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Zona 508 è il giornale edito dai detenuti delle carceri Verziano e Canton Mombello di Brescia in collaborazione con l'Associazione Carcere e territorio
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Zona 508
1
Marzo 2011
Anno VII - Numero
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Zona 508il bimestrale Dagli
Istituti di pena Brescianiil bimestrale gli
Istituti di pena BrescianiDa
S pecial e:Infanzia
2 Zona 508
Pag.3
L‟editoriale
Pag. 4
Iniziative
Pag. 12
Speciale Infanzia
Pag.23
Liberi pensieri Pag.31
Ricetta
Pag. 32
Oroscopo
Pag 33
Consiglio
Zona 508Autorizzazione del Tribunale di
Brescia
Direttore responsabile :
Editore :Act
Redazione e amministrazione :
Tipografia :
Redazione Verziano e Canton Mombello :
Redazione Act :
n. 25/2007 del 21 Giugno 2007
Marco Toresini
( Associazione Carcere e Territorio )Via Spalto S. Marco, 19 – Brescia
c/o ActVia Spalto S. Marco, 19 – Brescia
Grafiche Cola s.r.l. Via Rosmini, 12/b
23900 Lecco
Letizia, Rachele, Patrizia, Danilo,
Mauro, Vincenzo, Alessandro,
Giorgio, Giuseppe, Alfredo, Redoua-
ne, Ermanno, Armand, Salvatore,
Emiliano, Riccardo, Gianni, Massi-
miliano, Vincenzo, Emiliano, Pasqua-
le, Sergio
Michela, Andrea, Marta
B, Alessandra, Daniele,.
Roberta, Brunella,
Paola, Carmelo, Laura,
Emanuela, Marta S,
Fabiana, Camilla
Sommario
Pag 11
La recensione
3 Zona 508
L’editoriale
“O ra che avverto quotidianamente
l‟incedere della vecchiaia, la memoria mi ripor-
ta sovente ai luoghi in cui ho vissuto o dove so-
no passato nei miei numerosi viaggi e che han-
no suscitato affetti e sentimenti diversi”.
Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose,
uomo illuminato, interprete della modernità con
l‟acume e l‟intelligenza di chi sa dialogare con
lo spirito (anche lui, paradossalmente, da dentro
una cella, quella del monaco), ha recentemente
scritto un libro (“Ogni cosa alla sua stagione”,
Einaudi) per raccontare i luoghi della sua vita e,
soprattutto, quelli della sua infanzia sulle colli-
ne del Monferrato. Una vita povera, ma carica
di grandi speranze, una vita sulla quale medita-
re, appagare le nostalgie ma trarre le risorse per
andare avanti.
Anche i redattori di Zona 508 in questo numero
hanno fatto come il priore di Bose, si sono rac-
contati partendo dall‟infanzia. Partendo dagli
amici e dai luoghi che in tanti ricordano con
struggente nostalgia: ora perché la nostalgia è
quella per un paese lontano, per una persona
cara; ora perché rimane il rammarico per le oc-
casioni perse, per le strade non percorse, per
una vita che, forse, poteva andare diversamente.
Sono acquarelli di campagne nebbiose e solita-
rie, di periferie degradate, di città lontane che
vivevano però degli stessi giochi, si nutrivano
delle stesse inquietudini infantili, delle medesi-
me preoccupazioni di padri e di madri. Così nei
ricordi d‟infanzia dei nostri cronisti la città ma-
rocchina non è molto diversa dalla periferia di
una città italiana, entrambe popolate di fatiche e
di sogni.
Traspare in alcuni anche la vita che sarebbe sta-
ta con la consapevolezza che, forse, con un mi-
nimo di sforzo avrebbe potuto anche scrivere,
questa vita, un epilogo diverso. Così, sfogliando
questo numero, troverete anche i consigli di chi
non vuol più rifare gli errori di un tempo, di chi
sollecita un‟attenzione e un ascolto per i figli,
sia pur in condizioni difficili come quelle di un
padre e madre carcerati, affinchè siano il più
efficace degli antidoti per evitare che le storie si
ripetano. Insomma, ricordare l‟infanzia è stato
per molti come fare memoria, masticare il pane
di ieri (per usare il titolo di un altro libro di En-
zo Bianchi) per nutrire il presente, per dargli un
senso, anche se è difficile, duro, perché non si
ha più l‟innocente incoscienza dei bambini, ma
la spigolosa e arida consapevolezza degli adulti.
E bello leggere l‟infanzia dei nostri redattori
riscoprendo un po‟ la nostra di infanzia, fatta di
fughe e voglie di scoprire, fatta di choccanti
scontri con la realtà (la bugia del malato di dia-
bete, per mascherare chi si bucava per strada tra
i casermoni popolari è patrimonio comune di
molti). E un modo per scoprire, magari, quanto
investire sull‟infanzia sia importante per inve-
stire sul futuro di tutti noi; quanto le attenzioni
all‟infanzia siano importanti per accompagnare
i nostri figli a superare ostacoli non sempre fa-
cili.
“La vita continua – scrive ancora Enzo Bianchi
- e sono gli uomini e le donne che si susseguono
nelle generazioni, pur con tutti i loro errori, a
dar senso alla terra, a dar senso alle nostre
vite, a renderle degne di essere vissute
fino in fondo”.
Insomma, anche noi di Zona 508 scrive-
vano di infanzia ma pensavamo al futu-
ro.
Marco Toresini
Quell’infanzia che ci fa pensare al
futuro
Pag. 4
Iniziative
Pag 11
La recensione
4 Zona 508
G razie alla collaborazione tra i volontari
della ACLI, della Parrocchia di Cristo
Re in Borgo Trento a Brescia, della
“Associazione Maschere Nere” e il Kemenge
(ACT, oratorio Cristo Re e COE Milano), la
dottoressa F.Tammaro responsabile dell‟area
educativa qui a “Mombello” ha saputo offrire a
tutta la popolazione detenuta una carrellata di
film in lingua araba e francese con sottotitoli in
italiano, nei giorni 13/14/15 ottobre.
La prima proiezione in lingua araba,
“Mascarade” , racconta di un un villaggio Mou-
nir algerino nella regione delle Aurès; uno spac-
cato di vita in un paese agricolo. Le diverse fi-
gure del film sono tratteggiate con garbo e hu-
mour, in un contrappunto tra inghippi di sociale
vanagloria e di docile eppur risolutiva saggezza
femminile; bella anche la fotografia.
Il secondo giorno, superate almeno parzialmen-
te le difficoltà di accesso, sono stati presentati
quattro cortometraggi di egregia fattura: in
“Percussion kid” non ci sono parole, solo im-
magini, in un‟evoluzione di ritmi e colori. Un
bambino ritma tutto nella vita, anche durante le
lezioni di corano. Escluso dalla scuola, è conse-
gnato ad estranei per fare apprendistato come
calzolaio: ritmerà la vita sociale al mercato bat-
tendo la suola delle scarpe. Con “Il progetto” si
vive un clima di suspense noir: un borseggiato-
re ruba una borsetta dove trova, oltre
all‟onnipresente telefonino, una pistola. Ferma-
to, cominciano le sue tribolazioni.
Notevole la manifestazione dell‟ipocrisia socia-
le in “E‟ domenica”: la dignità di un padre, irri-
ducibile nonostante le delusioni, ricorda la figu-
ra di Umberto D. del nouveau realism ita-
lien.Infine, è commuovente l‟odissea di due
bambini alla ricerca del padre rinchiuso in car-
cere dall‟altra parte della città: “Bambini tra gli
alberi”. Il terzo giorno presenta un tema alquan-
to scottante: “Akhar film” è il titolo in arabo. Si
tratta di alcuni settari che cercano di reclutare e
plasmare all‟osservanza religiosa un giovane
sbandato e frustrato, per farlo aspirante e marti-
re shahid. Nel film la figura migliore è ancora
una donna che sa amare il protagonista oltre la
meschina, ipocrita e rozza violenza degli uomi-
ni. Il mio vicino vuole convincere che c‟è una
Sura che proclama che non ci deve essere vio-
lenza nella raccolta degli adepti, che
l‟integralismo è una violenza alla religione che
passa tramite la violenza alle persone: non c‟è
chi sia più disposto di me a riconoscere ciò! Le
risa di compresso nervosismo, che di quando in
quando accompagnano gli accadimenti in scena,
mi lasciano comprendere che anche l‟altra
sponda del Mediterraneo riflette sul fatto che
l‟uso della violenza non abbia nulla a che fare
con le religioni ed è un imbroglio di chi gestisce
od ambisce al potere. Bello sarebbe stato aprire
una discussione.. A me viene da pensare che la
strada della civiltà passi attraverso l‟accordo tra
le religioni, intuendo che i gradi di civiltà sono
differenti configurazioni dei valori recepiti dalle
diverse società. Ma il confronto non era previ-
sto: solo brevi parole di commento con uno de-
gli organizzatori. Non ci resta che ringraziarli,
sperando in un prossimo incontro.
Ettore
Iniziative
5 Zona 508
...è cappellano del Carcere Minorile “Beccaria” di
Milano dal 1972.
Venerdi 26 novembre è stato ospite presso l‟Opera
Pavoniana a Brescia per parlare del “suoi” ragazzi
in carcere.
Fondamentalmente concorda sul fatto che il reato
vada punito, ma sottolinea come non si debba scon-
finare nell‟eccesso di punizione, ma sfruttare invece
il tempo della detenzione per “tirar fuori” il buono
che c‟è in ognuno di questi giovani.
La sua testimonianza, è per dire che dietro quelle
sbarre c‟è gente viva, che comunica, ragazzi in car-
ne ed ossa! Essi sono fondamentalmente tutti buoni,
ma richiedono costante attenzione e considerazione,
oltre che dialogo, perché in precedenza ne hanno
sofferto molto la mancanza. Sono felici quando ven-
gono ascoltati e considerati per ciò che fanno, dico-
no e pensano.
Oggigio rno , p resi dal l ‟od io razziale ,
dall‟intolleranza, e da un certo livello di egoismo,
quando assistiamo ad un fatto di cronaca ci lasciamo
andare ad una serie di condanne facili e talvolta esa-
gerate, sempre addosso agli altri, ma senza mai pen-
sare: “Io dov‟ero?”, “Potevo fare qualcosa per impe-
dirlo?”.
E con queste premesse, Don Gino ci ha descritto la
sua attività:
“La maggior parte dei detenuti al “Beccaria” sono
italiani (soprattutto da Brescia, Bergamo e Milano),
che hanno commesso reati dal furto all’omicidio, e
ne passano in media 300/350 l’anno. Qui vengono
accolti dall’equipe di Don Gino e degli altri educa-
tori.
Il percorso rieducativo si articola in varie fasi; soli-
tamente Don Gino incontra i giovani già
all’ingresso in struttura, ed ascolta semplicemente
la loro storia, senza etichettare né fare domande
inopportune, anche perché spesso sono proprio loro
i primi a raccontarsi!
Una particolarità comune è che molti di loro hanno
abbandonato gli studi precocemente, e ciò indica
una debolezza del nostro sistema educativo scolasti-
co su cui è importante riflettere.
Al termine della detenzione, la rete di supporto
(purtroppo anche a causa dei tagli ai fondi statali) è
scarsa. Tuttavia le soluzioni migliori rimangono
l’Art. 21 (ovvero il permesso di uscita giornaliera
per recarsi a lavoro) e l’ingresso in strutture riabi-
litative (es. comunità, di cui alcune fondate da Don
Gino) che offrono libertà in contesti protetti, in mo-
do tale da responsabilizzare i soggetti coinvolti.”
Al termine della serata, noi tutti abbiamo potuto
interagire con lui porgendogli domande e potendo
constatare ancora una volta quanto umano e straor-
dinario sia quest‟uomo, che s‟impegna molto per
questi giovani, ma soprattutto lo fa con amore e de-
dizione sincera, la medicina migliore.
Emanuela
Don Gino Rigoldi..
Mia madre tra poco compie 85 anni. Dopo una vita di “buone creanze”, come dice lei, oggi si sente tanto amareggiata. Con il suo carattere forte e battagliero nonostante l’età, ha condiviso la manifestazione delle donne a difesa della propria dignità, svoltasi alcune set-timane or sono. Nel suo “io” di donna avrebbe voluto parteci-parvi e far sentire la propria voce, soprattutto in occasione del prossimo 8 marzo, festa della donna. Si è immaginata, dopo una vita travagliata di madre, di poter mandare un messaggio a chi di competenza, per dirgli di aver la forza di scendere dagli “altari” e guardare da vicino la sofferenza degli operai in lotta per mantenere il posto di lavoro, oppure i pensionati che
“vivono” con 600 euro al mese o abbandona-ti negli ospizi... Con indignazione mi ha parlato, in un suo recente scritto, degli scandali morali di chi ci governa e ha ribadito la sua volontà di dire - a nome di tutte le donne offese nella loro di-gnità di madri, mogli, sorelle o figlie – al no-stro “Re Sole Silvio” (come lo chiama lei) di lasciare il suo posto... Perché il popolo italiano crede ancora nei va-lori della famiglia, nell'uguaglianza e nella giustizia. Il suo – conoscendola bene – è uno sfogo di disperazione a difesa di tutte le donne, e so-prattutto un grido di speranza verso un mon-do nuovo per le generazioni future...
Piova '54
6 Zona 508
LA PRIGIONE DI SPECCHI
“Noi che viviamo in questo carcere, nella cui vita non esistono fatti ma dolore, dobbiamo misurare il tempo
con i palpiti della sofferenza, e il ricordo dei momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare. La soffe-
renza [...] è il nostro modo d'esistere, poiché è l'unico modo a nostra disposizione per diventare consapevo-
li della vita; il ricordo di quanto abbiamo sofferto nel passato ci è necessario come la garanzia, la testimo-
nianza della nostra identità”
Oscar Wilde
Premio Casalini
L‟acqua corre sui vetri della finestra disegnando
rigagnoli che si rincorrono e si intrecciano. Qualche
volta un‟automobile passa lungo la vicina statale
illuminando solo per un attimo, di un bagliore me-
tallico, la figura che attraverso un‟ombra umida si
riflette sul vetro .
Sono io. Mi è impossibile crederlo ma quella sì,
quella sono proprio io. La mia sagoma taglia
l‟oscurità polverosa e il silenzio opaco attorno a me.
A stento ricordo come tutto ha avuto inizio.
Detesto la notte, la luce tesa del neon che filtra dalla
stanza accanto. Odio l‟ombra finta che proietta sul
pavimento troppo pulito. Qui non si sente mai rumo-
re di passi. C‟è sempre questo stramaledetto silen-
zio, pare un silenzio nervoso, un silenzio artificiale.
La vita ha abbandonato questo luogo. Ma la notte
resta, interminabile, eterna, intollerabile per chi co-
me me non ha più neppure la forza di dormire. Non
ricordo più nulla di come ho cominciato. Ricordo
solo ciò che ho provato. Ciò che c‟era prima si è
perso nella foschia, a volte mi chiedo se sia mai
davvero esistito qualcos‟altro. Ho cominciato molto
tempo fa, da così tante albe e così tanti tramonti,
così tante estati e così tanti inverni che ho
l‟impressione che tutto sia nato con me. Ritornando
indietro con la mente non c‟è un solo ricordo, una
sola emozione che non sia legato a tutto ciò. Io non
avevo alcuna responsabilità, nessuno l‟ha capito. Io
ero solo il burattino non il burattinaio, ero la vittima
di un sacrificio che non avevo inteso si dovesse
svolgere. Perchè nessuno l‟ha capito, perché nessu-
no mi ha teso una mano invece che colpirmi, perché
nessuno mi ha ascoltato anche solo per un attimo?
