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1. LE NULLITA’ E IL CONTRATTO NULLO

1 . LA NULLITA’ TRA VECCHI E NUOVI SCENARI

1.Le nuove frontiere della NULLITA’ CONTRATTUALE

Le figure della invalidità contrattuale, pressoché immutabili e recepite dal legislatore del 1942 nel binomio NULLITA’/ANNULLABILITA’ negli ultimi anni hanno subito significative trasformazioni che sembra ne abbiano alterato la fisionomia originaria., consegnata dalla tradizione.Per quanto ci interessa è il territorio della Nullità a risentire in misura maggiore di tale fermento normativo, ciò sia con riguardo alla legislazione speciale con riguardo a specifici settori e accelerato soprattutto su impulso della normativa di fonte comunitaria fortemente incentrata sulla protezione del contraente-consumatore nei rapporti con l’impresa.Detto questo, all’interno del capitolo dei rimedi contrattuali, il nuovo paesaggio della nullità si inscrive nella cornice evolutiva di un più ampio sfondo che si estende ai territori dell’autonomia contrattuale, fino ad investire le stessa nozione e configurazione tradizionale del contratto in altri termini “ se è vero che il contratto di oggi non è più quello di ieri, ciò vale anche per il regime della sua patologia” cioè anche per essa vi è un prima e un dopo, dove il prima è rappresentato dal tranquillo e statico mondo delle previsioni codicistiche e il DOPO invece, dalle molteplici, eversive e spesso irriducibili statuizioni di derivazione comunitaria.In questo modo il nuovo modello di contratto, che emerge dalle discipline settoriali, specie di matrice comunitaria, unito alla proliferazione di regole specificatamente rivolte ai singoli “tipi contrattuali” ed alle esigenze contingenti ed occasionali è come se introducesse una piccola rivoluzione copernicana in cui si sovverte il tradizionale rapporto regola/eccezione tra disciplina del contratto in generale e discipline dei singoli “tipi” e dall’altro lato quindi fa si che sia sempre più difficile ricostruire una significativa unitarietà della figura contrattuale.Le ragioni e le dimensioni del fenomeno sono da ricercare nel c.d: “DIRITTO DELLA TRANSIZIONE” ovvero quella formula che dal 1989 viene utilizzata per indicare il tramonto delle vecchie ideologie, il ritrarsi dello Stato dal controllo e dalla gestione delle imprese e offre un un nuovo diritto dei rapporti economici.Tale passaggio è scandito dal ritmo incessante delle trasformazioni dei rapporti economici nel segno di una economia di mercato “aperta ed in libera concorrenza” e dagli “statuti normativi” dei singoli mercati di determinati beni o categorie di beni le cui regole intervengono a prevenire o a correggere alterazioni o distorsioni nel libero gioco della concorrenza tra le imprese e che inevitabilmente ricadono “in termini di ridotta libertà e consapevolezza della scelta” su coloro che al mercato si rivolgono per ottenere prestazioni di beni e servizi i CONTRAENTI-CONSUMATORI.In questa prospettiva, la maggior parte degli interventi normativi che hanno investito il diritto dei contratti, da un lato appare rivolta a regolare specifici settori di mercato (nel senso che le nuove discipline contrattuali, settoriali o di attuazione di direttive comunitarie, perseguono obiettivi di “regolazione del mercato”), dall’altro costituendo gli stessi per lo più attuazione di direttive

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comunitarie, tale prospettiva si caratterizza per una spiccata tendenza protettiva nei confronti di determinate classi o categorie di contraenti, che si trovano in condizioni di minorato bargaining power nei confronti della controparte a tal proposito si pensi alle “nullità speciali” delle quali il Roppo individua il prevalente scopo politico che è la protezione di una classe di contraenti contro un’altra, in relazione alle rispettive qualificazioni socio-economiche.Da questo scenario si profilano quindi nuovi orizzonti.Dal declino dell’Accordo, inteso quale esito di un dialogo linguistico tra contraenti e che oramai è dissolto “nella solitudine di due decisioni individuali” nel modello degli “scambi anonimi e ripetitivi del mercato”(spento il dialogo, l’accordo è tutto nell’unilaterale predisposizione del testo scritto e nell’unilaterale adesione- Disputa tra Irti e Oppo). O ancora dal declino della “ forza di legge” del contratto che sovente viene mitigata, nel contesto di alcune discipline di settore dall’ introduzione di “periodi di ripensamento” o “diritti di pentimento” a favore della parte in situazione di minorata forza contrattuale (tale tecnica rimediale è espressamente prevista per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali; per i contratti conclusi a distanza; per i contratti di crediti al consumo; in tutti questi casi il rimedio, proprio in quanto strumento di protezione del contraente debole, tende ad assumere negli orientamenti giurisprudenziali più recenti una estensione che va al di là delle ipotesi espressamente previste. Dall’imposizione di un contenuto minimo obbligatorio del regolamento contrattuale, all’eguale imposizione di obblighi di trasparenza ed informazione, che non si esauriscono nella fase PRE-CONTRATTUALE, ma spesso entrano nel contenuto del regolamento per il tramite della (necessaria) FORMA SCRITTA la quale a sua volta diviene veicolo di informazioni.

Questi peculiari tratti della legislazione di matrice comunitaria contribuiscono ad incrinare sensibilmente un altro dogma del diritto dei contratti: quello della c.d: “sanctity of contract” , ovvero del principio di insindacabilità dell’equilibrio contrattuale, in quanto frutto dell’autonomia dei contraenti, e che suppone, quindi, eguali posizioni di partenza nel gioco della contrattazione; mentre negli scambi di mercato (di mercato ormai globalizzato) si moltiplicano le situazioni di squilibrio, legate ad una “strutturale” e non più solo occasionale disparità di potere economico e contrattuale tra i protagonisti dello scambio.Quindi nel nuovo contesto normativo si intensificano CONTROLLI e VINCOLI alla libertà contrattuale (vincoli di contenuto minimo, di forma, di trasparenza/completezza delle prestazioni dedotte in contratto, obblighi informativi), accanto al diffondersi di tecniche di controllo giudiziale sull’equilibrio (non solo normativo ma anche) economico del contratto.Detto questo sono inevitabili le ricadute del nuovo “paradigma contrattuale” sul terreno dei rimedi ed in special modo sulla disciplina delle invalidità.Sotto questo punto di vista, mentre appare in sensibile declino (nella normativa di matrice comunitaria) il rimedio dell’annullabilità, si assiste per contro ad una “vera e propria inflazione di figure di nullità che vengono disseminate a piene mani dal legislatore”. Parliamo di “NULLITA’ NUOVE”, “PROTETTE”, “SPECIALI”, che vengono battezzate volta per volta dalla dottrina, poiché da un lato non si lasciano facilmente ricondurre al novero delle tradizionali cause di Nullità, dall’altro presentano sensibili deviazioni sotto il profilo del trattamento giuridico rispetto alla disciplina disegnata dagli artt. 1418-1424. D’altra parte, ciascuna di queste “nullità nuove” si caratterizza per propri tratti peculiari (ad.esempio sotto il profilo della legittimazione, della

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rilevabilità d’ufficio, della necessaria parzialità della nullità, del carattere unidirezionale della tutela apprestata ecc…).Per converso, un connotato costante, che sembra accomunare la gran parte di queste nuove figure di nullità, risiede nella circostanza che “si tratta di invalidità…più leggere, più contenute, meno distruttive delle invalidità di DIRITTO COMUNE”.L’intento protettivo nei confronti del contraente-consumatore si realizza infatti, nel disegno del legislatore, attraverso meccanismi che tendono ad assicurare il mantenimento del contratto piuttosto che la sua demolizione, sempreché però il nuovo assetto risponda all’interesse della parte cui si dirige la protezione. Ciò avviene anzitutto, ove la nullità colpisca l’intero contratto, limitando da un lato la legittimazione al solo contraente protetto dalla disciplina imperativa violata, condizionando dall’altro il potere del giudice di rilevare la Nullità solo a favore di quest’ultimo, e comunque nel rispetto di un suo eventuale interesse alla prosecuzione del rapporto.In presenza di clausole nulle, poi, il medesimo intento protettivo si esprime invece PRIVILEGIANDO –come si diceva- la conservazione del contratto, ancorchè con contenuto modificato, mercè la sostituzione o l’integrazione autoritativa della clausola nulla con quella imperativa violata (o con la disciplina positiva), e, talora, anche attraverso la semplice eliminazione della clausola stessa, al di fuori dell’operatività dei meccanismi di “ORTOPEDIA CONTRATTUALE” di cui agli artt. 1419 o 1339.L’esempio paradigmatico è rappresentato dall’art.1469 quinquies c.1 ove espressamente si dispone l’”inneficacia” ( ora definita “nullità di protezione” nell’art.36 Cod. Consumatori.) della sola “CLAUSOLA ABUSIVA( vessatoria)” nella salvezza della restante parte del contratto. Ma il modello della c.d. “nullità parziale necessaria”, inaugurato dalla disciplina dei contratti tra consumatore e professionista, pare destinato a riprodursi, in via di applicazione analogica, anche in altre discipline contrattuali di attuazione di direttive comunitarie.Come traspare dalle considerazioni fatte sopra, il rimedio della Nullità sembra assumere una nuova vocazione, offrendosi sempre più spesso nell’inedito ruolo di strumento di protezione (anche) di interessi particolari facenti capo a singoli o a gruppi o, meglio com’è stato detto di “INTERESSI SERIALI”, cioè di particolari categorie (consumatori, utenti di servizi finanziari, clienti di banche ecc..), che si affacciano sulla scena del mercato nelle vesti di “contraenti deboli”.Sul fronte della disciplina, il panorama si presenta quanto mai articolato e complesso, con segnali più o meno evidenti di un processo di frantumazione della categoria unitaria della “NULLITA’” in una pluralità di modelli e di corrispondenti statuti normativi, “assai spesso eterogenei e distanti tra loro”.Sotto questo punto di vista procederemo ad una ricognizione di queste ipotesi di “Nullità nuove” o c.d. “speciali” al fine di verificare se la disciplina di tali nullità consentano la riconduzione ad un unico denominatore comune così da costituire un MODELLO CONCORRENTE a quello disegnato dagli artt.1418 e 1425 o se invece tali figure di NULLITA’, nel loro diverso atteggiarsi sotto il profilo del trattamento giuridico, siano comunque e pur sempre riconducibili nell’alveo del tradizionale modello codicistico seppur depurato dalle “incrostazioni” del dogma.

2. I CONFINI TRADIZIONALI: a)INVALIDITA’ e INEFFICACIA

Sebbene siano concettualmente e logicamente distinte, invalidità e inefficacia sono categorie indissociabili tra loro. Corrono nessi e connessioni strettissime tra esse.

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Così, nell’ambito del concetto generalissimo di inefficacia, quale inidoneità dell’atto di autonomia negoziale ( in questo caso del contratto) alla produzione dei suoi tipici effetti, si distingue in dottrina tradizionalmente tra INVALIDITA’ ed INEFFICACIA in senso stretto.La categoria dell’invalidità, di conio dottrinale ed ignota al sistema del Codice, raccoglieva le ipotesi in cui la fattispecie negoziale si rilevava carente sotto il profilo strutturale, in ragione della mancanza o difettosità di uno dei requisiti essenziali, segnatamente la Volontà.Del tutto in ombra o meglio attratto nell’orbita dei difetti strutturali della fattispecie, restava il profilo attinente ai difetti funzionali, e cioè il contrasto della regola dell’autonomia con le norme imperative.Nelle elaborazioni successive, spento l’eco della ricostruzione in chiave volontaristica del negozio, la concezione tradizionale dell’invalidità come difetto strutturale della fattispecie negoziale si ripropone, sia pure in versione più sfumata, nelle tesi che riconducono al concetto di invalidità le ipotesi di più o meno grave difformità del concreto atto di autonomia rispetto allo schema legale, espresso dall’insieme dei requisiti (di struttura o di contenuto/funzione) che la legge richiede ai fini dell’astratta idoneità dell’atto stesso alla produzione dei suoi tipici effetti.Andando ancora più in là, il deciso superamento della prospettiva tradizionale, si avverte nelle opinioni che legano il concetto di invalidità non tanto al profilo della difformità tra atto concreto e schema legale, quanto, piuttosto alla inidoneità dell’assetto di interessi programmato a costituire la fonte di diritti ed obblighi. In altre parole, il giudizio di difformità investe il regolamento di interessi che, ponendosi in contrasto con le norme che disciplinano l’esercizio dell’autonomia privata, non è idoneo a dispiegare “forza di legge”.Oggi può dirsi prevalente in dottrina l’opinione per cui l’invalidità consegue ad una valutazione negativa da parte dell’ordinamento del regolamento di interessi programmato dalle parti, in quanto difforme dalle norme, cui il legislatore condiziona l’esercizio dell’autonomia privata.Dunque appare nitida ora la relazione tra invalidità ed inefficacia: quest’ultima dipendendo (ed essendo conseguenza) di quella, quale negazione degli effetti ( o attribuzione di effetti precari o interinali) alla regola contrattuale.Nel sistema del Codice del 1942 la materia dell’invalidità si propone nella dicotomia NULLITA’/ANNULLABILITA’ mentre discussa appare la collocazione della rescissione

medesimo perimetro, la quale si configura quale rimedio autonomo, in ragione della diversa ratio e dei conseguenti, peculiari tratti di disciplina.L’atto INVALIDO quindi (nella duplice veste di atto nullo o annullabile) appare inidoneo a dar vita ad un regolamento che dispieghi “forza di legge”, in ragione della sua difformità rispetto alle norme che disciplinano l’esercizio della autonomia privata.Nel caso dell’ATTO NULLO tale inidoneità assume di regola i caratteri della definitività e della assolutezza, proprio perché funzione della nullità è quella di colpire un assetto di interessi realizzato in “violazione dei limiti imposti dalla legge all’autonomia privata”.Nel caso dell’ATTO ANNULLABILE invece l’(astratta) inidoneità si risolve, di regola, in una efficacia interinale, provvisoria, che impedisce la produzione di effetti stabili e definitivi, poiché, in

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ragione della diversa valutazione degli interessi in gioco, il legislatore rimette alla parte nel cui interesse il rimedio è disposto, il potere di togliere di mezzo l’atto e con esso gli effetti suoi propri.N.B:in entrambi i casi come sottolinea la dottrina “la invalidità è il risultato di una valutazione negativa: ed è quindi una qualificazione; e ciò non è senza rilievo ai fini della distinzione tra il concetto di invalidità e quello di inesistenza.Accanto alla inefficacia dipendente da invalidità, il linguaggio dei giuristi conosce una nozione di inefficacia del tutto svincolata da quella, e che anzi di regola convive con la validità:è la c.d. “inefficacia in senso stretto”, la quale designa l’atto di autonomia negoziale che pur avendo superato positivamente il vaglio del giudizio di validità, in quanto conforme alle norme che disciplinano l’esercizio dell’autonomia privata, si rivela tuttavia inidoneo alla produzione degli effetti, in ragione di circostanze di fatto estrinseche, che possono essere contestuali (ad.esempio presupposti di efficacia) o successive alla formazione dell’atto (v.artt. 1353,1398 e 1478).In altri termini il binomio validità/invalidità esprime un concetto valutativo: lo strumento contrattuale, cui è consegnato l’assetto di interessi programmato, è idoneo (o inidoneo) alla produzione degli effetti tipici previsti, e di regola con quelli congruenti; il binomio efficacia/inefficacia esprime invece un concetto descrittivo, che implica la verifica circa la produzione in atto degli effetti in un momento dato di qui la reciproca autonomia e la non sovrapposizione di piani tra le 2 coppie di concetti.

3. NULLITA’ e INESISTENZA

“Nullità e inesistenza fanno parte ormai dello statuto teorico della nullità. La nullità richiama l’inesistenza e l’inesistenza richiama la Nullità…i 2 termini si attraggono e si respingono.L’inesistenza venne introdotta inizialmente dalla dottrina francese al fine di aggirare il principio “pas de nullitè sans texte” più precisamente l’esigenza pratica da soddisfare riguardava il trattamento da riservare ad alcune ipotesi nelle quali, pur non apparendo dubbia l’assoluta e radicale inefficacia dell’atto la legge non disponesse nulla al riguardo.Esempio: l’ipotesi di matrimonio tra persone dello stesso sesso non contemplata tra le cause tassative di nullità del matrimonio.La categoria dell’inesistenza successivamente è andata ad occupare gradualmente lo spazio in origine riservato alla nullità ed in seguito a sovrapporsi per poi finire nel dissolversi nella stessa nozione di nullità: così ad esempio se l’atto concreto non rispecchia lo schema legale, riassunto nell’insieme dei requisiti essenziali oppure è totalmente riprovato dall’ordinamento affermare che il contratto è nullo equivale in buona sostanza ad affermare che non vi è contratto o meglio che il contratto è inesistente.La conclusione, ineccepibile sul piano logico-formale- rivela però delle evidenti difficoltà al cospetto di ipotesi, positivamente disciplinate, di efficacia normale o eccezionale del “contratto nullo” - Così la nozione di inesistenza, assorbita e dissolta in quella di nullità, si riaffaccia prepotentemente e reclama un autonomia dogmatica proprio in relazione al problema degli effetti normalmente o eccezionalmente” collegati al contratto nullo (artt. 1338,2126prestazione di fatto con violazione di legge,2332 e 2652 n.6) o più in generale, alla luce della stessa disciplina positiva della nullità (artt.1421,1423,1424) e ancora di fronte alla eccezionale “sanatoria” prevista nell’art.799.

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Detto questo e quindi preso atto del fatto che il legislatore attribuisce al contratto nullo una certa quantità di effetti e che la dottrina del contratto nullo è essenzialmente la dottrina di questi effetti sembra imporsi l’esigenza di distinguere il contratto nullo “in senso stretto” capace cioè di produrre questi effetti, ed il “contratto inesistente” che di questi effetti non è capace.Da un altro punto di vista invece la fondatezza della distinzione sembra trovare sostegno anche nella concezione (condivisa) secondo cui il giudizio di invalidità esprime pur sempre una “qualificazione”, ancorchè negativa di un atto di autonomia privata di cui deve potersi predicare l’esistenza dal momento che solo un atto giuridicamente esistente può costituire oggetto di valutazione. ‘nsomm non si può dire che è invalido cioè nullo però è anche inesistente!!!Dunque, si tratta allora di determinare in positivo, un “corredo minimo” di elementi, che consenta di qualificare un atto concreto come esistente seppur nullo, e al quale riferire quegli effetti seppur ridotti o comunque diversi rispetto a quelli tipici, che il legislatore ricollega alla fattispecie “contratto nullo”.sotto questo punto di vista le diverse espressioni che vengono utilizzate in dottrina disegnano un affresco variegato, ma tutte convergono attorno all’idea che identifica l’esistenza giuridica dell’atto con la presenza di alcuni connotati minimi, tali da consentire la “ giuridica visibilità ” di un regolamento di interessi che sia sussumibile entro la fattispecie astratta prevista dal legislatore come strumento dell’autonomia.Spostando il discorso dal piano teorico-concettuale a quello pratico-operativo, il rilievo della categoria dell’inesistenza può apprezzarsi in una duplice direzione:1.da un lato in accordo con la concezione della nullità come “qualificazione” essa svolge la funzione di delimitare in negativo l’area della nullità nel senso di escludere l’applicazione della relativa disciplina alle ipotesi di irriconoscibilità dell’atto concreto nella fattispecie negoziale di riferimento: qui la nozione di contratto.2.dall’altro, e all’inverso, essa si rileva utile all’interprete, poiché consente di allargare le maglie della disciplina della nullità, colmando “un certo tipo di lacuna legislativa, frequente in tema di invalidità degli atti”, Così, “se il legislatore regola troppo rigidamente, e ad un tempo lacunosamente, le nullità, l’interprete si rifugia nel campo delle inesistenze, e ivi si riserva un maggiore campo di libertà”.Ciò è quanto è accaduto, pur al di fuori della materia contrattuale, nel settore delle deliberazioni assembleari di S.P.A., ove il rifugio nel concetto di inesistenza ha consentito di sfuggire alle strettoie della rigida, e ad un tempo lacunosa, disciplina delle invalidità, con riguardo alle ipotesi più macroscopiche di vizi nel procedimento di formazione.-->così nelle ipotesi di delibera assunta con una maggioranza apparente, in quanto raggiunta con la partecipazione all’assemblea si soggetti non legittimati, o nel caso di mancata convocazione dei soci non seguita da assemblea totalitaria o ancora in caso di mancata verbalizzazione delle operazioni assembleari.Il richiamo alla categoria dell’inesistenza appariva quindi funzionale al superamento della rigidità del sistema delle invalidità, che prevedeva come regola generale l’annullabilità per le deliberazioni adottate in modo non conforme alla legge o all’atto costitutivo, accompagnata peraltro da termini d’impugnazione assai brevi, riservando per contro, la nullità alle sole ipotesi, tassativamente previste, di delibere con oggetto impossibile o illecito art.2379.

In definitiva ciò che ora e qui ci interessa sottolineare è che seppur nei limiti tracciati, la categoria dell’inesistenza si pone al servizio della nullità, svolge cioè una funzione ancillare rispetto alla

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nullità, le fa da sponda ed in questo senso “entra nel discorso giuridico”, dal momento che <occorrerà pur sempre valutare se siamo al di qua o al di là della fattispecie che consenta di parlare di negozio nullo>.

4.LA NULLITA’ NEL SISTEMA DELL’INVALIDITA’Ora passiamo a vedere all’interno del genus “invalidità” le 2 species: “nullità” e “annullabilità”.Accolta del legislatore del’42 fondamentalmente la differenza tra nullità e annullabilità si giustifica comunemente proprio in termini quantitativi: in ragione cioè della più o meno grave difformità dell’atto di autonomia negoziale rispetto al modello normativo, espresso dall’insieme dei suoi elementi costitutivi. N.b: Di parere opposto invece ad esempio il Trimarchi secondo il quale il criterio di distinzione tra nullità e annullabilità rimane sempre qualitativo e non quantitativo..Più in particolare, secondo la teoria classica dell’invalidità , viene qualificato nullo il regolamento di interessi che, in ragione del difetto o della grave anomalia di uno o più elementi costitutivi , si rivela inidoneo, di regola in maniera definitiva a produrre i suoi effetti tipiciPer contro, viene definito annullabile, l’atto di autonomia affetto da un semplice vizio, e rispetto al quale la valutazione negativa dell’ordinamento si esprime nel riconoscere efficacia soltanto PRECARIA al regolamento di interessi pattuito, affidando alla parte, nel cui interesse il rimedio è previsto, la decisione circa la sorte del regolamento stesso.Un approccio diverso e più concreto, invece pare quello che abbandonata la prospettiva della fattispecie difettosa, e perciò improduttiva di effetti ( o produttiva di effetti precari), punta direttamente alla diversa ratio che ispira e sorregge i 2 differenti rimedie più precisamentetutela di interessi generali la NULLITA’ e tutela di interessi particolari la ANNULLABILITA’.conseguentemente, proprio alla luce di quella diversa ratio giustifica il differente trattamento giuridico: ciò lo fa a partire dal fondamento generale, quale connotato tipico della nullità (art.1418 c.1) e poi via via ai profili della legittimazione ad agire, della rilevabilità d’ufficio, dell’eventuale recupero del contratto, della prescrizione dell’azione e che si noti bene sono tutti caratteri che riassumono l’indisponibilità o disponibilità degli interessi in gioco.Ma cosa possiamo notare a tal proposito?: che ad esempio sul versante della ANNULLABILITA’ la ratio di tale tutela si appanna ad esempio nelle ipotesi in cui il legislatore estende la legittimazione a soggetti “altri” rispetto al titolare dell’interesse protettoart.1441c.2 (l’incapacità del condannato in istato di interdizione legale può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse) ; oppure là dove toglie ogni effetto alla clausola di preventiva rinuncia alla proponibilità di eccezioniart.1462 c.2(la clausola con cui si stabilisce che una delle parti nn può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per le eccezioni di nullità, di ANNULLABILITA’ e di rescissione del contratto); o ancora là dove dispone la perpetuità dell’eccezione di annullamentoart.1442 c.4(L’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescitta l’azione per farla valere) a fronte del principio di prescrittibilità dell’azione.anche sul versante della NULLITA’ la ricorrenza dei connotati del rimedio non sempre è costante e conosce come dire delle “eccezioni” alla regola generale: così ad esempio l’assolutezza della legittimazione e la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice cedono in presenza ,di una diversa disposizione di legge, art.1421; lo stesso accade per la sanabilitàart.1423; Anche la

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stessa imprescrittibilità dell’azione di nullità suona come vuota se si è in presenza di un contratto nullo seguito da esecuzione, ove sia intervenuto usucapione o siano prescritte le azioni di ripetizione. art.1422.In realtà ciò che vogliamo sottolineare è che tale criterio che fa da spartiacque tra Nullità ed Annullabilità e cioè quello che fa leva sulla contrapposizione tra lesione di interessi generali cui sarebbe preordinato il rimedio della nullità e lesione di interessi particolari cui sarebbe preordinato il rimedio dell’annullabilità entra oramai in crisi soprattutto ad esempio con riguardo alle c.d. NULLITA’ SPECIALI che trovano la loro ratio non nella tutela di interessi riferibili alla generalità dei consociati, MA a singole, determinate categorie di soggetti quali ad esempio consumatori, utenti di servizi bancari e finanziari ecc… e che si trovano in posizione di asimmetria contrattuale rispetto alla propria controparte.

4. Le figure della nullità: a)Nullità sospesa e sopravvenuta

La qualificazione negativa in termini di Nullità dell’atto di autonomia negoziale difforme dallo schema legale opera ab origine, nel senso che è cioè coeva alla formazione dell’atto quantomeno si dovrebbe pervenire a questa conclusione sulla sola base dell’esame del fondamento e delle ragioni della nullità nel senso che è proprio al momento della conclusione che occorre la verifica della difformità dell’atto rispetto allo schema legale, e qualora si riscontrasse per l’appunto la mancanza dei requisiti che la legge richiede l’atto sarebbe nullo. IN TEORIA TUTTE LE VICENDE SUCCESSIVE NON DOVREBBERO Più INTERESSARE QUELL’ATTO.

Ma non e così!!!a)Tra “gli altri casi stabiliti dalla legge” che a norma dell’art.1418 c. 3 producono nullità del contratto, rientra pure l’ipotesi in cui il terzo, al cui mero arbitrio sia rimessa la determinazione dell’oggetto della prestazione dedotta in contratto, non provveda a determinarla né le parti si accordino per sostituirlo (art.1349 c.2). E la stessa sorte tocca al contratto di vendita di “cosa futura” ove questa non venga ad esistenza, e sempreché le parti nn abbiano voluto concludere una vendita aleatoria (art.1472 c.2).Con riferimento a queste ed altre fattispecie simili, la dottrina parla di NULLITA’ SOSPESA o “PENDENTE” proprio per indicare le ipotesi in cui il legislatore sembra “condizionare” la valutazione di nullità del contratto al verificarsi ( o meglio al mancato verificarsi) di un evento successivo alla sua formazione: Così ad esempio nel caso del terzo arbitratore, la mancata determinazione della prestazione ad opera del terzo o il mancato accordo delle parti circa la sua sostituzione o nel caso della vendita non aleatoria di cosa futura, la mancata venuta ad esistenza della cosa.Tale “categoria” viene per lo più respinta dalla dottrina prevalente in quanto praticamente le ipotesi sono 2: o la mancanza del requisito di validità richiesto dalla legge è coeva alla formazione del contratto, e allora questo è nullo AB ORIGINE; oppure il mancato completamento della fattispecie al momento della conclusione è una vicenda che non attiene al piano delle validità ma semmai a quello dell’EFFICACIA, la quale risulterebbe “pendente” in quant o condizionata dal verificarsi o meno dell’evento destinato a completare la fattispecie.

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b)Discusso è pure il concetto di “NULLITA’ SUCCESSIVA O SOPRAVVENUTA”, con riferimento questa volta al fenomeno inverso e cioè all’ipotesi in cui l’atto pur validamente formato diviene successivamente difforme dallo schema legale:1)per una circostanza sopravvenuta, che determina il venir meno di un requisito essenziale (in dottrina si richiama l’ipotesi della revocazione della donazione per ingratitudine del donatario o per sopravvenienza dei figli del donante)2)per la sopravvenienza di disposizioni normative dirette ad escludere o limitare l’autonomia dei privati in un determinato settore di interessi.

Al riguardo si può innanzitutto osservare come tale categoria sia esclusivamente riferile ai rapporti che originano da contratti c.d di durata, rispetto ai quali è ben possibile seppur in via eccezionale, che una norma proibitiva sopravvenuta travolga retroattivamente nella Nullità regolamenti di interessi già validamente conclusi. In tal caso però il problema ha poco a che fare con il tema della validità/invalidità, perché dovrebbe trovare più adeguata soluzione alla luce dei principi che disciplinano l’efficacia della legge nel tempo !!! L’opinione prevalente tende a negare la configurabilità di tali “NULLITA’” in base al rilievo per cui in entrambe le ipotesi su richiamate le “circostanze sopravvenute” trovano cmq l’atto interamente e validamente formato e perciò non potrebbero incidere che sul piano della EFFICACIA, prospettando più esattamente un fenomeno di “inefficacia successiva” e non di invalidità sub specie Nullità!!!.Secondo altro orientamento, il concetto di nullità sopravvenuta merita accoglimento, sia pur “entro i limiti che valgono a definirne adeguatamente l’ambito operativo” e quindi non sarebbe applicabile al primo caso di nullità sopravvenuta, mentre sarebbe applicabile al secondo caso di nullità sopravvenuta in cui “il negozio, la cui efficacia non si sia ancora esaurita, venga ad urtare contro una norma imperativa di legge sopravvenuta!!!.A tal proposito occorre subito dire che è proprio in relazione a questo secondo ordine di situazioni che il tema della “NULLITA’ SOPRAVVENUTA” è tornato in primo piano in seguito di una serie di provvedimenti legislativi, che hanno inciso sulla disciplina di alcuni contratti di durata!.esempio di questo genere, trattato peraltro a lezione dal professore, e cioè del problema della sopravvenienza di una norma imperativa e della sua incidenza sui rapporti anteriormente costituiti ma ancora in corso alla data di entrata in vigore delle modifiche introdotte, si è riproposto in materia di MUTUO ove l’art.1815 c.2 novellato dall’art.4 L.108/1996 ha espressamente stabilito la nullità della clausola attraverso la quale siano convenuti interessi usurari e cioè quelli che superano il c.d. “tasso soglia” che a sua volta viene fissato secondo una rilevazione periodica dei tassi medi. per l’esattezza il quesito riguardava la sorte della clausola relativa ad interessi in origine “leciti” ma divenuti successivamente “usurari” per effetto dell’abbassamento del c.d. Tasso soglia. Ancora una volta, anche in questo caso la giurisprudenza ha preferito, nonostante l’espressa previsione di nullità di tale clausola, SBARAZZARSI della categoria della nullità sopravvenuta (ritenuta logicamente inconcepibile) e rifugiarsi in formule ambigue in cui traspare però la preferenza per la categoria dell’inefficacia anche se peraltro non è chiaro se l’inefficacia sia intesa quale conseguenza della nullità o invece inefficacia in senso stretto.!!???!!!. ---------vedi bene..???

5. Segue. B)Nullità relativa e parziale (rinvio)

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Il linguaggio dei giuristi opera altre distinzioni all’interno della categoria generale della Nullità, ricavabili dal dato positivo o dal particolare atteggiarsi della disciplina: si distingue così tra nullità totale come nullità che colpisce il contratto nella sua interezza e “nullità parziale” come quella che invece lo investe in una parte oppure in una o più clausoleart.1419Quando invece facciamo riferimento alla limitazione della cerchia di soggetti legittimati ad esperire l’azione di nullità la distinzione invece si fonda, anche sulla scorta dell.art.1421 tra “nullità assoluta” e “nullità relativa” -……. ne parleremo più avanti…

CAPITOLO IIFONDAMENTO E CAUSE DI NULLITA’ DEL CONTRATTO

1. Il fondamento generale della nullità: la regola del c.1 e il problema della Nullità “virtuale”.

Allora nel disegno del legislatore del 1942 il c.1 art 1418 secondo cui “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente” sembra esprimere da un lato il fondamento generale della nullità, che risiede nella pura e semplice contrarietà del regolamento contrattuale a norme imperative, nonché dall’altro lato il carattere di norma di chiusura del sistema.Questo è il senso che si coglie dalla Relazione al Codice Civile , ove si legge che “la violazione delle norme imperative…è ricordata quale ragione autonoma di nullità per comprendere anche le ipotesi che potrebbero non rientrare nel concetto di causa illecita n.b.da qui nasce la distinzione tra contratto illecito e contratto illegale”.E ancora: “la precisazione risolve altresì la dibattuta questione circa gli effetti della violazione di una norma imperativa in cui non sia espressamente comminata la sanzione di nullità del vincolo: è normale effetto dirimente, ma sempre quando la legge non possa indirizzare a conseguenze diverse.

In queste ultime parole è racchiuso il concetto di nullità “virtuale”, vale a dire inespressa, ma implicita nella natura imperativa della norma: funzione della prima parte della norma sarebbe infatti

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quella di comminare la nullità in virtù della semplice contrarietà del contratto a norme imperative, anche là dove la conseguenza della nullità non sia espressamente prevista dalla norma imperativa violata la formula del c.1 art.1418 appare dunque espressione di “un principio generale, rivolto a regolare i casi in cui alla violazione di precetti imperativi non consegua una sanzione espressa di nullità del relativo negozio.Né si può dire che l’idea pervasiva della nullità virtuale esce indebolita dai successivi commi dell’art.1418, i quali, disciplinando ciascuno specifiche categorie di nullità farebbero emergere il carattere residuale del principio proclamato dal c.1.ciò che colpisce è costituito dal fatto che per quanto riguarda il significato e la portata applicativa dell’affermazione contenuta nel 1.c. dell’art.1418 non si trovano risposte univoche in dottrina e giurisprudenza, in ordine ai CRITERI attraverso i quali formulare il giudizio di nullità di un contratto che contrasti con una norma imperativa, la quale però nulla disponga circa le conseguenze legate alla sua violazione.!!!!Tale quesito è antico, ma ancora + attuale se si considera la legislazione recente soprattutto di matrice comunitaria, caratterizzata dal continuo proliferare di norme imperative poste a presidio di interessi non solo generali, ma anche particolari o secondo l’espressione che utilizza il libro “seriali”.Cioè, nel mobile scenario legislativo attuale, fuori delle ipotesi di “NULLITA’ TESTUALE” non è affatto chiaro o limpido il nesso tra la violazione di una norma imperativa e la Nullità del contratto e paradossalmente il testo sostiene proprio come la necessità di tutelare il “contraente debole” finisce talvolta per orientare l’interprete, proprio in conseguenza del silenzio della norma violata, verso soluzioni alternative alla radicale nullità del regolamento contrattuale la quale talvolta potrebbe risolversi “in danno” della parte nel cui interesse è stata disposta quella norma imperativa.

.............................Cominciamo col dire che la definizione comunemente accolta attribuisce carattere imperativo alla norma inderogabile dall’autonomia privata, in quanto posta a tutela di un interesse pubblico o generale.ciò che spicca immediatamente, quale tratto distintivo della norma imperativa è la “qualifica di INDEROGABILITA’”si è poi precisato in dottrina come tra le norme imperative che rientrano nel primo comma - a differenza di quanto accade in quelle menzionate nel 2 c. – rientrano anche non solo le norme proibitive, bensì anche quelle precettive o ordinative.Nell’universo delle norme imperative poi è possibile isolare ancora un nucleo più ristretto, rappresentato dalle norme che esprimono principi riassumibili nel concetto di ordine pubblicoin questo senso, dovrà attribuirsi carattere imperativo, alla norma, pur in difetto di una esplicita previsione di nullità, alla norma che è posta a “a tutela di principi,valori e interessi riconducibili alle direttive dell’ordine pubblico”.In questa prospettiva tramite un coordinamento sistematico tra il c.1 dell’art. 1418 e la COSTITUZIONE, si è ritenuto che la nullità, quale reazione dell’ordinamento contro un assetto negoziale lesivo di valori giuridici fondamentali, consegua anzitutto alla violazione di norme costituzionali nonché di norme ordinarie che costituiscono attuazione di principi fondamentali.

Il secondo problema poi riguarda l’idea che lega la nozione di norma imperativa alla tutela di un interesse pubblico o generale, che si n.b. è coerente con il fondamento che tradizionalmente si assegna alla partizione tra nullità e annullabilità, ma è da tempo entrata in crisi .

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Che succede? che così da un lato si dubita che le norme imperative, cui è collegata la nullità per difetto di elementi “strutturali” siano disposte a tutela di interessi generali, “se non nel senso che è di interesse generale il rispetto delle regole di esercizio dell’autonomia privata”.??? ; dall’altro , e più in generale, l’affermazione soffre prima di tutto dalla difficoltà di stabilire un netto discrimen tra interesse generale e interesse particolare e manifesta la sua inadeguatezza al cospetto delle c.d. nullità (testuali) protettive, quelle cioè che sono poste a tutela di interessi particolari o seriali e riferibili solo a determinate classi o categorie di contraenti c.d. deboli.

Nel tempo infatti si sta assistendo ad una crescente espansione dell’area delle norme imperative riconducibili al c.d. ordine pubblico di protezione, che sono caratterizzate cioè da una inderogabilità unidirezionale o relativa, nel senso che non ammettono deroghe convenzionali che si traducano in un trattamento deteriore per la parte, la cui protezione la norma imperativa vuole assicurata e che si realizza attraverso le regole della legittimazione relativa nonché della necessaria parzialità della nullità. Proprio alla luce di queste “nullità nuove” può dirsi allora che non è tanto l’inderogabilità della norma, quanto l’indisponibilità dell’interesse da quella protetto e della relativa tutela, che costituisce indice sicuro della sua relatività.E quindi sotto questo punto di vista, anche una norma posta a protezione di un interesse particolare può assumere tale carattere e tanto dovrebbe bastare a rendere nullo ( di regola) il contratto ai sensi del c.1 dell’art.1418 “sempreché però la legge non disponga diversamente”.Tornando all’interrogativo iniziale e cioè a fronte della regola generale, che lega il giudizio di nullità al semplice contrasto con la norma imperativa, c’è, infatti, l’eccezione contenuta nell’inciso finale del c.1, la dove fa salva una diversa disposizione di legge.E così a sostegno dell’interprete, viene in soccorso la dottrina che suggerisce alcuni criteri ermeneutici.Nel senso che “l’espressione salvo che la legge disponga diversamente” può intendersi nel senso di:

a) Espressa esclusione di nullitàb) Espressa previsione di una conseguenza diversa dalla nullità, quando cioè l’effettività della

norma imperativa è assicurata dalla previsione di rimedi alternativic) Esclusione della nullità, ricavabile dalla ratio della norma imperativa violata (questa è la

soluzione accolta nel modello tedesco)

Laddove si accolga l’ultima delle tre opzioni interpretative, e si rimetta quindi all’interprete la valutazione di compatibilità tra nullità e ratio della norma violata, si incrina il rapporto regola-eccezione che il legislatore invece sembra aver voluto delineare tra la prima parte del c.1 e l’inciso finale, e in questa maniera quindi la nullità come effetto “fisiologico normale” connesso alla violazione di norme imperative diviene invece “esito solamente possibile”.A tal proposito la giurisprudenza, riprendendo il pensiero di una dottrina risalente, formula la massima per cui, di fronte alla violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente la nullità “occorre controllare la natura della disposizione violata..e tale controllo si risolve nell’indagine sullo SCOPO DELLA LEGGE e in particolare sulla “natura della tutela apprestata”, se cioè di interesse pubblico o privato.(cass. Sez. unite 1972).

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Tale principio enunciato, trova poi nelle pronunce successive, nuove precisazioni e modulazioni linguistiche: così si afferma d esempio che il giudice, ai fini di decidere circa la nullità, deve accertare se la norma imperativa violata “sia stata posta per motivi di ordine pubblico”; o ancora “sia stabilita a tutela di un interesse di natura pubblica e generale” il quale è ravvisabile se il divieto ha carattere assoluto, senza possibilità di esenzione della sua osservanza per alcuni destinatari della norma; infine sia “preordinata a soddisfare l’interesse pubblico”.In applicazione di tali principi, ad esempio la giurisprudenza non ha esitato ad escludere la nullità del contratto per violazione di norme fiscali, in quanto la frode fiscale, diretta ad eludere le norme tributarie sui trasferimenti dei beni, “trova soltanto nel sistema delle disposizioni fiscali la sua sanzione, la quale NON E’ SANZIONE DI NULLITA’ DEL NEGOZIO”.Altre volte ancora la circostanza che la violazione di una norma imperativa preveda in modo espresso una diversa sanzione penale (ad es. penale o amministr.) non è parsa ragione sufficiente ad escludere la conseguenza civilistica della nullità del contratto dal momento che si trattava di accertare “se l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione…sia compiutamente realizzata con la relativa irrogazione mentre deve essere ammessa in caso contrario”.Il problema di quest’ultimo approccio, e cioè di quello che commina la sanzione di nullità al contratto in contrasto, che viola norme imperative espressione di principi di “ordine pubblico” è che questo come dire potrebbe rivelarsi ambiguo in quanto innanzitutto non tiene conto delle ipotesi in cui la violazione di una norma imperativa, posta a presidio di un interesse a rilevanza generale, non basta a determinare la nullità del contratto e dall’altro ancora una volta dobbiamo ricordare come specie in tempi recenti, si rinvengono numerose ipotesi di nullità che conseguono alla violazione di norme imperative poste a tutela di “interessi particolari” di classi o categorie di contraenti e sottratti alla disponibilità degli stessi.La conclusione quindi, circa la validità o la nullità del contratto, dipende da diverse valutazioni che integrano o rafforzano l’applicazione del primo criterio: talora si ha riguardo alla NATURA della norma imperativa violata ed alla sua collocazione all’interno della gerarchia delle fonti; altre volte “al diverso modo in cui la violazione incide sul processo di scambio” o ancora si dà peso alla circostanza che rimedi diversi dalla nullità soddisfino l’interesse perseguito dal legislatore; né si trascura, infine, di considerare che la conseguenza della nullità “potrebbe nuocere proprio al contraente che la norma imperativa intendeva tutelare!!!”.In definitiva, per chiudere, la reazione della nullità, nel silenzio della norma imperativa violata, non consegue dunque all’applicazione del solo ed esclusivo criterio dell’interesse generale (o pubblico) bensì è esito al quale conduce una combinazione di diversi criteri, alla luce dei quali valutare volta per volta la compatibilità tra la REGOLA CONTRATTUALE posta in essere dai privati e gli interessi e valori che l’ordinamento intende garantire attraverso la norma imperativa. in altri termini, di fronte ad una norma imperativa, che resta silente sulla conseguenza della sua violazione, l’interprete dovrà indagarne il fondamento, ai fini di individuare la natura, disponibile o meno, dell’interesse dalla stessa protetto, e così valutare -con riguardo alla concreta operazione economica- se la conseguenza della nullità appaia congruente o si riveli invece esorbitante rispetto alla ratio della disposizione disattesa.

2. Segue. Violazione di norme penali

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In questa cornice su delineata è assai discusso il legame tra violazione di norme penali e nullità (virtuale) del contratto, nonostante in questo caso sia indubbio il carattere imperativo della norma penale.A tal proposito vengono preliminarmente in rilievo le ipotesi in cui il comportamento penalmente illecito svela una “causa” o un “oggetto” illeciti ex art.1343 ss. e nelle quali quindi non vi è una relazione immediata tra violazione della norma penale e invalidità civilistica: ovvero il giudizio di disvalore dal quale deriva la nullità del contratto, in questi casi passa per il canale della “illiceità” di taluno dei suoi elemnti ed è direttamente questo “vizio” che provoca la nullità e non già il semplice contrasto con la norma penale, nel senso di norma imperativa ex art.1418 c.1.Ad esempio nell’associazione a delinquere ex art.461 C.P. sarebbe illecita la “causa”.Nella “ricettazione” ex art.648 C.P. sarebbe illecito l’oggetto.O ancora nell’ipotesi del contratto intervenuto tra corrotto e corruttore questo è nullo per illiceità del motivo comune.Fuori da questi casi richiamati, la dottrina ha individuato alcuni criteri al fine di stabilire QUANDO la violazione della norma penale possa dar luogo alla nullità del contratto!!!In questi casi innanzitutto si afferma che affinché possa dirsi nullo il contratto concluso in violazione della norma penale, occorre che quest’ultima vieti direttamente il contratto, inteso però come regolamento di interessi, e quindi colpisca non il comportamento materiale in sé bensì gli effetti negoziali che quel comportamento realizza. Ancora, occorre che sia punito il comportamento negoziale di entrambe le parti e non solo la condotta riprovevole di una di esse.In applicazione di questi principi ad esempio si è esclusa la nullità del contratto concluso a seguito di truffa di uno dei contraenti in danno del’altro seppure accertata, e si è ricondotta ??correttamente?? la fattispecie nel terreno dell’annullabilità: perché? Perché la protezione dell’interesse a presidio del quale è stata prevista la norma imperativa, è già assicurata dalla diversa conseguenza, ovvero dell’annullabilità per dolo che l’ordinamento espressamente collega alla sua violazione.Un’altra volta invece il principio della nullità virtuale è stato invocato-questa volta in maniera discutibile- per affermare la nullità ex art.1418 1c. e non la semplice annullabilità ex art. 428, del contratto concluso da persona incapace di intendere e di volere, in rapporto al quale sia intervenuta condanna per il delitto di circonvenzione di persona incapace art.643 C.P. tuttavia in questo caso la spiegazione può essere ricondotta..come dire… al disvalore legato ai caratteri della fattispecie penalistica di cui all’art.643 C.P. cioè in definitiva la decisione può essere ricollegata all’intento di reagire in modo deciso al comportamento riprovevole del contraente prevaricatore nei confronti di quello menomato!!!.Infine un ultimo esempio riguarda la vendita di terreni abusivamente lottizzati a scopo edificatorio in violazione dell’art.18 c.1 l.47 1985 che è un divieto penalmente sanzionato.in questo caso la nullità della vendita appare come diretta conseguenza della inconciliabilità dei risultati della regola contrattuale con la disciplina (IMPERATIVA) urbanistica.

3. Segue. Violazione di norme imperative: un po’ di casistica

Una rapida ricognizione nel panorama giurisprudenziale rivela come la giurisprudenza non disponga di criteri univoci al fine di decidere la sorte del contratto che si ponga in contrasto con norme imperative, le quali non prevedano espressamente la conseguenza della nullità

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Il criterio orientativo privilegiato è quello che fa leva sulla tutela di un interesse pubblico o generale perseguito dalla norma imperativa violata.Ma cosa succede? che tuttavia si crea qualche equivoco nel richiamo alle norme imperative di cui al c.1 art. 1418 e quelle che invece –insieme ai principi di ordine pubblico e alle regole di buon costume- costituiscono i parametri dell’illiceità di cui al c.2. o ancora qualche contaminazione tra generica contrarietà a norme imperative e illiceità della regola contrattuale è possibile rinvenire laddove si richiamano le “norme imperative di ordine pubblico” per dichiarare la nullità ai sensi del c.1 art.1418 anziché del c. 2.L’analisi della giurisprudenza, condotta attraverso vari gruppi di casi, relativi peraltro ad alcuni settori chiave dei rapporti tra privati in cui si è ravvisata la violazione di norme imperative sembra riflettere queste incertezze:

DIVIETI DI ALIENAZIONE:A)Tutela della salute: In questo caso ed esempio è costante l’orientamento della giurisprudenza diretto a comminare la nullità quando il divieto appare orientato alla tutela di “interessi fondamentali della collettività”.ESEMPIOE’ il caso della vendita di animali affetti da malattie contagiose: la finalità del divieto, ravvisata nell’esigenza di tutela della salute pubblica, conduce all’affermazione della nullità, che qui appare rafforzata dalla qualificazione di illiceità del contratto (dell’oggetto o della causa), investendo direttamente il c.2 dell’art.1418 e non il fondamento generale di cui al c.1.Ancora, la ratio della norma che stabilisce il divieto, “fissato per motivi di ordine pubblico” connessi alla tutela costituzionale del diritto alla salute art.32 Cost. è stata invocata per dichiarare la nullità della vendita di macchine utensili prive dei dispositivi di protezione, imposti dalla legislazione antinfortunistica.Ciò che dobbiamo sottolineare è che in entrambi i casi l’esposizione a rischio di beni e valori costituzionalmente protetti, orienta il giudizio alla ricerca di elementi di illiceità dell’operazione che però puntualmente si ritrovano nell’oggetto o nella causa.Ma tuttavia cos’è che và sottolineato???? che per pervenire a soluzioni certe circa la possibilità di comminare la nullità o meno del contratto occorre valutare il senso complessivo dell’operazione economica e i risultati pratici cui mira quindi la regola dell’autonomia.così ritornando agli esempi precedenti, se si sccerta che l’animale infetto non è destinato alla macellazione ed al conseguente consumo MA all’abbattimento, la RATIO del divieto imposto dalla norma è preservata e quindi la nullità deve essere esclusa.e alla stessa conclusione deve pervenirsi laddove anche nell’altro caso si accerti che il macchinario non sia destinato allo scambio, ma sia trasferito ad imprese incaricate di provvedere alla eliminazione della pericolosità dell’oggetto stesso.Ad esempio per richiamare un esempio a noi più vicino, si è correttamente affermata la nullità del contratto relativo ad una fornitura di caffè, poiché le relative confezioni non recavano impressa sul prodotto la data di scadenza, in violazione delle disposizioni imperative poste a tutela di un interesse generale LA SALUTE PUBBLICA e nella specie quella dei consumatori. – vs--ad esempio non si è sentita la necessità di apprestare tale tutela che conduce alla nullità nel caso in cui la violazione della norma imperativa non persegue un interesse generale: è il caso della messa in commercio di uova da cova prodotte in Italia in violazione dell’apposita norma che impone l’apposita stampigliatura “cova Italia”. In questo caso non c’è un interesse generale da tutelare!!!.

