilità.

La posizione attuale e attesa in futuro sul mercato: Dato che le risorse immateriali sono

una delle principali fonti di vantaggio competitivo per una impresa ed il loro stesso

valore è, in maniera più o meno accentuata, funzione di ciò, risulta necessario condurre

un’attenta analisi della posizione di mercato dell’intangibile e del suo grado di

resistenza, rappresentando questa uno dei punti principali per l’apprezzamento del grado

di rischio associato al bene. Il vantaggio strategico che si accompagna ad una posizione

di mercato di rilievo si concretizza nella possibilità per il possessore di influenzare

concretamente la concorrenza all’interno del proprio settore di appartenenza: una

posizione stabile e duratura dell’impresa, ottenuta grazie alla presenza e all’utilizzo

dell’intangible oggetto di stima, permette di limitare la rischiosità del bene stesso,

potendo così utilizzare a livello di concreta valutazione un tasso di sconto minore.

Lo stadio del ciclo di vita del bene immateriale: Così come si è soliti fare per un singolo

prodotto o per un determinato settore, si può ugualmente ipotizzare l’esistenza di un

ciclo di vita per il singolo bene immateriale, anche in funzione dell’estrema dinamicità

che ne contraddistingue la vita e l’evoluzione. Se per alcuni beni, infatti, quali marchi

ben affermati o testate giornalistiche è difficile immaginare un ciclo di vita di durata

definita, soprattutto per i beni riconducibili nella sfera della tecnologia è possibile

individuare diverse fasi evolutive in funzione delle tendenze in atto a livello settoriale.

194

Si pensi, ad esempio, alla necessità di valutare una determinata ricerca scientifica,

ancora a stadi di avanzamento iniziali, durante i quali la probabilità di successo della

stessa è ben minore di quella che si potrebbe evidenziare in successive fasi. La stima del

bene immateriale in un ottica di “ciclo di vita”, permette di fornire informazioni utili su

aspetti segnaletici del grado di solidità del bene stesso, soprattutto in funzione

dell’analisi del grado di sfruttamento avvenuto in passato e delle residue capacità future

di contribuire alla redditività aziendale. E’ evidente, perciò, come l’analisi imperniata

sul ciclo di vita debba essere svolta tanto in un’ottica consuntiva quanto da un punto di

vista prospettico, al fine di inquadrare al meglio il posizionamento del bene stesso.

La versatilità del bene: Il contenuto di immaterialità proprio di un intangible, può

permettere al bene in questione di sfuggire ai condizionamenti tipici della

specializzazione, propria delle attività materiali: è noto, ad esempio, che impianti e

macchinari altamente specializzati rappresentano investimenti a contenuto di rischio più

elevato rispetto a soluzioni tecniche caratterizzate da maggiore genericità. Per

“versatilità”, quindi, si intende la capacità di un bene di non veder ridimensionate le

proprie potenzialità reddituali e strategiche se applicato al di fuori dell’impresa

originaria o in situazioni estranee a quelle del settore in cui è inserito. Alcuni beni

immateriali, difatti, possiedono un’intrinseca predisposizione ad essere potenzialmente

destinati ad impieghi alternativi, senza dover sostenere ingenti costi di “riconversione”.

E’ massimamente il caso di conoscenze tecnologiche esclusive sviluppate in un

determinato settore ma che trovano un fertile terreno applicativo anche in altre industrie;

oppure marchi e denominazioni che possano applicarsi a settori correlati a quello

originario271, senza mettere a repentaglio il posizionamento competitivo del bene

primario. A parità di ogni altra condizione, quindi, un bene immateriale potenzialmente

versatile presenta un livello di rischio inferiore a quello di un intangible che non possa

vantare un simile requisito: in questo senso, è evidente il riferimento ai concetti

introdotti in precedenza di liquidabilità e di trasferibilità. Un bene estremamente

versatile, infatti, può essere appetibile da un maggior numero di potenziali acquirenti

271 Si pensi, in tal senso, a marchi affermatisi nel campo dell’abbigliamento, che si diversifichino in unsecondo momento nell’industria dei profumi o dell’arredamento. Oppure ancora, eventuali conoscenze emarchi sviluppate da alcuni operatori nell’ambito farmaceutico, efficacemente dirottate in un secondomomento su prodotti OTC o dell’alimentazione per l’infanzia.

195

data la molteplicità di impieghi possibili, rendendo meno probabile la sua perdita di

valore in caso di trasferimento.

La diffusione spaziale del bene: Tale aspetto rappresenta in un certo senso, una forma di

diversificazione del bene, non tanto a livello di settore o business – accezione nella

quale rientra il precedente aspetto della versatilità – quanto piuttosto a livello

geografico. E’ fuor di dubbio, infatti, che un intangibile dotato di una diffusione

internazionale o comunque molto ampia a livello geografico, possa vantare un pregio

superiore – e di conseguenza un grado di rischio minore – di quello che abbia una

valenza regionale o nazionale. In questo senso, infatti, il pregio dell’internazionalità,

comporta che proprio per gli effetti compensativi potenzialmente presenti sui vari

mercati, il bene sia associato ad una performance economica dotata di maggiore

stabilità, in termini di quantità vendute e di prezzo. In secondo luogo, l’importanza

internazionale di un determinato bene immateriale dovrebbe essere, a rigore, il frutto di

una ingente politica di investimenti, strumentale all’effettiva diffusione del bene in

questione: in questo senso, il valore stesso del bene dovrebbe risentirne in maniera

positiva.

Il livello di appropriabilità: Con il termine “appropriabilità”, si intende la

predisposizione di un determinato bene ad essere riprodotto per imitazione dalla

concorrenza. Se, infatti, per talune attività immateriali è possibile disporre di forme più

o meno efficienti di protezione legale – a seguito delle quali il livello di appropriabilità

del bene da parte dei concorrenti appare ridimensionato – per altre le forme di

protezione sono meno formalizzate e non supportate da strumenti giuridici. Si tratta, ad

esempio, del caso di particolari conoscenze o tecnologie, per le quali si configurano

forme di protezione effettive non istituzionali: in tale circostanza, l’apprezzamento del

livello di rischio connaturato all’intangible non può prescindere da un giudizio in merito

all’effettiva efficacia ed adeguatezza delle misure difensive adottate dall’impresa.

In secondo luogo, è evidente che il livello di appropriabilità è funzione delle

stesse caratteristiche intrinseche di un determinato bene: all’aumentare della sua

complessità ed articolazione – soprattutto nel campo delle conoscenze scientifiche e

tecnologiche – è evidente che i processi imitativi possono risultare ampiamente

196

ostacolati; a maggior ragione, se la semplice comprensione delle specificità del bene

dovesse richiedere un bagaglio ben determinato di pre-conoscenze tecniche.

Da ultimo, bisogna evidenziare come la “complessità” a cui si sta facendo

riferimento non vada interpretata in senso restrittivo, limitandosi alla considerazione

delle mere caratteristiche fisico-tecniche dei beni: complesso, infatti, può essere non

solo l’interpretazione o l’applicazione di una nuova tecnologia ma anche il semplice

raggiungimento di un determinato livello di notorietà di un marchio all’interno di un

settore già altamente competitivo. Di conseguenza, all’aumentare della complessità

associata al bene immateriale oggetto di analisi, questo risulta più difficilmente

acquisibile per riproduzione e dunque possiede i presupposti per offrire all’impresa che

lo possiede e lo utilizza un vantaggio competitivo più duraturo nel tempo.

Il grado di deperibilità: Tra le varie caratteristiche associate ad un determinato bene

immateriale, quella qui oggetto di trattazione può essere sicuramente annoverata tra

quelle che rivestono un maggior rilievo in sede di apprezzamento del livello di rischio

connaturato al bene. In linea di principio, la vita utile di un bene e la sua possibilità di

rilasciare utilità per l’impresa sostenendo in maniera duratura il suo vantaggio

competitivo è funzione della velocità di deperimento del bene stesso: i beni immateriali,

infatti, sono tanto difficili da evidenziare in termini di valore all’interno dell’unitaria

gestione d’impresa, quanto rapidi nel perdere parte della consistenza precedentemente

espressa in concomitanza di periodi di difficoltà aziendale o di contesto competitivo. Se

tale considerazione è valida per la maggiorana dei beni immateriali usualmente

considerati, è altrettanto vero che, in assenza di condizioni eccezionali d’impresa o di

fenomeni profondamente turbativi dell’ambiente di riferimento, molti di essi non sono

suscettibili di deperimento economico o lo sono secondo modelli o gradi di intensità

differenziati in funzione della particolare tipologia del bene e del suo specifico

posizionamento nel settore272.

Ne consegue la necessità di un apprezzamento specifico, bene per bene, al fine

di evidenziare il livello di deperibilità associato ad ogni intangible, differente in

272 E’ opinione diffusa, ad esempio, che a parità di condizioni aziendali, i marchi appartenenti alleindustrie alimentari e delle bevande, siano dotati, per la stabilità e la continuità dei risultati, di un pregiosuperiore a quelli appartenenti a settori legati all’high-tech o alla moda: questi, infatti, tendono a mostrareuna capacità di sopravvivenza intrinsecamente minore, in funzione di fattori molto variabili da caso acaso, quali i repentini mutamenti tecnologici o dei gusti dei consumatori.

197

funzione di molteplici variabili. Questo non può che portare ad un maggior grado di

aleatorietà della valutazione del bene stesso, sempre più frutto della sensibilità

dell’analista nell’apprezzamento dei molteplici fattori che influenzano il valore

dell’attività immateriale in questione.

L’analisi integrata dei fattori proposti, quindi, permette di qualificare in maniera

più precisa il profilo di rischio implicito nel bene immateriale oggetto di stima,

esplicitando le variabili massimamente legate alla determinazione del tasso di sconto

più opportuno in relazione ad ogni singolo bene. Una delle conclusioni più evidenti a

seguito di quanto esposto in precedenza, è l’impossibilità di individuare un unico

metodo per l’apprezzamento del grado di rischio associato ad ogni singolo intangible,

frutto più di valutazioni qualitative in merito al bene stesso che di rigorose formule

quantitative.

Per le considerazioni illustrate, è altrettanto evidente come tale rischio non possa

che essere mediamente superiore a quello complessivo dell’azienda all’interno della

quale il bene è collocato, con la necessaria puntualizzazione che il profilo stesso sarà

più correttamente apprezzato tenendo presente le connotazioni di volta in volta più

opportune, evidenziate dal singolo bene. In generale, infatti, la determinazione del tasso

da utilizzare per l’attualizzazione dei flussi legati ad un singolo bene immateriale muove

dalla considerazione del tasso legato all’azienda a cui il bene appartiene – o del relativo

settore - , rettificato secondo una qualche forma di progressività, in funzione delle

caratteristiche di volta in volta assunte dal bene.

L’approccio presentato, di conseguenza, più che un metodo di calcolo del

premio per il rischio da riconoscere alla singola attività immateriale, rappresenta un iter

logico, in funzione del quale giustificare razionalmente la quantificazione finale del

tasso più adatto per ogni bene. Di conseguenza, se un generale accordo, almeno a livello

teorico, lega i vari analisti in merito alla determinazione dei flussi più opportuni da

attualizzare, lo stesso non si può dire in merito alla quantificazione dei tassi di sconto

più opportuni, determinati caso per caso.

3.3.2.2 - Il metodo da esenzione da royalties

198

Un ulteriore procedimento di stima finalizzato al calcolo del valore di un bene

immateriale è il metodo della esenzione da royalty. E’ evidente, fin dalle ipotesi di base

su cui questo modello è basato, che il suo campo di applicazione principale è limitato ai

beni immateriali legati al marketing, nello specifico ai marchi. Non mancano, tuttavia,

le applicazioni anche nei confronti di beni quali i diritti d’autore, i brevetti o conoscenze

esclusive dell’impresa ma concesse in uso ad altri soggetti. Generalmente, quindi, il

criterio discriminante per valutare l’applicabilità o meno di questo metodo è il fatto che

il bene oggetto di valutazione possa essere oggetto di “concessione”, in via esclusiva o

meno.

L’idea principale che risiede alla base della tecnica di valutazione in esame, può

essere esplicitata secondo una duplice ottica:

Il soggetto che possiede un bene immateriale ottiene, a parità di altre condizioni

interne od esterne all’azienda, un vantaggio nei confronti dei suo concorrenti in

termini di corrispettivi “risparmiati” – le royalties, appunto – che in caso

contrario avrebbe dovuto pagare per poter disporre del diritto di utilizzare quel

bene di cui invece è già titolare, a seguito di acquisto o creazione interna.

Da un secondo punto di vista, è altresì evidente come il proprietario della

suddetta risorsa immateriale abbia la facoltà, decidendo autonomamente, di non

utilizzarla solamente in maniera diretta ma di autorizzarne l’uso da parte di terzi,

riuscendo in tal modo a cogliere un’opportunità di reddito aggiuntiva – le

rappresentata anche in questo caso dalle royalties – che andrebbe ad

incrementare i risultati economici ottenuti con la propria attività.

Dal punto di vista concettuale, i due approcci divergono sostanzialmente,

essendo però ricondotti ad unità all’interno del metodo stesso. Secondo la prima

accezione, le royalties vengono considerate un costo che l’impresa non deve sostenere

potendo disporre in proprio del bene immateriale oggetto di stima; nel secondo caso,

invece, le stesse sono viste come una possibile fonte di reddito aggiuntiva, da sommare

ai normali risultati economici aziendali ottenuti anche col contributo di questa attività

immateriale. Se dal primo punto di vista l’approccio sembra fare esplicito riferimento al

199

metodo reddituale nella sua accezione basata sul risparmio di costi, nella seconda il

procedimento richiama il metodo reddituale puro.

La giustificazione delle royalties risiede nel fatto che, essendo i beni immateriali

fonte di un possibile vantaggio competitivo, la semplice disponibilità dei beni stessi in

capo al proprietario rappresenta un presupposto necessario e sufficiente affinché vi sia

un miglioramento del profilo reddituale del proprietario, derivante da questa situazione.

Le royalties, quindi, rappresentano quel quantitativo monetario che il licenziatario è

tenuto a corrispondere al licenziante, effettivo proprietario del bene, per la concessione

del diritto di utilizzo di quel determinato bene immateriale oggetto di valutazione, in

funzione di variabili prestabilite a livello contrattuale.

La valutazione dei beni immateriali in base alla logica delle esenzioni da royalty

consiste nella capitalizzazione di questi proventi, al netto delle eventuali spese

aggiuntive per controllare l’effettivo e corretto utilizzo del bene da parte del

concessionario. Più precisamente, il valore del bene oggetto di stima corrisponde al

valore attuale dei corrispettivi che il proprietario dell’intangibile sarebbe tenuto a pagare

a titolo di diritti d’uso, su un arco temporale pari alla vita economica residua del bene,

nell’ipotesi che questo bene non fosse di sua proprietà.

Questa tecnica richiede la definizione in via prioritaria dell’ammontare annuo

delle royalties, in funzione della variabile a cui parametrare il coefficiente percentuale

di royalty espressivo dei corrispettivi da pagare e del coefficiente stesso.

La variabile cui applicare il coefficiente percentuale di royalty è di solito fatta

coincidere con il ricavo totale ottenuto dal licenziatario con i prodotti che beneficiano

della presenza del bene immateriale concesso in uso, stimato per ognuno degli anni che

compongono la vita economica residua dell’intangibile273. E’ evidente che, al fine di

pattuire un adeguato coefficiente di royalty, è necessario condurre approfondite analisi

in merito alla formazione del fatturato del prodotto stesso, in termini di quantità vendute

e di prezzo unitario: il rischio è che un eccessivo coefficiente di royalty sopravvaluti il

reale valore del bene immateriale stesso, rendendo irrealistica la sua stima.

Il coefficiente espressivo delle royalties, invece, può essere osservato dal

mercato e da esso estrapolato, nel caso in cui esista un numero di transazioni

sufficientemente rappresentative e trasparenti, nonché simili a quella oggetto di stima,

200

tanto a livello di prodotto in concreto dato in concessione, quanto di situazione di

mercato e concorrenziale. Proprio per questa necessaria omogeneità, il riferimento a

grandezze di mercato è tutt’altro che frequente. La natura strategica dei beni

immateriali, infatti, rende sempre molto restie le aziende a divulgare e rendere

pubbliche le necessarie informazioni in merito ai tassi di royalty praticati a livello

contrattuale: quando disponibili, di conseguenza, questi valori rappresentano più uno

standard omogeneo indipendente dalla concreta situazione in cui è stato pattuito che un

effettivo indicatore del valore di un bene immateriale.

A livello concettuale, la dimensione dei coefficienti è il risultato di un complesso

giudizio in merito ad una molteplicità di fattori i quali, in definitiva, dovrebbero essere

rappresentativi della reale forza dell’intangibile, ovviamente molto variabili in funzione

delle realtà aziendali in cui sono inseriti e in funzione della tipologia di bene.

A livello analitico

n

nnn

ss

ss

iiCR

iCSrW

)1(1

')(

)1()(

1 +⋅

−+

+−⋅

= ∑=

dove

W= valore economico del bene intangibile

n = arco temporale lungo il quale si estende la previsione dei flussi di royalties

attesi

r = tasso di royalties274

Rs = flussi di royalties attesi lungo l’arco temporale n

Rn = flusso di royalties al termine dell’arco temporale considerato

i = tasso di attualizzazione dei flussi di royalties attesi

i’ = tasso di capitalizzazione del flusso di royalties al termine dell’arco

temporale considerato

Cs = eventuali costi di gestione dell’attività immateriale in carico al licenziante

Cn = eventuali costi di gestione dell’attività immateriale al termine dell’arco

temporale considerato

273 Oppure, nel caso di un contratto dalla durata prestabilita o di un bene dalla vita residua ben definita,per la durata da questi evidenziata.274 Ipotizzato costante.

201

Come si può evincere dalla formula proposta, quindi, il valore economico di un

attività immateriale valutata secondo il metodo in analisi risulta dalla somma delle

seguenti componenti:

Il valore attuale dei flussi di royalties nette generate dalla cessione, in licenza,

dell’intangible per un definito arco temporale

Il valore residuo (terminal value), stimato pari al flusso di royalties nette a

regime, cioè al termine dell’orizzonte temporale assunto a riferimento,

considerato nella sua perpetuità e quindi attualizzato alla data di valutazione

Il metodo in questione, proprio per le sue caratteristiche particolari, viene

usualmente collocato sulla linea di frontiera tra l’approccio reddituale e l’approccio di

mercato: del primo sfrutta la logica di attualizzazione di reddituali o finanziari futuri,

mentre fa riferimento al secondo nel momento in cui vengono tratte informazioni

rilevanti per la conduzione dell’analisi dall’osservazione del mercato e dell’ambiente

competitivo, come succede per l’individuazione dei tassi di royalties più opportuni.

3.3.2.3 - Il metodo del costo della perdita

Il metodo del costo della perdita, benché per certi versi distante dai normali

metodi economico-finanziari di stima del valore di un intangible, può essere ricondotto

alla macrofamiglia dei criteri di stima reddituali, dal momento che ad esso non è

estranea una logica basata sulla preventiva determinazione di particolari risultati

differenziali – nel caso specifico, come vedremo di seguito, non più realizzabili – che

andrebbero, quindi, perduti se l’impresa si vedesse privata del bene immateriale275. Da

un certo punto di vista, dunque, il metodo del costo della perdita richiama l’iter logico

della tecnica di valutazione della esenzione da royalty ma, a nostro modo di vedere, si

collega in maniera più stretta alla determinazione assicurativa dell’eventuale danno

derivante da interruzione d’esercizio276.

275 Magari a seguito di una eventuale cessione a terzi o a causa di una ipotetica perdita di disponibilità.276 Cfr. amplius Cacciamani C., Il rischio da interruzione dell’attività di esercizio, Egea, Milano, 2001oppure Forestieri G. (a cura di), La gestione dei rischi di interruzione di attività, Egea, Milano 1999

202

A seguito dell’interruzione del regolare svolgimento dell’attività di un’impresa,

conseguente ad un sinistro o ad altro evento negativo, l’azienda si trova a non poter

portare avanti la normale attività produttiva, non incassando i conseguenti ricavi di

vendita. Nel contempo, sarà necessario sostenere ugualmente i costi operativi che le

normali imprese in funzionamento si trovano a dover affrontare: è possibile ripartire

questi costi in due tipologie, quelli variabili in funzione del volume della produzione e

quelli fissi. I primi, per definizione, non verranno sostenuti – o sostenuti solo in parte –

a seguito del fermo produttivo, mentre i secondi dovranno essere comunque spesati a

conto economico. Proprio al fine di far fronte all’evidente rischio di tensioni finanziarie

derivanti da questo evento sono state ad uopo predisposte polizze assicurative che

indennizzano l’impresa colpita da interruzione dell’attività di esercizio, rimborsandola

in misura pari alla perdita del profitto idealmente ottenuto nel caso di normale

funzionamento dell’azienda.. Nelle forme più evolute e diffuse, la polizza assicurativa

indennizza l’azienda colpita in misura pari al Margine di Contribuzione perso a seguito

del sinistro, aumentato degli eventuali extracosti sostenuti dall’azienda al fine di

riprendere l’attività produttiva o per svolgere la stessa in sedi diverse da quelle colpite

da sinistro, per mezzo di modalità temporanee ed alternative.

La stessa logica sembra, a nostro avviso, sottostare al metodo del costo della

perdita: se si parte dall’evidenza che molte delle attività immateriali di marketing e

dell’area R&S possiedono una forte valenza strategica ai fini del posizionamento

competitivo dell’impresa, appare evidente il pregiudizio – il danno, appunto – che

questa potrebbe subire, in termini di caduta delle vendite e dei margini di profitto, in

concomitanza con la perdita di tali intangibles, senza considerare i probabili costi

addizionali che la stessa dovrebbe sostenere per disporre nuovamente di un intangible di

equivalente efficacia.

In sede operativa, il costo della perdita può essere identificato nel valore attuale

dei margini complessivi futuri andati perduti a seguito dell’assenza dell’intangible

oggetto di valutazione, stimati sulla base dell’analisi differenziale e relativi ad un arco

temporale generalmente pari al periodo idealmente necessario per la ricostituzione di

risorse immateriali capaci di rimpiazzare il bene la cui disponibilità è andata perduta.

Proprio nella fase di concreta determinazione di questi flussi e del possibile

tempo di rimpiazzo, il metodo del costo della perdita mostra chiaramente i suoi legami

203

coi procedimenti esposti in precedenza: è evidente il collegamento con il metodo

reddituale nel momento della valutazione dei flussi futuri andati perduti in un’ottica

differenziale; è altrettanto evidente la connessione con il metodo del costo di rimpiazzo

nel momento in cui risulti necessario stabilire il quantitativo e la tempistica degli

eventuali investimenti addizionali resi necessari dalla volontà di sostituire il bene andato

perduto con uno di pari utilità. Proprio questa pluralità di riferimenti che pone il metodo

in analisi leggermente al di fuori delle classificazioni precedenti, rende il procedimento

stesso un ottimo corredo e controllo per l’affidabilità e la congruità delle stime ottenute

per mezzo dell’applicazione degli altri metodi alternativi: si deve sottolineare, infatti,

come il valore economico dell’intangibile determinato per mezzo del costo della perdita

si vada a configurare come una grandezza soglia inferiore (floor-price), essendo

irrazionale l’ipotesi che la parte venditrice sia disposta a trasferire il bene ad un prezzo

inferiore al valore del danno complessivo che la stessa andrebbe a subire a seguito

dell’ipotizzata operazione di cessione277. Proprio per la base concettuale che fa da

sostrato al metodo in analisi, il valore ottenuto da questo procedimento valutativo può

anche essere una buona approssimazione del danno che l’impresa subirebbe nel caso in

cui conoscenze riservate, coperte da segreto aziendale o tutelate per mezzo di strumenti

legali, diventassero di dominio pubblico, facendo venire meno quel vantaggio

competitivo in precedenza donato all’azienda.

Come evidenziato nella tabella proposta in seguito, i margini differenziali da

rilevare sono espressione di un duplice ordine di fattori: in primo luogo, della caduta del

margine di contribuzione aziendale, talvolta corretta per tenere conto dei risparmi di

costo ottenibili in alcune categorie di spese indirette e fisse; in secondo luogo, degli

eventuali costi incrementali che si dovrebbero sostenere al fine di ricostituire le

condizioni di competitività dell’impresa preesistenti alla perdita dell’intangibile. Si

tratta dunque, come già evidenziato in merito al procedimento basato sul costo di

rimpiazzo, di stimare gli investimenti, gli oneri connessi e la relativa tempistica

necessari per riprodurre un bene immateriale di efficacia equivalente a quello

perduto278.

277 A meno che la parte venditrice non si trovi nella assoluta necessità di liquidare il bene immateriale aseguito di difficoltà aziendali o situazioni contingenti.278 Il metodo in esame postula implicitamente un comportamento reattivo da parte del management,tenendo conto degli eventuali interventi indispensabili per rilanciare l’azienda a seguito della perditasubita.