… avrei avuto tanto da dire. Bastava qualcuno,
qualcuno per ascoltare. Ora è troppo tardi.
Forse avevo intuito che era una follia, avevo perce-
pito la faticosa assenza di limiti, la pericolosa sedu-
zione che tutto ciò esercitava su di me. Ma allora mi
sembrava impossibile resistere. Ah, che canto melo-
dioso avevano le mie sirene!
Q uest‟anno, l‟Associazione Carcere e Terri-
torio Onlus di Brescia ha deciso di dare
maggior rilievo alle attività svolte dal
gruppo, che si occupa della sensibilizza-
zione dei giovani alle problematiche della detenzio-
ne.
Da questa proposito nasce il primo premio letterario
A.C.T., un‟iniziativa voluta e portata avanti con im-
pegno e serietà inizialmente da Carmelo Gallico, poi
da un discreto numero di volontari.
Da questa prima esperienza, abbiamo ottenuto dei
buoni risultati.
Diverse sono state le scuole superiori bresciane par-
tecipanti, non trascurabile il numero degli allievi
che vi hanno partecipato, decisamente apprezzabili i
lavori svolti.
Tre i testi, ritenuti dalla giuria, meritevoli del pre-
mio e della pubblicazione.
Agli autori di questi e di tutti i testi inviatici, vanno i
nostri apprezzamenti ed i più sentiti ringraziamenti.
Sperando che l‟iniziativa continui nel tempo, con un
sempre maggior numero di studenti coinvolti, noi
continuiamo nel nostro lavoro, di sensibilizzazione
dell‟opinione pubblica sulle problematiche carcera-
rie e di recupero e reinserimento dei detenuti. Siamo
infatti convinti che il senso attuale della pena non
debba piu‟ essere legato alle sole logiche meramente
retributive, affidando al solo carcere un obiettivo
rieducativo che si è dimostrato ben difficile da per-
seguire.
Le misure alternative alla detenzione, la mediazio-
ne penale, la tutela delle vittime, l‟impegno riparati-
vo, la gestione del caso nella sua complessità pro-
blematica, inclusi gli aspetti relazionali, affettivi,
abitativi sono solo alcuni degli strumenti che
un‟attenta riflessione mette a disposizione per que-
sto gravoso impegno; la loro conoscenza, applica-
zione e gestione sono un‟opportunità per l‟intera
comunità, soprattutto, nelle sue componenti più
profondamente coinvolte in un disegno riabilitativo
della persona esclusa, quindi, in primis, il volonta-
riato. Il premio letterario ACT nasce e si muove in
questa prospettiva. In esso riponiamo fiducia perché
il cammino di consapevolezza della comunità rispet-
to al proprio sistema penitenziario possa ulterior-
mente trarre beneficio.
Carlo Alberto Romano
7 Zona 508
Sarebbe più facile incolpare qualcuno per le mie
scelte, una madre troppo affettuosa o un padre esi-
gente e distratto ma non è possibile. La responsabili-
tà cade tutta su di me.
Forse l‟assenza di volontà, paradossalmente, mi
avrebbe salvata. Poi ne ho conosciute altre. Inizial-
mente ci scambiavamo solo consigli, poi divenne
quasi una sfida. Ciascuno voleva essere in grado di
superare i propri limiti e io, per prima, ci sono riu-
scita.
La mia memoria si sta dissolvendo, come le gocce
d‟acqua sul vetro della finestra. Il cielo è livido, for-
se è già alba. A stento ricordo come tutto ha avuto
inizio. A stento ricordo mia madre scoppiare in un
pianto per me straziante. Io l‟abbracciai, mentre mi
diceva che non voleva che morissi, che mi amava
troppo per vedere la sua unica figlia condannarsi a
morte da sola.
Si sbagliava, ciò che soffro ora non è la morte. E‟ la
prigionia.
Ciò che una volta è iniziato come un impegno ora è
un‟abitudine. Il controllo è la cosa più importante di
tutte. Controllare sistematicamente. Esigere da sé
stessi un ferreo autocontrollo, seguire fino in fondo
l‟obbiettivo assegnatoci. E controllare. Verificare
che tutto sia come deve essere, ispezionare assidua-
mente ogni cosa, assodare che il proprio compito sia
svolto fino in fondo. Non sì può definire occupazio-
ne, né impegno, né compito. Ormai è uno stile di
vita.
Non avrei mai voluto intraprendere un cammino
tanto impegnativo. Non avrei dovuto. Poi qualcosa è
scattato dentro di me. Mi chiedevo se ce l‟avrei dav-
vero fatta, in me era sorto il desiderio di raggiungere
almeno una volta nella mia vita un obbiettivo, senza
compromessi e senza scuse. Ogni giorno che passa-
va mi rallegravo per la mia buona condotta, per il
mio impegno assiduo e per la mia forza interiore.
Ero un eroe, e mi sentivo invincibile. Se all‟inizio il
mio spirito era combattuto, con il passare del tempo
mi consideravo sempre più invulnerabile. Poi iniziò
a crescere dentro di me qualcosa di più forte della
soddisfazione. Qualcosa di più pericoloso. Prima
una leggera avversione, poi la repulsione e il disgu-
sto si impadronirono di me, fino a sfociare
nell‟odio, in un odio interminabile, eterno, intollera-
bile come la notte, che neppure la luce gelida di un
neon riesce a scalfire. Iniziai ad adempire al mio
impegno sempre con maggiore aggressività, sempre
con più rabbia e ferocia. La distruzione prese il po-
sto della tutela, la violenza prese il posto del rispet-
to, l‟odio per ciò che era per me incomprensibile mi
trasformò in un essere da temere e, paradossalmen-
te, la paura si impossessò di me come il rumore lon-
tano di passi sospetti in un corridoio troppo silenzio-
so.
Ora non sono più un custode. Non posso più definir-
mi neppure un carceriere. Ora sono un aguzzino.
La pioggia è cessata. Anche la luce intermittente del
neon si è spenta. Fulminata, senza dubbio. Come la
mia giovane vita. L‟oscurità ora domina silenziosa il
luogo in cui mi trovo. Sento un rantolo provenire da
uno degli ambienti attigui;è notte ma forse qualcuno
si è già svegliato o non si è mai addormentato,come
me.
In questo luogo non ci sono specchi ma a me ormai
non servono più. Sono stata vittima per anni di una
prigione di specchi, solo ora me ne rendo conto. Gli
specchi sono stati per me prima consiglieri affidabili
e riservati poi giudici impietosi. Sento un cane abba-
iare al di là del cortile, oltre il cancello: anche io ne
avevo uno, a lui affidavo tutti i miei pasti perche
nessuno potesse dubitare del mio appetito. Ora non
è più con me.
Non sono ammessi cani in un ospedale.
La flebo si è staccata di nuovo, non pensavo di ave-
re ancora la forza necessaria per compire un movi-
mento tanto brusco da staccarla. Già qualche giorno
fa mi risultava persino difficile salire sulla bilancia,
compiere un gesto che per me era diventato, con il
passare dei giorni, tanto automatico. Con lo scorre-
re delle ore la mia ansia di salirvi si faceva sempre
più impellente, era ormai una necessità: “Dunque
vediamo … chissà di quanti chili sarò ingrassata?”
mi chiedevo in preda alla frenesia mentre i chili
scendevano lentamente, ma ineluttabilmente
62,55,52,47,44,43…
Questa flebo non mi servirà ancora per molto. Or-
mai la sua azione benefica è completamente super-
flua, è inutile chiamare l‟infermiera. Comunque ciò
che soffro ora non è la morte. E‟ la prigionia.
Dover rimanere ancora, anche se per poco in questo
corpo,che è divenuto ormai solo uno scomodo intru-
so. Sono arrivata ad odiarlo tanto da divenirne un
violento aguzzino.
Mi chiamo Paola e ho diciassette anni.
Mi chiamo Paola e sono detenuto e detentore, pri-
gioniero e aguzzino insieme.
Il mio corpo è il mio carcere.
Noi che viviamo in questo carcere, nella cui vita
non esistono fatti ma dolore, dobbiamo misurare il
tempo con i palpiti della sofferenza, e il ricordo dei
momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare.
La sofferenza [...] è il nostro modo d'esistere, poi-
ché è l'unico modo a nostra disposizione per diven-
tare consapevoli della vita; il ricordo di quanto ab-
biamo sofferto nel passato ci è necessario come la
garanzia, la testimonianza della nostra identità. Se
la fame cessa di carpirci e la vita ci abbandona la
sofferenza nostra e degli altri non smette mai di in-
fliggerci i suoi colpi crudeli.
Mi chiamo Paola sono alta 171cm. Mi chiamo Paola
e peso 37kg.
Mi chiamo Paola e sto per morire.
8 Zona 508
VERRA’ L’INVERNO Il fruscio leggero delle foglie caduche,
saluta l’inverno che verrà.
Ma ancora nel sole si specchiano colori caldi,
riflessi indefiniti come lame taglienti.
Lasciano intorno pensieri di stellari lontananze,
dal mare che dinanzi a me era pieno di luna.
Mentre mulinelli di vento
spezzano rami secchi alla solitudine
mi lasciano in gola tante parole che so dire,
emozioni che non ho mai riconosciuto come tali,
perché riscoprirsi
è come sentirsi nudi al cospetto di ogniuno!
Giorgio
Parliamo di...
D urante il corso della vita succedono
cose che la gente nemmeno penserebbe
o potrebbe immaginare possibili e co-
me in un incubo cambiano il corso di vite che
da reali diventano invisibili, iniziando un cam-
mino difficile anche da pensare.
E‟ questo che succede tutti i giorni: migliaia di
persone perdono la concreta e soffice sfida e,
senza passare dal via, si ritrovano rinchiusi in
posti vuoti e crudi dove
con la loro forza di vo-
lontà combattono minu-
to dopo minuto per re-
cuperare quella libertà
che fino a quel momento sembrava così superfi-
ciale, addirittura monotona.
Ma nel frangente di questo tempo s‟impara ad
apprezzare ed amare dapprima le cose brutte e
poi le belle. Ed è per questo che bisogna sfor-
zarsi di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno
e mai mezzo vuoto: per riassaporare principi e
valori antichi ormai quasi persi e dimenticati.
Le cose belle sono semplici e reali e tutto sta
nell‟apprezzarle, accontentandosi di essere se
stessi.
W la libertà
Maury 79
G entili lettori, vorrei parlarvi della mia vita at-
traverso questo giornale.
Sono Lorenz, nato in Albania a Tirana. In questo
momento mi trovo nella Casa Circondariale
“Canton Mombello” a Brescia.
Nella mia vita non ho mai combinato qualcosa di
buono ed ho fatto soffrire le persone che amo.
Sono finito dentro per spaccio: ero tossicodipenden-
te e mi drogavo ogni giorno da quando avevo 16
anni… Ora però mi sto rendendo conto che era tutto
sbagliato, un finto divertimento.
Adesso capisco che per essere una persona felice
non bisogna usare la droga ma esistono altre cose
belle e che durano per sempre.
E' per colpa mia se ora mi trovo in condizioni nelel
quali nessuno vorrebbe mai essere. Desidero inserir-
mi in una comunità e dire per sempre NO alla droga,
contando sulla mia volontà e sull‟amore per la mia
famiglia: soprattutto mia madre e mio padre, il quale
mi guarda dal cielo e spero sia fiero di me…
Tanti saluti
Lorenz
Prigionieri del tempo
Che cosa di noi resterà
Quando avranno dimesso noi
stessi
E non penseremo ai pensieri
Che abbiamo avuto perché
Il tempo non lo permetterà La sola felicità sarà
Per sempre la libertà
Federico P.
9 Zona 508
S i può vivere senza crescita di popo-lazione? Forse sì, ma si deve tirare
la cinghia: pensioni da fame, dibattiti este-nuanti sul testamento biologico….. Il problema sarà proteggere la vita anziana, con tasse alle stelle sui consumi per mante-nere decenti livelli di PIL. La popolazione non cresce, per cui il PIL cresce solo se la stessa popolazione aumenta i consumi; se questi non crescono non aumenta nemme-no il PIL. E’ esattamente quello che è acca-duto: le economie sono implose. Ma di chi è la colpa di ciò? Non solo dei banchieri disonesti, come mol
ti pensano ma piuttosto degli intellettuali supponenti: quelli della crescita zero. La logica dell’economia non s’inverte, per-ché è fondata sulla legge naturale: o si fan-no figli o si consuma di più! Nel mondo occidentale abbiamo inventato il consumismo come ideologia per compen-sare il crollo delle nascite: la parola d’ordine era godersi la vita, l’unico modello di successo nichilista. Il Papa lo spiega be-ne nell’introduzione all’ultima enciclica so-ciale: è l’uomo che va cambiato, non gli strumenti!
Federico
T elevisione, grande invenzione, strumento
di manipolazione della mente delle perso-
ne. Nonostante sia una semplice scatola, fatta di ve-
tro e plastica, ha un potere immenso perché può en-
trare indisturbata in ogni casa e dentro ogni uomo,
facendo così il giro di tutto il pianeta e farsi ascolta-
re e adorare da tutti.
Io penso che per noi sarebbe un gran bel grosso gua-
io non averla; come potremmo mai essere altrimenti
informati in tempo reale dei problemi, delle novità e
dei pettegolezzi degli altri senza nemmeno scomo-
darci da una comodissima poltrona?
Oggi per moltissima gente la Tv fa proprio parte
della vita quotidiana. Semplicemente schiacciando
un piccolo tasto di start, le si dà, tra virgolette, la
vita: questo schermo fatto di vetro freddo comincia
a scaldarsi pian piano, come se prendesse a respirare
e noi siamo i protagonisti in prima persona di questo
grande avvenimento.
Senza poi parlare delle migliaia di programmi che
variano a nostro piacimento; cosa dire dei Tg che si
fanno in quattro per essere lì, in concorrenza l'uno
con l'altro, per non
arrivare mai in
ritardo sulle ultime
notizie? E‟ come
una gara fra mac-
chine di formula 1,
anche se qui si
parla di redazioni
giornalistiche.
Però a questo pun-
to mi chiedo: tutta questa gente che si dà da fare
realizzando programmi e trasmissioni televisive, lo
fa per il nostro divertimento, per la nostra informa-
zione o soprattutto per le nostre tv di ultima genera-
zione che con i suoi 10 milioni di colori meritano di
stare accese per farsi ammirare?
Concludendo vi chiedo quante volte in un giorno
accendiamo la Tv? Ma ditemi, quante volte la ascol-
tiamo? Lascio a voi il compito di scoprire se è dav-
vero così utile averne una o è soltanto comodo aver-
ne una.
Ricordandovi però che le nostre generazioni prece-
denti erano comunque colte e informate senza que-
sta Tv.
Grazie di tutto,
a presto.
Luigi
10 Zona 508
S catola magica mi sembra la maniera giusta
per definire questa grande invenzione; con
una piccola pressione su un tasto, ecco che si
apre un mondo d‟immagini e suoni da ogni parte del
mondo.