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B) Edilizia e Urbanistica.In queste settore sono numerose le pronunce giurisprudenziali che hanno ritenuto la nulltà, per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art.40 l.47/1985, dei contratti traslativi di diritti inerenti ad unità immobiliari realizzate in assenza di concessione ad edificare, o in difetto delle menzioni e/o allegazioni relative alla situazione urbanistica del bene trasferito.anche in questi casi le ragioni della Nullità risiedono nella tutela “dell’interesse pubblico, perseguito dalla norma imperativa il cui scopo è assicurare un ordinato assetto urbanistico del territorio. ed è per questo motivo che ad esempio la NULLITA’ venga esclusa invece nel caso in cui l’immobile risulti già sanato o risulti allegata copia autentica di uno degli esemplari della domanda di sanatoria (n.b. in questo caso la conseguenza della nullità risulta dalla stessa legge e quindi non rientra nell’ipotesi del c.1, è una nullità testuale).O ancora sempre nel settore dell’edilizia residenziale, le finalità di interesse pubblico del “vincolo di destinazione” degli spazi adibiti a parcheggio ex art. 41 sexies della l.1150/1942 hanno spinto le Sezioni unite della Cassazione a stabilire la NULLITA’ di ogni pattuizione che sottragga tali spazi alla funzione che gli viene assegnata dalla stessa legge.A tal proposito anche successivamente, ovvero dopo l’entrata in vigore della Legge del 1985 (quella sul condono edilizio) che ha stabilito che quegli spazi per parcheggi costituiscono pertinenze delle costruzioni, la Cassazione ha cmq confermato il precedente indirizzo, affermando che l’obbligo di riservare a parcheggio appositi spazi nelle nuove costruzioni si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un vincolo di destinazione in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari, che non è derogabile né da parte del costruttore né da parte di successivi rapporti privatistici che restano quindi colpiti da nullità ove si pongano in contrasto con tale destinazione cioè il proprietario può riservarsi la proprietà di tali spazi per parcheggi ma deve rispettare il vincolo di destinazione di questi spazi.Insomma alla nullità della clausola del contratto di vendita di unità immobiliare che escluda il trasferimento della proprietà o del diritto d’uso dell’area condominiale da destinare a parcheggio, la giurisprudenza fa conseguire l’integrazione OPE LEGIS DEL CONTRATTO CON L’ATTRIBUZIONE A FAVORE DELL’ACQUIRENTE DEL DIRITTO DI PROPRIETA’ O DEL DIRITTO REALE D’USO DELL’AREA E A FAVORE DELL’ALIENANTE DEL CORRISPETTIVO DI TALE ATTRIBUZIONE.

In tema di alloggi di edilizia economica e popolare è colpito da nullità il contratto definitivo di vendita, con trasferimento immediato della proprietà, stipulato da un assegnatario non ancora divenuto proprietario esclusivo.La nullità assoluta e rilevabile d’ufficio degli atti dispositivi dell’alloggio popolare da parte dell’assegnatario, comporta anche la radicale invalidità del contratto di locazione dell’alloggio stipulato dall’assegnatario con un terzo.

Concessioni amministrative. Per quanto riguarda le concessioni amministrative si è affermato che il difetto di autorizzazione amministrativa, di regola, non importa la nullità del contratto tra le parti incidendo esclusivamente sui rapporti tra privato e P.A.:Così con riguardo al contratto traslativo della proprietà di un impianto per la distribuzione di carburanti unitamente alla concessione per l’esercizio dell’impianto medesimo si è deciso che il

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difetto dell’autorizzazione non determina nullità del rapporto, in difetto di espressa comminatoria della legge, né esclude la sua efficacia inter partes, fino a quando l’amministrazione non dispone la decadenza della concessione per la suddetta violazione.(n.b. leggila come autorizzazione alle vendita dell’impianto con concessione!!!credo almeno…).Una soluzione opposta viene invece accolta dalla giurisprudenza nell’ipotesi di licenze comunali per l’esercizio del commercio di vendita al pubblico in questo caso, il carattere personale della licenza, connessa ad esigenze di tutela dell’interesse pubblico, non ne consente la trasmissibilità in virtù di un semplice accordo di privati con conseguente nullità della clausola di cessione per violazione di norme imperative.

Esercizio abusivo della professione:a)Contratto di agenzia. A tal proposito va detto che un buon osservatorio per misurare le oscillazioni giurisprudenziali in tema di violazione di norme imperative, e nullita “virtuale ex art.1418 c.1 e nullità per illiceità ex art.1418 c.2, è rappresentato dal settore dei contratti di agenzia conclusi tra agenti non iscritti nell’apposito ruolo e clienti.In un passato recente le sezioni unite che erano state chiamate a comporre un contrasto giurisprudenziale, stabilirono che il contratto di agenzia stipulato da un soggetto non iscritto nell’apposito ruolo fosse nullo per illiceità della CAUSA e quindi non poteva trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 2126 c.1 (che stabilisce “che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa.) circa l’improduttività di effetti della nullità per il periodo in cui il rapporto aveva avuto esecuzione. a questo punto poi si diceva che la norma quindi non può essere invocata al fine di riconoscere il diritto a compenso per attività di agenzia espletata in forza di contratto affetto da nullità poiché l’art.2126 integra una disposizione eccezionale operante solo per il rapporto di lavoro subordinato in senso stretto non estensibile, come in questo caso al rapporto di lavoro autonomo, caratterizzato dalla c.d. parasubordinazione.Qualche altra decisione, andava invece contro-corrente stabilendo che un contratto fornito di tutte le caratteristiche proprie del contratto di agenzia produce, per il periodo della sua esecuzione, gli stessi effetti del contratto valido anche se l’agente non sia iscritto nell’apposito albopiù precisamente in questo caso la Corte faceva leva sull’argomento secondo cui l’iscrizione rappresenta un requisito personale e che quindi non riguarda né l’oggetto né la causa del contratto con la conseguenza che a norma dell’art.2126 gli effetti già verificatisi del contratto, seppur questo veniva dichiarato nullo per violazione di norme imperative erano destinati a restare salvi.!!!Qualche anno più tardi le stesse sezioni unite si pronunciano in senso opposto al precedente intervento, affermando la nullità del contratto per violazione di norme imperative e quindi senza passare questa volta per l’illiceità dell’oggetto o della causa, argomentando dal fatto che “la norma imperativa violata non è diretta a tutelare esigenze fondamentali dello stato, MA a proteggere “oltre gli interessi professionali della categoria degli agenti,…l’interesse generale degli operatori economici.La Cassazione resta comunque ferma nell’escludere il diritto dell’agente alle provvigioni per l’attività esercitata e ciò non in base all’art. 2231 (relativo alle professioni intellettuali) né dell’art.2126 in quanto norma riguardante il lavoro subordinato e non suscettibile di interpretazione analogica per il suo carattere eccezionale. in tal caso, invece, dice la Cassazione, trovano applicazione i principi in materia di prestazioni non dovute di fare, riconoscendosi in

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particolare all’agente la possibilità di agire nei confronti del preponente ex art.2041, con l’azione di arricchimento senza causa , OPPURE se ricorrono i presupposti la CONVERSIONE del contratto di agenzia NULLO in un contratto atipico di “PROCACCIAMENTO DI AFFARI O DI MEDIAZIONE”.

In anni più vicini a noi, esigenze di armonizzazione in ambito europeo sono state all’origine dell’intervento della Corte di Giustizia,la quale ha imposto una “diversa lettura” della disciplina del contratto di agenzia nell’aspetto relativo all’obbligo al ruolo degli agenti e all’incidenza della mancata iscrizione sulla validità del contratto di agenzia.in particolare la Corte di Giustizia, in sede di interpretazione della dir. 86/653/CE, relativa al coordinamento dei diritti degli stati membri concernenti gli agenti di commercio indipendenti, ha ribadito che le disposizioni delle leggi nazionali degli Stati membri non possono stabilire la nullità dei contratti di agenzia stipulati con soggetti non iscritto presso l’apposito ruolo. né consegue che l’art.9, l.204/1985 va disapplicato dal giudice nazionale, al fine di realizzare in tutti gli stati membri un’interpretazione e un’applicazione della direttiva comunitaria, la cui mancata attuazione PERALTRO entro il termine assegnato la rende produttiva di effetti nell’ordinamento italiano in quanto contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente precise.

b)Mediazione. In tema di mediazione ad esempio si è escluso che la mancata iscrizione nell’albo professionale, in contrasto con la norma di cui all’art.6 l.39/1989, determini nullità del contratto, poiché finalità della norma è solo quella di far sorgere il diritto alla provvigione, e il legislatore prevede un meccanismo idoneo a realizzare altrimenti gli effetti da essa voluti: così la mancata iscrizione non dà diritto alla provvigione, o determina l’applicazione di una sanzione amministrativa o nei casi di recidiva l’applicazione della sanzione penale prevista per l’esercizio abusivo della professione.

c)Intermediazione Finanziaria. In questo settore “la natura pubblica e generale degli interessi” tutelati dalla norma imperativa, che impone l’iscrizione delle società di intermediazione mobiliare in apposito albo, si ravvisa da un lato nella tutela dei risparmiatori “uti singuli”, dall’altro in quella del risparmio pubblico “come elemento di valore dell’economia nazionale”.di qui la nullità, pur in difetto di previsione espressa, del contratto di SWAP stipulato in contrasto con gli artt.1 ss., l. 1/1991, da un intermediario abusivo “atteso l’interesse dell’ordinamento a rimuovere tale contratto per le turbative che la conservazione dello stesso è destinato a creare nel sistema finanziario generale”.In tempi più recenti, proprio nello specifico settore dei contratti del mercato finanziario e sull’onda delle note vicende giudiziarie seguite al crack di Cirio e Parmalat, si assiste ad una moltiplicazione in modo quasi esponenziale dei giudizi instaurati contro le banche dai risparmiatori delusi dagli investimenti allo scopo di recuperare il capitale che avevano malamente investito.I risparmiatori in questo caso per lo più agiscono in giudizio, lamentando la violazione dei doveri di informazione imposti agli intermediari finanziari dalle discipline di settore e in particolare dal T.U. in materia di intermediazione finanziaria.

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Nello spettro dei rimedi accordati dai giudici, che spaziano dall’invalidità alla risoluzione per inadempimento e/o al risarcimento, spicca il frequente ricorso al rimedio della nullità in funzione di protezione del RISPARMIATORE-CONTRAENTE DEBOLE.La sequenza dei passaggi argomentativi è semplice e lineare: la regola che impone il rispetto dei doveri informativi è norma imperativa in quanto è posta a presidio di interessi generali (in questo caso il corretto funzionamento del mercato finanziario), la cui violazione determina quindi nullità ai sensi dell’art.1418 c.1 (nullità virtuale) anche in difetto di una testuale previsione.Però fulminando con la nullità la violazione dei doveri (precontrattuali) di informazione pur previsti da norme imperative, si scavalca un principio che rappresenta ancora un punto fermo nella teoria generale del contratto e cioè vale a dire la tendenziale distinzione tra regole di validità e regole di comportamento/responsabilità.la corretta riaffermazione del principio ha costituito, il nocciolo della decisione di una recente pronuncia della Cassazione ai fini del rigetto della pretesa del risparmiatore fondata sulla nullità del contratto per violazione dei doveri di informazione imposti alla banca nella veste di intermediario finanziario. “la quale ha detto che la nullità virtuale ex art.1481 1 c. opera solo quando la contrarietà a norme imperative riguarda elementi intrinseci del contratto e cioè struttura e contenuto del medesimo e pertanto va tenuta ESCLUSA QUANDO LA CONTRARI A NORME IMPERATIVE SIANO COMPORTAMENTI TENUTI DALLE PARTI NEL CORSO DELLE TRATTATIVE O DURANTE L’ESECUZIONE DEL CONTRATTO, salvo che il legislatore la preveda espressamente”.

Tale pronuncia della Cassazione va dunque apprezzata per aver fatto chiarezza su un punto cruciale, seppur al prezzo di una ingiustificata compressione dell’area della c.d. “NULLITA’ VIRTUALE” di cui all’art.1418 c.1, che viene così, quindi, ad essere circoscritta alle sole ipotesi in cui la contrarietà a norme imperative <attenga ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, che riguardino cioè la STRUTTURA o il CONTENUTO del CONTRATTO (art.1418 c.2); o, pur riguardando elementi “estranei alla fattispecie negoziale”, quali i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative, essa non sia espressamente prevista dalla legge (art.1418 c.3).MA N.B: In questa maniera cosa succede? succede che la preoccupazione di porre argini ad un impiego talvolta troppo disinvolto della Nullità virtuale, si è tradotta in una eccessiva riduzione dell’autonoma portata applicativa del c.1 che così facendo “viene completamente eroso o schiacciato dalle nullità dei cc.2 e 3 che finiscono quindi alla fine per assorbire da soli tutto lo spazio della nullità”.

Altre ipotesi: Infine, in materia di LAVORO, si è affermato che l’art.14 l.283/1962, là dove fa divieto( che è penalmente sanzionato) di assumere o mantenere in servizio, per la produzione, preparazione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari, personale non munito del libretto di idoneità sanitaria, ha carattere di “NORMA IMPERATIVA” “attinente all’ordine pubblico” in quanto posta a tutela non del solo prestatore di lavoro bensì del DIRITTO ALLA SALUTE costituzionalmente garantito alla generalità dei cittadini; pertanto, il contratto di lavoro di un addetto alla lavorazione di dolciumi, assunto in violazione della norma imperativa, è nullo “per illiceità dell’oggetto o della causa!!! Con conseguente inapplicabilità dell’art. 2126.!!!!

Infine, nulli (ma non illeciti) sono stati ritenuti:

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-il contratto con lo straniero non avviato regolarmente al lavoro-il contratto di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all’albo-il patto in deroga ai minimi della tariffa professionale

Per quanto riguarda il rapporto tra violazione di norme (imperative) penali e nullità (virtuale) del contratto, né abbiamo già fatto cenno all’ambiguità delle soluzioni giurisprudenziali sia in tema di reati di truffa che di circonvenzione di incapaci.

4. NULLITA’ “TESTUALI”

A partire da una lettura rovesciata dei tre commi dell’art. 1418 si ricava che il contratto è nullo anzitutto là dove la nullità è espressamente prevista da una disposizione normativa.in questo modo il legislatore tramite lo strumento della nullità tipica e testuale, nega ingresso a sistemazioni di interessi che giudica contrastanti con i valori fondamentali dell’ordinamento, togliendo ogni margine di incertezza circa la conseguenza della nullità e precludendo quindi ogni margine di manovra all’interprete.Tra le numerose fattispecie disciplinate dal codice possiamo ricordare gli artt.1229 (clausole di esonero da responsabilità: è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave) art.1350(atti che devono farsi per iscritto:es. contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili) art. 1471n.1e 2(divieti speciali di comprare: non possono essere compratori gli amministratori dei beni dello stato,dei comuni, delle province o degli altri enti pubblici rispetto ai beni affidati alla loro cura; gli Ufficiali Pubblici rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero) art.1472 (Vendita di cose future: qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza) art.1815 c.2(interessi del mutuo:se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi)art.1895(Contratto di assicurazione, inesistenza del rischio:il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto) art.1972 (transazione su un titolo nullo:è nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorchè le parti abbiano trattato della nullità di questo).Anche le ipotesi di nullità testuale previste da leggi speciali sono numerose: ad esempio la nullità dei contratti traslativi di edifici in mancanza di determinate menzioni e/o allegazioni della prescritta documentazione riguardante la situazione urbanistica del bene trasferito( t.u. in materia di edilizia).Tale elenco poi si arricchisce notevolmente con riguardo alle nuove ipotesi di “nullità testuale” di derivazione comunitaria: alcune introdotte nel codice civile, altre consegnate a leggi speciali.Per quanto riguarda il codice possiamo far richiamo alle previsioni di nullità di cui agli artt. 1519 0cties (garanzie nella vendita di beni di consumo, ora trasfuso nell’art.134 c. cons.); art. 1746 c.1; 1748 c.6; 1749 c.4 (contratto di agenzia).Poi non in termini di nullità, bensì di “inefficacia testuale” ha preferito esprimersi il legislatore con riguardo alla disciplina delle clausole abusive nei contratti del consumatore: art.1469-quinquies (ma v. ora art.26 c. cons. che accoglie tesi della nullità “protettiva”).Poi, ancora, con riguardo alle nullità di derivazione – o cmq di ispirazione – comunitaria, contenute in leggi speciali a tutela dei consumatori e utenti di servizi si ricordano:

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-Le nullità previste dall’art.10 c.2 d.lgs. 50/1992 (contratti negoziati fuori dei locali commerciali) o ancora quelle disposte in materia di viaggi, vacanze e i circuiti “tutto compreso”, o in tema di multiproprietà, o di locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo o quelle a tutela della concorrenza e del mercato, o contratti a distanza ecc…Recentissime sono poi le previsioni testuali di nullità introdotte a tutela di consumatori e utenti, rispettivamente in materia di tutela degli acquirenti di immobili da costruire, di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori ed infine in materia di assicurazioni.Tuttavia può osservarsi come la gran parte di queste nullità sia governata dalla medesima ratio, consistente nella protezione di particolari categorie o classi di contraenti proprio qui va sottolineato che la circostanza che la nullità sia posta al servizio di interessi “particolari” , ancorchè diffusi, determina una disciplina della nullità stessa che si discosta in qualche significativo tratto da quella tradizionale.Per esempio tra le “nullità testuali” codicistiche particolare menzione merita il nuovo art. 1815 c.2 in tema di MUTUO AD INTERESSI USURARI, così come sostituito dall’art.4 l. 108/1996 che ha pure introdotto la nuova disciplina del reato di usura di cui all’art.644 C.P.In proposito è da ricordare come, anteriormente alla legge citata, il vecchio testo dell’art. 1815 c.2, prevedesse la nullità della clausola e la riduzione degli interessi usurari alla misura legale secondo il meccanismo previsto dall’art.1419 c.2 . ORA nella nuova formulazione si stabilisce invece che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.Ora al di là del dibattito dottrinale innescato dalla nuova disciplina penalistica dell’usura, ciò che preme mettere in luce è l’intento protettivo che emerge in modo netto rispetto al passato nei confronti del mutuatario e che si esprime nella regola del mantenimento del contratto, depurato della clausola nulla, secondo il diverso meccanismo della c.d. nullità parziale “necessaria”. VEDERE BENE.Quindi quello della previsione testuale è dunque uno strumento che consente di colpire con la “nullità” “contenuti contrattuali molto specifici e circostanziati, che riflettono <scelte o microscelte “politiche” del legislatore tanto puntuali quanto discrezionali!!!

5. NULLITA’ c.d. “strutturali” (cenni e rinvio)

Allora, a tal proposito dobbiamo preliminarmente notare come il c. 2 dell’art.1418 contempla le ipotesi in cui la nullità è conseguenza di un difetto di “STRUTTURA” dell’atto di autonomia: “di quegli elementi, cioè, che l’ordinamento considera fondamentali perché una regola privata abbia

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quelle necessaria evidenza strutturale che le consente di produrre effetti sul piano del sistema dell’ordinamento statale”.A questo punto va detto che in una prospettiva che privilegi L’UNITA’ SULLA MOLTEPLICITA’, potrebbe sostenersi che anche nelle ipotesi di cui al c.2 la nullità consegua pur sempre alla violazione di norme imperative, quelle che per l’appunto, regolano l’autonomia privata in campo contrattuale, prescrivendo gli elementi o requisiti, la cui presenza è necessaria affinchè si realizzi compiutamente la fattispecie “contratto valido”, in quanto idoneo alla produzione dei suoi effetti tipici. E in prospettiva analoga potrebbe poi sostenersi che l’ambito della c.d. “NULLITA’ STRUTTURALE” assorba in sé anche quei difetti che investono direttamente le “QUALITA’” degli ELEMENTI E REQUISITI DI STRUTTURA attraendoli nell’orbita delle nullità “FUNZIONALI”.

!!!ENTRAMBE LE PROSPETTIVE SI RILEVANO FUORVIANTI!!!

La prima è fuorviante, poiché mentre la previsione della nullità per contrasto del complessivo regolamento di interessi con norme imperative ammette deroga in virtù dell’inciso finale del 1. C. dell’art. 1418, CIO’ NON AVVIENE laddove la nullità consegua al difetto di taluno degli elementi essenziali dell’atto di autonomia.La seconda invece è fuorviante, perché al di là della medesima conseguenza – che è invariabilmente la nullità – la disciplina riservata al contratto nullo si atteggia in modo differente a seconda del diverso antecedente – difetto di elemento o illiceità degli stessi – e, all’interno del medesimo antecedente è poi suscettibile di ulteriori modulazioni in relazione alla fonte dell’illiceità (contrasto con norme imperative o principi di ordine pubblico e contrasto con regole di buon costume). così ad esempio, vi è chi osserva come, con riguardo alle ipotesi di incompletezza strutturale della fattispecie contrattuale, la rilevabilità d’ufficio ad opera del giudice soffra qualche limite; non è cosi invece, ove la nullità derivi da illiceità della regola contrattuale o di alcuni suoi elementi.

Vedere bene.

6. Nullità c.d. “funzionali”. Contratti “ILLECITI” e contratti “ILLEGALI”.

nel sistema della nullità contrattuale il c.2 dell’art. 1418 dispone che “producono nullità del contratto…l’illiceità della causa, la illiceità dei motivi..”. L’art. 1343 c.1 a sua volta dispone e precisa che “ La causa è illecita quando è contraria a norme imperative…”.Le ipotesi di nullità previste nel 2 c. dell’art.1418 sono le c.d “NULLITA’ FUNZIONALI”, o con espressione più efficace di “DISVALORE”, proprio per sottolineare la maggiore carica di disapprovazione dell’ordinamento nei confronti di un assetto di interessi pur “completo” nella sua struttura di regola dell’autonomia ma tuttavia contrastante con interessi e valori fondamentali del sistema.I PARAMETRI DELL’ILLICEITA’, COM’È NOTO, SONO RAPPRESENTATI DAL CONTRASTO CON NORME IMPERATIVE, PRINCIPI DI ORDINE PUBBLICO, REGOLE DI BUON COSTUME.Così però da un lato notiamo che la violazione di norme imperative elevato a fondamento generale della nullità nell’art. 1418 c.1, si ripete poi nel c.2 dello stesso art. 1418 come parametro

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dell’illiceità della causa (dell’oggetto, dei motivi, della condizione), insieme ai principi di ordine pubblico e alle regole di buon costume.

Nel tentativo di chiarire il rapporto tra il c.1 e il c.2 art. 1418 si è suggerito di distinguere tra CONTRATTO ILLECITO e CONTRATTO ILLEGALE.L’espressione contratto “illegale” designerebbe il contratto nullo ai sensi del 1 c., perché contrario a norme imperative; contratto “illecito” sarebbe invece il contratto nullo ai sensi del c.2 in quanto la causa ( o l’oggetto, il motivo, o la condizione) è illecita, poiché contraria a norme imperative art.1343. Si osserva, infatti, che mentre il semplice contrasto del complessivo regolamento di interessi con norme imperative importa Nullità solo “di regola”(visto l’inciso salvo che la legge disponga diversamente), il contrasto con norme imperative che invece coinvolga il profilo della causa o degli altri elementi sopra citati importa sempre nullità.La distinzione che è appena stata prospettata trova riscontro sul piano della disciplina positiva, la quale, anche nell’ipotesi in cui il contratto sia comunque nullo, si atteggia in modo diverso secondo che la nullità sia conseguenza di illiceità del complessivo regolamento di interessi, oppure di semplice contrarietà dello stesso a norme imperative che non comporti anche illiceità della causa, dell’oggetto, del motivo comune ecc…

Quindi è lo stesso legislatore ad aprire l’ingresso alla distinzione, là dove prevede discipline differenziate con riguardo al contratto “illecito” e a quello semplicemente illegale:tra gli esempi possibili basti pensare al trattamento riservato al contratto di lavoro nullo, i cui effetti sono salvi per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione “ salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa” “art.2126.O ancora nel caso della transazione conclusa in relazione ad un titolo nullo, la quale è affetta da nullità solo se relativa ad un contratto illecito e non semplicemente contrario a norme imperative art.1972.O ancora sul versante della legittimazione, la semplice “illegalità” comporta talora una legittimazione ristretta alla sola parte, a protezione della quale il legislatore ha previsto la norma imperativa.All’interno della categoria della illiceità, poi si distingue la sorte del contratto contrario all’ordine pubblico rispetto a quello che contrasta con regole di buon costume: art.2035 irripetibilità di quanto è stato prestato per uno scopo che costituisca offesa del buon costume…forse esempio della prostituta a lezione..!.

Tra le altre tesi da ricordare va menzionata quella che ritaglia l’area dell’illiceità, all’interno della generica illegalità contrattuale, facendo leva sul diverso grado di imperatività della norma violata e osservando in particolare come le norme imperative la cui violazione rende illecito il contratto – a differenza di quelle la cui violazione lo rende nullo solo “ di regola” – da un lato sono sempre norme proibitive, dall’altro sono norme che “si collocano al vertice della gerarchia di valori protetti dall’ordinamento giuridico”.Questo criterio, è senza dubbio utile ad orientare l’interprete, ma non appare risolutivo ai fini della fondatezza della distinzione, dovendosi piuttosto aver riguardo “alla qualità del contrasto dell’atto di autonomia ed il precetto violato”.

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così solo ove il contrasto con la norma imperativa riguardi direttamente il contenuto e i risultati che la regola dell’autonomia si propone di realizzare il contratto sarà nullo perché illecito; mentre ove il contrasto con la norma imperativa incida sulla conclusione del contratto, questo sarà nullo “di regola”, ma sarà sempre possibile che la legge escluda la nullità o cmq preveda una conseguenza diversa.

Più in generale, già prospettata in passato la differenza tra contratto illecito e contratto illegale, tale distinzione riscuote tuttora consensi in dottrina ma si espone ai rilievi di chi dubita che possa ravvisare un contrasto del regolamento contrattuale con norme imperative senza che ciò implichi inevitabilmente un coinvolgimento della causa.

Tali difficoltà possono essere risolte, tramite un interpretazione del regolamento contrattuale e impegnano quindi l’interprete ad una indagine che analizzando e confrontando la regola costruita dai privati nel contratto e quella posta dal legislatore, approdi a stabilire se il contrasto con la norma imperativa incida sul contenuto e/o i risultati perseguiti con lo strumento del contratto e allora il contr. Sarà nullo e illecito: oppure riguardi invece altri aspetti estranei al contenuto in senso stretto come ad esempio la qualità delle parti contraenti, comportamenti in fase di conclusione o altre circostanze dell’accordo e in questo caso si potrà parlare di contratto nullo e illegale!!!.

CAPITOLO IIILa disciplina del Contratto NULLO

1. Configurazione tradizionale della Nullità…. E ricadute sul versante del trattamento giuridico: a) Legittimazione ad agire

Generalmente alla Nullità del contratto si ricollega una radicale e definitiva inefficacia dell’atto, che si riflette poi sul piano del trattamento giuridico, in una coerente disciplina della nullità, i cui tratti qualificanti sarebbero:-Legittimazione assoluta-Rilevabilità d’ufficio da parte del giudice-imprescrittibilità-Insanabilità.In realtà l’apparente coerenza del disegno appare in un qualche modo subito offuscata dalla stessa disciplina positiva, là dove prospetta diverse “ragioni” di nullità del contratto e cui collega quindi un differente trattamento giuridico Basti pensare al Contratto ILLEGALE, a quello ILLECITO e in quest’ambito a quello IMMORALE).

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Dall’altro verso poi va sottolineato come anche il Principio dell’assoluta e radicale inefficacia del contratto nullo pare ormai consegnato alla storia dei dogmi.In questo panorama ovviamente viene meno, potremmo dire l’assolutezza del dogma-brocardo quod nullum est, nullum producit effectum.Lo stesso ingresso nello scenario contrattuale attuale, delle nullita c.d. “PROTETTIVE” ha contribuito ad accentuare l’idea di Nullità intesa non più come categoria unitaria –(nel senso che questa ha fondamento sostanziale nella necessaria tutela di un interesse generale) – BENSI’ come “disciplina di effetti del contratto rilevante, in tutto o in parte non congruenti col regolamento posto dai privati, tramite congegni tecnici differenziati, in ragione della diversa composizione di interessi gradatamente realizzata dalla norma”.In altre parole in queste ipotesi ci troviamo dinanzi ad una Nullità “graduata nel proprio fondamento e N.B. differenziata quanto alla disciplina volta a volta applicabile” ed in relazione alle esigenze di tutela di interessi ritenuti meritevoli dal legislatore nelle situazioni dove vi è una “strutturale DEBOLEZZA contrattuale” di una delle parti e alla luce del complessivo CONTESTO in cui si realizza la concreta operazione economica.Ci troviamo dinanzi alla nuova vocazione di Nullità di matrice europea che da Nullità SANZIONE diventa Nullità “FUNZIONE”nel senso di nullità di PROTEZIONEe quindi rimette in DISCUSSIONE I PRINCIPI TRADIZIONALI IN TEMA DI IMPUGNAZIONE.Ciò vale anzitutto, per la legittimazione all’azione, ma ha evidenti ricadute sulle altre regole operative: Rilevabilità d’ufficio, sanatoria, natura della pronuncia giudiziale, al punto di incrinare la distinzione tra Nullità e Annullabilità.

a)Legittimazione ad agire. Partendo dalla premessa che lega il rimedio della nullità alla lesione di interessi generali, si ritiene comunemente che l’azione di nullità abbia carattere “assoluto”, nel senso che “chiunque vi ha interesse” ai sensi dell’art. 1421 e in ogni tempo, possa agire per ottenere una sentenza che accerti la mancata produzione degli effetti dell’atto e il conseguente venir meno della “forza di legge” dell’assetto di interessi programmato.Quindi né consegue che, legittimati ad attivare il GIUDIZIO DI NULLITA’ sono non soltanto le parti, ma anche gli aventi causa da costoro, purchè dimostrino di avervi INTERESSE. N.B: NON, un GENERICO interesse a contestare la VALIDITà DEL CONTRATTO, né una mera aspettativa (come sottolinea la giurisprudenza) bensì un interesse ad egire ai sensi dell’art. 100 C.P.C. (ES:Cassazione che ha escluso che l’azione possa essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge).In particolare, precisa ancora la giurisprudenza, chi agisce per la NULLITA’ ha l’onere di dimostrare che l’intervento del giudice si rende necessario allo scopo di evitare la lesione attuale di un proprio diritto, e non può quindi limitarsi ad invocare la rimozione della situazione di incertezza determinata dalla presenza di un contratto nullo, se non offre la prova che essa è fonte di pregiudizio giuridicamente rilevante alla propria sfera giuridica.Sotto questo punto di vista infatti, parte della dottrina invita a non confondere il requisito dell’ interesse (sostanziale), alla luce del quale l’art. 1421 “seleziona” i legittimati all’azione di nullità, con quello che invece è l’interesse (processuale) ad agire ex art. 100 c.p.c. Il concetto di interesse qui assume un diverso e più ampio contenuto, nel senso di un “interesse qualificato”, connesso alle “situazioni sostanziali legittimanti l’esperimento dell’azione di Nullità” più precisamente l’interesse a non subire pregiudizi ad opera del contratto nullo.

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Certamente, in questo senso la locuzione “chiunque vi ha interesse” si riferisce anche ai terzi, rimasti estranei al contratto, ma che sono titolari di un rapporto giuridicamente dipendente da quello dedotto in giudizio, i quali si sentano minacciati dall’apparenza creata dal contratto, che si assume nulo e dai conseguenti pregiudizi derivanti alla propria sfera giuridica L’interesse di questi terzi, quindi deriva da questo..e cioè che la sentenza emanata in relazione al rapporto dedotto in giudizio spiega efficacia riflessa nei loro confronti.

Per quanto riguarda le parti ci si è chiesti invece se queste debbano ritenersi sempre e comunque legittimate all’esercizio dell’azione, reputando il loro interesse ad agire in re ipsa, semplicemente in virtù della loro qualità di “parti”, titolari del rapporto derivante dal contratto “nullo” O SE INVECE, anche per esse, si richieda la sussistenza di un interesse concreto e attuale per poter promuovere l’azione.Il principio dell’interesse “in re ipsa”, che in passato era pressoché indiscusso dalla giurisprudenza, e si noti bene anche rispetto alla parte che alla nullità abbia dato causa, oggi invece sembra difficilmente invocabile, soprattutto in presenza di nullità “c.d. PROTETTIVE” (e non solo testuali, ma anche virtuali).Tuttavia a tal proposito dobbiamo dire che, la circostanza che nella gran parte delle nuove nullità – a prescindere dall’espressa previsione di una legittimazione “riservata” – essa operi comunque a vantaggio del solo contraente cui si dirige la protezione, dovrebbe costituire efficace deterrente verso iniziative provenienti dalla controparte, che ha dato causa alla nullità la cui domanda quindi non troverebbe ascolto, per difetto di un interesse (concreto) ad agire che appaia meritevole di tutela.Legittimati passivi, invece, sono coloro nei cui confronti spiega rilievo l’interesse dell’attore a far valere la Nullità. qualche problema tuttavia si pone riguardo alla partecipazione al giudizio e ai limiti soggettivi del giudicato, nell’ipotesi in cui l’attore sia “terzo” rispetto al contratto. In questo caso si tratta di stabilire se il giudizio debba svolgersi nel contraddittorio di tutte le parti originarie del contratto – come ritiene la dottrina prevalente – o nei confronti di una sola di esse.In dottrina, si è precisato, che tale ultima soluzione e cioè (contraddittorio con una sola parte) può condividersi solo ove si concepisca il “GIUDIZIO DI NULLITA’” quale strumento per difendere posizioni giuridiche messe a rischio dall’atto nullo (ad esempio la proprietà di un bene alienato sulla base di un contratto nullo) in tal caso, infatti, il giudizio dovrà svolgersi nei confronti dei soggetti interessati e contro interessati alla difesa di quella posizione, escludendosi che la sentenza faccia stato nei confronti dei soggetti rimasti estranei al giudizio.Una soluzione opposta invece deve essere accolta, ove si intenda il “GIUDIZIO DI NULLITA’” come diretto alla “creazione di un giudicato che impedisca a chicchessia di ritornare sulla questione”: in tal caso il giudizio dovrà svolgersi “nei confronti di tutte le parti originarie del Contratto” impugnato e solo così il giudicato potrà estendersi anche ai terzi, titolari di situazioni giuridiche dipendenti da quelle oggetto della pronuncia giudiziale.

Di fronte alla regola generale che ammette alla legittimazione “chiunque vi abbia interesse”, le “deviazioni” pur ammesse dall’art.1421 (“salvo che la legge disponga diversamente”), non possono che apparire nel disegno del legislatore come delle ECCEZIONALITA’.In questa luce la dottrina collocava le ipotesi testuali conosciute dalla tradizione (es: art.190 in tema di alienazione di beni dotali) rispetto alle quali, proprio in virtù della (pur eccezionale)

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disponibilità dell’azione, riteneva logicamente contraddittoria la continua regola della rilevabilità d’ufficio della nullità ad opera del giudice, che doveva perciò ritenersi esclusa, vanificando in sostanza l’espressa limitazione della legittimazione.Attualmente invece è proprio il Principio della legittimazione “assoluta” ad essere messo a dura prova dalle recenti discipline di derivazione o ispirazione comunitaria.In queste, infatti, la regola della legittimazione a “chiunque vi ha interesse” cede sempre più verso alla opposta regola, che invece ammette a far valere la nullità il solo contraente PROTETTO dalla relativa previsione di Nullità!!!A tal proposito può dirsi quindi, giunto a compimento quel processo di “soggettivizzazione strisciante del rimedio della nullità”, all’interno del quale sempre più spesso incidono la posizione e gli interessi soggettivi della parte o delle parti coinvolte nel negozio stesso”.E’ chiara la ratio della scelta legislativa. Se la Nullità è disposta a protezione del contraente debole, sia pure nella veste di esponente di una categoria protetta, va da sé che quest’ultimo sia il solo depositario e nello stesso tempo arbitro del potere di azionare il rimedio, secondo un principio analogo a quello che governa la legittimazione esclusiva nell’ipotesi del contratto annullabile. Così, la regola della legittimazione “riservata” è accolta con favore da una compatta dottrina, la quale, pur consapevole della incrinatura del principio di cui all’art.1421, non ravvisa ostacoli ad estendere in via analogica la regola della legittimazione ristretta anche ad ipotesi di nullità (testuali o virtuali), che sono per chiari segni “Protettive”, ma in cui il legislatore sia rimasto silente riguardo al profilo della legittimazione!!!

In una diversa prospettiva invece si pone chi dubita che la regola della legittimazione relativa, là dove non espressamente prevista, sia sempre adeguata alla migliore tutela degli interessi coinvolti nell’operazione contrattuale. da un lato, poiché in numerose nullità speciali “la protezione del contraente debole non esaurisce la ratio della comminatoria”, per essere la stessa disposta a tutela di interessi plurimi (in cui l’interesse generale assorbe l’interesse privato seriale); dall’altro, poiché anche nelle Nullità in cui più spiccato appare l’intento protettivo a favore del contraente debole, si ritiene che il fulcro della protezione risieda non tanto nella legittimazione riservata, quanto piuttosto nel “modo” di operare unidirezionale della Nullità, nel senso cioè che “chiunque la rilevi, essa operi solo a vantaggio del consumatore”.

Se si ragiona in questi termini, la finalità protettiva non è dunque assicurata dalla legittimazione relativa, bensì dal modo di operare della Nullità, che da chiunque sarà fatta valere sarà “solo a vantaggio del consumatore (utente-cliente) e contraente debole; mentre la selezione degli interessi meritevoli di tutela resta affidata all’applicazione delle regole processuali, e, in particolare, al riscontro della sussistenza di un interesse (concreto) e “qualificato” ad agire in giudizio: così, di regole, quando la nullità è necessariamente parziale, solo la parte protetta vi ha interesse, e la pretesa di controparte a far cadere l’intero contratto, rimarrà inascoltata, per difetto di un interesse (concreto ed attuale) ad agire.La tesi. Seppur appare persuasiva, appare tuttavia superata dalle più recenti discipline con finalità protettive nei confronti dei contraenti-consumatori, ove, anche a tralasciare la disciplina delle clausole abusive, la regola della legittimazione esclusiva a far valere la nullità diviene ormai una soluzione privilegiata: vedi per esempio nella disciplina della vendita dei beni di consumo o in

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quella relativa alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari ai consumatori,+ sino anche ai più recenti interventi legislativi quali la normativa disposta a tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.

A questo punto quindi si ripropone con più forza la questione della rilevabilità d’ufficio della nullità relativa, ovvero come possano convivere 2 regole che sembrerebbero doversi elidere a vicenda, in quanto ispirate a principi opposti.Tale problema è stato avvertito dapprima in relazione alla disciplina delle clausole vessatorie nell’art.1341 c.2 (poiché la norma si esprime in termini di inefficacia non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto- una parte della giurisprudenza però propendeva per la nullità con la conseguenza di ammetterne la rilevabilità d’ufficio) ed in seguito si ripropose con riguardo alla soluzione accolta nella disciplina delle clausole abusive nei “CONTRATTI DEL CONSUMATORE” ove si prevede(VA) che l’inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore.Così che succedeva? Vi era chi propendeva nel ravvisare, al di là del nomen iuris che veniva utilizzato cioè “inefficacia”, una sorta di nullità mascherata, non mancava di segnalare l’incongruenza della scelta legislativa di fronte ad una formula che poteva leggersi come regola di legittimazione (relativa), suggerendo una lettura conformativa della norma, alla luce della sua RATIO.E vi era chi invece, all’opposto argomentava proprio dalla espressa soluzione nel senso della rilevabilità d’ufficio (dell’inefficacia) da parte del giudice, per escludere la legittimazione riservata al solo consumatore, la cui tutela sarebbe stata altrimenti, e forse meglio, assicurata dalla regola ordinaria

Oggi la scelta della Nullità in luogo dell’inefficacia è divenuta esplicita nella disciplina delle clausole abusive contenuta nel codice del consumo., prospettandosi la compatibilità tra legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio. Compatibilità, del resto, che oggi è soluzione espressamente prevista in recenti ipotesi di Nullità “Protettive”: Ad es. nella disciplina della vendita dei beni consumo e in quella relativa alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari ai consumatori in questo caso l’art. 17 d.lgs. 190/2005 dispone la nullità di ogni pattuizione “che abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dalle disposizioni del presente decreto” e in cui espressamente si prevede che la Nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.Alla luce di ciò meritano accoglimento le tesi che, in presenza di Nullità Protettive (testuali o virtuali), non ravvisano incompatibilità logica tra legittimazione riservata e rilevabilità d’ufficio della Nullità, allorchè si abbia cura di precisare che l’esercizio del potere giudiziale è condizionato alla valutazione dell’interesse concreto del contraente parte protetta: e non tanto nel senso che il giudice dovrebbe rilevare la nullità SOLO qualora essa si risolva a vantaggio della parte protetta, quanto, piuttosto, nel senso che il potere d’ufficio del giudice dovrebbe arrestarsi SOLO di fronte ad una domanda del consumatore-utente “sostanzialmente incompatibile col risultato derivante dalla rilevata nullità”.N.BENISSIMO: ed anzi, proprio in virtu’ del richiamo all’ordine pubblico di protezione – cui appare riconducibile la gran parte delle nullità nuove – vi è pure chi ritiene che il giudice, in presenza di una legittimazione riservata, sia sempre tenuto a rilevare d’ufficio la nullita’,

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anche in difetto di una esplicita previsione normativa in tal senso, svolgendo cosi’ un ruolo di “supplenza” rispetto al contraente rimasto inerte in sede processuale, per carenze difensive.2. Segue. b) Rilevabilità d’ufficio da parte del giudice: presupposti e limiti

Al pari della regola sulla legittimazione “assoluta” ad attivare il giudizio, anche il principio della rilevabilità d’ufficio ad opera del giudice appare nell’impostazione tradizionale un logico corollario della concezione che vede nella Nullità lo strumento posto a presidio di interessi generali e a salvaguardia di valori fondamentali del sistema, i quali verrebbero lesi da assetti contrattuali inutili, insensati o disapprovati dall’ordinamento.Tuttavia se questa è la RATIO che è sottesa al principio della rilevabilità d’ufficio del giudice, essa non sembra trovare riscontro nell’applicazione giurisprudenziale che invece circoscrive il potere officioso del giudice entro precisi limiti che sono segnati dall’operare delle regole processuali.Così, se la nullità può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità, il potere del giudice incontra il limite del divieto di nuovi accertamenti di fatto, per cui la nullità è ricavabile solo ove si siano già acquisiti agli atti tutti gli elementi probatori dai quali essa risulta, e non siano perciò necessarie indagini di fatto non compiute nelle precedenti fasi di merito.O ancora il Potere officioso del Giudice si arresta, poi, di fronte alla forza del giudicato in quanto questo preclude il riesame di questioni definitivamente decise: Ad esempio nel caso in cui sia intervenuta pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla validità del contratto che non è stata impugnata in appello in questo caso è impedito il riesame della questione in sede di legittimità.In realtà i limiti come dire più pesanti, ed è questo l’aspetto che ha tenuto a sottolineare il professore a lezione, riguardano i limiti processuali in ossequio al Principio dispositivo DEL PROCESSO, e in particolare, al rispetto del principio della domanda (art.99 c.p.c.), nonché alla regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). Una rigorosa applicazione di tali principi è alla base del tradizionale orientamento giurisprudenziale, di gran lunga prevalente, teso a limitare il potere del giudice di rilevare d’ufficio la Nullità ai soli casi in cui sia domandata in giudizio la CONDANNA DEL CONVENUTO ALL’ADEMPIMENTO, con esclusione quindi dei giudizi promossi al fine di ottenere una pronuncia di annullamento, risoluzione, rescissione.In proposito, è affermazione ripetuta e costante in giurisprudenza quella secondo cui il rilievo della nullità può avvenire, anche indipendentemente dall’iniziativa delle parti, SOLO allorchè sia in contestazione “l’applicazione o l’esecuzione del contratto, in quanto la parte abbia chiesto l’adempimento delle obbligazioni da esso derivanti”. ciò perché in tali ipotesi, la validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda.N.B: se invece la domanda è diretta a far dichiarare la nullità del contratto, “la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni dedotte dalla parte, poiché in questo caso la Nullità si configura come un elemento costitutivo della domanda dell’attore, che si pone come limite assoluto alla pronuncia”.

N.B: “sunto di ciò che ha detto il prof. a Lezione”Nel caso delle Nullità protettive abbiamo detto che ci troviamo dinanzi ad una legittimazione relativa, nel senso che solo la parte contraente consumatore-debole a favore della quale è prevista la Nullità, può proporre l’azione di Nullità. Sotto questo punto di vista il prof. ha sottolineato come

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tale esito sia giustificato dai c.d. sostenitori della teoria del Contratto come un “AFFARE DELLE PARTI” , e quindi proprio per questo motivo il giudice dovrebbe astenersi dall’esercitare il suo potere d’ufficio di rilevare la Nullità.In realtà. Il professore dice dice che occorre un indagine per capire qual è il fine della previsione di quella Nullità…perché se questa pur prevista a favore del contraente debole-consumatore ha uno scopo generale (si pensi alle banche) tale conclusione non sembra la migliore, nel senso che sarebbe più giusto che il giudice potesse esercitare il suo potere d’ufficio di rilevare la Nullità. altrimenti si corre il rischio che il consumatore, non chiedendo la nullità, quasi diventi una sorta di complice dell’operatore professionale!!!.

2. Segue. c)L’imprescrittibilità dell’azione. Usucapione e Prescrizione delle azioni di ripetizione

Nell’impostazione tradizionale, chiara e stretta è la connessione tra imprescrittibilità dell’azione, natura dichiarativa della sentenza, e fondamento della nullità: la circostanza che questa sia stabilita a salvaguardia di interessi generali implica che l’accertamento della situazione di improduttività degli effetti tipici del contratto sia possibile in ogni tempo, così ad evitare il consolidamento della situazione di fatto stabilita dal contratto.Ma anche sotto questo punto di vista, ovvero l’imprescrittibilità dell’azione di Nullità, non pare possa affermarsi in modo perentorio: Ciò dipende essenzialmente da 2 ragioni:-a) La prescrittibilità delle azioni restitutorie-b) Il consolidarsi della situazione di fatto creata dal contrattoLa norma di riferimento a tal proposito è l’art.1422 c.c. il quale stabilisce che “l’azione per far dichiarare la Nullità non è soggetta a prescrizione, SALVI gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

La prima <salvezza> è rappresentata dagli “effetti dell’usucapione”.a tal proposito dobbiamo subito precisare che ciò è da intendersi in senso restrittivo, cioè con riguardo alle sole ipotesi di “USUCAPIONE ORDINARIA”, che si realizza tramite il possesso continuato per un tempo stabilito dalla legge e a prescindere, “anzi proprio in assenza” di un valido titolo di acquisto.La norma quindi si riferisce alle sole ipotesi in cui, pur in difetto di un valido titolo di acquisto, sussistano i requisiti del possesso e il decorso del tempo stabilito dalla legge, in relazione alla natura del bene e allo stato soggettivo di buona o malafede del possessore: con riguardo a tali situazioni, l’avvenuta usucapione da parte dell’acquirente o di successivi aventi causa <paralizza> l’azione di rivendica da parte dell’originario alienante, anch’essa imprescrittibile al pari dell’azione di nullità.Il difetto di un titolo astrattamente idoneo a trasferire il diritto di proprietà o a costituire altro diritto reale di godimento- qui il contratto nullo- impedisce invece l’usucapione abbreviata: con il conseguente sacrificio della posizione del possessore, sempre esposto all’azione di rivendica da parte del dante causa, fino a che si sia perfezionata la fattispecie acquisitiva del diritto.

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Il secondo inciso dell’art.1422 racchiude poi un’altra <salvezza>: ovvero a fronte della imprescrittibilità dell’azione di Nullità, rimane ferma la prescrittibilità delle azioni di ripetizione della prestazione effettuata in esecuzione di un contratto nullo.-->Così le parti e i terzi (che vi abbiano interesse), possono agire in ogni tempo per far dichiarare la nullità, ma la sentenza non sarà utile al recupero della prestazione effettuata sulla base del contratto nullo, ove sia inutilmente decorso il tempo entro cui la legge circoscrive l’esercizio dell’azione di ripetizione (che si prescrive in 10 anni).Da ciò quindi si ricava l’autonomia dell’azione di ripetizione rispetto all’azione diretta all’accertamento della nullità, nel senso che la restituzione della prestazione effettuata in base al contratto nullo non è mero riflesso della pronuncia di nullità, ma trova autonomo fondamento nella circostanza che una prestazione non dovuta sia stata (materialmente) eseguita.Tuttavia a tal proposito occorre aggiungere che al di là del generale richiamo alle “azioni” di ripetizione, previste dagli artt. 2033 ss. (indebito oggettivo) e 2036 (indebito soggettivo), non sembrano esservi dei dubbi sul fatto che qui ci si trovi in presenza di un indebito oggettivo, in ragione del difetto di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale.Per quanto riguarda poi il computo del decorso del tempo ai fini del maturare della prescrizione dell’azione di ripetizione, si fa riferimento alla data di conclusione del contratto di cui sia accertata la nullità N.b. si deve aggiungere che in ogni caso è esclusa la permanenza di un interesse all’accertamento della nullità ove sia intervenuta prescrizione delle azioni di ripetizione. n.b: il prof. a lezione in merito a questo argomento ha sottolineato come dinanzi ad una AZIONE DI NULLITA’ che trova il fondamento della sua imprescrittibilità alla luce della tutela del patrimonio secondo una CONCEZIONE STATICA, ci si scontra invece dinanzi alla logica del COMMERCIO che si pone e concilia con una CONCEZIONE DINAMICA del patrimonio e quindi prevede delle ipotesi nele quali seppur il contratto è nullo l’azione per farne dichiarare la Nullità non è imprescrittibile.

4. Natura ed Effetti della SENTENZA di Nullità.

Un ulteriore corollario del fondamento della Nullità, e del conseguente modo di operare “ ipso iure” della stessa, è quello che conduce a qualificare la pronuncia che definisce il relativo giudizio come “DICHIARATIVA” o di “MERO ACCERTAMENTO”, in quanto volta, appunto, ad accertare una situazione giuridica preesistente, che consiste nell’INIDONEITA’ del contratto alla produzione dei suoi effetti tipici.In altre parole, e a differenza della pronuncia di annullamento, “la nullità è la conseguenza del fatto previsto, non della sentenza”, la quale si limita a dichiarare la Nullita’!!!

Poiché la Nullità opera di diritto, la pronuncia ha efficacia retroattiva: gli effetti del contratto cioè sono travolti ex tunc, in quanto fin dall’origine manca il titolo che giustifichi il trasferimento di diritti e obblighi previsti dalle parti. Nei confronti di queste, la retroattività travolge ex tunc i trasferimenti operati e , ove prestazioni siano state eseguite, esse sono prive di fondamento e perciò ripetibili secondo le norme sull’indebito oggettivo (art.2033).Nei confronti dei terzi la sentenza che dichiara la Nullità è a questi opponibile, con la conseguenza che gli acquisti da essi compiuti sulla base del contratto concluso con l’avente causa dal contratto

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nullo vengono meno: e a tal proposito nessun rilievo è attribuito alla condizione soggettiva di buona fede del terzo, né alla eventuale trascrizione del suo acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta ad accertare la nullità del contratto originario.

