*Testo della relazione presentata al convegno “I giudici e l’ambiente” organizzato a Siracusa dalla Scuola Superiore della Magistratura il 3-4
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Danno ambientale: tutela civilistica versus tutela amministrativa.
La green economy e l’impatto sul codice degli appalti
Cenni introduttivi. Ho pensato di dividere, idealmente, in due parti il mio
intervento. Una prima parte dedicata –in modo necessariamente sommario– a
tracciare un quadro di carattere generale sugli aspetti più importanti del diritto
dell’ambiente anche per fare da “apripista” alle relazioni che poi seguiranno.
Nella seconda parte, invece, proverò ad affrontare la complessa questione
del rapporto esistente tra la tutela dell’ambiente garantita innanzi al giudice
civile e la tutela assicurata dall’azione dell’amministrazione competente e dal
giudice amministrativo.
Aspetti di carattere generale. Siamo oggi in presenza di un quadro normativo
in materia di ambiente abbastanza complesso e, per certi versi, ancora da
decifrare. Volendo fare una battuta, in questa materia c’è lavoro per tutti.
C’è lavoro per i costituzionalisti impegnati a studiare l’ambiente sia sotto
il profilo del riparto della potestà legislativa –si ricordi che l’articolo 117,
comma 2, lett. s) attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la
“tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali laddove mentre la
“valorizzazione dei beni culturali ed ambientali” è attribuita dall’art. 117,
comma 3, Cost. alla competenza concorrente Stato-Regioni– sia sotto il profilo,
approfondito in passato, del rapporto tra ambiente ed articolo 9 Cost., ove si
tutela il paesaggio e il patrimonio storico.
C’è lavoro per i civilisti impegnati a risolvere complesse questioni relative
alla nozione di danno ambientale, all’individuazione dei rimedi più corretti per
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riparare il danno ambientale una volta superata la strada del risarcimento per
equivalente, all’individuazione delle “porzioni” di responsabilità nel caso di più
responsabili della condotta illecita, ecc.
Per le ragioni che dirò tra un poco, come è noto e da tempo, c’è lavoro
anche per i penalisti e gli amministrativisti.
La storia della tutela dell’ambiente, a mio avviso, può essere distinta in tre
diversi periodi.
Un primo periodo, quello precedente alla promulgazione della legge
349/1986 istitutiva del ministero dell’ambiente, in cui spicca, per un verso,
l’assenza di previsioni legislative organiche e adeguate e, per altro verso, l’opera
della giurisprudenza impegnata a ricostruire, in via pretoria, un sistema di tutele
appena accettabile.
Appartiene a questo periodo –in cui mancavano tra l’altro un’autorità
amministrativa deputata ad hoc alla tutela dell’ambiente, una nozione di danno
ambientale, delle norme che individuassero meccanismi di tutela, delle
indicazioni specifiche sui giudici da adire, ecc.– la gloriosa opera della Corte di
cassazione che, con un notevole sforzo creativo, ha garantito un minimo di
protezione all’ambiente collegandolo alla tutela della salute;1 ma va anche
ricordato lo sforzo della giurisprudenza amministrativa per superare i
tradizionali schemi usati per legittimare l’impugnazione dell’atto amministrativo
e ammettere il ricorso davanti al g.a. a tutela di quelli che poi diverranno
1 Cass. Civ., sez. un. 6 ottobre 1979 n. 5172: L'art. 32 cost., oltre che ascrivere alla collettività generale la tutela promozionale della salute dell'uomo, configura il relativo diritto come diritto fondamentale dell'individuo e lo protegge in via primaria, incondizionata e assoluta come modo d'essere della persona umana. Il collegamento dell'art. 32 con l'art. 2 cost. attribuisce al diritto alla salute un contenuto di socialità e di sicurezza, tale che esso si presenta non solo come mero diritto alla vita e all'incolumità fisica, ma come vero e proprio diritto all'ambiente salubre che neppure la pubblica amministrazione può sacrificare o comprimere, anche se agisca a tutela specifica della salute pubblica. Da tale configurazione deriva che il diritto alla salute nel suo duplice aspetto è tutelabile giurisdizionalmente davanti al giudice ordinario anche contro la pubblica amministrazione le cui attività lesive devono considerarsi poste in essere in difetto di poteri.