Fino a pochi anni fa le immagini trasmesse erano
solo in bianco e nero e solo poche persone potevano
permettersi una televisione; per vedere i programmi
la gente spesso si ritrovava nei bar. Poi è arrivato
anche il colore a ravvivarla e ai giorni nostri la tele-
visione è in continua trasformazione, sia per quanto
riguarda le varietà di programmi e canali, sia per la
digitalizzazione del segnale per una miglior visione.
Oltre a cambiare come contenuti, la televisione è
mutata anche nell'aspetto: le prime erano grosse e
pesanti, quasi dei mobili. Andando avanti il legno è
stato sostituito dalla plastica e le ultime poi sono
diventate ultrapiatte tanto che, oltre ad essere un
apparato televisivo, sembrano quasi delle opere d'ar-
te contemporanee.
Attraverso la televisione possiamo apprendere noti-
zie, previsioni meteo, sapere in tempo reale di fatti
accaduti e per ogni persona essa ha un valore diver-
so; per chi lavora e non ha molto tempo è un mo-
mento rilassante, magari du-
rante la cena. Per casalinghe, pensionati, gente che
sta in ospedale o che non può muoversi, o per gente
come noi detenuti è una compagnia oserei dire quasi
indispensabile, perché ti aiuta a rimanere in contatto
con il mondo esterno; difficile immaginare una gior-
nata senza la sua compagnia.
L'unico neo a mio avviso è la pubblicità. Giusta-
mente, su una tv commerciale è la prima fonte di
sostentamento ed è davvero tantissima: spesso pas-
sano 5/6 minuti tra un primo e secondo tempo di un
film ma non è da meno neanche la tv di Stato, la
Rai, che nonostante faccia pagare un canone annua-
le non è sicuramente mancante in fatto di spot pub-
blicitari.
Nonostante tutto, se devo trarre delle conclusioni,
ritengo sia ai giorni nostri un apparecchio ormai
indispensabile, tanto è vero che in ogni casa spesso
se ne trova più di una. La televisione ti offre compa-
gnia, divertimento film e, quando sei stanco, una
leggera pressione e si ammutolisce...
Cosa si può pretendere di più!
Mauro
La televisione…
questa scatola magica
Quando sentiamo parlare della
bellezza immediatamente asso-
ciamo tutto ciò che di bello può
esserci: la bellezza di una donna,
la bellezza di un uomo, la bellezza estetica delle
cose, la bellezza di opere d’arte, di paesaggi …
insomma tutto ciò che suscita ammirazione.
Tutto questo porta al valore estetico,
all’esteriorità ma “bellezza” è intesa anche in sen-
so morale: la bellezza interiore, sinonimo di pu-
rezza dell’anima.
Quante volte sentiamo esclamazioni tipo “E’ bello
dentro”, anche se in certi casi questo rappresenta
un escamotage per non urtare la sensibilità di chi
non è dotato di particolare avvenenza.
Sicuramente la bellezza interiore è la vera essen-
za, è qualcosa che non muta, anzi, acquista un va-
lore sempre maggiore: è ciò che contraddistingue
la persona che la possiede.
Al contrario, la bellezza estetica ed esteriore è
destinata a svanire, a subire trasformazioni nel
corso del tempo, nonostante l’assillante bombar-
damento pubblicitario delle aziende produttrici di
prodotti cosmetici, o dei continui messaggi dei
media che mirano a farci credere nell’eterna bel-
lezza o che ci propongono modelli quasi irraggiun-
gibili di estetica, svuotando i nostri portafogli.
Purtroppo, l’accanita ricerca della bellezza este-
tica “a tutti i costi” sfocia nel ricorso sempre più
crescente alla chirurgia plastica, che a volte pro-
cura benefici a chi si sottopone agli interventi
ma, ahimè, a volte provoca danni irreversibili alla
salute, fino addirittura alla morte.
In ogni caso, tutte le varie forme della bellezza e
tutte le varie sfaccettature concorrono a deter-
minare l’unica definizione, l’unica verità, ovvero
“la bellezza della vita”. Anche se si vive in condi-
zioni avverse, in situazioni negative, la vita è bel-
la; è il dono più prezioso che abbiamo, che rende
tutto possibile e dovremmo sempre e comunque
prenderci cura di lei, anche se tutto intorno a noi
potrebbe indurci a disprezzarla o, peggio ancora,
a volerla spezzare.
Letizia
La bellezza della vita
11 Zona 508
La recensione...
...l’ultimo libro di Isabel Alende,che ho let-
to,racconta di Irene e Francesco, giornalista lei,
fotografo lui : entrambi si trovano ad essere interes-
sati alla storia di una
ragazza che sembra fare miracoli. Scampano
all‟eccidio compiuto dalle Forze Armate in una o-
perazione di repressione degli assembramenti popo-
lari, ma restano intenzionati a fare luce sulla
scomparsa della Santa Contadina.
Tra tanti pericoli riescono a scoprire che fine ha
fatto Evangelina la Santa, violentata, uccisa dai mi-
litari e seppellita in una miniera abbandonata: pur-
troppo la denuncia dei fatti la mette nel mirino dei
militari che riescono ad essere prosciolti nel proces-
so penale e cominciano a darle una caccia senza
fine. Gravemente ferita in un attentato si vede co-
stretta a lasciare familiari ed amici e fuggire
all‟estero: così non avrebbe più rivisto il profilo
dei suoi monti alla sera, non avrebbe sentito il
canto roco dei torrenti, ne avrebbe aspirato l‟aroma
del basilico in cucina ne più udito la pioggia che
evapora sul tetto di casa.
Il personaggio che nel romanzo mi ha colpito di più
è stato quello di Irene,sempre disposta ad aiutare gli
altri per un futuro migliore e libero, schierata contro
la dittatura con grande passione civile:mi sembra
che in lei si ritrovi l‟anima dell‟autrice stessa, Isabel
Alende cilena, non estranea ad esperienze di dittatu-
ra militare. Ho seguito con interesse anche lo svilup-
po del rapporto di amicizia in amore tra i due perso-
naggi principali ,la ricerca del padre allontanatosi
all‟estero quando la protagonista era ancora bambi-
na, ed il fondamentale amore per la patria: con frasi
semplici, struggenti per uno come me che si è tro-
vato nella stessa condizione di dover abbandonare la
propria terre, la tradizione, la cultura, questo nuovo
racconto dell‟Allende presenta ,ancora una volta, la
lotta o forse meglio la resistenza di persone sempli-
ci, inermi contro l‟apparato militare e la classe al
potere, prevaricanti.
Redazione
H o appena
finito di
leggere il testo di
T i z i a no S c a rp a
„Stabat mater’; si
presenta come un
m o n o l o g o d i
un‟orfana,Ceci lia,
dell‟Ospedale della
Pietà di Venezia;
brandelli di coscienza
come isole, grumi di
sentimenti, scorrono
nel buio della notte,
nella solitudine dell‟orfanotrofio: pause sul vuoto.
Destinataria di questo flusso di coscienza
l‟immaginaria in quanto assolutamente sconosciuta
“madre” di Cecilia , sempre muta, sempre assente;
interlocutrici del personaggio principale sono altre
orfane, la personificazione della morte di Cecilia
stessa - fin troppo reale nella sua puntuale, punti-
gliosa presenza al dialogo -, le suore e il vecchio,
consunto insegnante di musica, sostituito poi dal
nuovo insegnante... rosso di capelli…Così lo spazio
dell‟orfanotrofio visitato, scandito nel buio della
notte si riempie di persone e ricordi e via via di e-
venti nuovi: ho trovato interessante la struttura sce-
nografica del romanzo che di nota in nota si arric-
chisce di particolari elementi determinanti
l‟evoluzione drammatica della coscienza di Cecilia.
Lo stato di privazione affettiva,la solitudine esisten-
ziale del personaggio principale e la musica, -per
altro mezzo di qualificazione sociale delle orfa-
ne,del prete rosso e dell‟istituzione stessa
dell‟Ospedale -, sono i temi portanti e strutturanti
l‟intero racconto: La lettura è scorrevole,facile per
la sua frammentaria forma di prese di coscienza,
avvincente per le puntuali illuminazioni di stati psi-
cologici o di dati di fatto; è consigliabile a chi, ri-
stretto, si trova ad apprezzare ogni forma di evasio-
ne, liberazione mentale da realtà contingenti.
L‟unico appunto che azzarderei fare dal mio ristretto
e personale punto di vista è il seguente: avrei gradito
che alla ricchezza di connotazioni psicologiche, so-
ciali sui personaggi corrispondessero altrettanti an-
notazioni strutturali sull‟essenza della musica, per
altro ben colta in certi suoi aspetti
“impressionistici”,quand‟anche storicamente circo-
scritta all‟opera di Antonio Vivaldi. Redazione
12 Zona 508
Quando i bambini fanno "oh" c'è un topolino Mentre i bambini fanno "oh" c'è un cagnolino
Se c'è una cosa che ora so' ma che mai più io rivedrò
è un lupo nero che da un bacino (smack) a un agnellino
tutti i bambini fanno "oh"
dammi la mano perchè mi lasci solo,
sai che da soli non si può, senza qualcuno,
nessuno può diventare un uomo
Per una bambola o un robot bot bot
magari litigano un po' ma col ditino ad alta voce,
almeno loro (eh) fanno la pace
Così ogni cosa è nuova
è una sorpresa e proprio quando piove
i bambini fanno "oh" guarda la pioggia
Quando i bambini fanno "oh"
che meraviglia, che meraviglia! ma che scemo vedi però, però
che mi vergogno un po' perchè non so più fare "oh" e fare tutto come mi piglia,
perchè i bambini non hanno peli ne sulla pancia ne sulla lingua
i bambini sono molto indiscreti ma hanno tanti segreti
come i poeti nei bambini vola la fantasia e an-
che qualche bugia oh mamma mia, bada!
ma ogni cosa è chiara e traspa-rente
che quando un grande piange i bambini fanno "oh"
ti sei fatto la bua è colpa tua
Quando i bambini fanno "oh"
che meraviglia, che meraviglia! ma che scemo vedi però,però
che mi vergogno un po' perchè non so più fare "oh"
non so più andare sull'altalena di un fil di lana non so più fare una
collana
....nananananananananana....
finchè i cretini fanno(eh) finchè i cretini fanno(ah)
finchè i cretini fanno "boom" tutto il resto è uguale
ma se i bambini fanno "oh"
basta la vocale io mi vergogno un po'
ivece i grandi fanno "no" io chiedo asilo
io chiedo asilo come i leoni
io voglio andare a gattoni...
e ognuno è perfetto uguale è il colore
evviva i pazzi che hanno capito cos'è l'amore
è tutto un fumetto di strane parole che io non ho letto
voglio tornare a fare "oh" voglio tornare a fare "oh"
perchè i bambini non hanno peli ne sulla pancia ne sulla lingua...
13 Zona 508
H o quarant'anni, non sono sposato e non ho
figli.
È passato così tanto tempo da quando sono stato
bambino che sinceramente non ricordo neanche se
lo sono mai stato!!!
Dicono che tutti siamo passati per questo momento
di felice spensieratezza e che questo sia il periodo
più importante della nostra vita, quello in cui si for-
ma il carattere e si gettano i semi perchè la pianta
che diverremo da adulti cresca forte, sana, rigoglio-
sa, dritta e senza incertezze!
È il periodo in cui siamo pronti ad assorbire come le
spugne tutto quello che il mondo esterno con cui
veniamo in contatto ci trasmette. È il periodo dei
“perché”! Quello in cui qualsiasi stimolo ci incurio-
sisce e a cui cerchiamo di dare risposte chiedendole
agli adulti o, per i più intraprendenti e spregiudica-
ti... mettendoci sopra una mano... di persona!!!
Esploratori come novelli Ulisse, siamo convinti da
bambini, o almeno così si dice, che gli adulti sappia-
no meglio di noi spiegare questo strano mondo che
ci circonda e sappiano dare una risposta ai nostri
tanti perchè... Questa è un'amara utopia che presto,
con il passare degli anni, impareremo a nostre spese
a bollare come falsa e non rispondente alla realtà.
Talvolta e anche più spesso di talvolta, gli adulti
rimangono disorientati e smarriti davanti all'inno-
cenza sconcertante di domande così semplici, eppu-
re così disarmanti, da non essere capaci di dare la
benché minima risposta.
È proprio quest'innocenza e questo modo semplice e
giocoso di interpretare il mondo che è il dono più
bello della nostra infanzia; un dono così prezioso e
così fugace che troppo presto perdiamo.
Abbandoniamo la capacità di prendere la vita come
un gioco e di porci dei perchè senza preoccuparci
troppo che le risposte che ci sapremo dare abbiano
un senso e perdano quell‟alone di magia e di fantasi-
a. Perché nella vita quello che conta non è il punto
di arrivo ma quello che viviamo durante il viaggio e
con il passare degli anni ci fissiamo sugli obiettivi
perdendo di vista l'importanza e la bellezza di quello
che ci circonda.
Alfredo
La mia infanzia
I l mio racconto comincia quando avevo sette
anni e vivevo in un piccolo paesino del Ma-
rocco.
Lì iniziai la scuola, accompagnato da mio padre e
subito conobbi nuovi amici con i quali andavo a
giocare a pallone.
Laggiù però (che non è come in Italia!) non aveva-
mo nemmeno il campo dove poter giocare e così ci
mettevamo d‟accordo su un posto vicino al paese
dove recarci.
Nonostante ciò rischiavamo sempre d‟esser visti dai
proprietari del luogo, i quali avrebbero potuto la-
mentarsi con i nostri genitori (i quali poi ci avrebbe-
ro picchiato) o, peggio, denunciarci.
Cercammo quindi un‟alternativa in famiglia e per
me fu quella di andare ad aiutare mio padre nel la-
voro in campagna.
Anche a scuola ci punivano per piccoli sbagli.
Io ho fatto i primi tre anni e poi non sono più anda-
to…
Cherki
FESTIVITA’ ALLA RYCURCA TUL PROPRYO YO…NULLU VUSQYVYQA’ NAQALYZYU POSSYAMO TYRU CXU U’ PYR’ VACYLU QROVARLO. SAY, WLY ARWRRY, Y RICORDI, GLI SCAMBI DI STRETTE DI MANO. DOVE SONO IO GLI AUGURI NON SONO BEN GRADITI, DICONO CHE PORTANO MALE. I RICORDI SONO TANTI: A VOLTE FELICI, A VOLTE MELANCONICI CON LE LACRIME IN VISO. Y RYCORTY SONO RNO SPACCAQO TY VYQA VURA: LA NUVU, LU LRCY, Y RUWALY, Y PARUNQY, Y VYCYNY, LA BONQA’ SPUSSO VYNQA TULLU PURSO-NU, Y MYUY CAWNOLYNY…LA MYA VYQA. YL PROBLUMA U’ QRANTO RYUNQRY NUL SOLYQO QRAM QRAM, QRANTO RYCASCXY NUL BARAQRO CXYAMAQO CARCURU; Y RYCORTY SVANYSCO-NO YN RNO SCXYOCCO TY TYQA. …C’U’ POCO TA TYRU, PUR VORQRNA CXU C’U’ YL WYORNALYNO, LA MUSSA, YL CONVORQO TY ALQRY CARCURAQY…QRUSQO MOMUNQO TY VYQA MYA RUALU.
Herman & Jonny
14 Zona 508
S ono nato a maggio dell‟anno 1981, in una
piccola città ai piedi delle montagne in Romania.