5. Segue. La c.d. pubblicità sanante (cenni).

Come abbiamo detto, la radicale inefficacia del contratto nullo determina, di regola, la piena opponibilità della sentenza nei confronti dei terzi sub acquirenti, i cui acquisti sono pertanto “pregiudicati”, insieme all’intera vicenda circolatoria, in attuazione del Principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis.il rigore della regola è tuttavia temperato dall’art.2652, n. 6 , là dove prevede la trascrizione della domanda giudiziale diretta a far dichiarare la Nullità di contratti che abbiano per oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali su beni immobili: la norma dispone infatti la “salvezza” dei diritti dei terzi che abbiano acquistato diritti sulla base del contratto nullo, ove la domanda giudiziale diretta a farne dichiarare la nullità sia trascritta dopo 5 anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato. in tal caso la sentenza che accerti la nullità del contratto non pregiudica i diritti acquistati “a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda”.La RATIO di tale previsione è da ricercare nel Principio di tutela dell’affidamento creato dall’apparente validità del contratto, in quanto trascritto. E più in generale, sulle esigenze di certezza e sicurezza del traffico giuridico.In dottrina si discute se il meccanismo della “trascrizione” operi come una sorta di sanatoria del contratto nullo a favore del terzo sub acquirente di buona fede, il cui acquisto sarebbe al riparo anche di fronte alla pronuncia di nullità del titolo di acquisto del proprio dante causa.Secondo la ricostruzione che raccoglie maggiori consensi in dottrina, il terzo acquisterebbe a titolo derivativo e a non domino, in virtù della buona fede e della trascrizione del proprio titolo di acquisto oltre a quello del suo dante causa.In diversa prospettiva si pone invece l’opinione orientata ad escludere che il meccanismo della trascrizione configuri una sanatoria del contratto nullo, il quale resta quindi improduttivo di effetti. Tuttavia esso costituisce elemento di una fattispecie più ampia, di natura acquisitiva a favore del terzo sub acquirente di buona fede. ????Discusso è, infine, se il meccanismo della trascrizione sia idoneo a far salvi i diritti acquistati dal terzo, che trovino fondamento in un contratto illecito.

6. Nullità e Azioni restitutorie

Le prestazioni eseguite sul fondamento di un contratto nullo, a prescindere dalla consapevolezza o meno della nullità, devono essere restituite. tuttavia come già abbiamo avuto modo di vedere l’obbligo restitutorio si estingue, quando si è compiuta la prescrizione dell’azione di ripetizione o sia intervenuta l’usucapione ordinaria.La nullità del contratto non offre invece fondamento alla ripetibilità delle prestazioni eseguite per uno scopo che, anche da parte del solvens, costituisca offesa al buon costume art. 2035.

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La circostanza che, di regola, la pretesa restitutoria sia connessa alla domanda diretta a far dichiarare la nullità, ha indotto la dottrina a soffermarsi, in particolare, sulla definizione dei rapporti tra l’azione di Nullità e l’azione di ripetizione fondata sulla nullità.

una prima corrente di pensiero, pur riconoscendo l’indubbio collegamento tra le 2 azioni, afferma la sicura autonomia dell’azione di ripetizione rispetto all’azione diretta a far accertare la nullità del contratto.Infatti praticamente per un verso si sottolinea l’unitarietà del fenomeno dell’indebito e la tendenza a ravvisare nell’art.2033 il rimedio di carattere generale per le diverse ipotesi di difetto di causa solvendi, e si conclude quindi che l’azione di restituzione esercitata sulla base della nullità del contratto in realtà è una vera e propria azione di ripetizione dell’indebito, poiché per l’appunto la nullità rende “NON DOVUTA” la solutio ai sensi dell’art.2033 Per altro verso però e proprio sulla premessa dell’autonomia tra le 2 azioni, si afferma la permanenza di un interesse all’accertamento della nullità da parte del solvens anche dopo la prescrizione dell’azione di ripetizione, in particolare in vista di una eventuale asperibilità dell’azione di rivendicazione, che come tale è imprescrittibile al pari dell’azione di Nullità.dall’altra parte invece si pone quella tesi che parte dalla premessa per cui ogni spostamento patrimoniale deve trovare titolo in una fattispecie causale, e la cui mancanza o invalidità determina la nullità del trasferimento..quindi in questo caso l’assenza di giustificazione dell’attribuzione patrimoniale (in quanto il contratto è nullo) rende nulla anche la prestazione, con la conseguenza che l’azione di ripetizione troverebbe collocazione nel sistema delle AZIONI DI INVALIDITA’ del contratto. ergo..secondo questa linea di pensiero, l’azione di ripetizione sarebbe formalmente indipendente dall’azione di nullità ma nello stesso tempo intimamente connessa con la stessa essendo strumento di recupero del possesso perduto dal solvens.

n.b: il prof. sostiene che invece tra l’Azione di Nullità e l’Azione di Ripetizione vi sia autonomia.

7.Nullità e Risarcimento: La Responsabilità per conclusione di un contratto nullo

Cominciamo col dire che il Contratto Nullo può divenire fonte di responsabilità.Infatti tra gli effetti che il contratto nullo, in quanto fatto giuridicamente rilevante, è capace di produrre, vi è infatti l’obbligo risarcitorio ex art. 1338, che per l’appunto è legato alla condotta scorretta della parte che “conoscendo o dovendo conoscere una causa di invalidità del contratto” non la rivela alla controparte, suscitando in quest’ultima l’affidamento (incolpevole) nella validità del contratto.Come è facilmente intuibile è stretto il rapporto tra la responsabilità ex art.1338 e l’art.1337 (Trattative e Responsabilità Contrattuale: le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede).

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Al riguardo va ricordata la tesi che tendeva a ravvisare nell’art.1338 la sola ipotesi applicativa dell’art.1337 e quindi in definitiva, l’unica fattispecie di responsabilità PREcontrattuale ammissibile.Oggi invece la relazione tra le 2 disposizioni viene disegnata in un rapporto di genus ad speciem: nel senso che la disposizione dell’art.1337 è la “regola cardinale”, in cui peraltro trova fondamento anche l’obbligo di comunicazione previsto dalla norma successiva , la quale quindi costituisce un’applicazione paradigmatica e peculiare della prima , configurando una fattispecie specifica e ben definita di responsabilità, in cui la rilevanza della violazione del dovere pre-contrattuale di BUONAFEDE appare condizionata alla circostanza che il contratto concluso sia successivamente invalidato.

Per quanto riguarda questo “dovere” o “obbligo” di comunicazione, dottrina e giurisprudenza si collocano su fronti contrapposti:

La Giurisprudenza: offre una lettura che potrebbe definirsi “riduttiva” della disposizione, che è volta ad escludere qualsivoglia rilievo alla mancata comunicazione di circostanze diverse da quelle indicate dalla norma ovvero le “cause di invalidità”. Ed anzi anche rispetto a quest’ultime, poi, in senso restrittivo viene inteso il requisito dell’assenza di colpa della controparte, cui la norma condiziona l’operatività del rimedio risarcitorio.Ad esempio in tal senso, è orientamento ormai consolidato quello per cui non incorre in responsabilità precontrattuale la parte che non comunichi all’altra una causa di invaliditàò derivante “da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, cioè tali da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini, e cmq tali che la loro ignoranza ben avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza”; con la conseguenza che la controparte non può fondatamente sostenere di avere “senza colpa” confidato nella validità del contratto.

La Dottrina: invece si pone con un atteggiamento diverso in quanto da un lato ritiene che il dovere di informazione si estenda anche ai casi di inefficacia e, addirittura inesistenza del contratto; dall’altro, critica l’orientamento giurisprudenziale, facendo leva, tra le altre argomentazioni, sulla rilevanza attribuita all’errore di diritto “che sia stata la ragione unica o principale del contratto art.1429 n.4), e aprendo l’ingresso quindi –nella ricorrenza degli altri presupposti- al rimedio risarcitorio a favore della controparte, che fosse nell’ignoranza incolpevole riguardo alla causa di invalidità.

In conclusione, poi va detto che fa parte di un insegnamento risalente, ma ripetuto e costante nel tempo, l’affermazione secondo cui la violazione dello specifico dovere indicato nell’art.1338, e , più ampiamente, del dovere di buona fede nella fase delle trattative e nella formazione del contratto, il danno risarcibile è commisurato, e a un tempo limitato, al c.d. interesse negativo . N.B:L’interesse negativo si configura come l’interesse a (non avviare un inutile trattativa) o a non concludere un contratto invalido.In che senso nel senso che per la natura dell’illecito e per la fase contrattuale in cui si colloca, il risarcimento non riguarda l’interesse positivo cioè all’adempimento del contratto e alla disponibilità dell’oggetto di esso che si sarebbe avuto se il contratto fosse stato validamente concluso ed eseguito. CASS. 2004.

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Per quanto riguarda poi la concreta “determinazione del danno”, dottrina e giurisprudenza prevalenti richiamano i tradizionali criteri di valutazione cioè consistenti nelle “PERDITE SUBITE” in questo caso spese inutilmente sostenute in vista del contratto (non concluso o) invalido – e nel “MANCATO GUADAGNO” cioè nel venir meno di ulteriori, più favorevoli occasioni contrattuali- in quanto causalmente dipendenti (dalla trattativa interrotta o) dal contratto successivamente invalidato.

Capitolo IV

La Nullità Parziale

1. Nullità di “singole clausole” o di “parti” del contratto e principio di conservazione.

La costruzione unitaria della Nullità, condensata nell’antico brocardo “Quod Nullum est nullum producit effectum”, trova una significativa smentita con riguardo proprio a quello che è “il modo di operare delle causa di nullità”.Ciò significa che il riscontro di una causa di Nullità del contratto non determina, infatti, quale conseguenza immediata e inevitabile, l’inefficacia radicale e definitiva dell’intero contratto. Al contrario il riscontro della causa di nullità non fa altro che mettere in moto regole seconde, che vanno a comporre il “trattamento” del contratto nullo.La regola dell’art.1419 insieme agli altri analoghi principi rinvenibili negli art.1420 2 1424, esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, per quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, anche se difformi dallo schema legale e N.B. proprio da ciò deriva il carattere “eccezionale” della estensione della Nullità che colpisce la “PARTE” o la “CLAUSOLA” all’intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere IN TOTO il contratto, fornire la PROVA dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola nulla; mentre resta preclusa al giudice la possibilità di rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto.Il meccanismo della Nullità parziale era ignoto sia al Codice del 1865 che al Code Civil; nll’esperienza tedesca si accoglieva e si accolglie tuttota una regola che all’apparenza sembra di segno opposto ovvero dalla clausola nulla deriva senz’altro la Nullità dell’intero contratto ”a meno che si debba ritenere che sarebbe stato concluso anche senza la clausola Nulla”.

Per quanto riguarda l’ambito su cui incide la Nullità, prevale in dottrina l’opinione che attribuisce valore meramente descrittivo alla distinzione tra Nullità di una “parte” del contratto e Nullità di singole “clausole”, ciò è riconfermato dalla sostanziale comune disciplina disposta dal legislatore.

Quando parliamo di “clausola”, ci riferimao al significato di singolo precetto dell’autonomia privata, che può essere composto da più proposizioni che si integrano a vicenda e deve essere munito dei requisiti dell’individualità rispetto al contenuto complessivo del contratto.

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-->N. BENISSIMO: Si è precisato che il meccanismo della Nullità Parziale riguarda SOLO le “CLAUSOLE SECONDARIE o ACCESSORIE”, mentre laddove la Nullità colpisca una clausola PRINCIPALE o ESSENZIALE la conseguenza sarà la Nullità dell’INTERO CONTRATTO senza che possa farsi luogo alla valutazione di “ essenzialità ” di cui al c.1 dell’art. 1419 ???.

Secondo una parte della Dottrina il principio espresso nell’art.1419 dovrebbe trovare applicazione in via analogica anche al Contratto Annullabile, nonché alle ipotesi di collegamento negoziale.

2. La “depurazione” del regolamento di interessi nel rispetto della regola dell’autonomia.

Art.1419: “la nullita parziale di un contratto o la Nullità di singole clausole importa la Nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla Nullità”“la nullità di singole clausole non importa la Nullità del Contratto, quando le clausole Nulle sono sostituite di diritto da Norme Imperative”.

Un ruolo centrale nell’interpretazione del 1 c. dell’art.1419 riveste dunque la valutazione di essenzialità o meno della clausola o della parte colpita da Nullità, rispetto all’intero contratto.A tal proposito dobbiamo notare subito che la prima indicazione che offre il legislatore sembra di indubbia intonazione “SOGGETTIVA” “ Se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da Nullità”.Secondo un primo orientamento dottrinale, peraltro strettamente fedele al dogma della “VOLONTA’” , l’indagine relativa all’estensione della Nullità parziale all’intero contratto deve essere condotta in senso SOGGETTIVO, con riferimento alla volontà “reale” o almeno “ipotetica” delle parti, considerata al momento della conclusione del contratto e questa deve essere ricostruita in via interpretativa attraverso i canoni offerti dall’art. 1362( INTENZIONE DEI CONTRAENTI: Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. 2c.Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto).a)Praticamente bisognava prima iniziare una difficile ricerca di ciò che le parti hanno disposto nell’ipotesi di nullità di una singola clausola o di una parte del contratto in ordine alle ripercussioni sull’intero contratto; In mancanza dell’accertamento di questo dato bisognava indagare su ciò che sarebbe stata la “probabile” o “presumibile” volontà delle parti di fronte alla “mutilazione” conseguente all’accertamento della nullità di una sua parte o di una clausola. Corollario di questa ricostruzione era poi l’affermazione secondo cui ai fini della “PROPAGAZIONE” della Nullità parziale all’intero contratto sarebbe sufficiente accertare che anche solo UNO dei contraenti non avrebbe concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da Nullità.Oggi invece assistiamo ad un progressivo tramonto delle teorie volontaristiche che ha indotto il progressivo abbandono di un approccio in chiave soggettiva/psicologica del giudizio di Nullità parziale, e che ha favorito l’approdo verso impostazioni di carattere “OGGETTIVO”, che fanno leva sul controllo di compatibilità tra l’assetto di interessi originario e quello che risulta dal contratto, depurato della parte o della clausola colpita da Nullità.

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Oggi infatti l’orientamento dottrinale che interpreta la valutazione espressa nel c.1 dell’art.1419 alla luce di criteri oggettivi è quello che riscuote più consensi in dottrina.Tale tesi soprattutto è condivisa dalla Giurisprudenza: questa infatti ad esempio fa dipendere l’estensione della Nullità all’intero contratto dalla circostanza che la clausola nulla si riferisca ad un elemento essenziale; o si trovi con altre pattuizioni in un tale rapporto di “interdipendenza” o “inscindibilità” che queste in modo autonomo non possono sussistere!; o ancora la tesi che lega la valutazione di essenzialità alla “perdurante utilità del contratto rispetto agli interessi con esso perseguiti”.Alla luce di un giudizio condotto in termini oggettivi, a partire, cioè, da una valutazione di compatibilità tra il contratto residuo (in termini di perdurante utilità) e assetto di interessi originario, si spiega come vada respinta, per difetto di interesse, l’invocazione dell’effetto estensivo ad opera della parte alla quale la nullità parziale arrechi soltanto vantaggi, per contenere il patto residuo solo clausole a questa favorevoli.!!!

Il rispetto della regola dell’autonomia, e, in particolare, della sistemazione di interessi stabilita dalle parti, fa invece da sfondo all’affermazione giurisprudenziale secondo cui il meccanismo della nullità parziale, di cui al c.1, può trovare ingresso solo “allorchè occorra amputare una parte del contratto senza la quale i contraenti avrebbero cmq raggiunto l’accordo”, e non anche “nel caso in cui occorrerebbe procedere, da parte del giudice, ad adeguamenti e rettifiche delle complessive prestazioni al fine del loro riequilibrio”.

Sempre all’interno di una valutazione condotta in senso rigorosamente “oggettivo” dei criteri di essenzialità, si inscrive la suggestiva tesi di Roppo che ricostruisce la funzione del giudizio di nullità parziale valorizzando opportunamente, oltre al richiamo al Principio della causa, l’impiego (in funzione integrativa) della clausola generale di buona fede, al fine di evitare soluzioni ingiuste.Praticamente in questo caso si osserva che la “riduzione” del regolamento contrattuale, conseguente alla nullità di una sua parte o clausola- nell’ipotesi disposta nell’esclusivo interesse di una della parti – si traduce in una alterazione dell’originario equilibrio dello scambio, sotto il profilo della distribuzione dei vantaggi, dei sacrifici e dei rischi tra i contraenti. in altre parole, il nuovo assetto di interessi non appare più sorretto dall’originaria ragione giustificativa (la causa in concreto); e di fronte alla parte che deduca la Nullità ex. Art.1419 c.1, il giudice che la dichiara applica una regola riconducibile al Principio della Nullità per difetto di CAUSA.Sotto altro profilo, la caduta della clausola può risolversi in fonte di profitti per una parte, e di perdite per l’altra. il richiamo alla clausola generale di “BUONA FEDE”, in funzione integrativa del giudizio di Nullità parziale, avrebbe appunto lo scopo di “frustrare” l’iniziativa scorretta della controparte che invochi, a seconda dei casi, il mantenimento parziale del contratto o la Nullità totale, allo scopo di conseguire “profitti non giustificati dal senso originario della prestazione”. In questa prospettiva, accertata la compatibilità tra “l’assetto d’interessi sotteso all’originario programma contrattuale e il diverso assetto d’interessi che scaturirebbe dal contratto residuo”, si è ritenuta “contraria a buona fede la pretesa della parte di sottrarsi ad un vincolo contrattuale che in sostanza equivale a quello assunto” con la conseguenza che la Nullità sarebbe parziale; MENTRE, per converso, ove risultasse compromessa “la logica originaria dell’intero contratto”, contraria a “buona fede” sarebbe la pretesa della parte di inchiodare l’altra al contratto stravolto”, con la conseguenza che la Nullità sarebbe totale. ROPPO.

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Tuttavia di fronte alle differenzi proposte ricostruttive tra volontaristi e anti-volontaristi, si deve riconoscere che il ricorso alla formula della c.d. “VOLONTA IPOTETICA” costituisce un espediente utile ad accertare la “resistenza” del piano di interessi originariamente concordato una volta che sia venuta meno la clausola Nulla.A ben vedere, insomma, la regola operativa che fa capo al criterio della c.d. “volontà ipotetica”, una volta abbandonate le “incerte suggestioni psicologiche”, rimanda pur sempre a criteri di giudizio obiettivi e cioè all’assetto di interessi che le parti hanno inteso realizzare.

3. La “depurazione” del regolamento di interessi in forza di un intervento sostitutivo eteronomo: RAPPORTO tra gli artt. 1419 c.2 e 1339.

A differenza del 1c. dell’art.1419 che stabilisce una regola che tende a salvaguardare l’autonomia negoziale privata, il c.2 pone invece una regola diretta a comprimerla.Infatti nel caso del c.2 dell’art.1419 il mantenimento del contratto viene imposto autoritativamente, in ragione della preminenza di interessi generali (o particolari “indisponibili”), senza aver riguardo alcuno alla regola dell’autonomia privata ed al concreto assetto di interessi programmato dalle parti. in altre parole, il meccanismo della sostituzione automatica della clausola nulla ad opera della corrispondente disciplina legale imperativa, mantiene in piedi il contratto e non serve a nulla invocare che le “parti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla Nullità”.in questo caso quindi è come se l’autonomia dei privati venisse messa fuori-gioco dal legislatore stesso, attraverso l’imposizione di un contenuto (della clausola) contrattuale difforme rispetto a quanto stabilito dalle parti.Sotto questo punto di vista vi è chi ha parlato di “manomissione” o di “espropriazione” dell’autonomia privata, conseguente all’operazione di c.d. “ortopedia contrattuale” realizzata attraverso il meccanismo di cui agli artt.1339 e 1419 c.2, e che produce il risultato di far “rimanere in vita un regolamento di interessi che in origine ERA espressione di autonomia privata MA che in seguito alle modificazioni introdotte non piò più essere riferito ad essa.A tal proposito può condividersi quindi l’opinione che colloca la regola operativa prevista dal c.2 dell’art.1419 “del tutto al di fuori del fenomeno della Nullità” e la riconduce piuttosto al meccanismo dell’integrazione legale cui la norma rinvia. Nel contempo però bisogna osservare che tale meccanismo non raggiunga il “PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE”, in quanto con la sostituzione operata dalla legge non si tratta più di conservare l’operazione economica voluta dalle parti, QUANTO piuttosto di far rimenere in vita una determinata realtà produttiva di effetti.

Proprio per questo motivo, cioè il voler preservare il più possibile il disegno originario frutto della determinazione delle parti, si spiega perché parte della Dottrina e della Giurisprudenza tenda ad attribuire un “carattere eccezionale” alla sostituzione imperativa di tali clausole o parti nulle, nel senso di ritenere che la sostituzione della clausola Nulla potesse avvenire solo ad opera di una espressa previsione, la quale oltre a comminare la Nullità di una determinata clausola, ne imponga anche la sostituzione con una specifica norma imperativa!!!. es: Contr. Prel. Di Vendita.

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L’indirizzo dottrinale e giurisprudenziale più recente è invece ormai decisamente orientato a ritenere che l’operatività degli artt.1419 c.2 e 1339 non sia condizionata dall’espressa previsione di una norma sostitutiva, la quale può desumersi anche dalla “RATIO” della norma che dispone la nullità della clausola.

Anche in sede di interpretazione del 2c. dell’art.1419, sembra riproporsi la questione relativa al significato e alla portata da attribuire al termine “CLAUSOLA”.In proposito abbiamo già accennato alla tendenza che accomuna dottrina e giurisprudenza prevalenti, a proporre una nozione unitaria di “clausola”, quale “precetto dell’autonomia privata isolato e isolabile nel contesto del contratto, che la legge non considera separabile nelle sue varie proposizioni”. Da ciò la giurisprudenza ricava il corollario per cui, ove la nullità colpisca solo una parte della clausola precetto, la sostituzione della norma imperativa non può che avvenire con riguardo all’intera clausola” e non mediante la trasfusione di una parte soltanto della norma in quella parte della clausola che ne determina la Nullità.N.B. La dottrina più attenta però dice che non sempre è accoglibile questa definizione di clausola o meglio che questa va bene nelle ipotesi in cui la si debba valutare ai fini del c.1 art.1419 ma non ai sensi del c.2

Un’altra problematica che si è posta è quella che riguarda i riflessi sulla sorte del contratto nel caso di una norma imperativa sopravvenuta che riguardi il contenuto di una clausola contrattuale. La risposta è strettamente legata alla soluzione che si ritenga di accogliere in ordine all’ammissibilità o meno della figura della Nullità sopravvenuta:a)per chi la ritenga ammissibile si prospetta così una Nullità parziale sopravvenuta con sostituzione-integrazione della clausola (diventata) nulla con la norma cogente;b)per chi non ritenga di ammetterla, l’incidenza della disciplina cogente sarà limitata al piano degli effetti,nel senso che “l’efficacia dell’originaria clausola contrattuale rimane paralizzata in via definitiva, e gli effetti scaturiscono ormai dallo schema legale che ne costituisce la fonte esclusiva”. (tesi accolta dal libro).???

Altrettanto discussa è poi la relazione che si instaura nel meccanismo integrativo-sostitutivo tra gli art.1419 e 1339.a)vi è chi giudica il 1419 come una mera ripetizione del 1339 e quindi secondo l’espressione che usa il MIRABELLI “non necessaria ma opportuna”b)o ancora vi è chi inverte questo rapporto, attribuendo quindi un ruolo preminente all’art.1419 c.2c)vi è invece anche chi assegna a ciascuna un proprio rilievo ed una autonoma funzione.

L’opinione che sembra preferibile è quella che delinea il rapporto tra l’art.1419 c.2 e la previsione contenuta nell’art.1339, non tanto in termini di antitesi o di sovrapposizione, ma di “COMPLEMENTARIETA’”, nel senso che ognuna di esse contribuisce a disegnare l’ambito di applicazione dell’altra, pur rimanendo le 2 disposizioni autonome sotto il profilo della rispettiva “RATIO”: L’art.1339 si presenterebbe, infatti, come norma generale che indica “quando” si verifica la sostituzione che è presupposta dal 2c. dell’art.1419 quest’ultima a sua volta, si limiterebbe a recepire il fenomeno sostitutivo previsto in altre norme e a disciplinarne gli effetti

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rispetto al problema della Nullità Parziale, nel senso cioè di rendere automatica la sostituzione anche là dove questa non sia espressamente prevista dalla norma violata.N.b: Poiché l’intervento sostitutivo eteronomo si realizza, in virtù del combinato disposto degli artt.1339 e 1419 c.2, anche attraverso l’inserzione di norme che dispongono… prezzi di beni o di servizi, si è osservato che è frequente che l’intervento sostitutivo abbia un valore correttivo dell’equilibrio contrattuale. A tal proposito si pensi alla nullità delle clausole di un contratto di locazione di immobili urbani ad uso abitativo che, anteriormente all’entrata in vigore della L.431/1998, attribuivano al locatore un canone maggiore rispetto a quello stabilito in applicazione dei criteri di legge, e in cui la sostituzione con la corrispondente disciplina cogente svolgeva proprio una funzione potremmo dire correttiva del sinallagma contrattuale.

4. Segue. Un po’ di Casistica

Le applicazioni giurisprudenziali del meccanismo sostitutivo di cui all’art.1419 c.2 sono svariate.Tuttavia faremo una breve esposizione di casistica esemplificativa, in tema di locazione ad uso abitativo e non (nel regime anteriore alla L.431/1998), e di edilizia residenziale, con particolare riferimento al vincolo di destinazione impresso alle aree destinate a parcheggio negli edifici di nuova costruzione.

a)Locazione.In tema di locazione, il ricorso al meccanismo della sostituzione automatica di cui all’art.1419 c.2, trova frequente impiego nelle ipotesi di Nullità ex art.79, delle clausole che prevedano una durata inferiore al termine previsto, nonché le pattuizioni relative alla fissazione di un canone superiore a quello ritenuto “equo” in base ai criteri stabiliti dalla L.392/1978.Per quanto riguarda il primo profilo, e sotto il vigore della L.392/1978, si è affermato che le norme inderogabili introdotte dagli artt. 58 e 65 in ordine alla durata dei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione, sono inserite di diritto nei contratti in corso, ai sensi dell’art. 1339, in sostituzione delle clausole difformi previste dalle parti, le quali vengono eliminate ai sensi dell’art.79 senza che dalla Nullità di tali clausole possa derivare la Nullità dell’intero contratto.Sotto il secondo profilo, invece la Cassazione ha fatto applicazione del medesimo principio con riguardo alla pattuizione relativa all’ammontare del canone di locazione.Praticamente nella specie si tratta di una locazione stipulata nel regime e secondo il modello dei c.d. “patti in deroga”, in cui la pattuizione di un Canone superiore a quello “equo” è valida, MA a condizione che il locatore rinunci alla facoltà di disdire il contratto alla prima scadenza, ed espressamente convenga il rinnovo obbligatorio della locazione per un’ulteriore durata di 4 anni. Tale Rinuncia si spiega alla luce dello stretto nesso funzionale che lega il vantaggio del maggior canone attribuito al locatore con quello però della maggiore stabilità del rapporto a favore del conduttore.

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Allora, la RINUNCIA del Locatore dev’essere espressa e riportata nel testo contrattuale in maniera chiara ed univoca, costituendo un elemento essenziale dell’ACCORDO NEGOZIALE in deroga alla normativa generale in tema di Locazioni ad uso abitativo.Poiché dal Contratto non risultava che il Locatore avesse espressamente rinunziato alla possibilità di dare disdetta prima della scadenza, il giudice ha ritenuto lo schema contrattuale adottato dalle parti non riconducibile al modello previsto dalla normativa sui “patti in deroga”. Da qui è scaturita la Nullità, ex art.79 L.392/1978, della pattuizione di un canone superiore a quello legale “equo”, e la conseguente “sostituzione automatica della clausola difforme, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 2c., con le norme inderogabili attinenti alla durata e al canone legale.ESEMPIO: Sempre in tema di Nullità della pattuizione di un canone di locazione superiore alla misura legale, stipulato nel regime della L. 1978, la Cassazione ha precisato che la clausola continua ad essere nulla anche dopo la tacita rinnovazione del contratto in epoca successiva alla nuova disciplina prevista dalla L.431/1998.ESEMPIO: Allo stesso modo e sempre in applicazione del meccanismo sostitutivo/integrativo di cui al c.2 dell’art.1419, la Cassazione ha escluso che la Nullità della clausola di un Contratto di Locazione ad uso non abitativo, che fissava la durata in misura inferiore al termine minimo di legge (per l’esattezza 1 anno, anziché 6) comporti la Nullità dell’intero contratto, in quanto questa viene sostituita dalla corrispondente disciplina legale.ESEMPIO:La Cassazione, in una recente decisione (2005), anche questa relativa ad un contratto di locazione ad uso non abitativo, ha affermato il Principio per cui la regola prevista dal c.2 dell’art.1419, esclude che possa dichiararsi la Nullità dell’intero contratto in considerazione di un vizio del consenso originato da un errore di diritto essenziale che cade sulla clausola nulla, ove questa sia sostituita da norma imperativa, poiché l’essenzialità della clausola rimane esclusa dalla stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico.Il caso concreto: Il conduttore di un immobile adibito ad Albergo, che il locatore aveva venduto ad un terzo, esercitava nei confronti dell’acquirente il “diritto di riscatto” ai sensi dell’art.39 L. 392/1978, assumendo che l’alienazione era avvenuta in violazione della “PRELAZIONE” che gli spettava.Sempre il conduttore deduceva che la disciplina dei patti in deroga di cui all’art.11 L.359/1992, che le parti del contratto avevano richiamato al fine di escludere Il “diritto di prelazione” del conduttore, non era applicabile alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione.. in questo caso era un Albergo, ragio per cui la clausola di rinuncia preventiva al diritto di prelazione doveva ritenersi nulla ai sensi dell’art. 79 della L. 392/1978 e sostituita di diritto dalla normativa di cui agli artt. 38 e 39 L. 392/1978.Dall’altra parte il convenuto-acquirente domandava in via riconvenzionale la Nullità o l’Annullabilità del contratto di locazione, deducendo che lo stesso era stato stipulato sul presupposto comune che, dovendo ad esso applicarsi la disciplina dei patti in deroga (art.11 L.359/1992), fosse valida la pattuizione di rinuncia del conduttore al Diritto di prelazione e riscatto.DECISIONI: Il Trib. Di 1° grado rigetta sia la domanda principale che quella riconvenzionale.La Corte D’Appello, invece dichiara l’avvenuto riscatto ed il conseguente trasferimento dell’immobile locato a favore del Conduttore, in virtù della Nullità, ex art.79 L. 1978 della clausola di rinuncia alla Prelazione e della sua sostituzione, ex art.1419 2c. con le norme imperative di cui agli artt. 38 e 39.

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La Cassazione, conferma la sentenza dalla Corte D’Appello, a partire dalla premessa per cui l’art. 11 L.359/1992 (sui c.d. patti in deroga) si applica soltanto ai contratti di Locazione ad uo abitativo, MENTRE per le Locazioni ad uso non abitativo resta vigente la Disposizione dell’art.79 della L. 1978, la quale rende nulla e sostituita di diritto dalle norme imperative degli artt. 38 e 39, la contraria previsione pattizia di rinuncia del conduttore al suo “diritto di prelazione” e di “riscatto” sull’immobile locato in caso di sua alienazione ad opera del locatore.N.b. Questa decisione conferma il principio della Cassazione per cui la regola della sostituzione prevista dal 2c. dell’art.1419, esclude che possa dichiararsi la Nullità dell’intero contratto anche in considerazione di “un vizio del consenso originato da un errore di diritto essenziale che cade sulla clausola nulla, ove questa sia sostituita da norma imperativa” Ricorda: infatti il convenuto-acquirente nella domanda riconvenzionale aveva domandato la Nullità o l’Annullabilità del contratto di locazione, deducendo che lo stesso era stato stipulato sul PRESUPPOSTO COMUNE CHE DOVENDOSI AD ESSO APPLICARE la disciplina dei “patti in deroga” (L.1992) fosse valida la pattuizione di Rinuncia del Conduttore al Diritto di Prelazione e Riscatto.

b)Edilizia. Aree destinate a parcheggio.

Alla base del vincolo di destinazione degli spazi adibiti a parcheggio nelle nuove costruzione ex art.41 sexies L.1150/1942, abbiamo già detto che vi sono finalità di Pubblico Interesse e che ogni pattuizione che sottragga tali spazi alla funzione loro assegnata dalla legge è NULLA. In questo caso, si crearono nuove confusioni dopo l’entrata in vigore della L. 1985, la quale definiva “pertinenze” delle costruzioni gli spazi destinati a parcheggio. La Cassazione intervenì per specificare che quelle pertinenze erano pertinenze forzose o coattive nonostante cmq essendo pertinenze in effetti potessero formare oggetto di separati Atti e rapporti giuridici( ai sensi dell’art.818 c.2), fermo restando però quel vincolo pubblicistico di destinazione ovvero il vincolo a parcheggio.Da ciò ne consegue che il contratto di vendita con il quale il proprietario di un edificio, alienando singole unita immobiliari, riservi a sé (oppure trasferisca a terzi) la proprietà delle aree destinate a parcheggio, sottraendole alla loro inderogabile destinazione “E’ AFFETTO DA NULLITA’ PARZIALE, CON CONSEGUENTE NECESSITA’ DI PROCEDERE ALL’INTEGRAZIONE DELLA FATTISPECIE NEGOZIALE MEDIANTE SOSTITUZIONE OPE LEGIS DELLA CLAUSOLA AFFETTA DA NULLITA’, E CONSEGUENTE ATTRIBUZIONE ALL’ACQUIRENTE DEL DIRITTO REALE D’USO SUL BENE.Tuttavia N.b.: In tali ipotesi delle pronunce hanno affermato a favore del venditore originario (e non dei successivi acquirenti) il diritto all’integrazione del prezzo, che ha la funzione di riequilibrare il sinallagma funzionale del contratto.

5.La Nullità parziale c.d. “ NECESSARIA ”.

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Allora la cornice di Principi che riguardano la Nullità Parziale, potremmo dire che quasi entra in crisi dinanzi alle sempre più numerose ipotesi di NULLITA’ c.d. “protettive”.In questi casi si parla di “Nullità parziale necessaria”, cioè proprio per designare quelle ipotesi in cui il legislatore nel prevedere espressamente la Nullità di una o più clausole contrattuali, mette fuorigioco non solo il giudizio di “essenzialità” di cui all’art.1419 c.1, ai fini dell’estensione della Nullità dell’intero contratto, MA anche l’operare del congegno sostitutivo-integrativo della Clausola Nulla con la corrispondente disciplina imperativa violata di cui al c. 2 art.1419, imponendo la conservazione dell’assetto di interessi programmato, depurato dalla sola clausola colpita dalla Nullità.Anche in questo caso la deviazione dai principi comuni si spiega, proprio in ragione della finalità protettiva del rimedio nei confronti del contraente debole, la quale si realizza privilegiando, finchè è possibile, la conservazione del contratto piuttosto che alla sua demolizione.Tale finalità finirebbe per essere frustrata se, all’esito di una valutazione condotta alla stregua del c.1 dell’art.1419, la clausola si rivelasse essenziale con la conseguenza che il contratto sarebbe travolto nella sua interezza pregiudicando in tal modo l’interesse sostanziale, cui si dirige la protezione.La stessa sorte, d’altro canto, toccherebbe al contratto ove la lacuna creata dallo stralcio della clausola nulla non potesse venire colmata per difetto della disciplina imperativa sostitutiva ex. Art,1419 2c., la cui operatività è invece condizionata proprio dall’esistenza di norme imperative sostitutive.

Il ricorso a questa tecnica di “conservazione autoritativa” del regolamento contrattuale al di fuori dei meccanismi di ortopedia di cui al c.2 dell’art. 1419 si inaugura, nelle normative di settore a tutela di categorie di contraenti in posizione di asimmetria di potere contrattuale, con la disciplina in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 358/1993).In tale contesto, alle numerose ipotesi di Nullità previste dal T.u. si associa talora un trattamento teso ad imporre, nell’interesse del contraente protetto, la conservazione del patto residuo: ESEMPIO: nell’art. 117, il quale, dopo aver indicato alcuni aspetti di contenuto minimo del contratto, dispone al c.6, che “sono nulle e si considerano non apposte” le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione, nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”. E se ne prevede l’integrazione legale ad opera della norma di cui al comma successivo, letta e b; ma ove non sia stato assolto l’onere pubblicitario, imposto dall’art.116 “nulla è dovuto”.

Analoga è anche la disciplina prevista a tutela del contraente nei contratti di credito al consumo all’art. 124,cc. 4-5, in cui si dispone la Nullità delle clausole di rinvio agli usi “per la determinazione delle condizioni economiche applicate”, le quali si considerano “NON APPOSTE” e “SOSTITUITE DI DIRITTO” con la disciplina, in sé dispositiva, prevista nel c.5 lett. A b C.

Tuttavia non vi è dubbio che il referente di maggior impatto sul sistema del Codice, sia (stato) rappresentato, da questo punto di vista, dall’art. 1469-quinquies c.1, “ove espressamente si

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dispone(va) l’inefficacia della sola clausola abusiva, nella salvezza della restante parte del contratto.A tal proposito sono note le vicende che hanno condotto alla ambigua formulazione della norma e le dispute dottrinali in ordine alla scelta dell’inefficacia in luogo della Nullità; nonché gli sforzi tesi alla ricerca di una soluzione che non si risolvesse in pregiudizio delle ragioni del consumatore. Più in particolare evitando che l’inefficacia della clausola, ove eccepita dal professionista, e in difetto di una disciplina imperativa sostitutiva, rimetesse in gioco il giudizio di “essenzialità” di cui al c.1 dell’art. 1419, con il rischio di travolgere nella Nullità l’intero contratto.Tutto ciò è stato evitato dal legislatore, con l’adozione, nell’art. 1469 quinquies c.1, della regola secondo cui le “ clausole vessatorie… sono inefficaci MENTRE il contratto rimane efficace per il resto”, che, unita all’altra, per cui “l’inefficacia opera solo a vantaggio del consumatore c.3”, completa e rafforza la tutela riservata a quest’ultimo nei confronti del professionista in quanto a quest’ultimo verrà precluso di invocare la Nullità totale del contratto ex art.1419 c.1, che verrà invece mantenuto, a vantaggio del consumatore, secondo il nuovo equilibrio conseguente allo stralcio della clausola Nulla.Tuttavia và comunque detto che, che qualora la clausola fulminata da Nullità, si riveli “essenziale” ai fini della “tenuta” del complessivo assetto di interessi, al punto che il suo stralcio o eliminazione finisca per privare di ogni funzionalità residua, sotto il profilo causale, l’operazione economica, sarà inevitabile la NULLITA’ TOTALE del contratto, a prescindere dall’eventuale interesse del contraente debole alla sua “conservazione”.(Gentili, il quale richiama l’ipotesi di una clausola relativa alla determinazione dell’oggetto del contratto o all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi (che di regola è estranea alla valutazione di abusività ex art. 1469 ter, c.2), ma che diviene abusiva in quanto non formulata in modo chiaro e comprensibile. In tal caso la caduta della clausola nulla determinerebbe senz’altro la compromissione dello scambio, e dunque la nullità dell’intero contratto.

Il recente intervento legislativo, che ha riordinato la legislazione sui consumatori, ha operato una scelta più netta, optando senza esitazioni per la Nullità “di protezione”.Successivamente alla disciplina dei contratti del Consumatore, vi sono state altre previsioni di Nullità parziale che hanno arricchito il panorama normativo.Ad esempio l’art. 1815 c.2, dispone la Nullità della clausola attraverso la quale sono convenuti interessi usurari, senza prevedere sostituzioni di sorta, ma affermando che “non sono dovuti interessi”.

6.La NULLITA’ PARZIALE SOGGETTIVA: IL CONTRATTO PLURILATERALE

RATIO, funzione e criteri di decisione del giudizio di nullità parziale di cui all’art.1419 accomunano anche le ipotesi in cui la Nullità colpisca il vincolo relativo alla partecipazione di una sola delle parti in un rapporto contrattuale con pluralità di parti.Il riferimento, è alla fattispecie del Contratto plurilaterale, che la prevalente dottrina vede realizzata nella contemporanea presenza di un elemento strutturale, costituito per l’appunto dalla pluralità di parti, e di un elemento “FUNZIONALE”, rappresentato cioè dalla comunione di scopo cui tendono le prestazioni di ciascuna parte.

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-->Nell’eccezione prevalentemente accolta, il contratto plurilaterale appartiene quindi al più vasto GENUS dei contratti “ASSOCIATIVI”, ad es. Società, associazioni, consorzi, con i quali si condivide l’elemento della Comunione di Scopo.Vi è anche una parte della Dottrina che estende la nozione di contratto plurilaterale, al punto da ricomprendervi anche i contratti caratterizzati da una pluralità di parti, ma in cui le prestazioni non sono “dirette al conseguimento di uno scopo comune” (ad es. divisione, regolamenti di condominio, contratti di gioco).Entrando di più nello specifico, il criterio che guida il giudizio di Nullità Parziale è affidato alla valutazione di “essenzialità”, riferita questa volta al vincolo di partecipazione di una delle parti: La “CONSERVAZIONE” del contratto non si fonda quindi su un criterio di carattere “soggettivo”, teso cioè a ricostruire la volontà (ipotetica o reale) delle parti, ma su un criterio di carattere “oggettivo”, diretto a valutare la permanente idoneità del contratto a realizzare gli scopi programmati, nonostante il venir meno della parte, il cui vincolo è colpito da Nullità.in concreto si tratterà di valutare se la caduta della partecipazione (nulla) pregiudichi o meno la possibilità di conseguire lo scopo comune, e in definitiva, la realizzazione di quello che è il complessivo assetto di interessi programmato. Più precisamente, e in adesione alla linea di pensiero che valorizza l’impiego –in funzione integrativa- della clausola generale di buona fede all’interno del giudizio di nullità parziale, può affermarsi che la caduta dell’intero contratto sarà un esito scontato là dove il venir meno della partecipazione viziata “crei a carico delle altre parti uno sconvolgimento dell’economia complessiva del contratto, così grave cioè da rendere ingiusto e irragionevole (contrario a buona fede) il vincolo contrattuale nei loro confronti..Alla luce di tali principi ad esempio la Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’art.1420, per ricondurlo invece all’art. 1419, la fattispecie di un contratto preliminare di compravendita con pluralità di promittenti venditori, ciascuno in qualità di comproprietario del bene oggetto di trasferimento, in cui la causa di Nullità riguardava soltanto uno di essi, in quanto in questo caso seppur vi è una comunione di scopo (cioè la vendita) ciò non riguarda immediatamente tutte le parti.La regola sulla Nullità Parziale Soggettiva invece ad esempio è stata ritenuta applicabile al “contratto di transazione”, in quanto risulta caratterizzato da una pluralità di centri di interesse.

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CAPITOLO V

IL RECUPERO DEL CONTRATTO NULLO

1.Il dogma dell’insanabilità del contratto nullo… e le eccezioni: Le ipotesi classiche di sanabilità mediante “esecuzione”.Proprio il diverso fondamento sostanziale della Nullità rispetto all’Annullabilità è la ragione che comunemente viene posta alla base del Principio che esclude, quantomeno di regola, la “convalida” del Contratto Nullo (art.1423), e che si riflette nella sequenza degli altri noti corollari: Legittimazione assoluta, rilevabilità d’ufficio, imprescrittibilità, insanabilità.Tale principio ovviamente appare coerente con la circostanza che il rimedio sia stabilito a presidio di interessi generali, e sia quindi sottratto alla disponibilità delle parti; nello stesso tempo si accorda con la regola della legittimazione estesa a far valere la Nullità, la quale certamente non potrebbe nello stesso tempo consentire una legittimazione alla convalida parimenti estesa, con il risultato di mettere a rischio l’intero sistema dei traffici e la sicurezza delle contrattazioni.Proprio in questa prospettiva ad esempio si spiega perché neppure l’esecuzione spontanea del Contratto importi la “convalida”; oppure perché allo stesso modo, sia esclusa l’ammissibilità di una rinuncia all’azione di Nullità, in quanto se la stessa fosse ammessa eluderebbe il divieto imposto dall’art. 1423 (Inammissibilità della Convalida: il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente).

Tuttavia l’interrogativo che si pone, è, se di fronte alle numerose ipotesi di Nullità c.d. protettive che sono emerse nell’attuale panorama legislativo, alla espressa previsione di una legittimazione riservata in capo al contraente debole non valga ad attribuire a quest’ultimo un “potere di convalida” del Contratto (o della clausola nulla), analogo a quello che l’art. 1444 attribuisce al contraente legittimato ad agire per l’annullamento.Tale quesito trova per lo più una risposta negativa in dottrina.E da un lato proprio in ragione della ratio protettiva delle previsioni di nullità disposte a tutela di contraenti in posizione di asimmetria di potere contrattuale, la quale orienta a “precludere la convalida e lasciare sempre possibile la contestazione del negozio; ad evitare -si osserva- “che la stessa debolezza contrattuale che ha indotto a concluderlo non porti, dietro una pressione della controparte a convalidarlo, frustrando così definitivamente quello che è lo scopo legislativo”.Dall’altro in ragione della stretta compenetrazione tra interessi particolari o seriali e interessi generali, che caratterizza la gran parte delle nullità protettive, e in cui la legittimazione riservata al singolo contraente, quale esponente della categoria protetta, non implica una completa disponibilità del rimedio, come sarebbe se la semplice inerzia o la volontaria e consapevole esecuzione potessero integrare una convalida.Com’è noto, entro la riserva contenuta nell’art. 1423, si è soliti ricondurre le ipotesi di cui agli artt. 799 e 2126, relative rispettivamente alla donazione nulla, la cui nullità “non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante, che, conoscendo le cause della Nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione o vi abbiano dato volontaria esecuzione, e al contratto di lavoro nullo, in cui si prevede che la “nullità non produce effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione”.

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Tuttavia ciò che va notato è che, le modalità attraverso cui avviene il “recupero” dell’atto nullo inducono tuttavia ad escludere la configurazione di una vera e propria sanatoria, che sia analoga o assimilabile al diritto potestativo attribuito alla parte cui spetta l’azione di annullamento ex art. 1444: e ciò anche nelle situazioni, ormai numerose, in cui la legittimazione a far valere la nullità sia espressamente riservata al solo contraente protetto.A ben vedere, infatti, le ipotesi richiamate non rappresentano altrettante eccezioni, alla regola generale dell’art.1423, sotto il profilo della “con validità” dell’atto, bensì contraddicono semmai l’altra regola- non scritta e smentita dalla disciplina positiva- della radicale e assoluta inefficacia del contratto nullo. Non a caso una parte consistente della dottrina- pur partendo da differenti premesse argomntative- tende a ricondurre le ipotesi in questione entro un più ampio e generale fenomeno di “sanatoria”, o meglio “recupero” degli effetti della disposizione nulla, attuato mediante un’attibità di conferma o attraverso condotte esecutive.Così è ad esempio, con riguardo alla conferma o all’esecuzione della donazione nulla prevista dall’art. 799, comportamenti che pure sembrerebbero riflettere le 2 forme di convalida (rispettivamente espressa o tacita) secondo il modello previsto dall’art. 1444. Tale accostamento viene per lo più respinto dalla dottrina prevalente, la quale sottolinea, per contro, le differenze tra “conferma” e “convalida” sotto il profilo della necessaria identità soggettiva tra i protagonisti della vicenda “sanante”: così, mentre legittimata alla convalida del contratto annullabile è la stessa parte che può agire per l’annullamento, legittimati alla conferma della donazione nulla sono, invece, solo gli eredi o gli aventi causa dal donante, dopo la sua morte, e non quest’ultimo né tanto meno il donatario.Ma soprattutto si esclude, che in presenza di più legittimati, l’eventuale conferma proveniente da uno solo possa spiegare una definitiva efficacia sanante dell’atto nullo, lasciando sempre aperta la possibilità dell’impugnazione da parte degli altri; con il risultato che ove uno solo di questi agisca vittoriosamente per la nullità, l’intera attribuzione patrimoniale finirebbe per essere irrimediabilmente travolta , con effetti nei confronti di tutti i legittimati ad impugnarla, compresi coloro che abbiano confermato.

Ancora sempre in chiave di eccezione alla regola dell’art. 1423 viene poi ricostruita la fattispecie contemplata dall’art. 2126, in cui, pur a fronte di un contratto di lavoro nullo (purchè non illecito) – e con l’evidente scopo di tutela del lavoratore- il legislatore dispone la salvezza della prestazione lavorativa “di fatto” eseguita, che pertanto non verrebbe travolta dalla dichiarazione di Nullità. MA, in proposito la dottrina non attribuisce al fatto dell’esecuzione alcuna autentica efficacia sanante, ravvisando piuttosto un recupero della regola contrattuale tramite il ricorso alla categoria dei rapporti contrattuali di fatto.Un trattamento analogo è previsto ad esempio dall’art. 2,c.1 L.192/1998, per l’ipotesi di Nullità del contratto di subfornitura per difetto della forma scritta, ove si prevede che “il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate”. Anche qui la disposizione costituisce deroga ai principi generali in tema di retroattività della sentenza di Nullità ed è sorretta da una analoga ratio di tutela del subfornitore quale poarte debole del rapporto.

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3.La Conversione: Ratio e ambito di applicazione.

Il dogma della insanabilità, quale connotato indefettibile del contratto nullo, viene ancora più incrinato dall’istituto della CONVERSIONE.- Da un lato l’art.1424 rafforza l’idea che il contratto, pur inefficace sotto il profilo della vincolatività del regolamento di interessi programmato (la c.d. “forza di legge” per intenderci), è capace di effetti, seppur diversi e minori rispetto a quelli tipici;- Dall’altro dà sostegno a tutte quelle opinioni che tendono a distinguere la categoria della Nullità, come qualificazione negativa dell’atto di autonomia, dalla figura dell’inesistenza come irriconoscibilità cioè come “irriconoscibilità dell’atto concreto nella fattispecie prevista come strumento di autonomia”.

Tanto per cominciare, cominciamo col dire che il fenomeno della CONVERSIONE consiste nel meccanismo per cui si opera la “trasformazione” del contratto nullo in uno “diverso” da quello originariamente concluso, e di regola ad efficacia ridotta o minorata, ma pur sempre idoneo a realizzare lo scopo pratico perseguito dai contraenti.

1°Tesi: Appartiene all’insegnamento tradizionale l’affermazione per cui l’istituto della CONVERSIONE costituisca una delle più significative applicazioni del “principio di conservazione”, essendo diretto a “recuperare”, per quanto possibile, gli effetti dell’autonomia negoziale.2°Tesi: un’altra ricostruzione dell’istituto, viene inevece suggerita da chi, ponendo l’accento sulla “trasformazione qualitativa rispetto al voluto”, quale esito della conversione in senso sostanziale, è portato ad individuarne la ratio nel principio di buona fede, ravvisando un’applicazione del principio di conservazione nella sola conversione c.d. FORMALE.

DISCUSSIONE“Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso..”: Quindi presupposto fondamentale della CONVERSIONE è dunque la presenza di un contratto nullo, cioè un atto che “alla stregua della valutazione sociale risponda alla nozione di contratto. Và da se quindi –per chi ammette la rilevanza della distinzione tra Nullità ed inesistenza- che non sia suscettibile di conversione un atto concreto, in cui non possa riconoscersi, per difetto di elementi minimamente sussumibili nel corrispondente nomen iuris, la fattispecie astratta prevista dal legislatore all’art. 1321.Sempre l’art.1424 recita “il contratto Nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso..”, da qui quindi si ricava inoltre la possibilità di convertire per l’appunto un contratto nullo in un tipo diverso, e pure in un contratto atipico, restando però per contro però esclusa la convertibilità di un contratto (nullo) in un negozio unilaterale(perché questo nn è un contratto). Tuttavia, anche in questo caso non mancano opinioni di segno contrario, le quali però fanno leva non tanto sulla diversa natura ontologica dell’atto quanto allo scopo pratico che le parti intendevano realizzare attraverso il contratto nullo: così se la nuova veste dell’atto di autonomia consente il conseguimento di un risultato analogo rispetto al contratto nullo, e qualora sussistano gli altri presupposti, la conversione dovrebbe poter operare..tesi di Nuzzo.