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interessi diffusi in materia ambientale2 nonché l’impegno profuso dalla Corte dei
Conti per rendere sconveniente la dissennata opera di distruzione dell’ambiente.3
È un periodo questo in cui mancano riferimenti normativi certi e la
giurisprudenza colma, come può, questi vuoti realizzando anche il risultato
di tener vivo il dibattito e di spianare la strada all’opera del legislatore del
1986.
È poi possibile individuare un secondo periodo che, a mio avviso e
nonostante contrarie opinioni in dottrina, va dal 1986, anno come detto in cui
viene promulgata la legge istitutiva del ministero dell’ambiente, sino al 2010 o,
meglio ancora, alla legge 6 agosto 2013 n. 97. È vero che si tratta di un arco
temporale particolarmente ampio –più di venticinque anni durante i quali si
sono susseguite numerose novità normative che, con interventi spesso episodici
e non sempre ben coordinati, hanno tentato di disciplinare i diversi aspetti
dell’ambiente– durante il quale l’interprete ha potuto registrare molte novità
normative e giurisprudenziali, tuttavia, a me sembra, che questo lungo periodo
di tempo è caratterizzato dalla presenza di norme di legge ad hoc e dalla
mancanza di una tutela efficace.
È solo a partire dal 2010-2013 che finalmente si inaugura una terza
stagione caratterizzata da interventi, certamente migliorabili ma efficaci, a tutela
dell’ambiente.
Va in questa sede ricordata la legge 6 agosto 2013 n. 97 sull’azione
risarcitoria ex articolo 311 t.u.a.; ma poi la legge 22 maggio 2015 n. 68 in
2 Dopo l’iniziale presa di posizione in senso negativo di Cons. St., ad. plen. 19 ottobre 1979 n. 24:
L'associazione "Italia nostra" non è legittimata a proporre impugnativa avverso provvedimenti
incidenti sull'interesse diffuso alla tutela delle bellezze naturali, in quanto i suoi fini statutariamente
indicati, consistenti in un'opera di pressione sui pubblici poteri per la salvaguardia del paesaggio e
delle bellezze naturali, sono di dimensione astratta e non rapportabile ad un particolare ambiente
naturale. 3 Corte Conti, sez. riun., 16 giugno 1984 n. 378: È danno pubblico il danno provocato a quei beni che,
pur essendo immateriali (quali l'ambiente, le bellezze naturali, il paesaggio, l'arte), sono
giuridicamente tutelati con norme di diritto pubblico non soltanto per assicurarne la conservazione, ma
anche per preservarli da possibili danneggiamenti i quali li priverebbero della loro utilità sociale.
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materia di reati ambientali;4 la legge 28 dicembre 2015 n. 221 che ha inserito nel
t.u.a. l’articolo 306 bis sulla c.d. transazione ambientale e, infine, il d.lgs. 18
aprile 2016 n. 50 (nuovo testo unico in materia di appalti pubblici) che,
recependo e migliorando alcune indicazioni già contenute nel c.d. collegato
ambientale, ha improntato l’azione dell’amministrazione, in un settore
particolarmente delicato quale quello degli appalti pubblici, al rispetto dei
principi della tutela ambientale e della sostenibilità dello sviluppo.
In definitiva, a mio avviso, è solo in questi ultimi anni che
l’ordinamento si è dotato di efficaci meccanismi di tutela dell’ambiente.