204

Tale aspetto e il fatto che il metodo qui analizzato si configuri come una

combinazione di due metodi analizzati in precedenza, sono sicuramente i tratti distintivi

del procedimento di valutazione di un intangible basato sul costo della perdita. In

riferimento a quanto sostenuto in precedenza in merito al collegamento tra questo

metodo e la determinazione del danno derivante dall’interruzione dell’attività di

esercizio, è necessario evidenziare come la perdita di disponibilità di un bene

immateriale possa essere sostanzialmente equiparata ad un fermo parziale di attività: i

normali cicli aziendali, infatti, anche in assenza dell’attività immateriale possono

continuare, producendo i relativi flussi economici279 evidenziando però una perdita in

termini differenziali rispetto a quanto si sarebbe ottenuto in condizioni normali.

Situazione simile si verificherebbe nel caso in cui, a seguito di un sinistro, si verificasse

un fermo parziale di attività, senza che questo comprometta l’intero svolgimento della

normale attività aziendale.

Va inoltre precisato come il metodo qui esaminato, sebbene condivisibile dal

punto di vista concettuale, risulti spesso di non agevole applicazione soprattutto a

seguito della mancanza della disponibilità di tutte le informazioni rilevanti al fine della

puntuale determinazione dei flussi da considerare nel procedimento di attualizzazione.

3.3.3 – L’approccio di mercato

279 A meno di casi eccezionali in cui la perdita di un intangible non permetta la continuazionedell’attività.

Perdita di margine di contribuzione(–)

Riduzione eventuale di costi fissi(+)

Investimento addizionale per laricostituzione della risorsa immateriale

(–)perduta

Figura 15 - Determinazione del margine differenziale complessivo

205

Il criterio in esame mira a rilevare il valore attuale dell’utilità futura attesa da un

bene attraverso il giudizio prevalente sul mercato circa il valore – prezzo – di attività

simili, oggetto di recenti negoziazioni. Tale definizione, permette di evidenziare

immediatamente i requisiti fondamentali su cui si fonda l’attendibilità stessa del metodo

che, come spesso accade, rappresentano tanto i punti di forza quanto i principali punti di

debolezza del metodo.

Il metodo in questione, infatti, risulta un tecnica applicabile ed affidabile quando

si disponga di mercati di riferimento attivi, vale a dire caratterizzati da transazioni

frequenti e possibilmente continue; trasparenti, al fine di rendere pubblicamente

disponibili i prezzi negoziati al loro interno, esplicitandone tanto l’ammontare quanto le

modalità di affermazione; ed infine aventi ad oggetto transazioni riguardanti beni

confrontabili con quello oggetto di valutazione, tanto in termini di caratteristiche

intrinseche al bene quanto di tempistica di rilevazione: transazioni che rispondano a tutti

i requisiti proposti ma che si riferiscano a periodi nei quali le condizioni del mercato

stesso erano diverse, non potrebbero essere considerati significativi del reale valore del

bene alla data di valutazione. Nel caso in cui il grado confrontabilità non fosse

adeguato, chi è preposto alla valutazione dovrà tenerne conto attraverso l’assunzione di

idonei correttivi che permettano di rimuovere le cause della discrepanza individuata.

Classico è il caso in cui i prezzi si siano venuti a formare in periodi tanto lontani nel

tempo da richiedere un aggiornamento del prezzo stesso sulla base di opportuni indici di

adeguamento monetario.

Come accennato in precedenza, i requisiti menzionati non sono facilmente

riscontrabili, soprattutto in contesti ambientali – quali quello italiano – nei quali le

transazioni di aziende, di rami d’aziende e di singole attività non si presentano ancora

con frequenza e comunque tutt’altro che all’insegna della trasparenza. I beni immateriali

di proprietà di aziende partecipanti ad operazioni di scambio presentano spesso

specificità tanto spiccate da risultare pressoché irripetibili, tanto da rendere impossibile

l’individuazione di un campione di beni e transazioni simili sulla base del quale

impostare quel confronto che è alla base stessa del metodo di stima in esame. Molto

spesso, poi, la valutazione dei beni in questione viene inficiata dal fatto che questi

vengono considerati non tanto nella loro singolarità ma anche in funzione delle possibili

sinergie che sprigioneranno all’interno dell’azienda di cui andranno a far parte: in tal

206

senso, risulta ancora più difficile distinguere all’interno dei valori evidenziati quella

parte che è frutto di sinergie e valutazioni soggettive da quella inerente la

considerazione del bene immateriale in un’ottica stand-alone.

In funzione delle considerazioni effettuate risultano evidenti le difficoltà applicative che

questo metodo incontra nell’ambito della valutazione di beni immateriali di scarsa

omogeneità e suscettibili di grande variabilità, quali quelli riconducibili al marketing e

all’area tecnico-scientifica. Va sottolineato, per contro, che il procedimento in esame

incontra maggior fortuna con riferimento alla valutazione di alcuni elementi immateriali

– spesso di difficile separabilità dal restante complesso aziendale – tipici delle imprese

che operano nel ramo del terziario avanzato e dei servizi finanziari. L’apprezzamento di

tali intangibles avviene, in un’ottica sostanzialmente patrimoniale, sulla base di

indicatori empirici, spesso espressi nella forma di coefficienti moltiplicativi, applicati a

grandezze di Stato Patrimoniale o di Conto Economico idealmente segnaletiche della

rilevanza assunta all’interno dell’unitario contesto aziendale dall’intangible oggetto di

valutazione. Tali indicatori vengono spesso desunti da giudizi e consuetudini di mercato

o dalla traduzione in termini quantitativi di nozioni teoriche e qualitative, frutto

dell’osservazione empirica della situazione intra ed extra aziendale. In questi indicatori

convergono in via sintetica diverse tipologie di considerazioni, legate alla redditività

potenziale del bene, al suo livello di rischio, alla situazione del settore, passibili di

rapide variazioni in funzione della situazione economica generale e della situazione

delle singola impresa a cui l’attività appartiene.

Nel paragrafo successivo, analizzeremo alcuni dei casi più comuni in cui questa

metodologia di valutazione è adottata , ad esempio in occasione della stima del valore

della raccolta o della massa amministrata nelle aziende ci credito, oppure del valore del

portafoglio premi nelle compagnie di assicurazione o delle testate giornalistiche nel

campo dell’editoria.

3.3.3.1 - Il metodo dei moltiplicatori

Come affermato in precedenza, la mancanza di un generale accordo tra gli

analisti, al fine di adottare un’unica soluzione valutativa per i beni immateriali, ha

portato alla proliferazione dei metodi ritenuti di volta in volta più opportuni: se alcuni di

207

questi hanno un importante fondamento logico, altri appaiono più che altro il risultato di

osservazioni empiriche, nascendo dall’osservazione e dalla valutazione dei

comportamenti negoziali degli operatori d’impresa che concretamente hanno a che fare

con le attività immateriali oggetto di valutazione. Tra questi metodi, per così dire

“empirici”, spicca quello dei moltiplicatori

Questo metodo consiste nell’applicazione di determinati moltiplicatori –

coefficienti moltiplicativi dedotti dall’osservazione del mercato – a varie grandezze, di

rilevanza più o meno contabile. Talora, come vedremo di seguito, il metodo si articola

anche sulla considerazione di più grandezze contabili, legate tra loro da formule

elementari, al fine di considerare due o più variabili nella determinazione del valore

dell’intangible.

Non essendo possibile un’adeguata trattazione teorica del metodo in analisi,

frutto, come affermato in precedenza, dell’osservazione del mercato in cui gli

intangibles sono inseriti, riteniamo opportuno proporre alcuni casi concreti in cui il

metodo dei moltiplicatori ha trovato applicazione e generale consenso. Questo, al fine di

enucleare le varie ipotesi su cui esso si basa e nel contempo di spiegare come

concretamente viene applicato.

a. Il valore della raccolta nelle banche

Il caso storicamente più noto di stima con moltiplicatori del valore di beni

immateriali è rappresentato in Italia, e non solo, dal “valore della raccolta” della aziende

di credito, talvolta denominato anche “avviamento sui depositi”. In questo caso,

l’obiettivo è determinare, oltre al valore nominale delle consistenze della raccolta

bancaria, quel plusvalore riconoscibile alla stessa in funzione della particolare tipologia

di rapporti fiduciari che vengono ad instaurarsi tra risparmiatore e banca depositaria.

In concreto, l’osservazione del mercato delle fusioni e acquisizioni bancarie –

molto attivo in questi ultimi anni – ha portato all’attribuzione, più o meno esplicita, alla

“raccolta” delle banche di determinati valori, compresi generalmente in un range di

prezzo, espressi appunto da questi moltiplicatori, da applicare alla raccolta nel suo

insieme o distinta per classi.

Storicamente, la stima è concretamente basata sull’elementare formula:

208

tt DcW ⋅=

dove

Wt = valore della raccolta al tempo t della valutazione

Dt = consistenza, al momento della valutazione, della raccolta ordinaria da

clienti

c = moltiplicatore da applicare al valore della raccolta, generalmente compreso

tra il 6% ed il 15%

In tempi più recenti, l’affermazione di forme di raccolta cosiddetta “indiretta”,

cioè in stretta relazione alla gestione dei titoli e dei patrimoni di liquidità della clientela,

ha comportato la necessità di tenere in considerazione questa nuova forma di raccolta,

valutando separatamente le due tipologie, applicando alle stesse due moltiplicatori

diversi in quanto a valore. Come vedremo di seguito nella formula, il valore del

moltiplicatore relativo alla raccolta indiretta è minor di quello relativo alla raccolta

diretta per una maggiore instabilità connaturata al primo tipo di raccolta, in relazione al

fatto che questa è maggiormente dipendente dai risultati ottenuti dalle gestioni più che

dall’effettivo rapporto fiduciario tra depositario e banca Di conseguenza, la formula

proposta in precedenza viene riespressa come:

id DcDcW ⋅+⋅= 21

dove

W = valore della raccolta diretta e indiretta

Dd = raccolta ordinaria da clienti (raccolta diretta)

Di = raccolta in diretta (corrispondente al valore dei titoli e della liquidità

amministrata)

c1 = moltiplicatore da applicare alla raccolta diretta (6% ≤ c1 ≤ 15%)

c2 = moltiplicatore da applicare alla raccolta indiretta (1%≤ c2 ≤ 3%)280

280 Anche a livello concettuale, risulta evidente che il moltiplicatore da applicare alla raccolta indirettanon potrà che essere minore rispetto a quello da riferire alla raccolta diretta; in quest’ultima, infatti, spiccamaggiormente la componente di fiducia intrinseca nel rapporto bancario, mentre nella prima prevale, piùche il rapporto fiduciario, l’effettivo compimento del mandato di investimento ed il successo redditualedegli investimenti finanziari intrapresi. Risulta, di conseguenza, maggiormente voltatile e soggetta acambiamenti la clientela che alimenta la raccolta indiretta, in quanto maggiormente sensibile ai risultati

209

Come affermato in precedenza, il riferimento ai moltiplicatori nelle varie

trattative di compravendita avvenute negli anni più recenti può essere esplicito od

implicito. Nel primo caso, all’interno della negoziazione è stata definita e comunicata

all’esterno, o comunque resa nota in maniera più o meno formalizzata a livello

contrattuale, una determinata percentuale da applicare alla consistenza della raccolta.

Nel secondo, invece, il procedimento viene comunque svolto tramite l’individuazione di

un opportuno moltiplicatore, seppur non comunicato all’esterno a soggetti terzi. Proprio

per il fatto che le percentuali adottate non hanno una significativa base logica ma sono

estrapolate dall’osservazione dei comportamenti di mercato del periodo, queste non

possono che essere valide pro-tempore, discutibili non tanto sul piano logico ma

piuttosto sulla significatività delle operazione per mezzo delle quali è resa possibile la

loro osservazione. E’ necessario, in tal senso, verificare l’effettiva rappresentatività

delle negoziazioni oggetto di analisi e la loro conclusione positiva, indice della

congruità della valutazione in sede di pattuizioni contrattuali. Valori che scaturiscano da

una o pochissime negoziazioni, magari caratterizzate da particolari specificità inerenti

aziende coinvolte o il contesto competitivo di riferimento, non potrebbero essere

considerate rilevanti in sede di formazione del campione per lo svolgimento

dell’effettiva valutazione.

Nel contempo, pur in presenza di un campione ampio, omogeneo e

rappresentativo delle reali condizioni di mercato, il processo di individuazione di questi

valori, muovendo dall’osservazione della concreta realtà delle negoziazioni svolte

presenta alcuni punti deboli. Innanzitutto, generalmente le compravendite dalle quali si

trae spunto per l’apprezzamento di questi moltiplicatori riguardano pacchetti di

controllo delle aziende oggetto di trattativa: se già il rischio di rendere eccessivamente

soggettiva la valutazione è presente in maniera rilevante nell’ambito

dell’apprezzamento del valore di un’attività materiale, questo non può che essere

accresciuto dalla necessità di estrapolare all’interno dei prezzi di vendita anche il

corrispettivo per il premio di controllo riconosciuto alla proprietà dell’impresa

acquisita. Spesso, quindi, all’interno delle varie negoziazioni non sono ben distinguibili

le varie componenti del prezzo di vendita. In secondo luogo, i valori borsistici, sulla

degli specifici investimenti: di conseguenza, il valore del moltiplicatore a questa relativo non potrà che

210

base dei quali vengono generalmente condotte queste trattative, spesso non sono

espressivi del reale valore delle aziende oggetto di compravendita, non tenendo in

adeguata considerazione il contributo alla redditività aziendale fornito dalle risorse

intangibili. Da ultimo, questa pratica non è applicata in maniera frequente nei paesi

diversi dall’Italia281, comportando la mancanza di dati esterni al sistema economico

italiano che possano fornire un maggior grado di accuratezza alle stime di questi

moltiplicatori. La stessa formazione del campione sulla base del quale vengono tratte le

conclusioni in merito al valore da attribuire ai moltiplicatori presenta rilevanti

particolarità: in primis, bisogna verificare l’effettiva comparabilità delle aziende ad esso

appartenenti in termini di area nella quale la banca opera, di caratteristiche dei

depositi282, di efficienza della rete degli sportelli – tanto nella raccolta quanto

nell’investimento -, di forbice tra tassi attivi e passivi, di qualità dei servizi resi

all’impresa e di tutte quelle variabili che sembrano appartenere più alle mere

caratteristiche tecniche della singola banca che non essere in stretta relazione con il

valore dei depositi. In secondo luogo, una volta individuato il range più opportuno

all’interno del quale inserire il moltiplicatore, è altrettanto necessario basare la propria

analisi sulle stesse variabili al fine di segnalare puntualmente quale sia il valore più

opportuno da attribuire al singolo caso concreto di valutazione. E’ evidente, quindi, il

maggior grado di soggettività connaturato a questa modalità di stima di un particolare

intangible, rappresentato dal valore della raccolta bancaria: nel contempo, d’altra parte,

la mancanza di criteri di stima alternativi non offre margini di manovra per l’adozione

di diverse e più attendibili metodologie di stima.

Sempre rimanendo nel campo dei servizi finanziari, si registrano ulteriori esempi

di valorizzazione della raccolta quale bene immateriale, soprattutto nei casi di società di

gestione di fondi d’investimento, di società di gestione patrimoniale o di società di

distribuzione di prodotti finanziari al pubblico (“reti” distributive). Nei primi due casi il

valore della raccolta è usualmente espresso, come già nel caso precedente, tramite

l’applicazione di un moltiplicatore c alla consistenza stabilmente raccolta raggiunta

essere basso.281 Sebbene non sia correntemente applicata nei paesi diversi dall’Italia, questo metodo non èsconosciuto: prova ne è la pubblicazione di alcuni libri a riguardo, nei quali si identificano i “coredeposits as a special type of intangible asset valutation”. Cfr. Miller W.D., Commercial Bank Valuation,Wiley, 1995, pp.216.282 In termini di stabilità della raccolta, del loro costo, di eventuali tendenze evolutive riscontrabili.

211

all’istante della valutazione od in un dato periodo. In Italia, tale moltiplicatore viene

generalmente ricompreso tra il 2% e il 3%; per lo società di distribuzione di prodotti

finanziari, il coefficiente c viene considerato variabile tra il 4% e il 5%. D’altra parte, a

riguardo, gli esempi concreti non sono molto frequenti ed i valori riportati sono frutto di

un campione troppo ristretto affinché questi possano rappresentare indicazioni affidabili

e generali. Le misure indicate, ovviamente, si riferiscono a società che abbiano già

raggiunto un discreto grado di sviluppo e consolidato buoni rapporti con la clientela,

ossia che abbiano superato la fase iniziale di avviamento dell’attività e operino con

adeguata continuità sul mercato.

b. Il valore del portafoglio premi in un compagnia di assicurazione

Un altro esempio classico della valutazione di un intangible per mezzo

dell’utilizzo di moltiplicatori è rappresentato dalla stima del valore del portafoglio

premi di una compagnia di assicurazione. Nell’esperienza italiana, soprattutto a partire

dagli anni ’70, il valore di questo intangible era espresso attraverso una serie di

moltiplicatori applicati alle varie categorie di premi direttamente acquisiti ed ai premi

indiretti. Di seguito riportiamo una tabella con i principali valori utilizzati in sede di

valutazione:

Tabella 8 - Esemplificazione di alcuni coefficienti applicati nel corso degli anni '80

Rami Moltiplicatori(in % dei premi annui) – anni

‘90

Moltiplicatori(in % dei premi annui) –

fine anni ‘90Infortuni 50 40 – 70

R.C. Auto 25 20 – 70

Incendio 60 40 – 70

R.C. Diversi 10 40 – 70

Cauzioni 20 40 – 70

Furto 40 40 – 70

Altri rami 10 40 – 70

Ramo Vita 100-200 75 – 150

212

I moltiplicatori evidenziati vengono generalmente applicati all’importo dei

premi dell’ultimo anno o eventualmente, se prevedibile in maniera precisa, in funzione

dei premi di competenza dell’anno in corso. Nel contempo, però, la stima del valore del

portafoglio premi presenta margini di incertezza ancora maggiori di quelli riferibili alla

valutazione della raccolta bancaria, come proposta in precedenza: i valori evidenziati in

tabella, difatti, sono estremamente variabili in funzione del contesto di mercato e delle

specificità operative della singola compagnia assicurativa. Si noti, infatti, come

all’inizio degli anni ’90, in un contesto di mercato stabile e piuttosto statico, i valori

venissero individuati in maniera sostanzialmente puntuali: alla fine del decennio,

invece, gli stessi vengono meglio evidenziati tramite la definizione di un range

opportuno, con valori generalmente più bassi di quelli adottati in precedenza, anche in

funzione di un contesto concorrenziale molto più dinamico e della maggiore facilità con

cui i consumatori sono in grado di cambiare compagnia assicurativa.

Negli anni più recenti, si sono diffuse altre metodologie valutative, relative

principalmente ai rami vita delle varie compagnie di assicurazioni, distinte in “stime a

portafoglio chiuso” (EV, Embedded Value) – in relazione al portafoglio già acquisito – e

“stime a portafoglio aperto” (Av, Appraisal Value) – in relazione ai premi

ragionevolmente incassabili in futuro. La prima metodologia di stima è basata sui

classici moltiplicatori del ramo vita al portafoglio premi già in essere alla data della

valutazione, mentre la seconda considera in aggiunta alla stessa anche la nuova

produzione annua che la rete di vendita dovrebbe essere ragionevolmente capace di

realizzare, generalmente considerando un moltiplicatore da 4 a 8 volte la raccolta media

annua attesa.

Recentemente, però, alla tecnica di stima degli intangibles a mezzo di

moltiplicatori di mercato, si è gradualmente affiancato il criterio attuariale, inteso come

attualizzazione dei profitti futuri compresi nei contratti assicurativi in essere.

c. La valutazione di “testate” editoriali

La valutazione delle testate di giornali e periodici all’interno delle aziende

editoriali rappresenta uno dei più comuni casi di utilizzo di moltiplicatori all’interno di

213

una formula che si basa su una pluralità di variabili. L’importanza di quel bene

immateriale che è la testata di un giornale si basa sul presupposto che il suo valore non

si limiti al semplice risvolto economico ma sia legato anche al “fattore influenza” che

affida alla testata la capacità di influire sull’opinione pubblica, soprattutto in campo

politico e sociale, aumentando la notorietà della stessa e l’interesse del pubblico e della

società nei suoi confronti. In secondo luogo, l’affermazione e l’ampia diffusione di una

testata comporta il sostenimento di determinati costi e investimenti che permettano

l’effettivo aumento della sua importanza, controbilanciati in un secondo momento

dall’aumento dei ricavi derivanti tanto dalle semplici vendite dei giornali, quanto dagli

introiti pubblicitari. Proprio queste, infatti, sono le variabili considerate all’interno della

formula valutativa:

cRPbPbaFV −++= 2211

dove

F = fatturato medio annuo derivante dalla vendita di giornali

P1 = fatturato medio annuo derivante dalla pubblicità locale

P2 = fatturato medio annuo derivante dalla pubblicità nazionale

R = livello medio delle perdite operative annuali

Nella concreta esperienza relativa al contesto italiano, i parametri sono stati

assunti come segue:

a = 1

b1 = da 2 a 3

b2 = da 1 a 2

c = da 3 a 5

214

3.5 - CONCLUSIONI

Dopo aver analizzato le fasi che compongono il processo di valutazione delle

attività immateriali ed i relativi criteri oggetto di generale accettazione, nel presente

paragrafo si vogliono trarre alcune conclusioni in merito a quanto presentato sin qui.

Come più volte ribadito nel corso del capitolo, non esiste una chiara

associazione tra metodi di valutazione e tipologie di attività. Generalmente la scelta

dell’una o delle altre è riconducibile a molteplici variabili, tra le quali il set informativo

di riferimento e le finalità della valutazione. Di conseguenza, ne deriva che solamente

l’esperienza pratica del singolo soggetto preposto alla valutazione potrà permettere una

scelta metodologica consapevole. Nella tabella presentata di seguito si evidenziano le

principali associazioni tra tipologie di intangibles e metodi di valutazione. Si può notare

come il metodo di più generale accettazione sia quello riconducibile all’attualizzazione

di flussi futuri, seguito da quello del costo, per i motivi già evidenziati in precedenza: il

primo è contraddistinto da una maggior precisione ma richiede anche un bagaglio

informativo più particolareggiato e puntuale; il secondo è meno pretenzioso in termini

di informazioni richieste ma si presenta anche meno attendibile perché derivante da

un’ottica backward looking, in ipotesi di costanza della situazione dell’ambiente di

riferimento dell’azienda.

Questa generale incertezza associata al procedimento di valutazione non può,

però, far venir meno la necessità di condurre appropriate e precise valutazioni

periodiche del patrimonio intangibile dell’azienda: componente imprescindibile, difatti,

di una corretta gestione delle risorse immateriali è la loro misurazione, senza la quale si

rischia di rimanere nell’ambito della semplice percezione del loro valore. La

misurazione delle attività immateriali, inoltre, diventa necessaria nei momenti

evidenziati nel paragrafo relativo alle finalità della valutazione: in questi casi, infatti, un

corretto apprezzamento del valore del patrimonio intangibile di pertinenza dell’azienda

risulta fondamentale per il perseguimento degli obiettivi evidenziati. Anche all’interno

dei periodi in cui non si vedono all’orizzonte operazione di gestione straordinaria, però,

risulta sempre più necessario fornire periodiche stime in merito al patrimonio

intangibile dell’azienda: tanto con finalità informative esterne, quanto ai fini del

controllo di gestione interno.

215

Tabella 9 – Tabella riassuntiva: beni intangibili e modalità di valutazione283

283 Ns. elaborazioni da Perfumo S., Luison C., La misurazione quale componente indispensabile per lagestione delle risorse immateriali, in La valutazione delle aziende, n. 23

216

Soprattutto le imprese più innovative, che della ricerca e della tecnologia fanno

il loro punto forza, o le imprese che possono vantare il possesso di un marchio forte e

conosciuto, dovrebbero avvertire l’esigenza di non ridurre la quantificazione del valore

di questi intangibles a meri dati contabili. L’apprezzamento da parte dei soggetti esterni

del reale valore di queste attività non può che giovare all’apprezzamento della più

generale redditività d’impresa, come evidenziato in questo capitolo: a nostro avviso,

quindi, i benefici derivanti dalla puntuale valorizzazione del patrimonio intangibile, non

potranno che risultare superiore ai costi necessari per reperire ed elaborare le

informazioni strumentali al calcolo in questione. Anche nell’ottica dei nuovi principi

contabili IAS, inoltre, come evidenziato nel capitolo precedente, risulta sempre più

stringente l’obbligo di fornire periodiche stime del reale valore di questi beni, anche ai

fini di adempimento di obblighi contabili. In tal senso ci auguriamo che l’adozione in

via obbligatoria di questi principi possa portare ad una maggiore attenzione nei

confronti di una classe di attività troppo spesso trascurata ma sovente portatrice di un

ruolo fondamentale all’interno dell’economicità aziendale.