La mia famiglia era composta da mia madre
(maestra d’asilo nella nostra città), mio padre
(operaio), mia sorella (più grande di me di quattro
anni), alcuni altri parenti e mia nonna. Quest‟ultima
è stata la persona che ha badato a me più di tutti gli
altri.
A quasi tre anni di età ho cominciato ad andare
all‟asilo. Ricordo che i primi giorni furono tristi per-
ché, nonostante la presenza di mia madre, soffrivo
l‟assenza della nonna… Tuttavia nel giro di poco
tempo le nuove amicizie degli altri bambini ed i gio-
chi catturarono tutta la mia attenzione!
Le vacanze le passavo nella mia città, solo poche
volte andavamo al mare… Però non mi dispiaceva
perché rimanevo con i miei cugini i quali invece non
ebbero mai questa opportunità.
Dopo la scuola d‟infanzia arrivò l‟ingresso a scuola,
un passo molto atteso da tutti noi in famiglia. Lì le
cose si fecero più serie perché stavo diventando,
senza rendermene conto, un adolescente.
Ripensandoci, l‟infanzia è la parte più bella
dell‟esistenza di qualsiasi essere umano (anche se
non a tutti offre bei ricordi), perché rappresenta
l‟innocenza, ed è la parte più sacra della nostra vita.
Costantin
D opo la nascita di ogni essere umano
si passa questa prima fase della vita
determinante per ognuno. In questo periodo
ogni cosa che si vede e che si sente s'impara,
ma anche il carattere e il comportamento vie-
ne in parte condizionato dalla realtà che si
vive.
Per esempio, i bambini imparano per prima
cosa a chiamare la mamma e il papà, oppure
la pappa perchè sono elementi fondamentali
nel loro percorso e sono strettamente legate
alle loro abitudini ed ai loro punti di riferi-
mento.
È un dato di fatto che se i
bambini subiscono situa-
zioni destabilizzanti pro-
gressive, nel corso del
tempo è molto probabile
che portino dentro questo
disagio per molto e che si
crei una condizione psicologica che limita le
loro emozioni quando le stesse sensazioni
provate si fanno risentire.
È il passaggio della crescita dell'uomo più
importante e significativo ed è quindi indi-
spensabile tutelare l'infanzia di ogni bambino
per permettergli un percorso di vita sereno. Il
rispettare l'essere bambini vuol dire anche
educare i piccoli per inserirli nel mondo in
modo adeguato, lasciare che vivano questo
periodo come è naturale che sia, lasciarli gio-
care e imparare a giocare con loro.
Ma una parte che non deve mai mancare è
l'ascolto, perchè tante volte crediamo siano
semplici frasi da bambini e invece vogliono
dirci quello che provano e che desiderano
veramente, col loro linguaggio e soprattutto
dal loro mondo che per noi grandi ormai è
lontano.
Gio
15 Zona 508
L eggendo le continue brutte notizie dei quotidia-
ni riguardanti abusi e maltrattamenti sui bambini ho
pensato di scrivere qualcosa sulle esperienze positi-
ve che ho vissuto negli anni scorsi, aiutando la mia
compagna la quale era impegnata in un‟attività di
volontariato tra l‟Italia (più precisamente Belluno,
dove vivevamo) e la Romania.
Bisogna sapere che, tra la fine dell‟Ottocento ed i
primi del Novecento, dalla città veneta partivano
emigranti per andare a lavorare nelle miniere rome-
ne di Petrosciani e negli anni successivi tra i due
paesi è nato un gemellaggio.
Ora che le posizioni migratorie si sono invertite,
Belluno ha deciso di aiutare Petrosciani a costruire
un nuovo asilo il cui scopo fosse aiutare tanti bam-
bini a sopravvivere meglio ai disagi che la crisi
(dovuta al crollo dell’assistenzialismo statale) del
dopo Ceausescu aveva creato ed amplificato.
E' stato così che, grazie all‟interessamento della mia
compagna (che gestiva una ditta a Bucarest), si è
cominciato a raccogliere fondi, materiali vari e ve-
stiti, inviandoli a destinazione tramite i contatti in-
stauratisi tra le due comunità.
Passo dopo passo la struttura ha cominciato a espan-
dersi, sino al momento in cui sono giunti i piccoli
ospiti … La felicità per loro è costituita da cose che
noi ormai diamo per scontate e superate: un letto
caldo e pulito, servizi igienici decenti e moderni,
alloggi confortevoli ed accoglienti.
Dopo di che è iniziato un più continuo scambio di
visite tra i bambini di entrambi i paesi, appoggian-
dosi presso famiglie del luogo: in un caso si è giunti
addirittura ad un‟adozione da parte di una famiglia
Bellunese, mentre in un altro episodio si è riusciti a
far operare una bambina di 5 anni, salvandole la
vista.
Concludendo, se penso a tutto questo, ritengo che
alle bruttezze quotidiane della vita ognuno di noi
possa dare un‟importante risposta con azioni, che
seppur semplici sono capaci di dare un sorriso a pic-
coli bambini senza speranze.
Piero
Infanzie infelici...
V oglio parlare dell‟infanzia di un mio
amico, di gran lunga peggiore della mia.
Non dico che la mia infanzia sia stata
più bella ma il mio amico ha vissuto la
sua in tempo di guerra ed ho sentito che ad altri è
andata peggio di quanto potessi ritenere il pessimo.
Giocane aveva dieci anni quando le forze armate
serbe hanno cominciato ad ammazzare in massa le
popolazioni kossovare: chiuse le scuole, la gente
fuggiva sulle montagne per nascondersi e tener
sotto‟occhio le mosse dell‟orda assassina. Mancava
il cibo, le erbe e le bestie selvatiche ben presto si
dissolsero. Mancavano i primi soccorsi, le coperte;
mancava tutto. Poco cibo e poche anche le medicine
che l‟esercito dell‟UCK sapeva procurare data
l‟onnipotenza e strapotenza dei militari delle bande
serbe.
In montagna faceva freddo, continuamente molto
freddo. Pioveva anche spesso, troppo spesso, senza
mai potersi asciugare.
Una notte un gruppo di centocinquanta persone,
tutte donne e bambini, erano insieme per la tanta,
assillante paura senza poter decidere quale fosse il
meglio da farsi o non farsi, nel buio, nell‟umida
nebbia della boscaglia. In piedi, immobili, hanno
all‟improvviso sentito un lontano rumore, un tempo-
rale forse… ma troppo secchi e incessanti erano i
colpi … Sparatorie con cannonate, squarci di rossa
luce. Prima l‟alone d‟incendi lontani ma poi, proprio
sotto il ripido pendio del monte, le case in una sfera
di scintille hanno preso a bruciare. Il pericolo era
diventato troppo grande, incombente, con le urla dei
serbi incalzanti dal basso. Sono allora penetrati sem-
pre di più nel bosco, nella notte, troppo lunga, trop-
po scura. Non sapevano più dove erano, dove stava-
no andando nel silenzio, nel freddo, tenendo per
mano i più piccoli per non farli allontanare, cercan-
do per quanto possibile di andar via da tutto. Cam-
minarono per tutta la notte, incoscienti per la cieca,
bruta stanchezza fino ai primi chiarori dell‟alba,
fino allo stemperarsi della luce nell‟attesa e
nell‟implorazione di uno sguardo del sole. Fino allo
sbucare, al limite del bosco, di fronte ad un paese di
contadini, completamente distrutto: il primo, forse,
dei fuochi notturni. Vittime dappertutto. Morti in-
sanguinati, cadaveri mutilati…e loro salvi per mira-
colo, per il percorso nel fondo della notte nella nera
boscaglia: la spinta per sopravvivere come un filo
spinato li ha sorretti lungo il bordo dell‟inumano.
Una notte, un bambino, tanti bambini nell‟infanzia
inerme.
Grazie
Lorenz
...e piccole speranze
16 Zona 508
C iao, siamo i ragazzi della cella 48 NORD, Ric-
cardo e Emiliano.
Abbiamo iniziato a partecipare all'attività del gior-
nalino e dialogando tra di noi abbiamo scoperto di
avere hobby e svaghi in comune, vissuti e accresciu-
ti proprio nella nostra infanzia.
Fin dalla tenera età c'era un attaccamento particolare
al mondo della natura: merito dei nostri padri, anche
loro cresciuti nelle favolose campagne bresciane
ricche di fiumi e distese di campi che ci permetteva-
no giochi ineguagliabili a qualsiasi altro tipo di gio-
co contemporaneo.
La nostra giornata iniziava con la sveglia del matti-
no: "uffa! Che noia la scuola!!!!". Ma dopo una ric-
ca colazione con caffèlatte e biscotti o pane, il pen-
siero della scuola era già dimenticato; ritrovo con
gli amici della stessa "batteria" e via a scuola, senza
però farsi mancare la tappa dalla fornaia per il pani-
no della ricreazione. E via con l'inizio dei giochi
fino al suono della campanella alle 8.30...Da quel
suono... solo Impegno....
Ore 12.30, fine della scuola:" Oléééééééé!!!!". Nel
ritorno verso casa si fanno gli accordi per il pome-
riggio. Arrivati, pranzo veloce dalla nonna
(bellissima, bravissima e premurosa, per noi come
una mamma, anzi meglio!!). Dopo aver finito di
mangiare e aver fatto due parole con la nonna sulla
giornata scolastica…via! "Ciao nonna vado nei
campi ci vediamo dopo per la merenda". Ricordia-
mo bene certe affermazioni della nonna, come ad
esempio:"ciao, va mio a fà la pés!!...”
…bella storia, basta essere rinchiusi; via nei campi,
nei fiumi, sugli alberi a fantasticare... idee, inven-
zioni, a raccogliere bastoni per costruire qualcosa
che useremmo a giocare, cacciare, lanciare rompere
di tutto e di più...
La nostra infanzia è un momento della nostra vita
indimenticabile e ancor di più ci ha aiutati nell'ado-
lescenza e più che mai adesso, ormai adulti. Anche
in questo momento di mancata libertà i ricordi di
quei momenti cancellano tutto.
Siamo convinti che l'infanzia sia alla base del carat-
tere e del rispetto che tuttora abbiamo, nonostante
gli errori commessi.. non sarà forse che abbiamo
ancora un po‟ di infanzia dentro di noi?!?! Comun-
que sia, se un domani dovessimo avere dei figli, li
cresceremmo come siamo stati cresciuti noi, non
perché crediamo sia stata la migliore educazione ma
perché ne siamo fieri. Ancora adesso, parlando
dell'infanzia è stato possibile far riaffiorare momenti
di grande gioia che abbiamo potuto condividere con
voi e perciò ringraziamo le operatrici del giornalino
e tutto lo staff.
un grosso abbraccio da Riccardo ed Emiliano
Ricordi passati
LIBERTA’
Il mio sogno non è
Nel contare le stagioni
E neppure
Nell’albero di Natale,
Ma essere
E rimanere liberi.
So che non c’è magia:
E’ questa la realtà.
Sembrano indispensabili
Questi nostri desideri
Ma una cosa è certa:
La nostra libertà ci spetta.
Federico
COME SEMPRE
Cammino nel silenzio del mattino,
nell’immensa luce senza confine del cielo,
come sempre svogliato e fuso.
Ripercorro gli abissi del tempo,
ed emergono impetuose ondate di avversione,
rammarico e malessere come secchiate di merda…
La vita s’aggrappa com’edera nuova
ed io ne tremo, la guardo e non capisco…
E' vero che la sofferenza tempra,
ma la cosa assurda è non sapere cosa si vuole da se
stessi.
Quante volte si muore dentro e ci si spegne,
rabbrividendo nella lotta impotente
contro la realtà del nulla,
che sarà nel tempo senza dimensione!
Giorgio
17 Zona 508
C iao, mi chiamo Riccardo, faccio parte
della compagnia di zona508. In questo
periodo stiamo trattando il tema
dell‟infanzia. Le ragazze ci hanno chiesto
di descrivere una propria esperienza ed io ho scelto
di raccontare un periodo passato alla scuola.
Frequentavo la seconda elementare, era il giorno di
Carnevale ed eravamo in vacanza. In paese c‟era la
sfilata dei carri e durante la festa ci fu un incidente.
I carri avevano da poco iniziato a sfilare tutti insie-
me e noi bambini li affiancavamo con le nostre bici-
clette quando due bambini si toccarono con il manu-
brio ed uno di loro, Fabio, cadde. Il carro guidato da
un animatore, non accortosi dell‟incidente per il fra-
stuono della festa alla quale si aggiungevano le
campane, continuò la sua corsa, per fortuna a velo-
cità moderata. Fabio a terra fu investito dalla carata
tirata dal trattore. La festa fu fermata e subito si co-
statò la gravità della situazione di Fabio sdraiato a
terra in una pozza di sangue: fu subito dramma. Tut-
ti erano stupiti della disgrazia, ma non si poteva fare
altro che aspettare l‟arrivo dell‟ambulanza. Fu terri-
bile ed i giorni successivi portarono ancora più
sconforto. Fabio era in pericolo di vita. Passava il
tempo, giorni, settimane e mesi e Fabio fu sotto-
posto a diverse operazioni. E finalmente non era
più in pericolo di vita ma il dramma restava: il
piccolo Fabietto si trovava su una sedia a rotelle e
non era più in grado di svolgere una vita normale
anche perché, oltre alle difficoltà nel muoversi,
aveva subito un‟operazione al cervello e non riu-
sciva più a parlare.
Dopo più di un anno i suoi genitori e i dottori de-
cisero di reinserirlo nella società, cosa molto im-
portante per lui. Una bella mattina la maestra ci
mette al corrente della situazione e noi attendia-
mo in trepidazione: Fabio entra in classe, nella 3E
delle elementari di Fornaci. Non ci riconosce e
l‟impatto per noi è duro e difficile. Niente…la
maestra lo mette in fianco a me, tra il mio banco e
quello di un mio compagno.
Sembra andare tutto bene; ricordo che un giorno a
ricreazione io e dei miei amici avevamo deciso di
stare insieme a Fabio. Avevamo appena iniziato e
ogni tanto lui mi sorrideva.
Tornati in classe ricordo che eravamo attenti a quel-
lo che stava spiegando la maestra quando, tutto a un
tratto ecco un “urlo”: secco, acuto…era Fabio…
sembrava volesse interrompere la lezione e attirare
l‟attenzione. Ce l‟aveva fatta e tutti ci girammo a
guardarlo e lui era subito tornato serio. La maestra
si avvicina con cautela e gli chiede “Fabio che
cos‟hai?” ma lui la guarda, prova ma non riesce a
farsi capire…per circa 5 minuti Fabio continua a
fare versi ma nessuno riesce a capire. Io lo guardo
bene negli occhi, sembrava che con quei due occhini
marrone mi parlasse e così trovai il coraggio: mi
alzai e avvicinandomi al suo volto gli chiesi “Fabio,
cos‟hai?”. Lui mi guarda e sorride, allora mi avvici-
no di più e gli chiedo “Fabio, dimmi, cos‟hai?”. Lui
mi guarda, non dice niente, ma allunga le mani ver-
so le mie, le prende e le indirizza verso la sua borsa
per lui troppo lontana. Capisco che vuole qualcosa
che c‟è nella borsa, infilo le mani e tiro fuori le cose
che ci sono dentro e le appoggio sul banco. Tutti mi
guardano, compresa la maestra e Fabio. Lui attento
guarda le cose, aspetta che io finisca e contento pun-
ta il dito verso le brioche. Io gliene do una ma lui
non riesce ad aprirla allora io l‟apro e gliela do ma
lui mi guarda attento e ne segna un‟altra. Io in quel
momento penso che abbia fame allora ne prendo
un‟altra la apro e gliela do ma invece no, sempre
con un verso Fabio mi ferma: ne prende una e se la
porta alla bocca ma con l‟altra mano prende la se-
conda e la porta verso la mia bocca facendomi capi-
re di mangiarla. In quel momento mi è venuto il ma-
gone…a me e a tutti in classe. Abbiamo mangiato le
brioche anche se fuori orario. Da quel momento le
cose con Fabio cambiarono, ci capivamo a gesti. In
seguito passammo tanto tempo insieme, a volte la
domenica andavo a trovarlo. Mi faceva piacere:
sembrava che anche se non riusciva a dirlo sapesse
che eravamo già stati amici.