Il quadro che il legislatore ci ha consegnato è dunque un quadro,
certamente migliore rispetto al passato, ma che, a mio avviso, deve essere
ancora in parte decifrato. Gli spunti sono veramente molti:
1. posto che, come è noto, non abbiamo una definizione di ambiente,5
sarebbe interessante approfondire e confrontare, per un verso, la nozione
4 Per i primi commenti alla novella legislativa, G. Amarelli, la riforma dei reati ambientali: luci ed
ombre di un intervento a lungo atteso, in www.penalecontemporaneo.it; A. Bell – A. Valsecchi, Il
nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio,
in www.penalecontemporaneo.it; L. Masera, I nuovi delitti contro l’ambiente, in
www.penalecontemporaneo.it; R. bianchi, la tutela penale dell’ambiente nel diritto comunitario,:
problemi applicativi, in Ambiente & sviluppo, 2015, fasc. 8-9, p. 497 e segg.; L. Ramacci, Il “nuovo”
articolo 260 del d.lgs. N. 152/2006, vecchie e nuove questioni, in Ambiente & sviluppo, 2016, fasc. 3,
p. 167; A.L. Vergine, Delitti ambientali: dal 2 aprile 1998 quasi vent’anni trascorsi (forse) inutilmente,
in Ambiente & sviluppo, 2015, fasc. 7, p. 413. 5 Come è noto per una prima tesi, riconducibile a Giannini, non esisterebbe una nozione unitaria di
ambiente ma vi sarebbero almeno tre distinti significati giuridici del termine:
1) l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi al paesaggio;
2) l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il movimento di idee relativi alla difesa del suolo,
dell’aria, dell’acqua;
3) l’ambiente a cui si fa riferimento nella normativa e negli studi dell’urbanistica.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 30 dicembre 1987 n. 641, ha invece accolto la nozione
unitaria: «…L'ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti,
ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela;
ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità.
Il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere
oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e
non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in
considerazione…l’ambiente non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo
approvativo: ma appartenendo alla categoria dei c.d. beni liberi, è fruibile dalla collettività e dai
singoli» (Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, VI ed. 2011, p. 747-751)
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di danno ambientale che dà l’articolo 300 t.u.a. –«È danno ambientale
qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di
una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima»– e, per altro
verso, la definizione che ne abbiamo in sede penale e, in particolare, agli
articoli 452-bis e 452-quater, ove il legislatore ha proceduto a delineare
diversi livelli di offesa all’ambiente: basti considerare che all’articolo
452-bis c.p. si fa riferimento ad un primo livello di offesa consistente
nella compromissione significativa e misurabile e ad un secondo livello di
offesa coincidente con il “deterioramento” significativo e misurabile;
all’articolo 452-quater c.p., invece, viene individuato un terzo livello di
offesa consistente nella “alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la
cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con
provvedimenti eccezionali” e un ultimo livello di offesa coincidente con
“l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema”;
2. Il rapporto esistente tra tutela dell’ambiente e tutela della salute; a tal
riguardo vanno sottolineati sia lo stretto (e antico) rapporto tra i due beni
giuridici, già evidenziato dalla Corte di cassazione alla fine degli anni
settanta,6 sia le relazioni desumibili dall’articolo 306, comma 4, t.u.a.
(“Nelle attività di ripristino ambientale sono prioritariamente presi in
considerazione i rischi per la salute umana”) e dall’articolo 452 quater
c.p., ove è espressamente detto che costituisce reato di disastro ambientale
alternativamente l'alterazione di un ecosistema o l'offesa alla pubblica
incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della
compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle
persone offese o esposte a pericolo;
Di recente la dottrina (ancora Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, VI ed. 2011, p. 751)
lo ha definito come “bene unitario, immateriale, non patrimoniale e libero, costituito dall’equilibrio
ecologico degli ecosistemi presenti in una determinata area, la cui tutela rappresenta un valore
trasversale ed un’esigenza costituzionalmente ineludibile”. 6 Cass. Civ., sez. un., 06 ottobre 1979 n. 5172.
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3. Il cambiamento dell’azione amministrativa (ad esempio in materia di
appalti) dopo il c.d. collegato ambientale, dovendo essere per il futuro
improntata, come già accennato, al rispetto dell’ambiente in tutte le sue
manifestazioni.