217

CAPITOLO IVImmobilizzazioni immateriali ed intangible assets:

evidenze empiriche

Il quarto capitolo è interamente dedicato all’analisi delle prove empiriche a

supporto di quanto discusso nei capitoli precedenti. Per prima cosa, infatti, abbiamo

condotto un’analisi che ha coinvolto le 40 società appartenenti all’indice S&P/MIB, al

fine di analizzare il peso delle attività immateriali rispetto all’attivo di bilancio e

rispetto al capitale netto delle imprese stesse: due indicatori che permettono

l’evidenziazione in prima approssimazione dell’importanza degli intangible assets per

le aziende analizzate. Secondariamente, abbiamo voluto evidenziare il possibile impatto

dei nuovi principi contabili analizzati all’interno del secondo capitolo: l’eliminazione

dell’ammortamento sistematico per le attività immateriali a durata indefinita comporta

l’eliminazione di un componente negativo di reddito a conto economico, provocando un

aumento dell’utile delle società che mettono in pratica questo mutamento di prassi

contabile: abbiamo quindi tentato di quantificare l’entità di questo cambiamento. Da

ultimo, per concludere, abbiamo analizzato il caso di BasicNet S.p.A.: azienda,

appartenente al gruppo Basic, operante all’interno del settore dell’abbigliamento

sportivo e per il tempo libero, che fonda il proprio stesso business sulla gestione

strategica e sulla valorizzazione di intangible assets quali i marchi di proprietà. Nel

febbraio 2004, l’azienda oggetto di analisi è stata protagonista dell’acquisizione del

marchio K-Way: l’operazione ha riguardato solo l’attivo intangibile del marchio, senza

coinvolgere nessun tipo di attività o passività materiale. Dopo aver, quindi, delineato la

struttura del gruppo e le caratteristiche principali del business dell’azienda abbiamo

descritto l’operazione nei suoi particolari, evidenziandone l’impatto strategico e le

operazioni condotte dal gruppo in momenti successivi ma ad essa collegate. Da ultimo,

abbiamo commentato le reazioni degli operatori di Borsa – BasicNet S.p.A. è un società

quotata sul Mercato Telematico Azionario – alla acquisizione e alle operazioni ad esse

relative, evidenziando l’apprezzamento dimostrato dagli operatori stessi, testimoniato

da consistenti rialzi dei corsi azionari in corrispondenza delle date di effettuazione

delle operazioni oggetto di analisi.

218

219

4.1 – L’INDICE S&P/MIB E LE SUE COMPONENTS

L’indice S&P/MIB è il nuovo indicatore recentemente proposto da Borsa

Italiana al fine di rappresentare più efficacemente l’insieme delle società quotate in

Italia, migliorando la rappresentatività settoriale e aumentando la visibilità del nostro

mercato a livello internazionale. In concreto, l’indice oggetto di analisi, andrà a

sostituire per importanza e per ruolo di sottostante su molteplici contratti derivati,

l’indice MIB 30.

Le società componenti l’indice S&P/MIB vengono selezionate attraverso una

rigorosa analisi dell’universo azionario italiano da parte dell’Index Committee, in base

ai seguenti criteri generali:

Rappresentazione settoriale: l’obiettivo è selezionare i titoli più liquidi e

rappresentativi dei vari settori, classificando ogni società secondo la sua

primaria attività aziendale, nel rispetto della metodologia GICS284;

Liquidità: le azioni vengono classificate in base alla liquidità, calcolata

considerando il controvalore negoziato nei 6 mesi precedenti, il flottante,

nonché il numero di giorni di negoziazione;

Free Float (capitalizzazione del flottante): per tenere in considerazione le sole

azioni effettivamente disponibili agli investitori, vengono normalmente inclusi

nell’indice i soli titoli con un IWF (Investible Weight Factor) maggiore del

25%. L’IWF viene calcolato escludendo tutti gli azionisti ed i patti di

sindacato superiori al 5% ad eccezione di fondi comuni e SICAV. La

ponderazione delle società componenti il paniere S&P/MIB viene calcolata

sulla base del suddetto IWF.

284 Lo standard di classificazione GICS (Global Industry Classification Standard) – sviluppato daStandard & Poor’s e Morgan Stanley Capital International (MSCI) – è stato creato per soddisfarel’esigenza della comunità finanziaria internazionale di una metodologia globalmente riconosciuta per laclassificazione settoriale delle società quotate. Tale standard è stato rapidamente accettato in tutto ilmondo e il suo utilizzo nell’ S&P/MIB consente agli investitori un’accurata comparazione delleperformance degli indici italiani con gli altri indici mondiali. Oltre che all’indice, la classificazione GICSviene applicata anche all’intero mercato azionario italiano. In concreto, l’approccio GICS prevede lasuddivisione delle società secondo la loro principale attività, normalmente identificata sulla base dellaprevalenza di fatturato, con classificazione iniziale e revisioni annuali da parte di S&P e MSCI. Lastruttura di classificazione comprende livelli successivi di approfondimenti, riflessi, a conclusione delprocesso, in un codice numerico a 8 cifre.

220

Revisioni periodiche: l’indice e la sua composizione vengono aggiornati per

mezzo di revisioni periodiche.

Introduciamo di seguito le principali differenze tra MIB30 e S&P/MIB, anche al

fine di meglio individuare le caratteristiche di quest’ultimo indice:

Tabella 10 - Principali differenze tra MIB 30 e S&P/MIB; fonte: Borsa Italiana S.p.A.

Caratteristiche MIB30 S&P/MIB

Paniere 30 titoli 40 titoli, con facoltà – amarzo di ogni anno – di

ampliare /ridurre ilpaniere

Componenti Società quotate in Borsa(incluse società di diritto

estero)

Società quotate inqualsiasi mercato di

Borsa Italiana, inclusesocietà di diritto estero

Criteri di selezione eponderazione

Capitalizzazione eliquidità (ILC: Indice di

Liquidità eCapitalizzazione)

Classificazione settoriale

Capitalizzazione dimercato float adjusted

LiquiditàRevisioni annuali 2 revisioni dei

componenti e dei pesi(marzo e settembre)

Revisioni straordinarieper eventi societari

2 revisioni deicomponenti (marzo e

settembre)

4 revisioni dei pesi(marzo, giugno,

settembre, dicembre)

Revisioni straordinarieper eventi societari

Gestione dell’indice Borsa Italiana Index Committee (3membri di S&P, 2membri di BorsaItaliana, riunioni

mensili)

Introduciamo di seguito l’elenco delle società componenti l’indice alla data del 1

agosto 2004, con il relativo settore di appartenenza; società che poi prenderemo

221

singolarmente in considerazione, fornendo una sintetica descrizione delle stesse e della

loro attività

Tabella 11 - Le società componenti l'indice S&P/MIB alla data del 1 Agosto 2004; fonte: BorsaItaliana S.p.A.

Società Settore GICS

Alleanza Assicurazioni Financials (Insurance)Assicurazioni Generali Financials (Insurance)

Autogrill Consumer DiscretionaryAutostrade Industrials

Banca Antonveneta Financials (Banking)Banca Fideuram Financials (Banking)

Banca Intesa Financials (Banking)Banca Monte dei Paschi Financials (Banking)

Banca Nazionale del Lavoro – BNL Financials (Banking)Banca Popolare di Milano Financials (Banking)

Banche Popolari Unite Financials (Banking)Banco Pop. Verona e Novara Financials (Banking)

Benetton Group Consumer DiscretionaryBulgari Consumer Discretionary

Capitalia Financials (Banking)E. Biscom Telecommunication Services

Edison IndustrialsENEL UtilitiesENI EnergyFIAT Consumer Discretionary

Finmeccanica IndustrialsFondiaria SAI Financials (Insurance)

Gruppo Editoriale l’Espresso Consumer DiscretionaryItalcementi MaterialsLuxottica Consumer DiscretionaryMediaset Consumer Discretionary

Mediobanca Financials (Banking)Mediolanum Financials (Banking)Mondadori Consumer DiscretionaryPirelli & C. Industrials

RAS Financials (Insurance)RCS Mediagroup Consumer DiscretionarySan Paolo – IMI Financials (Banking)

Seat Pagine Gialle Consumer DiscretionarySnam Rete Gas Utilities

ST Microelectronics Information Technology

222

Telecom Italia Telecommunication ServicesTelecom Italia Mobile – TIM Telecommunication Services

Tiscali Information TechnologyUnicredito Italiano Financials (Banking)

Alleanza Assicurazioni: Alleanza Assicurazioni, società fondata a Genova nel 1898, è

una delle società leader nel mercato Vita, con oltre due milioni di clienti e 4.493 milioni

di euro di premi incassati al 31.12.2003. Uno degli assets fondamentali della

Compagnia è rappresentato dalla capillare rete di vendita degli Agenti: negli ultimi tre

anni, inoltre, per rispondere con efficacia alla crescente richiesta nell’ambito del

Risparmio Gestito, sono stati formati e abilitati oltre 1.000 Promotori Finanziari, in

media uno per ogni punto vendita. Alleanza Assicurazioni è inoltre la Capogruppo di un

network finanziario – assicurativo altamente specializzato in servizi per gli individui e le

famiglie. Oggi il gruppo Alleanza è protagonista nella gestione globale del risparmio

per la soddisfazione dei bisogni di previdenza, protezione e di investimento, completati

da nuovi servizi di bancassurance (tramite Intesa Vita) e conti online (tramite Banca

Generali).

Assicurazioni Generali: Il Gruppo Generali è una delle più importanti realtà assicurative

e finanziarie internazionali. Il Gruppo ha come capofila Assicurazioni Generali S.p.A.,

leader fra le compagnie assicurative, fondata a Trieste nel 1831. Da sempre

caratterizzate da una forte proiezione internazionale e oggi presenti in 40 Paesi, le

Generali hanno consolidato la propria posizione tra i maggiori gruppi assicurativi

mondiali, acquistando una crescente importanza sul mercato europeo occidentale,

principale area di operatività, dove si collocano ai primi posti in Germania, Francia,

Austria, Spagna, Svizzera, nonché in Israele. Nel corso degli ultimi anni, il Gruppo ha

ricostituito una significativa presenza nei Paesi dell’Europa centro orientale e ha

cominciato a svilupparsi nei principali mercati dell’Estremo Oriente. Nell’ultimo

decennio, il Gruppo Generali ha inoltre ampliato il proprio campo d’azione dal business

assicurativo all’intera gamma dei servizi finanziari e di Risparmio Gestito.

Autogrill: Autogrill è il primo operatore al mondo nel settore della ristorazione per chi

viaggia. Con un giro di affari di oltre 3,1 miliardi di Euro nel 2003, i due terzi dei quali

223

realizzati all’estero e la metà negli Stati Uniti, è una delle più importanti multinazionali

italiane. Presente in 14 Paesi con oltre 4.000 punti vendita, il Gruppo opera lungo le

autostrade, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nei centri commerciali e in alcune

città. La ricchezza del portafoglio prodotti e brand, di qualità e notorietà internazionale,

nazionale e locale, è uno dei punti di forza di Autogrill.

Autostrade: Il Gruppo Autostrade gestisce la più estesa rete autostradale in concessione

in Europa, che rappresenta il 61% della rete autostradale italiana a pedaggio e il 18% del

sistema autostradale europeo a pedaggio. Il Gruppo Autostrade è inoltre impegnato

anche in aree di attività collegate al core business: sviluppo internazionale dei parcheggi

e della mobilità urbana, tower management e infomobilità nonché servizi integrati per la

mobilità e la comunicazione.

Banca Antonveneta: Grazie al numero di sportelli, di dipendenti e di clienti, il Gruppo

Banca Antonveneta è uno dei principali gruppi bancari nazionali. Ad un forte

posizionamento competitivo nelle regioni di insediamento tradizionali, quali Veneto e

Friuli, il Gruppo associa un’ampia copertura nazionale, realizzata principalmente

attraverso l’acquisizione di una serie di realtà locali. Il Gruppo offre prodotti e servizi di

banca tradizionale, opera nell’attività di Private Banking e nel settore della gestione del

risparmio e distribuisce prodotti assicurativi, sia vita che danni.

Banca Fideuram: Banca Fideuram è uno dei protagonisti del private banking in Italia e

in Europa; a Banca Fideuram, infatti, fa capo un complesso integrato di società, italiane

ed estere, specializzate nella gestione di prodotti finanziari, assicurativi e previdenziali,

distribuiti in esclusiva dai propri private banker. A tali prodotti si affiancano anche i

tradizionali servizi bancari di compravendita titoli, disponibili anche online. Da notare

come Banca Fideuram non svolga, invece, alcuna attività di lending.

Banca Intesa: Banca Intesa è il maggiore gruppo bancario italiano, nato

dall’integrazione di Banco Ambrosiano Veneto, Banca Commerciale Italiana e Cariplo,

offrendo un’ampia gamma di prodotti e servizi a oltre 10 milioni di clienti. Il Gruppo

224

Intesa riveste una posizione di primo piano nell’intermediazione bancaria , nel risparmio

gestito, nei rapporti con l’estero e nel sistema dei pagamenti.

Banca Monte dei Paschi di Siena: Il Gruppo MPS è il quinto gruppo bancario italiano in

termini di totale dell’attivo ed è attivo su tutto il territorio nazionale tramite una rete di

filiali. Il Gruppo evidenzia una focalizzazione dell’attività sul mercato Retail e

corporate, contestualmente ad un continuo rafforzamento della propria presenza sul

mercato Private.

Banca Nazionale del Lavoro: Il Gruppo BNL è tra i maggiori gruppi bancari italiani e

tra le prime 100 banche al mondo: fondata nel 1913 è stata privatizzata solo nel 1998. Il

Gruppo è in grado di offrire un’ampia gamma di servizi bancari, finanziari ed

assicurativi, da quelli più tradizionali a quelli più innovativi, per soddisfare le esigenze

dei propri clienti, ripartiti all’interno tanto del segmento retail quanto di quello

corporate e private.

Banca Popolare di Milano: Fondata a Milano nel 1865, BPM è una società cooperativa

a responsabilità limitata, sviluppatasi con le caratteristiche di banca di territorio, tanto

da avere oltre il 70% delle proprie filiali concentrato in Lombardia, specializzata nei

target delle famiglie, dei professionisti, dei commercianti e degli artigiani, oltre che dei

piccoli e medi imprenditori. Il Gruppo, ora, opera anche nell’area della gestione del

risparmio, dell’assicurazione, dell’investment banking, del private banking e nei fondi

immobiliari.

Banche Popolari Unite: Il Gruppo Banche Popolari Unite nasce recentemente dalla

fusione tra Banca Popolare di Bergamo, Banca Popolare Commercio e Industria e

Banca Popolare di Luino e Varese. Il Gruppo comprende una capogruppo quotata, cui

fanno capo banche rete che svolgono attività tradizionale di intermediazione sul

territorio di radicamento storico e società prodotto specializzate in settori quali l’asset

management, la bancassurance, il leasing e il credito al consumo.

225

Banco Popolare di Verona e Novara: Il Banco Popolare di Verona e Novara è una

società cooperativa a responsabilità limitata che sorge dalla fusione tra la Banca

Popolare di Verona e la Banca Popolare di Novara; rappresenta uno dei maggiori gruppi

bancari nazionali e focalizza la propria presenza operativa soprattutto nel nord del

paese. Il Gruppo è particolarmente attivo nel settore delle piccole e medie imprese, che

costituiscono i suoi naturali e storici interlocutori nell’ambito creditizio, e nei confronti

del risparmio delle famiglie.

Benetton Group: Il Gruppo Benetton è attivo nella produzione e distribuzione di capi di

abbigliamento casual e sportivo e di prodotti complementari quali accessori e scarpe,

attraverso i marchi di abbigliamento casual United Colors of Benetton e Sisley ed i

marchi di abbigliamento sportivo Playlife e Killer Loop. L’azienda, con una produzione

totale di oltre 100 milioni di capi l’anno effettuata per oltre il 90% in Europa, è

caratterizzata da un network commerciale presente in 120 paesi del mondo con oltre

5.000 negozi.

Bulgari: Il Gruppo Bulgari possiede fama internazionale nell’ambito della gioielleria e

degli accessori per abbigliamento, anche grazie ad una intensa politica di espansione

internazionale, condotta a partire dagli agli ’70. Una volta conquistati i mercati

internazionali, tanto occidentali quanti orientali, all’inizio degli anni ’90 il Gruppo si

diversifica all’interno del settore dei profumi e delle fragranze, acquisendo una

posizione di primo piano nel settore dei beni di lusso.

Capitalia: Il Gruppo Bancario Capitalia è nato recentemente dall’integrazione di due

realtà pre-esistenti, quali il Gruppo Bancaroma e il Gruppo Bipop-Carire. Il Gruppo

offre una completa gamma di servizi bancari a tutti i segmenti di clientela, ponendosi

come quarto gruppo bancario italiano in termini di raccolta diretta.

E.Biscom: Fondata a Milano nel settembre 1999, la Società ha sviluppato una nuova

generazione di reti di trasmissione, del tutto alternative a quelle telefoniche tradizionali

ed estese alle principali città ed aree metropolitane italiane. E.Biscom basa il proprio

vantaggio competitivo su una soluzione tecnologica senza precedenti: per prima ha

226

coniugato l’uso estensivo del protocollo IP per la gestione integrata di dati e video con

la fibra ottica e il sistemi ADSL. La disponibilità di una simile piattaforma ha permesso

di riunire funzioni finora distinte e separate e ha offerto la possibilità di sviluppare

servizi innovativi e ad alto valore aggiunto, fruibili contemporaneamente con un solo

collegamento. Il Gruppo, quindi, fornisce un’ampia gamma di servizi a tutti i segmenti

del mercato: grandi, medie e piccole aziende, studi professionali, esercizi commerciali e

clienti residenziali.

Edison: Edison è il secondo operatore italiano nell’energia ed il primo tra i privati,

possedendo anche 2.900 km di rete di trasmissione elettrica. La capacità di generazione

disponibile è di circa 10.000 MW e l’energia prodotta viene venduta sul mercato libero

e a clienti industriali idonei, consorzi di acquisto ed al Gestore della Rete Nazionale. Il

gruppo, inoltre, opera anche nel settore degli idrocarburi lungo tutta la catena del valore.

Enel: Nata nel 1962, Enel risponde alle sfide del mercato concentrando la propria

attività nella produzione, distribuzione e vendita di elettricità, sia in Italia che all’estero.

A questa competenza storica Enel affianca oggi la distribuzione e la vendita del gas

naturale. Enel è inoltre attiva nelle telecomunicazioni dove, attraverso Wind posseduta

al 100%, offre servizi convergenti di telefonia fissa, mobile, trasmissione dati e internet.

Eni: Con una capitalizzazione di borsa di oltre 65 miliardi di Euro, Eni è una delle

società energetiche integrate più importanti al mondo; opera nelle attività del petrolio e

del gas naturale, della generazione di energia elettrica e dell’ingegneria delle costruzioni

in cui vanta competenze di eccellenza e forti posizioni di mercato a livello

internazionale. La strategia della compagnia è focalizzata sullo sviluppo delle attività

del core business.

Fiat : La Fiat è tra i fondatori dell’industria automobilistica europea, nonostante, nel

corso del tempo, l’azienda abbia interpretato la propria vocazione automotoristica

attraverso l’impegno in tutte le forme della mobilità di persone e beni. Nel 2003 il

Gruppo ha ridefinito il perimetro di business, tornando a focalizzare le proprie attività

227

industriali e di servizio attorno al tradizionale settore automotive, a seguito di una ben

nota crisi societaria e proprietaria.

Finmeccanica: Finmeccanica è la società leader in Italia nel settore delle alte tecnologie;

il Gruppo, che realizza un giro d’affari annuo pari a 8,6 miliardi di euro, opera in

prevalenza nell’aerospazio e nella difesa. La società, infatti, è impegnata nel settore

dell’aeronautica e degli elicotteri, nella progettazione, sviluppo e produzione di satelliti

per usi civili e militari, nonché nel settore dell’elettronica per la difesa.

Fondiaria – SAI: Società derivante dalla recente fusione tra SAI e La Fondiaria

Assicurazioni, Fondiaria – Sai rappresenta dalla sua nascita il terzo gruppo assicurativo

italiano per premi raccolti, e primo a livello nazionale nei Rami Danni con una quota di

mercato pari a circa il 20%.

Gruppo Editoriale l’Espresso: Il Gruppo Editoriale l’Espresso con le sue controllate è

una delle più importanti aziende italiane del settore media con attività nelle aree della

stampa quotidiana e periodica, della radiofonia, della raccolta pubblicitaria, di internet e

della tv digitale. Oltre ad essere proprietario anche di tre radio nazionali, tra le quali

Radio Deejay, prima per ascolti tra le emittenti private in Italia e un canale televisivo

satellitare di musica, il Gruppo possiede anche alcune radio estere e l’internet company

Kataweb.

Italcementi: Italcementi è la holding di un gruppo industriale che è tra i primi produttori

di cemento a livello mondiale e il principale operatore nel bacino del Mediterraneo.

L’attività del gruppo è focalizzata sul cemento (oltre il 60% del fatturato) che si integra

con la produzione di calcestruzzo e altri materiali per l’edilizia.

Luxottica: Luxottica Group è leader mondiale nel design, produzione e

commercializzazione di montature da vista e di occhiali da sole nella fascia di mercato

medio-alta e alta. Il Gruppo è inoltre leader nella vendita al dettaglio di prodotti ottici

nel mercato nord-americano e nel mercato australiano. L’attuale portafoglio marchi di

Luxottica Group è composto da 23 marchi, di cui 8 propri, e 15 in licenza.

228

Mediaset: Il Gruppo Mediaset è il principale gruppo nel settore della televisione

commerciale in Italia e una delle maggiori società media a livello europeo. Le varie

società del Gruppo svolgono l’attività di ideazione e realizzazione di palinsesti, di

produzione di programmi originali, di acquisizione di diritti di produzione e di gestione

della rete di diffusione dei segnali.

Mediobanca: Mediobanca è la banca d’affari leader in Italia. Da oltre 50 anni assiste la

clientela, principalmente costituita da large corporates, in merito ai processi di sviluppo

imprenditoriale, fornendo sia servizi di consulenza professionale e di advisory, sia

servizi di finanza pura.

Mediolanum : Il Gruppo Mediolanum è uno dei principali players del mercato del

risparmio gestito italiano. Il suo core business è oggi focalizzato in Italia ma, forte

dell’esperienza acquisita, si sta espandendo anche in Europa.

Mondadori: Il Gruppo Mondadori è leader nel mercato editoriale italiano e uno dei

principali gruppi del settore media in Europa. Nel settore dei Periodici, il Gruppo è

leader con una quota di oltre il 40% del mercato. Il portafoglio delle testate è composta

da oltre 50 riviste e per quanto riguarda la Divisione Libri, l’azienda ha confermato la

propria posizione di leader con oltre il 25% di quota di mercato.

Pirelli: Le attività del Gruppo Pirelli sono concentrate nei settori industriali Pneumatici,

Cavi e Sistemi di Telecomunicazione, nonché nel settore immobiliare attraverso Pirelli

& C. Real Estate. Oggi Pirelli è un’impresa multinazionale, con il 65% per cento del

fatturato prodotto destinato all’area Europea. La forza competitiva di Pirelli, inoltre, è

da sempre fondata sulla ricerca e sulle capacità tecnologiche.

Ras: Con cinque milioni di clienti fra privati e aziende in Italia, Ras è un gruppo leader

nel settore assicurativo e finanziario, in grado offrire una gamma completa e integrata di

servizi, che spaziano dalla protezione dei rischi alla previdenza integrativa, dagli

229

investimenti ai finanziamenti, dal risparmio gestito ed amministrato ai prodotti

tipicamente bancari.

RCS Mediagroup: RCS Mediagroup è il principale gruppo italiano nel settore

media/publishing con importanti posizioni di leadership nelle attività della stampa

quotidiana, periodica e dell’editoria libraria. Il Gruppo possiede anche partecipazioni in

imprese editoriali estere ed è attivo nel settore della raccolta pubblicitaria e della

radiofonia.

San Paolo – IMI: Il Gruppo San Paolo – IMI è un grande gruppo bancario europeo,

attivo con estrema capillarità sul mercato italiano e con numerose filiali attive anche

nelle più importanti piazze europee. Il modello di business del Gruppo si focalizza sulle

attività di Banca Commerciale, presidiate dalle numerose società controllate e da società

specializzate in credito al consumo e leasing, in base ad una precisa segmentazione

della clientela.

Seat Pg: Il Gruppo Seat Pagine Gialle è leader europeo ed uno dei principali operatori a

livello mondiale nel settore dell’editoria telefonica multimediale. Opera, infatti, in

campo internazionale delle Directories, nella Directory Assistance. Il gruppo Seat offre

inoltre alle aziende interessate anche altri strumenti, diversi e complementari, per far

crescere il business come il direct marketing in Italia.