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Discussa è poi l’applicabilità della CONVERSIONE al contratto annullabile, una volta pronunciato l’annullamento. Sembra da preferire la soluzione negativa, innanzitutto perché il legislatore in realtà ha previsto un diverso strumento di recupero del contratto annullabile, rappresentato dalla Convalida ex. Art. 1444; In secondo luogo, in ragione del fatto che solo la parte nel cui interesse è previsto il potere di agire per l’annullamento è arbitra della sorte del contratto, mentre il “rimedio” della CONVERSIONE, proprio per il suo modo di operare talvolta potrebbe risolversi in una sorta di imposizione del “diverso” contratto alla parte che intende invece mantenere l’assetto di interessi nei termini originariamente programmati.

Opinioni discordanti infine, si registrano, in ordine all’ammissibilità della CONVERSIONE nei casi di illiceità del Contratto; non invece in quelli di semplice illegalità a condizione però che si attribuisca rilievo alla distinzione tra contratto illecito e contratto illegale.Tuttavia con riguardo al “contratto illecito” sembra opportuno distinguere l’ipotesi in cui l’illiceità riguardi la causa (l’oggetto o il motivo comune), e cioè il risultato pratico che le parti originariamente avevano inteso perseguire, il quale ovviamente non potrà realizzarsi tramite il contratto convertito, il quale nuovamente non potrebbe sfuggire al giudizio di Nullità;La CONVERSIONE potrebbe invece ritenersi ammissibile limitatamente ai casi in cui l’illiceità non riguardi lo scopo pratico perseguito, bensì il contenuto della prestazione (ad es. contrarietà a norme imperative), e questa sia “rimodellata” o “surrogabile” con un’altra, conforme alla legge e allo scopo originariamente perseguito dai contraenti.

3.Segue. Presupposti e modo di operare Ai fini dell’operatività della CONVERSIONE la norma richiede la necessaria identità tra i requisiti di sostanza e di forma del contratto nullo e quelli del contratto “diverso”:il richiamo ai “requisiti di sostanza” è da intendersi riferito agli elementi essenziali, sotto il profilo dell’esistenza e determinatezza dei soggetti (nonché necessaria identità di questi con le parti del contratto nullo), della sussistenza della causa, dell’oggetto ( e dei suoi requisiti); mentre i requisiti di forma sono quelli richiesti dalla legge per la validità del Contratto risultante dalla Conversione.

Il fuoco del dibattito dottrinale si concentra sul presupposto fondamentale della conversione, vale a dire cioè sulla individuazione del criterio giudiziale di composizione del delicato equilibrio tra i 2 fattori che si contendono il primato del meccanismo della conversione: autonomia privata e legge.Sotto questo profilo, la formula utilizzata dall’art.1424 in un certo senso riecheggia, quella che il legislatore utilizza in sede di giudizio di “Nullità Parziale” ( art. 1419 c.1) : “Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso… qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la Nullità”.A tal proposito potrebbero richiamarsi le considerazioni che abbiamo svolto commentando l’art. 1419 c.1.Più in particolare, anche in questo caso, si ripropone il contrasto tra teorie “soggettive” e “oggettive”, quale riflesso dell’antica disputa intorno alla teoria del negozio:

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SOGGETTIVE: Sono orientate ad attribuire rilievo preminente, nel meccanismo della Conversione, alla volontà (“reale”,”presunta”, implicita o meglio) “ipotetica” delle parti, diretta alla conclusione del “diverso” contratto, che il giudice è perciò chiamato ad accertare;OGGETTIVE: Queste, all’opposto, sono orientate a ricondurre il meccanismo della Conversione alla “volontà della legge” e, in definitiva, all’attività dell’interprete, il quale è tenuto a valutare la compatibilità dell’asseto di interessi oggettivamente realizzabile tramite il contratto “diverso”, con lo scopo pratico che quello Nullo originariamente era diretto a perseguire, al di là quindi di ogni riferimento alla volontà “reale”, presunta, o ipotetica delle parti.

L’esigenza di un superamento, o almeno di un contemperamento, tra le 2 posizioni entrambe in un certo senso estreme sembra avvertita da chi ricollega il fondamento della Conversione più che al “principio di conservazione”, a quello di “BUONA FEDE”(DE NOVA). In particolare si osserva che “la parte, convenuta per l’esecuzione del Contratto, non può opponendone la Nullità, liberarsi dal vincolo, quando esistono i presupposti perché il contratto produca effetti sia pur diversi da quelli del contratto precedentemente concluso; --- N.B. quando questi “diversi” effetti appaiono in linea con lo scopo pratico perseguito, nel senso cioè che “siano coerenti col programma contrattuale elaborato dalle parti”. E’ ovvio in questi casi che la condotta della parte che insiste per la Nullità del Contratto, di fronte a quella che invece oppone la sussistenza dei presupposti per la Conversione, non può che apparire contraria alla “BUONA FEDE”.In quest’ordine di idee, volendo richiamare ancora la “Volontà Ipotetica” si potrà fare riferimento e affermare l’idoneità del Contratto Sostitutivo “ di conseguire in misura accettabile gli obiettivi programmati dai contraenti, essendo sostanzialmente conforme ai loro interessi”.in definitiva: Il trattamento di Conversione è consentito, là dove la sistemazione di interessi risultante dal Contratto Sostitutivo rifletta- seppur in maniera ridotta o minorata – l’originario programma contrattuale, conservando in modo ragionevole il senso dell’operazione economica che le parti intendevano realizzare tramite il contratto Nullo.ESEMPI: In applicazione di tali principi la GIURISPRUDENZA per esempio ha ammesso la possibilità di convertire un “contratto di Agenzia”, Nullo, in quanto concluso da soggetto non iscritto nell’apposito ruolo, in contratto atipico di procacciamento di affari o di mediazione;O ancora, l’accertamento dell’intento pratico e delle finalità perseguite dai contraenti – ovviamente in presenza dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dall’art. 1424 – ha consentito la Conversione di un Contratto di AFFITTO DI AZIENDA, nullo per mancanza dell’oggetto cioè l’azienda per l’appunto secondo la nozione dell’art.2555, in un “CONTRATTO DI LOCAZIONE D’IMMOBILI AD USO DIVERSO DA QUELLO DI ABITAZIONE.

Presupposto ulteriore, seppur implicito della Conversione è lo stato di ignoranza di entrambe le parti circa la Nullità del Contratto al momento della conclusione., la sentenza è di accertamento.Poi va detto, che non si potrà procedere alla Conversione, ove le parti, in presenza di un Contratto Nullo abbiano concordemente escluso ogni altra causa stipulandi.Discusso è invece il potere del Giudice di rilevare d’ufficio la CONVERSIONE, in assenza di una domanda (riconvenzionale) della parte convenuta e al fine di contrastare la domanda di Nullità proposta dall’attore. L’opinione prevalente lo esclude; altri ritengono invece che deve essere rilevata d’ufficio dal giudice se una delle parti agisce per la Nullità.

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Tuttavia sembra che la soluzione negativa vada condivisa, e non solo in ossequio al Principio dispositivo del Processo Civile (art.112 c.p.c.), ma anche in ragione della ratio del meccanismo di conversione: perché se questo come si è detto <serve a sistemare equilibratamente gli interessi delle parti è ovvio che questa sistemazione – cioè “se” o “come” dei diversi effetti contrattuali – dipende dall’iniziativa degli interessati e quindi dal gioco delle domande e delle eccezioni di parte>.

3. Conversione c.d. FORMALE e Conversione c.d. LEGALE

Da quella che è la Conversione in senso proprio o sostanziale vanno tenuti distinti dei fenomeni affini, quali ad esempio la “c.d. conversione formale”, che si realizza nelle ipotesi in cui, pur essendo inadeguata la forma dell’atto, sussistano comunque i requisiti di una forma diversa che l’atto stesso può validamente assumere.ESEMPI: Possiamo richiamare l’art. 607, secondo cui il testamento “segreto” che difetti dei necessari requisiti “ha effetto” come testamento “olografo” se di questo ha i requisiti.L’art. 2701, il quale attribuisce all’atto pubblico invalido per incompetenza o incapacità del P.UFF., ove sottoscritto dalle parti, la medesima “efficacia probatoria” della scrittura privata. In questi casi non si realizza un fenomeno di “conversione” in senso tecnico, poiché, al di là della nuova qualifica formale, che consente di salvare “l’efficacia” dell’atto, non si incide affatto sul suo contenuto vincolante.Sempre estranea alla figura della Conversione in senso proprio è pure la “c.d. conversione legale”, cioè quella espressamente prevista dalla legge: ad esempio art.254 c.2 domanda di legittimazione di un figlio naturale al Giudice o della dichiarazione della volontà di legittimarlo in un testamento, art. 1059 c.2 Concessione servitù fatta da uno dei comproprietari) in ragione del fatto che qui la “trasformazione” si attua senza tenere in alcuna considerazione non solo la volontà (reale o ipotetica) delle parti, bensì anche il giudizio di compatibilità oggettiva tra lo scopo pratico originariamente perseguito e quello realizzabile mediante il contratto convertito, che invece caratterizza la CONVERSIONE ex art.1424.

4. Conversione e Nullità “protettiva”: Verso il declino del Rimedio?

La prassi ha dimostrato scarsa propensione verso il ricorso al meccanismo della CONVERSIONE.Dall’altra parte lo spazio operativo dell’istituto risulta limitato anche a causa della possibilità di ricorrere a soluzioni alternative, che in ogni caso “raggiungono” seppur per altra via il “RISULTATO” di un “recupero in senso lato” dell’attività negoziale delle parti: dall’attribuzione, in via interpretativa, di un diverso nomen iuris al contratto rispetto a quello dato precedentemente dai contraenti_? ; all’interpretazione conservatrice ex art.1367, alla “Nullità Parziale”, alla rinnovazione del “Contratto”.Ciò lo si avverte ancora di più, a causa dello scenario aperto dal nuovo diritto dei contratti, ovvero quelli dei consumatori.La RATIO PROTETTIVA nei confronti di alcune categorie di contraenti in posizione di debolezza “strutturale” negli scambi di mercato, si attua mediante meccanismi che tendono, ove possibile, ad assicurare il mantenimento della regola contrattuale piuttosto che la sua demolizione, sempreché però il nuovo assetto sia conforme all’interesse della parte cui si dirige la protezione. In questi

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casi cioè la finalità “latu sensu” conservativa dell’atto di autonomia si realizza, per lo più, attraverso strumenti correttivi, alternativi al meccanismo della Conversione.Così ad esempio, in presenza di clausole Nulle si tende a privilegiare la conservazione del regolamento contrattuale, seppur con contenuto modificato, attraverso la sostituzione o l’integrazione autoritativa della clausola nulla con quella imperativa violata ( o con la corrispondente disciplina dispositiva), e, talora, anche attraverso la semplice eliminazione della clausola stessa, al di fuori dell’operatività dei meccanismi di “ortopedia” contrattuale di cui agli art. 1419 o 1339. N.B. interventi questi, che sono sicuramente meno invasivi rispetto al trattamento di conversione, dal momento che non implicano una trasformazione “QUALITATIVA” rispetto al voluto, ma solo una come sostiene DE NOVA “ RIDUZIONE del voluto, e quindi una modificazione QUANTITATIVA”.

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CAPITOLO VI

LE NULLITA’ SPECIALI O DI PROTEZIONE

1.Figure emblematiche di nullità “speciali” : affinità e dissonanze: a) contratti del consumatoreInnanzitutto va detto subito che il territorio delle c.d. nullità “speciali” – per lo più testuali, ma anche virtuali – la cui disciplina si discosta, in modo più o meno marcato, dallo schema classico della nullità, coincide in gran parte con l’area degli interventi normativi settoriali disposti a tutela del CONSUMATORE, e ora raccolti e ordinati in una sorta di testo unico che è il CODICE DEL CONSUMO.Proprio la natura settoriale delle discipline, che quindi vengono dettate per offrire risposta ad esigenze di Tutela di interessi “concreti e occasionali”, è all’origine delle difficoltà di ricondurre entro un disegno unitario e coerente tutte le diverse, singole previsioni di Nullità le quali sono conformate volta per volta all’interesse la cui protezione vogliono assicurare. COMINCIANDO a fare un INVENTARIO vediamo:

a)Contratti del Consumatore: Il blocco sicuramente più consistente di queste nullità per l’appunto “speciali” è certamente rappresentato dalle Nullità che ormai investono l’intera area dei CONTRATTI DEL CONSUMATORE.E non ci riferiamo solo alla disciplina delle clausole abusive e che peraltro è già contenuta nel capo XIV-bis del COD.CIV. agli art. 1469 bis e ss., bensì potremmo dire a tutto il “pacchetto” che regola le “particolari modalità di conclusione dei contratti del consumatore” quali i contratti conclusi fuori dei locali commerciali o a distanza, che fino a ieri erano oggetto di leggi speciali, e oggi sono stati inglobati nel Cod. del CONSUMO nella parte III titolo III capo I, artt. 45-67; o la disciplina relativa a singoli contratti ( contratti d’acquisto di diritti di godimento a tempo parziale di beni immobili, di vendita di “pacchetti turistici”, di vendita di beni di consumo, e, da ultimo di immobili da costruire). A cui è da aggiungere la previsione all’art. 124 della nullità delle clausole di esonero di responsabilità del produttore per danni cagionati da prodotti difettosi.Norma importantissima del Cod. del CONSUMO è poi l’art. 143 che per l’appunto è rubricato “irrinunciabilità dei diritti), in cui si prevede al c.1, che “ i diritti attribuiti al consumatore dal Codice sono Irrinunciabili, ed E’ NULLA ogni disposizione in contrasto con le disposizioni del Codice”.Al di là di ciò, nulla altro si prevede in ordine al regime della Nullità sotto il profilo della legittimazione , rilevabilità d’ufficio, prescrittibilità, sanabilità.

Sotto questo punto di vista, appena più completa, è la disciplina dei “CONTRATTI DEL CONSUMATORE “in generale”” così come recita il Titolo I, artt. 33 e 38 Cod. CONS.

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La prima novità, che possiamo segnalare è che il legislatore, ha rubricato finalmente col nome più adeguato l’art. 36 rubricato per l’appunto “NULLITA’ DI PROTEZIONE” Nullità che colpisce soltanto le clausole vessatorie…” mentre il contratto rimane valido per il resto”: Nullità “ necessariamente parziale” quindi.Nullità che opera soltanto a vantaggio del Consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice: Nullità relativa verrebbe da dire.A tal proposito come abbiamo già avuto modo di osservare, quando abbiamo parlato della “DISCIPLINA del CONTRATTO NULLO”, è controverso se l’espressione “opera soltanto a vantaggio del consumatore” sia immediatamente traducibile in una regola di legittimazione riservata, con conseguente “correzione/adeguamento” del potere del giudice di rilevare la Nullità nell’interesse del solo Consumatore; oppure se, secondo una diversa proposta interpretativa, vada interpretata nel senso che il meccanismo di tutela lascia comunque immutata la regola generale della legittimazione assoluta, però col limite, rappresentato dalla circostanza che la Nullità, da chiunque sia fatta valere – e quindi anche dal professionista che ha predisposto la clausola abusiva – “opera soltanto a vantaggio del consumatore” nel senso che ove la clausola preveda sia diritti che obblighi per il consumatore, la Nullità travolga solo quel frammento di clausola che preveda doveri a suo carico, facendo salvi quindi i diritti disposti in suo favore. (modo di operare sempre e comunque unidirezionale della Nullità).N.B: Tale ultima lettura avrebbe il pregio di evitare la forzosa convivenza tra 2 regole che tra loro sono logicamente incompatibili: Da una parte, legittimazione relativa che implica disponibilità degli effetti del rimedio, e Dall’altra , rilevabilità d’ufficio della Nullità da parte del Giudice che invece esclude una disponibilità del rimedio. L’opzione legislativa a favore della rilevabilità d’ufficio, sembra la più giusta in quanto seppur si tratta di Nullità protettiva unidirezionale nell’interesse del Consumatore, in ogni caso il rimedio è stabilito anche a salvaguardia di interessi generali che sono connessi alla funzionalità ed efficienza del mercato.

Riguardo agli altri aspetti della disciplina della Nullità, quali Sanatoria, prescrizione, effetti nei confronti dei terzi dal momento che il legislatore TACE nel COD. del CONS., si dovrebbero seguire le regole ordinarie che sono nel COD. CIV.

Il modello di Nullità delle Clausole Abusive (ora art.36 C. CONS.) è stato riprodotto nell’art. 1519 –octies,( ora art. 134) in materia di “vendita di beni di Consumo”, ove si dispone la Nullità del patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, teso ad escludere o limitare i diritti riconosciuti al Consumatore: Tra l’altro in questo caso espressamente si dice che la Nullità può essere fatta valere solo dal consumatore ed è rilevabile d’ufficio dal giudice. Tuttavia N.B. anche in questo caso l’esercizio del potere attribuito al giudice in ordine al rilievo della Nullità deve sempre ritenersi condizionato alla realizzazione dell’interesse del consumatore.Un altro esempio può essere fornito dalla disciplina disposta a tutela “dei diritti patrimoniali degli acquirenti degli immobili da costruire”, anche in questo caso la “Nullità può essere fatta valere unicamente dall’acquirente” nell’ipotesi di violazione di norma imperativa che prevede l’obbligo per il costruttore di “procurare il rilascio e di consegnare all’acquirente una fideiussione” all’atto di conclusione del contratto. In questo caso peraltro non si dice Nulla in ordine alla rilevabilità d’ufficio da parte del Giudice che quindi dovrebbe ritenersi esclusa.

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Questo schema di Tutela che abbiamo illustrato, riproduce in buona parte le tecniche di protezione che erano già state disposte in passato a favore dell’ “utente di servizi bancari”.Le previsioni di Nullità a garanzia del rispetto della trasparenza delle condizioni contrattuali nei rapporti banca-cliente sono numerose:Ad esempio art. 117 c.3 del d.lgs. del 1993, che dispone la Nullità per inosservanza della forma scritta. O ancora c.6, che travolge con la Nullità le clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse.Sempre lo stesso discorso vale per i “contratti di credito al consumo” (art.124), ovvero Nullità per difetto di forma, nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate e loro sostituzione automatica.Il regime della Nullità poi si completa con la regola della c.d “inderogabilità relativa” delle disposizioni nel senso cioè che sono solo derogabili in senso più favorevole al cliente secondo l’art.127 c.1, ed anche in questo caso poi con la regola della legittimazione relativa..infatti ai sensi dell’art.127 c.2 possono essere fatte valere solo dal cliente.Anche in questo caso, ovvero nel d.lgs. 385/1998 T.U. Materia bancaria e creditizia il legislatore ha taciuto in ordine ai profili attinenti alla rilevabilità d’ufficio( anche se il giudice può..), prescrittibilità, sanabilità per i quali dovrebbero valere le regole ordinarie.Lo stesso trattamento della Nullità è poi riscontrabile nel “T.U. delle disposizioni in materia di INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA”, quale esito della violazione delle prescrizioni imperative di forma e di contenuto minimo obbligatorio, stabilite a tutela dell’utente di servizi finanziari, il qualè anche qui è il solo legittimato a far valere la Nullità.E’ sempre a questo modello ha guardato il legislatore in sede di attuazione della dir. 2002/65/CE, avente ad oggetto la “commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori”, prevedendo anzitutto la Nullità quale conseguenza della violazione degli obblighi di informazione stabiliti a carico del fornitore dei servizi di investimento; ma anche nel caso in cui il fornitore “ostacoli” l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente oppure “non rimborsi” le somme da questo pagate. Anche in questo caso la Nullità può essere fatta valere solo dal Consumatore e nell’ipotesi di patti in violazione del principio di irrinunciabilità dei diritti stabiliti a favore del consumatore, la Nullità può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Da quanto abbiamo detto sin’ora e soprattutto dal panorama di cui abbiamo parlato possiamo dire che fondamentalmente sono 2 i tratti che si ripetono:a) Legittimazione riservata al solo consumatore in deroga all’art.1421 e b) ,seppur con minore frequenza, il carattere necessariamente parziale della nullità in deroga ai meccanismi di cui all’art. 1419.

Continuando questa disamina poi, del tutto lacunoso è il trattamento di altre figure di Nullità “nuove”, in cui praticamente il legislatore richiama semplicemente la categoria “nullità” a fronte della violazione di norme imperative senza però ricollegare specifici profili di disciplina.ESEMPIO: Nella disciplina dei contratti relativi all’acquisto di diritti di godimento a tempo parziale (ora “ripartito”) di beni immobili, negli art. 69, 81 C. Cons., ove la Nullità e prevista quale conseguenza della violazione dei vincoli di forma (art.71 C. Cons.) nonché nelle ipotesi di clausole contrattuali o patti aggiunti di rinuncia ai diritti previsti a favore dell’acquirente o di limitazione delle responsabilità previste a carico del venditore. Non vi è nessun cenno al regime della Nullità, sotto il profilo della legittimazione, sanatoria, prescrittibilità dell’azione.

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Lo stesso discorso vale nella disciplina di vendita di Pacchetti Turistici, ( 82 100 C. Cons) ove la Nullità è espressamente disposta solo per gli accordi che stabiliscano limiti di risarcimento del danno alla persona, derivante dall’inadempimento delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico, inferiori a quelli stabiliti dalle Convenzioni Internazionali che regolano la materia, ma senza indicare un particolare regime della Nullità.

N.B. Con riguardo a queste ipotesi, possiamo dire che il silenzio del legislatore, unito al riscontro di analoghe esigenze “protettive” nei confronti della parte debole del rapporto, in situazioni caratterizzate da asimmetria di potere contrattuale, dovrebbe autorizzare l’interprete ad utilizzare gli strumenti di integrazione delle lacune, potrebbe cioè applicare le regole speciali previste per le fattispecie espressamente disciplinate.. quali la legittimazione relativa, o la nullità necessariamente parziale!!!.

2. segue. b) Rapporti tra imprese.

Un altro settore in cui il legislatore utilizza lo strumento della Nullità con intenti protettivi della parte debole è quello dei rapporti che si instaurano tra “imprenditori”, e che pure quindi possono riflettere il modello di asimmetria di potere economico-contrattuale che sussiste nei contratti fra consumatore e professionista.Ciò accade ad esempio nel fenomeno della “SUBFORNITURA” nelle attività produttive (L. 192/1998), in cui il rapporto intercorre tra un’impresa in posizione economicamente forte (committente) e una in posizione economicamente debole (sub-fornitore). A tutela del subfornitore – ma si n.b. anche a garanzia dell’efficienza e funzionalità del mercato – la legge prevede numerose ipotesi “testuali” di Nullità: che vanno dal mancato rispetto dei vincoli di forma, al patto con cui il subfornitore disponga a favore del committente “ di diritti di privativa industriale o intellettuale” e infine al patto “attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica”.Più in particolare, il regime della Nullità del contratto di subfornitura per abuso di dipendenza economica condivide la medesima “ratio” protettiva che ispira il trattamento della inefficacia (ora nullità) dei contratti del consumatore: In ragione di ciò, parte della dottrina è sospinta verso il ricorso allo strumento dell’analogia al fine di colmare le lacune della disciplina e più in particolare ad applicare la regola della legittimazione “riservata” a far valere la Nullità alla sola impresa “dipendente” che subisce l’abuso e a configurare una ipotesi di Nullità parziale necessaria.

Un altro esempio analogo di utilizzo dello strumento della Nullità in funzione di protezione di una categoria di contraenti è quello contenuto nel d.lgs. 231/2002( ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ), concernente i rapporti contrattuali tra imprese o tra imprese e P.A.In proposito ad esempio, l’art. 7 c.1, prevede la Nullità degli accordi derogatori sui termini di pagamento ove gravemente iniqui per il creditore. Il c.3 dispone che “ il giudice dichiara la Nullità..e, avuto riguardo all’interesse del creditore,…applica i termini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell’accordo.”.Per quanto riguarda il regime di tale Nullità poi. L’art.7 al c.3 si limita ad affermare che la Nullità può essere dichiarata anche d’ufficio. Anche per quanto riguarda la legittimazione dell’azione non si dice nulla, ma ancora una volta l’intento protettivo dovrebbe spingerci a pensare che questa spetti

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al solo creditore che qui è la parte debole. Trattasi poi, di nullità parziale necessaria – limitata cioè alla sola clausola gravemente iniqua – allo scopo di evitare che la clausola Nulla travolga l’intero contratto, con il risultato poi di frustrare l’interesse del creditore al mantenimento dell’affare. N.b .: Ciò che colpisce in questo caso è il “potere correttivo” del giudice rispetto all’accordo iniquo, quale tecnica giudiziale alternativa alla Nullità parziale.

Per concludere possiamo dire che in queste 2 ultime figure di Nullità è emblematica come tale disciplina per l’appunto di “PROTEZIONE” realizzi nello stesso tempo l’interesse particolare della parte strutturalmente debole e l’interesse generale ad un’efficiente regolazione del mercato.

3. Segue. c) Nullità e ordine pubblico di direzione

Un ultimo blocco riguarda infine, le Nullità direttamente disposte a garanzia della “correttezza ed efficienza del Mercato” che pure si traducono in una protezione – seppur diretta e mediata – del “Consumatore”, ma che attengono più specificatamente al c.d. “ORDINE PUBBLICO ECONOMICO DI DIREZIONE”.Quando parliamo dell’ordine pubblico economico di direzione facciamo riferimento, a quelle Nullità previste come conseguenza della violazione delle norme che vietano rispettivamente le intese restrittive della libertà di CONCORRENZA e l’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE, sono nella L. 287/1990.Per quanto riguarda la disciplina di queste Nullità, il legislatore si limita a richiamare “le AZIONI DI NULLITA’ e di RISARCIMENTO”, senza nulla aggiungere per quanto riguarda il regime dell’impugnazione.Tuttavia in questi casi, si tratta comunque e soprattutto di interessi generali, quindi nel silenzio del legislatore la disciplina dovrebbe essere quella tradizionale della Nullità.Sempre in quest’ambito sono da ricordare anche le ipotesi di Nullità disposte in un settore cruciale quale quello dell’”informazione” e più in particolare editoria e sistema radiotelevisivo. Anche qui la Nullità consegue alla violazione di norme che vietano le operazioni di concentrazione e le intese che cmq hanno l’effetto di alterare i meccanismi della Concorrenza nel mercato radio-televisivo, con conseguente lesione del pluralismo dei mezzi di comunicazione. Anche in queste ipotesi però nel silenzio del legislatore, il trattamento della Nullità dovrebbe seguire il regime ordinario.

4.Nullità e nuova disciplina dell’USURA nella L. 108/1996 (cenni).

All’interno del dibattito sulle nullità “nuove”, occupa una particolare posizione il tema del “contratto usurario” che è sospeso tra esigenze di tutela del c.d. ordine pubblico economico di direzione o ordine pubblico tout court e le esigenze del soggetto vittima dell’usura.E’ stato da sempre discusso il rapporto tra fattispecie penalistica e i riflessi civilistici del reato (v. parte precedente), ma è tornato al centro del dibattito dottrinale a seguito dell’entrata in vigore della

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L. 108/1996 (per l’appunto intitolata Disposizioni in materia di USURA), la quale nell’intento di contrastare il fenomeno dell’usura, ha riscritto l’art. 644 COD. PEN. e modificato l’art. 1825.Praticamente nel sistema precedente, la sorte del contratto usurario si giocava tra la disciplina della Nullità per violazione della norma imperativa penale (cioè art. 644 COD. PEN.), e questa era la tesi sostenuta dalla giurisprudenza prevalente, e quella invece della rescissione per lesione che invece era difesa dalla dottrina, sulla base del riscontro dei significativi punti di contatto tra la fattispecie penalistica e l’art. 1448: Ciò soprattutto nel comune richiamo al presupposto soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno della vittima, al punto da individuare proprio nella disciplina della RESCISSIONE la sanzione civilistica dell’usura.Per quanto riguardava invece l’ipotesi del Mutuo ad “interessi usurari” era invece espressamente prevista la soluzione dalla “NULLITA’ PARZIALE”, in cui per la’ppunto si stabiliva la sola nullità della clausola con cui si convenivano interessi usurari e la riduzione degli stessi alla misura legale tramite il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 1419 c.2 e ciò quindi aveva l’evidente intento di offrire tutela al mutuatario mantenendo in vita il contratto.Dopo la L. 108/1996 però è cambiato il quadro.Innanzitutto è lo stesso legislatore che “stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, ovvero ora vi è il c.d. “tasso soglia”, fissato secondo un sistema di rilevazione periodica dei tassi medi.Con riguardo poi al “CONTRATTO DI MUTUO” l’intervento legislativo va al di là di una accentuazione dell’intento protettivo nei confronti del mutuatario, traducendosi invece in una misura restrittiva dell’autonomia contrattuale, tant’è vero che qualcuno ha sollevato problemi di legittimità costituzionale. Nel senso che ora il nuovo art. 1815 c.2, modificato dalla L. 108/1996, prevede infatti la Nullità della sola clausola con cui siano convenuti interessi usurari, ma aggiunge che “NON SONO DOVUTI INTERESSI!!!!.In altre parole, mentre in passato questa clausola veniva colpita da Nullità e tramite il meccanismo sostitutivo del c.2 dell’art. 1419 vi era la riduzione degli interessi alla misura legale…ora invece, il Contratto resta in piedi come in passato, depurato della clausola Nulla e senza riduzione però alla misura legale: in altri termini il mutuatario non sarà tenuto a corrispondere alcun interesse!!!!!!!.A tal proposito una parte della dottrina parla di una Nullità parziale necessaria di protezione, in cui quindi viene messo fuori gioco sia il 1.c. art.1419 che il 2 c. dell’art. 1419. Altri addirittura hanno ravvisato una sorta di conversione ex lege del tipo contrattuale: cioè da mutuo oneroso a mutuo gratuito.

Tuttavia, è con riguardo alla sorte civilistica dei contratti usurari diversi dal mutuo, che si ripropone il difficile coordinamento con la disciplina della rescissione.Delle diverse previsioni in cui si articola la norma, interessa in particolare, il riferimento all’ipotesi in cui sia punito “chiunque… si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma … in corrispettivo di una prestazione in denaro o altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari art. 644 c.1; nonché quella che considera usurari gli interessi “anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto… risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di Denaro o di altra uilità… quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria art 644 c.3. Scompare, invece, tra i presupposti della fattispecie, e degrada a circostanza aggravante del reato, il riferimento allo stato di bisogno della vittima!!!

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Proprio con riguardo a quest’ultima ipotesi – ovvero la c.d “usura reale” – anche a volere ravvisare una sorta di similitudine tra il presupposto della conoscenza delle condizioni di difficoltà economica e finanziaria e lo stato di bisogno (che ora non compare più nel dettato), resta il fatto che la fattispecie penalistica dell’usura è più ampia e tale da coprire anche una lesione infra dimidium; con l’assurda conseguenza che sul piano covilistico, resterebbe in piedi un contratto, che pur costituisce il mezzo del reato e che la vittima comunque sarebbe tenuta ad adempiere, mentre nel caso di lesione ultra dimidium, la conseguenza del reato di usura sarebbe la sola rescissione.A tal proposito, la tesi che sembra sostenere la nullità del contratto usurario per contrarietà alla norma imperativa penale dell’art 644 C.P. Tuttavia le esigenze di tutela del contraente vittima dell’usura, suggeriscono, anche qui il richiamo alla “categoria” delle nullità di protezione: Quindi si dovrebbe trattare anche qui di nullità necessariamente parziale. N.B. Proprio per questo motivo quindi, secondo parte della dottrina, ci sarebbe una sorta di soppressione del rimedio della Rescissione per lesione che avrebbe poco spazio di operatività, in quanto “assorbita” dalla sussistenza della Nullità: ciò dipenderebbe proprio dalla trasformazione della fattispecie penale in “senso oggettivo”, resa evidente cioè dal venir meno del presupposto soggettivo rappresentato dall’approfittamento dello stato di bisogno della vittima, che invece ORA compare solo come aggravante del reato.

5.Alla ricerca di un coerente paradigma alternativo alla Nullità codicistica.

Da quanto abbiamo visto, è possibile innanzitutto individuare un “connotato costante” che caratterizza le c.d. “NULLITA’ NUOVE”, o se si preferisce il fil rouge che le accomuna ovvero la funzione cui appare preordinata la Nullità: “Nullita di PROTEZIONE” infatti vengono chiamate proprio in quanto vengono comminate in ragione della violazione di norme imperative di protezione che sono poste non tanto e non solo a tutela di “Interessi Generali”, bensì anche di “interessi PARTICOLARI”, o come vengono chiamati da qualcun altro “seriali”, riferibili cioè a categorie o classi di contraenti che condividono il ruolo di soggetti in situazioni di “strutturale” debolezza negli scambi del mercato.. e quindi si tratta in ogni caso di interessi seriali connessi strettamente all’interesse generale!!!.Il 2° dato invece, che si badi bene ovviamente è strettamente connesso al precedente, riguarda le regole operative, di queste “nuove nullità”, e cioè più precisamente lo “SPECIALE” trattamento giuridico ad esse riservato dal legislatore, che si caratterizza per “deviazioni” più o meno marcate rispetto alle regole ordinarie in tema di Nullità.Tuttavia, a tal riguardo, emerge un quadro frammentato e poco omogeneo, in cui il tratto più ricorrente, sembra rappresentato dal solo profilo relativo alla legittimazione riservata – spesso, ma non sempre, accompagnata dalla rilevabilità d’ufficio – nonché dalla necessaria parzialità della Nullità.Tanto per limitarci al profilo della legittimazione, pur all’interno della comune ratio protettiva si collocano Nullità testualmente relative, in cui prevale decisamente la protezione dell’interesse del singolo, quale esponente di una categoria protetta (quelle ad es. previste dal T.U. in materia bancaria e creditizia, o dal T.U. in materia di intermediazione finanziaria); altre (ad es. in tema di clausole vessatorie), in cui la Nullità opera in senso “unidirezionale”, ma con legittimazione relativa alquanto dubbia, cui si accompagna la rilevabilità d’ufficio, ma con i limiti dell’interesse all’accertamento da parte del soggetto cui si dirige la protezione; altre ancora (ad es,, Nullità

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previste nella legislazione antitrust), in cui la Nullità consegue alla violazione di norme riconducibili alla categoria “dell’ordine pubblico di direzione” e rispetto alle quali la legittimazione è da ritenersi assoluta, in ragione della preminenza di un interesse generale, qual’ è quello della efficiente regolazione del mercato.

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PARTE II: LE ANNULLABILITA’

CAPITOLO I

PREMESSE E PROSPETTIVE

1. Tipologia delle cause di Annullabilità. La norma imperativa tra formazione e contenuto del Contratto.

A differenza della Nullità, l’annullabilità rappresenta una forma di invalidità volta, tendenzialmente, a proteggere l’interesse di uno dei contraenti rimediando ad un vizio di formazione del contratto o ad una patologia del suo contenuto che riveli, o rifletta nella valutazione normativa, un’anomalia della fase formativa.Infatti è curioso notare, come l’individuazione delle Cause dell’annullabilità implica una scelta di diritto positivo, sicchè un determinato vizio in astratto potrebbe essere una causa di Nullità ad esempio, o di semplice inefficacia rectius nullità.Basti pensare alle recenti esperienze normative, dove ad esempio la protezione di un contraente è perseguita mediante forme di Nullità strumentali rispetto al perseguimento del suo interesse e quindi destinate ad operare in modo unidirezionale ad esempio, l’art. 1469-quinquies- inefficacia nullità delle clausole abusive – ora art. 36 Cod. Consumatori).Nello stesso tempo, ciò che caratterizza l’annullabilità, è che questa tendenzialmente si incentra su “cause marcatamente soggettive”, volte cioè a garantire la protezione dell’autodeterminazione del contraente.Volendo schematizzare, la fenomenologia delle Cause di Annullabilità, conviene partire dallo stesso regime dell’annullamento e quindi della funzione che ne emerge.-->Questa prospettiva, per l’efficacia del contratto annullabile, per la legittimazione limitata a far valere la patologia, per la convalidabilità, aiuta a comprendere che l’annullabilità appronta per lo più un rimedio volto a presidiare in via DIRETTA interessi PARTICOLARI, e precisamente l’interesse del soggetto legittimato a chiedere l’annullamento.Diversamente dalla Nullità, che costituisce uno schema elastico, e cioè indipendente dalla testuale previsione della Nullitàsi pensi alla “nullità virtuale” ex art.1418, quando il vizio

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consegue alla violazione di Norme imperative, l’annullabilità invece rappresenta un sistema “tendenzialmente “tipico e tassativo”.Con questa constatazione si comprende che l’annullabilità assume un carattere residuale, e resta assorbita, ogni qualvolta venga in rilievo il contrasto del programma contrattuale con una norma imperativa. Ovviamente non sorgono problemi laddove la violazione della norma imperativa concerne un comportamento strumentale alla conclusione del Contratto (come accade ad esempio per la minaccia o l’estorsione che danno luogo ad annullabilità), perché tale norma non è violata dal programma contrattuale . Mentre, per converso, non nascono problemi quando sorge un contrasto tra tale programma e la norma imperativa, perché qui la ragione dell’annullamento viene assorbita dalla Nullità.Il problema invece sussiste ad esempio, eminentemente per la violazione di norme penali e segnatamente per la circonvenzione di incapace e la truffa e si risolve in soluzioni giurisprudenziali diverse per le 2 ipotesiMentre infatti, nel caso della truffa contrattuale, è costante l’orientamento giurisprudenziale, per il quale la stessa rilevi per quanto riguarda il terreno civilistico alla stregua del “dolo negoziale” (ex art. 1439) e quindi determini l’annullabilità, nel caso della circonvenzione di incapace è altrettanto omogenea la giurisprudenza nell’affermare la “Nullità” del contratto senza quindi far ricorso all’annullabilità prevista dagli artt. 427 e 428. Tale orientamento peraltro ha suscitato il dissenso della dottrina, la quale osserva che lo schema civilistico di riferimento dell’inettitudine a comprendere la portata e ad autodeterminarsi liberamente è dato dalla previsione dell’art. 428. Un criterio utile a comprendere il problema viene dalla constatazione che la Nullità del Contratto stipulato in violazione di norme penali deriva dal contrasto del regolamento, e dunque del programma perseguito, con le norme imperative e non invece dal “MODO” con cui il contratto viene concluso, E QUINDI, se poi il presidio contro tale modo di conclusione si riflette in un’altra forma di patologia ( in questo caso Annullabilità) non vi è spazio per un’ipotesi di Nullità.N.Benissimo: Detto questo l’unico modo per cogliere il senso della giurisprudenza civile sulla Nullità del contratto derivante dalla circonvenzione di un incapace, è quello di mutare prospettiva e comprendere che in questo caso la Nullità non deriva dalla violazione della norma penale (art. 643) bensì DALL’ INTENSITÀ CHE PUÒ CARATTERIZZARE LO STATO DI INCAPACITÀ ( nel senso che come si vedrà, minore interdetto ecc.. atti annullabili). Un aiuto alla comprensione di ciò di cui stiamo parlando, viene dall’osservazione che “lo stato di infermità o deficienza psichica” previsto dall’art. 643 C.P. rappresenta una realtà compresa nell’ambito dello stato di incapacità di intendere e di volere dell’art. 428, caratterizzata da una maggiore intensità dello stato di menomazione dell’incapace: così quindi le fattispecie non sarebbero coincidenti ma si differenziano soprattutto per l’attitudine dell’infermità e della deficienza psichica a dar luogo a realtà in cui non è dato scorgere alcuna capacità di autodeterminazione con conseguente quindi NULLITA’ e non annullabilità ex art. 428.Proprio in questa prospettiva la Nullità s’attaglia solo a quelle ipotesi in cui “lo stato d’infermità o di deficienza psichica” sia tale da escludere l’esistenza della volontà, non invece quando il reato si realizza mediante l’uso dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore (art. 643) o di uno stato di infermità o di deficienza psichica che non sia tale da determinare l’assenza di volontà, per le quali vi sono i rimedi previsti a tutela degli incapaci legali e naturali.

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-->Ciò significa che paradossalmente, che l’incapacità naturale rilevante ai fini dell’art. 428 può ravvisarsi anche se il procedimento penale per circonvenzione di incapace si sia concluso con una sentenza di assoluzione!!!.

2. Interesse presidiato dall’annullamento. Le cause di Annullamento: Tipicità e anomalie.Abbiamo detto che le cause di annullamento sono tipiche ovvero normativamente previste.Qualcuno però parla di una tipicità solo “tendenziale” che deriverebbe dalla constatazione che talvolta la giurisprudenza si avvale del rimedio dell’annullamento per invalidare atti e contratti pur in assenza di una specifica previsione. tale tesi merita una breve riflessione per comprendere l’infondatezza di tale orientamento e riaffermare la tipicità delle ragioni di Annullabilità.La giurisprudenza richiamata si incentra su 2 settori che denotano premesse comuni: I contratti di diritto privato conclusi da una P.A. in violazione del procedimento amministrativo funzionale alla stipulazione; I contratti conclusi dall’organo rappresentativo di un gruppo privato in violazione dei procedimenti previsti statutariamente e più in particolare in carenza di preventive autorizzazioni assembleari o consiliari, a prescindere dal riconoscimento della personalità giuridica, e salve le norme speciali dettate a tutela dei terzi per le ipotesi di dissociazione del potere deliberativo da quello rappresentativo (artt. 23c.2, 25 c.2 e 2384 c.2).Alla radice del problema c’è l’idea che il rispetto delle regole organizzative interne rappresenti una nota costitutiva della capacità d’agire dell’ente. Da qui quindi, ravvisato il legame tra incapacità d’agire e annullabilità nella disciplina generale del Contratto, si trae la regola che estende tale rimedio alle ipotesi accennate.Volendo trovare una conferma, anche se si badi bene in un terreno non omogeneo questa volta, la si trova nella possibile operatività dell’annullamento là dove risulti violata l’esigenza di qualche autorizzazione emerge dal regime – questa volta però tipico – dell’art. 184, il quale prevede l’ANNULLABILITA’ (speciale quanto al termine di prescrizione) dell’atto di disposizione di un bene immobile o mobile registrato caduto nella “COMUNIONE LEGALE” tra i coniugi: qui, infatti, il consenso di entrambi i coniugi non è necessario proprio in ragione della “con titolarità del diritto” così come avviene invece nella comunione ordinaria ex art. 1100; nello stesso tempo però, siccome ciascun coniuge è proprietario per l’intero e non per quota, il consenso dell’altro opera come un presupposto della legittimazione ad alienare.Tuttavia, mentre nell’art.184 si riscontra una scelta legislativa, per quanto riguarda invece l’annullabilità dei contratti compiuti dall’organo rappresentativo di un ente in violazione delle regole statutarie (es. la mancanza di una preventiva deliberazione assembleare o consiliare) questa è solo una elaborazione giurisprudenziale.Ciò che occorre notare però è che entrambe le ipotesi, ovvero contratti di diritto privato conclusi dalla P.A. o contratti conclusi da enti privati, il problema non è quello della capacità d’agire per la quale dovrebbe conseguire l’annullabilità, bensì entrambe le ipotesi riguardano “l’esercizio del potere deliberativo ed esternativo” e si risolvono pertanto in una questione più che altro organica o meglio inerente al rapporto organico ed in particolare alla imputazione della dichiarazione all’ente. In questa prospettiva, il regime del potere rappresentativo dell’organo và rintracciato nella disciplina della rappresentanza nei contratti (art. 1387 ss.), che costituisce, un regime comune a tutti i casi di legittimazione rappresentativa. Tale ipotesi fondamentalmente è quella del “falsus procurator”, il quale fa sì che il terzo possa richiedere il risarcimento dei danni (la CASS. Parla di

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responsabilità extra-contrattuale, altri di responsabilità precontrattuale), mentre per l’ente l’atto rimane efficace.. a meno che non ratifica.In definitiva la questione è di comprendere se la dichiarazione sia o meno imputabile all’ente e quindi non vi è spazio per l’annullabilità. Come dicevamo poc’anzi però la giurisprudenza propende per l’annullabilità di tali contratti e quindi, nei fatti, è la sola ipotesi in cui viene applicato il regime dell’annullabilità senza una corrispondente previsione normativa.

CAPITOLO II

ANNULLABILITA’ SPECIALI

1.Sistema e singole ragioni di ANNULLABILITA’

Vediamo, dunque alle “tipiche” cause dell’annullamento.Preliminarmente va detto subito che non è dato individuare un criterio ordinatore che susciti qualche preferenza.Partiremo dalle ipotesi più semplici, più minute in cui “la causa del vizio appare individuata con maggiore specificità”, per poi passare alle ipotesi più elastiche, di maggior complessità per poi trattare quindi il tradizionale settore affidato agli artt. 1425-1440 e la sua esplicazione nell’ambito di alcuni contratti tipici.Prima di far questo è opportuna una premessa. Ovvero, il Rimedio dell’annullamento scaturisce da una scelta di diritto Positivo. Il corpo normativo dedicato all’annullabilità del Contratto (Capo XII del Titolo II del Libro IV) si articola in 3 sezioni, che possono essere classificate in 2 settori: Il primo settore corrisponde alle prime 2 sezioni, il secondo alla terza.L’ultimo settore, o meglio la terza sezione racchiude il regime generale dell’annullamento, indipendentemente dalle sue cause, e pertanto detta regole applicabili a tutte le ipotesi di Annullabilità.Il primo settore, invece, delinea alcune cause di Annullabilità: precisamente quelle destinate ad operare per tutti i contratti e gli atti unilaterali tra vivi ( con il limite della compatibilità: art. 1324).

4.Le Annullabilità codicistiche. L’alienazione del bene immobile o mobile registrato in comunione legale senza il consenso di un coniuge.

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L’art. 184 disciplina la violazione della regola secondo cui il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione della “COMUNIONE LEGALE” spetta ad entrambi i coniugi (art.180 c.2). il 1 c. dell’art. 184 individua nell’annullabilità la patologia degli atti relativi a beni immobili o beni mobili registrati compiuti senza il consenso di un coniuge.In realtà, nonostante l’apparente puntualità, la fattispecie presa in considerazione è elastica. L’Annullabilità colpisce gli “atti eccedenti l’ordinaria amministrazione” nonché i “contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento” che “riguardano beni immobili o beni mobili iscritti nei pubblici registri o che dir si voglia registrati.Come si può preliminarmente notare, la sola nota che viene individuata puntualmente è data dagli Atti aventi ad oggetto diritti personali di godimento; mentre per quanto riguarda l’ambito della “straordinaria amministrazione” il discorso comincia a farsi complesso in quanto in questo caso sorge la necessità di individuare la “portata dell’atto rispetto al patrimonio” e quindi già di per sé costituisce un consistente margine di incertezza. L’atto di “straordinaria amministrazione” infatti, non risponde “ a un criterio giuridico, bensì ad un criterio economico nel senso di una maggiore o minore importanza patrimoniale, così almeno SANTORO-PASSARELLI il quale sottolinea che solo approssimativamente, dato il carattere empirico della distinzione tra atti di ordinaria ed atti di straordinaria amministrazione può dirsi che gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli di disposizione dei redditi e di conservazione e godimento dei beni capitali, mentre atti di straordinaria amministrazione sarebbero tutti gli altri…Cmq sebbene tendenzialmente, l’atto di disposizione di un bene immobile o di un bene mobile registrato possa ritenersi di straordinaria amministrazione, il fatto che il consenso di entrambi i coniugi è richiesto, senza specificazioni, anche per la Concessione o l’acquisto di diritti personali di godimento (art. 180 c.2),si pensi al diritto di godimento sulla cosa altrui che il contratto di locazione attribuisce al locatario o ancora al diritto di servirsi della cosa altrui che il comodato attribuisce al comodatario. (A differenza però dei diritti reali, qui non vi è un diritto del soggetto sulla cosa, ma un diritto alla prestazione personale di un altro soggetto, anche se la prestazione del locatore o del comodante consiste nel permettere ad altri il godimento o l'uso di una cosa.)Dicevamo che il fatto che il consenso di entrambi i coniugi è richiesto, anche per la concessione o l’acquisto di diritti personali di godimento, fornisce un utile criterio interpretativo nel senso di rendere di straordinaria amministrazione ai fini dell’art. 184 c.1, tutti gli Atti dispositivi o costitutivi di Diritti Reali, in quanto essi producono un effetto più intenso rispetto alla costituzione di un diritto personale di godimento.Detto questo quindi, l’interpretazione letterale della regola derivante dalla congiunzione dell’art. 180 c.2, con l’art. 184 c.1, essendo richiesto il consenso anche per “l’acquisto” di diritti personali di godimento, consentirebbe di ipotizzare che l’annullabilità possa colpire “TUTTI” gli atti di acquisto di diritti reali.In realtà tale ipotesi è smentita dalla constatazione che l’acquisto di diritti reali soggiace al regime dell’art. 177 lett. A): quindi esso non costituisce un atto di amministrazione della comunione, ma un atto che la incrementa per la sua automatica efficacia a favore dell’altro coniuge. Un ulteriore indice viene poi dal fatto che, se lo si ritenesse un atto di amministrazione della comunione, l’atto di acquisto sarebbe fonte di un’obbligazione per la quale opererebbe il regime dell’art. 189 c.1.

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Da un altro punto di vista pi, va considerato che l’omologia terminologia con la Comunione Ordinaria ( ovvero artt. 1100 e ss.) ha suscitato il dubbio che l’annullabilità rappresenti una irrazionale disparità di trattamento rispetto al regime della Comunione Ordinaria, nel quale il comproprietario invece è privo della legittimazione a compiere atti dispositivi della cosa comune (art. 1108 c.3). A tal proposito un’eco di quest’idea si rintraccia nella tesi secondo cui “la specifica invalidità dell’atto di straordinaria amministrazione prevista dalla disciplina della Comunione non esclude che l’atto compiuto da un coniuge debba essere considerato inefficace nei confronti dell’atto(?) sotto il profilo della mancanza di legittimazione dato che l’atto esula dai poteri rappresentativi della Comunione. Tale prospettazione appare in contrasto con l’esteso tenore dell’art. 184 c.1, che abbraccia tutti gli atti “che riguardano” beni immobili o beni mobili registrati. Essa sembra avere un marginale campo di applicazione agli atti a contenuto obbligatorio: ad esempio l’annullabilità di un contratto preliminare non menoma l’incoercibilità in forma specifica (2932) del consenso del coniuge che non ha partecipato all’atto.Questa constatazione apre un interrogativo. E’ da chiedersi se il rifiuto del consenso si fondi sulla inefficacia del contratto preliminare per il coniuge dell’obbligato o, invece, sulla sua annullabilità, che dovrà essere opposta in via di eccezione (il regime generale – art. 1422 c.4 – secondo cui l’eccezione di annullabilità può essere opposta anche se è prescritta l’azione, non subisce deroghe nella fattispecie in esame).L’interrogativo non è secondario, perché esige di stabilire se l’atto di un solo coniuge produce effetti immediati nei confronti dell’altro e, di riflesso, se esso sia vincolante anche per il terzo (il quale potrebbe, invece, rifiutare l’adempimento ove l’atto fosse inefficace).La soluzione va rintracciata nella disciplina dell’annullamento ed, in particolare, nell’efficacia, nonostante l’invalidità, del contratto annullabile. Il contratto quindi possiede una piena attitudine dispositiva, suscettibile di essere rimossa dall’annullamento ad iniziativa del coniuge pretermesso. Ne consegue la sua efficacia anche per quest’ultimo: il quale dovrà esperire l’azione di Annullamento per rimuovere gli effetti reali, mentre potrà giovarsi della corrispondente eccezione per rifiutare l’adempimento delle obbligazioni.