Tutela civilistica. Non potendo approfondire ciascuno di questi spunti, passo
velocemente alla seconda parte del mio intervento che, come dice il titolo, è
dedicato ad un rapido confronto tra la tutela civilistica e quella
amministrativistica in materia di danno ambientale.
In relazione alla tutela civilistica7 desidero solo soffermarmi
sull’importante cambiamento che, con le ultime riforme, è avvenuto in questo
settore e che può essere apprezzato attraverso il confronto tra il testo originario
dell’articolo 18 l. 8 luglio 1986 n. 349 (prima delle modifiche introdotte dalla
legge 23 dicembre 2000 n. 388)8 e l’attuale formulazione dell’articolo 311 t.u.a.;
possono subito notarsi questi aspetti:
7 F. Benedetti, Danno ambientale: il punto sulle questioni rimaste aperte (prima parte), in Ambiente &
Sviluppo, 2016, fasc. 2, p. 111 e segg. 8 1. Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati
in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o
distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.
2. Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma
quella della Corte dei conti, di cui all'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10
gennaio 1957, n. 3.
3. L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo
Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo.
4. Le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l'esercizio
dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei
quali siano a conoscenza.
5. Le associazioni individuate in base all'articolo 13 della presente legge possono intervenire nei
giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di
atti illegittimi.
6. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in
via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per
il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo
dei beni ambientali.
7. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria
responsabilità individuale.
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1. nell’articolo 18 la compromissione dell’ambiente era definita in termini di
danneggiamento, alterazione, deterioramento o distruzione in tutto o in
parte, laddove più complessa è la formulazione dell’articolo 300 t.u.a. («È
danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile,
diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da
quest'ultima»);
2. nell’articolo 18 l’illecito era tipico potendosi solo realizzare “in violazione
di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge”
mentre nell’attuale articolo 311 (ma non anche nel testo originario)
l’illecito è atipico;
3. nell’articolo 18 l’illecito era, oltre che tipico, anche doloso o colposo,
laddove l’attuale articolo 311 t.u.a., in combinato disposto con l’articolo
298-bis t.u.a, prevede una fattispecie oggettiva “propria” (perché
realizzabile solo dagli esercenti le attività professionali elencate
nell’allegato 5) e una fattispecie dolosa o colposa “comune”;
4. Nel testo originario dell’articolo 18 – per l’epoca era già un passo avanti –
pur essendo contemplato il risarcimento in forma specifica (comma 8), la
forma principale di risarcimento era quella per equivalente;9 è noto,
invece, che nell’attuale formulazione dell’articolo 311 la priorità –attesa
le natura di bene collettivo e le indicazioni proveniente dalla sede
comunitaria10
– è il risarcimento in forma specifica, sub specie di
8. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a
spese del responsabile.
9. Per la riscossione dei crediti in favore dello Stato risultanti dalle sentenze di condanna si applicano
le norme di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. 9 A. D’Adda, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in Nuova giur. civ.
comm., 2013, II, p. 410 ricorda che la prassi applicativa privilegiava la condanna al risarcimento per
equivalente, magari con condanne esemplari (p. 411). 10 A. D’Adda, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in Nuova giur. civ.
comm., 2013, II, p. 412 e poi a p. 413 ricorda i rilievi che la Commissione europea aveva mosso
all’Italia nel 2008 con riferimento al testo allora vigente dell’articolo 311 t.u.a.
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riparazione e ripristino,11
e “solo quando l'adozione delle misure di
riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque
realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti,
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i
costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta
attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il
pagamento delle somme corrispondenti”;12
5. nel testo originario dell’articolo 18 vi era, secondo taluni,13
anche una
componente punitiva nella condanna al risarcimento del danno (si teneva
conto della gravità della colpa), componente questa che, almeno
letteralmente, è scomparsa nell’articolo 311 t.u.a.