Snam Rete Gas: Snam Rete Gas è la società che gestisce il servizio di trasporto del gas

naturale in Italia, con una copertura capillare del territorio nazionale attraverso un

sistema di gasdotti, direttamente collegati ai giacimenti, alle linee di importazione e ai

centri di stoccaggio che alimentano il sistema gas italiano

ST Microelectronics: La ST è tra i più grandi produttori di semiconduttori al mondo. La

ST offre oltre 3.000 tipi principali di prodotti, tutti dall’elevata base tecnologica, quali

smart card, hard disk drive, circuiti integarti, a più di 1.500 clienti in tutto il mondo, tra

i quali le principali imprese a base tecnologica mondiali.

230

Telecom Italia: Il Gruppo Telecom Italia è una grande realtà italiana che comprende

aziende leader nel settore strategico dell’ICT, in cui figura tra i principali gruppi a

livello europeo. Basate su innovazione tecnologica, centralità del cliente ed eccellenza

del servizio, le aziende del Gruppo operano nei mercati delle telecomunicazione, di

internet, dei media e dell’information technology.

Tim: Il Gruppo Tim, presente, oltre che sul mercato italiano, in America Latina e nel

bacino del Mediterraneo, ha raggiunto complessivamente quasi 47 milioni di linee al

marzo 2004, di cui oltre 26 milioni sul mercato nazionale, con una market share del

45%. L’attenzione da parte del management allo sviluppo e all’innovazione riconferma

la posizione di leadership di Tim non solo nel business della fonia tradizionale ma

anche nell’intero settore dell’ICT.

Tiscali: Tiscali fornisce accesso ad internet, oltre che contenuti, applicazioni business e

servizi a valore aggiunto. Al 31 marzo 2004, Tiscali con oltre 8 milioni di utenti attivi di

cui più di un milione clienti Adsl è il terzo ISP (Internet Service Provider) in Europa.

Nata sei anni fa, grazie ad un piano di espansione sostenuto da una serie di acquisizioni

mirate, Tiscali è oggi una delle principali realtà europee nel campo dell’Internet Service.

Unicredito: Unicredit è il primo gruppo bancario italiano in termini di capitalizzazione

di Borsa e tra i primi in Europa per numero di clienti e massa intermediata. In Italia

opera attraverso una serie di banche specializzate per segmento di impresa ed è attivo in

tutti i segmenti di clientela.

231

4.2 – INCIDENZA E COMPOSIZIONE DELLA VOCE “IMMOBILIZZAZIONI

IMMATERIALI”

Nel presente paragrafo, analizzeremo l’incidenza della classe delle

immobilizzazioni immateriali e la sua composizione all’interno dei bilanci consolidati

delle 40 società quotate descritte in precedenza, appartenenti all’indice S&P/MIB. Per

fare ciò, ad evidenza, abbiamo considerato i bilanci delle varie società ed estrapolato da

essi i dati relativi alle attività immateriali, sfruttando gli schemi di bilancio e la nota

integrativa: il risultato è riportato nella tabella proposta di seguito, divisa tra varie

pagine per motivi di spazio. A riguardo, è necessario evidenziare le lacune informative a

volte presentatesi al momento dell’analisi dei bilanci, soprattutto in merito alla

ripartizione delle attività immateriali all’interno delle rispettive classi, spesso non

sufficientemente precisa. Le società, inoltre, sono indicate in ordine crescente in

funzione del peso dell’attivo immateriale sull’attivo di bilancio.

Obiettivo del lavoro è dimostrare e rendere evidente l’importanza che la voce

“Immobilizzazioni Immateriali” – appartenente all’attivo dello Stato Patrimoniale –

riveste all’interno dei bilanci di alcune tra le più importanti società quotate. All’interno

di questa voce, come noto, vengono inseriti tutti quegli attivi immateriali passibili di

capitalizzazione che abbiamo descritto nel corso dei precedenti capitoli. Abbiamo

voluto focalizzare la nostra attenzione sulle società componenti l’indice S&P/MIB in

quanto rappresentanti un campione discretamente diversificato per quanto riguarda i

settori di appartenenza e la tipologia di imprese. In secondo luogo, abbiamo analizzato i

bilanci consolidati delle suddette società in quanto saranno questi ad essere

primariamente influenzati dall’introduzione dei nuovo principi contabili: come descritto

nell’introduzione, infatti, l’analisi dei potenziali effetti dell’introduzione dei nuovi

principi contabili sarà parte delle successive analisi empiriche.

232

Dopo le tabelle, verranno proposti dei grafici utili ad evidenziare le conclusioni

più significative raggiunte grazie all’analisi condotta, per poi soffermarci a fornire

alcune informazioni in merito alle aziende che presentano un maggiore peso delle

attività immateriali a bilancio, cercando di capire il perché di questo risultato.

Tabella 12 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; fonte: dati di bilancio consolidato 2002

Costi di

Impianto e diAmpliamento

Costi di Ricerca,Sviluppo ePubblicità

Software

Mediobanca 4.000 Generali Alleanza Capitalia 74.091.000 140.056.000Bnl 22.068.000 Intesa 26.000.000 SanPaolo-Imi 2.000.000 310.000.000Ras Snam Rete Gas 26.000.000 2.000.000 MPS 12.246.763 Unicredit 2.883.000 Fideuram B.Pop.Vr.No. 21.264.000 63.728.000Medioanum 8.689.000 Antonveneta 13.033.000 BPU 1.557.000 BPM 11.563.000 Autostrade 7.680.000 STM 83.000.000Fondiaria-Sai Eni 39.000.000 510.000.000 Finmeccanica 1.356.000 33.164.000 Fiat 77.000.000 18.000.000 Pirelli 10.616.000 Bulgari 1.434.000 1.207.000 Benetton 10.835.000 Mondadori 781.000 RCS 3.000.000 E.Biscom 2.888.000 19.825.000 60.660.000Enel 28.000.000 81.000.000 Italcementi 15.280.000 402.000 Edison 21.000.000 Tim 42.000.000 L'Espresso 157.000 196.000

233

Telecom 83.000.000 Tiscali 5.281.000 38.000.000 Autogrill 412.000 Mediaset 1.900.000 1.400.000 Seat Pg 1.015.000 22.000

Luxottica 178.000

TOTALE 574.211.763 705.216.000 657.444.000

Brevetti e Opere

dell'IngegnoConcessioni,

Licenze e Marchi Avviamento

Mediobanca Generali Alleanza 37.000.000Capitalia 40.161.000Bnl 8.338.000Intesa 12.000.000SanPaolo-Imi 16.000.000Ras 40.904.000Snam ReteGas 23.000.000 MPS 5.043.606Unicredit 966.854.000Fideuram 1.367.000B.Pop.Vr.No. 55.328.000Medioanum 6.311.000 Antonveneta 727.852.000BPU 83.715.000BPM 630.520.000Autostrade 4.973.000 114.799.000 STM 228.000.000 159.000.000Fondiaria-Sai 737.290.000Eni 88.000.000 411.000.000 147.000.000Finmeccanica 16.494.000 7.642.000 1.040.700.000Fiat 416.000.000 467.000.000 229.000.000Pirelli 4.048.000 12.362.000 39.912.000Bulgari 5.979.000 477.000 7.774.000Benetton 2.276.000 26.621.000 91.465.000Mondadori 1.294.000 132.272.000 10.827.000RCS 2.600.000 104.600.000 32.400.000E.Biscom 11.731.000 64.442.000Enel 465.000.000 2.839.000.000 1.717.000.000Italcementi 2.415.000 28.846.000 20.010.000Edison 941.000.000 26.000.000Tim 574.000.000 3.446.000.000 L'Espresso 1.924.000 8.731.000 330.911.000Telecom 1.269.000.000 3.995.000.000 17.000.000

234

Tiscali 3.686.000 141.933.000 160.000Autogrill 39.993.000 547.312.000Mediaset 13.500.000 1.851.000.000 15.100.000Seat Pg 5.778.000 1.236.000 713.064.000

Luxottica 31.175.000 514.091.000 705.854.000

TOTALE 2.942.873.000 15.317.914.000 9.277.303.606

Differenza da

Consolidamento

Immobilizzazioni in Corso

e AccontiAltre

Mediobanca 1.928.000Generali 44.799.515Alleanza 14.400.000 29.200.000Capitalia 240.705.000 203.618.000Bnl 385.234.000Intesa 733.000.000 680.000.000SanPaolo-Imi 842.000.000 78.000.000Ras 363.436.000 78.391.000Snam ReteGas 30.000.000 6.000.000MPS 756.508.923 417.005.702Unicredit 961.888.000 285.951.000Fideuram 19.657.000 45.160.000B.Pop.Vr.No. 353.892.000 57.635.000Medioanum 143.000 305.000Antonveneta 7.807.000 138.130.000BPU 996.730.000 154.623.000BPM 14.522.000 86.808.000Autostrade 8.956.000 16.055.000STM Fondiaria-Sai 210.606.000 337.964.000Eni 396.000.000 128.000.000 1.124.000.000Finmeccanica 6.831.000 113.444.000Fiat 3.371.000.000 263.000.000 359.000.000Pirelli 508.269.000 4.656.000 82.139.000Bulgari 28.740.000 5.800.000 7.265.000Benetton 7.628.000 5.396.000 110.775.000Mondadori 11.423.000 1.428.000 6.131.000RCS 192.700.000 5.700.000 12.000.000E.Biscom 204.792.000 419.000 50.783.000Enel 5.674.000.000 285.000.000 1.940.000.000Italcementi 1.260.490.000 6.601.000 45.027.000Edison 3.967.000.000 14.000.000 86.000.000

235

Tim 957.000.000 127.000.000 79.000.000L'Espresso 30.120.000 9.274.000 8.792.000Telecom 27.877.000.000 832.000.000 488.000.000Tiscali 540.987.000 6.161.000 13.005.000Autogrill 247.016.000 3.915.000 228.810.000Mediaset 12.100.000 132.400.000 5.600.000Seat Pg 460.981.000 1.759.000 26.027.000

Luxottica 710.228.000

TOTALE 51.262.540.923 1.878.296.000 8.542.833.217

Totale Attività

Immateriali Totale Attivo

TotaleAttività

Immateriali /Totale Attivo

Mediobanca 1.932.000 30.505.162.000 0,0063Generali 44.799.515 33.507.253.352 0,1337Alleanza 80.600.000 31.958.188.000 0,2522Capitalia 698.631.000 140.941.771.000 0,4957Bnl 415.640.000 83.710.780.000 0,4965Intesa 1.451.000.000 280.733.000.000 0,5169SanPaolo-Imi 1.248.000.000 203.773.000.000 0,6124Ras 482.731.000 55.792.173.000 0,8652Snam Rete Gas 87.000.000 10.018.000.000 0,8684MPS 1.190.804.994 128.882.985.368 0,9239Unicredit 2.217.576.000 213.349.326.000 1,0394Fideuram 66.184.000 6.257.921.000 1,0576B.Pop.Vr.No. 551.847.000 48.247.490.000 1,1438Medioanum 15.448.000 1.149.415.000 1,3440Antonveneta 886.822.000 49.580.489.000 1,7887BPU 1.236.625.000 62.877.838.000 1,9667BPM 743.413.000 32.535.874.000 2,2849Autostrade 152.463.000 5.647.336.000 2,6997STM 470.000.000 12.004.000.000 3,9154Fondiaria-Sai 1.285.860.000 31.396.429.000 4,0956Eni 2.843.000.000 65.195.000.000 4,3608Finmeccanica 1.219.631.000 24.287.732.000 5,0216Fiat 5.200.000.000 92.521.000.000 5,6203Pirelli 662.002.000 10.897.325.000 6,0749Bulgari 58.676.000 931.188.000 6,3012Benetton 254.996.000 2.643.144.000 9,6475Mondadori 164.156.000 1.622.040.000 10,1203RCS 353.000.000 2.521.300.000 14,0007E.Biscom 415.540.000 2.507.877.000 16,5694Enel 13.029.000.000 67.937.000.000 19,1781Italcementi 1.379.071.000 7.103.652.000 19,4135Edison 5.055.000.000 18.194.000.000 27,7839

236

Tim 5.225.000.000 14.211.000.000 36,7673L'Espresso 390.105.000 1.042.164.000 37,4322Telecom 34.561.000.000 83.384.000.000 41,4480Tiscali 749.213.000 1.691.505.000 44,2927Autogrill 1.087.458.000 2.383.980.000 45,6152Mediaset 2.033.000.000 4.159.500.000 48,8761Seat Pg 1.209.882.000 2.312.471.000 52,3199

Luxottica 1.961.526.000 3.586.332.000 54,6945

TOTALE 91.178.632.509 1.872.000.640.720 MEDIA=13,30%

Tabella 13 – Ripartizione della classe delle attività immateriali; fonte: dati di bilancio consolidato 2003

Costi di

Impianto e diAmpliamento

Costi di Ricerca,Sviluppo ePubblicità

Software

Mediobanca 1.000 Mediolanum 759.000 Intesa 74.000.000 521.000.000BNL 22.068.000 Capitalia 53.996.000 SanPaolo -Imi 2.000.000 274.000.000Fideuram 31.070.000Ras 582.000 545.000 Banca MPS 4.566.000 220.849.000B.Pop.VR.NO. 16.511.000 47.093.000Unicredit Snam ReteGas 19.000.000 2.000.000 Alleanza Generali 3.500.000 78.200.000 188.200.000Antonveneta 8.002.000 40.788.000BPU 1.702.000 BPM 16.981.000 Fondiaria-Sai 38.160.000 55.172.000 7.826.000STM 103.000.000Finmeccanica 1.652.000 30.343.000 Eni 29.000.000 303.000.000 Pirelli 19.775.000 Fiat 144.000.000 22.000.000 Bulgari 1.401.000 1.202.000 Benetton 7.361.000 Mondadori 489.000 RCS 5.300.000 E.Biscom 1.404.000 17.081.000 57.159.000

237

Italcementi 32.204.000 202.000 Enel 65.000.000 40.000.000 Edison 12.000.000 Autostrade 7.743.000 L'Espresso 4.000 Tim 25.000.000 Telecom 51.000.000 Tiscali 2.602.000 8.987.000 Autogrill 162.000 Mediaset 1.800.000 1.400.000 Luxottica 189.000

Seat Pg 998.000

TOTALE 670.912.000 560.132.000 1.490.985.000

Brevetti e Opere

dell'IngegnoConcessioni,

Licenze e Marchi Avviamento

Mediobanca Mediolanum 7.477.000,00 Intesa BNL 8.338.000,00Capitalia 37.120.000,00SanPaolo - Imi 7.000.000,00Fideuram Ras 36.359.000,00Banca MPS 3.732.000,00B.Pop.VR.NO. 21.525.000,00Unicredit 260.620.000,00 770.785.000,00Snam ReteGas 57.000.000,00 Alleanza 505.600.000,00Generali 386.900.000,00Antonveneta 642.529.000,00BPU 736.094.000,00BPM 555.824.000,00Fondiaria-Sai 671.044.000,00STM 222.000.000,00 267.000.000,00Finmeccanica 15.224.000,00 8.404.000,00 1.009.980.000,00Eni 149.000.000,00 1.034.000.000,00 143.000.000,00Pirelli 1.708.000,00 24.844.000,00 33.132.000,00Fiat 406.000.000,00 347.000.000,00 151.000.000,00Bulgari 9.135.000,00 354.000,00 6.172.000,00Benetton 1.491.000,00 26.734.000,00 83.236.000,00Mondadori 1.120.000,00 134.369.000,00 7.919.000,00RCS 800.000,00 125.000.000,00 18.000.000,00E.Biscom 879.000,00 2.804.000,00Italcementi 5.289.000,00 25.514.000,00 17.542.000,00

238

Enel 489.000.000,00 2.707.000.000,00 1.611.000.000,00Edison 317.000.000,00 23.000.000,00Autostrade 5.267.000,00 84.379.000,00 0,00L'Espresso 655.000,00 4.695.000,00 316.844.000,00Tim 773.000.000,00 3.413.000.000,00 Telecom 1.850.000.000,00 3.761.000.000,00 8.000.000,00Tiscali 28.195.000,00 159.358.000,00 208.000,00Autogrill 30.172.000,00 422.484.000,00Mediaset 14.900.000,00 1.954.200.000,00 9.700.000,00Luxottica 33.103.600,00 545.895.000,00 749.522.000,00

Seat Pg 910.193.000,00 1.134.000,00 3.182.715.000,00

TOTALE 4.751.080.600,00 15.195.028.000,00 12.446.108.000,00

Differenza da

Consolidamento

Immobilizzazioni in Corso

e AccontiAltre

Mediobanca 1.475.000,00Mediolanum 126.000,00 163.000,00 167.000,00Intesa 26.000.000,00

BNL385.234.000,0

0Capitalia 149.237.000,00 417.714.000,00SanPaolo -Imi 883.000.000,00 60.000.000,00Fideuram 8.777.000,00Ras 342.692.000,00 58.754.000,00

Banca MPS 668.688.000,00143.970.000,0

0B.Pop.VR.NO. 325.955.000,00 41.635.000,00

Unicredit 1.229.299.000,00135.885.000,0

0Snam ReteGas 18.000.000,00 10.000.000,00Alleanza 29.600.000,00

Generali 2.168.165.000,00644.957.000,0

0Antonveneta 182.091.000,00 82.434.000,00

BPU 362.044.000,00243.404.000,0

0

BPM 12.102.000,00123.016.000,0

0Fondiaria-Sai 197.264.000,00

264.355.000,00

STM 0,00Finmeccanica 7.803.000,00

124.837.000,00

Eni 1.164.000.000,00 135.000.000,0 218.000.000,0

239

0 0

Pirelli 421.376.000,00 2.096.000,00 53.577.000,00

Fiat 2.251.000.000,00246.000.000,0

0157.000.000,0

0Bulgari 33.634.000,00 1.257.000,00 5.839.000,00Benetton 6.842.000,00 206.000,00 105.155.000,00Mondadori 8.381.000,00 319.000,00 5.829.000,00RCS 172.500.000,00 400.000,00 19.400.000,00E.Biscom 263.103.000,00 5.000,00 49.660.000,00Italcementi 1.151.333.000,00 2.934.000,00 38.373.000,00

Enel 6.702.000.000,00199.000.000,0

01.763.000.000,

00Edison 3.588.000.000,00 12.000.000,00 65.000.000,00Autostrade 4.379.873.000,00 5.097.000,00 111.387.000,00L'Espresso 28.344.000,00 1.257.000,00 6.755.000,00

Tim 734.000.000,00209.000.000,0

0 96.000.000,00

Telecom27.137.000.000,0

0742.000.000,0

0304.000.000,0

0Tiscali 503.908.000,00 1.979.000,00 10.666.000,00

Autogrill 293.330.000,00 4.015.000,00240.663.000,0

0Mediaset 308.400.000,00 175.400.000,00 7.900.000,00Luxottica 754.167.400,00

Seat Pg 420.119.000,00 3.865.000,00 38.468.000,00

TOTALE56.087.806.000,0

01.767.796.000,0

06.853.053.400,

00

Totale Attività

Immateriali Totale Attivo

TotaleAttività

Immateriali /Totale Attivo

Mediobanca 1.476.000,00 32.888.898.000,00 0,0045Mediolanum 8.692.000,00 9.610.920.000,00 0,0904Intesa 621.000.000,00 260.215.000.000,00 0,2387BNL 415.640.000,00 81.059.718.000,00 0,5128Capitalia 712.063.000,00 128.382.868.000,00 0,5546

SanPaolo - Imi 1.226.000.000,00202.580.000.000,0

0 0,6052Fideuram 39.847.000,00 6.026.270.000,00 0,6612Ras 438.932.000,00 61.304.725.000,00 0,7160Banca MPS 1.041.804.857,00 122.989.116.020,00 0,8471B.Pop.VR.NO. 452.719.000,00 48.606.095.000,00 0,9314Unicredit 2.396.589.000,00 238.255.636.000,00 1,0059Snam Rete Gas 106.000.000,00 9.850.000.000,00 1,0761Alleanza 535.200.000,00 46.722.375.000,00 1,1455Generali 3.469.922.000,00 259.811.328.000,00 1,3356Antonveneta 947.842.000,00 47.603.832.000,00 1,9911

240

BPU 1.343.244.000,00 62.993.690.000,00 2,1324BPM 707.923.000,00 32.441.737.000,00 2,1821Fondiaria-Sai 1.233.821.000,00 31.396.429.000,00 3,9298STM 592.000.000,00 13.477.000.000,00 4,3927Finmeccanica 1.198.243.000,00 26.679.016.000,00 4,4913Eni 3.175.000.000,00 68.943.000.000,00 4,6053Pirelli 556.508.000,00 9.961.046.000,00 5,5868Fiat 3.724.000.000,00 62.711.000.000,00 5,9384Bulgari 58.994.000,00 861.956.000,00 6,8442Benetton 231.025.000,00 2.697.443.000,00 8,5646Mondadori 158.426.000,00 1.843.881.000,00 8,5920RCS 341.000.000,00 2.486.500.000,00 13,7141E.Biscom 392.095.000,00 2.444.797.000,00 16,0379Italcementi 1.273.391.000,00 6.865.098.000,00 18,5488Enel 13.576.000.000,00 69.839.000.000,00 19,4390Edison 4.017.000.000,00 16.496.000.000,00 24,3514Autostrade 4.593.746.000,00 13.783.872.000,00 33,3270L'Espresso 358.554.000,00 1.049.441.000,00 34,1662Tim 5.250.000.000,00 14.773.000.000,00 35,5378

Telecom33.853.000.000,0

0 80.501.000.000,00 42,0529Tiscali 715.903.000,00 1.661.261.000,00 43,0940Autogrill 990.826.000,00 2.100.113.000,00 47,1797Mediaset 2.473.000.000,00 4.696.400.000,00 52,6574Luxottica 2.082.877.000,00 3.901.942.000,00 53,3805

Seat Pg 4.557.492.000,00 5.827.709.000,00 78,2038

TOTALE 99.867.794.857,002.096.339.112.020,0

0 MEDIA=14,52%

Di seguito, presentiamo il grafico che mostra sull’asse delle ascisse le varie

società, ordinate in base al peso che la classe delle immobilizzazioni immateriali riveste

rispetto all’attivo, all’interno del loro bilancio consolidato. Verranno innanzitutto presi

in considerazione i dati inerenti l’esercizio 2002 e successivamente quelli inerenti i

bilanci dell’esercizio 2003.

Grafico 1 - Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all'interno del lorobilancio consolidato (dati in percentuale) – dati: bilanci consolidati 2002

241

0

10

20

30

40

50

60

Med

ioba

nca

Gen

eral

iAl

lean

zaC

apita

lia Bnl

Inte

saSa

nPao

lo-

Ras

Snam

Ret

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VRN

OM

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Anto

nven

eta

BPU

BPM

Auto

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Eni

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Fiat

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SE.

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Italc

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tiEd

ison Tim

L'Es

pres

soTe

leco

mTi

scal

iAu

togr

illM

edia

set

Seat

Pg

Luxo

ttica

Come si può notare, è evidente il fatto che le attività immateriali pesano in

misura meno rilevante sulle società che operano all’interno del settore finanziario, quali

banche ed assicurazioni: sedici delle prime diciassette società, infatti, appartengono al

settore in questione, fatta eccezione per Snam Rete Gas. Sicuramente, questo fatto è

strettamente collegato alla tipologia di business condotto dalle società in questione: pur

basate su risorse intangibili fondamentali quali la reputazione, la sicurezza,la fiducia e

l’abilità del personale, le attività condotte dalle imprese appartenenti al settore

finanziario sfruttano beni intangibili di difficile – se non impossibile – quantificazione

ed identificazione.

Per questo motivo, ci sembra opportuno introdurre il grafico successivo, simile

al primo ma con la sola differenza che vengono prese in considerazione solo le società

appartenenti a settori diversi da quello finanziario.

242

Grafico 2 - Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delleimmobilizzazioni immateriali all'interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale) – dati:bilanci consolidati 2002

0102030405060

Sna

m R

ete

Aut

ostra

deS

TM Eni

Finm

ecca

nica Fiat

Pire

lliB

ulga

riB

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Mon

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leco

mTi

scal

iA

utog

rill

Med

iase

tS

eat P

gLu

xotti

ca

La media del peso delle attività immateriali a bilancio, calcolata considerando

tutte le società prese in considerazione, indipendentemente dal settore in cui operano, è

pari al 13,30%; se si prendono in considerazione solamente le società industriali, invece,

questa sale al 22,31%. Il grafico presentato di seguito, sempre con riferimento ai dati di

bilancio 2002, mostra la ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali:

Grafico 3 - Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; dati: bilanci consolidati 2002

Concessioni, Licenze e Marchi17%

Altre9%

Software1%

Costi di Impianto e di Ampliamento

1%

Costi di Ricerca, Sviluppo e Pubblicità

1%

Brevetti e Opere dell'Ingegno

3%Immobilizzazioni in Corso e Acconti

2%

Differenza da Consolidamento

56%

Avviamento10%

243

Dal grafico risulta chiaramente che, come era possibile aspettarsi dato che

stiamo lavorando con bilanci consolidati, le differenze da consolidamento hanno un

peso preponderante. Tralasciando queste, però, al secondo posto troviamo la voce

“Concessioni, Licenze e Marchi”, ossia quella che, insieme alla voce “Brevetti e Opere

dell’Ingegno” contengono prettamente gli intangible assets di cui ci occupiamo

all’interno del presente lavoro.