Per me questa è stata una forte esperienza che mi ha
toccato tanto. Purtroppo Fabio se n‟è andato durante
l‟ennesima operazione subita ma a me è sempre ri-
masto nel cuore e quando vado al cimitero passo
sempre a salutarlo.
Oltre alle parole nelle persone c‟è ben altro che nes-
suno sa ma esiste e si può percepire, è in ognuno di
noi, anche nei carcerati: si chiama amore.
Riccardo
Ciao Fabio, con affetto il tuo a-mico Riccardo
18 Zona 508
L a mia infanzia la ricordo come un bel film
d‟avventura, dai ritmi frenetici e dalle lun-
ghe risate. Conservo ancora molti ricordi e quando
ero in libertà e andavo nei luoghi in cui si era soliti
passare le giornate, mi veniva da sorridere e al tem-
po stesso, un magone risaliva per la gola, testimone
del tempo passato e di tutto ciò che è cambiato.
Da piccolo abitavo in una zona periferica della città,
soprannominata il Bronx per via dei numerosi delin-
quenti che ci abitavano. Era un quartiere popolare in
continuo fermento. A dire il vero ci abito ancora in
quella zona ma ora non posso uscire di casa. Giusto
per mandare avanti il buon nome del quartiere.
C‟erano un sacco di bambini e si stava molto tempo
in giro. Allora non c‟erano i computer e la sala gio-
chi era troppo lontana da casa mia e i miei non mi
lasciavano andare. Così le giornate le passavamo nei
campi dietro i palazzoni grigi scrostati con il tetto
rosso di plastica. Sembravano fatte con i lego quelle
case. Nonostante l‟alto tasso di criminalità del quar-
tiere, i miei genitori erano piuttosto tranquilli e mi
lasciavano stare fuori anche la sera in estate, purché
non mi allontanassi troppo. Nel quartiere nessuno
toccava i bambini. Ricordo che di giorno c‟era sem-
pre qualche mamma che correva dietro al figlio con
il battipanni e poi si fermava con la mano sul fianco,
guardandolo allontanarsi. Ricordo che i ragazzini
più grandi facevano sempre le gare con i motorini
truccati e qualcuno usciva sempre per sgridarli. Poi
c‟erano i carabinieri, che a una certa ora passavano
e tutti i gruppetti si dileguavano con un passaparola
che allora non capivo. La sera giocavamo spesso a
“guardie e ladri” con le nostre pistole ad aria com-
pressa e quando passava l‟alfettone, ci sgridavano
sempre perché eravamo ancora in giro. Era un po‟ il
“coprifuoco” l‟ora dell‟alfettone.
Succedeva spesso di vedere gente bucarsi sul mar-
ciapiede e quando chiedevo a mio papà cosa stesse-
ro facendo, mi diceva che avevano il diabete. Ho
sempre pensato che doveva esserci un sacco di gen-
te con il diabete nel mio quartiere. Più tardi ci sarei
stato io su quel marciapiede, ma questo ancora non
potevo saperlo.
Noi bambini giravamo sempre in gruppo. C‟era mia
sorella, di quattro anni più vecchia, le sue amiche e i
mie amici. Eravamo un bel gruppo e per passare il
tempo, ci inventavamo un sacco di cose. C‟erano i
vicini stronzi, e quelli li facevamo disperare. Ce
n‟era uno che odiava sentire gli schiamazzi e usciva
sempre ad urlarci di andare a casa. Scattava subito
la ritorsione: gli suonavamo il campanello e scappa-
vamo. Quello stava fuori finché non ci trovava. Noi
stavamo nascosti nel buio del prato, e lo vedevamo
andar su e giù per la via illuminata. Lui non ci pote-
va vedere. Non si rassegnava, cazzo. A volte stava
fuori anche un ora, fermo a guardarsi intorno e do-
vevamo fare i numeri per tornare a casa senza passa-
re di lì.
Vicino al villaggio c‟era un grande campo. Adesso
ci hanno costruito, ma allora passavamo là le nostre
giornate. Una volta ero con mia sorella e una nostra
amica e saltavo i bordi dello stagno. Ho continuato a
saltarli finché a un certo punto non ci son finito den-
tro. Era bassa l‟acqua, ma tutta melmosa e piena di
quei fottuti girini. Mia sorella aveva schifo a tirarmi
su da quel cesso. Diceva che ormai ero infetto e che
non voleva contagiarsi. Stronza.
A casa c‟era mia nonna. Mia nonna odiava i vestiti
sporchi. Per lei ero sempre sporco e spettinato, an-
che quando ero pulito. Ma quel giorno ero veramen-
te sporco. Ero tutto verde e quando mi ha visto ha
iniziato ad imprecare. Adesso ero io che scappavo
dal battipanni. Quando son tornato a casa, mi ha
buttato nella vasca aprendo il getto di acqua fredda.
Non ho più saltato su quei cazzo di bordi.
Ci ho passato gran parte della mia infanzia in quel
campo. Era un punto di ritrovo, lontano da tutto e da
tutti. Nessuno ci entrava a parte noi. Il mondo era
nostro, nessuno ci seguiva, nessuno ci impediva di
fare, di uscire, di girare.
Passano gli anni e, puntuali, arrivano le ruspe e tutto
il resto. Il campo diventa ben presto un cantiere e
spuntano case come funghi.
Le cose, poi, hanno preso una brutta piega, ma que-
sta è un‟altra storia. Della mia infanzia non rimpian-
go niente e quando vedo qualche ragazzino girare
per il quartiere, penso a come eravamo fortunati noi
ad avere vissuto i primi anni novanta. Un giorno lo
racconterò.
Michele
19 Zona 508
D icono che sia il più bel periodo della nostra
vita.
Il primo giorno di asilo fu la paura
dell‟incontro con nuovi compagni, per cui
questo periodo per me non è stato non bellissimo, bensì
orrendo: si dormiva sempre, pochi giochi oltre al solito
“giro giro tondo”. Il mio ricordo è dunque una schifezza.
Le marachelle invece erano e sono tuttora la mia speciali-
tà; vuoi mettere poi le bugie…
L‟infanzia ha i suoi alti e bassi.
I Natali dell‟infanzia, cosi felici e spensierati, con
l‟albero ricolmo di luci, di stelle di dolci che io da vero
golosone scippavo furtivamente…
L‟infanzia dovrebbe essere di tutti, libera da tutto e felice
per tutti. L‟infanzia delle torte della nonna, delle mancet-
te, povere ma puntuali. Personalmente ritengo la figura
della nonna come la parte della mia infanzia pura e reale.
Mi ha stupito, su tutto la gelosia che un bambino porta
dentro di sé e che non svelerà mai ai grandi, troppo im-
portanti per i piccoli. L‟infanzia della spensieratezza,
della cortesia, dei lecchinismo verso gli adulti per ottene-
re il dovuto a causa di un‟infanzia povera che anch‟io ho
vissuto.
L‟infanzia dove a volte
ti dimentichi di essere
piccolo e incompreso,
dove sei tremendamen-
te voglioso di essere
grande subito.
L‟infanzia vissuta nel
periodo di guerra, con
morte, con sangue, con
odio.
La terra assai grande, e
noi così piccoli, vivia-
mo questo periodo in
malo modo.
Viva l‟infanzia, viva le
emozioni che l‟infanzia
distribuisce nel mondo
dei grandi.
E che rende l‟infanzia un sogno.
Ermanno
Osservo sempre i tanti (troppi) bambini che vanno a trovare la loro madre in carcere: sovente irrequieti nel-
le lunghe attese “fuori”, mi aspetto di vederli affettuosi e felici tra le braccia della loro mamma “dentro”.
Osservo sempre le mamme “dentro” quando arrivano i loro bambini: mi aspetto sempre che li tengano
stretti a sé e che si parlino con complicità e dolcezza, per tutto il tempo del colloquio.
Ma a volte non è così…
Alcuni bambini, infatti, giocano, corrono, socializzano con altri bambini, ma non stanno vicino alla loro
mamma, forse troppo intenta a parlare di sé e della loro vita carceraria con l’adulto che ha accompagnato il
loro figlio. In questi casi mi chiedo: è l’arresto che allontana emotivamente madre e figlio od esso semplice-
mente aggrava un rapporto già logoro?
Non ho risposte ma ogni volta ne rimango colpita ed addolorata e voglio rivolgere un piccolo appello alle
mamme “dentro”.
Mamme, non perdetevi nemmeno un minuto delle pochissime ore
in cui potete vedere i vostri figli! Lasciate a loro ed a voi stesse dei
ricordi, nel corpo e nell'anima, che possano consolarli e consolarvi
nei momenti in cui sarete lontani. Fate in modo che capiscano i
vostri errori e sappiano perdonarveli, perché “dentro” o “fuori” es-
sere genitore è già di per sé il più difficile dei “mestieri”.
Marina
Con il cuore dietro le sbarre… BAMBINI
20 Zona 508
Credo che si possa avere la fortuna di incontrare l’amore più volte nella vita, proprio per la sua intrinseca natura camaleontica.Esso non ha uno stato né un modo d’agire uguale per tutti… Ma quando incontri quello vero, allora si che te ne accorgi! La forma, i modi, gli aspetti… Tutto svanisce, tutto risboccia…
Vittorio
Riflessioni sull’amore
Quando il pregiudizio è
duro a morire
N elle settimane scor-
se mi sono soffer-
mato su alcuni quotidiani a leg-
gere gli articoli sui bambini rom
bruciati nella loro baracca a Ro-
ma. Mi è parso molto evidente il
pietismo generale, che getta
colpe a chi avrebbe dovuto
provvedere a dar loro casa, la-
voro ed istruzione.
Quando mai Sindaci, personalità illustri ed il nostro Presidente sono andati in un campo no-
madi?
Voglio raccontarvi un fatto accaduto tra le mura di casa mia, presenti la mia compagna e mia
madre. Si avvicinarono al nostro giardino, mentre stavamo facendo una grigliata all’aperto,
due ragazzini rom che chiedevano l’elemosina. La mia compagna gli offrì subito dei panini im-
bottiti mentre mia mamma mise mano al borsellino donandogli qualche spicciolo.
Io mi fermai a parlare con loro, chiedendogli che cosa facessero in giro così piccoli, quanti
anni avessero e se gli sarebbe piaciuto avere una casa. La loro risposta sorprese non poco noi
tre…quasi a gelare il nostro dialogo!! Risposero con il sorriso: “noi siamo in un campo, andiamo
dove possiamo e non abbiamo niente di sicuro. Noi siamo liberi come gli uccellini in cielo, voi
invece siete prigionieri dietro a cancelli e finestre.” Mi sono guardato attorno: era vero! La
nostra casa di colpo era come una prigione, ferro all’entrata, grate in ferro alle finestre.
Poi però ho pensato che la nostra casa è diventata così perché c’è tanta gente che ruba.
Riflettemmo noi tre insieme e venne spontaneo dire: quanto ci piacerebbe lasciare ogni paura
e tenere porte e finestre aperte, ma non possiamo! Poiva54
21 Zona 508
Svelarsi Vorrei dirti profonde frasi d'amore ma non oso
per timore che tu rida. Ecco perchè mi burlo di me stesso e del mio segreto. Derido il mio dolore per paura che tu faccia lo stesso.
Vorrei dirti le parole più vere ma non riesco
per paura che tu rida di me. Ecco perchè mento, dicendo il contrario di quello che penso.
Rendo assurdo il mio dolore, per paura che tu faccia lo stesso.
Vorrei usare pensieri preziosi, che ho riservato per te ma non ne ho il coraggio temo che non si comprenda il loro valore.
Ecco perchè ti parlo con durezza e vanto la mia forza brutale, istintiva. Ti faccio del male, per paura che tu non conosca mai cosa sia il soffrire.
Vorrei sedermi vicino a te in silenzio ma non ne ho la forza
temo che il mio cuore mi salga alle labbra. Ecco perchè parlo da solo, stupidamente, e nascondo le mie emozioni dentro la solitudine.
Tratto crudelmente il mio dolore, per paura che tu faccia lo stesso.
Desidero allontanarmi da te, per paura che ti si riveli fino in fondo la mia viltà. Ecco perchè tengo alta la mia testa con aria indifferente, quando vengo alla tua presenza.
Gli sguardi intensi dei tuoi occhi, mantengono vivo il mio dolore per sempre!
Giorgio
QUANDO NON DORMI Nel silenzio s’ode in veglia perenne Urlo che stringe Con decrescenti palpiti si stinge Il ricordo di colpo giovanile appeso ad una cinghia Tutto ritorna: tinge il suono di una giga crudele Movenze vane: nel tondo della cinta abbassa l’avversario la celata come nube sul viso l’oscura Quando occhi chiusi sfiora la luna il sonno la trasporta più a fondo, candida, fino a sfuggir la morte
Ettore
POMERIGGIO D’INVERNO La luce obliqua, nei pomeriggi d’inverno da sera gira a mane: grave melodia di colonne nella cattedrale sul Reno. Miele procura. Ferita celeste, senza taglio o fessura: balsamo lo scarto interiore, senso, con lo sgorgar di fonte, dona. Non dà lezione, ogni suggello porta esclusione. Quando scende, s’apre lo spazio all’ascolto trattiene l’ombra il respiro: quando scompare, distanza prende come sguardo di morti.
Ettore in “Surgenti Agricolae”
22 Zona 508
S abato 11 dicembre, Don Andrea Gallo ha
fatto il botto a Verziano!
Non credo ci sia espressione migliore per descrivere
un uomo come lui, una “bomba di pace”.
Don Gallo, fondatore della comunità di San Bene-
detto al Porto di Genova, è arrivato all’istituto pro-
prio come lo si vede nei video in cui parla, manife-
sta o espone le sue idee: cappellino, cappotto, sciar-
pa e un bel sigaro in bocca.
La sua presenza ha reso possibile il creare un mo-
mento all‟interno della cappella del carcere di Ver-
ziano dove han potuto partecipare, insieme, uomini
e donne detenute e questo non avviene certo tutti i
giorni.
Don Gallo ha parlato per ben due ore, camminando
avanti e indietro in mezzo ai detenuti, raccontando i
suoi aneddoti allegri insieme alla sua ricca storia da
partigiano in gioventù.