Sotto un altro punto di vista l’art. 184, c.1 e 2, ha suscitato discussioni anche in ordine al suo coordinamento con la disciplina della rappresentanza (artt. 1387 e ss.), della vendita di cosa parzialmente altrui (art. 1480) e della comunione ordinaria (art. 1100 e ss.).Con riguardo alla “RAPPRESENTANZA”, recidendo il legame tra l’art. 184 e l’art. 180, si è negato che il primo rappresenti una “disposizione relativa all’amministrazione della Comunione”, e, pertanto, se ne è circoscritta l’applicazione agli “atti posti in essere dal singolo coniuge a nome proprio e non a nome della Comunione, anche se relativi a beni appartenenti a quest’ultima”, con la conseguente inefficacia dell’atto compiuto dal singolo coniuge in “nome” della comunione, salva la ratifica dell’altro coniuge e la facoltà di scioglimento consensuale del contratto a norma dell’art. 1399, c.3. § In senso contrario però milita la constatazione, ormai maturata, che la comunione legale non sia caratterizzata da qualche autonoma soggettività, perché all’individuazione del Soggetto non è sufficiente una limitata separazione patrimoniale. Peraltro la spendita del nome della Comunione si tradurrebbe, in concreto, nella spendita del nome dell’atro coniuge. E MA il regime dell’atto di amministrazione del bene in Comunione Legale è specificamente espresso negli art. 180 e 184, sicchè la mancanza di legittimazione del singolo coniuge si sottrae, in concreto, ad una valutazione in termini di inefficacia.

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Con riguardo invece alle considerazioni relative al rapporto “COL REGIME DELLA VENDITA DI COSA PARZIALMENTE ALTRUI (art. 1480) e con il regime della “COMUNIONE” possono essere accomunate perché esse esigono di stabilire se la comunione legale c.d. immediata sia da annoverare nello schema della comunione ordinaria. A tal proposito abbiamo detto che l’omologia terminologica tra Comunione Legale e Comunione Ordinaria ha fatto dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 184 c.1. La questione è stata decisa in senso negativo muovendo dalla corretta premessa che la contitolarità che si realizza nella comunione legale c.d. immediata è un fenomeno diverso dalla contitolarità che vi è nella comunione ordinaria.In questa prospettiva si è escluso, quindi, che il regime della comunione ordinaria possa costituire un parametro per quello della comunione legale, come se si trattasse di un rapporto da genere a specie.Pertanto, dobbiamo dire che l’atto compiuto senza il consenso di un coniuge viene ricostruito in chiave procedimentale:Ovvero dal momento che la comunione legale c.d. immediata non è caratterizzata dall’esistenza di quote, ciascun coniuge ha il potere di “disporre dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e che rappresenta un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione. Detto questo, quindi ciascun coniuge è proprietario della cosa di cui dispone, ergo,il contratto benché invalido realizza efficacemente tutti i suoi effetti dispositivi e dunque non si può ipotizzare un’alienazione di cosa parzialmente altrui (art. 1480).

Un altro aspetto, che non va trascurato è costituito dal fatto che l’ampia formulazione dell’art. 184 c.1, comprende anche il “CONTRATTO PRELIMINARE”.Anche in questo caso, dobbiamo ricordare, che la sua efficacia “relativa” consente al coniuge che non ha prestato il consenso di rifiutare la stipulazione del Contratto definitivo ancorchè sia decorso il termine per promuovere l’azione di annullamento sollevando la corrispondente eccezione. D’altronde lo conferma il fatto che la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo deve essere proposta anche nei confronti del coniuge obbligato.

L’annullabilità in esame inoltre si caratterizza anche per la deroga al termine di prescrizione dell’azione, che è stabilito in un anno dalla data in cui il coniuge “ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso… dalla data di trascrizione” o in mancanza, dallo scioglimento della Comunione.Anche questa previsione ha sollevato un dubbio di legittimità costituzionale perché mortificherebbe il diritto di difesa del coniuge in violazione dell’art. 24 Cost. La questione però è stata risolta in senso negativo, sulla base fondamentalmente di considerazioni pratiche, da cui si è tratto il convincimento che il più breve termine prescrizionale bilanci gli opposti interessi del coniuge pretermesso alla conservazione del suo diritto e dei terzi alla sicurezza del traffico senza ledere il diritto del primo.Non è invece scalfita la portata della regola generale, secondo cui l’eccezione può essere opposta anche se l’azione di annullamento sia prescritta (art. 1442 c.4L’annullabilità del contratto può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto, anche se è prescritta l’azione per farla valere).

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5.Il conflitto di interessi nella RAPPRESENTANZA e alcuni DIVIETI di “COMPRARE”

Quando parliamo del “CONFLITTO DI INTERESSI” trattato dagli artt. 1394 e 1395, facciamo riferimento ad una ragione di annullabilità che è posta al di fuori del capo destinato all’annullamento del contratto che comprende gl articoli che vanno dal 1425 al 1440. Cmq il regime generale della patologia è quello generale previsto dagli artt. 1441 al 1446.Preliminarmente possiamo dire che la “CAUSA” del vizio attiene ad un’anomalia della rappresentanza. Si tratta peraltro di una patologia dell’esecuzione del rapporto gestorio sotteso ai fenomeni rappresentativi che viene in rilievo per il fatto che il rappresentante opera, oltre che in nome, “nell’interesse del rappresentato” (art. 1388).Dal momento che la Procura, che è l’atto con cui si conferisce la rappresentanza volontaria, produce i suoi effetti a prescindere dalla cognizione che possa averne il rappresentante essa prescinde dalla preliminare configurazione pattizia di un rapporto gestorio tra rappresentante e rappresentato. (DA NOTARE CHE SOLITAMENTE SI DEFINISCE GESTORIO IL RAPPORTO IN CUI IL RAPPRESENTANTE IN CUI AGISCE OLTRE CHE NEL NOME ANCHE NELL’INTERESSE DEL RAPPRESENTATO).Peraltro va notato, che anche nei casi di “RAPPRESENTANZA LEGALE”, si pensi alla rappresentanza dei genitori o del Tutore nel caso del soggetto interdetto, nel momento in cui vi è un conflitto di interessi, nasce l’esigenza di sostituire temporaneamente il rappresentante la scelta non spetta all’interessato, nel senso che non nasce dall’autonomia privata ma dalla c.d. investitura dei MUNERA LEGALI. (ES. protutore, nel caso di conflitto d’interessi tra Tutore e Minore e/o interdetto).Dall’altro lato, il fatto che il conferimento volontario del potere rappresentativo prescinde dalla corrispondente nascita di un obbligazione di “gestire” per l’appunto l’interesse del rappresentato ( che infatti si noti bene manca nel caso in cui la procura sia rilasciata senza che il rappresentante assuma alcun obbligo di compiere il negozio giuridico- ci aiuta a cogliere l’esatta collocazione del conflitto d’interessi.I doveri che nascono in capo al rappresentante, non nascono dal semplice conferimento del potere rappresentativo, bensì dal suo esercizio.La responsabilità del rappresentante verso il rappresentato, in particolare nel caso in cui il contratto concluso in conflitto d’interessi non sia riconoscibile per la non riconoscibilità dello stesso da parte del terzo, non si fonda infatti sulla violazione di un dovere di origine negoziale ( salvo che il rappresentante sia vincolato al rappresentato da uno specifico titolo, come il mandato o il lavoro subordinato), ma sulla violazione dell’obbligo, connesso dalla legge alla spendita del nome altrui, di non avvalersi del potere rappresentativo se non per l’interesse del rappresentato.Dunque il potere rappresentativo è retto dal dovere di astenersi dal suo esercizio in conflitto d’interessi; la violazione di questo dovere, che tradizionalmente viene denominata “abuso” del potere di rappresentanza genera, a determinate condizioni, l’annullabilità del contratto.E’ questa affermazione che evoca il nocciolo del problema del conflitto d’interessi: e cioè se ai fini dell’annullabilità, sia sufficiente l’esistenza del conflitto o, al contrario sia necessario che il conflitto abbia inciso sulle condizioni del contratto in modo da menomare l’interesse del dominus.

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La questione è densa di ambiguità ed incertezze. Gli orientamenti, anche recenti, oscillano con molte sfumature, tra poli estremi: che vanno dalla rilevanza del conflitto d’interessi a prescindere dalla prova della vantaggiosità del contratto per il rappresentato, sino a quella secondo cui, ai fini dell’annullabilità, è necessaria la configurazione di un danno, attuale o potenziale, per il rappresentato, o ancora di un diretto vantaggio per il rappresentante.

Detto questo proviamo a ricostruire questo quadro, frammentato e molte volte contraddittorio.La Giurisprudenza, da tempo si è assestata sulla massima secondo cui, perché “RICORRA” un “CONFLITTO D’INTERESSI” influente ai fini dell’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante, è necessario che quest’ultimo “anziché tendere alla tutela degli interessi del rappresentato, persegua interessi propri o di terzi, incompatibili con quelli del rappresentato, in modo che all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante, per se medesimo o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato”, dovendosi invece escludere che siano cause di annullamento “l’uso solo malaccorto o non proficuo” che il rappresentante faccia del suo potere, “concludendo negozi di nulla o scarsa utilità per il rappresentato o la mera convergenza di interessi col rappresentato.Questa risalente, potremmo dire linea di pensiero, parliamo di sentenze della Cassazione che vanno dal 1955 al 1985, aiuta a precisare quali siano i termini del problema.Essa serve in primo luogo:

a) ad escludere che le condizioni contrattuali “svantaggiose” possano, da sole, rilevare ai fini del conflitto d’interessi e della relativa annullabilità.

b) Attesta, inoltre la irrilevanza di un interesse del rappresentante all’affare.Detto questo, possiamo cominciare a notare che siccome l’interesse del rappresentante all’affare o nell’affare è suscettibile di variegatissime esplicazioni, è improbabile che la sua natura, conflittuale o convergente con l’interesse del rappresentato sia “agevolmente percepibile”. Perciò lo svantaggio per il rappresentato costituisce un indice rivelatore del conflitto.Ne consegue che, laddove l’esistenza del conflitto sia ricavata da altri elementi, si potrebbe affermarne la rilevanza a prescindere dalle condizioni dell’affare. Ciò nello stesso tempo porterebbe a dedurre, sul piano costruttivo, la rilevanza del conflitto in sé, peraltro, accreditata dal fatto che il ricorso all’annullamento dipende dall’esclusivo apprezzamento del rappresentato al quale ai sensi dell’art. 1394 è rimessa ogni valutazione circa la lesione del suo interesse, non contenendo l’art. 1394 alcun indice nel senso di condizionare la rilevanza del conflitto all’esistenza di un danno o di un pericolo di danno.-Quindi, già dal solo art. 1394 si potrebbe trarre la regola per cui vi è un “abuso del potere di rappresentanza” quando il rappresentante conclude un contratto nel quale ha un interesse anche astrattamente contrastante con quello del rappresentato: per escluderne la rilevanza occorrerebbe, quindi, che il rappresentante segnalasse il proprio interesse in vista di un’autorizzazione del rappresentato che poi si Noti Bene sostanzialmente è una situazione disciplinata dall’art. 1395.A questo punto vi è da chiedersi se sia sufficiente un’autorizzazione generica O se oppure occorra un’autorizzazione circostanziata, tale da escludere la possibilità di abuso. Tale quesito a sua volta solleva un altro interrogativo. Ovvero il fatto che il problema della portata dell’autorizzazione sia considerato in relazione al contratto con se stesso (art. 1395) segnala l’esigenza di valutare se da tale regime possono essere attinti indici o criteri per definire i caratteri del conflitto d’interessi

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nell’art. 1394, tenuto conto del fatto che la previsione relativa al contratto con se stesso costituisce, come dire una puntualizzazione dell’ipotesi più generale racchiusa nell’art. 1394.Il fatto che sia normativamente avvertita l’esigenza dell’autorizzazione specifica o della predeterminazione del contenuto del contratto “in modo da escludere la possibilità di conflitto di interessi” (art. 1395) solo nel caso del “CONTRATTO DEL RAPPRESENTANTE CON SE STESSO”, nel quale la potenzialità del conflitto è insita in ciò, cioè nel fatto che il rappresentante contrae “in proprio o come rappresentante di un’altra parte”, orienta l’interprete a ritenere che l’autorizzazione non sia necessaria nell’ipotesi dell’art. 1394 e che il conflitto d’interessi non venga in rilievo in sé.Ciò lo conferma l’inciso secondo cui il contratto con se stesso deve essere configurato “in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi”: il quale rivela che tale formula non allude al contrasto di interessi tra rappresentante e rappresentato e cioè al conflitto in sé, ma all’abuso attuato dal rappresentante per perseguire un interesse incompatibile con quello del rappresentato.Ne consegue che, nel linguaggio normativo, il conflitto d’interessi non allude alla situazione in cui il rappresentante può perseguire un interesse in contrasto con quello del rappresentato, ma a quella in cui il primo abusi della sua legittimazione per perseguire, direttamente o indirettamente, un interesse proprio, anche non patrimoniale, a scapito di quello del DOMINUS: un indice rivelatore dell’abuso risiede nelle condizioni dell’operazione posta in essere o, “in concorso con altri elementi”, nella convivenza tra il rappresentante e il terzo, “specialmente se determinata da rapporti di parentela o coniugio”.Esplicazioni di queste conclusioni si rinvengono nella giurisprudenza, che cmq non è sempre uniforme, in tema di conflitto d’interessi degli amministratori di società, secondo cui ad esempio è insufficiente ai fini dell’operatività dell’art. 1934 la circostanza che il legale rappresentante di una società rivesta cariche amministrative anche in altra società che direttamente trae vantaggio dal contratto.

Poi espressamente sanzionati con la Nullità sono invece i “divieti speciali di comprare” previsti nell’art. 1471 nn. 1 e 2 a carico degli “amministratori dei beni dello Sato, dei comuni, delle province o degli altri beni pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura”, e da carico dei “Pubblici Ufficiali” rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero.Poi nel medesimo contesto, è posto il divieto di comprare, sanzionato questa volta con l’annullabilità del Contratto, a carico di “coloro che per legge o per atto della Pubblica Autorità amministrano i beni altrui e dei MANDATARI, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere salvo il disposto dell’art.1395.

Andando avanti, poi abbiamo detto che occorre che “il conflitto d’interessi” sia conosciuto o riconoscibile dal terzo contraente con il rappresentante.A tal proposito va detto che sebbene la riconoscibilità del conflitto costituisca il presupposto minimo per l’annullabilità del Contratto, “la riconoscibilità non è indispensabile” allorchè vi sia la prova, più complessa, dell’effettiva conoscenza del conflitto stesso.I criteri per l’apprezzamento della riconoscibilità del conflitto, dal momento che l’art 1394 non fornisce precisazioni, possono essere attinti dall’art. 1431, che in tema di “ERRORE RICONOSCIBILE”, fa leva sulla normale diligenza in relazione al contenuto e alle circostanze del contratto oppure alla qualità dei contraenti.

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A tal riguardo è bene sottolineare, che dal momento che il conflitto viene in rilievo alla stregua dell’abuso del rappresentante, e cioè nel caso di perseguimento di un interesse incompatibile con quello del rappresentato, la conoscenza o la riconoscibilità non ha riguardo al conflitto in sé, ma all’esercizio abusivo del potere rappresentativo; sicchè l’anomalia del contenuto contrattuale a vantaggio del terzo, costituendo un affidabile indice dell’abuso appresta un segnale della sua riconoscibilità.Nel caso del contratto con se stesso invece, dove vi è questa peculiarità e cioè che “il rappresentante contrae con se stesso in proprio o come rappresentante di un’altra parte” fa si che l’invalidità del contratto possa essere impedita solo se il rappresentato abbia “specificamente” autorizzato la conclusione del contratto oppure dalla determinazione del suo contenuto “in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi”.La Giurisprudenza ha da tempo affermato che l’autorizzazione non deve essere generica.N.b: Salvo che sia promossa contro il rappresentante che ha contrattato in proprio, l’azione di annullamento deve essere esperita solo nei confronti del terzo contraente ergo il rappresentante è privo di legittimazione passiva al processo.

CAPITOLO IIIANNULLABILITA’ GENERALI IN RAGIONE DELLA CAPACITA’.

GLI ATTI DELLE PERSONE INCAPACI O LIMITATAMENTE CAPACI D’AGIRE.L’INCAPACITA’ DI INTENDERE O DI VOLERE.

1.Gli atti programmatici degli Incapaci. In particolare dei Minori d’età.DEFINIZIONE DEL PROFESSOREAnnullamenti di protezioneInnanzitutto possiamo cominciare col dire che l’incapacità legale di un contraente è causa di annullamento, così come dispone l’art.1425 al c.1.Essa fondamentalmente caratterizza l’attività dei “minori” e degli “interdetti” per i quali però la incapacità è pronunciata da una sentenza del giudice.Detto questo però di incapacità di contrattare può parlarsi anche per i soggetti limitatamente capaci di agire (si pensi ai beneficiari di amministrazione di sostegno, inabilitati, minori emancipati), e cioè per quegli atti che l’interessato da solo non può compiere.L’art.1425 c.1, allude all’incapacità legale “di contrattare” che è un profilo della capacità d’agire, espressa nell’art. 2 come la capacità di compiere “atti impegnativi”. Detto questo quindi, la norma opererà anche per “gli atti unilaterali” aventi carattere patrimoniale (art. 1324), per i quali però non è prevista una specifica disciplina come ad esempio negli artt. 1191 che stabilisce che il debitore che ha eseguito la prestazione dovuta non può impugnare il pagamento a causa della propria incapacità, 1933 c.2, 2034 OBBLIGAZIONI NATURALI che stabilisce che non è ammessa

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la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace, 2731). N.B. La ragione di questa specificità si spiega proprio in ragione della portata dell’atto e praticamente si risolve nella “irrilevanza dell’incapacità” quando si tratta di “ATTI DOVUTI”, che cioè si fondano su un preesistente titolo di cui costituiscono esecuzione v. art. 1191; e nello stesso tempo al contrario “impedisce la produzione di effetti” e quindi opera sul piano dell’Annullabilità quando l’atto non ha un attitudine programmatica come nel caso della Confessione( dichiarazione di scienza) oppure estingua un debito che è sprovvisto di tutela giuridica, come accade per l’adempimento delle obbligazioni naturali v. art. 2034.

Detto questo quindi, possiamo cominciare col dire che l’annullabilità è un vizio che si attaglia alle dichiarazioni che costituiscono il titolo di un’innovazione giuridica o meglio cioè, che creano o trasferiscono diritti.L’art. 1425 c.1 contempla il consenso prestato dall’incapace legale senza assistenza e ne afferma l’Annullabilità.Sebbene tale articolo abbia una vocazione generale, ha un’effettiva portata precettiva per i contratti conclusi da un minore di età non emancipato e se ne occupa apprestando il rimedio dell’annullabilità.Di tale Annullabilità si sottolinea la peculiarità, primo perché secondo un cospicuo orientamento non genera la responsabilità del minore per non aver comunicato all’altro contraente la regione di invalidità di cui il minore aveva o doveva avere conoscenza (art. 1338) e poi perché il comportamento con cui il minore, “mediante raggiri”, ha occultato la sua età è sanzionato con l’irrilevanza dell’incapacità (art.1426) e quindi l’impossibilità di annullare il contratto.Come è facilmente intuibile, quest’ultima previsione tende a tutelare la “Buona fede” dei terzi per l’appunto “raggirati” o “tratti in inganno” dal minore. Qual è però il punto o la zona d’ombra? la “buona fede” c.d. soggettiva, quella cioè che viene in considerazione in queste ipotesi, è un atteggiamento consistente nella inconsapevolezza di una determinata situazione giuridicamente rilevante e proprio per questo motivo quindi può ravvisarsi a prescindere dal “grado” della diligenza tenuta dal soggetto che ignora quella situazione. Tuttavia la “diligenza” rileva come elemento conformatore di tutela.N.B. Proprio per questo motivo la “semplice dichiarazione di essere maggiorenne non è di ostacolo all’impugnazione del contratto (art. 1426 c.2)” e poi “ i raggiri posti in essere dal minore, oltre a consistere a trarre in inganno l’altro contraente, debbono rivelarsi idonei a celare lo stato di incapacità”. Il secondo punto poi, riguarda se la protezione del terzo si esaurisca in ciò, oppure residui spazio per la responsabilità del minore ex art. 1338 per” violazione del dovere precontrattuale di informazione”.La soluzione negativa si fonda essenzialmente su 2 affermazioni.La prima si basa sul fatto che vi sarebbe un’antitesi tra l’obbligo di informazione e lo stato di incapacità del soggetto a cui l’obbligo sarebbe rivolto, mentre la previsione dell’art. 1426 nel sanzionare il comportamento fraudolento del minore, confermerebbe l’esigenza di “preservare quest’ultimo dalle conseguenze dannose che comunque potessero derivargli da un contratto concluso nel particolare stato d’incapacità” cioè non basta che abbia detto che è maggiorenne!!!.

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Inoltre “la responsabilità ex art. 1338 dipenderebbe non tanto dalla conclusione del contratto, quanto dalla impugnativa del medesimo, impugnativa che a questo punto cesserebbe di essere libera con notevole menomazione della protezione minorile.CRITICHE: Un dubbio sulla fondatezza della prima affermazione viene dal fatto che siccome l’orientamento dominante ritiene che la responsabilità PRE-CONTRATTUALE sia un aspetto della responsabilità EXTRA-CONTRATTUALE, la stessa deve essere configurabile con la semplice “capacità d’intendere e di volere ex art 2046 che non è esclusa dall’incapacità d’agire. Per questo motivo non si vedono ragioni per sottrarre in linea di principio il minore alla responsabilità PRE-CONTRATTUALE e ad esempio e più in particolare quella prevista dall’art. 1440 nel caso in cui il minore abbia esercitato sull’altro contraente raggiri tali da configurare “dolo incidente” e per la convenienza del Contratto non intenda chiederne l’annullamento.Anche il secondo argomento, non lascia senza perplessità dal momento che la responsabilità ex art.1338 presuppone costantemente la decisione che pronunci l’invalidità del Contratto: quindi l’esercizio della relativa azione è sempre esposto ad un’eventuale ricaduta sul terreno della responsabilità.

In ogni caso il professore sostiene che non vi sia una responsabilità pre-contrattuale e fondamentalmente per 2 motivi:Il primo è che in questa maniera il Minore non potrebbe o meglio non gli converrebbe mai impugnare il contratto per l’annullamento in quanto successivamente dovrebbe rispondere secondo la responsabilità pre-contrattuale.Il secondo attiene proprio al fatto che, proprio come ha sottolineato il professore, essendo per legge ovvero per diritto positivo incapace di contrattare il minore di età per lo stesso motivo in ogni caso non dovrebbe rispondere per una responsabilità pre-contrattuale.. delle 2 l’una insomma.

Comunque ricorda che è opinione unanimemente condivisa che l’incapacità del minore di età non scalfisce la validità dei contratti conclusi nell’ordinaria vita di relazionesi pensi al bambino che acquista delle figurine.

Gli interrogativi lasciati aperti suggeriscono di provare un’altra strada chiedendosi se sia possibile abbandonare la prospettiva del concorso degli artt. 1426 e 1338. Che significa? Occorre valutare se una volta inquadrato l’art. 1425 nel contesto delle regole sui doveri precontrattuali, si possa affermare che esso disciplina tutti i doveri di informazione gravanti sul minore di età, esaurendoli in un regime eccezionale, ed inibendo, in una dialettica di eccezione e regola, la rilevanza degli ulteriori spazi coperti dall’art. 1338 oppure al contrario sia da ritenere che le 2 norme concorrono in un rapporto di genere a specie. Vedere meglio dal libro.

2.Violazioni delle disposizioni che regolano l’attività giuridica degli altri soggetti incapaci o limitatamente capaci di agire. L’Amministrazione di Sostegno.

Per gli altri incapaci, come pure i soggetti limitatamente capaci di agire (inabilitati, emancipati, beneficiari di amministrazione di sostegno) l’art. 1425 c.1 è come se rappresentasse una sorta di

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ripetizione di altre disposizioni contenute nel Libro Primo del Cod. Civ., che regolando l’attività degli incapaci e dei soggetti limitatamente capaci di agire, ne contemplano la patologia in caso di violazione.La materia è stata innovata dalla L. n. 6/2004, che esprime testualmente “la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. La nuova legge, con la tecnica della novellazione ha introdotto dagli art. 404 al 413 un nuovo capo contenente la disciplina della “AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO”.

Cominciando con l’Amministrazione di Sostegno, l’art.404 prevede la nomina di un amministratore di sostegno a favore di chi “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”. Il provvedimento menoma la capacità di agire del beneficiario, che viene circoscritta agli “atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art.409 c.2)” ed a “tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno (art.409 c.2)”.Detto questo si comprende quale importanza rivesta il “PROVVEDIMENTO DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO” per quanto riguarda la capacità di agire del beneficiario dal momento che proprio nel provvedimento sono indicati “gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario (art.405 c.4 n.3), in relazione ai quali si opera una sostituzione dell’amministratore al beneficiario stesso, e gli “atti che il beneficiario può compiere da solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (art.405 c.4 n.4), per i quali opera invece lo schema del “concorso di volontà”.A questo punto l’art. 412 si occupa del regime degli atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in “violazione di norme di legge o delle disposizioni del Giudice”.Il 1 comma stabilisce che gli atti compiuti dall’Amministratore di Sostegno, in violazione di disposizioni di legge o in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dello stesso amministratore di sostegno, del P.M., del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.Il 2 comma invece stabilisce che possono essere parimenti annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, o dei suoi eredi o aventi causa, “gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione di disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno”.A questo punto vi è da notare che tali previsioni sono ben più comprensive di quelle dettate per gli atti del tutore dall’art. 377 a tenore del quale “gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli possono essere annullati su istanza del tutore o del minore o dei suoi eredi o aventi causa”.A tal proposito occorre poi considerare che l’art. 377 rientra tra le norme applicabili, in quanto compatibili, alla amministrazione di sostegno. In ogni caso avendo una maggiore portata le previsioni dell’art. 412 – dal momento che contempla anche l’annullabilità degli atti compiuti in violazione del decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno e gli atti eccedenti i poteri dell’amministratore – rende superfluo il rinvio all’art. 377.

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Vedendo più da vicino l’art. 412 il primo interrogativo riguarda l’annullabilità degli atti compiuti dall’Amm. di sostegno o del beneficiario in violazione di disposizioni di legge.Più precisamente vi è da chiedersi se tale disposizione costituisca una deroga alla sanzione di Nullità “degli atti contrari a norme imperative ex. Art. 1418”. In realtà la risposta è negativa, perché in realtà la disposizione colpisce le “violazioni” del “procedimento di formazione dell’atto” Ragion per cui la violazione di legge che rende il “CONTENUTO” dell’atto contrario a qualche norma imperativa determinerà la nullità dell’atto ex art. 1418.

Un altro punto su cui occorre soffermarsi, riguarda la previsione dell’annullabilità degli atti compiuti dall’amministratore di sostegno “in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice”Tale questione coinvolge le regole sulla capacità d’agire e quelle sulla rappresentanza.A tal proposito dobbiamo dire subito, che l’amministratore di sostegno come il Tutore sono dei rappresentanti legali secondo l’art. 1387 dei rispettivi beneficiari. Ma vi è una differenza sostanziale, ovvero mentre il TUTORE ha un potere rappresentativo di tutta la sfera giuridica dell’interessato, L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO invece concorre con quello che l’autore del libro definisce “perdurante margine di capacità di agire del beneficiario” e quindi il relativo potere di rappresentanza non coinvolge “integralmente” la sfera giuridica dell’interessato.Da ciò ne consegue che la c.d. “esorbitanza” dell’atto dell’amministratore di sostegno dai poteri conferitigli dal giudice può riguardare in realtà 2 tipologie di atti:

a) Quelli che il beneficiario può compiere da solob) Quelli che appartengono alla legittimazione dell’amministratore, la quale a sua volta può

essere autonoma o integrata dall’autorità giudiziaria secondo quanto dispongono gli artt. 374 e 375 ad es. in tema di alienazione o acquisto di beni, o all’accettazione o rinuncia di un eredità, tutti atti per i quali è necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare.

Quindi, se il Provvedimento di nomina dell’amministratore, non istituisce un concorrente potere dello stesso sugli atti che il beneficiario ha il potere di compiere da solo, il compimento di tali atti da parte dell’amministratore esorbita “in assoluto” dai poteri conferitigli. Allora a questo punto vi è da chiedersi se tale ipotesi soggiace all’art. 412 con conseguente annullabilità, oppure si risolva nell’inefficacia che caratterizza gli atti compiuti in carenza di potere rappresentativo.. secondo lo schema del c.d “Falsus Procurator” ovvero inefficacia nei confronti del beneficiario, responsabilità per- contrattuale nei confronti del terzo salvo poi la eventuale ratifica. Questa disciplina, ovvero, quella del rappresentante senza poteri sembra la più giusta da applicare e riservare quindi l’annullabilità in quei casi in cui un atto doveva essere compiuto dall’Amm. di Sost. congiuntamente al beneficiario o come nel caso degli art. 374 e 375 nei quali occorre autorizzazione del giudice Tutelare.

Un’ultima peculiarità che riguarda la disciplina dell’Amministrazione di Sostegno è costituita dal fatto che per quanto riguarda l’annullabilità degli atti compiuti dall’amministratore di sostegno è prevista anche la LEGITTIMAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO. Tale legittimazione non è

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prevista neppure per il caso degli atti del TUTORE e del CURATORE e quindi ci si chiede se questa legittimazione sia applicabile anche alla Tutela o la Curatela. La risposta è negativa e questo diverso regime infatti non trova una ragionevolezza rispetto ai principi costituzionali.

3. Segue. Interdetti, inabilitati, minori emancipati

Mentre la condizione giuridica del beneficiario di amministrazione di sostegno è come se fosse plasmata “a misura” dell’interessato, l’interdizione e l’inabilitazione nascono da una radice che tende a delineare in modo rigido i “limiti” della capacità secondo 2 modelli, che si distinguono a seconda che l’incapacità sia piena (interdizione) o limitata (inabilitazione ed emancipazione).Tale rigore tuttavia è stato limitato dalla L. n.6/2004, che infatti nell’art. 427 c.1 ha disposto che la sentenza che menoma la capacità, può stabilire “che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento o con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore”.L’annullabilità degli atti di tali categorie di incapaci è prevista da specifiche disposizioni e più precisamente dagli artt. 427 c.2 per gli interdetti, 427 c.3 per gli inabilitati e art. 396 per i minori emancipati. Quindi anche in questo caso l’art. 1425 contiene una norma generale che si risolve nel ribadire quanto è previsto più analiticamente dalla disciplina dell’interdizione, dell’inabilitazione e dell’emancipazione.Queste discipline contengono una diffusa regolamentazione del procedimento formativo delle determinazioni imputabili alla sfera giuridica del soggetto incapace o limitatamente capace di agire più precisamente lasciano impregiudicata la capacità degli atti di ordinaria amministrazione dei minori emancipati e degli inabilitati artt. 394 c.1 e 424 c.2 , delineano poi un “controllo a mano a mano più intenso” per gli ALTRI atti artt.374 376 e 394.L’Annullabilità, anche nel caso degli interdetti, inabilitati e minori emancipati colpisce le violazioni di quelle prescrizioni procedimentali le quali stabiliscono il modo di formazione dell’intento mediante modelli che man mano a seconda dell’atto diventano più incisivi.Da notare poi, che anche in questo caso la legittimazione relativa che caratterizza l’annullabilità occorre ad evitare ed escludere che la mancanza di autorizzazione del Giud. Tutelare ex art. 374, e quindi per quanto la riscossione di capitali o la promozione di eventuali giudizi, possa essere opposta dal terzo per impedire il compimento dell’atto o contestarne l’efficacia: e quindi per rifiutare di adempiere un obbligazione pecuniaria o chiederne la ripetizione. In altre parole si tratta di una patologia che può essere fatta valere esclusivamente dall’interessato e che non impedisce all’atto di raggiungere gli effetti a cui è rivolto.. Lo stesso discorso vale anche per l’inabilitato.

L’art. 378 c.1 vieta al tutore ed al protutore di “rendersi “acquirenti” direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore” Tuttavia va sottolineato che non si tratta di “un INCAPACITA’ GIURIDICA SPECIALE” da cui cioè deriverebbe la Nullità, perché il titolo di acquisto in quanto annullabile è produttivo di effetti.

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4. Atti dell’incapace Naturale

Quando parliamo della capacità di intendere e di volere, facciamo riferimento alla c.d. “INCAPACITA’ NATURALE”, questa rileva nel regime degli atti dispositivi e solo quando riguardi ovviamente un soggetto capace di agire.A tal proposito l’art. 428 pone la regola generale degli ATTI dell’incapace naturale, distinguendo il regime degli ATTI UNILATERALI da quello dei CONTRATTI.

a)Per quanto riguarda gli “ATTI UNILATERALI” ai fini dell’annullamento è sufficiente che “dall’atto risulti un GRAVE PREGIUDIZIO all’Autore”.

b)Per i CONTRATTI invece è richiesta la “MALAFEDE dell’altro contraente, (cioè la consapevolezza dell’incapacità dell’altro), ricavabile “dal PREGIUDIZIO che sia derivato o possa derivare alla persona incapace” O “dalla QUALITA’ DEL CONTRATTO o altrimenti”.

L’azione si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui l’Atto o il Contratto è stato compiuto.

Un’altra annotazione riguarda il fatto che il 5 comma dell’art. 428 nel “far salve le altre disposizioni di legge” si riferisce alle regole in tema di MATRIMONIO, di TESTAMENTO e di DONAZIONE, per le quali l’annullabilità prescinde dal pregiudizio o dalla malafede dell’altra parte o del beneficiario.

PROBLEMATICHE e rilievi critici: Il primo problema in cui ci si imbatte, quando ci si occupa dell’incapacità di intendere o di volere, riguarda la necessità di comprendere se anche l’incapacità di “Volere”, nel senso di chi è privo dell’attitudine a volere, e quindi non solo di chi non è in grado ci comprendere la portata delle proprie determinazioni, sia soggetta alla stessa disciplina.Sotto questo punto di vista la stessa Cassazione ha precisato che ai fini dell’Annullabilità non è richiesta “la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultano diminuite in modo tale da IMPEDIRE o OSTACOLARE una seria valutazione dell’atto e la formazione di una Volontà Cosciente”CASS. 2003, 2204.

Detto questo l’indagine sull’incapacità di intendere e di volere rappresenta il primo aspetto su cui incentrare il giudizio.Ad esempio per tutte quelle patologie che presuppongono malattie mentali tendenzialmente permanenti, ma tali da poter dar luogo ai c.d “LUCIDI INTERVALLI” ai fini dell’annullabilità ci si chiede se occorre provare che in quel momento il soggetto era privo di capacità o se al contrario basta provare l’esistenza della patologia o malattia che dir si voglia o ancora se al Convenuto spetti l’onere della prova di dimostrare che in quel momento il soggetto era capace per l’appunto di intendere e di volere!!! Sembra più giusto propendere per la prima soluzione.

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Poi un altro aspetto che va sottolineato riguarda il fatto, che sia l’accertamento dell’incapacità che la malafede o il grave pregiudizio costituiscono degli accertamenti di fatto che quindi sono sottratti al sindacato di legittimità.La legittimazione all’azione è riservata al solo incapace e ad i suoi eredi.

Per quanto riguarda poi l’annullabilità degli atti unilaterali, abbiamo detto che questa si fonda oltre che sull’incapacità naturale, anche “sul grave pregiudizio” per l’autore ma NON-OCCORRE che tale pregiudizio sia PATRIMONIALE.Per quanto riguarda invece l’annullamento dei contratti, abbiamo detto che oltre al pregiudizio è necessaria la malafede dell’altro contraente o ancora il riferimento alla “qualità del contratto”.A tal proposito, vi è un orientamento giurisprudenziale costante per il quale il pregiudizio e la malafede, intesa come consapevolezza dell’incapacità della parte sia sufficiente per pronunciare l’annullamento. Nota pregiudizio solo patrimoniale o economico o anche ad esempio di tipo morale nel senso di un contratto che cambia le abitudini esistenziali dell’interessato.. HA venduto un vecchio carretto ad un buon prezzo, ma era legato dal punto di vista affettivo!!!???!.

CAPITOLO IV

L’ERRORE

2. L’Errore: Prospettiva Generale

Premessa: L’Errore appartiene come tutti i vizi della volontà all’ambito dei motivi.Una risalente tradizione distingue l’errore vizio o motivo dall’errore ostativo.L’errore vizio costituisce una falsa rappresentazione della realtà che induce il soggetto ad impegnarsi (art. 1429).L’errore ostativo invece è quello che cade sulla dichiarazione o la sua trasmissione, determinando quindi un’inconsapevole divergenza tra volontà e dichiarazione. (art. 1433)

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Ad esempio, nel contrattare in una lingua straniera, voglio acquistare una merce ma dichiaro di volerne acquistare un’altra (errore sulla dichiarazione) oppure ancora la segretaria nel trasmettere la proposta contrattuale dichiara $1000 anziché 10.000.

N.b: Un altro aspetto che va sottolineato è che l’errore ostativo non rientra tra i vizi della volontà, poiché la divergenza totale tra volontà e dichiarazione comporta una mancanza totale della volontà: tuttavia l’art. 1433 lo sottopone alla stessa disciplina dell’errore vizio, quindi per entrambi è richiesto il requisito della riconoscibilità ex art. 1431 per perseguire l’esigenza di tutelare l’affidamento del destinatario della dichiarazione.Per concludere possiamo dire che l’errore può essere unitariamente definito come una falsa rappresentazione della volontà.

3. L’Errore negli ATTI RICOGNITIVI, nelle dichiarazioni di SCIENZA e negli ATTI DETERMINATIVI.

Uno sguardo sull’errore oltre la fenomenologia del Contratto, ci aiuta a comprenderne la ricostruzione che in realtà è plasmata sulla funzione dell’atto a cui esso si riferisce.Il regime dell’errore per il contratto in generale (art. 1428-1433) concerne la rilevanza della falsa rappresentazione della realtà che induce con carattere determinante ad assumere un impegnoriguarda cioè atti funzionalmente programmatici dei propri interessi Proprio per questo la patologia dell’atto è costituita dall’annullamento che serve appunto a rimuovere l’assunzione di un impegno.Da questo regime invece è escluso, quel novero di ipotesi in cui, pur essendoci una falsa rappresentazione della Realtà, questa in ogni caso incide su atti caratterizzati da una funzione diversa, quindi non atti programmatici e per i quali non è previsto l’annullamento.

CASI ED ESEMPI: Questo discorso vale ad esempio per la “promessa di pagamento” o la “ricognizione di debito” ex art. 1988. Anche se fatte per errore, NON SONO ANNULLABILI proprio perché non costituiscono il “titolo dell’obbligazione” ma solo un mezzo di prova che dispensa il destinatario di provarne i fatti costitutivi e quindi l’esistenza del debito: In questo caso quindi il dichiarante che per errore ha riconosciuto il suo debito o ha promesso il pagamento per rimuoverne l’efficacia, dovrà provare la mancanza del “titolo o rapporto fondamentale”in questo caso infatti la dichiarazione ha una funzione esclusivamente probatoria.CONFESSIONE: Nella confessione, che ha ad oggetto l’ammissione di fatti sfavorevoli al confitente non è previsto l’annullamento bensì la REVOCA ex art. 2732, che rimuove l’atto senza l’accertamento giudiziale dell’errore. L’accertamento opererà solo in caso di contestazione circa l’esistenza dell’errore (di fatto) e originerà una sentenza dichiarativa volta ad accertare l’errore e con esso l’efficacia della Revoca.Abbiamo detto che l’errore di fatto può determinare la revoca della confessione, quindi è necessaria una falsa rappresentazione della realtà, ma essendo la stessa una “dichiarazione di scienza” non si può far leva sui caratteri dell’essenzialità e riconoscibilità previsti per la rilevanza dell’errore nei Contratti art. 1428. Essenzialità che sarebbe cmq costituita dal fatto rappresentato, riconoscibilità esclusa per il semplice fatto che essendo la confessione una dichiarazione di scienza LA VERITA’ per così dire non può essere riconosciuta dall’altra parte. Anche il dolo è irrilevante e lo stesso si

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ritiene per la simulazione, anche se qui il discorso potrebbe essere più interessante con riguardo alla eventuale strumentalità della confessione alla costituzione del negozio simulato. In questo caso la controdichiarazione delle parti che hanno simulato il negozio potrebbe contemplare la confessione.

ATTI DETERMINATIVI: Negli Atti determinativi l’Errore non costituisce il movente della determinazione dell’atto, ma incide esclusivamente sul suo contenuto.In altri termini nel caso degli ATTI DETERMINATIVI, l’errore non è il “PERCHE’ DELL’ATTO” bensì, ma la ragione per cui quell’atto ha un contenuto diverso da quello che vi sarebbe stato senza l’errore.In realtà si tratta di ipotesi tipiche, nel senso cioè che sono specificatamente disciplinate.A)La prima è data dall’errore nell’atto che determina la “TABELLA MILLESIMALE” C.D. DI PROPRIETÀ NEL CONDOMINIO e che è volta a fissare i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano ragguagliati a quelli dell’intero edificio.L’art 69 d.a.t. (disp. Di att. Del Cod. Civ.) prevede che detti valori “possono essere riveduti o modificati quando risulta che sono conseguenza di un errore ”. A tal proposito occorre precisare che questo Errore prescinde del tutto dai caratteri dell’errore nel Contratto, infatti NON E’ causa di annullamento del Contratto bensì una “premessa” da accertare per procedere ad una nuova attività determinativa.La giurisprudenza più risalente era di segno contrario, tendeva cioè a far rientrare quest’errore nella previsione dell’art. 1428. Ma le decisioni successive della Cassazione, sulla base della tesi che sottolinea come la determinazione della TABELLA MILLESIMALE avviene sulla base di parametri “OGGETTIVI” ha distinto tale errore, dall’ERRORE VIZIO DEL CONSENSO, escludendo quindi che per il primo caso occorra far riferimento ai requisiti posti dall’art. 1428.Un discorso diverso invece va fatto nel caso in cui i condomini surrogano i criteri “OGGETTIVI” di determinazione della tabella millesimale di proprietà, con “PARAMETRI SOGGETTIVI” delineati dalla loro autonomia: In questo caso infatti si tratta di un “CONTRATTO”, e quindi lo assoggetta al regime generale dell’Errore nel contratto e conseguentemente alla patologia dell’Annullabilità.

DIVISIONE EREDITARIA: Anche la “divisione ereditaria” è sottratta al regime dell’annullabilità per errore, essendo ai sensi dell’art. 763 prevista solo la”RESCISSIONE” e nel caso di lesione oltre il quarto. N.b. funzione della Divisione è lo scioglimento della comunione mediante l’approporzionamento la lesione oltre il quarto, assorbe l’eventuale errore.

OGGETTO DEL CONTRATTO AD OPERA DEL TERZO: Praticamente si tratta del caso in cui la determinazione dell’oggetto del Contratto spetti al terzo, è il c.d arbitraggio ex art. 1349 e laddove sia escluso il “mero arbitrio del terzo” quest’ultimo deve procedere con equo apprezzamento. Laddove risulti che la determinazione dell’oggetto sia “manifestamente” erronea è previsto che questa possa essere sostituita dal Giudice. Anche in questo caso quindi non vengono in considerazione i requisiti dell’art. 1428, in quanto l’errore cadendo sull’opera dell’arbitratore non tocca la determinazione a contrarre che invece è esclusiva delle parti.

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CONTRATTI DI ACCERTAMENTO: Sono quei contratti con cui le parti intendono superare una situazione di incertezza su una determinata situazione o eliminare un contrasto di vedute sulla stessa, regolandola in modo tale da rispecchiare secondo la loro prospettiva la sua reale consistenza.Similitudini Transazioni e contratti di accertamento e però vi è da sottolineare il fatto che l’Errore possa cadere sulla determinazione della situazione accertata da quel Contratto e quindi si può parlare di un errore che cade sull’”oggetto” visto che poi da quella situazione accertata scaturiranno le prestazioni L’ERRORE sarà RILEVANTE se riconoscibile.

4.L’Errore negli Atti DISPOSITIVI. Errore e Interpretazione. Errore e Inadempimento. Errore e Dissenso.

Prima di accertare l’errore, è necessario accertare l’intento dei contraenti infatti prima che si riscontri l’errore è necessario che il contratto non soddisfi l’interesse cui tendeva almeno una delle due parti.Quindi se si contrappongono due significati diversi di una clausola oppure quando il significato immediatamente percepibile non rispecchi l’interesse di una parte, occorre preliminarmente interpretare tale clausola senza fermarsi al significato letterale della parola e valutando il comportamento complessivo dei contraenti.Questa attività ermeneutica può o condurre al superamento degli errori materiali (esempio l’erronea indicazione del nome di uno stabilimento industriale assicurato contro i danni ma che da tempo è stato dismesso in luogo di un altro che lo ha sostituito) o svelare una comune intenzione non coerente al significato delle espressioni adoperate dalle parti.Solo se si stabilisce univocamente che la portata del contratto è incoerente con l’intento di una parte, questa potrà dedurre di essere incorsa in errore.A questo punto si possono distinguere le ipotesi di errore sull’identità dell’oggetto della prestazione o su qualità dello stesso determinanti il consenso (art 1429 n 2) cui seguirebbe l’ANNULLABILITA’ del Contratto, da quelle in cui, individuato l’oggetto e le sue qualità, ricorre inadempimento del soggetto tenuto ad eseguire la prestazione qual è individuata dal contratto, con la conseguente esperibilità della RISOLUZIONE per “Inadempimento” o di altri rimedi speciali.La domanda di annullamento per errore non può concorrere con quella tendente alla risoluzione per inadempimento perché sono diversi i presupposti costitutivi delle stesse, però è possibile chiedere in via gradata la risoluzione. Il nesso tra interpretazione ed errore è particolarmente evidente nella contrattazione in lingua straniera in questo caso bisogna verificare se l’incomprensione del testo abbia determinato mancanza di consenso e quindi nullità. Negli altri casi e quindi qualora vi sia conformità, seppure solo formale, dell’accettazione della proposta, il fraintendimento rileva sul piano dell’errore, di regola ostativo(volevo acquistare dei coltelli ed invece ho acquistato forchette), determinando l’annullabilità in presenza dei requisiti posti dall’art 1428.

5. L’Errore di Calcolo e la Rettifica. L’Errore materiale e la Correzione

L’Errore di “Calcolo” possiamo dire che costituisca una peculiare modalità dell’errore.

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Esso “non da luogo all’ANNULLAMENTO del Contratto, ma solo alla RETTIFICA , a meno che concretandosi in errore sulla “quantità”, sia stato determinante per il consenso” secondo quanto disposto dall’art. 1430.Secondo parte della Giurisprudenza, perché ricorra tale tipo di errore e sia previsto quindi il rimedio dell’ Annullabilità è necessario che non si tratti di un errore di calcolo, bensì l’Errore deve cadere sull’elaborazione dei criteri per giungere a quel calcolo!!!!La “RETTIFICA” non è strumentale lla correzione di errori correggibili mediante interpretazione, ma solo alla conservazione di un Contratto che non rispecchia l’intento effettivo di una delle parti, là dove cioè, essa “si è basata sul risultato di un calcolo sbagliato”Questa prospettiva conferisce all’Errore di Calcolo ed alla Rettifica, che ne è il rimedio, un più vasto ambito applicativo, rendendolo un ERRORE VIZIO non-essenziale consistente nell’erronea indicazione della quantità della Prestazione, col solito discorso che a meno che non abbia determinato il consenso non avrà un efficacia invalidante nel senso di aprire la strada all’annullamento.Proprio per questo motivo, la rettifica presuppone la “riconoscibilità” dell’Errore.

Un altro aspetto che caratterizza la RETTIFICA (ha un ambito applicativo più vasto dell’errore di Calcolo) è costituito dal fatto che la parte caduta in errore non può chiedere l’annullamento del Contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra parte offre di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità del Contratto che quella intendeva concludere . Si tratta quindi di un ISTITUTO “funzionale alla conservazione del Contratto mediante la modifica del CONTENUTO dello stesso”.Come abbiamo già detto la rettifica è preclusa qualora il soggetto caduto in errore abbia già subito un pregiudizio.. La rettifica può essere offerta anche “dopo” la proposizione della domanda di Annullamento.Per finire però, l’efficacia della Ratifica non supera le disposizioni in tema di “trascrizione”. Si applica criterio anteriorità della trascrizione di cui all’art. 1445.

6.L’Errore Ostativo

Come abbiamo già detto nella figura generale dell”ERRORE” sono confluiti sia la falsa rappresentazione della realtà che induca la parte a contrarre ovvero il c.d errore VIZIO o MOTIVO; che l’Errore nella “dichiarazione” o nella sua “trasmissione” ovvero il c.d. errore OSTATIVO ex art. 1433.Entrambe le ipotesi soggiacciono agli stessi requisiti di rilevanza: Ovvero l’Errore deve essere ESSENZIALE e RICONOSCIBILE.un aspetto fondamentale però che va sottolineato è costituito dal fatto che sia la Dichiarazione che la sua TRASMISSIONE devono riferirsi ad un intento già formatoESEMPIO: Proprio per questo motivo ad esempio si ritiene estranea alla figura dell’Errore ostativo l’ipotesi “di riempimento di foglio in bianco” in modo difforme dall’accordo di riempimento”

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proprio perché in realtà in quest’ipotesi la determinazione dell’INTENTO viene affidata ad un un altro soggetto ovvero l’incaricato del dichiarante.

Un’ultima problematica da affrontare poi riguarda la “DIFFERENZA” tra l’errore Ostativo e il DISSENSO.. abbiamo detto che generalmente si ritiene che l’Errore Ostativo determini una divergenza della DICHIARAZIONE dalla Volontà (voglio acquistare chiodi ma scrivo viti). Tuttavia che succede, che tale divergenza tra Volontà e dichiarazione , non comporta in alcun modo la mancanza dell’ACCORDO. Nel Dissenso invece non avviene proprio l’Accettazione della proposta, o meglio è come se l’Accordo non si configurasse, in altri termini non si tratta di una Dichiarazione che non corrisponde alla Volontà… ma manca proprio un Intento comune, un Accordo per l’appunto, o meglio non vi è “corrispondenza tra PROPOSTA e ACCETTAZIONE) e comporta la Nullità del Contratto. ‘Nsomm non c’è stato un fraintendimento.

7.L’Errore “motivo” o “vizio”.Abbiamo detto che nell’Errore VIZIO o MOTIVO la Dichiarazione rispecchia l’INTENTO, ma questo non tende al soddisfacimento dell’interesse che il soggetto intende perseguire. Ciò deriva da “una falsa rappresentazione della Realtà” che altera la formazione della determinazione a contrarre, impedendo quindi la percezione di un “contro motivo” che avrebbe escluso quella determinazione.