Passiamo ora ad analizzare i dati relativi all’esercizio 2003, sempre seguendo lo

schema e l’ordine di esposizione proposto in precedenza. Per primo, quindi,

introdurremo il grafico inerente il peso delle attività immateriali rispetto all’attivo di

bilancio all’interno dei bilanci consolidati delle società prese in esame, senza

considerare il loro settore d’appartenenza. Secondariamente, proporremo il medesimo

grafico, stavolta con riferimento solo alle società non operanti all’interno del settore

finanziario.

Grafico 4 - Società ordinate in base al peso delle immobilizzazioni immateriali all'interno del lorobilancio consolidato (dati in percentuale) – dati: bilanci consolidati 2003

0102030405060708090

Med

ioba

nca

Med

iola

num

Inte

saBN

LC

apita

liaSa

nPao

lo -

Fide

uram Ras

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BPU

BPM

Fond

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Espr

esso Tim

Tele

com

Tisc

ali

Auto

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tLu

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caSe

at P

g

244

Grafico 5 - Società non operanti all’interno del settore finanziario ordinate in base al peso delleimmobilizzazioni immateriali all'interno del loro bilancio consolidato (dati in percentuale) – dati:bilanci consolidati 2003

0102030405060708090

Sna

m R

ete

STM

Finm

ecca

nica Eni

Pire

lli

Fiat

Bul

gari

Ben

etto

n

Mon

dado

ri

RC

S

E.B

isco

m

Italc

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spre

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Tim

Tele

com

Tisc

ali

Aut

ogril

l

Med

iase

t

Luxo

ttica

Sea

t Pg

Anche in questo caso, è evidente la differenza tra il peso delle attività

immateriali all’interno delle imprese operanti nel settore finanziario e nelle imprese

operanti in altri settori. La media del peso delle immobilizzazioni immateriali sull’attivo

di bilancio è pari, complessivamente, al 14,52%; questo dato aumenta al 24,43% se non

si considerano le società appartenenti al settore finanziario.Di seguito, analizziamo la

ripartizione delle attività immateriali, con riferimento ai dati consolidati del 2003:

Grafico 6 – Ripartizione della classe delle immobilizzazioni immateriali; dati: bilanci consolidati 2003

Concessioni, Licenze e Marchi15%

Altre7%

Software2%

Costi di Impianto e di Ampliamento

1%

Costi di Ricerca, Sviluppo e Pubblicità

1%

Brevetti e Opere dell'Ingegno

5%Immobilizzazioni in Corso e Acconti

2%

Differenza da Consolidamento

56%

Avviamento11%

245

Anche in questo caso, è evidente il peso delle differenza da consolidamento, seguite

dalla classe includente “Concessioni, Licenze e Marchi”, subito seguita dalla classe

comprendete i valori di “Avviamento”.

Come si può notare, tanto nell’esercizio 2002, quanto in quello 2003, le prime

quattro aziende in termini di peso delle attività immateriali a bilancio sono Luxottica,

Seat Pg, Mediaset e Autogrill. Ci sembra opportuno, di conseguenza, analizzare

brevemente le motivazioni che hanno portato a questa posizione di leadership per

ognuna delle società.

Autogrill: Per quanto riguarda Autogrill, le attività immateriali pesano circa per il 46%

rispetto all’attivo di bilancio, tanto all’interno dell’esercizio 2002, quanto all’interno

dell’esercizio 2003. Se buona parte delle attività immateriali fa riferimento alle

differenze da consolidamento e agli avviamenti, notevole influenza riveste anche la

voce “Concessioni, Licenze e Marchi”, specificamente grazie ai diritti di superfici

acquisiti, che permettono ad Autogrill di operare ai bordi delle autostrade, in posizione

strategica per il proprio business. Questi diritti, presentano una periodo di

ammortamento di 30 anni, pari alla durata dei diritti stessi.

Seat Pagine Gialle: In Seat Pg, le attività immateriali pesano sull’attivo di bilancio per

il 52% circa nel 2002 e per il 78% nel 2003. Anche in questo caso, buona parte delle

attività immateriali è costituita da avviamenti e differenze da consolidamento, derivanti

anche da un processo di riorganizzazione che ha portato alla fusione di alcune società

del gruppo. Tuttavia, tra i “diritti di brevetto industriale e di utilizzazione delle opere

dell’ingegno” è stata inclusa una voce rappresentativa del patrimonio informativo e

relazionale relativo alla clientela, chiamato appunto “Customer Data Base”, costituitosi

nel tempo in capo a Seat S.p.A. e inteso come “insieme inscindibile di dati organizzati e

informazioni, modelli di elaborazione e classificazione dei dati e delle specifico know-

how commerciale e di marketing a supporto delle decisioni strategiche della società,

connesse allo sviluppo e alla conservazione dei clienti285”.

285 Cfr. Bilancio Consolidato 2003 di Seat Pg, Nota Integrativa;

246

Mediaset: Sul totale dell’attivo di bilancio di Mediaset, le attività immateriali pesano

per il 52% circa nel 2002 e per il 48% nel 2003. Tralasciando le voci residuali

rappresentate dalle differenze di consolidamento e dall’avviamento, grande peso

rivestono all’interno del bilancio consolidato i diritti televisivi acquisiti, nonché i

marchi dei tre network Mediaset ed i marchi relativi alle produzioni televisive.

Luxottica: All’interno del bilancio Luxottica le immobilizzazioni immateriali pesano

attorno al 53% tanto nel corso dell’esercizio 2002 quanto nel corso dell’esercizio 2003.

Anche in questo caso, senza prendere in considerazione avviamenti e differenze da

consolidamento, grande importanza rivestono i marchi di fama internazionale dei quali

Luxottica è distributrice e proprietaria.

A supporto dei risultati ottenuti, vogliamo introdurre anche i dati elaborati da

una ricerca condotta dall’Ordine dei Commercialisti di Torino, in merito all’importanza

degli attivi immateriali all’interno dei bilanci di esercizio e consolidati di 256 società

quotate. Con riferimento alle sole società industriali – quelle per le quali le

immobilizzazioni immateriali rivestono una maggiore importanza e peso in termini

quantitativi – la composizione media delle voci risulta essere la seguente:

Tabella 14 - Composizione media della voce "Immobilizzazioni Immateriali" nei bilanci di 256 societàquotate

Bilancio d’esercizio Bilancio consolidatoCosti di impianto eampliamento

2,78% 0,67%

Costi di ricerca, sviluppoe pubblicità

0,41% 0,57%

Diritti di brevettoindustriale e diritti diutilizzazione delle opered’ingegno

9,81% 4,72%

Concessioni, licenze,marchi e diritti simili

30,48% 23,55%

Avviamento 33,51% 7,11%Immobilizzazioni incorso e acconti

7,81% 3,01%

Altre 15,20% 5,20%Differenza da --------- 55,17%

247

consolidamentoTotale 100,00% 100,00%

Il peso delle immobilizzazioni immateriali sul totale dell’attivo risulta essere,

inoltre, pari a circa il 14,2% nel caso in cui si considerino i bilanci d’esercizio delle

società quotate; aumenta fino a raggiungere un peso pari al 15,40% del totale dell’attivo

nel caso in cui si guardi ai bilanci consolidati. Come si può apprezzare, i dati estratti da

questa ricerca sono sostanzialmente simili a quelli ottenuti dalle nostre elaborazioni.

248

4.3 – IL PATRIMONIO NETTO INTANGIBILE

Dopo aver analizzato il peso assunto dalle attività immateriali all’interno

dell’attivo di bilancio e la composizione della classe in questione, passiamo ora ad

introdurre all’interno della nostra analisi empirica un ulteriore indicatore: l’indicatore in

questione è calcolato come il rapporto tra le attività immateriali a bilancio e il

patrimonio netto della società. Questo indice, evidenzia quanta parte del capitale netto

d’impresa è destinato alla copertura delle immobilizzazioni immateriali: come noto, il

patrimonio netto è costituito da quelle poste di bilancio permanentemente legate alla

gestione aziendale, rappresentando, per certi versi, una garanzia nei confronti dei

creditori e di tutti quei soggetti che sulla continuità della gestione aziendale fanno

affidamento.

L’indicatore in questione può essere scomposto, quindi, come di seguito

evidenziato:

CNTA

TAAI

CNAI *=

dove:

AI= attività immateriali

CN= capitale netto

TA= totale attivo

Di conseguenza, come dimostra la scomposizione, un elevato valore

dell’indicatore calcolato in questa sede, può derivare da un alta incidenza delle attività

immateriali sul totale dell’attivo di bilancio, sintomo dell’importanza rivestite da queste

all’interno della gestione e dell’economicità aziendale: così come può derivare anche da

un elevato rapporto di leverage – espresso dall’indicatore TA/CN286 – che funge da

moltiplicatore del rapporto calcolato in precedenza. Proponiamo di seguito le tabelle

contenenti i dati calcolati per gli anni 2002 e 2003.

286 Il rapporto di leverage rappresenta la proporzione esistente tra risorse proprie e risorse di terziutilizzate per finanziare gli impieghi: esprime, quindi, il grado di dipendenza da terzi finanziatori. Dalpunto di vista finanziario, se il rapporto è elevato, l’impresa viene percepita dai potenziali finanziatoricome più rischiosa e la conseguenza più immediata è un aumento della remunerazione richiesta da chiapporta capitale. L’indice, quindi, aumenta all’aumentare del grado di indebitamento e di dipendenza daterzi finanziatori, assumendo un ruolo critico una volta superato il valore 5 o 6. I valori indicati sonofunzione dell’analisi condotta, delle imprese considerate e degli obiettivi degli operatori.

249

Tabella 15 - Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; fonte: bilanciconsolidati 2002

Totale AttivoImmateriale

PatrimonioNetto

Totale Attivo

Mediobanca 1.932.000,00 4.962.990.000,00 30.505.162.000,00Generali 44.799.515,00 7.853.700.000,00 33.507.253.352,00Snam Rete Gas 87.000.000,00 5.451.000.000,00 10.018.000.000,00Mediolanum 15.448.000,00 505.406.000,00 1.149.415.000,00Alleanza 80.600.000,00 2.076.519.000,00 31.958.188.000,00Autostrade 152.463.000,00 2.680.392.000,00 5.647.336.000,00Banca Fideuram 66.184.000,00 999.600.000,00 6.257.921.000,00STM 470.000.000,00 6.994.000.000,00 12.004.000.000,00Ras 482.731.000,00 5.533.000.000,00 55.792.173.000,00

Eni 2.843.000.000,0029.095.000.000,0

0 65.195.000.000,00

Banca Intesa 1.451.000.000,00 13.951.000.000,00280.733.000.000,0

0Capitalia 698.631.000,00 6.716.889.000,00 140.941.771.000,00Bnl 415.640.000,00 3.963.185.000,00 83.710.780.000,00Bulgari 58.676.000,00 538.551.000,00 931.188.000,00

SanPaolo-Imi 1.248.000.000,0010.702.000.000,0

0203.773.000.000,0

0B.POP.VR.NOV 551.847.000,00 3.288.500.000,00 48.247.490.000,00

Unicredit 2.217.576.000,0012.261.000.000,0

0 213.349.326.000,00MPS 1.190.804.994,00 5.551.000.000,00 128.882.985.368,00Benetton 254.996.000,00 1.140.573.000,00 2.643.144.000,00Antonveneta 886.822.000,00 2.961.427.000,00 49.580.489.000,00Mondadori 164.156.000,00 531.931.000,00 1.622.040.000,00BPM 743.413.000,00 2.335.737.000,00 32.535.874.000,00E.Biscom 415.540.000,00 1.256.716.000,00 2.507.877.000,00BPU 1.236.625.000,00 3.653.047.000,00 62.877.838.000,00Pirelli 662.002.000,00 1.932.938.000,00 10.897.325.000,00RCS 353.000.000,00 971.900.000,00 2.521.300.000,00Finmeccanica 1.219.631.000,00 3.304.493.000,00 24.287.732.000,00Fondiaria-Sai 1.285.860.000,00 2.420.973.000,00 31.396.429.000,00

Enel 13.029.000.000,0020.772.000.000,0

0 67.937.000.000,00Italcementi 1.379.071.000,00 2.128.415.000,00 7.103.652.000,00Fiat 5.200.000.000,00 7.641.000.000,00 92.521.000.000,00Mediaset 2.033.000.000,00 2.467.200.000,00 4.159.500.000,00Tim 5.225.000.000,00 5.409.000.000,00 14.211.000.000,00L'Espresso 390.105.000,00 392.401.000,00 1.042.164.000,00Edison 5.055.000.000,00 4.476.000.000,00 18.194.000.000,00Seat Pg 1.209.882.000,00 1.011.204.000,00 2.312.471.000,00Tiscali 749.213.000,00 616.028.000,00 1.691.505.000,00Luxottica 1.961.526.000,00 846.546.000,00 3.586.332.000,00

Telecom 34.561.000.000,0011.640.000.000,0

0 83.384.000.000,00

250

Autogrill 1.087.458.000,00 219.100.000,00 2.383.980.000,00

TOTALE 91.178.632.509,00201.252.361.000,0

01.872.000.640.720,

00

Tabella 16 - Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; fonte: bilanci consolidati 2002

Attivo

Immateriale /Totale Attivo

Totale Attivo /Capitale Netto(LEVERAGE)

AttivoImmateriale / Capitale

NettoMediobanca 0,0063% 6,15 0,0389%Generali 0,1337% 4,27 0,5704%Snam Rete Gas 0,8684% 1,84 1,5960%Mediolanum 1,3440% 2,27 3,0566%Alleanza 0,2522% 15,39 3,8815%Autostrade 2,6997% 2,11 5,6881%Banca Fideuram 1,0576% 6,26 6,6210%STM 3,9154% 1,72 6,7200%Ras 0,8652% 10,08 8,7246%Eni 4,3608% 2,24 9,7714%Banca Intesa 0,5169% 20,12 10,4007%Capitalia 0,4957% 20,98 10,4011%Bnl 0,4965% 21,12 10,4875%Bulgari 6,3012% 1,73 10,8952%SanPaolo-Imi 0,6124% 19,04 11,6614%B.POP.VR.NOV 1,1438% 14,67 16,7811%Unicredit 1,0394% 17,40 18,0864%MPS 0,9239% 23,22 21,4521%Benetton 9,6475% 2,32 22,3568%Antonveneta 1,7887% 16,74 29,9458%Mondadori 10,1203% 3,05 30,8604%BPM 2,2849% 13,93 31,8278%E.Biscom 16,5694% 2,00 33,0655%BPU 1,9667% 17,21 33,8519%Pirelli 6,0749% 5,64 34,2485%RCS 14,0007% 2,59 36,3206%Finmeccanica 5,0216% 7,35 36,9083%Fondiaria-Sai 4,0956% 12,97 53,1134%Enel 19,1781% 3,27 62,7239%Italcementi 19,4135% 3,34 64,7933%Fiat 5,6203% 12,11 68,0539%Mediaset 48,8761% 1,69 82,4011%Tim 36,7673% 2,63 96,5983%L'Espresso 37,4322% 2,66 99,4149%Edison 27,7839% 4,06 112,9357%Seat Pg 52,3199% 2,29 119,6477%Tiscali 44,2927% 2,75 121,6200%Luxottica 54,6945% 4,24 231,7093%Telecom 41,4480% 7,16 296,9158%

251

Autogrill 45,6152% 10,88 496,3295%

MEDIA 13,3011% 8,29 58,8119%

All’interno della tabella, le società sono ordinate in ordine crescente in base

all’indice AI/CN: come si può notare, le stesse società che ricoprono le prime posizioni

all’interno della tabella precedente, stilata in base all’indicatore AI/TA, sono in

posizione di vertice anche in all’interno di questa tabella; la classifica è parzialmente

modificata in funzione dell’indicatore TA/CN che funge da moltiplicatore, specialmente

per banche e imprese appartenenti al settore finanziario, in cui alto è l’apporto di

capitale di debito, configurandosi la raccolta di questa tipologia di capitale come

l’essenza stessa dell’attività delle suddette società. Come si può notare, in rosso

vengono evidenziate le società che presentano situazioni critiche in merito alla loro

struttura finanziaria, mentre vengono rappresentate col colore verde quelle che hanno

invece strutture finanziarie sostanzialmente sane. A riguardo è interessante il caso di

FIAT che a causa della sua squilibrata struttura finanziaria – eccessivamente spinta

verso l’assunzione di debiti – guadagna molte posizioni rispetto alla tabella proposta in

precedenza. L’indicatore AI/CN, quindi, assume un valore medio di circa 59%: ciò sta a

significare che circa il 59% del patrimonio netto delle varie società è in media deputato

alla copertura delle attività immateriali. Si noti, a riguardo, i casi estremi di Autogrill,

Telecom e Luxottica, per i quali il capitale netto non copre assolutamente il totale delle

attività immateriali iscritte a bilancio. Questo è sintomo di elevata importanza delle

attività immateriali a bilancio ma anche di una struttura finanziaria non completamente

in equilibrio, con valori dell’indice di leverage ben oltre la soglia di attenzione. A

contrario, Luxottica presenta una situazione patrimoniale sana e una adeguata

patrimonializzazione, dovendo la sua posizione in special modo al peso degli

intangibles a bilancio.

Ricordiamo che, ai nostri fini, ottenere un elevato valore dell’indicatore AI/CN a

causa di un elevato valore del rapporto di leverage, interessa in minima misura, non

riguardando questo particolare indice l’ambito delle attività immateriali, ma piuttosto la

struttura finanziaria aziendale e le politiche da questa condotte.

Nella tabella seguente proponiamo i medesimi dati, con riferimento ai bilanci

consolidati del 2003:

252

Tabella 17 - Totale attivi immateriali, patrimonio netto e totale attivo in valori assoluti; fonte: bilanciconsolidati 2003

Totale AttivoImmateriale

PatrimonioNetto Totale Attivo

Mediobanca 1.476.000,00 4.890.400.000,00 32.888.898.000,00Mediolanum 8.692.000,00 562.438.000,00 9.610.920.000,00Snam Rete Gas 106.000.000,00 5.683.000.000,00 9.850.000.000,00Banca Fideuram 39.847.000,00 1.012.400.000,00 6.026.270.000,00

Banca Intensa 621.000.000,0015.093.000.000,0

0260.215.000.000,0

0STM 592.000.000,00 8.100.000.000,00 13.477.000.000,00Ras 438.932.000,00 4.972.000.000,00 61.304.725.000,00BNL 415.640.000,00 4.419.686.000,00 81.059.718.000,00Bulgari 58.994.000,00 586.900.000,00 861.956.000,00

Capitalia 712.063.000,00 6.617.600.000,00128.382.868.000,0

0

SanPaolo - Imi 1.226.000.000,0010.955.000.000,0

0202.580.000.000,0

0

Eni 3.175.000.000,0028.318.000.000,0

0 68.943.000.000,00B.POP.VR.NO. 452.719.000,00 3.471.100.000,00 48.606.095.000,00Pirelli 556.508.000,00 3.678.000.000,00 9.961.046.000,00Banca MPS 1.041.804.857,00 6.154.000.000,00 122.989.116.020,00Alleanza 535.200.000,00 2.910.000.000,00 46.722.375.000,00

Unicredit 2.396.589.000,0013.013.000.000,0

0238.255.636.000,0

0Benetton 231.025.000,00 1.174.000.000,00 2.697.443.000,00Mondadori 158.426.000,00 555.200.000,00 1.843.881.000,00BPM 707.923.000,00 2.348.800.000,00 32.441.737.000,00E.Biscom 392.095.000,00 1.193.100.000,00 2.444.797.000,00RCS 341.000.000,00 1.006.900.000,00 2.486.500.000,00Antonveneta 947.842.000,00 2.696.300.000,00 47.603.832.000,00BPU 1.343.244.000,00 3.742.800.000,00 62.993.690.000,00Finmeccanica 1.198.243.000,00 3.302.200.000,00 26.679.016.000,00Fondiaria-Sai 1.233.821.000,00 3.082.700.000,00 31.396.429.000,00Generali 3.469.922.000,00 8.499.000.000,00 259.811.328.000,00Italcementi 1.273.391.000,00 2.825.300.000,00 6.865.098.000,00Fiat 3.724.000.000,00 7.494.000.000,00 62.711.000.000,00Enel 13.576.000.000,00 21.315.000.000,00 69.839.000.000,00Edison 4.017.000.000,00 6.013.000.000,00 16.496.000.000,00Tim 5.250.000.000,00 7.803.000.000,00 14.773.000.000,00Mediaset 2.473.000.000,00 2.591.600.000,00 4.696.400.000,00Seat Pg 4.557.492.000,00 4.374.500.000,00 5.827.709.000,00L'Espresso 358.554.000,00 332.000.000,00 1.049.441.000,00Luxottica 2.082.877.000,00 1.374.500.000,00 3.901.942.000,00Telecom 33.853.000.000,00 20.589.000.000,0 80.501.000.000,00

253

0

Tiscali 715.903.000,00 419.200.000,00 1.661.261.000,00Autostrade 4.593.746.000,00 1.596.500.000,00 13.783.872.000,00

Autogrill 990.826.000,00 283.200.000,00 2.100.113.000,00

TOTALE: 99.867.794.857,00225.048.324.000,

002.096.339.112.020,

00

Tabella 18 - Calcolo degli indicatori AI/TA, TA/CN e AI/CN; fonte: bilanci consolidati 2003

Attivo

Immateriale /Totale Attivo

Totale Attivo /Capitale Netto(LEVERAGE)

AttivoImmateriale / Capitale

NettoMediobanca 0,0045% 6,73 0,0302%Mediolanum 0,0904% 17,09 1,5454%Snam Rete Gas 1,0761% 1,73 1,8652%Banca Fideuram 0,6612% 5,95 3,9359%Banca Intensa 0,2386% 17,24 4,1145%STM 4,3927% 1,66 7,3086%Ras 0,7160% 12,33 8,8281%BNL 0,5128% 18,34 9,4043%Bulgari 6,8442% 1,47 10,0518%Capitalia 0,5546% 19,40 10,7601%SanPaolo - Imi 0,6052% 18,49 11,1912%Eni 4,6053% 2,43 11,2119%B.POP.VR.NO. 0,9314% 14,00 13,0425%Pirelli 5,5868% 2,71 15,1307%Banca MPS 0,8471% 19,99 16,9289%Alleanza 1,1455% 16,06 18,3918%Unicredit 1,0059% 18,31 18,4169%Benetton 8,5646% 2,30 19,6784%Mondadori 8,5920% 3,32 28,5349%BPM 2,1821% 13,81 30,1398%E.Biscom 16,0379% 2,05 32,8635%RCS 13,7141% 2,47 33,8663%Antonveneta 1,9911% 17,66 35,1534%BPU 2,1323% 16,83 35,8887%Finmeccanica 4,4913% 8,08 36,2862%Fondiaria-Sai 3,9298% 10,18 40,0240%Generali 1,3356% 30,57 40,8274%Italcementi 18,5488% 2,43 45,0710%Fiat 5,9384% 8,37 49,6931%Enel 19,4390% 3,28 63,6922%Edison 24,3514% 2,74 66,8053%Tim 35,5378% 1,89 67,2818%Mediaset 52,6574% 1,81 95,4237%Seat Pg 78,2038% 1,33 104,1832%L'Espresso 34,1662% 3,16 107,9982%Luxottica 53,3805% 2,84 151,5371%

254

Telecom 42,0529% 3,91 164,4228%Tiscali 43,0940% 3,96 170,7784%Autostrade 33,3270% 8,63 287,7386%

Autogrill 47,1797% 7,42 349,8679%

MEDIA 14,5166% 8,82 55,4979%

Per quanto riguarda i dati relativi al 2003, sono sostanzialmente riproponibili le

considerazione avanzate in precedenza, tanto in merito all’ordine della tabella e alle

prime posizioni, rivestite come sempre da Autogrill, Telecom e Luxottica, quanto in

merito all’incidenza dell’effetto leverage. In questo caso, è da evidenziare il caso di

Autostrade che passa tra le prime posizioni in funzioni di un aumento tanto

dell’incidenza delle attività immateriali, quanto dell’apporto di capitale di debito. La

media dell’indice AI/CN è pari a circa il 56%, in linea con quanto evidenziato in

precedenza. Anche in questo caso, la modifica dell’ordine della tabella è dovuto in

buona misura all’introduzione della variabile leverage, che permette a buona parte delle

imprese operanti all’interno del settore finanziario di spostarsi dalle posizioni più basse,

a causa dell’importante contributo del capitale di debito al loro business.