In mezzo a tutti i suoi racconti però erano chiare e
presenti vere “perle” di saggezza: “Ogni uno di noi
è responsabile della propria coscienza e la coscienza
è unica e personale, noi tutti siamo unici”,
e poi “perché voi, detenuti, venite considerati come
la feccia della società????è necessario liberarsi dalla
necessità del carcere, il carcere non è solo una istitu-
zione così detta che reprime la devianza: il carcere è
una malattia sociale, è il carcere stesso che è devian-
za, è così quindi che il carcere deve essere responsa-
bilità di tutti”.
Don Andrea Gallo è stato molto chiaro nel suo pen-
siero, non è la punizione che rende migliore una
persona, è l‟educazione, la rieducazione in questo
caso ed è su questo che è necessario investire, è su
questo che il carcere e tutto il suo personale deve
lavorare meglio che può, garantendo così il rispetto
dei diritti dell‟uomo.
CHI è DON GALLO?
Andrea nasce a Genova il 18 Luglio 1928 e viene
immediatamente richiamato, fin dall'adolescenza,
da Don Bosco e dalla sua dedizione a vivere a tem-
po pieno "con" gli ultimi, i poveri , gli emarginati,
per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo
simile all'esperienza di Don Milani, lontano da ogni
forma di coercizione.
Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene
mandato in Brasile a San Paulo dove però la ditta-
tura che vigeva, lo costringe, in un clima per lui
insopportabile, a ritornare in Italia l'anno dopo.
Prosegue gli studi ad Ivrea e viene ordinato sacer-
dote il 1 luglio 1959.
Un anno dopo viene nominato cappellano alla nave
scuola della Garaventa, noto riformatorio per mino-
ri: in questa esperienza cerca di introdurre una im-
postazione educativa diversa, dove fiducia e libertà
tentavano di prendere il posto di metodi unicamente
repressivi; i ragazzi parlavano con entusiasmo di
questo prete che permetteva loro di uscire, poter
andare al cinema e vivere momenti comuni di picco-
la autogestione, lontani dall'unico concetto fino al-
lora costruito, cioè quello dell'espiazione della pe-
na.
Viene inviato a Capraia e nominato cappellano del
carcere: due mesi dopo viene destinato in qualità di
vice parroco alla chiesa del Carmine dove rimarrà
fino al 1970, anno in cui verrà "trasferito" per ordi-
ne del Cardinale Siri.
La predicazione di Andrea irritava una parte di fe-
deli e preoccupava i teologi della Curia, a comin-
ciare dallo stesso Cardinale perché, si diceva, i suoi
contenuti "non erano religiosi ma politici, non cri-
stiani ma comunisti".
Un'aggravante, per la Curia è che Andrea non si
limita a predicare dal pulpito, ma pretende di prati-
care ciò che dice e invita i fedeli a fare altrettanto:
la parrocchia diventa un punto di aggregazione di
giovani e adulti, di ogni parte della città, in cerca di
amicizia e solidarietà per i più poveri, per gli emar-
ginati che trovano un fondamentale punto di ascol-
to.
Don gallo è per definizione un “prete scomodo” e
così deve lasciare materialmente la parrocchia ma
ciò non significa per lui abbandonare l'impegno che
ha provocato l'atteggiamento repressivo nei suoi
confronti: i suoi ultimi incontri con la popolazione,
scesa in piazza per esprimergli solidarietà, sono
una decisa riaffermazione di fedeltà ai suoi ideali
ed alla sua battaglia: "La cosa più importante –
diceva - che tutti noi dobbiamo sempre fare nostra è
che si continui ad agire perché i poveri contino,
abbiano la parola: i poveri, cioè la gente che non
conta mai, quella che si può bistrattare e non ascol-
tare mai. Ecco, per questo dobbiamo continuare a
lavorare!"
Qualche tempo dopo, viene accolto dal parroco di
S. Benedetto, Don Federico Rebora, ed insieme ad
un piccolo gruppo nasce la comunità di base, la
Comunità di S. Benedetto al Porto: un progetto di
crescita che non è stato improvvisato; esso nasce da
una lunga esperienza con il mondo della devianza e
dell'emarginazione.
Laura
23 Zona 508
S ono Rachele, una donna meridionale di usi e
costumi, sono fiera della mia terra, anche se non
sempre è stata al passo con i miei desideri e i miei
bisogni, sono figlia di persone umili, come del resto
lo è la mia persona.
Il mio vissuto la dice lunga sulla donna che sono
oggi, è proprio a causa di esso che mi sono dovuta
rimboccare le maniche, pur sempre fallendo ma
questa è la conseguenza di traumi adolescenziali per
mancanza troppo acerba della mia adorata madre
che mi lasciò all'età di quindici anni. Con tutta la
buona volontà di poterla sostituire in tutto e per tut-
to, mettendo da parte quel dolore lacerante, strin-
gendo i denti e continuando il cammino, senza nep-
pure domandarmi ciò che potesse essere giusto o
sbagliato, pensai bene, all'età di diciotto anni, di
andare via di casa, pensando ma sbagliando, che
quella poteva essere la mia occasione. Solo più tardi
mi resi conto di aver conosciuto la vera delusione e
l'amarezza di un divorzio, con l'unica consolazione e
gioia di aver dato la vita a tre stupendi bambini che
amo più di me stessa e che mai avrei pensato di ave-
re lontano per così lungo tempo.
Questo mi ha dato modo di riflettere che spesso si
fanno cose ed azioni non giuste, spinti dalla paura di
perdere quel pochetto che abbiamo. Invece ora so
che era meglio lasciar perdere quel “pochetto”, piut-
tosto che aver perso completamente tutto, facendo
fatica a non perdere anche la stima di me stessa.
Domani è un altro giorno che ho imparato ad ap-
prezzare ed amare con il bello e con il brutto, po-
nendo fede sempre nei valori dell'amore e della gui-
da di Dio, con la consapevolezza di essere una don-
na e una mamma migliore.
Rachele
...e quando ero un giovane “virgulto” pensavo
anch'io che questa visione consumistica e materiali-
sta del mondo e della vita fosse quella che meglio
rispecchiasse il mio modo di pensare. Poi sono pas-
sati gli anni e con il loro trascorrere sono successe
tante cose; mi sono trovato a vivere tante situazioni
difficili e sono venuto in contatto con realtà diverse
dalla mia... e ho cominciato a riflettere!!! E a cam-
biare opinione!!!
Ho imparato che niente è importante, nessun ogget-
to indispensabile e quello che conta veramente nella
vita sono solo due cose!
Gli affetti delle persone care che conservi nel tuo
cuore, che ti danno lo stimolo a migliorare e che
nessuno ti potrà togliere... e la libertà. Non parlo di
quella fisica, perché la libertà è uno stato mentale
che permette di essere te stesso e di essere libero
quando anche il tuo corpo si trova rinchiuso in una
cella, sotto giogo, privato di ogni libertà di espres-
sione e di movimento. Il vincolo di catene materiali
viene facilmente vinto dalla forza del pensiero che ti
permette di evadere e di essere lontano anche se il
tuo corpo non si muove. Ho raggiunto così la sicu-
rezza che queste cose sono quelle che ti permettono
di essere uomo e di superare anche le prove più dif-
ficili, quelle che ti fanno maturare e ti migliorano!
Gli oggetti materiali alla fine sono strumenti che ti
permettono di vivere una vita più agevole e comoda,
ma per questo distraggono la nostra attenzione da
quello che è il punto focale di un'esistenza degna di
essere vissuta... perchè fondamentale nella vita è la
realizzazione di se stesso e questa cosa non si ottie-
ne affezionandosi agli oggetti materiali, ma adope-
randoli come strumenti. Non ci sono cose fisiche
alle quali non rinuncerei o che non cambierei subito
con l'affetto delle persone che amo o con la possibi-
lità di essere me stesso... sempre e comunque! La
libertà di un uomo la si misura dalla forza dei suoi
affetti e dei suoi sentimenti! Quelli sono il vero mo-
tore del mondo e come dice Califano in una sua can-
zone: “tutto il resto è noia!!”
Alfredo
Liberi pensieri
Oscar Wilde diceva:
“potrei rinunciare a tutto tranne al superfluo...”
Il mio vissuto
24 Zona 508
L’ultimo solidale “CIAO” a Nicola (Orfeo D’Andrea), carico di umanità
Le parti si possono invertire in questo triste momento.
Ai famigliari di Nicola il grande dolore; per me e per tutti i detenuti di questo istituto che lo hanno cono-
sciuto o incrociato visivamente in rotonda, sarà sempre vivo il ricordo della sua naturale disponibilità,
dell’interessamento umano e del sorriso, costante e sincero, che fra queste mura è difficile da vedere.
Lo conobbi quando lavorai ai “conti-correnti”. Sia negli uffici amministrativi sia in Sezione il suo compor-
tamento era sempre uguale: disponibile e attento. Essendo alla mia prima carcerazione questo mi sorprese
molto, anche se all’epoca fra agenti e detenuti regnava il rispetto dovuto.
La notizia della sua scomparsa, letta sui nostri quotidiani locali, ha suscitato incredulità e ho letto sul volto
dei detenuti che l’hanno conosciuto tristezza e quel sottile dispiacere difficile da esternare in questi mo-
menti per la nostra posizione.
L’UMANITA’ di Nicola in questo apparato non può che sorprendere quando è reale.
La parte contrapposta (noi detenuti) mestamente ricorderemo sempre le sue gesta spontanee e cariche di
generosità e vogliamo esprimere il nostro SALUTO DI STIMA SINCERA. Ciao Nicola…
Piova 54
I l mio paese è il Marocco, sono nato in un pae-
se di provincia:ricordo che quando ero più
giovane andavo a giocare con il mio amico e
altri ragazzi del paese. I giochi tradizionali
erano il nascondino, pallone, inventavamo dei car-
rettini con la ruota fatta dalla suola della scarpa di
plastica e così passavamo il nostro tempo libero.
Non sempre giocavamo, dovevamo anche contribui-
re in casa e fare qualche lavoro: tagliare l‟erba e
dare da mangiare agli animali; infine, la sera, studia-
re visto che i nostri genitori ci vietavano di guardare
la tv, anche se come tutti i ragazzi sbirciavamo dalla
finestra del bar riuscendo a vederla, visto che nei
locali non potevamo andare. I miei vivevano della
coltivazione della terra e l‟allevamento di animali
come tutta la gran parte del paese. La coltivazione
dipende dal tempo e dalla temperatura. Anche i
mezzi sono molto antichi. Il mercato in paese è co-
me qua, una volta alla settimana, e si andava al mer-
cato con gli amici, là ci divertivamo tanto perché
c‟era molta gente che veniva da altri paesi e ci veni-
vano molti artisti che pure guadagnare qual cosina
raccontavano delle storie con giochi di prestigio
facendoci divertire; ogni due, tre mesi c‟era una
gran festa che veniva fatta al termine del Ramadan
visto che ai bambini erano dati dei regali. Tutto
l‟anno per la strada ci sono venditori ambulanti:
passano porta a porta per vendere qualcosa; in stra-
da ci sono anche le persone che ritirano vetro, pla-
stica ecc… in cambio della loro merce. Questa è la
vita che i ragazzi fanno in Marocco e spero che un
domani molto vicino cambierà qualcosa.
Redazione
Per non dimenticare...
Dolore
Nella vita abbiamo tanti problemi, ed ognuno di noi con
diversi temi:
Ci sono persone senza lavoro Che gridano disperazione
tutte in coro,;
Ci sono pensionati che non arrivano a fine mese e le loro
vite ad un filo stanno sospese;
Ci sono genitori a cui vengono sottratti i figli e si attac-
cano per ritrovarli a tutti gli appigli;
Ed infine ci sono anch’io: una mamma fra tante che per un errore non vede suo
figlio ed ha la morte nel cuore! Deby
25 Zona 508
Considerazioni...
S ono solo quindici giorni dal mio ingresso
in questo istituto e l‟unico interesse ini-
ziale era partecipare al gruppo di redazione di “Zona
508”. Questo desiderio è stato motivato dalla possi-
bilità di dialogo, di confronto a varie argomentazio-
ni anche con i volontari, data la mia esperienza bi-
ennale vissuta nell‟istituto di Mantova. Allora ero
responsabile della redazione del giornale interno
chiamato “CONTROSENSO” che era allegato men-
silmente al quotidiano locale “ LA GAZZETTA di
MANTOVA”. Non posso dare un giudizio riguar-
dante l‟organizzazione e lo sviluppo del vostro gior-
nalino essendo solo all‟inizio. La regola principale
dataci dal giornale di Mantova era che i partecipanti
detenuti fossero definitivi, in modo che la loro pre-
senza costante portasse ad uno sviluppo proficuo
nell‟organizzazione ed impostazione del tutto. Que-
ste regole basilari insieme al supporto dei volontari,
degli educatori esterni e la presenza di un redattore
della gazzetta di Mantova ci permisero di ottenere
un forte interessamento anche dell‟opinione pubbli-
ca, riuscendo a rispondere a quesiti e argomenti ge-
nerali tramite il nostro giornale.
Fu motivo di enorme soddisfazione per noi addetti
ai lavori, non meno per i “Borghesi”
che segnalavamo, la partecipazione ad eventi con
associazioni varie esterne riguardanti teatro, tornei
di calcetto, pallavolo, ed altro.
Devo sottolineare che la ridotta presenza di detenuti
nell‟istituto (100), la molteplicità delle varie attività
e le strutture sportive interne ben realizzate, ci con-
sentivano di realizzare eventi per noi di grande im-
portanza che fungevano anche da valvola di sfogo
oltreché da momenti di aggregazione. Sottolineare
nel periodico gli elogi ricevuti da personalità illustri
e maestranze fu di grande soddisfazione ed inoltre
diede immagine a tutte la direzione carceraria, la
quale con l‟apporto della regione destinò ancor più
risorse economiche al nostro giornale.
Ci piace pensare che il nostro contributo dato
all‟epoca sia stato seguito da altri sulla base di una
sola parola: IMPEGNO.
Piova 54
La redazione
Sono arrivato a Verziano più di 4 mesi fa e subito, anche su consiglio di altri detenuti, ho richiesto di far parte della redazione di Zona508. Dapprima mi sentivo un po’ imbarazzato, anche se già dal primo incontro la
cosa mi ha stuzzicato molto. Poi, man mano che il tempo passava, è diventata quasi un’esigenza. È solo un’ora e mezza la settimana ma, almeno per me, è
un’ora distensiva: con le volontarie si può parlare di tutto o quasi, anche di cose che non sempre sono strettamente inerenti al tema scelto per gli articoli da scrive-
re. Ma anche questo, credo sia un modo per conoscerci e per sviluppare la nostra voglia di comunicare; loro possono raccontarci qualcosa sul mondo esterno e noi,
a nostra volta, le rendiamo partecipi dei nostri racconti di vita in carcere. In quattro mesi abbiamo sviluppato articoli sui più disparati argomenti: dall’amicizia all’infanzia, alla libertà. E’ stato davvero interessante vedere formarsi
nero su bianco i pensieri di persone che vedi tutti i giorni ma che solo attraverso quelle poche righe riesci a conoscere, a conoscere le loro aspirazioni, le loro pau-
re, la voglia di riscattarsi, forse perché è più facile scrivere su un foglio che rac-contarsi a voce e questo succede per la maggior parte delle persone.