6. nell’articolo 18 la legittimazione spettava allo Stato e agli enti territoriali
mentre un’esplicita scelta del legislatore del t.u.a. è stata quella di
accentrarla in capo al Ministro dell’ambiente.14
La tutela amministrativa. Passando ora rapidamente alla tutela in sede
amministrativa, va ricordato che una delle principali novità dell’ultimo decennio
è stata quella di aver disciplinato la possibilità che il Ministro, in alternativa
all’azione risarcitoria davanti al giudice civile (articolo 315 t.u.a.15
), previa
apposita istruttoria procedimentale disciplinata dall’articolo 312 t.u.a., adotti
l’ordinanza ai sensi del successivo articolo 313 t.u.a.
11 Sull’importanza e la prevalenza del risarcimento in forma specifica, ance con riferimento al forme
complementari e compensative, si veda ancora A. D’Adda, Danno ambientale e tecniche rimediali: le
forme del risarcimento, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 412-413. 12 A. D’Adda, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in Nuova giur. civ.
comm., 2013, II, p. 415 e segg. si sofferma sugli spazi di discrezionalità lasciati all’interprete nella
scelta del rimedio per equivalente. 13
Ancora A. D’Adda, Danno ambientale e tecniche rimediali: le forme del risarcimento, in Nuova
giur. civ. comm., 2013, II, p. 410. 14 Si veda sul punto Corte Cost., 1 giugno 2016 n. 126. 15 Stabilisce infatti l’articolo ora citato che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare che abbia adottato l'ordinanza di cui all'articolo 313 non può né proporre né procedere
ulteriormente nel giudizio per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell'intervento
in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale.
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Per il t.u.a., qualora venga accertato un fatto che abbia causato danno
ambientale ed il responsabile non abbia attivato le procedure di ripristino, il
Ministro dell'ambiente, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a
coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili del fatto
il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica. Se il
responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non provvede in tutto
o in parte al ripristino nel termine ingiunto, o all'adozione delle misure di
riparazione, il Ministro determina i costi delle attività necessarie a conseguire la
completa attuazione delle misure anzidette e, al fine di procedere alla
realizzazione delle stesse, con ordinanza ingiunge il pagamento, entro il termine
di sessanta giorni dalla notifica, delle somme corrispondenti.
La norma chiarisce che, con riguardo al risarcimento del danno in forma
specifica, l'ordinanza è emessa nei confronti del responsabile del fatto dannoso
nonché, in solido, del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento fonte
del danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio
sottraendosi, secondo l'accertamento istruttorio intervenuto, all'onere economico
necessario per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e
tenere i comportamenti previsti come obbligatori dalle norme applicabili.
L’ordinanza in questione deve essere adottata nel termine perentorio di
centottanta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti di cui al comma 3
dell'avvio dell'istruttoria, e comunque entro il termine di decadenza di due anni
dalla notizia del fatto, salvo quando sia in corso il ripristino ambientale a cura e
spese del trasgressore.
La legge si preoccupa poi di stabilire un contenuto minimo dell’ordinanza
prevedendo che deve esserci l'indicazione specifica del fatto, commissivo o
omissivo, contestato, nonché degli elementi di fatto ritenuti rilevanti per
l'individuazione e la quantificazione del danno e delle fonti di prova per
l'identificazione dei trasgressori.
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L'ordinanza fissa inoltre un termine, anche concordato con il trasgressore
in applicazione dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il ripristino
dello stato dei luoghi a sue spese, comunque non inferiore a due mesi e non
superiore a due anni, salvo ulteriore proroga da definire in considerazione
dell'entità dei lavori necessari.
È poi specificato e ribadito che la quantificazione del danno deve
comprendere il pregiudizio arrecato alla situazione ambientale con particolare
riferimento al costo necessario per il suo ripristino.
Diversi sono gli aspetti che meritano di essere esaminati.