255

4.4 – EFFETTO DEI NUOVI PRINCIPI CONTABILI

La terza parte della nostra analisi empirica riguarderà le relazioni tra le attività

immateriali, il loro peso a livello di bilancio in percentuale dell’attivo ed i principi

contabili in ossequio ai quali sono contabilizzate. A riguardo, come abbiamo analizzato

all’interno del secondo capitolo, sono sostanzialmente tre le tipologie di principi

contabili di cui ci siamo occupati: quelli italiani, secondo i quali sono stati redatti i

bilanci quivi considerati, quelli internazionali IAS, ai quali i bilanci analizzati dovranno

conformarsi a partire dal 1 gennaio 2005, e quelli americani. Varie sono le differenze

intercorrenti tra questi, ma la principale riguarda la sostituzione del sistematico processo

di ammortamento da parte di un impairment test periodico, generalmente con cadenza

annuale, almeno per gli intangibles a vita indefinita. Secondo i principi contabili

americani, infatti, gli intangibili a vita indefinita – come l’avviamento o le differenze da

consolidamento287 – non andranno più ammortizzati a livello sistematico secondo un

processo che rappresenti al meglio l’effettiva perdita di valore subita dal bene, a favore

di un impairment test annuale che verifichi la rispondenza del valore contabile del bene

immateriale con il suo fair value. Se all’interno dei principi contabili italiani questa

pratica è vietata, è necessario sottolineare, invece, come i principi IAS-IFRS sembrino

tendere proprio a questa modalità di contabilizzazione dell’avviamento e delle

differenze da consolidamento. A riguardo, ad esempio, ricordiamo come allo stato

attuale della legislazione, tanto l’avviamento quanto le differenze da consolidamento,

287 Il principio contabile internazionale 22 descrive le procedure di rilevazione e valutazionedell’avviamento e delle differenze da consolidamento. Esso stabilisce che l’eliminazione dellepartecipazioni e delle corrispondenti frazioni di patrimonio netto deve essere effettuata in base ai valoricontabili del momento d’acquisto della partecipazione. Il principio contabile internazionale stabilisce chela differenza da consolidamento deriva dal confronto tra il costo della partecipazione e i fair value delleattività e passività identificabili acquisite (o patrimonio netto “espresso a valori correnti”) al momentodell’acquisto della partecipata. Tale “differenza contabile” può essere positiva o negativa. La differenzapositiva di consolidamento è definita come “qualsiasi eccedenza del costo d’acquisto rispetto al fairvalue delle attività e passività identificabili acquisite alla data di acquisizione”. La differenza negativa èdefinita come “l’eventuale eccedenza, alla data della compravendita, della quota di partecipazionedell’acquirente nei fair value delle attività e passività identificabili acquisite rispetto al costo diacquisizione”.

256

possano essere iscritte tra le attività immateriali288 e ammortizzati in un periodo non

superiore ai 20 anni. Le eventuali differenze da consolidamento, infatti, devono essere

iscritte come attività immateriali quando esprimono il maggior prezzo corrisposto

dall’acquirente in previsione di futuri benefici economici derivanti da sinergie o da

attività immateriali che non possono essere rilevati distintamente. Queste differenze,

quindi, saranno sistematicamente ammortizzate nell’arco della loro vita utile, in

ossequio alla presunzione che la vita utile di queste non ecceda i venti anni289.

L’Exposure Draft emanato dallo IAS nel dicembre 2002 e tuttora in discussione,

tuttavia, innova radicalmente questa tematica prevedendo il non ammortamento

dell’avviamento e della differenza da consolidamento, a favore della loro valutazione

sistematica per valutare eventuali perdite di valore, approccio, come visto, in linea coi

principi americani US GAAP.

L’introduzione di una simile prassi contabile non può che essere oggetto di

accesi dibattiti e consultazioni tra gli operatori, dato che l’influenza da questa esercitata

a livello di bilancio non si limita a coinvolgere il prospetto di stato patrimoniale delle

società coinvolte – modificando il peso delle attività immateriali a bilancio – andando

anche a toccare il prospetto di conto economico. In tal senso, infatti, è evidente come il

venir meno di una posta di ammortamento non può che far aumentare l’utile finale di

bilancio della società soggetta ai nuovi principi contabili: così facendo, aumenteranno

anche i multipli di mercato della società suddetta, la valutazione della sua economicità e

la quantità di dividendi distribuibili.

Proprio in tal senso si muove la nostra simulazione, cercando di evidenziare

quale potrebbe essere l’effetto dell’introduzione di una simile prassi contabile

all’interno dei bilanci consolidati delle società precedentemente analizzate. Abbiamo

voluto focalizzarci sui soli bilanci consolidati in quanto saranno i primi ad essere

coinvolti dall’introduzione dei nuovi principi contabili IAS-IFRS, a meno di ulteriori

espansioni della loro applicazione da parte delle autorità nazionali. In secondo luogo,

abbiamo voluto restringere la valutazione condotta alle sole società industriali

appartenenti all’indice S&P/MIB, ossia a quelle società per le quali era maggiore il peso

delle attività immateriali a bilancio e di conseguenza più rilevante il loro apporto per

288 All’interno della voce “Avviamento”.289 Nel caso in cui l’impresa ritenga di superare questa presunzione, essa dovrà indicare il fattore o ifattori che ne hanno determinato il superamento.

257

l’economicità complessiva dell’azienda. Abbiamo proceduto, quindi, considerando i

singoli bilanci, gli utili riportati al termine dell’esercizio 2002 e 2003, nonché le quote

di ammortamento relative alle differenze da consolidamento e all’avviamento. I dati

riportati sono riassunti nella tabella proposta di seguito:

Tabella 19 - Effetto degli ammortamenti dell'avviamento e delle differenze da consolidamentosull'utile aziendale all'interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenentiall'indice S&P/MIB. fonte: Bilanci consolidati 2002

UtileAmmortamenti

attivitàimmateriali

Ammortamenti

dell'avviamento

Ammortamenti delle

differenze daconsolidamen

toSnam Rete Gas 545.000.000,00 57.000.000,00 0,00 0,00

STM 1.452.000.000,00 127.000.000,0024.000.000,0

0 0,00Finmeccanica 202.701.000,00 115.818.000,00 61.157.000,00 0,00

Eni 4.593.000.000,00 1.423.000.000,0030.000.000,0

0 44.000.000,00Pirelli -405.160.000,00 90.844.000,00 5.477.000,00 69.748.000,00

Fiat

-3.948.000.000,0

0 595.000.000,0037.000.000,0

0 252.000.000,00Bulgari 76.127.000,00 12.587.000,00 943.000,00 1.673.000,00Benetton -9.861.000,00 66.434.000,00 15.049.000,00 1.255.052,00Mondadori 81.074.000,00 23.750.000,00 1.566.444,00 1.652.673,00RCS -152.300.000,00 41.200.000,00 4.500.000,00 18.500.000,00E.Biscom -195.310.000,00 91.554.000,00 4.692.000,00 20.065.000,00Italcementi 274.031.000,00 101.387.000,00 1.471.100,00 64.963.000,00

Enel2.008.000.000,0

0 1.142.000.000,0086.000.000,0

0 543.000.000,00Edison -697.000.000,00 355.000.000,00 17.000.000,00 205.000.000,00Autostrade 172.100.000,00 9.538.657,00 0,00 0,00L'Espresso 67.838.000,00 27.092.000,00 14.361.000,00 1.728.000,00Tim 1.165.000.000,00 611.000.000,00 0,00 100.000.000,00

Telecom -773.000.000,003.419.000.000,0

0 9.000.000,002.142.000.000,0

0

Tiscali -593.145.000,00 253.560.000,0080.000.000,0

0 216.000.000,00Autogrill 7.463.000,00 173.702.000,00 44.155.000,00 113.768.000,00Mediaset 362.000.000,00 734.800.000,00 5.400.000,00 4.100.000,00

258

Luxottica 350.589.000,00 74.262.000,0032.986.000,0

0 0,00

Seat Pg 58.753.000,00 157.000.000,00 92.530.500,00 59.819.000,00

TOTALE 4.641.900.000,00 9.702.528.657,00567.288.044,0

03.859.271.725,0

0% dell'utile 100,0000% 209,0206% 12,2210% 83,1399%

Tabella 20 – Effetto degli ammortamenti dell'avviamento e delle differenze da consolidamentosull'utile aziendale all'interno dei bilanci consolidati delle società non finanziarie appartenentiall'indice S&P/MIB. fonte: Bilanci consolidati 2003

UtileAmmortamenti

attivitàimmateriali

Ammortamenti

dell'avviamento

Ammortamenti delle

differenze daconsolidamen

toSnam Rete Gas 431.000.000,00 45.000.000,00 0,00 0,00STM 253.000.000,00 251.000.000,00 0,00 0,00

Finmeccanica 199.257.000,00 144.154.000,0082.008.000,0

0 0,00

Eni 7.751.000.000,00 1.370.000.000,0035.000.000,0

0 106.000.000,00Pirelli 4.288.000,00 82.853.000,00 5.276.000,00 31.283.000,00

Fiat

-1.900.000.000,0

0 519.000.000,00 17.000.000,00 175.000.000,00Bulgari 92.141.000,00 12.422.000,00 782.000,00 2.019.000,00Benetton 107.874.000,00 42.916.000,00 10.980.410,00 902.590,00Mondadori 82.101.000,00 23.494.000,00 1.175.000,00 1.243.000,00RCS 46.100.000,00 44.900.000,00 3.000.000,00 16.800.000,00E.Biscom -331.542.000,00 102.801.000,00 3.589.000,00 27.941.000,00Italcementi 276.790.000,00 93.507.000,00 4.727.000,00 59.004.000,00

Enel2.509.000.000,0

0 1.253.000.000,00110.000.000,0

0 483.000.000,00Edison 144.000.000,00 293.000.000,00 3.000.000,00 207.000.000,00Autostrade 232.823.000,00 287.402.000,00 0,00 260.707.000,00

259

L'Espresso 46.093.000,00 27.621.000,00 14.318.000,00 12.844.000,00

Tim2.342.000.000,0

0 596.000.000,0076.000.000,0

0 99.000.000,00

Telecom 1.192.000.000,003.109.000.000,0

0 5.000.000,001.830.000.000,0

0Tiscali -242.448.000,00 131.724.000,00 42.000,00 72.063.000,00Autogrill 50.174.000,00 169.868.000,00 51.155.000,00 42.063.000,00Mediaset 369.700.000,00 922.200.000,00 5.400.000,00 43.200.000,00Luxottica 350.589.000,00 74.262.000,00 32.985.600,00 0,00

Seat Pg -32.454.000,00 172.172.000,00 67.829.000,00 22.723.000,00

TOTALE13.973.486.000,0

0 9.768.296.000,00529.267.010,0

03.492.792.590,0

0% dell'utile 100,0000% 69,9059% 3,7877% 24,9959%

Dall’analisi riportata, focalizzandoci sui risultati relativi all’esercizio 2002,

risulta che il totale degli utili conseguiti dalle società considerati è pari a circa 4,6

miliardi di euro e la sommatoria degli ammortamenti degli intangibili a vita indefinita è

pari a circa 4,4 miliardi di euro. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui nessuno degli

intangibili a vita indefinita considerati avesse perso valore nel corso dell’esercizio in

questione, non ci sarebbe stata alcuna svalutazione né, tanto meno, alcun

ammortamento, portando ad un aumento dell’utile aggregato del 95% circa: quasi un

raddoppio degli utili conseguiti dalle società appartenenti al campione.

Osservando, invece, i dati relativi all’esercizio 2003, osserviamo come il totale

degli utili ammonti a circa 14 miliardi di euro, mentre la sommatoria degli

ammortamenti degli intangibili a vita indefinita è pari a circa 4 miliardi di euro. Anche

in questa situazione, nel caso in cui non vi fossero state perdite di valore degli

avviamenti e delle differenze da consolidamento, avremmo assistito ad un aumento del

monte utili del 29% circa.

La grandissima differenza esistente tra i due aumenti in termini percentuali è

dovuta non tanto ad un cambiamento dell’ammontare degli ammortamenti spesati a

conto economico, quanto piuttosto ad un drastico aumento degli utili, passando

dall’esercizio 2002 all’esercizio 2003: segno e conseguenza di una ripresa economica

260

lenta e stentata nel corso del primo esercizio considerato ma maggiormente accentuata e

rapida nel corso del 2003.

E’ evidente, quindi, come anche tutti gli indicatori di redditività che si basano

sugli utili di bilancio verranno modificati e facendo variare, di conseguenza,

l’apprezzamento del valore aziendale condotto da osservatori esterni non adeguatamente

attenti al cambiamento della prassi contabile adottata.

A livello grafico, quindi, possiamo esplicitare questo passaggio

dall’ammortamento sistematico degli intangibili a vita indefinita al loro impairment test

per mezzo dello schema seguente. Da notare come, in prospettiva, questo epocale

cambiamento possa essere esteso anche alle attività immateriali a vita definita, in

sostituzione del loro ammortamento in base alla vita utile presunta.

Figura 16 - Dinamica del valore contabile di un bene con ammortamento a quote costanti o conimpairment test

Come si può notare dal grafico proposto, applicando un processo di

ammortamento sistematico, il valore contabile del bene viene generalmente decurtato di

un ammontare predeterminato, ogni anno, in maniera costante o meno a seconda del

tipo di metodo di ammortamento applicato: nel grafico proposto, si applica un metodo

costante. Utilizzando la tecnica dell’impairment test periodico, invece, è chiaro che il

valore potrà subire modifiche in alcuni esercizi e non subirne in altri, così come varierà

anche l’ammontare di tali diminuzioni di valore che, in linea di principio, dovrebbero

corrispondere a perdite di valore del bene stesso e diminuzioni del suo fair value.

ImpairmentTest

Ammortamento

Valorecontabil

eintangib

ile

Vitaeconomica

261

4.5 – IL CASO BASICNET: L’ACQUISIZIONE DEL MARCHIO K-WAY

Nel presente paragrafo discuteremo e analizzeremo un caso aziendale relativo

all’acquisizione di un marchio: la società acquirente è BasicNet S.p.A., società

appartenente al gruppo Basic; il marchio oggetto di acquisizione è il marchio K-Way.

L’operazione è stata perfezionata a metà febbraio 2004 e riguarda solo e solamente il

marchio appena citato. Di seguito tratteremo in via introduttiva del business model di

BasicNet S.p.A., per poi soffermarci sui dettagli dell’operazione.

4.5.1 – La storia e l’attività

Il Gruppo Basic è attivo nel settore dell’abbigliamento, delle calzature e degli

accessori, per lo sport, il tempo libero e per tutte le occasioni di vita sociale e

professionale ove non è richiesta la formalità, operando principalmente attraverso i

marchi Kappa® e Robe di Kappa®, oltre ad essere proprietario di altri marchi fra i quali

il più noto è Jesus Jeans®.

Il Gruppo Basic nasce nel 1994, quando la Football Sport Merchandise di Marco

Boglione rileva dal fallimento il Maglificio Calzificio Torinese (fondato nel 1916),

262

proprietario di numerosi marchi di abbigliamento fra i quali Kappa, Robe di Kappa e

Jesus Jeans. Il progetto di Boglione consiste nella creazione di un nuovo soggetto

economico idoneo a ridare valore e commercializzare i marchi di proprietà. Con

l'introduzione di un nuovo modello di business, avviene quindi la transizione dalla

forma tradizionale di azienda di abbigliamento ad un modello di impresa a rete,

presupposto necessario per consentire la strategia di internazionalizzazione sul mercato

globale. L'azienda supera la crisi e avvia un programma quinquennale di rilancio. Dal

17 Novembre 1999, la holding capogruppo BasicNet S.p.A. è quotata alla Borsa Valori

di Milano.

BasicNet S.p.A. è la società di controllo del Gruppo Basic, all’interno della

quale vengono sviluppate le attività di servizio a beneficio del Network dei licenziatari:

attività quali l’information technology, la ricerca e lo sviluppo di prodotti, la

comunicazione e il processo strategico. Il Network è prevalentemente costituito da

imprenditori terzi indipendenti ai quali sono concessi in licenza i marchi di proprietà del

Gruppo, ne sono coordinate le strategie di crescita, sono loro fornite collezioni a valenza

internazionale e strumenti di marketing al fine di supportare la loro attività: viene,

inoltre, verificata la qualità dei prodotti da loro distribuiti, anche curando

l’approvvigionamento dei prodotti finali dalle varie fonti di fornitura collocate in

differenti aree produttive290.

L’attività del gruppo Basic, quindi, consiste nello sviluppare il valore dei marchi

di cui è titolare e la diffusione dei prodotti attraverso il proprio “Business System”,

ovvero, nel loro insieme, l’oggetto della licenza offerta dal Gruppo Basic ai licenziatari.

A Tal fine, il Gruppo sviluppa e coordina il Network nonché presidia, con gestione

diretta, aspetti di particolare importanza e di rilevanza traversale all’intero Network,

rappresentati da:

a. Il posizionamento dei marchi e dei prodotti;

b. La strategia di marketing e comunicazione;

c. La concezione e l’industrializzazione dei prodotti: creatività, ricerca e sviluppo;

d. L’approvvigionamento dei prodotti tramite i sourcing centers;

263

e. Lo sviluppo e la gestione del Network.

Le attività ed i servizi sopra indicati sono elementi essenziali del business system del

gruppo Basic per lo sviluppo del valore dei marchi e la diffusione dei prodotti291. Di

conseguenza, il Gruppo non svolge alcuna attività diretta nella produzione industriale

dei prodotti, essendo quest’ultima affidata a soggetti terzi, partecipando, tuttavia, alla

redditività del ciclo produttivo del Network. Il gruppo, infatti, mediante società dedicate

– i cosiddetti Sourcing Centers –, presidia ed ottimizza tutte le fasi della produzione per

conto dei licenziatari, realizzando significative economie di scala e di scopo derivanti

dall’individuazione delle fonti di produzione più convenienti (per costo e garanzia di

qualità) su scala mondiale. A fronte di tale attività, il Gruppo Basic percepisce

commissioni dai licenziatari sulla merce da questi acquistata tramite i Sourcing Centers.

L’attività di distribuzione all’ingrosso (wholesale) e di marketing locale è affidata

nei mercati in cui opera il Network ad una rete di società licenziatarie, che riconoscono

al Gruppo Basic commissioni calcolate sulle vendite a compenso della licenza dei

marchi, del beneficio che deriva dal marketing globale sviluppato direttamente dal

Gruppo e del “business know-how” loro messo a disposizione292. Nel 2003, il Network

si estendeva su 84 paesi, basandosi su una rete di 38 società licenziatarie, tra le quali

ricordiamo Kappa Italia S.p.A., società direttamente controllata dal gruppo e da 37

imprenditori indipendenti, licenziataria in Italia del gruppo293.

290 Quest’ultimo servizio viene offerto per il tramite della joint-venture LF Basic Ltd, in partnership conil Gruppo Li & Fung di Hong Kong, una delle principali trading companies mondiali del settore.291 Come sottolineato dall’azienda stessa “Tale business system è stato concepito e fortemente perseguitoin modo da essere modulare, flessibile e strutturato in modo da consentire lo sviluppo sia per lineeinterne (nuovi licenziatari o società), che per linee esterne (nuovi marchi sviluppati o acquisiti, nuovelinee di business)”.

292 Il Gruppo Basic, tuttavia, è anche presente direttamente nella distribuzione al dettaglio medianteil Gigastore Kappa collocato all’interno del “Basic Village” di Torino e con il nuovo negozio diPortofino. Inoltre, il Gruppo ha recentemente intrapreso un progetto di franchising di negozi Robe diKappa sul territorio nazionale, con l’apertura di due negozi test ad Aosta e Porto Recanati, clienti diKappa Italia, a cui seguiranno altri, non solo sul territorio nazionale Il gruppo, quindi, è presente nellavendita diretta al pubblico con tre modelli di negozio: il negozio monomarca RDK, il Gigastore e loSpaccio, tipico outlet aziendale. Tutti e tre i format sono stati sviluppati con l’obiettivo di poterlireplicare, naturalmente in numero e condizioni di mercato diverse.293 La società Kappa Italia S.p.A. rappresenta anche storicamente il laboratorio di sviluppo dell’interonetwork, essendo l’Italia il luogo di origine del gruppo.

264

I punti di forza del gruppo coincidono con le scelte strategiche intraprese e

perseguite fin dal momento dell'acquisizione del Maglificio Calzificio Torinese e che si

riferiscono al posizionamento dei marchi, al business system e alla web integration.

I marchi del Gruppo Basic si posizionano nel settore dell'abbigliamento informale,

mercato in forte crescita sin dalla fine degli anni '60 e che si ritiene sia destinato ad un

continuo sviluppo in considerazione della progressiva "liberalizzazione" del costume a

livello globale. All'interno del settore "abbigliamento informale" sono stati identificati 3

distinti posizionamenti: maschile, unisex e femminile, ove, in linea generale, al

maschile è attribuita una connotazione di prodotto "sportivo per il tempo libero", a

quello unisex una connotazione di prodotto "sportivo funzionale" e a quello femminile

una connotazione di prodotto "moda". Attualmente, i prodotti Robe di Kappa coprono il

segmento tempo libero (all'interno del quale si posizionano fra gli altri Polo Sport,

Tommy Hilfiger e Nautica) e i prodotti Kappa, il segmento funzionale / sport attivo (nel

quale rientrano Nike, Adidas e Reebok). con il marchio K-Way il gruppo rafforza il

proprio posizionamento affiancando Kappa nel segmento funzionale/sport attivo e con

Superga raggiunge in modo trasversale i tre segmenti del settore . Attualmente sono in

corso test sui prodotti a marchio Jesus per completare il posizionamento nel settore

unisex-jeans&casual, e JeasusJeans per il segmento moda a posizionamento femminile.

Per quanto riguarda il Business System, il gruppo Basic ha impostato il proprio

sviluppo su un modello di impresa "a rete", identificando nel licenziatario il partner

ideale per la diffusione e la distribuzione dei propri prodotti nel mondo e scegliendo di

porsi nei confronti di quest'ultimo non come fornitore del prodotto in sé, ma come

fornitore di un insieme integrato di servizi, o meglio di un’opportunità di business.

Il Business System, inoltre, è stato concepito e strutturato in modo da consentire lo

sviluppo sia per linee interne (nuovi licenziatari o società), sia per linee esterne (nuovi

marchi sviluppati o acquisiti, nuove linee di business); Il suo funzionamento è molto

particolare: alla capogruppo BasicNet S.p.A. fanno capo le attività strategiche di ricerca

e sviluppo prodotto, global marketing, sviluppo e coordinamento del Network dei

Licenziatari, Finanza Strategica e Information Technology (creazione di sistemi

software per consentire la gestione on line di tutti i processi della catena dell'offerta).

Direttamente collegati con BasicNet S.p.A., vi sono i sourcing centers che hanno il

compito di individuare e coordinare le fabbriche cui affidare la realizzazione dei

265

prodotti. Ai licenziatari, definiti su base territoriale o per specifiche categorie

merceologiche è affidata la distribuzione dei prodotti ai dettaglianti nonché l'attività di

marketing su base locale, secondo le linee guida del gruppo. Per l'approvvigionamento

dei prodotti finiti, i licenziatari possono appoggiarsi ai sourcing centers che BasicNet

mette loro a disposizione.

Per quanto concerne la web integration, la piattaforma informatica costituisce uno

dei principali investimenti strategici del Gruppo, al quale è dedicata la massima

attenzione sia in termini di risorse umane, sia di centralità nello sviluppo del Business

System. Tale piattaforma è stata concepita e sviluppata in un'ottica completamente

integrata sul web, interpretato dal Gruppo come lo strumento ideale di comunicazione

fra gli elementi che costituiscono il network. Il dipartimento di Information Technology

si occupa dunque di progettare e implementare sistemi di raccolta e trasmissione dati,

sfruttando le opportunità date dalle reti Internet, per collegare le società del Network

Basicnet fra loro e con l'esterno. In quest'ottica, lo schema di business è stato disegnato

in base a cosiddetti e-process e cioè in divisioni dotcom che eseguono ognuna un

tassello del processo produttivo e lo propongono alle altre divisioni utilizzando per

l'interscambio e la negoziazione esclusivamente le transazioni on line.