Alla base della rilevanza dell’Errore Motivo si pongono 2 esigenze:a)Da un lato si tutela la Volontà delle parti, nel senso di tutelare il Diritto a determinarsi consapevolmente nello svolgimento dell’Attività Negoziale.b)Dall’altro però si tutela la “stabilità dei Contratti” con la conseguente necessità di individuare quale Errore rilevante l’ERRORE ESSENZIALE.

L’Essenzialità si snoda fondamentalmente su 2 versanti Da una lato la “realtà” su cui cade l’Errore. Dall’altro sull’efficienza dell’errore sulla determinazione a contrattare che deve risultare decisiva. o come dice il prof. “errore che incide sulla determinazione volitiva del contraente__ errore c.d determinante.Proprio per questo motivo è esclusa la rilevanza dell’Errore “INCIDENTE” la cui scoperta cioè avrebbe determinato la parte a concludere il Contratto a condizioni diverse.Tale problema può essere esaminato secondo 2 prospettive:a)Annullabilità delle singole clausoleb)Capire la portata di un errore che cade sui dati enunciati dall’art. 1429 ma non è decisivo.

Allora per quanto riguarda l’Annullabilità delle singole clausole, si solleva innanzitutto l’interrogativo circa l’ammissibilità dell’ANNULLAMENTO PARZIALE che la giurisprudenza afferma estendendo la regola affermata dall’art. 1419 per la Nullità. La Dottrina invece è di segno contrario.Tuttavia che succede? Che l’errore è rilevante solo se cade sugli aspetti o profili del Contratto indicati dall’art. 1429… N. BENISSIMO Se cadono su altri aspetti si tratta di Errori irrilevanti

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(ovvero secondo la comune denominazione sono ERRORI MOTIVI) ma riguardando circostanze estrinseche al Contratto sono irrilevanti.Però anche l’errore Vizio altro non è che un Motivo e quindi in realtà come sottolinea il professore la cernita deve essere fatta con riferimento al Contratto, o meglio all’auto-regolamento occorre distinguere quegli elementi che possano rilevare come Errori rilevanti da quelli che non lo sono che ad esempio illustrano le ragioni di una parte al contratto rendendole note all’altra e che come tali non saranno rilevanti.

7. L’Errore sulla Natura o sull’Oggetto del Contratto.

Abbiamo detto che l’art. 1429 al n.1 stabilisce che l’errore è essenziale quando cade sulla “natura o sull’oggetto del Contratto. Nello stesso tempo abbiamo rilevato che nell’ESSENZIALITA’ fondamentalmente concorrono 2 componenti: Ovvero la “REALTA’” su cui cade l’errore e la sua efficienza “determinante” sul Consenso.Tuttavia nel n.1 dell’art. 1429 l’attenzione si incentra solo sulla realtà in cui cade l’errore, ovvero la NATURA o L’OGGETTO del Contratto.

L’Errore sulla “NATURA o l’OGGETTO” del Contratto suscita diverse problematiche che non trovano accordo da parte di tutti gli studiosi. Ciò dipende dal modo in cui si intende l’OGGETTO del Contratto, ovvero NATURA ed OGGETTO possono essere considerate come errore sulla medesima realtà oppure son 2 cose diverse.In linea con la Dottrina dominante qualora l’oggetto del Contratto viene individuato nelle PRESTAZIONI, la portata delle stesse prestazioni nel determinare la “natura” del Contratto conduce ad una sovrapposizione, nel senso che l’errore sull’oggetto si traduce nell’errore sulla natura del Contratto.ESEMPI CLASSICI di errore sulla NATURA o L’OGGETTO del Contratto sono: di chi ritiene di acquistare la PROPRIETA’ ed invece acquista l’USUFRUTTO.Tuttavia che cos’è che occorre precisare? Vi sono dei casi in cui l’errore sull’oggetto del Contratto si risolve in una “divergenza reale” tra l’interesse reale e l’interesse regolato e abbraccia tutto il contenuto contrattuale. MA N.benissimo: L’errore deve cadere sugli effetti CONVENZIONALI del contratto, poiché invece gli effetti che la legge direttamente collega alla scelta di un modello contrattuale (art. 1374) esulano dall’orbita di rilevanza dell’errore in quanto sono retti dal principio ignorantia legis non excusat. Praticamente non posso aver voluto costituire un contratto di usufrutto, e poi dire ma io credevo che con l’usufrutto mi venisse trasferita la proprietà e quindi voglio annullare il negozio. Mentre discorso diverso è invece se io voglio acquistare la proprietà di quel fondo però erroneamente stipulo un contratto di usufrutto!!!!.Quindi da quanto abbiamo detto si comprende che l’errore per l’appunto potrà rilevare come errore sull’Oggetto o sulla Natura del Contratto quando vi sarà le “scelta” di un modello Contrattuale inidoneo a soddisfare l’interesse reale del Contraente e non invece per la semplice inconsapevolezza degli effetti tipici legalmente previsti derivanti da quel Contratto.ESEMPIO: Il venditore non può chiedere l’annullamento della vendita, sostenendo che non l’avrebbe conclusa se avesse saputo di essere tenuto alla “garanzia per evizione”.( Si ha la garanzia per Evizione .. quando il soggetto A vende una casa a B, ma in realtà vi è un accertamento del

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giudice che dice che A non era proprietario di quella casa, perché lo è il soggetto C. A questo punto il soggetto A è tenuto a risarcire del Danno il soggetto B (oltre che del valore dei frutti visto che anche questi ritornano a C),che subirà per l’appunto l’evizione di C).Ricorda esempio del balcone… che viene affittato per una manifestazione.. e poi la manifestazione non si tiene!! Di che si tratta? Errore sull’oggetto o sulla natura, Oppure Errore sulla “Qualità dell’oggetto della prestazione” n.2 art. 1429??. Sembra preferibile questa.

8. L’Errore sull’Identità o su “Qualità” dell’oggetto della prestazione.

L’art. 1429 al n. 2 stabilisce che l’errore è essenziale, quando cade sull’”identità” o su una “qualità” dell’oggetto che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi “DETERMINANTE” del “CONSENSO”. N.B.: Ovviamente l’accertamento della portata decisiva dell’errore sul Consenso è richiesto solo per l’ERRORE sulla qualità dell’Oggetto, mentre per l’errore sulla identità dell’oggetto la portata dell’errore sul consenso sarebbe in re ipsa, e quindi non abbisognevole di un accertamento.ESEMPI: Gli esempi tipici che si fanno, per quanto riguarda l’errore sulla identità o sulla qualità dell’oggetto sono quelli di un soggetto che crede di comprare un cavallo da corsa ed invece acquista un cavallo da Tiro o ancora di chi crede di Acquistare un Quadro d’Autore ed invece acquista una Copia.. la c.d. crosta!! Ahahahah!!!!.Tuttavia DEL PRATO sottolinea che l’errore sulla “qualità” dell’oggetto della prestazione ricorre quando la parte attribuisce alla cosa qualità che non ha e che non deve avere. Un altro aspetto che va considerato riguarda la circostanza dell’errore sulla qualità dell’oggetto inteso come errore sul PREZZO??? Ma questo non rileva ai fini dell’errore. Che vuol dire? se l’antiquario mi vende un mobile, non può successivamente a causa del fatto della scoperta che quel mobile aveva un più ingente valore annullare quel contratto di vendita. In questo caso l’Errore non cade sulla Qualità dell’oggetto, bensì sulla Convenienza Economica dell’Affare!!!!.N.BENISS. : Discorso diverso invece và fatto qualora, l’errore sul prezzo o sul valore derivi dall’errore sulla qualità dell’oggetto della prestazione. Nel senso che se quel mobile io l’ho pagato 1000 perché credevo fosse un oggetto di antiquariato e poi invece scopro che è stato semplicemente invecchiato con dei solventi, allora vi è errore sulla “Qualità” dell’oggetto della prestazione ed è essenziale e ha determinato il mio consenso!!!ahahahah!!!.

Un’altra ipotesi frequente di Errore sulle “QUALITA’” dell’oggetto della prestazione è quella costituita dall’errore sulla natura “agricola ed edificatoria” di un terreno.Si discute per l’appunto se si tratta di ERRORE DI FATTO ( ai sensi del n.2 all’art. 1429), o al contrario Errore di Diritto.Come si risponde a questo quesito? Si potrebbe parlare di “errore di diritto”, là dove la “edificabilità” non si sia ancora perfezionata, in quanto vi è uno strumento urbanistico che è stato adottato ma non è ancora stato definitivamente approvato in quanto si ritiene che in tal caso non è configurabile un errore di fatto su qualità della cosa, non essendo l’edificabilità ancora consolidata.Tuttavia è molto interessante la Giurisprudenza di Cassazione che a tal proposito è più precisamente nel caso di un soggetto che vende un terreno non edificatorio secondo il piano regolatore in vigore, ignorando che in realtà il terreno è incluso in una zona fabbricabile in uno

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strumento urbanistico adottato dal Comune, ma non ancora approvato dalla Regione. ha in effetti stabilito che si tratti di un errore sulla qualità della cosa, ma con 2 diversi orientamenti.1)Il primo orientamento sostiene che non si tratti di un “ERRORE RILEVANTE” in quanto tali qualità del bene devono sussistere al tempo del perfezionamento del Contratto, ritenendo quindi che l’eventuale edificabilità costituisca una sopravvenienza materia di rischio contrattuale.2)Il secondo orientamento invece, che è stato condiviso dalla Cassazione a Sezioni Unite, ha ritenuto che per l’essenzialità dell’errore non conta solo la contrapposizione tra le 2 estreme condizioni dell’edificabilità o non- edificabilità del terreno, stabilendo che invece in questi casi si tratta di un errore essenziale e rilevante.

Cambiando argomento abbiamo detto che una nota dell’ESSENZIALITA’ dell’Errore è la sua efficienza determinante del Consenso. Nel caso dell’errore sull’identità dell’oggetto della prestazione o ancora dell’errore caduto sulla “natura o sull’oggetto” del Contratto, questo è di per se determinante del consenso proprio in virtù della portata che la realtà su cui cade assume nella dinamica del Contratto. VS Nel caso di errore sulla qualità dell’oggetto della prestazione questo invece “SECONDO il “COMUNE APPREZZAMENTO” o in RELAZIONE ALLE CIRCOSTANZE” determinante del Consenso!!! tale efficienza determinante dell’errore non richiede una prova specifica, perché può essere desunta da dati oggettivi quali per l’appunto il comune apprezzamento o altre circostanze.

10.L’Errore sull’Identità o su Qualità dell’altro Contraente

La terza ipotesi di cui si occupa il 1429 è quella costituita dall’errore essenziale che cade “sull’Identità o sulle Qualità dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del Consenso”.Come si evince dal dettato, in questo caso l’efficienza determinante dell’Errore viene valutata ad una stregua marcatamente soggettiva.In questi casi, la prova dell’Essenzialità e della Riconoscibilità dell’Errore si basa sull’identità o le Qualità della persona, il cui “PESO” sull’operazione contrattuale si possa già apprezzare dalle caratteristiche dell’operazione e dagli interessi che ne emergono.Ci si chiede se la falsa “rappresentazione della Consistenza Patrimoniale ” o del Reddito dell’altro contraente possa rilevare sul piano dell’Errore sulle Qualità, o se invece tale Errore sia un Errore di Valutazione e quindi Irrilevante??!!!??. A tal proposito, si registrano opinioni Discordanti che fanno leva sulla circostanza che la consistenza patrimoniale o il Reddito di un soggetto non sono Durevoli ma suscettibili di cambiamenti nel tempo. Tuttavia DEL PRATO a differenza di PIETROBON sostiene che la circostanza che un soggetto abbia “un determinato reddito o consistenza patrimoniale” rileva ai fini del Consenso, o meglio diventa determinate ai fini del Consenso dell’altra parte e quindi non ci sarebbero ragioni sufficienti per escludere tout court la rilevanza dell’Errore.

A tal proposito poi, un’altra ipotesi che va sottolineata, riguarda il caso in cui L’errore sulla “QUALITA’” dell’altro contraente rimane direttamente assorbito dalla NULLITA’ Ovvero tutte

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quelle ipotesi in cui sia richiesto uno “specifico titolo di abilitazione” ed il contraente ne sia privo ESEMPIO: Contratto di Agenzia stipulato con AGENTE NON ISCRITTO PRESSO L’APPOSITO ALBO!!.

11.L’Errore di Diritto

Dell’Errore di Diritto se ne occupa il n.4 dell’art. 1429. Le maggiori problematiche che si registrano in relazione all’Errore di diritto, riguardano in qualche modo sia le commistioni di questo con l’errore sulla Natura del Contratto con riferimento a quelli che sono gli effetti tipici, legali e non Convenzionali che la legge riconduce ad un Contratto e sia la comparazione di questo Errore di Diritto con il Principio per cui “ignorantia legis non excusat”.Detto questo quando sarà rilevante l’Errore di diritto? La soluzione è costituita dal fatto che l’Errore di Diritto sarà rilevante quando renderà l’Atto inidoneo a soddisfare “L’INTERESSE” che aveva determinato il soggetto al suo compimento e non quando si risolve semplicemente sull’” INCONSAPEVOLEZZA di Determinati EFFETTI GIURIDICI ”. Esempio: ricorda il venditore non può chiedere l’annullamento della vendita perché non sapeva che la legge ricollegasse la Garanzia per EVIZIONE, mentre potrà chiedere l’annullamento laddove ad esempio sia incorso in un errore sul significato di una clausola che prevedeva una condizione risolutiva del Contratto quale ad esempio.. se la TV non mi viene consegnata entro 2 giorni dalla conclusione del Contratto ho diritto alla Risoluzione dello Stesso.!!!!Proprio per questa ragione, la dottrina dominante afferma che questo tipo di Errore rileva solo se cade sui “PRESUPPOSTI” del Contratto e non quando cade sugli effetti. Ma dall’altra parte però abbiamo un dettato normativo che stabilisce che l’Errore è essenziale “quando trattandosi di Errore di Diritto, è stata la ragione unica o principale del CONSENSO”.Vi sono 2 ricostruzioni in proposito: Ovvero vi è chi sostiene, che l’Errore di Diritto sia una duplicazione dell’Errore di fatto ma questa volta su profili schiettamente giuridici inteso come un errore sulla REALTA’ ma questa volta normativa; e chi invece attribuisce all’errore di diritto la funzione di dare rilevanza anche all’ERRORE che cade sui Motivi, purchè però beninteso sia determinante del Consenso!!!.

12. Riconoscibilità dell’ERRORE (La NORMALE DILIGENZA)

Abbiamo detto che l’errore oltre che “ESSENZIALE” deve essere “RICONOSCIBILE”.La Tutela dell’affidamento incolpevole nell’altrui dichiarazione sostiene il requisito della Riconoscibilità, che con l’Essenzialità rende rilevante l’errore.I Connotati della Riconoscibilità sono delineati nell’art. 1431, per il quale “l’Errore si considera riconoscibile quando in relazione al contenuto, alle circostanze del Contratto ovvero alla qualità dei Contraenti, una persona di Normale Diligenza avrebbe potuto rilevarlo”. DEL PRATO a tal proposito parla di errore riconoscibile usando la normale diligenza e di errore in concreto riconosciuto. Forse l’unica cosa che va sottolineata a tal proposito è che se nel caso dell’Errore conosciuto, una delle parti quali il destinatario della dichiarazione si accorge dell’Errore

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e lo comunica al Dichiarante questo poi non potrà in seguito sostenere che vi è errore, è stato riconosciuto o era riconoscibile e quindi chiedere l’Annullamento del Contratto.

13.Errore bilaterale o comune.

Può succedere che siano caduti in Errore entrambi i Contraenti.Se si tratta di Errori Diversi, ciascuno di essi deve essere valutato singolarmente.Si parla invece di “errore bilaterale” quando entrambi i contraenti sono incorsi nel medesimo Errore, ma soltanto verso uno di essi ha avuto efficienza determinante.L’errore bilaterale a sua volta può essere “errore comune” quando per entrambe le parti è stato determinante del Consenso. NON è RICHIESTA LA RICONOSCIBILITA’.Vedere meglio.

14.Errore comune e PresupposizioneLa PRESUPPOSIZIONE consiste nei fatti ad una scorretta percezione della Realtà..nel senso che entrambi i contraenti non avrebbero concluso quel contratto se avessero avuto una corretta percezione della Realtà. Si capisce quindi come si tratti di un errore comune.Le problematiche si addensano sulla circostanza di comprendere se l’errore sul presupposto comunemente assunto dai contraenti si risolva in un errore sul MOTIVO, seppur determinante e quindi capace di condurre all’annullabilità del CONTRATTO oppure si tratti di un Errore Comune sull’Oggetto del Contratto ex art. 1429 n.1 e quindi il carattere comune dell’errore consente di escludere il requisito della Riconoscibilità.Poi nota che si dice che se la presupposizione erronea appartiene ai presupposti del Contratto rilevanti secondo l’ERRORE (oggetto, natura del Contratto o identità e qualità dell’oggetto delle prestazioni) si può configurare errore comune con conseguente annullamento; Nel caso di presupposizione erronea che invece attiene ad una “sopravvenienza” sarà possibile una Risoluzione (per impossibilità sopravvenuta della prestazione??) del Contratto.!!!!????!!!

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CAPITOLO V

IL DOLO NEGOZIALE

1.Consistenza del Dolo Negoziale

Nel “DOLO NEGOZIALE” fondamentalmente accade ciò che accade nell’errore, ma una parte è mossa a contrarre perché quest’errore è determinato da raggiri.

Possiamo dire che il senso della Disciplina del Dolo è proprio quello di dare rilevanza ad errori, che, in sé non verrebbero in considerazione. Proprio per questo motivo infatti nel DOLO NEGOZIALE hanno rilevanza anche gli Errori “sui MOTIVI” e quindi anche gli errori di “PREVISIONE” nel senso di… cos’è che mi ha indotto a concludere questo contratto??? Il raggiro altrui.E’ possibile parlare di 2 diversi tipi di Dolo, ai quali il legislatore riconduce differenti effetti:a)DOLO DETERMINANTE: Il legislatore se ne occupa all’art. 1439 ed in relazione all’attitudine dei raggiri a determinare la conclusione del Contratto ne fa discendere l’ANNULLAMENTO quando il Contratto non sarebbe stato altrimenti concluso.b)DOLO INCIDENTE: Il legislatore se ne occupa all’art. 1440 e stabilisce che se i raggiri posti in essere non sono stati tali da determinare alla conclusione del Contratto la parte, il Contratto è valido ma siccome senza i raggiri sarebbe stato concluso a condizioni diverse, il contraente in “malafede” risponde dei danni.

N.B: UN’altra tipologia di Dolo poi è costituita dal c.d. “DOLUS BONUS”, il quale consiste possiamo dire in “accorgimenti” seppur artificiosi volti a stimolare la conclusione dei contratti. Tale dolo sarebbe “irrilevante”.Tuttavia, in realtà in questi casi si tratta di stabilire quale sia o possa essere la linea di confine tra il “DOLUS BONUS” ed il “DOLUS MALUS”, e quindi l’area del “Dolus Bonus” tende ad essere ristretta dalle recenti normative a tutela del CONSUMATORE che accentuano degli “obblighi di informazione”. Il libro riportava una sentenza della Cassazione che aveva stabilito che il contratto concluso a seguito di una Pubblicità, sulla quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia accertato la “natura ingannevole” di tale pubblicità è annullabile per Dolo.L’interrogativo può essere risolto sulla scorata di un “CRITERIO GIURISPRUDENZIALE” secondo cui l’attitudine dei raggiri a trarre in inganno deve essere valutata alla stregua della “comune diligenza”, in quanto l’ affidamento non può ricevere tutela se fondato sulla negligenza . Anche in questo caso però non vi è accordo, in quanto vi sono dei casi che anche tramite una “normale avvedutezza” il raggiro non sarebbe potuto essere neutralizzato.

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Soprattutto questa regola suscita perplessità se si considera che lo scopo del regime del Dolo NEGOZIALE è quello di proteggere la consapevolezza del soggetto nell’auto determinarsi al Contratto e quindi sarebbe più giusto e opportuno, utilizzare come criterio di analisi di rilevanza del raggiro le “condizioni soggettive” del deceptus; nello stesso tempo peraltro fornisce un criterio utile a delineare la portata del dolus bonus nel senso di far coincidere questo con i raggiri per l’appunto inidonei a trarre in inganno una persona di normale diligenza.L’ Onere probatorio spetterà alla parte, quando si tratterà di raggiri astrattamente insufficienti secondo l’ordinaria avvedutezza a determinare il consenso e la conclusione del Contratto, nel senso che dovrà fornire la prova della specifica circostanza da cui desumere in ogni caso l’attitudine del raggiro alla sua determinazione a contrarre.

2.Contegno del DECEPTORCi si è chiesti se il Dolo presupponga l’intento di raggirare il c.d. “animus decipiendi”, o se invece sia sufficiente l’attitudine del comportamento a trarre in inganno seppur manchi una corrispondente intenzione.La questione prende spunto da una nota sentenza che riguarda il famoso pittore DE CHIRICO.La sentenza è del 1982, ed ha affermato la responsabilità extra-contrattuale del pittore nei confronti dell’acquirente di un quadro, disconosciuto dallo stesso pittore, ma recante sul retro la sua firma Autenticata dal Notaio in quanto quella firma aveva indotto l’acquirente, o meglio l’autenticazione della firma aveva generato affidamento circa l’autenticità del quadro.Tuttavia per la dottrina maggioritaria e per la giurisprudenza l’inganno deve essere intenzionale, sul presupposto che l’intenzionalità sia connaturata alla struttura del Dolo.Dall’altra parte invece si registrano voci di segno diverso, le quali ponendo al centro dell’attenzione la protezione dell’autodeterminazione del raggirato, fanno riferimento alla concreta attitudine della condotta a trarre in inganno a prescindere dall’intenzione di chi opera ed aprendo quindi uno spazio al c.d. “DOLO COLPOSO”Questa tesi però solleva problematiche in relazione al dolo omissivoNel caso di falsa informazione colposa, si può trovare una soluzione sul piano dell’illecito extra-contrattuale senza dar luogo ai rimedi, invalidanti e risarcitori previsti in tema di Dolo negoziale

3.Dolo OmissivoE’ costante l’affermazione per cui anche il “comportamento omissivo” può configurare dolo negoziale se è “funzionale” ad ingannare.Tuttavia a tal proposito il “SILENZIO” è insufficiente, a meno che sussista:

A) un OBBLIGO DI INFORMAZIONE NORMATIVAMENTE PREVISTOB) o, le “CIRCOSTANZE TACIUTE”, per il loro carattere decisivo, debbano costituire

oggetto di comunicazione secondo “Buonafede” ed il relativo silenzio costituisca una malizia funzionale al raggiro. In altri termini “silenzio e reticenza”, rilevano solo allorchè in relazione alle circostanze, costituiscano le componenti di un disegno complessivo volto a realizzare l’inganno.

Nel caso di “DOLO RECIPROCO” si è parlato di compensazione, sul presupposto che la reciprocità dei raggiri possa elidere la portata dei raggiri stessi. Al contrario però si è osservato che la “compensazione può aver luogo tra obblighi di risarcimento e NON TRA VIZI DEL CONTRATTO”.???

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4.Dolo IncidenteAi sensi dell’art.1440 si parla di “DOLO INCIDENTALE” se i raggiri non sono stati tali da determinare la conclusione del Contratto. In tal caso il Contratto è valido, “benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse, ma il contraente in malafede risponde dei Danni.Si tratta di un’ipotesi di responsabilità extra-contrattuale e più precisamente PRE-CONTRATTUALE. Per quanto riguarda la Disciplina c’è da sottolineare che la domanda di annullamento per “dolo determinate” NON COMPRENDE QUELLA RELATIVA AL Dolo INCIDENTE e che la prescrizione soggiace al termine quinquennale previsto dall’art.2947.ENTITA’ DEL DANNO. Il danno da risarcire al deceptus si determina secondo le regole generali e quindi alle “UTILITA’ PERSE” ed ai “DANNI EMERGENTI” per aver subito l’inganno.

N.b:Anche nel caso di un terzo è possibile parlare di “DOLO INCIDENTE” e ciò proprio perché l’illiceità extra-contrattuale che caratterizza il Dolo incidente impone di ravvisarne la rilevanza e sembra anche giusto aggiungere come indica il dettato del 1440 che il contraente in malafede risponda in solido col terzo dell’illecito, in quanto vi è malafede e più precisamente consistita del fatto che sapeva del raggiro e non ha informato l’altra parte.

5.Dolo del TerzoIl c.2 dell’art. 1439, fa rientrare il DOLO DEL TERZO nella previsione del “DOLO DETERMINANTE” e stabilisce che “ i raggiri del terzo invalidano il Contratto se sono “noti al contraente che ne ha tratto vantaggio “.In questo caso ovviamente si profila una responsabilità extra-contrattuale del terzo e non è richiesto espressamente un danno per il raggirato, né un approfittamento da parte dell’altro contraente.N.B. Siccome però il vantaggio che deriva al contraente dal raggiro del Terzo NON è necessariamente il risvolto di un danno per il deceptus, si deve ritenere che esso non si commisuri agli effetti del Contratto, ma debba essere riferito ai raggiri del terzo e quindi sarebbe implicito nella conclusione del Contratto.

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CAPITOLO VI

IPOTESI SPECIALI DI VIZI DEL CONSENSO

1.L’Errore sul motivo della DONAZIONE

Con una regola identica a quella posta per il TESTAMENTO (art.624 c.2), l’art.787 dispone che la “donazione può essere impugnata per errore sul motivo , sia esso di fatto o di diritto, quando il motivo risulta dall’atto edè il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità”.In questo caso il più vasto ambito di rilevanza dell’errore, si spiega con riferimento alla circostanza che la “NATURA LIBERALE” della donazione conferisce maggior risalto alla volontà del donante.Il motivo deve risultare dall’ ATTO e si ritiene ai fini dell’invalidità che basti che il motivo sia decisivo e non esclusivo.

2.L’Errore nella Transazione: Regime generale e Disciplina Speciale

La Transazione soggiace alla disciplina generale dell’Errore, posta negli art. 1427-1433, ma si caratterizza anche per una disciplina speciale, che a seconda dei casi, estende (artt.1972 c.2, 1973, 1974, 1975) o riduce (art. 1969) l’ambito di applicazione del regime dell’errore c.d. Vizio.Tuttavia, vi sono diversi orientamenti per quanto riguarda la disciplina dell’Errore sulla Transazione.Schematizzando, gli orientamenti dottrinali sugli artt. 1972 c.2, 1973, 1974, 1975, oscillano tra la tesi secondo cui, partendo dal presupposto che oggetto della transazione, anziché consistere nelle prestazioni che formano oggetto delle reciproche concessioni, sia rappresentato dalla lite o dal rapporto giuridico da esso coinvolto, si tratterebbe di norme superflue perché esplicazioni del regime generale dell’errore e quella che invece, ne ravvisa il fondamento nel fatto che esse si riferiscono ad ipotesi di errore altrimenti destinate all’irrilevanza.In sintesi: Occorre distinguere l’Errore a seconda della realtà su cui esso cade e quindi sulle questioni oggetto di controversia, o sulle prestazioni materia delle reciproche concessioni o ancora sui presupposti del Contratto.

Cominciamo col dire che l’Errore sulle “questioni Controverse” è contemplato dall’art. 1969, secondo cui “la Transazione Non Può ESSERE ANNULLATA per errore di DIRITTO relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti. c.d. caput controversum.

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A tal proposito va detto che una risalente tradizione estende tale regime all’Errore di Fatto: la soluzione si spiega non solo per ragioni di ordine sociale in quanto ammettere la rilevanza di tale errore renderebbe inutile gran parte delle transazioni, MA soprattutto perché la stessa situazione controversa è occultata dalla lite, e quindi l’errore che cade su di essa si traduce in un’erronea valutazione circa la fondatezza della pretesa avversaria.Il fondamento dell’irrilevanza dell’errore di fatto che cade sulle questioni che sono state oggetto della lite, va rintracciato nell’idea che esso non ricade su nessuna delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 1429.Esula dall’errore sulle questioni “oggetto della controversia” l’errore sull’oggetto e l’ambito della lite, che abbia avuto degli effetti sul componimento transattivo, che si configura nel caso in cui una parte decida di TRANSIGERE nel convincimento di disporre di un rapporto diverso In questo caso l’errore inciderà sull’oggetto del Contratto e quindi sarà rilevante secondo le regole generali.

Se l’Errore sui presupposti non concerne il c.d. caput controversum tuttavia non è che solo per questo motivo può ritenersi rilevante. Ciò vuol dire che non è che invece necessariamente si tratterà di errore rilevante se questo è caduto su un aspetto o meglio un presupposto che non è stato affrontato durante la controversia e quindi verrà confinato tra i motivi, qualora attiene ai precedenti del Contratto di Transazione.Tuttavia le incertezze della Dottrina dipendono dall’istituzione del legame della Transazione con la situazione pre-esistente e che occorre fare riferimento a quelli che saranno gli effetti (innovativi o parzialmente-innovativi) della Transazione. E così possono profilarsi 2 distinte situazioni:a)Se la TRANSAZIONE, NON è “appieno innovativa”, il titolo originario, al quale si affianca la TRANSAZIONE permane la fonte primaria della situazione su cui la transazione opera e quindi il VIZIO che riguardi il titolo deve essere fatto valere direttamente nei suoi confronti con la conseguenza che la Transazione essendo un autoregolamento di 2°grado diverrà inutile per la sopraggiunta carenza del presupposto su cui essa poggia. Quindi non occorrerà far riferimento alla disciplina dell’Errore per farne valere il difetto.

b)Se la transazione è “appieno innovativa”, il titolo del rapporto contrattuale viene rimosso dalla transazione che si sostituisce ad esso. Se si esclude che quel titolo costituisca oggetto della transazione e rilevi quindi ai sensi dell’art.1429 n.1 (errore che cade sull’oggetto o sulla natura del Contratto), si deve negare che la sua mancanza si possa cogliere sul piano dell’Errore in base all regole generali del Contratto.

Anche quando la Controversia non verta sulla Nullità del TITOLO, la preesistente situazione non controversa è una realtà di riflesso eliminata dalla transazione, la cui innovatività risiede nel prescindere da ciò che la precede ed è quindi svincolata dalla antecedente situazione giuridica.

La realtà che precede la Transazione, ma che non confluisce nel rapporto da questa costruito, non viene in rilievo secondo le regole sul contratto in generale. Tale realtà viene in considerazione solo nei termini specificati dalla disciplina speciale della Transazione (artt. 1972 c.2, 1973, 1974, 1975) che danno rilevanza solo a specifiche ipotesi ed a determinate condizioni dando peso a situazioni di ignoranza che si riflettono sui motivi della determinazione a contrarre.

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In questa logica ad esempio l’art. 1972 c.2 , secondo cui l’annullamento di una transazione “fatta relativamente ad un TITOLO NULLO, può chiedersi solo dalla parte che ignorava la Causa di Nullità del Titolo. Tale norma non trova applicazione quando sia in discussione la NULLITA’ del TITOLO che costituisce l’oggetto della Controversia (e soggiace alla regola del 1972 c.2 se si tratta di titolo illecito): si riferisce all’ipotesi della Transazione appieno innovativa che non muove da una controversia sulla Nullità del TITOLO. In questo caso la lite inerisce ad un aspetto di quel titolo (quale l’annullamento o l’avveramento di una condizione risolutiva) che viene rimosso e sostituito dalla Transazione.Gli artt. 1973,1974 e 1975, diversamente dall’art.1972 c.2, sono riferibili sia alla transazione appieno innovativa che a quella modificativa.L’art. 1973 prevede l’Annullabilità di una transazione “fatta, in tutto o in parte, sulla base di documenti che in seguito sono stati riconosciuti falsi”N.B. Tale norma non si applica nel caso in cui la Transazione abbia composto una controversia nel giudizio civile di FALSO anche perché in questo caso la falsità è coinvolta nella LITE e superata dalla transazione.Anche in questo caso occorre distinguere a seconda che la transazione sia o meno appieno modificativa del rapporto controverso: Se la falsità del documento fa si che vi sia mancanza del titolo della situazione controversa, tale mancanza, una volta accertata rende inefficace la Transazione modificativa senza necessità di impugnare.L’art.1974 stabilisce che è annullabile la Transazione fatta su una lite, ancorchè passata in giudicato, della quale però le parto o anche solo una di esse non avevano notizia”- IGNORANZA di una situazione preesistente.

VEDERE BENEEEEEEEE TUTTA LA TRANSAZIONEIdem DICHIARAZIONI INESATTE E RETICENZE NEL Contratto di assicurazione4)L’annullabilità del patto di famiglia per “vizi del Consenso”—termine prescrizione dell’AZ. Di ANNULL. 1 anno. Disciplina dei VIZI DEL CONSENSO.5) L’Annullabilità del Contratto di affiliazione commerciale: FRANCHISING

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CAPITOLO VII

LA VIOLENZA

1.VIOLENZA FISICA

Innanzitutto dobbiamo dire che la “violenza fisica” quando è tale da escludere la volontà, è fuori dall’ambito dei vizi del Consenso perché si traduce nella Nullità dell’Atto per la mancanza di un suo requisito e più esattamente quello previsto dagli artt. 1325 n.1 ovvero l’accordo delle parti.Quest’affermazione pone il problema di accertare quando la coartazione sia tale da eliminare l’imputazione della dichiarazione al violentato rendendolo strumento del violentatore.(ovvero in questo caso manca proprio la VOLONTA’).

Il “vizio del Consenso” invece ricorre quando la Volontà è determinata dalla “COARTAZIONE”. In questi casi per l’appunto si parla di “VIOLENZA MORALE” che nel Cod. Civ. viene denominata semplicemente Violenza ed è volta ad estorcere la determinazione di chi vi soggiace.N.B. Già da queste affermazioni è agevole comprendere la differenza tra la “violenza fisica” e la “violenza morale”. Nella violenza fisica manca assolutamente la VOLONTA’ in quanto il soggetto è materialmente costretto a compiere l’atto; nella Violenza MORALE invece la Volontà viene coartata in un determinato senso con la conseguenza che la volontà c’è , MA è VIZIATA!!!

Tuttavia vi sono una serie di casi-limite in cui non è facile distinguere una violenza fisica da una violenza morale o meglio non è agevole comprendere quale regime ricollegarvi.Del Prato suggerisce una lettura, che parte dal presupposto che affinchè la Violenza rilevi come Vizio del Consenso non occorre stabilire se si tratti di una “coazione fisica” o di una “minaccia”, ma occorre fare riferimento al consenso che verrà estorto in seguito alla Coazione fisica o alla Minaccia. Soprattutto dal momento che il Codice non fa riferimento alla NATURA fisica o meno della Violenza, ma sull’estorsione del CONSENSO, la distinzione tra violenza fisica o morale deve essere apprezzata in una diversa prospettiva con la conseguenza che si tratterà di Nullità per mancanza assoluta del Consenso solo in quelle ipotesi in cui la violenza fisica ha sostituito il Consenso. Delineando il concetto di Violenza in relazione all’attitudine della stessa, in un certo senso proprio a sostituire il Consenso si può giungere ad affermare che qualora la coartazione, per

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l’immediatezza e la gravità del male prospettato, sopprime la Volontà del Minacciato si possa ricondurre la Nullità (si pensi al classico esempio di colui che sottoscrive un atto con una pistola puntata alla tempia). Non vi è un’autonomia Negoziale.

2.La Violenza “MORALE”: STRUTTURAL’art. 1427 afferma che il contraente, il cui consenso fu estorto con violenza, può chiedere l’annullamento. In altri termini colui che subisce la Violenza vuole emettere la dichiarazione per sottrarsi al male minacciato, senza il quale non si sarebbe determinato in quel senso.Una particolare costruzione della VIOLENZA MORALE è quella che considera la violenza un modo di esercitare la libertà. Nel senso che ovviamente si tratta di un modo illecito, ma nel quale la Libertà si esprime nel non infliggere il male minacciato in funzione di scambio con la dichiarazione estorta. DEL PRATO.Questa conclusione discende dalla combinazione potremmo dire della violenza con l’affidamento che essa, per averne determinato il Consenso, suscita in chi la subisce. AFFIDAMENTO che sarebbe costituito dal fatto che dichiarando ciò che vuole il violentatore, questi non infliggerà il male minacciato.In questa maniera si individua uno “SCAMBIO” tra il Consenso e la sottrazione al Male giustifica la sanzione dell’ANNULLABILITA’ che per l’appunto può essere fatta valere solo dal violentato

Il regime della “VIOLENZA” tutela la libertà dell’autodeterminazione contro le coazioni altrui: e per far questo non occorre far riferimento all’assetto di interessi del contratto estorto nel senso che anche la “MINACCIA A FIN DI BENE” produce l’Annullabilità.Ovviamente però questo discorso non vale nell’ipotesi di MINACCIA DI FAR VALERE UN DIRITTO nella quale, nonostante l’inquadramento sistematico nell’ambito della Violenza, la coazione si presume in ragione del Conseguimento di vantaggi ingiusti da parte del violentatore.

Abbiamo detto che la Violenza è il motivo determinante del Consenso del violentato. Questo motivo si fonda sull’altrui Minaccia.La “MINACCIA” ed il “TIMORE” c.d. vis et metus sono i profili che caratterizzano la Violenza: Ai fini della rilevanza della Disciplina della Violenza deve sussistere una specifica relazione che li ricollega al Consenso.

N.B.:La dottrina canonistica invece ravvisava i caratteri della violenza nell’estrinsecità della Minaccia, nella sua intenzionalità, nella sua gravità e nella sua ingiustizia. Successivamente è stato ritenuto superflua l’ingiustizia (in quanto è intrinseca l’ingiustizia di una minaccia volta ad estorcere il consenso), nonché l’intenzionalità in quanto già assorbita dal timore grave.

Il legame tra minaccia, timore e consenso emerge nel nostro codice in materia di ContrattiLa violenza morale è la minaccia volta ad estorcere il Consenso.

3.Minaccia, timore, dichiarazione: consenso estorto, c.d. vis consulto illata, nesso di causalità. Minaccia proveniente da un terzo. Violenza e Rescissione.

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Per cogliere tale legame è opportuno soffermarsi sugli artt. 1477 e 122 c.1.L’art. 1477 allude al consenso “estorto con Violenza”; il secondo, invece dopo la riforma del 1975, affianca alla violenza, di cui non si preoccupa di dire nulla, il “timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo”.Allora nel caso del MATRIMONIO sappiamo che quel “timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo” fa riferimento ad una Minaccia che non sia volta ad estorcere il CONSENSO, ma nello stesso tempo tale Minaccia lo determina. ESEMPIO: l’esempio classico e di colui che si sposa per sfuggire ad una persecuzione razziale!!! In altri termini si tratta di una ipotesi omologa alla rescissione del Contratto concluso in “stato di pericolo”, dove il pericolo può venire dall’altrui minaccia ma questa non è funzionale all’estorsione del Consenso.

Nel caso del Matrimonio invece cosa accade? Che l’intenzionalità della Minaccia c.d. consulto illata caratterizza la violenza morale, ed è volta a rimediare con l’Annullabilità la minaccia che sia volta ad estorcere il consenso per il Matrimonio. Mentre i casi in cui la Minaccia tende ad un fine diverso si prevede appositamente l’ipotesi del timore ab estrinseco di “eccezionale gravità”.Ma il quesito che ci si pone è se tale disciplina o regime della Violenza valga anche per tutti gli ATTI PATRIMONIALI, dal momento che questi casi potranno trovare rimedio nella disciplina della Rescissione del Contratto seppur a determinate condizioni.

Ciò che invece va notato nel caso della Rescissione del Contratto concluso in “istato di pericolo” è che qui occorre la “consapevolezza” dell’altro contraente.La Violenza del terzo è opponibile anche al contraente che non ne abbia conoscenza mentre “lo stato di pericolo” rileva solo se conosciuto dall’altro contraente.Per quanto riguarda il secondo profilo poi, “la minaccia di un male ingiusto e notevole ex art.1435” determina l’Annullabilità a prescindere dall’assetto di interessi che ne scaturisce; mentre la rescindibilità ex art. 1447 presuppone l’iniquità delle condizioni contrattuali.La questione riguarda i casi di Violenza del terzo, la cui minaccia è funzionale ad ottenere un risultato per procacciare il quale il minacciato stipula un contratto.

Il problema è dibattuto e si riflette sul nesso di causalità tra MINACCIA e CONSENSO.A tal proposito una parte della Dottrina, ritenendo che “per nulla rileva, ai fini della ricorrenza della Causalità, la consapevolezza che il violentatore abbia avuto della forza determinante della Minaccia”, assoggetta all’annullamento anche “il contratto precostituito rispetto all’atto che sia direttamente estorto”. Altri invece, assumono a requisito della Violenza la sua diretta funzionalità all’estorsione del Consenso, richiedendo che il violentatore determini il contenuto minimo del Contratto Estorto.Emblematico a tal proposito è un caso deciso dal Tribunale di BRESCIA nel lontano 1953: si discuteva dell’Annullabilità della vendita effettuata per procurarsi il denaro ad estinguere un debito che le truppe naziste avevano intimato di pagare sotto minaccia di morte. In questo caso pur non essendo dubbia la “gravità” della Minaccia i giudici hanno negato l’annullamento della vendita sul presupposto che la MINACCIA NON ERA FUNZIONALE ALLA STIPULAZIONE DELLA

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VENDITA, BENSI’ AL PAGAMENTO DEL DEBITO, ed che per estinguerlo il Minacciato avrebbe anche potuto attingere altrove il denaro occorrente.

La MASSIMA che possiamo trarre da questa Sentenza è che solo laddove il minacciato non avrà alcuna possibilità di scelta per sottrarsi al male che gli viene prospettato ovvero solo quando la conclusione del Contratto sarà l’unico mezzo in concreto praticabile per sottrarsi al male allora potrà parlarsi, affermarsi che il suo Consenso è stato estorto con Violenza . Ergonel caso precedente si sarebbe potuta annullare la vendita solo se il ricorrente avesse dimostrato che la vendita di quel bene era l’unico modo per estinguere il debito che aveva contratto e per il quale era stato minacciato.4.Attitudine invalidante della Violenza incidente. Da quanto abbiamo detto quindi può configurarsi una sorta di “violenza incidente”, ma una volta che innanzitutto se ne è dimostrata l’efficienza sul consenso e quindi la minaccia determina l’annullabilità anche se “NON HA” inciso sulla determinazione a contrarre ma solo sull’assetto di interessi.5.L’estrinsecità della Violenza. Metus ab intrinseco e timore riverenziale. Manifestazione della Minaccia.(art.1437)

Il fatto stesso che la Violenza presupponga una minaccia e che quest’ultima debba costituire la ragione del Consenso esclude che possa avere qualche peso il c.d. METUS AB INTRINSECO, il quale, sebbene determinato da circostanze esterne ed eventualmente da un comportamento non è riconducibile ad una Minaccia.In questa prospettiva si spiega anche l’irrilevanza del “TIMORE RIVERENZIALE” che da solo non è causa di Annullamento.Per quanto riguarda poi le “modalità di manifestazione della Minaccia”, non sono richieste formule particolari ma si caratterizza per comportamenti che possono consistere in avvertimenti, intimidazioni purché però siano strumentali all’insorgenza del timore in vista della stipulazione del Contratto. N.b.: Ciò fa si che sia sempre necessaria un’analisi in concreto della vicenda dedotta come violenza per stabilire per l’appunto il legame tra quei comportamenti ed il Consenso.

6.Violenza rivolta contro Terzi.(1436)

Ai sensi dell’art. 1436 “La Violenza è causa di Annullamento…anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni del coniuge del contraente o di un ascendente o discendente di lui”.Se invece il male “riguarda altre persone, l’annullamento del Contratto è rimesso alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice”.

N.B.:Un aspetto interessante a tal proposito riguarda la circostanza se la disposizione possa applicarsi anche nel caso in cui il male minacciato riguardi lo stesso violentatore. Tuttavia poiché la norma, nel caso di violenza diretta contro terzi, non richiede n.b. “un evento sfavorevole per il minacciato”, non sembrano esserci ostacoli anche al caso in cui il Minacciante prospetti di infliggere un male a se stesso. Es. Minaccia di “suicidio”.

7.Contenuto della Minaccia. Caratteri della Violenza.(art.1435)

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L’art 1435 descrive si occupa dei “caratteri della Violenza” e stabilisce che “la Violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male “ingiusto” e “notevole”. Si ha riguardo in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone”.Ciò che si evince immediatamente è che la norma da un lato definisce la gravità della Minaccia che deve essere tale da esporre la persona o i suoi beni ad un male INGIUSTO e NOTEVOLE, dall’altro invece la norma prende in esame dei parametri soggettivi che fanno riferimento innanzitutto all’idoneità, l‘attitudine della minaccia a far impressione sopra una “persona sensata” e poi all’età, al sesso e alla condizione delle persone.La sensatezza della persona quindi assurge a metro di valutazione che misura l’idoneità della Minaccia.

Il “MALE MINACCIATO” deve essere “ingiusto” e “notevole”.A tal proposito è molto interessante notare che per quanto riguarda il carattere “notevole” del male non nascono particolari problemi, come suggerisce CORSARO bisognerà valutare tramite una sorta di giudizio di convenienza i 2 mali che si prospettano al violentato: Da una parte la conclusione del contratto, dall’altra l’evento minacciato e tale giudizio si colorerà necessariamente di valutazioni soggettiva che verieranno a seconda della persona del Minacciato.

Qualche problema in più invece la sollevato il carattere dell’ingiustizia del MALE. A tal proposito più precisamente ci si è posti l’interrogativo se il male prospettato debba necessariamente coincidere con un atto illecito ai sensi dell’art. 2043 o invece possa avere uno spettro più ampio , tale da ricomprendere anche comportamenti in sé leciti – cmq non rilevanti alla stregua dell’art. 1438 (minaccia di far valere un Diritto) – ma di cui sia illecito prospettare la realizzazione per ottenere l’altrui consenso, in ragione del riferimento normativo all’Età, al Sesso e alla condizione delle persone al punto da configurare una sorta di concezione elastica dell’ingiustizia.L’opinione negativa parte dalla premessa che non si può colpire la minaccia di un male “là dove il male minacciato, a sua volta, è impunito” e che soltanto l’attitudine della Minaccia a far impressione si debba parametrare alla qualità della persona!!!!!Del Prato invece la pensa in modo diverso sostanzialmente e argomenta partendo dall’assunto che il male non deve essere considerato in sé (notevole e ingiusto) ma in funzione della sua prospettazione per coartare l’altrui consenso . A tal proposito richiama una Sentenza del 1958 in cui vi è un soggetto che minaccia la sorella che se non lo avesse nominato “unico erede” si sarebbe trasferito altrove con la domestica lasciandola quindi senza assistenza. In questo caso il male non ha il connotato dell’ingiustizia..Trasferirsi altrove non solo non è un illecito ma addirittura è garantito dalla nostra Costituzione in ogni caso la prospettazione di questo male in relazione alla povera sorella anziana aveva determinato il CONSENSO!!!!

8.Minaccia di “FAR VALERE UN DIRITTO”(art.1438)

L’art. 1438 stabilisce “la minaccia di far valere un diritto può essere causa di Annullamento del Contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti”.

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Cominciamo col dire che l’ipotesi della “MINACCIA DI FAR VALERE UN DIRITTO” è quella che ha più riscontri nella giurisprudenza e soprattutto in tema di “minaccia del Licenziamento”.

Detto questo va subito sottolineato, che l’art.1438 subordina la possibilità di Annullare il Contratto al minaccia di far valere u diritto solo per il conseguimento di “vantaggi ingiusti” senza far leva sulla coazione.La giurisprudenza è attestata sulla massima secondo cui è ingiusto il vantaggio “abnorme e diverso” o ancora “esorbitante ed iniquo”.

ESEMPIO CLASSICO.(DEL PRATO 6 UN COGLIONE): Si immagini la situazione in cui il creditore minaccia l’azione esecutiva contro il debitore moroso!!! Di per sé non è ingiusta, lo diventa invece qualora in questo caso la minaccia dell’Azione esecutiva sia esercitata per ottenere dal debitore moroso degli “interessi usurari”, in quanto in questo caso la Minaccia è posta in essere per ottenere dei “VANTAGGI INGIUSTI”.

Ritornando al “licenziamento” Del Prato sottolinea giustamente, che nel caso in cui manchi proprio il diritto del datore di lavoro di licenziare il lavoratore, non si è più sull’ipotesi della minaccia di far valere un diritto ma siamo nell’ambito dell’art. 1435 e quindi si tratta di una violenza, Minaccia vera e propria che consiste nella prospettazione di un male ingiusto e notevole!!!!!!!!!. In questo caso vi è proprio un’inesistenza del diritto di cui si prospetta l’esercizio.Un altro aspetto cha va notato sono le assonanze tra QUESTE SITUAZIONI E LA RESCISSIONE, che pure presuppone una “sproporzione” tra le prestazioni delle parti del Contratto. In realtà però sembra più giusto notare che nel caso della Rescissione in ogni caso si parla proprio di presupposti che sono diversi. Nella rescissione quello scambio deriverà dallo stato di pericolo della parte che ne approfitterà latu sensu per conseguire Vantaggi ingiusti, mentre nel caso della Minaccia di far valere un Diritto i vantaggi ingiusti che daranno luogo ad una sproporzione tra le prestazioni nasceranno dal presupposto della Minaccia di esercitare un diritto per conseguire un vantaggio ingiusto e il collegamento quindi si istituirà tra il consenso al contratto per lo scambio del mancato esercizio del diritto (uhauhauhauhauha) e volendo approfondire ancora di più il nuovo assetto di interessi che eventualmente nascerà a seguito della Minaccia, la dove era lecito l’esercizio del diritto di cui si minacciava l’esercizio farà parte del nuovo assetto contrattuale che nascerà.

N. benissimo : Il 1438 parla di Minaccia di esercitare un Diritto ovvero avvalersi della facoltà di incidere legittimamente sulla sfera giuridica altrui , e non di minaccia di far valere la propria Libertà o Autonomia che è cosa ben diversa e che al massimo darà luogo allo strumentario adatto a reprimere l’Abuso della Autonomia.!!!!!!!!!!!!

9.Abuso dell’AutonomiaFare riferimento art.36 c. cons. “nullità di protezione” – presunzione di abusività della clausola – art.34 C. cons. a meno che nn si fornisca prova che ci sia stata trattativa sulla clausola.

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PARTE III

IL CONTRATTO ANNULLABILE(Giovanni MARINI)

Capitolo I

L’ANNULLABILITA’: SISTEMA, STORIA, RAGIONI E FONDAMENTO

1.Cenni introduttivi: sulla Disciplina dell’Annullabilità

La disciplina dell’invalidità è articolata nel Codice Civile in 2 forme profondamente diverse tra loro: NULLITA’ ed ANNULLABILITA’, ad ognuna di esse corrisponde un diverso regime giuridico disegnato rispettivamente dagli artt. 1418 e ss. e dagli artt. 1425 e ss.Le discipline delle 2 forme d’invalidità sono profondamente diverse tra loro.La Nullità:a)Può essere fatta valere da chiunque vi ha interesseb)Può essere rilevata d’ufficio dal Giudicec)L’Azione di NULLITA’ è imprescrittibile.d)Il contratto Nullo non ammette Convalida a meno che la legge disponga diversamente.