In primo luogo, come rilevato in dottrina, la legge prevede una
competenza precisa del Ministro, così derogando al normale riparto tra le
competenze degli organi politici e quelle dei dirigenti, che mal si concilia con il
percorso, intrapreso negli anni ’90 del secolo scorso, di separazione tra le
competenze tecnico-gestionali attribuite ai dirigenti e quelle proprie degli organi
politici.16
Pur condividendo le perplessità da altri manifestate, mi sembra che la
scelta del legislatore, oltre ad essere voluta, possa essere considerata una
soluzione coerente con la delicatezza della “questione ambiente”, ove ad aspetti
di tipo prettamente tecnico-risarcitorio, conoscibili dai dirigenti, si aggiungono
profili spesso appartenenti alla “sfera” della politica, profili questi individuabili
nella tutela dei livelli occupazionali, nel rilancio di aree depresse del Paese, ecc.
Altro aspetto di interesse è quello legato alle modalità con le quali deve
avvenire il passaggio dall’ingiunzione all’adozione delle misure di ripristino e
riparazione all’ingiunzione al pagamento di una somma di denaro nel caso in cui
il responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non abbia
provveduto in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto. Per un verso, è
chiaro che la “via amministrativa”, così come quella innanzi al giudice civile,
16 F. Benedetti, Danno ambientale,: il punto sulle questioni rimaste aperte (seconda parte), in
Ambiente & Sviluppo, 2016, fasc. 3, p. 202 e segg.
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prediliga il risarcimento in forma specifica attesa la natura collettiva del bene
ambiente; per altro verso, tuttavia, non è semplice capire se il Ministro,
constatata l’inottemperanza del responsabile, possa adoperarsi sin da subito con
le misure di ripristino e riparazione oppure debba attendere l’effettiva
riscossione delle somme necessarie per intervenire.17
L’importanza del bene
ambiente, e i suoi riflessi anche sulla tutela della salute umana, portano a
prediligere un’interpretazione della norma che, ferma restando la necessità di
riscuotere doverosamente le somme di denaro (determinate in relazione ai costi
delle attività necessarie) presso il responsabile, permetta al Ministro di
intervenire tempestivamente con le misure di ripristino e riparazione.
Va da ultimo sottolineato che avverso l’ordinanza è prevista la possibilità
di ricorre innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva
(articolo 133, comma 1, lett. s), c.p.a.). Ciò inizialmente ha suscitato dubbi in
dottrina in considerazione del fatto che verrebbero in rilievo “controversie
meramente risarcitorie”.18
Invero vi è più di un (buon) motivo per ritenere
giustificata l’esistenza della giurisdizione amministrativa. Da un lato, infatti, si
ricordi che l’ordinanza viene adottata a seguito di una complessa fase istruttoria
e procedimentale (articolo 312 t.u.a.) durante la quale si ha “spendita” di potere
pubblico che, anche giusta il disposto dell’articolo 7, comma 2, c.p.a., è
sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo. Dall’altro lato,
la possibile qualificazione della posizione del destinatario dell’ordinanza in
termini di diritto soggettivo non è di ostacolo alla esistenza della giurisdizione
del giudice amministrativo proprio in ragione della previsione di un caso di
giurisdizione esclusiva.
Sembra utile dar conto di un orientamento, oramai consolidato nella
giurisprudenza amministrativa, sulle regole da applicare nel caso in cui il
17 F. Benedetti, Danno ambientale,: il punto sulle questioni rimaste aperte (seconda parte), in
Ambiente & Sviluppo, 2016, fasc. 3, p. 210. 18 F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè, VI ed. 2011, p. 777.
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proprietario del sito inquinato non sia anche il responsabile dell’inquinamento. Il
Consiglio di Stato,19
sulla scorta della sentenza della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea 4 marzo 2015, C-534/13, ha affermato che dalle
disposizioni contenute nel t.u.a (in particolare, nel Titolo V della Parte IV)
possono ricavarsi le seguenti regole:
«1) il proprietario, ai sensi dell’art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare
le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. 1), ovvero “le
iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una
minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio
sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o
ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi
di tale minaccia”;
2) gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano
esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale
sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (art. 244,
comma 2);
3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda
spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli
interventi che risultassero necessari sono adottati dalla p.a. competente (art.