4.5.2 - La struttura del gruppo

La struttura organizzativa è stata studiata per assecondare le esigenze operative

del Gruppo. In particolare vanno evidenziate alcune caratteristiche fondamentali: le

società operative italiane sono direttamente controllate da BasicNet S.p.A., con sede a

Torino, mentre le e società operative estere sono detenute per il tramite della Basic

Properties che opera anche come master licensee gestendo i flussi principali di royalties

attive e i costi internazionali di comunicazione. I marchi sono posseduti dalla Basic

Trademark e da BasicNet S.p.A. e vengono valorizzati attraverso le strutture societarie

del gruppo preposte a tale funzione. I sourcing centers del gruppo, infine, costituiscono

un area specifica della struttura, gestiti in joint-venture con il gruppo Li & Fung. Per

chiarire la struttura del gruppo e la sua composizione, proponiamo lo schema seguente:

266

Figura 17 – La struttura del gruppo Basic

Forniamo di seguito alcuni dati in merito alle singole società componenti il

Gruppo, al fine di meglio evidenziare i compiti di pertinenza di ognuna e il ruolo

giocato all’interno del Network:

Basicnet S.p.A., accanto alla già menzionata funzione essenziale di Capogruppo, ha

svolto la funzione di gestione accentrata del Network, fornendo il know-how per l’uso

dei marchi del Gruppo, proseguendo l’attività di ricerca e sviluppo dei servizi e dei

nuovi prodotti per il miglior utilizzo dei marchi, nonché conducendo l’attività di

concezione, sviluppo e coordinamento della comunicazione e dei sistemi informatici del

Gruppo BasicNet. Nell’ambito delle sue funzioni, la società coordina e fornisce al

Gruppo servizi di amministrazione, finanza e controllo, informatica e gestione del

personale.

Kappa Italia S.p.A. è partecipata per il 90% da BasicNet S.p.A. e per il 10% da Basic

Properties B.V ed opera quale licenziatario per l’utilizzo e lo sviluppo dei diritti di

proprietà intellettuale e dei prodotti del Gruppo Basic in Italia e per tutti quei paesi del

mondo in cui non sono già presenti altri licenziatari. La società è titolare di importanti

BasicNetS.p.A.

BasicProperties

B V

KappaItaliaS p A

BasicVillageS p A

Rdk0 S.r.l.Basic

PropertiesEspana

S L

LF BasicLtd.

BasicTrademar

k S.A.

BasicPropertiesAmerica

LF BasicEurope

S r l

90%100%

10%

100%100%50%30% 100%

100%

100%

267

contratti di sponsorizzazione tecnica, merchandising e licenza con, tra gli altri, la

Federazione Italiana Rugby, la Federazione Italiana Golf ed il Brescia Calcio. La società

ha chiuso l’esercizio 2003 con un risultato negativo di 3,5 milioni di Euro, cui ha

contribuito in misura preponderante la svalutazione dei crediti verso il Gruppo

Giacomelli. Il fatturato conseguito nell’esercizio si è attestato a 63,2 milioni di Euro,

contro 89,4 milioni di Euro dell’esercizio precedente, in cui il fatturato includeva

vendite di prodotti legati alla sponsorizzazione della Squadra Nazionale di Calcio e

della AS Roma. Alla diminuzione dei ricavi è comunque corrisposta una riduzione degli

impegni di sponsorizzazione e sono state effettuate operazioni di riduzione sia dei costi

operativi, sia degli oneri finanziari, questi ultimi tramite sensibili riduzioni del capitale

circolante.

RdK0 S.r.l. è la società costituita nel mese di ottobre 2003, interamente controllata da

Kappa Italia S.p.A., al fine di gestire un nuovo negozio situato nel Basic Village di

Torino, con la funzione di entità sperimentale per le iniziative studiate per i negozi in

franchising. La società ha chiuso il primo bilancio in sostanziale pareggio.

Basic Village S.p.A., società interamente controllata, gestisce da settembre 2001

unicamente l’attività immobiliare del Basic Village, concedendo in sublocazione parte

delle unità immobiliari alle società del Gruppo nonché a terzi. A fine esercizio 2003 il

complesso immobiliare era completamente locato e a livello di bilancio, la società

presentava un utile di 35 mila Euro contro la perdita di 90 mila Euro dell’esercizio

precedente.

Basic Trademark (Soparfi) S.A. è la società interamente controllata da Basic Properties

B.V., proprietaria della maggior parte dei marchi del Gruppo. Ha chiuso l’esercizio

2003 con un utile di 0,2 milioni di Euro.

Basic Properties B.V., controllata al 100% da BasicNet S.p.A., opera quale licenziataria

mondiale di Basic Trademark S.A., con facoltà di sublicenza. La sua attività consiste nel

concedere in sub licenza i diritti di proprietà intellettuale del Gruppo Basic ai diversi

licenziatari locali, amministrare e gestire i contratti di sublicenza e le royalties di

268

competenza da essi rivenienti. La società è titolare di contratti di sponsorizzazione e

coordina l’attività di comunicazione, promozione e marketing globale del Gruppo Basic.

Nell’ambito delle operazioni di semplificazione della struttura di gruppo citate in

precedenza, è diventata sub-holding delle società operative estere. Per effetto della

riorganizzazione societaria del Gruppo, la società è oggi titolare del 100% del capitale

sociale della Basic Trademark S.A. e ha chiuso l’esercizio 2003 con una perdita pari a

3,1 milioni di Euro, contro 1,2 milioni di Euro dell’esercizio precedente, massimamente

per l’effetto della svalutazione di alcune partecipazioni.

LF Basic (Hong Kong) Ltd. è partecipata per il 50% da Basic Properties B.V e per il

50% da Li & Fung Trading Ltd. di Hong Kong, società del gruppo multinazionale Li &

Fung e controlla a sua volta al 100% la LF Basic Europe S.r.l di Torino. Le due società

operano come Sourcing Centers, la prima prevalentemente per l’area asiatica, la

seconda nell’area del bacino del Mediterraneo: insieme hanno conseguito un utile di

circa 1,5 milioni di Euro.

Basic Properties America Inc. (già Kappa Usa Inc.) gestiva la licenza per il territorio

statunitense concessa alla Kappa Usa, LLC. Per effetto di rilevanti problemi finanziari,

chiude l’esercizio 2003 con una perdita di circa 6,6 milioni di Euro.

Basic Properties Espana S.L. (già Kappa Spain Sports S.L.), partecipata dal Gruppo

Basic con una quota del 30%, opera quale licenziatario per l’utilizzo e lo sviluppo dei

diritti di proprietà intellettuale e dei prodotti del Gruppo Basic per la Spagna. La società

ha chiuso l’esercizio 2003 con un risultato negativo di circa 3,8 milioni di Euro, contro

0,3 milioni di Euro di utile del 2003, a seguito di un profondo processo di

ristrutturazione avvenuto nel corso del 2003, attraverso la messa in liquidazione degli

attivi aziendali a favore di una riconversione di tipo industriale.

4.5.3 - Il network dei licenziatari

La concessione di licenze, e più in generale il sistema organizzativo della catena

R&D, comunicazione e fonti di approvvigionamento, costituiscono in via principale

269

l’attività del Gruppo Basic. Come già evidenziato il Gruppo non distribuisce

direttamente il prodotto sui mercati in cui i marchi sono presenti ma opera tramite una

rete di licenziatari, cui fornisce una serie di servizi qualificati e tali da consentire loro

un’efficace penetrazione dei mercati o delle categorie di prodotto loro contrattualmente

concessi. In questo contesto, risulta interessante fornire qualche informazione sul grado

di diffusione dei marchi in questione sui diversi mercati, riferendoci ai fatturati

aggregati realizzati dai licenziatari nel periodo considerato294:

Tabella 21 - Fatturato aggregato dei licenziatari; Fonte: Bilancio BasicNet S.p.A. 2003

Tabella 22 - Importanza dei licenziatari per paese; Fonte: Bilancio BasicNet S.p.A. 2003

294 I fatturati conseguiti dai licenziatari nel 2003 e nel 2002, successivamente presentati, sono espressi inmigliaia di Euro, ai cambi delle rispettive date di bilancio.

270

Come si può notare, l’Italia rappresenta il maggiore mercato di sbocco per i

prodotti del gruppo, seguito dal Regno Unito e dall’Irlanda a grande distanza. Non può

che conseguirne che l’Europa è il principale mercato per il Gruppo, che vede l’84%

circa dei propri prodotti destinati alla clientela europea.

4.5.4 – Aree di espansione e prospettive future

Il gruppo è attualmente impegnato in tre direzioni: a livello commerciale, è in

corso un progetto di sviluppo al fine di integrare il livello retail al sistema BasicNet; dal

punto di vista geografico, il Gruppo sta implementando strategie di espansione

271

territoriale, al fine di diversificare i propri mercati di sbocco; da ultimo, ma di capitale

importanza, il Gruppo si sta focalizzando sul rilancio e sul riposizionamento dei nuovi

marchi, quali i neoacquisiti Kway e Superga. Vediamo brevemente di seguito le linee

guida delle tre strategie indicate.

Nell’ambito della vendita al dettaglio, il gruppo sta dando particolare impulso allo

sviluppo dei 3 “concept store” BasicNet.

Robe di Kappa (RDK): Negozio monomarca che trova l’ideale collocazione nei

centri pedonali e storici cittadini e nelle gallerie dei centri commerciali. Gestito in

franchising, propone una gamma di abbigliamento classico-sportivo per adulti. I

monomarca RDK si distinguono per il particolare interior design, ma soprattutto per la

gestione innovativa e totalmente on-line di tutte le attività del negozio.

Il Gigastore: Grande boutique dei marchi BasicNet. Con una metratura

compresa tra i 400 e 1200 mq. e localizzazione ideale negli outlet village, propone tutto

l’assortimento di sport, jeans & casual.

Lo Spaccio: E’ un factory outlet realizzato in aree non tipicamente commerciali

con la caratteristica di proporre un vasto assortimento di stock e convenienza di prezzo.

In secondo luogo, oltre a rafforzare i mercati europei, il gruppo punta ora su 2

grandi aree di sviluppo: il Nord America e l’area asiatica, dove gli accordi più recenti

sono rappresentati rispettivamente dal nuovo licenziatario che opera sul mercato

statunitense e dai contratti di licenza stipulati in Corea del Sud dove alla fine del 2003

erano già operativi 40 Kappastore e in Cina con il più grande gruppo per la

distribuzione di abbigliamento sportivo, presente sul territorio con oltre 300 negozi a

marchio Kappa.

Da ultimo, per quanto riguarda il rilancio dei marchi neo acquisiti, quali Kway e

Superga, è in corso un programma di rilancio articolato in tre fasi: l’acquisizione del

marchio, la sua integrazione nel sistema BasicNet e il successivo sviluppo delle vendite

dirette sul territorio.

Perseguendo l’obiettivo di proporre sul mercato marchi storici con forti

possibilità di sviluppo, da Febbraio 2004 BasicNet acquisisce il marchio K-Way e

contestualmente diviene licenziatario unico mondiale del prestigioso marchio Superga

con un diritto di opzione per l’acquisto dello stesso, come descritto in seguito

272

La grande flessibilità del sistema BasicNet ha permesso al gruppo di ipotizzare

l’integrazione dei nuovi assets in tempi relativamente brevi mettendo a disposizione la

conoscenza specifica dei vari mercati e le strutture ad essi preposti.

Il gruppo prevede di sviluppare per il marchio K-Way una strategia distributiva

simile a quella di Kappa indirizzata soprattutto ai negozi multimarca di articoli sportivi;

per Superga, si prevede di raggiungere i mercati asiatici e americani attraverso specifici

accordi di licenza, mentre quello europeo verrà in larga misura fornito con vendite

dirette sviluppate dalla BasicItalia di Torino.

4.5.5 – L’operazione: Acquisizione da parte di BasicNet S.p.A. del marchio K-Way

L’operazione di acquisizione, conclusasi in data 13 febbraio 2004, riguarda il

solo attivo intangibile del marchio K-Way, ovvero non sono state acquistate quelle

attività (magazzino, crediti commerciali, ecc…) e passività (debiti commerciali, altre

passività, ecc…) normalmente correlate al marchio e a tali tipologie di acquisizione. Di

conseguenza, l’operazione si presenta come il mero acquisto a titolo oneroso di

un’intangible assets, rappresentato nello specifico dal marchio K-Way: anche la

valutazione fatta dell’attivo immateriale stesso, quindi, non risentirà di componenti

materiali ma sarà riferita sic et sempliciter al marchio acquisito.

K-Way costituisce uno dei marchi di abbigliamento più noti al mondo nel

segmento delle giacche a protezione dal vento, dalla pioggia e dal freddo. Il marchio è

infatti strettamente legato, tanto da essere ormai diventato sinonimo, dell’articolo che lo

contraddistingue: una leggera giacca impermeabile che si richiude in una piccola tasca

da legare in vita295.

Quale effetto dell’acquisizione del Marchio K-Way, sono stati trasferiti in capo a

BasicNet S.p.A. i contratti di licenza attualmente in essere: mediamente il rendimento

riconosciuto sotto forma di royalties sui contratti in oggetto è compreso tra il 6% e l’8%

295 Creata a Parigi nel 1965, nel primo anno di produzione ne furono vendute 250.000 unità. Il marchio fupoi esteso anche al resto dell’Europa ed in America. Dopo essere stato un prodotto di punta per tutti glianni ’70, il marchio, anche per effetto delle numerose imitazioni, attraversò un periodo di crisi. Nel 1990venne acquisito da Superga e nel 1992 il marchio diventò fornitore ufficiale della squadra francese neigiochi invernali di Albertville, riacquistando un’importante visibilità. Nel 2000, l’intero pacchettoazionario della Superga venne acquistato dalla società Formula Sport Group S.r.l., società oggi cedente ilmarchio.

273

delle vendite nette che il licenziatario va a sviluppare sui territori o per le categorie di

prodotti ad esso assicurati296.

Il prezzo di acquisto dell’attivo intangibile è stato determinato sulla base delle

prospettive di sviluppo del Marchio per gli esercizi futuri, tenendo conto delle

condizioni di mercato. In particolare, il cash-flow che il Marchio sarà in grado di

generare sarà legato sia alla autonoma capacità di generare i flussi reddituali delle

previsioni commerciali sia all’interazione con il business system del Gruppo Basic,

interagendo altresì sulle strutture già esistenti e ottimizzando la redditività d’impresa. La

metodologia applicata, riconosciuta dalla dottrina e dalla pratica professionale in Italia e

livello internazionale, nonché trattata all’interno di questo lavoro e già utilizzata per la

valutazione dei marchi di proprietà del Gruppo, è basata sull’attualizzazione dei flussi di

cassa prospettici derivanti dalle vendite dirette e dalle royalties provenienti dai

licenziatari terzi, per un periodo di dieci anni. Il tasso di attualizzazione è stato

determinato sulla base del costo medio del capitale, ottenuto ponderando i tassi relativi

alle fonti finanziarie della società (costo dei mezzi propri e costo del debito), tenuto

conto dei livelli di rischio associabili all’attività tipica di gestione dei marchi. La stima

del reddito atteso, inoltre, è stata formulata utilizzando le previsioni prospettiche dei

volumi di vendita specifici del marchio K-Way, confortate anche dall’evoluzione

commerciale storica degli altri marchi gestiti dal Gruppo. Il prezzo del marchio, quindi,

è stato fissato in 8 milioni di Euro, oltre Iva297.

Dal punto di vista prettamente finanziario, l’operazione è stata assistita da un

finanziamento di 8 milioni di Euro, concesso in quote paritetiche da Unicredit Banca

d’Impresa e da Banca Intesa, a un tasso pari all’Euribor trimestrale più 200 punti base,

con rimborso della quota capitale a rate costanti trimestrali in sette anni, di cui il primo

anno di pre-ammortamento. A garanzia del finanziamento assunto, il marchio K-Way è

stato costituito in pegno a favore delle banche finanziatrici. Inoltre, il contratto di

finanziamento prevede il rispetto di ratios finanziari d’uso nonché il mantenimento di

296 A riguardo, giova sottolineare che i licenziatari K-Way France S.a.s., Compagnia delle Pelli S.p.A. eGroup Mizrahi Textile S.A. hanno già acconsentito alla cessione dei rispettivi contratti. Per quantoriguarda i licenziatari che ancora non hanno fornito il consenso, il cedente si è obbligato a prestare ognicollaborazione affinché gli stessi acconsentano al trasferimento a BasicNet S.p.A. dei rispettivi contrattidi licenza, fermo restando che, in ogni caso, saranno riconosciute a BasicNet S.p.A. le royalties dipertinenza.297 L’ammontare verrà regolato in tre rate, di cui l’ultima entro 180 giorni dalla data di sottoscrizionedell’atto di cessione.

274

talune condizioni relative all’assetto proprietario nel capitale di Basic World N.V. e

BasicNet S.p.A.298.

L’acquisizione in questione produce anche degli evidenti effetti a livello

contabile: poiché, come già citato, il contratto di acquisto è limitato al solo marchio K-

Way e al conseguente diritto di sfruttamento dello stesso, gli effetti contabili a livello

patrimoniale dell’operazione si risolvono in un incremento delle immobilizzazioni

immateriali per 8 milioni di Euro299 e un corrispettivo incremento dei finanziamenti a

medio/lungo termine per 8 milioni di Euro. A livello di conto economico, invece,

appariranno a bilancio ammortamenti annuali dei marchi per 410.000 Euro annuali300,

nonché oneri finanziari direttamente imputabili al finanziamento acceso per l’acquisto

dell’attivo immateriale301.

L’operazione, inoltre, non comporta sostanziali modifiche nella struttura dei

rapporti infragruppo rispetto a quanto in essere nel periodo precedente all’operazione,

salvo il flusso di royalties sulle vendite di prodotti a marchio K-Way, che verrà

corrisposto a BasicNet S.p.A. da Kappa Italia S.p.A. in qualità di Licenziatario.

Contestualmente alla proprietà del marchio K-Way, BasicNet S.p.A. ha

acquistato da Formula Sport Group S.r.l. la licenza esclusiva mondiale del marchio

Superga e un diritto di opzione per l’acquisto del marchio stesso. In particolare, il

contratto di licenza mondiale, valido per 14 anni, per la distribuzione in tutti i Paesi e

per tutte le categorie merceologiche dei prodotti a marchio Superga, prevede per i primi

tre anni il pagamento da parte di BasicNet S.p.A. di flat fees di 1,5 milioni di Euro nel

2004, 2 milioni di Euro nel 2005 e 2,5 milioni di Euro nel 2006. Per gli anni successivi

il Gruppo dovrà corrispondere alla società proprietaria del marchio royalties del 4%

sulle vendite nette con minimi garantiti tra i 2,6 e i 3,1 milioni di Euro.

Il contratto di licenza Superga è stato inoltre integrato dal diritto di opzione per

l’acquisto del marchio: diritto che sarà esercitabile a partire dal 2007 e per i successivi 4

298 In particolare, è previsto il mantenimento da parte del sig. Marco Daniele Boglione (sia in mododiretto che indiretto) di almeno il 51% del capitale di Basic World N.V., società che detenendo il 30,01%delle azioni di BasicNet S.p.A., ne è socio di riferimento. In secondo luogo, la partecipazionecomplessiva, diretta o indiretta, di Basic World N.V. nel capitale di BasicNet S.p.A. non dovrà ridursi aldi sotto del 20% del capitale della medesima.299 Il valore incrementale delle immobilizzazioni immateriali includerà inoltre gli oneri accessori diacquisizione, quantificabili in circa 200.000 Euro, interamente autofinanziati.300 Derivanti da un coefficiente di ammortamento pari al 5% annuo.

275

anni, sulla base per la determinazione del prezzo finale, anche del flusso delle royalties

riconosciute alla licenziante fino al momento dell’eventuale esercizio, che andranno ad

eventuale riduzione dello stesso. Il diritto per l’acquisto della proprietà del marchio

Superga da parte di BasicNet S.p.A. avrà validità sino al 2010 e potrà essere esercitato

nel periodo 2007-2008 ad un prezzo di riferimento di 28 milioni di Euro e nel periodo

2009-2010 di 27 milioni di Euro, fatti salvi i correttivi di riduzione del prezzo prima

indicati. Successivamente a tale data e sino al termine del contratto di licenza, BasicNet

S.p.A. beneficerà in ogni caso di un diritto di prelazione da esercitare alle medesime

condizioni dell’eventuale offerente terzo. Si noti che entrambi i diritti non sono a titolo

oneroso.

4.5.5.1 - Motivazioni e finalità dell’operazione

L’operazione di acquisizione, come evidenziato in precedenza, si inquadra nella

strategia di crescita del Gruppo BasicNet al fine di consolidare la propria posizione sul

mercato dell’abbigliamento informale e sportivo. Attraverso l’acquisizione del marchio

K-Way, infatti, il Gruppo intende diversificare ed accrescere il proprio portafoglio

prodotti e marchi, fruendo degli effetti sinergici sui costi generali di struttura, per effetto

di porzioni aggiuntive di fatturato (derivanti tanto dalle vendite dirette, quanto dalle

royalties e dalle commissioni), con redditività marginale aggiuntiva.

Lo sviluppo del valore del marchio viene attuato in primo luogo attraverso

l’attività commerciale del Gruppo Basic, che intende ripristinare la notorietà del

marchio, ricostruire il know-how di prodotto e sviluppare il marchio su scala globale

mediante rapporti di licenza. Lo sviluppo passerà attraverso una prima fase dedicata al

rilancio dei prodotti classici e continuativi che hanno reso famoso il marchio K-Way in

tutto il mondo, estendendo in un momento successivo la linea di prodotti ad una gamma

più ampia ed articolata e specialistica di indumenti per la protezione da pioggia, vento e

freddo. E’ stato previsto, a tal fine, l’inserimento nell’organico di BasicNet S.p.A. di un

brand manager al quale verrà affidato lo sviluppo commerciale del marchio302.

301 Ai tassi attuali, gli oneri finanziari ammonterebbero a circa 326.000 euro302 A livello concreto, il flusso dei ricavi legati al marchio è stato previsto in misura marginale nelsecondo semestre 2004 per la collezione inverno 2004-2005, che sarà distribuita in Italia da Kappa ItaliaS.p.A. Mentre proseguiranno nel corso dell’esercizio 2004 le attività commerciali svolte dai licenziatariterzi, i cui contratti sono stati trasferiti in capo a BasicNet S.p.A., da Formula Sport Group S.r.l., attivi sul

276

4.5.5.2 - Rischi e commenti relativi all’operazione

In via generale giova ricordare che il settore dell’abbigliamento sportivo ed

informale è sensibilmente esposto all’andamento del ciclo economico. Gli acquisti di

abbigliamento sportivo ed informale tendono a diminuire durante periodi di recessione

economica, influenzando negativamente il risultato dell’esercizio. In secondo luogo,

l’andamento del settore di riferimento del Gruppo Basic è soggetto a fenomeni di

fluttuazione della domanda correlati alla tipica stagionalità delle collezioni. Nonostante

il Gruppo Basic riesca ad attenuare gli effetti economici di tale fenomeno mediante una

produzione continua di nuovi modelli e collezioni, i risultati infra annuali del Gruppo

possono risentire della stagionalità del settore. A riguarda, è interessante notare come

l’acquisizione del marchio K-Way, relativo ad un capo di abbigliamento la cui funzione

è quella di proteggere dalle intemperie, dal vento e dalla pioggia, possa contribuire alla

riduzione di questo fenomeno di stagionalità: è quanto meno prevedibile, infatti, che le

vendite di tale prodotto si incrementino in un periodo quale quello autunnale ed

invernale, bilanciando la diminuzione delle vendite di quei capi di abbigliamento più

prettamente estivi, legati alla presenza di una stagione calda e soleggiata.

In secondo luogo, lo sviluppo e la gestione dei marchi – attività tipica del

Gruppo Basic e della capogruppo BasicNet S.p.A. – richiede continui investimenti nella

comunicazione tramite azioni di marketing a livello globale e sponsorizzazioni

nell’ambito del settore dello sport303. Oltre alle spese di comunicazione sostenute dal

Gruppo Basic, i Licenziatari sono impegnati ad investire direttamente in attività di

mercato francese, belga, svizzero e tedesco. A partire dall’esercizio 2005 è pianificato l’avvio dellosviluppo dell’attività, ottimizzando l’effetto sinergico del network di Licenziatari nel mondo,caratterizzanti il sistema distributivo del Gruppo Basic.303 BasicNet promuove l’attività del proprio network e la notorietà dei propri marchi attraverso un’importante attività di sponsorizzazione in numerose discipline sportive. Il calcio è lo sport dove ilmarchio Kappa storicamente è più presente e oggi vestono il marchio degli “omini” più di 100 team intutto il mondo tra cui il Totteham, Feynoord, Werder Bremen, Real Betis, Genk, Sampdoria e Brescia,Copenhagen, Partizan e Botafogo. Tra gli altri sport BasicNet è attiva nel Rugby con la Nazionale Italianaed il più esclusivo club di Francia lo Stade Français, nel ciclismo con i campioni del mondo della SAECOe nello sci con la fornitura tecnica a 30 tra i più importanti sci club europei e con le federazioni nazionalidi Argentina e Messico. Ulteriori attività dell’azienda torinese riguardano anche il Basket con ben 15squadre di livello internazionale , il volley con oltre 20 team in 5 paesi, il motociclismo con i team Derby-Gilera e Honda e l’hockey su ghiaccio con 20 team tra Repubblica Ceca, Finlandia,Svizzera e Russia.