L’Annullabilitàa)Dipende dall’iniziativa della parte nel cui interesse è prevista dalla leggeb)L’Azione di Annullamento si prescrive in 5 annic)Il Contratto Annullabile può essere normalmente convalidato.

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Ultimo tratto poi, ma forse il più essenziale e pregnante circa la differenza tra le 2 forme d’invalidità è costituito dal fatto che:L’Azione di Annullamento conduce alla estinzione del rapporto contrattuale e quindi la relativa azione viene ricondotta nell’alveo delle Azioni Costitutive, cioè di quelle azioni attraverso le quali il Giudice secondo l’art. 2908 del Cod. Civ., dopo aver accertato la presenza delle condizioni stabilite dalla legge, produce attraverso la sua pronuncia un mutamento della situazione giuridica pre-esistente, rimuovendo con forza retroattiva un Contratto altrimenti produttivo di effetti.Sotto questo punto di vista, l’Azione di Annullamento ha rappresentato a lungo una sorta di stereotipo della pronuncia costitutiva che cancella il negozio e ne distrugge gli effetti e nello stesso tempo l’esempio più classico di una ipotesi di c.d. “diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale”. Quindi, anche in un’ottica più processuale, è l’esistenza di questo diritto potestativo che assume un ruolo fondamentale sino ad essere considerata “oggetto” della pronuncia del Giudice e del relativo giudicato.

Proprio questo in un certo senso costituisce la differenza principale e più evidente rispetto la Nullità, in cui il giudice viene chiamato semplicemente ad accertare lo stato delle cose. Il contratto è Nullo prima ancora della pronuncia del giudice che quindi in questo caso si caratterizza per essere una pronuncia “dichiarativa”.

La “precarietà” degli effetti del Contratto Annullabile quindi costituisce la chiave di volta della contrapposizione con la Nullità. Il contratto Annullabile se non verrà impugnato continuerà a produrre i suoi effetti.Intorno a queste peculiarità che caratterizzano il Contratto Annullabile sono state delineate quindi delle caratteristiche della relativa Azione di Annullamento. A cominciare dal potere di impugnare l’atto, un potere che assume la configurazione tecnica del c.d. “diritto potestativo” e che consiste nel potere di ottenere la rimozione degli effetti prodotti dal contratto e di condurre all’estinzione dei rapporti giuridici creati dal Contratto.Ciò fa si che anche sul Piano Processuale l’Annullabilità si traduca nel c.d. binomio azione costitutiva - sentenza costitutiva e quindi di un giudizio improntato e strutturato sulla verifica dell’esistenza del Diritto all’eliminazione dell’Atto Invalido.

2.Profili Ricostruttivi

Come abbiamo detto poc’anzi quindi un altro aspetto che caratterizza il Contratto Annullabile è costituito dalla circostanza che questo secondo la ricostruzione di molti studiosi, si caratterizza per la produzione di “effetti PRECARI”, precari proprio perché l’atto annullabile sarebbe sottoposto al diritto potestativo di chiederne l’annullamento e quindi travolgere gli effetti già prodotti ed estinguere il rapporto giuridico che si era creato.Per quanto attiene più da vicino invece a quelli che sono i profili ricostruttivi dell’Annullabilità rispetto la Nullità, molti studiosi hanno posto l’accento con riferimento:a)Alla diversa “gravità” che caratterizzerebbe la patologiab)Alla diversità di interessi protetti in relazione alla scelta del binomio ANNULL-NULLO.

3.Il Sistema dell’Invalidità nel Codice.

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Come sappiamo il legislatore del 1942 si affidò ad un modello bipolare importato dalla dottrina pandettistica tedesca.Peraltro il legislatore adottando il modello tedesco, voleva superare il classico assetto del Codice del 1865 che invece sulla scorta del modello francese era organizzato intorno alla categoria unica della Nullità.Nella visione pandettistica NULLITA’ ed ANNULLABILITA’ venivano ricondotte all’interno dell’unitaria categoria dell’Invalidità in virtù della quale (Teoria della Fattispecie):-alla mancanza totale di un elemento essenziale corrispondeva la Nullità-al semplice difetto di un elemento essenziale corrispondeva l’Annullabilità

Col passare del tempo questa prospettiva che fondamentalmente era legata alla “intensità e gravità” del Vizio ha ceduto il posto ad una diversa visione incentrata sulla diversità di ratio e sulla diversità degli interessi tutelati..la Nullità era la patologia evidenziata dal legislatore con riguardo a quelle situazioni incidenti negativamente su di un interesse generale pubblico della collettività.L’Annullamento era invece la patologia prevista dal legislatore con riguardo a quelle condizioni incidenti negativamente su di un interesse privato particolare.

Questa visione tutt’oggi è quella più largamente diffusa anche se in realtà soprattutto con riferimento a tutta la normativa sui consumatori merita qualche precisazione.

Quindi abbiamo una “NULLITA’ che riguarda la regola posta dal Contratto, nel senso di conformità ai principi e valori propri all’ordinamento statuale;

Il rimedio dell’ANNULLABILITA’ invece previsto come reazione alle distorsioni dei processi volitivi e che quindi si caratterizza per esprimere una veduta del Conflitto come “affare privato”. (infatti nota bene che l’Annullabilità di per sé a differenza della Nullità presuppone un’idoneità strutturale e funzionale dell’atto… ciò che viene messo in discussione e il controllo sul procedimento di formazione del Contratto con riferimento alla Volontà e la corrispondenza dell’interesse reale all’interesse programmato col Contratto).

4.Alle “ORIGINI” dell’Annullabilità

Possiamo dire che la moderna Azione di Annullabilità è nata nel Diritto Romano ma non è proprio così.Inizialmente nel Diritto Romano l’Azione di Annullamento non esisteva. Tutt’al più si trattava di capire se ci fosse o meno un Contratto. Qualora le parti utilizzavano la formula richiesta in maniera corretta il Contratto c’era, era valido e doveva avere esecuzione. Il debitore era OBBLIGATO.

Col passare del tempo nasce l’esigenza di trovare un Rimedio, ovvero in tutti quei casi in cui la formula è stata espressa correttamente ma c ad esempio al Contraente è stato estorto il suo Consenso tramite una Minaccia o per Errore.

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E’ proprio in questo momento che nasce quindi la c.d.“eccezione di inadempimento”. In termini più superficiali, possiamo dire che l’eccezione di inadempimento non c’entra niente con L’Azione di Annullamento. Il Contratto è valido, il creditore vuole l’esecuzione di questo contratto o meglio l’adempimento e così facendo il debitore, cioè il soggetto obbligato si costituisce in giudizio eccependo non la validità del Contratto bensì vuole paralizzare il suo adempimento!!!!!

Le differenze che vi sono tra L’azione di Annullamento e l’eccezione di inadempimento sono profonde. Innanzitutto l’Azione di Annullamento si prescrive in 5 anni e costituisce come abbiamo detto esplicazione di un “DIRITTO POTESTATIVO” che consiste nell’ottenere una pronuncia del Giudice che estingua gli effetti prodotti di un Contratto che è Annullabile perché vi sarà stato un Vizio della Volontà individuale del soggetto, ma sul piano più prettamente formale è un contratto all’apparenza perfetto dotato di tutti i requisiti o gli elementi essenziali che la legge richiede e quindi non è Nullo, è perfettamente in grado di produrre i suoi effetti tipici!!!!. Nel caso dell’eccezione d’inadempimento invece ci troviamo sempre in presenza di un Contratto Annullabile, ma tale eccezione nasce all’interno di un giudizio di cui si chiede l’adempimento di quel Contratto, tende a paralizzare la pretesa processuale dell’attore ed è quindi per sua natura “ imprescrittibile”. Chiedere al Dott. Bellezza. Nasce come eccezione di inadempimento del Contratto nel Dir. Romano e poi diventa dopo la costruzione della categoria Annullabilità ECCezione di ANNULLABILITA’ ai sensi del 4°c. dell’art. 1442????????

5.L’Annullabilità nelle Codificazioni Moderne

I 3 modelli che possiamo prendere come punti di riferimento sono quello Francese, Tedesco ed Italiano.Nel modello francese abbiamo detto che si conosceva una unica categoria di invalidità: la Nullita’.Le conseguenze di questa costruzione fanno sì che nel modello Francese si individuino Contratti che “non hanno esistenza” per la mancanza di uno dei requisiti essenziali e quelli che testualmente possono essere messi nel Nulla solo attraverso un’azione di invalidità specifica, e per i quali ai sensi dell’art.1117 del Code Napoleon è possibile rintracciare insieme ipotesi di protezione sia di interessi generali che di interessi particolari. In questi ultimi casi si passa per l’appunto attraverso il GIUDICE, il quale accerta l’inefficacia e nel caso il contratto sia già stato eseguito dispone la restituzione della prestazione.Anche in questa prospettiva quindi l’invalidità si presenta più che altro come nel modello romanistico dell’exceptio ovvero come una forma di difesa del Convenuto.

Anche il Codice Italiano del 1865 che eredita in un certo senso la tradizione francese, mantiene la distinzione fra inesistenza ed invalidità. L’inesistenza pian piano diventa una categoria che viene pian piano abbandonata sino a giungere al ruolo centrale dell’Invalidità la quale a sua volta si scinde in 2 modelli a seconda del loro diverso modo di operare ipso iure o ope exceptionis, a seconda cioè che l’azionabilità sia sottratta alla volontà delle parti perché l’effetto si è gia verificato per opera del legislatore (NULLITA’?) oppure venga rimessa al loro esclusivo interesse perché la nullità è subordinata al potere dell’interessato.

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Così viene definito “assolutamente nullo o giuridicamente inesistente” il contratto mancante dei requisiti essenziali di sostanza e di forma insieme a quello “contrario alle norme di diritto cui i privati non possono derogare” ed Annullabile o rescindibile quello per il quale è necessaria una sentenza.

6.I Riflessi sul relativo giudizio e l’azione

Con l’introduzione nel Codice del 1942 della figura della Nullità e della Annullabilità si profila tale situazione per quanto riguarda l’azione.La NULLITA’ “ipso iure” indica la condizione di un negozio da considerarsi inefficace ancora prima che intervenga la pronuncia del giudice mentre nell’ANNULLABILITA’ il negozio è pienamente efficace finché non interviene la pronuncia del giudice.!!!! Quest’ultima quindi assume un ruolo causale determinante: nel senso cioè che infatti non è più sufficiente la manifestazione di Volontà (ope exceptionis) dell’interessato per privare di effetti un contratto altrimenti perfettamente valido, ma è necessario ricorrere alla domanda di parte per attivare il giudice, che attraverso la sua Sentenza ne determina l’invalidità.Quindi alla contrapposizione ipso iure-ope exceptionis si sostituisce quella ipso iure-ope iudicis nella quale viene esaltato l’intervento del giudice che si pronuncia sull’invalidità ed il ruolo determinante della sua sentenza.

7.La svolta nel modello tedesco ed in quello italiano.

Abbiamo detto che nel modello romanistico lo strumento per attaccare gli effetti di un negozio era costituito dall’exceptio, la quale operava all’interno del Processo: In questo caso l’eccezione serviva infatti come una difesa per controbattere un’azione di cui esistevano tutti i fatti costitutivi.Nel modello tedesco del 1900, l’eccezione tradotta sul piano sostanziale (oltre che processuale) diventa “diritto all’Annullamento” e produce un meccanismo che può operare in 2 modi:- all’interno del Processo per ostacolare la realizzazione della pretesa- al di fuori dal processo, per contestare l’esistenza e mettere in discussione il rapporto giuridico sul quale si fonda.N.B.:Ciò che va notato quindi è che anche nel Sistema tedesco non emerge la necessità di ricorrere ad uno specifico tipo di sentenza giudiziale (costitutiva per l’appunto) per rimuovere gli effetti del contratto.Quindi questa razionalizzazione tedesca tende ad una netta dicotomia tra le 2 forme di invalidità, ovvero:A)IPSO IURE cioè che producano automaticamente l’inefficacia del negoziob)OPE EXCEPTIONIS che invece dipendono dal potere riconosciuto ad una parte (sia dentro che fuori dal processo).

la progressiva trasposizione dell’Annullamento sul piano del diritto sostanziale ha fatto si che in questo momento il sistema italiano propendesse per una scelta nettamente diversa:Nel modello TEDESCO si tratta di un controllo “ex post” circa l’invalidità dell’atto che può operare all’interno o al di fuori del processo.

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Nel modello ITALIANO invece con la vera e propria AZIONE DI ANNULLAMENTO ci si spinge ben oltre disegnando l’intervento giudiziale “ex ante”.Detto ciò si comprende come nel modello tedesco si tratti di un diritto potestativo ma “sostanziale” ,mentre in Italia l’azione di annullamento si configura operando ex ante come un diritto potestativo “processuale” che caratterizza un azione costitutiva che culminera con una pronuncia costitutiva.Germania elimina l’Annullamento dal diritto processualeItalia incardina l’annullamento nel diritto processuale.

8.Azione ed Eccezione nella prospettiva dell’Annullabilità

Inquadrando l’azione di Annullamento come un’azione costitutiva che tende ad una sentenza costitutiva, si intende per l’appunto come si ricolleghi a quest’ultima la possibilità dopo l’annullamento di produrre una situazione che prima non esisteva.Ancor di più poi in questa maniera si individua il netto discrimen con la Nullità; in quel caso sitratta di un’azione di accertamento che condurrà ad una pronuncia dichiarativa di un negozio che già non produce effetti.Secondo corollario di questa costruzione è costituito dal fatto che la Nullità opera di diritto, talvolta cioè indipendentemente dalla volontà del singolo mentre l’Annullabilità viene affidata esclusivamente all’iniziativa dell’interessato e si occupa di eliminare ex post l’efficacia del negozio.Terzo corollario di questa prospettiva è poi costituto dal fatto che l’eccezione che era l’unico rimedio potremmo dire nel diritto romano volto a paralizzare la pretesa del’Attore viene affiancata dall’azione di Annullamento ma a differenza di quest’ultima presuppone che un giudizio venga instaurato per chiedere l’adempimento o l’esecuzione del Contratto Viziato che però è fornito di tutti gli elementi costitutivi ed è efficace sino a quel momento e l’eccezione viene proposta dal contraente per paralizzarne l’efficacia. Si discute per l’appunto se nonostante si tratti si un’eccezione e non di una domanda, un’azione di Annull. (costitutiva) le si debba o meno riconoscere un carattere costitutivo all’Eccezione. In realtà con l’abbandono del Processo formulare oggi l’eccezione diventa semplicemente un diritto del Convenuto, affidato cioè interamente alla sua disponibilità.

9.Prospettive attuali dell’Annullabilità

A differenza della Nullità, che come ben sappiamo recentemente ha conosciuto un significativo “revival” grazie all’impulso offerto dalla legislazione di origine comunitaria, per l’Annullabilità va fatto un discorso diverso.Il punto fondamentalmente è costituito dal fatto che il sistema delle “CAUSE” di Nullità è ovviamente più flessibile rispetto al sistema dell’Annullabilità.A tal proposito basti pensare alla Nullità per violazione di Norme imperative o quella dipendente da clausole generali come l’ordine pubblico o il buon costume che fanno sì che questa in ogni caso sia più elastica rispetto all’Annullabilità.L’Annullabilità al contrario presenta un sistema tipico e tassativo che è precisamente circoscritto dal Codice.

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10.Le CAUSE DI ANNULLABILITA’. LE IPOTESI CLASSICHE.

Il codice civile non definisce l’Annullabilità, ma ne elenca le possibili cause (art.1245-1440). La configurazione delle stesse cause quindi all’interno del Cod. Cov. È considerata tipica proprio in contrapposizione alla Nullità che invece per l’appunto può essere virtuale.Tra le ipotesi classiche vi rientrano l’INCAPACITA’ D’AGIRE (art. 427), L’INCAPACITA’ NATURALE (art.428) nonché tutti i casi di VIZI DELLA VOLONTA’ (ERRORE, DOLO e VIOLENZA).Il contratto quindi che dovesse essere concluso da uno degli appartenenti a quelle categorie della Incapacità d’agire, anche se si dovesse dimostrare che in quel momento iul soggetto era capace di intendere e di volere è comunque Annullabile.Anche nel caso dei Vizi della Volontà, l’ordinamento approntando il rimedio dell’Annullabilità si preoccupa di far sì che in determinate circostanze caratterizzate da ERRORE, VIOLENZA o DOLO(obblighi di informazione) e disciplina della pubblicità commerciale), il soggetto che si era determinato in quel consenso possa annullare quel Contratto in quanto quel regolamento di interessi, in seguito ad un vizio della volontà, non rispecchia realmente gli interessi del soggetto che lo ha concluso.

11.ALTRE Cause di AnnullABILITa’ DEL CONTRATTO.

Generalmente quando si parla di “ALTRE” ipotesi o cause di Annullabilità che non rientrano nel sistema tipico dei vizi della volontà o dell’incapacità del Contraente si fa riferimento a tutte quelle situazioni in cui si presentano anomalie nella modalità di formazione della fattispecie contrattuale.Basti pensare al “conflitto di interessi” nella rappresentanza.O ancora alle ipotesi di Divieti speciali di acquisto per coloro che amministrano dei beni altrui e dei mandatari.

Nel caso del “contratto concluso dal rappresentante con un terzo o con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte”, in conflitto di interessi con il rappresentato può essere annullato, se il conflitto è stato riconosciuto o avrebbe potuto essere riconoscibile dal terzo –usando l’ordinaria diligenza – in relazione alle circostanze del caso concreto.La “RATIO” di queste disposizioni consiste nella tutela dell’interesse del rappresentato dal momento che i presupposti dell’Annullamento per conflitto d’interessi sono la Contrarietà del Contratto all’interesse del rappresentato e l’insussistenza di un affidamento meritevole in capo all’altra parte.Nell’ipotesi del “CONFLITTO DI INTERESSI” poi rientra anche l’ipotesi del Contratto con se stesso. Fondamentalmente sono 2 i possibili casi:a)Il rappresentante stipula il Contratto per il rappresentato da un lato e per se stesso dall’altro oppure conclude un contratto intervenendo come rappresentante di entrambe le parti del Contratto. In queste ipotesi il conflitto è in qualche modo presunto dalla legge.Il rischio nel primo caso è costituito dal possibile pregiudizio che si può verificare a suo vantaggio ed ai danni del rappresentato; mentre nel secondo è il pregiudizio che si può verificare a danno di uno dei due rappresentati ed a favore dell’altro.

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Un altro esempio significativo è quello costituito dal contratto concluso da uno dei coniugi in comunione legale di beni!!!.In questo caso l’atto di straordinaria amministrazione, compiuto da un coniuge senza il consenso dell’altro su di un bene (immobile o mobile registrato) della Comunione è considerato Annullabile. La peculiarità in questo caso è costituita dalla circostanza che più che trattarsi di una volontà viziata, si dovrebbe parlare più che altro di una mancanza di legittimazione e quindi di inefficacia.La scelta del legislatore di ricondurvi l’annullabilità può essere dettata dal fatto che in questo caso il CONSENSO (del coniuge) servirebbe a rimuovere un limite all’esercizio del potere dispositivo del bene e quindi può più che altro essere considerato un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, soprattutto considerando come osserva MARINI che l’atto potrebbe cmq essere gradito dal coniuge che non ha prestato il proprio Consenso. In questo modo infatti al Coniuge è concesso di valutare la Convenienza di quell’atto di disposizione, di quell’affare decidendo impugnare o meno l’atto nonostante non vi sia stata affatto la sua volontà.

Differenze e punti di Contatto tra Nullità e Annullabilità…Interessi generali o pubblici e interessi privati. Riflessi della Nuova disciplina di origine comunitaria. Somiglianze disciplina Annullamento e Nullità

CAPITOLO II

L’ANNULLAMENTO: LEGITTIMAZIONE, PRESCRIZIONE, EFFETTI

1.L’Azione di Annullamento: i soggetti legittimati

L’art. 1441 che introduce la disciplina dell’Azione di Annullamento stabilisce che il potere di annullamento è riservato soltanto alla parte “nel cui interesse è stabilito dalla legge”.Ciò dipende proprio dalla circostanza che ciò che caratterizza il contratto Annullabile è la possibilità che lo stesso seppur sia viziato, produca degli effetti che normalmente vengono definiti precari proprio perché esposti all’Az. Di Annullamento ma che in ogni caso sono rimessi alla valutazione o meglio alla convenienza della parte o meglio del soggetto legittimato ad agire.L’interessato al quale si riferisce l’art.1441 ed al quale quindi spetta la domanda è la “PARTE” colpita dal vizio o cmq pregiudicata dalla conclusione di un contratto Annullabile. N.B. Ed è proprio per questo motivo che fra gli interessati di cui all’art. 1441c.1 rientra anche il “rappresentato” nel caso di un contratto concluso da un rappresentante in “conflitto di interessi” o ad esempio l’inabilitato o il beneficiario dell’Amministrazione di sostegno nell’ipotesi in cui il rappresentante legale non abbia osservato tutte le formalità richieste.

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Un altro aspetto da sottolineare poi riguarda la circostanza che la titolarità astratta dell’interesse ad esercitare l’Azione di Annullamento non si riflette necessariamente nell’interesse concreto di sbarazzarsi del Contratto.. Basti pensare al Contratto concluso dal minore ad un prezzo vantaggioso. Questo Contratto è Annullabile ma se secondo la convenienza in questo caso il MINORE non deciderà di domandarne l’Annullamento, cmq al venditore verrà preclusa la possibilità di domandare l’Annullamento di quel Contratto proprio perché l’interesse che l’ordinamento a voluto tutelare si è realizzato nella possibilità di concedere al minore la eventuale proponibilità della domanda di Annullamento di quel Contratto!!!Il profilo della Legittimazione poi è sempre da coordinare con il presupposto processuale di cui all’art. 100 c.p.c., nel senso che per proporre l’Azione di ANNULAMENTO è necessario cmq avere una specifica ragione che cmq non deve necessariamente essere di natura patrimoniale.Per quanto riguarda la legittimazione passiva invece legittimato passivo è l’altra parte contrattuale o il suo successore a titolo universale o particolare.

Dei problemi possono presentarsi nei casi in cui entrano in gioco alcune situazioni particolari quali la “rappresentanza”.Ad esempio in questo caso per quanto riguarda la legittimazione passiva nel caso in cui si tratti di “contratto annullabile per dolo” ed il raggiro ed il raggiro sia stato posto in essere dal rappresentante che abbia concluso il contratto in nome e per conto del rappresentato, quest’ultimo sarà legittimato passivo come se fosse lui stesso l’autore del Dolo a prescindere dalla effettiva conoscenza del Raggiro posto in essere dal rappresentante Tale conoscenza infatti si considera in re ipsa per aver egli conferito la procura.Nel caso di mandato senza rappresentanza, verseremo nel caso del DOLO DEL TERZO e come tale determinerà annullamento solo se il mandante era a conoscenza del raggiro usato da quest’ultimo v. art. 1439 c.2.

Altrettanto interessante è l’ipotesi del caso di Contratto Annullabile per conflitto d’interessi ex artt. 1394 e 1395. In questo caso vi è difetto di legittimazione passiva del Rappresentante. Poiché infatti caratteristica tipica della rappresentanza diretta, quella cioè in cui si agisce in nome e per conto (rectius:nell’interesse) e la produzione di effetti direttamente nei confronti del rappresentato, il rappresentato non può considerarsi parte contraente e quindi nel caso di proposizione della domanda di annullamento del rappresentato sarà privo di legittimazione passiva. In questo caso la legittimazione passiva spetterà al terzo, a meno che sia in buona fede rispetto al conflitto nel senso che tale conflitto non era conosciuto o conoscibile da lui!!!!Nel caso di Contratto concluso dal rappresentante con se stesso invece ai sensi dell’art.1395 legittimato passivo sarà il rappresentante.Un’altra ipotesi particolare poi che si differenzia dal DOLO DEL TERZO è costituita dalla “VIOLENZA DEL TERZO” in questo caso il contraente che ne abbia tratto vantaggio è sempre legittimato passivo a prescindere cioè dall’effettiva conoscenza della minaccia che ha indotto l’altra parte a contrarre.

Per concludere poi dobbiamo ricordare che diversamente dalla Nullità, l’Annullabilità non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice: è sempre necessaria la domanda del soggetto legittimato.

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Sotto questo punto di vista vi sono delle critiche per quanto riguarda gli INCAPACI. Si pensi al contratto concluso ai danni del minore e non impugnato dal rappresentante.

2.ANNULLAMENTO, NULLITA’ ED EXTRA-PETIZIONE.

In ordine al problema del rapporto processuale tra NULLITA’ ed ANNULLABILITA’ si è discusso di come debba atteggiarsi il Giudice dinanzi ad esempio una domanda di Nullità quando poi si tratta di un Contratto Annullabile.L’opinione dominante ritiene che ciò sia possibile e motiva in ordine ad un duplice sistema di ragioni: Da una parte il PIU’ contiene il meno nel senso di Maggiore a minore dall’altra parte invece alcuni sostengono che ciò sia ammissibile in considerazione del fatto che dalla domanda di Nullità del Contratto cmq si evince l’intento di liberarsi del Contratto dell’interessato.I giudici in ogni caso nel pronunciare l’Annullamento a fronte di una domanda di NULLITA’ motivano in ordine al fatto che nel più è ricompreso il meno.

Più problematiche invece sorgono nell’ipotesi inversa ovvero a fronte di una domanda di Annullamento il giudice pronuncia la Nullità del Contratto. In questo caso la Giurisprudenza prevalente pone dei limiti alla rilevabilità d’ufficio della Nullità nel senso che questa è consentita soltanto quando si pone come “ragione di rigetto della pretesa attorea”, o meglio cioè quando l’attore chiede il riconoscimento o l’adempimento di un suo diritto nascente dal Contratto; Lo stesso non accade invece quando l’attore “intende escludere o eliminare gli effetti del contratto per ragioni diverse dalla NULLITA’(si pensi all’Azione di Annullamento, rescissione o risoluzione) che poteva invocare ma non ha invocato. Il GIUDICE ANDREBBE “ULTRA-PETITA”!!!!!v.meglioooo

3.Variazioni sui Contratti degli Incapaci.

a)Contratti del MINORE: Le norme relative all’Annullabilità del contratto concluso dal minore sono poste a tutela dell’interesse del soggetto incapace. Proprio per questo motivo colui che ha concluso il Contratto con il minore non è legittimato ad impugnare il Contratto a meno che il Minore abbia occultato la sua minore età e tramite dei raggiri. Si pensi ad un documento falso.La legittimazione in questo caso spetta al minore dopo aver raggiunto la maggiore età, nonché ai suoi eredi o aventi causa.N.B.:Nonostante la legge non riconosca esplicitamente la legittimazione al rappresentante legale, ovvie ragioni di opportunità inducono tuttavia ad operare con la condizione giuridica dell’interdetto quindi consentendo di far valere l’annullamento per gli atti compiuti dal minore ai GENITORI o al TUTORE qualora sia stato nominato.

b)Contratti dell’INTERDETTO GIUDIZIALE: La legge 6/2004 sull’Amministrazione di sostegno, con l’introduzione del c.1 all’art. 427 ha in qualche modo stabilito una sorta di “gradualità delle

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disabilità” superando quindi in qualche modo la rigida separazione preesistente tra interdizione intesa come incapacità totale e inabilitazione intesa quale incapacità parziale.Ora infatti ai sensi del 1 c. dell’art.427 il GIUDICE nel pronunciare l’Interdizione o l’Inabilitazione Può stabilire in relazione a quelle che poi sono le “ABILITA’ PROPRIE” dell’interdicendo o dell’inabilitando, che “taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del TUTORE, e che anche taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’Inabilitato senza l’assistenza del curatore”.Secondo l’art. 427 c.2, legittimati ad agire per l’annullamento degli atti dell’interdetto sono il Tutore, l’interdetto, i suoi eredi o aventi causa.Bisogna ricordare che sono annullabili in ogni caso solo gli atti compiuti dall’interdetto “DOPO” la pubblicazione della Sentenza di interdizione a meno che non sia stato nominato un tutore provvisorio e sempre a condizione che il relativo giudizio si concluda con l’Interdizione!!!.Prima della sentenza di interdizione quindi quegli si presumono conclusi da persona capace di intendere e di volere e dovrà farsi riferimento quindi al meccanismo previsto dall’art.428 (incapacità naturale).Sotto questo punto di vista, va notato che qualche problema si può creare nel caso di impugnazione del Contratto da parte del Tutore qualora vi sia una sentenza di interdizione di 1° grado che successivamente non venga confermata o qualora il TUTORE nominato provvisoriamente non venga poi confermato in seguito alla sentenza che rigetta l’istanza di interdizione oppure ancora nel caso in cui il giudizio di interdizione si estingua per morte dell’interdicendo.La soluzione è da ricercare nel senso che qualora “passi in giudicato” la sentenza che rigetta l’interdizione, l’istanza di annullamento deve essere “respinta” in quanta manca il “presupposto” ovvero l’incapacità legale.Altro discorso poi va fatto nel caso degli atti compiuti dal Tutore in qualità di rappresentante legale nel caso in cui poi sopraggiunga una sentenza di rigetto dell’interdizione e quindi risultino anche questi privi del presupposto. In questo caso si ritiene che tali atti debbano considerarsi definitivi ed al presunto incapace non resti altro che chiedere il risarcimento del Danno qualora ne ricorrono i presupposti.n.b. Tale soluzione sembra essere fondata sulla Necessità di protezione dell’affidamento dei terzi e sull’esigenza di certezza nella circolazione dei beni. Gli effetti dell’interdizione infatti decorrono dalla pubblicazione della Sentenza che accoglie la Domanda e non dal momento del passaggio in giudicato.In caso di morte dell’interdicendo, se questa ha luogo prima della sentenza che pronuncia sull’interdizione, mancando qualsiasi accertamento sull’incapacità, il giudizio di Annullamento deve concludersi con una pronuncia che accerta l’insussistenza del presupposto. In questo caso nessuno potrà riassumere il giudizio.Nel caso in cui la morte sopravvenga dopo la pubblicazione della Sentenza ( e prima del passaggio in giudicato) l’istanza di annullamento dovrà essere respinta per carenza del presupposto, poiché la morte comporta la perdita di efficacia di tutte le sentenze pronunciate nei gradi precedenti.

c)I Contratti dell’EMANCIPATO e dell’INABILITATO: L’art.396 stabilisce che gli atti compiuti dall’emancipato senza l’osservanza delle formalità richieste dall’art.394(atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, in cui occorre consenso del curatore e autorizzazione del giudice tutelare mentre

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per l’alienazione di beni o costituzione di pegni o ipoteche anche autorizzazione del tribunale su parere del G.Tut) sono annullabili su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.

d)I Contratti del beneficiario dell’Amministrazione di sostegno

e)I Contratti dell’INCAPACE NATURALE.

4.L’Annullabilità Assoluta: Il contratto dell’INTERDETTO LEGALE.

Solitamente si tende a sottolineare come a differenza della Nullità che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, l’Annullabilità invece dipenda da un’apposita domanda di parte.Tale regola trova la sua smentita proprio nel 2°c. dell’art.1441 dove si stabilisce che “l’incapacità del condannato in istato di interdizione legale può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse”.Tale disposizione è stata letta come eccezione rispetto alla regola generale della “relatività”, in quanto sarebbe giustificata dal carattere “non protettivo” ma “sanzionatorio” nei confronti del Condannato che l’Annullabilità tende ad assumere in queste ipotesi, diventando così strumento di tutela di interessi più generali che prevalgono su quello particolare del singolo.Si evince dal 2 comma che quindi in questa situazione la valutazione dell’opportunità di proporre l’Azione è attribuita a soggetti diversi da chi ha posto in essere il Contratto Da ciò si evince proprio una sorta di “esigenza di controllo” che deriva proprio dalla particolare condizione nella quale si trova il suo autore.Tale ipotesi trova delle problematiche proprio nell’ambito operativo: In ogni caso ad esempio è giusto pensare che l’Eccezione non potrà operare qualora le prestazioni siano già state eseguite, l’Azione in ogni caso si prescriverà normalmente nel termine di 5 Anni e la possibilità di “sanatoria” del Contratto in ogni caso non sembra del tutto preclusa: l’interdetto legale dovrebbe e potrebbe, una volta recuperata la capacità, poter convalidare il Contratto.In ogni caso poi giova ricordare che l’ipotesi dell’interdizione legale non è l’unica eccezione contenuta nel Codice: A tal proposito possiamo ricordare i numerosi casi in materia successoria come quelli dell’incapacità naturale a testare (art. 591) in questo caso ai sensi del 3c. il Testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse.O anche in materia di Diritto di famiglia nel caso delle “invalidità matrimoniali” (si pensi ai gradi di parentela), ai sensi dell’art. 117 che può essere impugnato oltre che dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal P.M. e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimi ed attuale per impugnarlo.

5.Altre ipotesi di legittimazione: eredi ed aventi causa; parti complesse e pluralità di parti.

Omissis

6.La PRESCRIZIONE dell’Azione di Annullamento

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L’art. 1442 prevede la disciplina dell’Azione di Annullamento e delle relativa “eccezione” e fissa per ‘AZIONE DI ANNULAMENTO in cinque anni il termine di breve di durata, mentre la seconda “NON SI PRESCRIVE” o meglio secondo lo stesso dettato dell’articolo “può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione” anche quando la prima sia prescritta.Tuttavia a fronte della regola generale si trovano, nel Codice soprattutto nell’area definita dell’impugnabilità, numerose eccezioni nelle quali la legge si avvale di un termine ancora più breve, ad esempio:

- 30 g. per le impugnazioni delle delibere della comunione art.1109- 30 g. per le impugnazioni delle delibere condominiali art.1137- 3 mesi per le impugnazioni delle delibere delle società di capitali art.2337

Ancora, nel caso degli atti compiuti dal coniuge senza il consenso dell’altro ai sensi dell’art.184 il termine per proporre l’Azione di Annullamento è di 1 anno e come ha chiarito la giurisprudenza decorre dal momento in cui il coniuge che non ha prestato il necessario consenso ha avuto conoscenza dell’atto oppure dalla data della eventuale trascrizione dell’atto nei registri della conservatoria.

N.B: Il termine di PRESCRIZIONE decorre secondo la regola generale, dal momento della conclusione del Contratto, in ossequio al Principio di cui all’art. 2935 secondo cui “la prestazione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

7.Il termine di Prescrizione per l’Azione di Annullamento del Contratto dell’Incapace.

L’art.1442 c.3 che disciplina la “Prescrizione” stabilisce che il termine per l’annullamento nel caso di incapacità legale decorre dal momento in cui è cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età.Per quanto riguarda il caso della “incapacità naturale” invece, nel silenzio del legislatore deve ritenersi che il termine per la prescrizione decorra dalla conclusione del Contratto.(polemiche perché? Dovrebbe cominciare da quando riacquista capacità d’intendere E di volere).La disciplina particolare che il legislatore ha dettato nel caso di incapacità legale apre una serie di problemi. Dal momento in cui l’atto è stato compiuto, al momento in cui cessa la causa di incapacità può trascorrere anche un cospicuo lasso di tempo, talvolta infatti la data ultima di cessazione dell’Incapacità può coincidere addirittura con la morte dell’interdetto, dell’inabilitato o il raggiungimento della maggiore età nel caso del minore.Quindi cosa succede? Che l’altro contraente può rimanere esposto indefinitamente ad un’azione di Annullamento; ciò ha indotto alcuni a ritenere che quantomeno nelle ipotesi in cui vi sia un tutore o un curatore il termine della prescrizione decorra dalla sua nomina!!!.Tuttavia la giurisprudenza ovviamente è di segno contrario conformemente al dettato legislativo. Alcuni Autori hanno argomentato che tale disciplina che quindi fa decorrere il termine dalla cessazione della causa dell’incapacità e non dalla conclusione del Contratto sia riconducibile ad esigenze di tutela degli incapaci per le quali sembra giusto sacrificare gli opposti interessi.In definitiva per gli infermi di mente ai sensi dell’art. 427 il termine quinquennale comincerà a decorrere dal momento in cui cessa lo stato d’interdizione (revoca ?) e non da quando è stato concluso il Contratto.

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Allo stesso modo nel caso di emancipazione, il termine decorrerà dal momento in cui l’emancipato diventa maggiorenne

8.La PRESCRIZIONE nei Contratti conclusi per effetto di “UN VIZIO DEL CONSENSO”

L’art. 1442 al c.2, dispone che il termine di prescrizione decorre dal momento della scoperta del vizio o dalla cessazione della violenza. Da ciò si evince che la norma postula che per far scattare l’azione sia stata prima rimossa la causa d’invalidità in cui il vizio consiste e così facendo produce di fatto un allungamento del termine prescrizionale.Questa norma necessita di alcune precisazioni a seconda del vizio cui viene applicata:a)ERRORE: Nell’ERRORE, “la scoperta” si verifica nel momento in cui è cessata la falsa rappresentazione della realtà o sono state scoperte le circostanze in precedenza ignorate che lo hanno determinato, senza che sia al tempo stesso necessaria anche la consapevolezza di poter far valere in concreto un diritto.La giurisprudenza poi nel caso in cui la scoperta del vizio sia successiva ai cinque anni dalla conclusione del Contratto ha precisato che l’onere della prova va ripartito tra le parti in questo modo: Per il convenuto che vuole eccepire la prescrizione è sufficiente provare il decorso di tale periodo mentre l’attore deve provare di essere venuto a conoscenza dell’errore, del dolo o della violenza subita da meno di 5 anni dalla domanda giudiziale.

b)DOLO: Nel DOLO invece il termine decorre dal momento in cui il contraente diventa consapevole dell’attività fraudolenta di controparte, anche se manca la percezione del pregiudizio derivante dalla conclusione del Contratto. Nel caso si sovrapposizione parziale tra il fatto alla base di un Errore e quello alla base di un Dolo, qualora il termine per la proposizione dell’azione fondata sul primo sia prescritto, il contraente che ha scoperto di essere stato raggirato avrà la possibilità di agire per dolo quando abbia avuto solo successivamente consapevolezza anche del fatto che l’errore era prodotto da un inganno di controparte.

c)VIOLENZA: Nel caso della Violenza Morale il termine comincia a decorrere dalla cessazione della coazione, momento che non coincide necessariamente con la stipulazione del Contratto ma può protrarsi anche oltre. La cessazione della Minaccia deve essere apprezzata come un “dato oggettivo” ricorrendo ai parametri già collaudati come quello della persona sensata.La prova della data della scoperta del Vizio, una volta che il convenuto abbia eccepito la prescrizione è a carico dell’attore.

N.B.: Nel caso di un contratto concluso dal rappresentante, la rilevanza del Vizio deve riguardare il rappresentante. Ciò significa che se ad esempio il rappresentato è un minore il termine di prescrizione dell’Azione di Annullamento decorrerà dalla scoperta del vizio, e non dal momento del raggiungimento della maggiore età.

9.La Prescrizione in tutti gli altri CASI

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L’art. 1442 al c.3 dispone che in tutti gli altri casi il termine di Decorrenza della Prescrizione coincide con il momento della conclusione del Contratto. (Ricorda: Il Contratto si considera concluso quando l’accettazione sia giunta all’indirizzo del preponente).Più precisamente il dies a quo per la decorrenza del termine è rappresentato dalla data in cui il Contratto viene perfezionato e non da quella della sua efficacia.La medesima regola vale per il Contratto concluso in conflitto di interessi, sempre che però il conflitto non riguardi il rappresentante legale di un incapace legale per il quale invece vale la regola del c.2, nonché per tutte le figure speciali che danno luogo ad annullamento, come quelle previste nel Diritto di famiglia.

Parte della dottrina, in modo condivisibile ha considerato il termine quinquennale per l’esercizio dell’Azione di Annullamento eccessivamente lungo ed ha quindi proposto una serie di correttivi volti a contenere il diritto del legittimato in relazione alle modalità concrete del comportamento che quest’ultimo volta per volta ha tenuto nei confronti della controparte.Il richiamo a questi principi quale il “nemo venire contra factum proprium”, può consenire di neutralizzare il tentativo di agire per l’annullamento da parte di chi maliziosamente ha mantenuto un inerzia prolungata di fronte alle pretese di adempimento dell’altro contraente!!!.

10.L’interruzione della Prescrizione.

Per quanto riguarda la prescrizione dell’Azione di Annullamento, va detto paradossalmente che solo l’esercizio della stessa, essendo un diritto potestativo di azione, consente lì interruzione della Prescrizione.Infatti, mentre ad esempio nel caso di un diritto di credito è sufficiente la messa in mora dell’altra parte contrattuale, nel caso dell’Azione di Annullamento è necessaria la DOMANDA GIUDIZIALE.Infatti come ha sottolineato il prof. a Lezione sarebbe più corretto parlare di “decadenza”, anziché prescrizione. Infatti come dire, il diritto potestativo all’azione di Annullamento in ogni caso è un diritto atipico, perché dall’altra parte non c’è un soggetto obbligato!!!.Diversa infatti è la conclusione nel caso in cui si chieda il risarcimento del Danno in seguito alla conclusione di un Contratto Annullabile. In questo caso l’interruzione della prescrizione può verificarsi attraverso la costituzione e messa in mora.

11.L’Eccezione di Annullamento.

L’art.1442 al c.4 prevede che “L’Annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del Contratto, anche se è prescritta l’azione per farla valere”.Tale comma conferma la prescrittibilità dell’Azione, mentre lo stesso non accade per l’eccezione a meno che non sia diversamente disposto come nel caso della Rescissione.

Innanzitutto dobbiamo dire che quindi la parte di un Contratto Annullabile “non ancora eseguito” non è necessariamente tenuta a chiedere l’annullamento in via di AZIONE, ma può reagire, quindi da convenuta tramite l’Eccezione, sebbene l’Azione si sia prescritta.

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Così ad esempio, l’acquisto realizzatosi in seguito ad un contratto annullabile legittima l’acquirente a non pagare il prezzo ma al tempo stesso egli però non può pretendere la consegna del bene poiché l’alienante a cui sarebbe concessa l’azione prescritta può sempre opporgli l’eccezione.???

Per proporre eccezione è necessario trovarsi di fronte ad una pretesa di adempimento del Contratto; nel senso che se il Contratto ha già avuto esecuzione, non è più possibile ricorrere all’eccezione neppure per resistere ad una domanda di mero accertamento della sua esistenza o della sua efficacia.Quindi in ogni caso, in cui non si voglia ottenere un’azione di ripetizione, ma soltanto evitare l’adempimento di un rapporto rimasto inattuato, l’ordinamento attraverso l’eccezione lascia aperta al soggetto legittimato la possibilità di paralizzare l’Azione per l’adempimento. In tali ipotesi l’eccezione rimane in vita “finché dura l’azione( della controparte)” per l’esecuzione del Contratto.

Il “CONVENUTO” deve essere inteso in senso sostanziale, cioè con riferimento alla posizione che egli assume di fronte alla pretesa di controparte di eseguire o adempiere il Contratto Annullabile.La giurisprudenza più recente ha adottato una interpretazione elastica della regola del 1442, ritenendo che il Contratto può ritenersi “non eseguito” finché non sia avvenuta la sua integrale esecuzione. Quindi per far scattare il meccanismo dell’art.1442 è sufficiente che siano rimaste ineseguite anche solo alcune obbligazioni assunte dalle parti con il Contratto ed anche se solo accessorie rispetto alla principale.

N.B.: La regola della “PERPETUITA’” dell’ECCEZIONE risponde ad un principio di ECONOMIA PROCESSUALE, secondo il quale alla parte di un Contratto viziato viene risparmiato di dover agire attraverso un processo per rimuovere gli effetti del Contratto.

Detto questo si comprende che all’Eccezione di Annullamento non potrà mai seguire una sentenza che conduca alla condanna delle ripetizioni.Ciò al contrario potrà avvenire solo laddove non si tratti più di eccezione di Annullamento, bensì di DOMANDA RICONVENZIONALE DI ANNULLAMENTO(sempre che non si sia prescritta) che potrà condurre ad una pronuncia costitutiva che annullerà gli effetti prodotti da quel contratto e quindi alla condanna delle ripetizioni!!!!!!!!!Con l’Annullamento chi agisce con eccezione non può chiedere la ripetizione, né può interrompere la prescrizione dell’azione di indebito poiché il presupposto di quest’ultima è l’accertamento della improduttività di effetti del contratto che l’eccezione non è in grado di offrire!!! ---------------------VEDERE BENE DAL LIBRO E COLLOQUI!!!

12.Eccezione di Annullamento ed efficacia dell’Atto Annullabile.

Come abbiamo già detto, il fatto che permanga l’eccezione di Annullamento, anche una volta che l’azione di Annull. si sia prescritta, ripropone il problema dell’efficacia del Contratto Annullabile.

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Da una parte il Creditore non può esigere l’adempimento (perché sa che l’altra solleva l’eccezione di Annullamento???), dall’altra il debitore di una prestazione nascente da un contratto viziato non può ripetere ciò che ha pagato (se il Creditore gli ha venduto un Catorcio..e B glielo ha già pagato… non può chiedere che le vengano restituiti i soldi ???).

Si tratta quindi di stabilire quale sia la condizione nella quale si viene a trovare la parte che deve adempiere un Contratto Annullabile.Da UNA PARTE SE IL Contratto è provvisoriamente efficace – come è nel caso dei Contratti Annullabili – il venir meno dell’azione (prescritta) dovrebbe rendere la prestazione esigibile.Dall’ALTRA PARTE SE la possibilità di far valere l’ECCEZIONE, anche una volta che si sia prescritta l’azione, dovrebbe militare in senso opposto.Secondo alcuni, il prof. per primo, la posizione della parte che deve adempiere l’obbligazione non è diversa da quella del debitore di una obbligazione naturale: La prestazione cioè non è coercibile dal creditore, ma il debitore una volta che ha adempiuto non può ripeterla!!!.Nel caso dell’adempimento del Contratto Annullabile per il quale è prescritta l’azione quinquennale di Annullamento, bisogna ritenere che non sia possibile promuovere l’azione di ripetizione.

E’ possibile però proporre una diversa ricostruzione..Con l’Azione di Annullamento, il legislatore attribuirebbe rilevanza ad un “fatto impeditivo” dell’efficacia del Contratto che si è prodotto contemporaneamente alla stipulazione del Contratto.Il soggetto legittimato ad esperire l’azione di Annullamento allega al giudizio dei fatti impeditivi dell’esistenza del diritto altrui e ciò lo fa in un modo non diverso da quanto accade attraverso l’Eccezione quando li deduce però questa volta semplicemente per far rigettare la domanda.Ciò che cambia è però che attraverso l’Azione il soggetto esercita il proprio potere di attribuire rilevanza giuridica ai “FATTI IMPEDITIVI” degli effetti negoziali. N.B.: LE CAUSE DI ANNULLABILITA’ INFATTI NON OPERANO AUTOMATICAMENTE, ma si servono dell’intermediazione della manifestazione di volontà del soggetto (sn nella domanda giudiziale?).

Tramite questa ricostruzione si rimette in discussione totalmente il RAPPORTO Az. di Annull. Vs. Eccezione di Annullamento.Si tratta di una ricostruzione sostenuta da PROTO-PISANI per la quale si opera in questa maniera NORMA-FATTO-POTERE-EFFETTO. In questa situazione quindi si tratta di partire da dati di fatto costituiti da:Provvisoria efficacia del Contratto, ma per contro il legislatore consentendo l’Eccezione di Annullamento è come se riconoscesse rilevanza alla manifestazione di Volontà del fatto impeditivo (VIZIO) per la quale la parte non vuole adempiere.Detto questo poi, per dare sostegno a questa tesi, occorre sottolineare come il Contratto sia già viziato e quindi in realtà già non capace di produrre effetti ( o meglio precari) sin dalla sua conclusione e quindi si tratterebbe soltanto di trovare il modo di dare rilevanza alla manifestazione di volontà della parte interessata, che riscontra il Vizio che poi si traduce sul piano processuale in un “FATTO IMPEDITIVO”, sin da quando decide di non adempiere!!! Così al preteso adempimento della parte, anche qualora si sia prescritta l’azione e quindi la parte eccepisca

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l’Annullamento si potrebbe cmq giungere ad una sentenza Costitutiva che travolga gli effetti del Contratto e apra la strada alle Azioni di Ripetizione o di Indebito.!!! AHAHAHAHAHAH!!!. COSI’ ANCHE AVVICINAMENTO CON NULLITA’

13.Gli effetti del’Annullamento fra le parti.

La sentenza con la quale si pronuncia l’ANNULLAMENTO del Contratto ha “efficacia retroattiva” nel senso cioè che provoca l’inefficacia ex-tunc del Contratto – come accade per la Nullità – aprendo la strada alla ripetizione delle prestazioni eventualmente eseguite, attraverso la proposizione di una autonoma domanda di ripetizione dell’indebito o nello stesso giudizio o in uno successivo.A tal proposito però occorre ricordare l’eccezione dell’art. 2126 relativa al “CONTRATTO DI LAVORO” Nullo o Annullabile, rispetto al quale la Nullità ( esclusal’ipotesi dell’illiceità dell’oggetto o della causa) o l’Annullamento non producono effetto per il periodo in cui ha avuto esecuzione.La retroattività della Sentenza si riflette tuttavia sugli atti di disposizione compiuti nell’intervallo fra la Conclusione del Contratto e la pronuncia del Giudice, provocando alle volte dei problemi. Infatti se gli effetti già prodotti possono essere Annullati con effetto retroattivo, l’eventuale atto di disposizione del diritto fatto dalla parte nelle more del giudizio di Annullamento può senza dubbio essere considerato disposizione attuale a causa dell’inefficacia originaria che produce la sentenza quando accoglie la domanda. L’autonomia delle 2 Azioni non permette che l’impossibilità totale o parziale di restituzione possa riflettersi sull’invalidazione del Contratto, paralizzando la domanda di annullamento.Questo è il caso dei Contratti in cui una prestazione istantanea viene offerta in corrispettivo di una prestazione continuativa (locazione ad esempio); in questi casi la controprestazione monetaria può essere facilmente ripetuta, non è così però per il godimento concesso per il quale si potrà agire soltanto sulla base dell’arricchimento senza causa.ESEMPIO Tizio affitta la casa a Sempronio. Prestazioni.. Consegna dell’immobile da un lato e pagamento canone mensile di locazione dall’altro.Tizio domanda l’Annullamento del Contratto e lo ottiene. Sempronio chiede la restituzione o meglio la ripetizione dei Canoni mensili mentre Tizio chiede l’immobile da consegnarsi libero e sgombro da cose e persone e vuole che gli venga ripetuto anche il godimento??? Booo!!! Bè..e quale è il Problema???

14.Gli effetti dell’Annullamento verso il Contraente Incapace.

Secondo l’art.1443 la prestazione eseguita dall’incapace – sia legale che naturale – è ripetibile soltanto nei limiti in cui questa è stata rivolta a suo vantaggio.Innanzitutto dobbiamo chiarire che per vantaggio si intende l’incremento patrimoniale effettivamente esistente al momento dell’esercizio dell’Azione di Annullamento.Questa disposizione trova le sue radici in un Principio generale che caratterizza anche altre disposizioni del Cod. Civ. come gli art. 2039 (indebito ricevuto da un incapace) e 1190 (pagamento al creditore incapace), secondo il quale l’incapace, non essendo in grado di amministrare

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razionalmente il corrispettivo ottenuto dal Contratto, non sarà in grado di restituire la prestazione se non andando incontro al suo inevitabile impoverimento.Tale Principio si traduce in una “PRESUNZIONE” a tutela dell’incapace, in base alla quale si deve ritenere fino a prova contraria, che la prestazione da questi ricevuta non sia stata impiegata a suo vantaggio, con la conseguenza di porre a carico del Contraente capace l’onere di dimostrare che la prestazione eseguita o la cosa consegnata invece è stata utile all’incapace.