244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere recuperate,
sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi, tra l’altro,
l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero quella di
esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro
19 Consiglio Stato sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3544. Si veda G. Atzori, Chi (non) inquina paga? La
giurisprudenza più recente sugli obblighi del proprietario incolpevole, in Ambiente & Sviluppo, 2015,
fasc. 10, p. 557 e segg.; Piera Maria Vipiana Perpetua, La soluzione ‘‘all’italiana’’ della posizione del
proprietario di un sito inquinato non responsabile dell’inquinamento: il suggello della Corte di
giustizia, in Giur. it., 2015, 6, p. 1480 e segg.
*Testo della relazione presentata al convegno “I giudici e l’ambiente” organizzato a Siracusa dalla Scuola Superiore della Magistratura il 3-4
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infruttuosità), agendo piuttosto in rivalsa verso il proprietario, che risponderà
nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi
medesimi (art. 253, comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un
privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
La scelta del legislatore nazionale, desumibile dall’applicazione delle
richiamate regole, è stata adottata in applicazione, nel nostro ordinamento, del
principio comunitario “chi inquina paga” ormai confluito in una specifica
disposizione (art. 191) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nel
quale rientra come uno degli obiettivi principali sui quali si basa l’azione
europea in materia ambientale ed in attuazione della direttiva 2004/35/CE».20
Green economy. Deve ora essere esaminato un ultimo aspetto legato a quella
che può considerarsi una vera e propria svolta nell’azione del legislatore, ossia
le disposizioni introdotte con il c.d. collegato ambientale.
La legge 28 dicembre 2015 n. 221 ha introdotto numerose norme per
promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di
risorse naturali, così agendo sul versante dell’azione amministrativa.
In altri termini, le ordinanze ministeriali previste dal t.u.a. sono legate a
fatti di danno ambientale già realizzato (articolo 313 t.u.a.) o a fatti rispetto ai
quali occorre agire in osservanza del principio di precauzione (articolo 301
t.u.a.) o di prevenzione (304 t.u.a.);21
tralasciando l’introduzione della c.d.
20 Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n. 3544; e poi Cons. St., sez. V, 23 settembre 2015 n. 4466 e
Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2015 n. 4225. 21 C. Vivani, Principio di precauzione e conoscenza scientifica, in Giur. It., 2015, p. 2474 e segg.; M.
Nunziata, I principi europei di precauzione, prevenzione e “chi inquina paga”, Giornale di diritto
amministrativo, 2014, fasc. 6., p. 656 e segg.
*Testo della relazione presentata al convegno “I giudici e l’ambiente” organizzato a Siracusa dalla Scuola Superiore della Magistratura il 3-4
giugno 2016.
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transazione ambientale ex articolo 306 bis t.u.a.,22
le misure inserite con il
collegato ambientale, invece, hanno la finalità di orientare a regime l’azione
amministrativa.
Poiché in questa sede non è possibile esaminare tutte le novità che sono
state introdotte, ci si soffermerà esclusivamente sulle disposizioni inserite “per
agevolare gli appalti verdi”23
con la precisazione che gli articoli 16-19 l. 28
dicembre 2015 n. 221 hanno modificato il d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice
dei contratti pubblici) che, come è noto, dal 20 aprile 2016 non è più in vigore
perché sostituito dal d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50.