Credo che tutti noi che partecipiamo alla realizzazione di questa piccola realtà che è il giornalino abbiamo qualcosa da dire; il problema è che non sempre riusciamo ad esternarlo ma comunque ci proviamo. Non dobbiamo dimenticarci che anche
questo è un modo per far arrivare fuori di qua la nostra voce, i nostri pensieri e far sì che chi legge un articolo non pensi come prima cosa a chi ha scritto come a un detenuto ma si fermi a riflettere sull’articolo fatto da una persona, uomo o donna
che sia, perché è questo che siamo, delle persone con un progetto comune: portare oltre le mura la nostra voce ed i nostri pensieri. La redazione ed il giornalino ci dà tutto questo: un’opportunità!
Mauro
26 Zona 508
L ‟uomo è nato per essere libero: si dà come per-
sona libera…
ma in effetti si trova sempre limitato, costretto dalle
circostanze e non è per niente libero: come si fa a
dirsi liberi, infatti, se nel mondo si muore di fame,
di sete, si può morire per la mancanza di cure medi-
che o in grandi scontri a fuoco dove si lotta appunto
per la libertà o per la propria terra o fede o combat-
tendo per il proprio destino;
come si fa a viveri liberi quando c‟è razzismo e di-
scriminazione ed ancora si dà la schiavitù, anche se
dicono che no esiste più;
come puoi dirti libero se non riesci ad andare dove
vuoi, fare il lavoro che ti piace, scegliere la fede che
meglio ti sorregge a costruire il tuo futuro, trovare il
tuo destino.
Nei secoli dei secoli la libertà stata sempre conqui-
stata col sangue:
pure ai giorni nostri circola la parola libertà, piccola
parola con un grande significato.
Libero ti puoi sentire però con piccole cose: andare
in moto, aprire le braccia, sentire il vento, l‟aria che
ti viene incontro… come profumo di libertà; oppure
quando ti butti col paracadute e vedi dall‟alto il
mondo libero e bello nella sua multiforme varietà e
ti senti libero, ti perdi nei sogni e nelle tue fantasie;
questo però dura poco, perché ti vedi avvicinare
sempre più alla terra ed il mondo, che ti si precipita
contro, non è così libero come sembrava ed alla for-
za di gravità che ti sta risucchiando devi contrappor-
re la sottile,fragile stoffa del paracadute, che ti sor-
regga: così la libertà inventa se stessa in quei sospe-
si momenti in cui godi di concederti un breve mo-
mento per sottrarti alla forza di gravità contraria,
quasi governandola al tuo piacere.
Libertà noi la conosciamo come liberazione …
Lila
LE CULTURE DIVERSE
L a convivenza non è cosa semplice; se però
si condividono i principi fondamentali del
vivere insieme, come l’educazione e il ri-
spetto e ci si viene incontro l’un l’altro, la cosa
diviene possibilissima.
C’è però un fatto molto importante da considera-
re: l’integrazione tra diverse culture è facile se
l’extracomunitario accetta di adattarsi ai sani
principi italiani. Conflitti e incomprensioni na-
scono a causa dell’ignoranza delle regole morali
che governano il nostro paese.
Io da ragazzino lavoravo al mercato e la partico-
larità di questo ambiente era il fatto che lì si in-
trecciavano tante culture diverse. Io sono sempre
stato incuriosito da ciò e anche dal fatto che in
una tale confusione ognuno seguisse senza intral-
ciare gli altri il suo scopo di lavoro per guada-
gnarsi il pane quotidiano.
Mi ricordo bene i diversi “battitori” (quelle per-
sone che urlano richiamando la gente per vende-
re i propri pro-
dotti) e la cosa
divertente era il
sentire persone straniere che in italiano stentato
gridavano poche semplici parole con i loro accen-
ti più diversi: la cosa molto affascinante era
l’impegno che ci mettevano, la gente che passan-
do s’incuriosiva, i profumi e i colori che cambia-
vano da un banco all’altro e la complessa convi-
venza fra diverse culture.....Beh, si può dire una
società multietnica!
Sì, bisogna ammettere che il mercato vive nella
competizione ma l’interesse di tutti è quello di
non creare problemi e vivere nel rispetto recipro-
co.
La conoscenza delle altre culture è fondamentale
per capire e convivere serenamente con tutti.
Una cosa particolare e che a me personalmente
piace molto è il saluto, che si da e si riceve in mo-
do diverso l’un l’altro, sempre con il dovuto ri-
spetto. Logico, perché il rispetto è sempre alla
base di tutto, soprattutto in carcere....Esso è sino-
nimo di buona educazione, e di ciò possiamo rin-
graziare i nostri genitori per il loro insegnamento
e amore.
Giuseppe il saggio
27 Zona 508
SEGNI
I l buio, la luce fievole che entrava dal piccolo
foro del blindo, il pensiero libero.
E all'improvviso lei, questa persona appog-
giata alla seconda branda con un braccio, un fra-
gile corpicino di una persona anziana che con
fatica cercava di indossare degli zoccoli o sandali
in cuoio.
Aveva una vestaglia in cotone grezzo bianco con i
bordi delle maniche riavvolte, una cuffia di un
rosso non vivace con una pallina all'estremità.
Lui che mi dava le spalle, la mia calma e serenità
nell'osservare, chiamandola visione o ciò che fos-
se. La pace della cella, il mio sguardo sempre ri-
volto verso questa presenza che si voltò verso di
me.
Il mio cuore, la mia anima in attesa che questa
visione si rivelasse e mi parlasse. La mia attesa fu
vanificata e all'improvviso essa svanì senza vol-
tarsi; ma la pace nel mio animo continuò e mi
ricoricai in branda come se nulla fosse successo.
La presenza mi ha dato da pensare circa chi fosse
o che significasse ed anche il perché solo io l'aves-
si vista.
Il ricordo di essa mi portò ad un solo pensiero;
che la presenza fosse venuta in silenzio e pace
nella mia cella, silenziosa, quasi si vergognasse di
farsi vedere. Il tutto a mio modo di vedere fu se-
renità, pace, amore e rispetto.
Ermanno
Una donna come tante
P ensieri che volano lontano, scavano tra i ricordi
della mia mente, in cerca di libertà. Chiusa in
questo piccolo spazio, dove la luce è soffusa e il dolore
prende il posto della felicità, mi scopro una donna diver-
sa. Tempo fa ero serena, con una gran voglia di vivere.
Da quando sono intrappolata qua, in questo posto dove il
tempo sembra fermarsi e una giornata pare un anno, la
vita non ha più lo stesso valore di prima; mi mancano
tanto le notti di luna piena, il cielo stellato, il profumo del
mare, dei fiori, della montagna, dei boschi...!
Le cose essenziali senza le quali io credo non si possa
vivere. Tante sono le cose che non ho saputo apprezzare,
che ho avuto intorno ed alle quali non ho saputo dare
importanza ma sbagliare fa parte della nostra natura. Non
pensavo che tutte le cose che sono riuscita a costruire in
una vita potessero svanire in un attimo, forse non ho mai
dato valore a quel poco che possedevo.
I momenti più belli della mia vita sono stati quelli tra-
scorsi crescendo insieme alla mie figlie, dato che sono
diventata madre giovanissima; momenti indimenticabili.
Purtroppo la mia storia ha saputo distruggere tutto quello
che di buono c'era per... un sogno!
La sera spesso guardo verso il cielo: “O mio Dio! Mo-
strami il tuo amore, dammi un'altra possibilità!”
Sì! Vale la pena se però racconterò ciò che ho imparato
dal mio passato, da tutti gli errori commessi. La cosa su
cui ho più riflettuto e di cui mi sono meravigliata è con
quanta immaturità e superficialità io abbia agito: a cosa
pensavo? Come pensavo?
Probabilmente vivevo in un mondo tutto mio, non trovo
altra spiegazione! Non che fossi una persona cattiva, non
lo sono mai stata... anzi! Amavo i miei genitori, la mia
famiglia, ma non capivo, guardavo ma non vedevo!
C'è sempre una via migliore da percorrere senza dover
cadere nella ragnatela della malavita!
Si vede proprio che ognuno di noi deve fare il suo percor-
so per arrivare a comprendere la vita.
I soldi! Sì, aiutano tanto, ma come si suol dire “non fanno
la felicità”. Sono convinta che si può vivere e divertirsi
anche senza troppi soldi, in mezzo alla natura o il bel
bordello della città!
Non so se sbagliare dipenda dal Dna o dall'ambiente in
cui cresciamo o da ciò che ci succede crescendo... ma
purtroppo capita! Quindi con i nostri sbagli possiamo
capire quali sono le cose più preziose della vita; bisogna
solo saper aprire gli occhi prima che sia troppo tardi per-
ché tutto quello che ci circonda, le persone intorno a noi,
sono la nostra ricchezza. Bisogna solo saperla apprezzare
e certamente non vale la pena perderla.
Mia figlia più piccola, per problemi economici, sicura-
mente non finirà gli studi e sicuramente avrà grossi pro-
blemi anche a trovar lavoro. Sta attraversando un periodo
molto critico ed è sola a gestirlo. Io la vedo come se fosse
in alto mare, senza una boa di riferimento. È in un'età
molto complessa, importante, pericolosa e se ho sbagliato
io, perché le mie figlie devono pagare i miei errori?
Io non chiedo la libertà ma una detenzione domiciliare
che mi permetta di dare nuovamente alle mie figlie il
calore di una famiglia della quale hanno assoluto bisogno
per riavere la sicurezza che a loro manca, riprendere fidu-
cia in loro stesse e in me.
Tutto questo fa cambiare un essere umano, lasciando
profonde, enormi cicatrici che solo noi possiamo vedere
nel profondo dei nostri occhi. Perché questo amore, que-
sto aiuto deve essere negato ai nostri cari? Perché devono
pagare ed essere puniti anche loro?
Anche il magistrato di sorveglianza; vorrei tanto che mi
conoscesse prima di prendere una decisione sulla mia vita
e il futuro che attende me e la mia piccola famiglia. Que-
sta possibilità di reinserimento non la chiedo tanto per me
ma per le mie figlie che meritano una vita migliore e che
io oggi mi sento pronta a dare loro perché sono profonda-
mente cambiata. Sono gli unici esseri che ho al mondo e
non resisto più a vederle soffrire per causa mia. La mia
storia simile a chissà quante altre donne e madri come
me! Perché negare l'amore ai nostri figli...
Patty
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Si riesce a percepire il carattere individuale?
Sara: Percepire un carattere individuale in un ragazzo down considerato grave non è cosa facile ma
direi che la riposta e senz‟altro affermativa. Come con i bambini piccoli è difficile capire quando hanno
davvero bisogno di qualcosa o no. Come tutti gli esseri umani hanno un loro proprio carattere, a volte
capriccioso, a volte ridicolo e a volte tenerissimo. Ecco il mio Paolo è un po‟ di tutto questo. E se a vol-
te può essere influenzato da fattori esterni, direi che tutti i ragazzi down non possono che essere mera-
vigliosamente loro stessi, sempre.
Alessandra: Sì. Sono tutti diversi, tutti con un proprio modo di essere, con gusti e sentimenti (anche
quelli più gravi, che magari non riescono nemmeno ad esprimersi a parole).
Marco: Certamente sì! si intuisce che è timido, ed anche molto insicuro, ma che gli piace la compa-
gnia e l‟intimità con altre persone. Sono però sottili sfumature, che si percepiscono conoscendolo dav-
vero bene e standogli vicino tutti i giorni, imparando ad interpretare ogni sua piccolissima reazione.
Conosce e si rende conto delle festività?
Sara: Sì, Paolo conosce le festività, perché gli arrivano le patatine e i dolci da mangiare ma non ne
conosce certo l‟importanza o il significato. Diciamo che essendo un down grave è un po‟ come un bam-
bino di 3 anni circa…
Alessandra: Sì. Non tutti… per alcuni oggi è arrivata Santa Lucia, erano entusiasti… per alcuni…
ogni giorno è lavorativo o feriale.
Marco: Conosce le festività principali (Natale e Pasqua), quelle più rappresentate da simboli o da
oggetti concreti che lui è in grado di sperimentare come cambiamento nella vita di tutti i giorni: a Nata-
le si fa l‟albero e si mangia il panettone, a Pasqua la colomba.. senza contare che si sta a casa da scuola,
ed allora è una grande festa! ma non avendo un buon orientamento temporale non sa dire quando è Na-
tale e quando è Pasqua, lo deduce dal contesto (luminarie per strada, pubblicità..)
Cosa comporta essere bambino in un corpo da adulto?
Sara: Paolo non si rende affatto conto del suo corpo, posso solo dire che con i bambini è di una te-
nerezza infinita, ma a volte, essendo un po‟ grassottello, diciamo che si muove un po‟ come un elefante.
Alessandra: Ipotizzo, perché non lo so, ed ai bambini che seguo manca ancora molto prima di di-
ventare adulto, che non sia un grave problema. Forse lo è più per noi, adulti normodotati che ci rappor-
tiamo loro o per i loro genitori, che hanno paura di non poter aiutare il figlio per tutto il tempo che ne-
cessiterà…
Marco: Spesso non sa interpretare gli stimoli da adulto del proprio corpo (ad. es., il desiderio sessu-
ale, o l‟eccitazione..) e non sa quindi darvi una risposta adeguata al contesto sociale. Se è agitato può
diventare aggressivo senza volerlo, ma non si rende conto che è forte e che può far male agli altri..
N ella mentalità comune, essere bambini è sinonimo
di spensieratezza, di gioia, di allegria, di salute,
… purtroppo non è sempre così. Ci sono bambini che vivono
la loro fanciullezza nel dolore, nella malattia, …
Un giorno, in redazione ci è capitato di parlare di bambini,
entrando poi nello specifico dell‟ handicap. È dalle curiosità
emerse che nasce questo testo ove siamo andati ad intervista-
re chi, la disabilità la vive ogni giorno, per via del suo lavoro
o perché la ritrova nella sua famiglia.
Alessandra
29 Zona 508
Cosa sogna di fare da grande?
Sara: Paolo ormai è grande, ha 30 anni, non pensa mai al futuro come lo intendiamo noi, lui vive
pensando ai cartoni animati, a quando va dalle nonne a dormire e a quando va al mare d‟estate… non
credo vada oltre. Quindi, per rispondere alla domanda direi che sogna solo di essere quello che è: un
bellissimo ragazzo down.
Alessandra: I meno gravi sognano ed hanno delle aspirazioni come ciascuno di noi… man mano la
gravità aumenta, più si vive la quotidianità.
Marco: Non ha un concetto di “quando sarò grande”: per lui l‟unico tempo esistente è il presente.
Come vive il rapporto con gli animali?
Sara:Contrariamente ai suoi amici come lui Paolo detesta gli animali, lo infastidiscono molto!! Non
si avvicina e non li accarezza mai, nonostante io ami molto tutti gli animali e ci abbia provato moltissi-
me volte. Ho saputo però che con il suo centro va ad ippoterapia e incredibilmente il cavallo lo tocca…
dice che gli piace tanto perché fa le “puzzette” grossissime! Ecco, questo è Paolo!
Alessandra: Come ogni bambino, come ognuno di noi… in base ai gusti personali. Certo è che, al-
cuni percorsi con gli animali, portano a dei miglioramenti netti alcuni bambini affetti da precise patolo-
gie.
Marco: Benissimo, anzi sono per lui molto rilassanti, è anzi molto appassionato di cani: gli piace
“studiare” i nomi e le caratteristiche di tutte le razze
Crede in Dio ?