277

comunicazione e marketing a supporto dei marchi Kappa e Robe di Kappa. Qualora

l’azione di comunicazione del Gruppo non risultasse efficace, ovvero nel caso in cui

non fosse in grado di mantenere la visibilità dei propri marchi304 si potrebbero verificare

effetti negativi sul potere di attrazione dei marchi di proprietà del Gruppo e,

conseguentemente, sull’attività e redditività del Gruppo Basic.

Consistendo l’attività del Gruppo nello sviluppo del valore dei propri marchi e

nella diffusione dei propri prodotti attraverso il “business system” descritto in

precedenza, quindi, è evidente come mentre il Gruppo esercita un controllo sull’azione

di marketing globale dei propri marchi, la politica di marketing locale e

l’organizzazione gestionale e finanziaria dei licenziatari siano autonome e, di

conseguenza, l’attività distributiva di questi ultimi sia soggetta al rischio d’impresa.

Sebbene il Gruppo ritenga che nella maggioranza dei casi i licenziatari possano essere

eventualmente sostituiti, qualora non fosse possibile un’immediata sostituzione di un

licenziatario per un qualsiasi motivo inadempiente, l’ammontare del fatturato e dei

profitti del Gruppo potrebbe subirne un effetto negativo; se, per giunta, a tale evento

seguisse una minore diffusione dei prodotti del Gruppo Basic, anche il valore dei

marchi di proprietà potrebbe esserne influenzato. Inoltre, eventuali risultati negativi

realizzati da Kappa Italia S.p.A., licenziatario direttamente controllato dal Gruppo,

peserebbero negativamente sui bilanci dell’emittente.

Similmente, è necessario ricordare come l’attività di produzione industriale dei

prodotti non è realizzata dal Gruppo stesso, bensì mediante un insieme di rapporti di

carattere contrattuale tra i produttori e i licenziatari, attraverso un sistema di

intermediazione gestito dai sourcing centers, fermo restando il diritto dei licenziatari di

poter accedere direttamente a fonti di produzione, ma con il controllo degli standard

produttivi e qualitativi effettuato a livello accentrato dal Gruppo stesso. Di conseguenza,

qualora il Gruppo non riuscisse ad assicurare tramite i sourcing centers un’adeguata

competitività produttiva, potendo i licenziatari rivolgersi a fonti produttive dirette,

potrebbe diminuire il flusso di commissioni che il BasicNet S.p.A. percepisce su tali

attività. Sebbene questa criticità non si mai verificata in maniera significativa nella

304 In special modo nell’ambito delle manifestazioni sportive di maggior rilievo o all’interno deiprincipali campionati, tramite la sponsorizzazione di squadre o personaggi sportivi.

278

storia del Gruppo, non vi è garanzia che in futuro tale problema non si possa

manifestare.

Da ultimo, è importante rilevare le conseguenze e i rischi finanziari derivanti

dall’operazione di acquisizione portata a termine, nonché legati alla più generale attività

del Gruppo. Essendo l’operazione di acquisizione da parte di BasicNet S.p.A.

interamente assistita da un finanziamento a titolo di capitale di debito a medio termine,

questo non può che provocare un aumento del grado di leva finanziaria del Gruppo,

correlata strettamente al piano di sviluppo progettato per marchio recentemente

acquisito. Al fine di poter supportare in maniera adeguata il processo di consolidamento

e di sviluppo nel quale il Gruppo si è impegnato, anche attraverso l’operazione descritta

in precedenza, il Consiglio di Amministrazione della società ha ritenuto opportuno

deliberare nella direzione di un rafforzamento finanziario del Gruppo. In tale senso, il

C.d.A., nella riunione tenutasi il 23 marzo 2004, ha determinato le modalità, le

condizioni e la tempistica per un aumento di capitale per un importo massimo di 25

milioni di Euro. L’effetto patrimoniale dell’aumento dei mezzi propri aziendali sarà

pertanto quello di mantenere adeguato il rapporto fra indebitamento finanziario e

disponibilità proprie, sostenendo in condizioni di equilibrio finanziario lo sviluppo del

giro d’affari diretto, dal quale deriva, normalmente, una dinamica espansiva dei

fabbisogni connessi al capitale circolante netto305.

Sempre dal punto di vista finanziario, in un’ottica più propriamente di tesoreria

aziendale, giova ricordare come i ricavi ed i margini operativi del Gruppo siano

influenzati dall’impatto dell’oscillazione dei tassi di cambio sui prezzi dei prodotti

acquistati dal licenziatario italiano Kappa Italia S.p.A., sulle royalties attive dai

licenziatari denominate in valute diverse dall’Euro e sulle commissioni di sourcing. A

riguardo, riportiamo di seguito un estratto del bilancio consolidato del Gruppo, atto ad

evidenziare l’importanza assunta da queste tre fonti di ricavo all’interno

dell’economicità dell’azienda.

305 L’aumento di capitale effettuato risponde, inoltre, anche alle previsioni del contratto di finanziamentosindacato in essere, stipulato nel novembre 2001 e con scadenza novembre 2007 (di originari 26,25milioni di Euro, ora ridotti a 20,72 milioni per effetto degli avvenuti rimborsi alle scadenza pattuite) cherichiedeva quale presupposto per il mantenimento del finanziamento il mantenimento di una condizionedi equilibrio finanziario tra mezzi propri e capitale di debito.

279

Tabella 23 - Prospetto di conto economico; Fonte: Bilancio BasicNet 2003

Il Gruppo Basic non ha effettuato sino ad oggi coperture dei ricavi in valuta,

bensì ha utilizzato i proventi in USD dai licenziatari a titolo di royalties e commissioni,

per effettuare pagamenti su acquisti nella medesima valuta, ottenendo implicitamente

una copertura dei rischi di cambio. Il rischio sulla restante porzione di acquisti in USD

viene gestito con operazioni di copertura tendenti a fissare il valore della valuta, con

riferimento ai costi della merce individuati in fase di budget e conseguentemente

adottati per la redazione dei listini di vendita. L’oscillazione dei tassi di cambio di

alcune valute straniere, quindi, potrebbero provocare un effetto negativo sulla redditività

del Gruppo per le operazioni non assoggettate a copertura.

280

4.5.5.3 – Gli sviluppi dell’operazione

L’operazione di acquisizione del marchio K-Way e della licenza mondiale per il

marchio Superga descritta in precedenza influenza profondamente la gestione del

gruppo Basic e della capogruppo BasicNet S.p.A. in particolare. In questo paragrafo,

quindi, vogliamo analizzare tre delle principali operazioni condotte dal gruppo,

strettamente collegate col perfezionamento della suddetta operazione.

Per prima cosa, merita attenzione l’aumento di capitale – già menzionato in

precedenza – approvato in data 13 maggio 2004, per un ammontare di nominali 25

milioni di euro306. Come sottolineato dal management anche all’interno del prospetto

informativo relativo all’operazione, l’aumento di capitale in questione è volto al

rafforzamento finanziario del gruppo, al fine di poter supportare il processo di sviluppo

che il gruppo Basic ha intrapreso – all’interno del quale si inserisce l’operazione di

acquisizione perfezionata, con particolare riferimento al marchio K-Way e alla licenza

mondiale Superga – nonché al fine di riequilibrare la struttura finanziaria del gruppo, a

seguito dell’acquisizione del marchio K-Way, fondata tutta sull’utilizzo di capitale di

debito.

In data 28 luglio 2004, il gruppo balza ancora agli onori della cronaca, dopo

l’annuncio di un nuovo accordo di licenza stipulato negli Emirati Arabi: in virtù del

contratto di licenza siglato con la Al Wasl Trading Group di Abu Dhabi, il gruppo Basic

estenderà la diffusione dei marchi Kappa e Robe di Kappa anche al mercato degli

Emirati Arabi Uniti307. Un business valutato almeno 700 mila dollari (circa 580 mila

euro) per tutto il periodo della licenza, la cui scadenza è stata fissata il 30 giugno 2005,

fra meno di un anno.

Da ultimo, in data 20 settembre 2004, BasicNet S.p.A. ha siglato un'intesa di

partnership con Canada Inc. di Montreal per la distribuzione dei suoi prodotti a marchio

K-Way nel Nord America: l'intesa avrà una validità iniziale di cinque anni, con la

306 A seguito dell’aumento di capitale, il capitale sociale di BasicNet S.p.A. passa da poco più di 15milioni di euro a poco più di 40 milioni. L’emissione è avvenuta al prezzo di 0,52 euro per azione, senzasovrapprezzo, per un totale di circa 48 milioni di azioni ordinarie emesse.307 Allo scopo di promuovere la crescita dei brand sportivi Kappa e Robe di Kappa, la Al Wasl TradingGroup ha già firmato un contratto di sponsorizzazione con la nazionale di calcio degli Emirati Arabi, cheparteciperà ai gironi di qualificazione per i prossimi campionati mondiali di calcio del 2006 in Germania.Tenendo conto dell’espansione in Medio Oriente e del recente accordo siglato nell’Est europeo, salgonocosì a 87 i paesi nel mondo in cui vengono distribuiti i prodotti del gruppo Basic.

281

possibilità di rinnovare l'accordo per altri cinque, e garantirà fino a dicembre 2009

vendite dei prodotti a marchio per almeno 20 milioni di dollari. Si tratta del primo

nuovo contratto di licenza firmato da BasicNet dallo scorso febbraio, quando il gruppo

aveva acquisito il marchio K-Way da Formula Sport Group. L’intesa appena siglata,

quindi, rappresenta indubbiamente un’espansione altamente strategica in un mercato

chiave ed estremamente ampio come quello del Nord America.

4.5.5.4 - La reazione all’acquisizione di Borsa

La capogruppo BasicNet S.p.A., come noto, è quotata all’interno del Mercato

Telematico Azionario di Borsa Italiana S.p.A. Risulta, quindi, interessante esaminare le

reazioni del mercato e degli investitori alla notizia dell’acquisizione da parte

dell’azienda del marchio K-Way e agli eventi ad esso collegati descritti in precedenza.

Analizzeremo, quindi, con maggiore attenzione i grafici relativi all’acquisizione

condotta nel Febbraio 2004, per poi dedicare qualche commento alle reazioni degli

operatori di Borsa conseguenti alle operazioni di aumento di capitale del Maggio 2004,

alla licenza siglata per gli Emirati Arabi nel luglio 2004 e alla stipula del contratto di

licenza per i prodotti a marchio K-Way per il Nord America, recentemente conclusa a

fine settembre. Vediamo di seguito il grafico dell’andamento del prezzo del titolo

BasicNet S.p.A. durante il 2004, a confronto con l’indice MIB relativo ai titoli operanti

nel settore tessile e dell’abbigliamento.

Grafico 7 - Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell'indice MIB TESSILE nel corso del 2004

282

Come si può notare, il titolo ha presentato un andamento evidentemente

peggiore dell’indice di riferimento, perdendo circa il 25% da inizio anno, contro una

sostanziale invariabilità o leggero miglioramento nell’ultimo periodo, del valore

dell’indice che, nonostante per quasi tutto il periodo si attesti su livelli più alti rispetto

all’inizio dell’anno, ritorna a metà agosto ai valori di gennaio per poi intraprendere un

trend positivo che dura tuttora. All’interno della cornice blu abbiamo evidenziato il

periodo all’interno del quale si sono riverberati gli effetti dell’acquisizione.

Analizzeremo di seguito, in maniera più particolareggiata, l’andamento del titolo

all’interno del periodo in esame; ma già ad una prima occhiata risulta evidente il picco

nel valore del titolo, che raggiunge i massimi del 2004, in contrapposizione ad una

relativa piattezza nell’andamento del grafico del valore dell’indice di riferimento.

All’interno della cornice verde abbiamo evidenziato il periodo in cui è stato effettuato

l’aumento di capitale a servizio dell’acquisizione: come si può notare, da allora si è

innescato un trend decrescente che dura fino a metà agosto. L’azione arriva a perdere,

più o meno come diretta conseguenza dell’aumento di capitale, circa il 27% a partire da

maggio per arrivare fino a metà luglio. A fine luglio, come descritto in precedenza,

BasicNet S.p.A. stipula un accordo di commercializzazione dei prodotti a marchio

Kappa e Robe di Kappa per la zona degli Emirati Arabi e il mercato premia la società

283

con un importante rialzo dell’8,77% in un solo giorno, portando alla sospensione della

contrattazione delle azioni per eccesso di rialzo. Da ultimo, evidenziamo all’interno

della cornice grigia il rialzo a seguito dell’accordo di commercializzazione per il Nord

America del marchio K-Way, pari al 5,11% in un solo giorno. L’evidente rialzo che ha

preceduto quello analizzato, pari circa al 14% in un solo giorno di contrattazione, è

relativo alla diffusione da parte della società di una relazione semestrale nettamente

positiva, evidenziante un utile ante imposte di 1,6 milioni di euro (+52,6%) e un netto

miglioramento delle vendite aggregate, nonostante la sfavorevole evoluzione del

rapporto euro/dollaro (+7,5% o +11% a parità di tasso di cambio).

Di conseguenza, possiamo osservare come, pur in presenza di un generale trend

negativo, invertito solo a partire da metà agosto, gli operatori di borsa sembrino

premiare la politica di acquisizione e gestione degli intangibles di BasicNet S.p.A.: il

trend non positivo, infatti, coinvolge tutti i competitors almeno fino a maggio, essendo

quello in cui opera la società un settore estremamente sensibile ai periodi di lenta

crescita economica o di stagnazione. All’interno di questo trend negativo, però, i

contratti stipulati dal gruppo ed analizzati in precedenza vengono premiati ed

accompagnati da consistenti rialzi; questo non si può dire per quanto riguarda l’aumento

di capitale deliberato a metà Maggio, accolto negativamente dal mercato e causa –

insieme alla comunicazione di non brillanti risultati economici per il 2003 –

dell’inasprimento del trend e del peggioramento dell’andamento dei corsi azionari per

quanto riguarda BasicNet S.p.A. rispetto all’indice di riferimento. Ad ogni modo, è

necessario sottolineare che l’aumento di capitale in questione è più che altro una scelta

di politica finanziaria, non direttamente legata alla politica di acquisizione e gestione

delle risorse immateriali intrapresa dalla società.

Vediamo ora nei particolari l’andamento del titolo nei giorni relativamente vicini

alla data dell’acquisizione del marchio K-Way a metà febbraio: analizzeremo quanto

accaduto nei giorni immediatamente precedenti e successivi, confrontando l’andamento

del prezzo dell’azione con quello dell’indice MIB TESSILE nel medesimo periodo.

284

Grafico 8 - Andamento del titolo BasicNet S.p.A. e dell'indice MIB TESSILE in Febbraio 2004, mesedell'acquisizione del marchio K-Way

All’interno del grafico precedente abbiamo evidenziato in verde la data ufficiale

di acquisto del marchio, giorno a partire dal quale è possibile notare molto chiaramente

l’inizio del trend discendente in netta contrapposizione con i precedenti movimenti

rialzisti del titolo. Nel grafico successivo, analizziamo ancora più nel particolare i giorni

precedenti e seguenti l’acquisto, tramite l’ausilio di un grafico a candele giapponesi.

Grafico 9 - Grafico a candele giapponesi del prezzo del titolo BasicNet S.p.A. nei giorniimmediatamente precedenti e successivi all'acquisizione avvenuta in data 13 Febbraio

285

Come noto, l’acquisto è stato perfezionato in data 13 Febbraio e di estrema

importanza risulta l’analisi dell’andamento del titolo nei giorni precedenti: come si può

notare tanto dal primo grafico quanto dal secondo, nei giorni di contrattazione

immediatamente precedenti all’acquisto, il titolo ha subito un’impennata dei corsi

azionari, soprattutto a partire dal 6 Febbraio. Molto interessante è il comportamento del

titolo nei giorni 11, 12 e 13 febbraio: l’11 febbraio il titolo ha guadagnato circa il 6%,

continuando un trend positivo già presente nei giorni precedenti. A partire dal 12

febbraio, vi sono state le prime prese di beneficio: il titolo perde il 6% in un giorno,

nonostante abbia toccato i massimi di periodo all’interno della medesima giornata. In

questi due giorni, come evidenziato dalla parte bassa del grafico, l’elevato valore dei

volumi di trading conferma la situazione di sostanziale anormalità del mercato,

evidenziando un particolare interesse da parte degli investitori nella situazione di

BasicNet S.p.A. Dopo il 13, continuano le prese di beneficio, facendo diminuire i corsi

del titolo ben al di sotto dei loro valori iniziali.

Possiamo quindi concludere che il mercato ha sostanzialmente apprezzato

l’operazione di acquisizione, premiando la stessa con importanti rialzi nei giorni

precedenti la sua ufficializzazione. Dopo un periodo tanto di rialzi tanto continui e

consistenti, gli investitori hanno voluto prendere beneficio dei guadagni ottenuti,

chiudendo le posizioni aperte in precedenza.

286

287

CONCLUSIONI

Gli intangible assets sono sempre stati parte fondamentale dell’economia e della

gestione delle aziende: non erano assenti nel passato e la loro importanza è sempre stata

decisiva per la creazione di valore aziendale. Dall’interazione di queste attività con il

più generale processo di gestione aziendale sono più volte nate strategie e azioni che

hanno decretato il successo di molteplici imprese nel corso della storia. Nel corso della

storia, d’altra parte, il concetto stesso di risorse immateriali si è presentato sotto

molteplici forme in più situazioni, denotando una continua evoluzione frutto di

arricchimenti continui derivanti dallo sviluppo tecnologico, industriale e sociale.

Proprio questa continua evoluzione ed interazione con l’ambiente economico

circostante, ha portato ad un incremento dell’attenzione posta in merito a questo

argomento, derivante principalmente dalla sempre più frequente centralità assunta da

queste risorse nel processo di creazione di un vantaggio competitivo duraturo e

sostenibile, come mostrato all’interno del primo capitolo. La rivoluzione tecnologica

tuttora in atto, l’apertura delle aziende ai mercati finanziari mondiali globalizzati e la

crescente dematerializzazione dell’economia sono solo alcuni dei drivers che hanno

alimentato questo processo.

Ormai tutte le aziende ritengono che gestire le risorse immateriali sia uno

strumento fondamentale per raggiungere l’obiettivo della creazione di valore per gli

azionisti, ma, in concreto, poche di queste hanno focalizzato la loro attenzione

sull’importanza di definire una strategia ad hoc per le loro consapevole gestione e sulla

necessità di condurre attente ricerche al fine di individuare un sistema di collegamento

tra le risorse immateriali e le strategie di creazione di valore. Nasce, quindi, l’esigenza

di implementare un sistema che sia in grado di identificare, misurare e monitorare il

legame tra attività intangibili e i value drivers dell’azienda308. Se, tuttavia, gli intangible

assets stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nella costruzione e nella

difesa di un vantaggio competitivo duraturo e sostenibile, al contempo la loro gestione

comporta difficoltà di natura concettuale ed operativa: come identificare gli intangible

assets strategici ? Come valorizzarli quali/quantitavamente? Come comunicare il loro

288

valore agli investitori e a tutti gli stakeholders in un’ottica di bilancio e di informazione

integrativa? Sempre più importante risulta la misurazione e la gestione attiva ai fini

della loro valorizzazione delle risorse immateriali e di pari passo lo sviluppo del tema

degli intangible assets nelle strategie di comunicazione aziendali, pur in un’ottica di

necessaria riservatezza.

In tal senso, è necessario muovere da un approccio basato sulla semplice

misurazione degli attivi intangibili, verso un approccio omnicomprensivo, che si occupi

della loro gestione e della loro valorizzazione. Sfortunatamente, tuttavia, alcune imprese

non compiono nemmeno il primo passo di questo processo ideale, tralasciando

completamente la valorizzazione e l’identificazione del loro patrimonio intangibile. Ma

come è composto questo processo? Quali sono le sue tappe fondamentali? A livello

teorico possiamo distinguere cinque fasi, molto spesso sovrapposte e interdipendenti a

livello pratico. Si tratta della individuazione degli intangibili, della loro analisi e

valutazione, della loro gestione strategica, della loro implementazione e successiva

comunicazione. Durante la prima fase è necessario identificare gli intangible assets che

fanno parte del patrimonio aziendale ed individuare quelli suscettibili di autonoma

valutazione economica. In un secondo momento, è necessario identificare il legame tra

questi e i driver del valore e del vantaggio competitivo aziendale, al fine di poter

determinare in maniera attendibile il valore economico di quelli suscettibili di autonoma

valutazione. In terzo luogo, la fase della gestione strategica si occuperà di sviluppare

strategie allineate con le macrostrategie aziendali nell’ottica di gestire il rischio e

l’incertezza associati agli intangibles, al fine di fornire un solido substrato al processo di

implementazione di tattiche di valorizzazione di queste attività coerenti con gli obiettivi

aziendali. Da ultimo, sarà necessario comunicare all’interno e all’esterno dell’azienda

l’attività svolta e i risultati ottenuti, tanto con strumenti obbligatori quali il bilancio

d’esercizio, quanto con strumenti collaterali e predisposti ad uopo.

Il nostro lavoro, quindi, si è focalizzato principalmente sul fornire strumenti atti

a portare a termine tre delle fasi individuate: nel corso del primo capitolo abbiamo

parlato delle difficoltà presenti al momento di identificare gli intangible assets ed

esplicitare il loro collegamento con la posizione e la strategia competitiva perseguita

dall’azienda. Nel secondo capitolo abbiamo parlato della informativa di bilancio

308 Come si può notare, questo processo ricalca la struttura del nostro lavoro, avendo dedicato una parte

289

associata alle attività intangibili e alla progressiva omogeneizzazione dei vari principi

contabili su scala globale. Nel terzo capitolo, abbiamo esaminato i metodi di

valorizzazione degli intangible e di loro valutazione economica, passo fondamentale per

la loro gestione e successiva comunicazione. Da ultimo, all’interno del quarto capitolo,

abbiamo voluto fornire alcune evidenze empiriche dell’importanza degli intangible

assets all’interno dell’attività di numerose imprese, tramite l’analisi empirica condotta

sui titoli appartenenti all’indice S&P/MIB, per poi soffermarci sulla descrizione

dell’attività del gruppo Basic e della recente acquisizione del marchio K-Way condotta

dalla capogruppo BasicNet S.p.A. Questo gruppo fornisce un ottimo esempio di

gestione strategica degli intangible assets e di messa in pratica del processo delineato in

precedenza: l’individuazione degli intangibles ha portato ad una loro precisa

valorizzazione e successiva gestione strategica, il tutto concluso con la comunicazione

degli stessi, grazie agli strumenti di informativa pubblica.

Questo processo dovrebbe essere se non all’ordine del giorno in ogni impresa,

quanto meno ampiamente diffuso e condiviso all’interno delle varie aziende, in special

modo in quelle per le quali il vantaggio competitivo da esse perseguito è correlato alla

presenza e alla valorizzazione di intangible assets. Sfortunatamente, così non è: come

mostrato da una ricerca condotta da PriceWaterhouseCoopers su un campione di 800

aziende europee operanti all’interno di diversi settori, sebbene il 78% degli intervistati

affermi che la consapevole gestione delle attività immateriali generi valore per gli

azionisti, solo il 24% delle imprese interpellate può vantare un sistema di gestione

strategica degli intangibles.

A questa carenza non si può porre rimedio nel breve termine, comportando la

soluzione di questo problema l’implementazione di un sistema di gestione strategica

delle attività immateriali, conseguente ad un importante sforzo a livello tanto di

management aziendale, quanto di utilizzatori esterni del bilancio: proprio da questi,

infatti, nasce sempre più spesso la necessità di avere maggiori informazioni in merito a

beni che spesso sono contornati da un’ampia aurea in incertezza in merito alla

quantificazione del loro valore. Proprio nel senso di cercare di dipanare questa

incertezza, fornendo strumenti atti al perseguimento e all’implementazione di questa

gestione strategica degli intangibles muove il nostro lavoro. Per imprese come BasicNet

di questo alla identificazione degli intangibles ed una seconda parte alla loro valutazione.

290

S.p.A. e per aggregazioni di aziende come il gruppo Basic, ve ne sono altrettanti che

non attuano alcuna gestione delle attività immateriali, avendo a malapena iscritto a

bilancio il proprio marchio. In un’economia all’interno della quale i valori intangibili

hanno sempre più valore e sono sempre più fonte di vantaggio competitivo, è proprio

questa la strada da non seguire: tralasciare l’individuazione, la valorizzazione e la

comunicazione del proprio patrimonio intangibile è tanto anacronistico quanto

penalizzante. Una consapevole gestione e quantificazione del valore degli intangibles,

infatti, può offrire opportunità di business, come dimostra il caso aziendale proposto,

altrimenti non perseguibili, fornendo all’esterno dell’azienda agli utilizzatori e valutatori

dei bilanci tanto un’immagine positiva del management aziendale, quanto un importante

aiuto per la quantificazione del reale valore dell’azienda.

291

292

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