In sintesi queste le novità più rilevanti:
a) sono individuati criteri di sostenibilità energetica e ambientale, prima
attraverso introduzione dell’articolo 68 bis d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163,
poi tramite l’articolo 34 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, disposizione questa
non a caso collocata tra i “principi comuni”;
b) si è specificato che il principio di economicità può essere subordinato, nei
limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal codice,
ai criteri, previsti nel bando, ispirati a diverse esigenze (sociali, tutela
della salute, tutela del patrimonio culturale) tra le quali anche quelle
relative alla tutela dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo
sostenibile, anche dal punto di vista energetico (articolo 30, comma 1,
d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50);
c) è prevista la riduzione della garanzia a corredo dell’offerta del 30 per
cento, anche cumulabile con altre riduzioni, per gli operatori economici in
possesso di registrazione al sistema comunitario di ecogestione e audit
(EMAS), ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, o del 20 per cento per gli
22 A. Quaranta, V. Cavanna, La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?, in
Ambiente & Sviluppo, 2016, fasc. 4, p. 262 e segg. 23 S. Pagliantini, Sul c.d. contratto ecologico, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 2, II, p. 337 e segg.
*Testo della relazione presentata al convegno “I giudici e l’ambiente” organizzato a Siracusa dalla Scuola Superiore della Magistratura il 3-4
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operatori in possesso di certificazione ambientale ai sensi della norma
UNI EN ISO 14001 (dapprima articolo 75 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163,
oggi articolo 93, comma 7, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50);
d) è disposta la riduzione, sempre della garanzia a corredo dell’offerta, del
20 per cento, anche cumulabile con altre riduzioni, per gli operatori
economici in possesso, in relazione ai beni o servizi che costituiscano
almeno il 50 per cento del valore dei beni e servizi oggetto del contratto
stesso, del marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel
UE) ai sensi del regolamento (CE) n. 66/2010 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 25 novembre 2009 e del 15 per cento per gli operatori
economici che sviluppano un inventario di gas ad effetto serra ai sensi
della norma UNI EN ISO 14064-1 o un'impronta climatica (carbon
footprint) di prodotto ai sensi della norma UNI ISO/TS 14067 (dapprima
articolo 75 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, oggi ancora articolo 93, comma 7,
d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50);
e) tra i criteri per la valutazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa sono aggiunti (dapprima nell’articolo 83 d.lgs. 12 aprile
2006 n. 163, oggi nell’articolo 95, comma 6, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50):
i. quello relativo al possesso di un marchio di qualità ecologica
dell'Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi
oggetto del contratto, in misura pari o superiore al 30 per cento del
valore delle forniture o prestazioni oggetto del contratto stesso,
quello concernente;
ii. quello concernente la valutazione dei consumi di energia e delle
risorse naturali, delle emissioni inquinanti e dei costi complessivi,
inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti
climatici, riferiti all'intero ciclo di vita dell'opera, bene o servizio,
con l'obiettivo strategico di un uso più efficiente delle risorse e di
un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione;
*Testo della relazione presentata al convegno “I giudici e l’ambiente” organizzato a Siracusa dalla Scuola Superiore della Magistratura il 3-4
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iii. quello inerente la compensazione delle emissioni di gas ad effetto
serra associate alle attività dell'azienda calcolate secondo i metodi
stabiliti in base alla raccomandazione n. 2013/179/UE della
Commissione, del 9 aprile 2013, relativa all'uso di metodologie
comuni per misurare e comunicare le prestazioni ambientali nel
corso del ciclo di vita dei prodotti e delle organizzazioni;
f) in relazione ai bandi-tipo si fa espresso obbligo di introdurre indicazioni
per l'integrazione nel bando dei criteri ambientali minimi di cui ai decreti
attuativi del Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel
settore della pubblica amministrazione, adottati ai sensi del decreto del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 aprile
2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 dell'8 maggio 2008, e
successive modificazioni (dapprima articolo 64, comma 4 bis, d.lgs. 12
aprile 2006 n. 163, oggi articolo 71, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50).
È certamente presto per fare un bilancio ma, a sommesso avviso dello
scrivente, le novità degli ultimi anni vanno nella direzione giusta sia perché
l’ordinamento italiano si mette al passo con i tempi e con gli obblighi di
derivazione comunitaria sia perché si comincia a delineare un sistema virtuoso
che, oltre a riparare i danni ambientali, influenza positivamente l’azione
amministrativa.
Vincenzo Neri
Consiglio di Stato
Pubblicato 28 luglio 2017