Sara: Paolo non ha la capacità di potere capire quando attraversare la strada o no, quindi direi che
non può nemmeno avere la percezione di cosa possa essere Dio. Lui però in chiesa prende sempre il
librettino e fa finta di leggerlo. E‟ uno spasso. Ma non penso che si renda conto che questo mondo pos-
sa essere stato creato da un “Dio”. Intanto diciamo che fa finta di pregare… e a noi fa ridere così!!!
Alessandra: Chi lo sa? Non parliamo mai di questi argomenti.
Marco: Non credo che pensi molto a tutto ciò che va al di là del tangibile, del concreto o delle rela-
zioni che intrattiene in prima persona; di conseguenza credo che non avendo persone vicine particolar-
mente devote non si sia mai posto il problema!
Si innamora?
Sara: Fino ad oggi Paolo è innamorato solo del suo papà… e delle sue due nonne!!!
Alessandra: Spero di sì. Almeno per chi ha un handicap lieve penso che sia un’esperienza possibile.
Più è grave la disabilità più, a volte, ci si allontana da quello che è il mondo reale, quello della quotidia-
nità.
Marco: Probabilmente si ma non sa dare un nome a questo sentimento.. e difficilmente è in grado di
manifestarlo
Quali sono i suoi problemi quotidiani?
Sara: I suoi problemi quotidiani sono: riempirsi la pancia, farsi la barba, profumarsi e andare al suo
centro diurno per disabili.
Alessandra: Di diverso tipo, a volte anche solo andare in bagno da solo o rimettersi la maglietta nei
pantaloni, può essere complesso.
Marco: Vestirsi con colori che gli piacciano, riuscire a non farsi tagliare i capelli (!) che adesso so-
no lunghissimi, evitare le situazioni che lo mettono in ansia (situazioni nuove, o in cui gli sia richiesto
di parlare)
Quali i suoi programmi preferiti?
Sara: I programmi preferiti di Paolo sono: i cartoni animati, Io Canto con Gerry Scotti (che poi ci
obbliga a cantare le canzoni con lui) e alla sera dalle nonne guarda Festa in Piazza.
Alessandra: Cartoni animati… in primis i GORMITI
Marco: Guardare il calcio in TV
Ama le vacanze?
Sara: Sì, Paolo ama moltissimo le vacanze. La ragione e semplice: i miei genitori per ovvi motivi
vanno sempre al mare nello stesso posto e in montagna dello stesso posto, questo vuol dire che tutti lo
aspettano, lo chiamano, gli fanno trovare regalini e lo chiamano durante l‟inverno. Questo per lui è una
gioia infinita… sapere che in vacanza c‟è qualcuno che lo sta aspettando!!!
Alessandra: Amano le vacanze, l’aria aperta, prendere l’autobus… sì, direi che amano le vacanze!!!!
Marco: Decisamente si!!! e’ l’unico momento dell’anno in cui può fare quello che vuole, senza ac-
canto educatori, insegnanti di sostegno, terapisti che gli dicono cosa deve fare!! ma è profondamente
abitudinario, ama le vacanze solo nella casa in montagna dei suoi o in quella al lago degli zii, che cono-
sce bene, perché posti e persone nuove lo fanno andare in ansia.
30 Zona 508
...Con Beatrice
Assistenti volontari
Ai sensi dell'art. 78 OP l'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magi-
strato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a
frequentare gli istituti di pena allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno
morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale.
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dell'i-
stituto sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l'azione con quella di tutto il
personale addetto al trattamento. L'attività prevista non può essere retribuita.
Essi possono inoltre collaborare coi centri di servizio sociale per l'affidamento in
prova , per il regime di semilibertà e per l'assistenza ai dimessi e alle loro famiglie.
Locali di soggiorno e pernottamento in carcere
Secondo l'art.6 OP i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati
devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in
modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climati-
che lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I det-
ti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. i locali
destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. Particola-
re cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più
posti. Agli imputati deve esser garantito il pernottamento in camere ad un posto a
meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta. Ciascun detenuto o
internato dispone di un adeguato corredo per il proprio letto.
Permanenza all'aperto
Ai sensi dell'art. 10 OP ai soggetti che non prestano lavoro all'esterno è consentito
di permanere almeno per due ore al giorno all'aria aperta, che può essere ridotto a
non meno di un'ora soltanto per motivi eccezionali. La permanenza all'aria è effet-
tuata in gruppi cercando di evitare inneschi di violenza ed è dedicata ad esercizi
fisici. Tale necessità deriva da esigenze igienico-sanitarie, psicologiche e fisiche
della persona. Dello sport nelle carceri bresciane si occupa ormani da anni l'Uisp,
ossia l'Unione italiana sport per tutti, offrendo ai detenuti tornei di calcio e pallavo-
lo e gare podistiche. Da quest'anno anche l'Associazione Carcere e Territorio ha
dato vita ad una sua squadra, formata da volontari e volontarie, che una volta al
mese si reca all'interno del carcere per sfidare le detenute a pallavolo.
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Involtini di carne al prosciutto di Praga (Lenese) al forno, servito con rosso d’alba.
“A me non da fastidio assai, ad altri si. Il carcere e le varie sfumature che esso contiene (cucina)” Ermanno 49
Ingredienti x 4 persone:
1/2 Kg di carne macinata 1 carota 1/2 cipolla Un pezzetto di sedano Pepe a piacere Un pizzico di sale 6/7 fette di prosciutto di praga Sottilette (1 per involtino) 1/2 dado nel sugo
Preparazione. Tritare la carota, la cipolla, il sedano e metterli in una padella antiaderente con il macinato, a fuoco lento. Aggiungere una noce di burro, un filo d’olio extra-vergine e rosolare il tutto per bene fino a cottura eseguita (questo per gli ingredienti). Prendere una terrina, imburrarla leggermente, passare della noce moscata (basta una spol-verata leggera). Prendere una fetta di prosciutto. Mettere l’impasto all’interno (come per fare un cannellone). Richudere il tutto con una sottiletta e 2 stuzzicadenti. Fatto ciò, mettere un forno il tutto ricoperto di pane grattugiato con prezzemolo ed aglio (a piacere). Tenere in forno fino a quando il composto non è diventato leggermente croccante. Togliere dal forno e aspet-tare che si raffreddi. Servire con un dolcetto d’alba rosso (o un bonarda), temperatura canti-na.
Ermanno 49
Sensazioni e sapori …
di LIBERTA’
S caldo dell‟ olio in un pentolino e soffriggo
Mezza cipolla poi ci aggiungo del salmone
Affumicato tagliato fine facendolo scottare
Dopo qualche minuto verso della panna da
Cucina mandando il tutto in ebolizione ma
Nel frattempo aggiungo mezzo pomi che
Darà colore alla nostra specialita ,con un
Pizzico di pepe e sale andrà ad assaporare
Il nostro sughetto che potrebbe essere
Completo con una spolveratina di fresco
Prezzemolo e………
tocco dello chief un
Tappo di brandy ………
sapore infinito
Sensazione di libertà che
ci può mancare
Per quel misero e piccolo tappo di brandy
E metaforicamente parlando anche le piccole
Cose possono contribuire a darci senso di
Libertà o viceversa
Cotto e carcerato
Buon appetito a tutti
Mauro e fausto
32 Zona 508
Amore: non è stato facile da gestire l'amore nell'anno passato, diciamo che qualcuno ha perso la strada. Ma si
può ripartire.Un'occasione sarà data a tutti: l'importante è mettersi in gioco a cuore battente.
Mese fortunato: aprile. Salute: non manca l'energia.
Amore: quest'anno regala certezze maggiori a tutti i nati sotto il segno zodiacale del toro, difatti dona certezze
e conferme Ai cuori solitari si fa già un clamoroso appello: “Cominciate a guardarvi meglio attorno!”Mese
fortunato: agosto. Salute: Da maggio vivrai in un clima favorevole, disteso e importante.
Amore: è proprio il caso di pensare al futuro con un tocco di allegria! Se siete in cerca di fidanzamento amo-
roso, cercate di far ingelosire meno chi avete puntato e le cose verranno da sole! Mese fortunato: gennaio.
Salute: nel mese di marzo sentirete il disturbo del cambiamento del cielo. Occhio a non commettere rudenze!
Amore: si parte fin da gennaio con una forte ricerca affettiva, che porterà a conoscere quel che più si deside-
ra: l'amore. Arriveranno emozioni, sentimenti importanti che cambieranno la vostra vita. Mese fortunato:
tutti. Salute: dedicatevi alla vostra mente e al vostro corpo, inizierete così a stare benissimo con voi stessi.
Amore: bisogna sfruttare la prima parte dell'anno. Si parte infatti da gennaio con l'umore migliore, bando alla
tristezza! In arrivo buone proposte, basta solo dire “sì” e lasciarsi andare fiduciosamente.
Mese fortunato: febbraio Salute: gennaio è un mese protetto anche se le cose da fare sono tante, difatti capite-
rà di sentirvi stanchi, ma voi fatevi forza e coraggio!!
Amore: il 2011 vi regala l'asso nella manica che potrà essere giocato in maniera favorevole nei mesi più caldi
dell'anno. Dedicatevi fino a maggio solo alla sfera lavorativa e familiare.
Mese fortunato: giugno
Salute: è ben noto il fatto che siete una persona molto ansiosa e se vi fissate su un problema, difficilmente
cambiate idea... In questo primo percorso dell'anno tenete a freno le vostre ansie.
Amore: per i cuori solitari questo non è l'anno giusto per le storielle. Saranno richieste forza ed energia per
trovare lo slancio adatto per conquistare posizioni nel tempo. Se siete sposati o state vivendo situazioni ingar-
bugliate fra parenti è meglio stare calmi. Mese fortunato: settembre
Salute: per la vostra salute il 2011 ha davvero un ottimo cielo. Dopo le nuvole dei primi mesi dell'anno, la pri-
mavera vi aiuterà ad acquistare nuova forza.
Amore: Per quanto riguarda le relazioni sentimentali appena nate, verranno confermate a partire dall'inizio
dell'anno con l'aiuto di Giove, pianeta. Mese fortunato: gennaio
Salute: è meglio non fare passi falsi, non azzardare agli inizi del mese, molto si risolve dal giorno 19 che porte-
rà più energia.
Amore: è un anno d‟incontri, avendo Giove dalla vostra parte. Diverse sono le occasioni che vi capiteranno,
sta solo a voi saperle valutare, ma soprattutto saper scegliere.
Mesi fortunati: marzo e aprile. Salute: nel corso del 2010 avete vissuto momenti di forte tensione nervosa,
quindi sarà necessario ricredersi per ritrovare un maggiore benessere.
Amore: tutti i capricorno che hanno vissuto una crisi nell'anno 2010 troveranno un'altra persona o si riconcilie-
ranno.
Mese fortunato: aprile. Salute: le prime sette giornate del mese sono ottime ma questo è solo l'inizio di un
lento recupero. Non si può superare un anno di tormenti in pochi giorni!
Amore: a gennaio le emozioni sono fugaci, molti Acquario preferiscono non legarsi. Non è l'anno degli amori
che contano. Con l'arrivo di agosto, traboccherà per voi un periodo di sentimenti. Coloro che sono in coppia, in
alcuni momenti potrebbero pensare di stare meglio da soli. Mese fortunato: agosto. Salute: prudenza perché la
stanchezza dell'anno passato si fa sentire. Impegnatevi a stare calmi.
Amore: è un 2011 importante per chi vuole sposarsi, avere un figlio e un buon futuro. Mi riferiscono che ai
cuori solitari arriverà un “qualcuno” che sarà difficile allontanare. Mese fortunato: novembre
Salute: ci saranno acciacchi e fastidi di natura nervosa, mantenete però l'ottimismo .
A cura di...Alessandro e Giovanna
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Mi dai un consiglio? Ovvero, scambio di idee e consigli semplici, veloci ed economici per mantenere una
buona forma fisica, mentale e relazionale…
RIMEDI NATURALI PER QUANDO CI SENTIAMO GIU’ DI MORALE…
Capita a tutti, prima o poi, di provare una delusione, di essere traditi o di fare un errore, cose che, oltre a ferirci, a volte ci gettano in un profondo sconforto, in uno stato di insicurezza, in una fase di commiserazione e mancanza di auto-stima. Per uscire da questo stato d’animo, dannoso e pericoloso non solo per noi stessi, ma anche per quanti ci sono vicini, possiamo chiedere aiuto ad alcu-ni elementi naturali. Circondiamoci di oggetti di legno: esso è capace di emanare una benefica influenza e la sua energia fresca e rigeneratrice è la più indicata ad accorrere in nostro soccorso in periodi di stress e di tristezza. Circondiamoci di oggetti in tutte le tonalità del verde: mettiamo, ad esem-pio, delle piante in casa. Collochiamo la nostra sedia in direzione Est: sarà da quella parte che, oltre al sole, sorgerà anche la nostra rinnovata fiducia.
CAPELLI PIU’ LUCENTI? Quando li lavate, fate l’ultimo risciacquo con l’acqua fredda…
COME CAPIRE SE IL CAFFÈ CHE ABBIAM O COMPRATO È DI QUALITÀ? Ecco un vecchio trucco: mettetene un pizzico nell’acqua e se resta a galla e non la colora è puro, altrimenti sarà stato miscelato...
HAI FREDDO? UNA ZUPPA È PROPRIO QUELLO CHE CI VUOLE...
Ma chi ha detto che le zuppe sono “cose da vecchi” e poco gustose? Intanto sono un ottimo metodo per scaldarsi un poco (ed in questa stagione ce n'è ancora bisogno...) e poi sono rapide, buone e ricche di ali-menti importanti per il nostro organismo. Se ne possono cucinare di ogni genere: di verdura, cereali, carne,
pesce, formaggio,... Ecco una semplice idea: provatela e... vedrete che vi appassioneranno! Zuppa di cipolla all'acciuga (dosi per 4 persone).
Affettate 4 cipolle grosse (o 6 piccole) e fatele imbiondire nell'olio con 6 filetti di acciughe sminuzzate. Unire ½ litro di brodo (fatto con il dado) e far cuoce-re a fuoco lento per circa ½ ora. Mettete un paio di fette di pane in ogni piatto e cospargetelo di formaggio grattugiato. Versateci sopra la zuppa e... senti-rete che gusto!
Hai anche tu un rimedio, una ricetta, un libro, un la-voretto da consigliare? Mettiti in contatto con i com-ponenti della redazione delle carceri di Brescia e/o Verziano oppure scrivi alla Redazione di ACT
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… QUALCUNO DI QUESTI INDIRIZZI POTREBBE ESSERTI UTILE!
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Un Giorno però...
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L' Associazione Carcere e Territorio di Brescia è orientata alla promozione, sostegno e gestione di attività che sensibilizzino l'
opinione pubblica riguardo alle tematiche della giustizia penale, della vita interna al carcere e del suo rapporto con il territorio.
Promuove e coordina intese interistituzionali
e collaborazioni, sui problemi carcerari, tra l ' a mminis t ra zione pe ni t e nzia r ia , la magistratura, le amministrazioni, le forze
politiche, le organizzazioni del privato sociale e del volontariato.
Promuove e realizza le iniziative che
favoriscano, all'interno del carcere: l' assistenza socio-sanitaria, l'organizzazione di attività sportive, ricreative, formative,
scolastiche, culturali e lavorative, l' organizzazione di percorsi di formazione
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