La formulazione della Norma però lascia aperta la questione relativa all’individuazione del momento in cui debba essere rilevata l’incapacità del Contraente per far scattare il meccanismo previsto. Ci si domanda cioè se sia sufficiente che l’incapacità sussista al momento della Conclusione del Contratto o debba permanere anche oltre, cioè fino al momento della consegna della cosa o della esecuzione della prestazione pattuita.

A°)Da una parte si potrebbe propendere per l’idea che se l’incapace dalla Conclusione del Contratto ha poi riacquistato la capacità al momento dell’ESECUZIONE tale tutela dovrebbe affievolirsi se non proprio scomparire.La Giurisprudenza invece sembra essere di contrario avviso addossando le conseguenze del Contratto Concluso con l’incapace interamente sulle spalle del contraente capace “che abbia in malafede contratto con l’incapace”, evitando, di protrarre le indagini fino al momento della esecuzione.

CAPITOLO III

IL RECUPERO DEL CONTRATTO ANNULLABILE

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1.Il fenomeno del “RECUPERO” dei contratti INvalidi.

I contratti invalidi possono essere tutti recuperati. Nell’ottica del “PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE” infatti l’ordinamento a seconda della tipologia di invalidità, mette a disposizione delle parti una serie di meccanismi che consentono di salvarne o stabilizzarne gli effetti.Tuttavia è necessario ricordare come proprio sul terreno del recupero del Contratto Invalido sia stato collocato uno dei più importanti caratteri differenziali tra fra il regime giuridico della Nullità e dell’Annullabilità: ovvero il Contratto Nullo a differenza del Contratto Annullabile non può mai essere CONVALIDATO.

2.La CONVALIDA

Il Contratto Annullabile è recuperabile in modo completo attraverso il meccanismo della “CONVALIDA” che secondo l’art.1444, permette al contraente al quale spetta l’azione di Annullamento – attraverso un atto che contenga insieme alla menzione del Contratto anche il morivo di Annullabilità – di dichiarare che intende convalidarlo (c.1) o al contraente che sia al corrente del motivo di Annullabilità – di darvi volontaria esecuzione (c.2).Una volta intervenuta la CONVALIDA il Contratto non potrà più essere impugnato né in via d’azione né tramite eccezione.

DISCUSSIONI:Secondo la prospettiva classica dal Contratto Annullabile sorgerebbe un diritto potestativo per la parte colpita dal vizio che conduce in una duplice direzione: verso l’azione oppure verso la CONVALIDA del Contratto.La Convalida quindi rende inattaccabile il Contratto e stabilmente produttivo dei suoi effetti, rimuovendo l’incertezza che l’impugnabilità – dovuta alla presenza del Vizio – aveva creato intorno ad essi. N.b.: Infatti dal momento che il Contratto annullabile cmq crea i suoi effetti seppur questi siano precari, la Convalida non ha lo scopo di rendere produttivo di effetti un Contratto in quanto questo già è idoneo a produrli.Sempre secondo la stessa teoria, il meccanismo della Convalida sarebbe solo uno strumento che offre alla parte nelle cui mani è riposta la sorte del Contratto di esprimere la “propria valutazione favorevole” sulla programmazione contrattuale.

In definitiva da una parte non si registrano dubbi per quanto riguarda le conseguenze effettuali della Convalida… Dall’altra invece le problematiche si addensano intorno alla sua “configurazione strutturale”.

Fondamentalmente, per quanto riguarda la struttura dello stesso istituto della Convalida è possibile individuare 2 diverse correnti di pensiero.

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L’una mette in luce la “qualità sanante” della Convalida mentre l’altra identifica la Convalida come una “RINUNCIA all’Azione di Annullamento o meglio ancora proprio come perdita dell’Azione di Annullamento”.

1° -Secondo il primo orientamento, “funzione” della Convalida sarebbe quella di eliminare il Vizio: In questa prospettiva la Convalida rimuoverebbe i vizi dell’Atto ex tunc ed il Contratto si considererebbe valido ab origine.Fondamentalmente questa tesi è stata accreditata dalla diffusione – durante il codice abrogato – della “concezione volontaristica del negozio” in base alla quale essendo la volontà elemento essenziale della fattispecie, ogni vizio dell’elemento VOLITIVO (per l’appunto della volontà) comporterebbe imperfezione strutturale del negozio e quindi annullabilità. In quest’ottica la Convalida avrebbe l’effetto di sanare la “volontà malata”.Tale impostazione è stata sostenuta anche da non recentissime sentenze della Cassazione ove espressamente si è affermato che “la Convalida è uno strumento predisposto per sanare, con effetto ex tunc, ad opera del soggetto cui spetta l’Azione di Annullamento, i vizi dell’Annullabilità del Contratto”.

A questa teoria è stato possibile replicare che il Vizio è un accadimento che si esaurisce nella formazione stessa del negozio, quindi solo una “rinnovazione” dell’operazione contrattuale potrebbe comportare la Rimozione e la “CONVALIDA” non è rinnovazione perché non fa altro che rendere definitivi gli effetti già operativi di un dato negozio Annullabile.

1a° -Secondo una diversa tesi, invece, che cmq parte dall’assunto della qualità sanante della CONVALIDA, quest’ultima altro non sarebbe che un negozio integrativo per rendere Valido il primo. Questa cioè costituirebbe parte integrante di un’unica fattispecie complessa, ovviamente comprendente il negozio annullabile, che una volta completata produrrebbe gli effetti di un negozio valido.

A questa tesi si obietta che non ha senso riconoscere la Convalida come una “integrazione” dal momento che il Contratto Annullabile già prima della Convalida produce effetti ab origine.

2° -Come dicevamo invece, altri studiosi conformemente ad un diverso indirizzo della Cassazione, hanno ripreso il carattere della Convalida come “RINUNCIA all’Azione di Annullamento (produrrebbe praticamente l’effetto estintivo del Diritto Potestativo di Annullamento)”.Dal momento però, che l’Azione di Annullamento opera a tutela solo della parte contraente e che solo l’interessato possa decidere se esperirla o meno, la CONVALIDA non farebbe altro che indicare la mancanza dell”interesse” ad Annullare, concretandosi quindi più che in una “RINUNZIA IN SENSO TECNICO” in un “atto preclusivo dell’impugnazione”.

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In quest’ottica quindi la Convalida non “eliminerebbe il Vizio”, ma indica solo la Volontà del soggetto di non avvalersi dell’Azione di Annullamento.Tale tesi e/o ricostruzione, può essere accolta solo laddove si ammetta l’esistenza del diritto potestativo di cui per l’appunto il potere di Annullamento del Contratto sarebbe tipica espressione.

Questa ricostruzione a sua volta è stata criticata a causa della prospettazione in chiave esclusivamente negativa della Convalida.Soprattutto dal momento che se la Convalida si potesse tradurre in termini di semplice “RINUNCIA” del diritto all’Azione di Annullamento non si comprende perché il legislatore abbia utilizzato il termine “Convalida” anziché “RINUNCIA”.!?!.

Tuttavia nella spasmodica ricerca della RATIO della Convalida, alcuni Autori hanno enfatizzato come dire il “carattere positivo” dell’atto di Convalida, qualificandola come un “NEGOZIO AUTONOMO DI 2° GRADO” che ha la funzione di confermare l’interesse al permanere degli effetti della vicenda negoziale (Contratto). Sotto questo punto di vista la “CONVALIDA” sembrerebbe una specie di NEGOZIO DI ACCERTAMENTO!!!. In quest’ottica infatti si sottolinea come la parte con la Convalida oltre a rinunciare al Diritto all’azione di Annullamento in qualche modo è come se … dichiarasse “di non avere interesse all’invalidazione del Contratto” rimuovendo così una situazione di incertezza conseguente al Contratto Annullabile.In questa prospettiva la “CONVALIDA”, eliminando lo stato di incertezza prodotto dal Contratto Annullabile, avrebbe il pregio di GIUSTIFICARE in un certo senso la Conservazione degli effetti EX-TUNC del Contratto. Retroattività della Convalida.

3.Segue. Caratteristiche

La “CONVALIDA” può essere espressa o tacita.-Quando si tratta di Convalida “espressa” facciamo riferimento ad un “atto unilaterale” con cui il Contraente che ha diritto all’Azione di Annullamento dichiara di non aver “interesse ad agire” e di volersi così appropriare degli effetti del negozio.Se tutti concordano sulla qualificazione della Convalida – quantomeno nella sua forma espressa -quale “atto negoziale unilaterale”, altrettanto non può dirsi circa il suo carattere “RECETTIVO”.

Per quanto riguarda invece la “Convalida tacita” è stata messa in discussione, almeno per uno dei 2 modelli in cui può presentarsi il suo carattere di “ATTO GIURIDICO”.

Le c.d. teorie “negoziali” della Convalida partono dal riferimento nell’art. 1444 c.1 della ”DICHIARAZIONE” (per quanto riguarda la forma espressa), ed alla “VOLONTARIETA’ dell’Esecuzione associata alla conoscenza del motivo di Annullabilità del c.2” (per quanto riguarda la forma tacita), entrambe collegate al presupposto richiesto dal c.3 ovvero che il Convalidante si trovi nella “ condizione di concludere validamente il Contratto ”.Tuttavia dall’altra parte la presenza di questi elementi, considerati essenziali nella prospettiva negoziale, possono al contrario essere “degradati”, secondo una diversa prospettiva a “semplici

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presupposti di effetti legalmente tipizzati (in questo caso perdita della possibilità di Annullare il Contratto), necessari soltanto per assicurarsi che la Dichiarazione o l’esecuzione siano volute!!!.

Per quanto riguarda invece il carattere “RECETTIZIO”:A)La “TESI NEGATIVA” parte dal presupposto che “Recettizi” sono gli atti che devono essere conosciuti dalla controparte (per essere efficaci), e afferma che dal momento che il Legislatore ha previsto anche la “convalida Tacita” (che è operante anche se l’altra parte non ne sia venuta a Conoscenza) l’interesse dell’altro contraente non dovrebbe avere alcuna rilevanza.A riprova di ciò, ricorda come l’art. 1444 attribuisce il potere di Convalida al solo Contraente cui spetta l’Azione di Annullamento, prendendo così in considerazione “esclusivamente” l’interesse di quest’ultimo.Tale soluzione, peraltro sembra quasi obbligata con riferimento al carattere “non recettizio” della Convalida, soprattutto se si parte dal presupposto che questa comporta “la perdita del diritto-potere di chiedere l’Annullamento” e che come tale si esaurisce esclusivamente nella sfera stessa del soggetto che la compie.

B)Chi considera invece la Convalida come un atto negoziale ma “recettizio” invece parte dal presupposto che questa in effetti elimina una situazione di incertezza relativamente alla sorte del Contratto per l’altra parte; infatti anche chi sostiene che la Convalida non abbia natura recettizia ritiene che cmq la parte Convalidante debba portare l’altra a conoscenza dell’avvenuta Convalida in virtù dei Principi di correttezza e Buona fede.(Scognamiglio).

Tuttavia N.Benissimo: Il carattere unilaterale che solitamente assume la Convalida non esclude che questa possa “entrare a far parte” di un più complesso regolamento contrattuale attraverso il quale “si apre la strada ad una modificazione sostanziale del contenuto del Contratto”: cioè alla Convalida ad opera di una delle parti può conseguire la “MODIFICA” di alcune clausole o il “pagamento di un corrispettivo” o ancora un’altra PRESTAZIONE. La “MODIFICAZIONE” così prodotta diventa sostanziale e quindi richiede il Consenso dell’altra parte.

4.Segue. La FORMA

Un altro profilo importante della disciplina della Convalida riguarda la “forma”.A tal proposito l’art.1444 stabilisce che “il Contratto Annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l’Azione di Annullamento, mediante un ATTO CHE CONTENGA LA MENZIONE DEL CONTRATTO e DEL “MOTIVO” di ANNULLABILITA’, e la DICHIARAZIONE che s’intende Convalidarlo”.

Sotto questo punto di vista può dirsi che la forma della Convalida sia “VINCOLATA”, la questione che rimane aperta però riguarda il fatto se la CONVALIDA debba essere redatta in forma SCRITTA o TACITA???

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La presenza di quei requisiti - menzione del Contratto e del Motivo di Annullabilità, nonché la dichiarazione che si intende Convalidarlo – tendono ad assicurare eventuali scorrettezze della parte da un lato, ma soprattutto fanno sì che la parte necessariamente sappia Convalidando quel Contratto a quali conseguenze andrà incontro, prime fra tutte ovviamente la Perdita del potere di Annullare il Contratto nonché la preclusione di poter in un momento successivo ECCEPIRNE l’Annullabilità. a questa prospettiva è riconducibile ad esempio il c.3 dell’art. 1444, secondo il quale per procedere alla Convalida è necessario che il Contraente abbia abbandonato la condizione viziante nella quale si trovava.

Tornando sulla questione che riguarda i dubbi circa la redazione in “forma scritta” oppure “tacita” della Convalida, le diverse tesi hanno fatto ricorso ad alcuni principi sistematici di carattere generale per cercare di dare una risposta:

A)Secondo l’impostazione PREVALENTE, anche nel caso della Convalida dovrebbe operare il “Principio di LIBERTA’ delle FORME”. La Giurisprudenza ha seguito questa soluzione, affermando la Libertà della forma anche in presenza di un Contratto Formale da Convalidare, sulla base che l’espressione “ATTO” debba essere interpretata nel suo significato sostanziale di “MANIFESTAZIONE DI VOLONTA’” e NON in quello Formale di Scrittura o Documento!!!.Secondo questa impostazione peraltro giocherebbe a favore proprio un argomento testuale dell’articolo: Nel senso che se la legge si è preoccupata di determinare i requisiti della CONVALIDA in modo preciso, sarebbe stranissimo considerare che per una semplice dimenticanza nel dettato dell’art.1444 non si sia occupata della FORMA!!!.Soprattutto poi si osserva che se la Convalida fosse a forma Vincolata scritta non potrebbe poi essere ammissibile alcuna Convalida TACITA!!!

B)Secondo un’altra impostazione invece, si dovrebbe ricorrere al PRINCIPIO di SIMMETRIA dei NEGOZI “ACCESSORI”, secondo il quale quindi la Convalida dovrebbe essere redatta nelle stesse forme previste per il NEGOZIO PRINCIPALE “viziato”. Soluzione ovviamente sostenuta da chi vede la Convalida come un atto “integrativo” del Negozio Annullabile.

C)Infine, a favore di una diversa soluzione , secondo la quale sarebbe sempre necessaria la “FORMA SCRITTA” vi aderisce chi si attiene ad una “stretta” interpretazione dell’art 1444 c.1, secondo cui l’Atto di Convalida deve contenere la menzione del Contratto e dei motivi di invalidità, nel senso che l’articolo col termine “ATTO” vuole proprio considerare un documento che deve contenere per l’appunto la suddetta “menzione”.

Cambiando argomento una serie di problematiche si poste nel caso della CONVALIDA di un Contratto “ANNULLABILE per 2 diversi motivi”, che però nell’atto faccia menzione di uno solo di essi.A tal proposito, applicando letteralmente il dettato dell’art. 1444, dovremmo giungere alla Conclusione che il Contratto sarà cmq impugnabile o tramite Azione di Annullamento, o semplicemente tramite l’Eccezione di Annullamento per l’altro vizio non menzionato nel Contratto.

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Tuttavia in tali ipotesi si ritieni che ragioni di “CORRETTEZZA” dovrebbero entrare in gioco per impedire al Convalidante di impugnare in un momento successivo alla Convalida il Contratto!!!.

Un altro aspetto importante dell’art. 1444 riguarda il 3c., dove si stabilisce che la “CONVALIDA NON HA EFFETTO” se chi la esegue NON E’ IN CONDIZIONE DI CONCLUDERE VALIDAMENTE IL CONTRATTO.

Ciò significa, che il Convalidante deve trovarsi nella stessa situazione richiesta per la valida Conclusione del Contratto da convalidare e cioè debba avere riacquisito LA CAPACITÀ, LA LIBERTÀ E LA CONSAPEVOLEZZA in ordine al Contratto.ESEMPIO: ad esempio deve aver raggiunto la Maggiore età nel caso del Minore, oppure deve essere sopraggiunta una REVOCA della Sentenza d’interdizione o di Inabilitazione nel caso dell’incapace legale, oppure debba aver scoperto il DOLO o l’ERRORE, o ancora deve essere CESSATA LA VIOLENZA. ’Nsomm quando Convalida deve essere in grado di esprimere una Volontà immune da Vizi.N.B.: Nel caso di Convalida di Contratti conclusi da Enti Pubblici senza “le necessarie autorizzazioni”, come accade per i privati, la Convalida deve provenire dallo stesso soggetto che potrebbe validamente concludere il Cotratto e più precisamente in questo caso l’ORGANO COMPETENTE, munito questa volta delle approvazioni, pareri e autorizzazioni necessarie per la stipula del Contratto.

Un ultimo aspetto da approfondire poi riguarda l’espressione la “Convalida non ha effetto”, contenuta nell’art.1444 c.3. Più precisamente tale espressione ha condotto a ricollegare all’eventuale CONVALIDA posta in essere in stato di “ INCAPACITA’” una conseguenza + Grave della “semplice Annullabilità” della stessa, ovvero la sua NULLITA’ o INESISTENZA . Ovviamente in questi casi una volta che il convalidante dimostri il Vizio derivante dall’Incapacità, la conseguenza sarà la Conservazione del “potere di Annullamento del Contratto”.

5.La CONVALIDA “TACITA”: i MODELLI

L’art.1444 al c.2 stabilisce “che il Contratto è pure Convalidato, se il Contraente al quale spettava l’Azione di Annullamento, vi ha dato VOLONTARIAMENTE ESECUZIONE CONOSCENDO il MOTIVO di ANNULLABILITA’.Quando facciamo riferimento al c.2 dell’art.1444 ci occupiamo della Convalida “TACITA” la quale fondamentalmente permette al contraente legittimato ad impugnare il Contratto Annullabile di dare “volontaria esecuzione” al Contratto, a condizione però che sia al corrente del MOTIVO (o dei Motivi) di ANNULLABILITA’!!!.

La Convalida TACITA quindi consiste in un’esecuzione volontaria. Le problematiche che nascono attorno alla Convalida TACITA si annidano intorno ai “COMPORTAMENTI

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CONCLUDENTI” e cioè a qualunque attività che tende a determinare la situazione che si sarebbe dovuta produrre attraverso il Contratto Annullabile, attività quindi che indicherebbero una “VOLONTA’ INCOMPATIBILE con l’ANNULLAMENTO”.

Un’interpretazione letterale restrittiva della norma condurrebbe a circoscrivere “l’esecuzione del Contratto” alle sole forme di adempimento del Contratto, cioè all’esecuzione – anche solo parziale – della prestazione programmata nel Contratto..La GIURISPRUDENZA invece dal canto suo ha a”allargato la sfera d’azione” della Convalida tacita , ammettendo ad integrarne la fattispecie una serie di Attività che costituiscono semplici forme di esercizio dei diritti che nascono dal Contratto. In quest’ottica ad ESEMPIO vi rientrano i casi in cui il contraente pur potendo impugnare il Contratto, “accetti la prestazione dell’altro (il libro fa riferimento al mancato ritiro della cosa del depositante, ovviamente si trattava di un Contratto di Deposito Annullabile, così CASSAZIONE 1966), o disponga del diritto con un ulteriore negozio (esempio credo..tizio acquista un fondo da Caio, tale Contratto è Annullabile ma nel frattempo Tizio stipula un Contratto di usufrutto su quel fondo con Sempronio), o più in generale compia un qualsiasi atto incompatibile con la Volontà di Annullare (Tizio legittimato a chiedere l’annullamento, “sollecita” l’esecuzione del Contratto!!!).

CRITICHE: Di fronte a questa versione più aperta della Convalida Tacita sono nate delle questioni che ruotano essenzialmente intorno alla “Natura NEGOZIALE o MENO” della Convalida tacita. In particolare è stato sostenuto che occorre rifarsi ai criteri generali che presiedono alla manifestazione della volontà negoziale per comportamento concludente e verificare se alla stregua di questi sussista un intento negoziale di Convalida.

Il senso è che se la CONVALIDA TACITA viene elevata al rango di negozio concluso con un comportamento concludente, l’esecuzione della stessa sarà collegata alla VOLONTA’ di produrre l’effetto (della Convalida). In quest’ottica, qualunque atto esecutivo posto in essere dalla parte alla quale competeva l’Azione di Annullamento necessita di una sorta di “test” sull’esistenza di tale “volontà consapevole” e quindi lascia aperta la possibilità di attaccare tutti quei comportamenti nei quali tale volontà sia accompagnata da riserve o comunque non la si può evincere con chiarezza.Fondamentalmente può dirsi che è come se la “GIURISPRUDENZA” avesse creato una nuova “figura di manifestazione tacita di volontà”, nella quale cioè anziché dare importanza al fatto materiale, si fa riferimento alla “VOLONTA’” del Convalidante. Ma cosa è successo? Infatti Marini critica questa giurisprudenza… che alla Convalida tacita intesa quale “esecuzione sanante” cioè atto di esecuzione compiuto dalla parte con la conoscenza del Vizio, si è sostituito l’atto inteso quale “FATTO CONCLUDENTE” che implica necessariamente un incompatibilità con la Volontà di Annullamento sino a giungere che anche dall’esecuzione parziale del Contratto il Giudice possa desumere una volontà sufficiente a risanare il Contratto attribuendo tuttavia un ruolo “centrale” all’indagine sulla Volontà del Convalidante In questi termini l’ESECUZIONE convaliderà il Contratto Annullabile solo se si prova inequivocabilmente che l’agente è certo della causa di Annullabilità del Contratto e NON lo vuole impugnare.La Giurisprudenza ha sempre qualificato come “negozio” la Convalida ed ha inoltre più volte ribadito che la Convalida – sia che sia espressa o tacita – è sempre subordinata alla duplice

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condizione “dell’acquisita certezza della Causa di invalidità” e della “VOLONTA’ DI NON AVVALERSENE”.

La discussione sulla natura giuridica della Convalida assume ulteriore rilevanza quando ci si pone l’interrogativo circa la sua “eventuale impugnabilità” per VIZI o la possibilità di far valere una “protestatio contra factum”. a)A seconda che si consideri la Convalida “TACITA” come “un mero Atto”, questi interrogativi dovranno trovare una risposta negativa.ESEMPIO: Nel caso in cui Tizio, dopo aver stipulato in stato di incapacità un Contratto per l’acquisto di un’auto, ritira l’auto e paga, dichiarando però di aver intenzione di impugnare successivamente l’atto, qualora si consideri la CONVALIDA TACITA come “mero atto” la “protestatio” NON potrà aver effetto; Mentre nel caso contrario, attribuendo alla Convalida “natura negoziale” Tizio soggetto incapace potrà sempre agire per l’Annullamento.

Tutto ciò perché??? Se la “Convalida tacita” viene considerata come un”atto negoziale”, si intende che l’atto di esecuzione oltre a necessitare cmq di una “VOLONTA’ CONSAPEVOLE” si deve accertare che tale volontà sia diretta, tesa a “PRODURRE EFFETTI”.

6.Variazioni in Tema di Convalida: La pluralità di legittimati.

L’art. 1444 c.1, nell’attribuire la legittimazione a Convalidare il Contratto Annullabile dice che questa spetta al Contraente al quale spetta per l’appunto l’Azione di Annullamento. Di conseguenza non occupandosene l’art.1444 i problemi nascono nel caso in cui vi siano una “pluralità di legittimati”.

Una prima ipotesi è rappresentata nella situazione in cui è necessario individuare chi abbia il potere di Convalidare, qualora l’azione spetti a più soggetti, come può accadere nell’ipotesi particolare di 2 persone, entrambe colpite da un Vizio della Volontà, che stipulano un Contratto e soltanto una di loro lo convalidi.In tal caso ci si deve domandare se la parte che non ha convalidato possa domandare l’Annullamento e nel caso in cui ciò sia possibile a chi vada eventualmente restituita la prestazione: o MEGLIO? Solo al soggetto che ha chiesto l’Annullamento o anche al Convalidante.

A)Secondo una prima teoria la Convalida dovrebbe provenire da tutti gli interessati all’Azione di Annullamento, altrimenti sarebbe INEFFICACE.B)Secondo altri autori invece l’interrogativo deve sciogliersi facendo riferimento al Principio stabilito dall’art.1419???, nel senso che occorrerà verificare se il Contraente vittima dell’Invalidità – che ha successivamente convalidato – abbia o meno interesse all’adempimento dell’altra parte.

Infatti vi sono diversi casi di legittimazione ad “azioni parallele” di Annullamento, come ad esempio il caso di contratto plurilaterale annullabile in cui i legittimati all’Annullamento siano più di 1, risolvibile in base agli artt. 1446 e 1419, nel senso dell’Effetto parziale dell’esercizio dei

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diritti d’Annullamento e di Convalida, limitatamente cioè ad “una parte del negozio che non debba considerarsi essenziale”.In ordine a questi casi rileva la distinzione tra “CONVALIDA” e “RINUNZIA” all’azione di Annullamento, nel senso che come affermano diversi autori, il “RINUNZIANTE” si priverebbe della iniziativa relativa al proprio potere di Annullamento, ma non della possibilità di GIOVARSI degli effetti di un’eventuale iniziativa altrui, MENTRE nel caso di “convalida parziale” vi sarebbe una fissazione definitivamente impegnativa per il Convalidante di una parte del Negozio, SALVI però i contraccolpi dell’Annullamento di altre parti ESSENZIALI ex art.1446 e 1419. n.b: Se ho ben compreso una parte del Contratto Plurilaterale (si pensi alla Società,Associazioni) diventa “essenziale” quando per il venire meno della parte non è più possibile realizzare gli “SCOPI PROGRAMMATI”.

Detto questo residuano altre 2 ipotesi particolarmente problematiche: “Il contratto Annullabile con una parte plurisoggettiva” ed “i casi di Annullabilità ASSOLUTA”!!!

A)Nel caso di un “contratto Annullabile con una parte pulrisoggettiva” praticamente abbiamo più soggetti costituenti un unico centro di interessi, contrattualmente regolato.Come abbiamo già detto in tema di legittimazione all’Azione le ipotesi in cui ci si trovi di fronte a gruppi collettivi, come una società o un’associazione o ancora un Condomino, considerati dalla legge come “organismi unitari”, non pongono alcun problema particolare di legittimazione. I problemi nascono, quando in tema di legittimazione alla Convalida si è in presenza di una “ Parte Complessa” Si pensi a più persone che acquistano in comproprietà o vendono il Bene Comune.

La “TEORIA” Più accreditata si basa su 2 punti:

1)La legittimazione alla Convalida o all’Annullamento è individuale se il Vizio riguarda “ 1 SOLO DEI MEMBRI” costituenti la c.d. “Parte Complessa”.ESEMPIO: Così nel caso in cui nei confronti di uno solo dei componenti la parte complessa si siano verificati gli estremi del Dolo o della Violenza).

2)Se tale vizio riguarda “TUTTI I COMPONENTI”, ma “uti singuli”. Nel senso cioè che ciascuno è vittima del Dolo, la legittimazione sarà “individuale” sia in ordine all’Annullamento che alla correlativa RINUNZIA, ma ciò “non varrà per la CONVALIDA”, la quale per essere efficace richiede la “Convergenza delle CONVALIDE” di “TUTTI I COMPONENTI LA PARTE COMPLESSA”, nel senso che la Convalida da parte di uno di questi “NON SI ESTENDE” agli altri, anche perché altrimenti il soggetto Convalidante finirebbe per disporre dell’interesse altrui.

La dottrina prevalente sostiene che in ogni caso ciascuno dei componenti la parte complessa dichiarando di voler convalidare si “PRIVANO DEL POTERE DI ANNULLARE”, ma l’eventuale “ANNULAMENTO” promosso da chi non ha Convalidato riguarderà l’INTERO NEGOZIO”.

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Per quanto riguarda i casi invece di “ANNULLABILITA’ ASSOLUTA” previsti dall’art. 1444 con riferimento all’INTERDETTO LEGALE, sussistono forti dubbi circa la possibilità di procedere con la Convalida.Da un lato perché potendo impugnare chiunque quel Contratto sarebbe impossibile procurarsi il Consenso di tutti i legittimati.Seconda ragione poi è da ricercare poi proprio nella “DIVERSITA’” dell’interesse che giustifica l’Annullabilità assoluta e che quindi cmq e a prescindere precluderebbe il ricorso a qualsiasi forma di Convalida del Contratto.

7.Alcuni problemi: CONVALIDA “PARZIALE” e CONVALIDA “GENERICA”.

In tutte le ipotesi in cui vi è una pluralità di legittimati si è parlato di Convalida parziale.Tuttavia di Convalida PARZIALE però si può parlare anche con riferimento all’OGGETTO.Esempio: Si pensi ad una compravendita di oggetti di diversa qualità dallo stesso acquirente.La risposta può dipendere sia dalla “divisibilità” o meno dell’OGGETTO del Contratto, e peraltro non solo in senso materiale ma anche in senso giuridico ed economico nel senso che gli oggetti devono essere l’uno estraneo o non collegato funzionalmente all’altro – sia al “consenso” della controparte.(ma consenso: rinegoziazione all’ombra dell’invalidità).Tuttavia innanzitutto occorre precisare che la “Convalida parziale” del Contratto non implica necessariamente l’annullamento dell’altra parte del Contratto. Ciò vuol dire che il significato di una Convalida parziale è “SOLO” quello di rendere definitivi “ALCUNI” degli effetti di un Contratto lasciando ad un momento successivo la decisione sul resto.

Un altro problema riguarda la validità di una CONVALIDA PREVENTIVA o CONTESTUALE e GENERICA .Una soluzione del genere non dovrebbe essere accolta in quanto mancherebbe il presupposto della “Conoscenza del Vizio”.Tuttavia il punto qual è??? Che la Convalida presuppone che il negozio viziato sia già venuto ad esistenza al momento della “RINUNZIA”, e necessita di una tto che faccia espressa menzione del Contratto e del MOTIVO di annullabilità e che l’intenzione di convalidare l’atto sia espressamente manifestata. Ergo ne consegue che sarà proprio inammissibile una Convalida preventiva e generalizzata rispetto ad un negozio futuro, in quanto i motivi di Annullabilità non sono ancora venuti ad esistenza e quindi neppure possono essere conosciuti al momento dell’Accordo.A tal proposito proprio di recente la Giurisprudenza con una sua pronuncia ha ribadito l’orientamento negativo, escludendo la validità di una rinunzia a far valere i vizi della Volontà in via anticipata e preventiva.!!!Peraltro la circostanza che la Convalida in questi casi venga denominata “RINUNCIA” conferma la natura negoziale dell’atto e ne precisa il Contenuto positivo consistente nell’espressione dell’interesse alla Conservazione del Negozio Annullabile” che si traduce fondamentalmente in una manifestazione di volontà finalizzata al perseguimento di effetti specifici giuridicamente rilevanti.

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8.Convalida e figure Affini.

Accanto alla Convalida è possibile distinguere delle figure giuridiche simili, quali la RATIFICA, la RINNOVAZIONE, la RETTIFICA e la CONFERMA.

”RATIFICA”: La RATIFICA a differenza della CONVALIDA che riguarda contratti invalidi, opera rispetto a Contratti che sono validi sin dall’origine, ma conclusi da un rappresentante senza potere o che ha ecceduto i poterei e quindi “INEFFICACI” nei confronti del rappresentato. (si pensi al FALSUS-PROCURATOR). Attraverso la RATIFICA (art.1399) il rappresentato si appropria del Contratto, supplendo all’assenza oppure alle carenze di legittimazione del soggetto che ha agito. La ratifica ha natura “recettizia”.Marini sottolinea ad esempio come nonostante secondo i “PRINCIPI GENERALI” la RATIFICA dovrebbe essere applicabile nel caso previsto dall’art.184 del C.c. ovvero dell’acquisto dei coniugi in comunione legale dei beni senza il Consenso dell’altro, nel senso di un efficacia di quell’atto nei confronti del coniuge pretermesso il legislatore abbia deciso invece di abbinarvi il binomio ANNULLABILITA’-CONVALIDA con conseguente efficacia per il coniuge pretermesso ed alcuni elementi di specialità quali il termine Annuale di prescrizione.

”RINNOVAZIONE”: Nella RINNOVAZIONE, invece la Volontà negoziale – a differenza della Convalida che è diretta al recupero di un Contratto Annullabile – mira a sostituirsi ad una “precedente volontà” che in genere, ma non necessariamente è affetta da invalidità sostituendola peraltro con efficacia ex-nunc.Nell’ipotesi tipica di “Rinnovazione”, i contraenti consapevoli del vizio, eliminano attraverso il nuovo Contratto l’invalidità, con il risultato quindi che gli effetti dovranno imputarsi esclusivamente al nuovo Contratto. Tuttavia non è escluso che le parti attraverso la Rinnovazione possano anche attribuirgli efficacia retroattiva!!!

”CONFERMA”: La CONFERMA nel nostro Codice è un istituto previsto “soltanto” per le disposizioni testamentarie (art.590) e per le Donazioni Nulle (art.799). “la NULLITA’ della disposizione testamentaria da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della Nullità, ha dopo la morte del Testatore confermato la disposizione o ha dato ad essa volontaria esecuzione”.In realtà CONVALIDA e CONFERMA presentano alcune caratteristiche comuni, in quanto entrambe si caratterizzano come atti distinti dai rispettivi negozi viziati, entrambe possono essere compiute tacitamente, entrambe presuppongono la consapevolezza del Vizio ed entrambe producono un effetto conservativo dell’Atto.Tuttavia gia a partire dalla Legittimazione si riscontrano le prime differenze notevoli tra “Convalida e Conferma”, infatti mentre legittimato alla Convalida sarà la parte del negozio che avrebbe diritto all’Azione di Annullamento, nel caso della Conferma invece, i legittimati saranno coloro i quali sono interessati a far valere la nullità e quindi gli eredi o aventi causa.

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N.b. Opinioni discordanti circa la eventuale confermabilità di tutti gli atti Annullabili quali anche le disposizioni testamentarie: Sarebbe un controsenso permettere la conferma delle disposizioni testamentarie del de cuius nei casi in cui per l’appunto la Volontà del Testatore è viziata.

Un altro aspetto poi riguarda la Conversione, la Conversione permette la conservazione dell’Atto nullo che però viene diversamente qualificato dal Giudice in un altro atto che abbia i requisiti di sostanza e forma. La differenza in questo caso è costituita che anche la “Conversione” è subordinata ad istanza della parte, nel senso che questa può chiedere al Giudice la CONVERSIONE dell’atto ma tale RIMEDIO a differenza di quanto accade nella CONVALIDA non è “nella disponibilità delle parti” infatti sarà il Giudice a qualificare il nuovo contratto che ha gli stessi requisiti di forma e di sostanza.Alcuni ammettono la Convalida dell’Atto Annullabile, ma la dottrina dominante la esclude poiché i vizi della Volontà o l’incapacità permarrebbero in ogni caso ANCHE NELL’ATTO RISULTANTE DALLA CONVERSIONE.

9.La “RETTIFICA” del CONTRATTO ANNULLABILE (per errore)

La Convalida non è l’unico strumento che consente al Contraente colpito dal vizio di mantenere in piedi il Contratto.un altro rimedio che permette di recuperare il Contratto Annullabile è previsto dalla “disciplina dell’Errore” : la RETTIFICA (art.1432).In questo caso però cosa accade? Che è proprio la parte NON COLPITA DAL VIZIO che può offrire di eseguire il negozio “in modo conforme al Contenuto del Contratto che quella intendeva concludere”, precludendo così all’altra parte di agire per l’Annullamento.

n.b.: Anche per l’errore di Calcolo, quando non si traduce in un vero e proprio errore sulla “QUANTITA’ – l’art. 1430 stabilisce come rimedio, “UNICO” la Rettifica art.1430.

Più in generale la RETTIFICA può essere ascritta fra gli strumenti, che attraverso “una modifca UNILATERALE del regolamento Contrattuale” consentono fondamentalmente di raggiungere una soluzione sul conflitto nato a seguito del Contratto, secondo una regola “equitativa”.

A tal proposito ciò che nota MARINI è che vi sono delle ipotesi o circostanze, quali l’incapacità legale del contraente (si pensi all’interdetto) nelle quali immediatamente si giunge secondo la Legge all’Annullabilità del Contratto, che può essere evitata solo con la Convalida da parte di un eventuale legittimato senza possibilità quindi di fare una indagine sull’influenza determinante del Consenso o meno: Nelle altre ipotesi invece la RETTIFICA può essere lo strumento che consente di salvare quel Contratto nel senso di raggiungere una sorta di “riequilibrio fra le posizioni delle parti” che consente al contraente non caduto in errore di “paralizzare l’eventuale azione di Annullamento” qualora offra di rettificare il Contratto in modo conforme al contenuto che la parte caduta in errore intendeva concludere.

Detto questo si comprende come siano profondamente diverse queste 2 figure:

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Nella Convalida la parte legittimata è proprio quella che ha subito il pregiudizio a causa del vizio con cui è stato concluso il Contratto; nella RETTIFICA l’iniziativa spetta invece proprio alla parte che non è caduta in Errore e quindi al Contraente che non subisce le conseguenze negative del Vizio. La Rettifica è stata opportunamente avvicinata all’offerta di riduzione ad equità ex art.1450(in questo caso il Contraente contro il quale è stata domandata la RESCISSIONE DEL CONTRATTO, può evitarla offrendo una modificazione del Contratto, sufficiente per ricondurlo ad equità).

Un’altra questione riguarda il carattere “Processuale o Sostanziale” della RETTIFICA. I dubbi nascondo dalla circostanza che normalmente cosa accade? La parte caduta in errore Domanda l’Annullamento del Contratto, mentre il convenuto eccepisce proprio tramite la RETTIFICA quel Contratto. La dottrina cmq è orientata nel senso del carattere sostanziale della RETTIFICA proprio nel senso di ricondurre alla stessa come offerta di carattere negoziale.L’offerta di Rettifica deve contenere, proprio in virtù delle modifiche apportate all’originario Contratto, un regolamento contrattuale corrispondente al Contratto che la Contro-parte avrebbe voluto stipulare se non fosse caduta in errore.

Nel momento in cui il soggetto che era caduto nel Vizio contesti le modificazioni offerte e insista nel chiedere l’Annullamento, sarà il Giudice a dover stabilire se quella offerta sia giusta o meno nel senso che sia riconducibile al Contratto che sarebbe stato concluso se la parte non fosse caduta in errore.N.B.: Qualora il giudice reputerà “CONGRUA” l’offerta, dal momento che l’offerta di Rettifica consiste nell’esercizio di un Diritto “POTESTATIVO” e che quindi come tale produce immediatamente la modificazione del regolamento Contrattuale. Si giungerà ad una sentenza di mero accertament0§????????????????? Della Validità e dell’Efficacia del regolamento negoziale rettificato.; se il giudice ritiene invece inidonea l’offerta accoglierà la Domanda di Annullamento.

Un altro aspetto riguarda la circostanza che secondo l’art. 1432 “l’offerta di rettifica deve aver luogo “PRIMA” che la parte caduta in Errore subisca un pregiudizio”.IN questi casi l’offerta di Rettifica può proprio dar luogo ad una nuova “Rinegoziazione” che darà luogo ad un nuovo negozio che sostituirà il precedente.Quindi possiamo dire che la RETTIFICA a differenza della convalida che comporta una completa adesione al contratto originariamente concluso, consiste in una parziale modifica unilaterale del Contenuto originario del Contratto.

Ultimo aspetto poi è che è ovvio che qualora la parte errante addivenga alla Rettifica non avrà più senso chiedere la Convalida.La RETTIFICA in ogni caso nonostante si registrano voci discordanti sembra un rimedio applicabile esclusivamente nel caso di Errore e non DOLO o Violenza, ne tantomeno incapacità legale che è sanabile solo tramite Convalida.

10.Casi di Contrattazione all’OMBRA del Contratto Annullabile MUTUO DISSENSO..

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V.

I CONTRATTI DEI CONSUMATORI

Enrico MINERVINI

CAPITOLO I

GLI ARTICOLI 1341, 1342 e 1370

1.Il fenomeno della “STANDARDIZZAZIONE CONTRATTUALE”

Il Cod. Civ. del 1942 è il primo fra i codici moderni a dedicare un’apposita disciplina – ovvero gli art.1340, 1341 e 1370 – al fenomeno della “standardizzazione contrattuale”, e cioè alla predisposizione da parte di un Soggetto – che di solito è un imprenditore – di appositi schemi contrattuali, moduli, formulari, destinati a regolare uniformemente i rapporti con la clientela.

Cominciamo col dire che la disciplina codicistica della standardizzazione contrattuale è strettamente connessa ad un “sistema economico di produzione di massa” in cui cioè Le IMPRESE offrono alla clientela BENI e SERVIZI ma a “condizioni prestabilite” e come tali “IMMODIFICABILI” dalla clientela (salvo eccezioni).In questa maniera le Imprese sono innanzitutto in grado di prevedere i rischi connessi ad una pluralità di Contratti e quindi di prevenire le liti e cmq il loro esito e nello stesso tempo risparmiano i TEMPI ed i COSTI legati alle “TRATTATIVE” semplificando così l’organizzazione e la gestione delle imprese.

Tale uniformità dei rapporti contrattuali riserva anche qualche modesto beneficio per i clienti, quantomeno per quanto riguarda il pericolo di “DISCRIMINAZIONI” nell’offerta di beni e Servizi da parte delle imprese e quindi in termini di identiche condizioni contrattuali Sotto questo punto di Vista MINERVINI dice che i “clienti quantomeno sono uguali nella soggezione al potere dell’imprenditore!!!”.

Questi Contratti che vengono definiti “Contratti STANDARD” o “Contratti di MASSA” nella relazione del Ministro Guardasigilli al Cod. Civ. vengono definiti come “CONTRATTI PER ADESIONE”, caratterizzati cioè dalla particolare posizione del cliente, detto “aderente”, che è libero (si fa per dire) di accettare l’affare (e cioè di aderire al Contratto) o di rifiutarlo, ma NON PUO’ INCIDERE SUL TESTO DEL CONTRATTO PREDISPOSTO

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DALL’IMPRENDITORE: Il contratto per Adesione infatti si caratterizza dalla sostanziale “ASSENZA di TRATTATIVE”.

Il vero limite tuttavia è rappresentato è costituito dalla Circostanza che la libertà dell’aderente di scegliere se accettare o rifiutare l’affare è spesso limitata dall’esistenza di MONOPOLI, o cmq dall’adozione da parte di tutte le imprese aderenti ad un certo comparto economico di adottare identici schemi contrattuali, moduli e formulari. In queste situazioni l’aderente se ha bisogno del Bene o del Servizio offerto, deve per forza accettare l’Affare in quanto sul mercato non è possibile rinvenire altre imprese che offrono lo stesso servizio a condizioni diverse.

2.Le Condizioni Generali di Contratto.L’art.1341 è il primo articolo che si riferisce al fenomeno dei “CONTRATTI STANDARD o di MASSA o per ADESIONE” facendo ricorso alla nozione di “CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO” e cioè di quelle clausole che un soggetto, detto predisponente, utilizza per regolare uniformemente i propri rapporti contrattuali.

Quindi le Condizioni generali di Contratto sono caratterizzate da 2 elementi essenziali:a) La “GENERALITA’b) La “PREDISPOSIZIONE UNILATERALE”

Generalit à nel senso che le “condizioni generali di Contratto” sono destinate a regolare una serie indefinita di rapporti contrattuali, e non una singola stipulazione.Generalità quindi è sinonimo anche di “uniformità” in un’ottica come sottolinea il professore caratterizzata da una “spersonalizzazione delle relazioni interprivate”. PREDISPOSIZIONE UNILATERALE , invece nel senso che le “condizioni generali del Contratto” non sono il “frutto” di una trattativa, ma sono predisposte “unilateralmente” da un unico Soggetto, per l’appunto il predisponente che le impone all’altro ovvero l’aderente.Ovviamente N.B. si parla di predisposizione anche nel caso in cui il predisponente utilizzi “condizioni generali di contratto” che NON sono state necessariamente elaborate da lui stesso ma ad esempio dalla propria associazione di Categoria o da suoi professionisti di fiducia.

Normalmente, il soggetto che adopera le c.d.”Condizioni Generali del Contratto” riveste la qualifica di IMPRENDITORE ed è un soggetto “economicamente” più forte rispetto all’aderente che invece riveste la qualifica di “CONSUMATORE o UTENTE”.Tuttavia beninteso non può escludersi né che il predisponente rivesta un’altra qualità (es. Libero Professionista) o anche l’Aderente (ad esempio Imprenditore), OPPURE ANCORA CHE L’ADERENTE SIA ECONOMICAMENTE Più FORTE DEL Predisponente (si pensi ad esempio alla contrattazione tra IMPRESE).

3.Segue. La “CONOSCENZA” e la “CONOSCIBILTA’Ai sensi dell’art.1341 c.1, le “Condizioni Generali di Contratto”, predisposte da 1 dei 2 contraenti, sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della Conclusione del Contratto questi “ le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”.

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Da ciò si desume che le Condizioni generali di Contratto spiegano effetti nei confronti dell’Aderente, e quindi lo vincolano, soltanto se siano da questi conosciute o quantomeno siano conoscibili secondo un parametro di ordinaria diligenza. Tale conoscenza o conoscibilità va riferita al momento della “CONCLUSIONE” del Contratto. ragion per cui quindi non hanno effetto nei confronti dell’aderente quelle condizioni generali di Contratto che egli abbia avuto modo di conoscere successivamente alla stipulazione del Contratto (ad esempio quando riceve la fattura).

Tale norma impone al predisponente l’onere di rendere normalmente “conoscibili” all’aderente le condizioni generali di Contratto: Nel senso che il predisponente dovrà attivarsi affichè l’aderente possa, usando l’ordinaria diligenza, prendere cognizione dell’esistenza e del Contenuto delle Condizioni generali.A tal proposito ad esempio il predisponente espone in “bella vista”, nei locali dell’impresa ove ha luogo la stipulazione dei Contratti con la clientela, cartelli ed avvisi che riportano il testo delle “Condizioni generali di Contratto”. Il predisponente deve utilizzare un “testo comprensibile ed intellegibile” dall’aderente: In mancanza le condizioni generali di Contratto non hanno il requisito della normale conoscibilità e quindi rimangono prive di effetto.Nello stesso tempo la norma impone all’aderente l’onere di prendere cognizione dell’esistenza e del contenuto delle condizioni generali che regolano il Contratto e tale onere è delimitato per l’appunto dall’adozione del parametro dell’ordinaria diligenza, e cioè quel grado di diligenza che normalmente ci si attende dall’aderente in relazione al tipo di operazione economica compiuta!!!.

Un altro aspetto importante poi, riguarda la circostanza che l’art. 1341 c.1 in ogni caso non apporta una deroga a quanto disposto dall’art.1325, che per l’appunto ricomprende l’ACCORDO tra i requisiti essenziali del CONTRATTO: Nel senso cioè che se l’aderente ha avuto conoscenza di tutte le condizioni generali al momento della Conclusione del Contratto può dirsi che egli le abbia volute,; viceversa se egli non le conosceva tutte ma usando l’ORDINARIA DILIGENZA le avrebbe potute conoscere resta vincolato al Contratto in virtù del proprio Consenso e del c.d. PRINCIPIO DI AUTO-RESPONSABILITA’.

Le condizioni generali non conosciute o NON-CONOSCIBILI, usando l’ordinaria diligenza da parte dell’aderente non entrano a far parte del “contenuto del Contratto” e quindi la norma correttamente parla di INEFFICACIA nei confronti dell’aderente.Secondo l’opinione prevalente si tratta di “INEFFICACIA ASSOLUTA”, che può essere fatta valere sia dal predisponente che dall’aderente e che può essere rilevata d’ufficio dal Giudice. Quindi impropriamente si afferma che le condizioni generali non conosciute o non-conoscibili sarebbero NULLE.Ai sensi dell’art.2697 c.1, colui che intende avvalersi delle condizioni generali del Contratto (normalmente il predisponente) deve provarne in giudizio l’ ESISTENZA , il CONTENUTO nonché la CONOSCENZA O LA EVENTUALE CONOSCIBILITÀ USANDO L’ORDINARIA DILIGENZA da parte dell’aderente .

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4.La “SPECIFICA APPROVAZIONE PER ISCRITTO delle CLAUSOLE VESSATORIE

Cominciamo col dire che quando parliamo di “CLAUSOLE VESSATORIE” ci riferiamo a quelle clausole contenute in condizioni generali di Contratto che sono particolarmente ONEROSE o SVANTAGGIOSE per l’aderente in quanto o ne aggravano la posizione contrattuale privandolo di diritti che avrebbe in base alla legge o gli impongono degli obblighi che non avrebbe in base alla legge.

Per quanto riguarda le “clausole vessatorie” quindi il legislatore ha inteso accordare una tutela superiore a quella modesta che viene offerta per le condizioni generali di contratto che sono efficaci solo se conosciute o conoscibili usando l’ordinaria diligenza.Questa tutela si basa sulla circostanza che tali clausole per essere efficaci necessitano di una “SPECIFICA APPROVAZIONE PER ISCRITTO”.E proprio così che l’art.1441 al 2.c stabilisce che in ogni caso non hanno effetto, “Se non sono specificatamente approvate per ISCRITTO”, le condizioni che stabiliscono a favore del predisponente:a)LIMITAZIONI DI RESPONSABILITA’B)FACOLTA’ DI RECEDERE DAL CONTRATTO O DI SOSPENDERE L’ESECUZIONEOppure sanciscono a favore del predisponente:C)DECADENZED)LIMITAZIONI ALLA FACOLTA’ DI OPPORRE ECCEZIONIE)RESTRIZIONI ALLA 2LIBERTA’ CONTRATTUALE”nei RAPPORTI CON I TERZIF)TACITA PROROGA O RINNOVAZIONE DEL CONTRATTOG)CLAUSOLE COMPROMISSORIE e CLAUSOLE DI DEROGA alla COMPETENZA DELL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA.

Ciò che si evince dunque, è che il legislatore intende tutelare l’aderente di fronte a quelle clausole che sono ritenute particolarmente onerose e svantaggiose per l’aderente Clausole che normalmente in Dottrina e Giurisprudenza vengono definite come “CLAUSOLE VESSATORIE”.Tali clausole quindi per avere efficacia devono essere specificamente approvate per iscritto dall’ADERENTE.La necessità della specifica approvazione per iscritto di tali clausole serve per l’appunto a richiamare l’Attenzione dell’aderente sulle clausole particolarmente onerose e svantaggiose e quindi a prevenire il pericolo della c.d “sorpresa” e cioè il rischio che l’aderente accettando in blocco le

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condizioni generali del Contratto non si renda conto della portata e del significato di ciascuna clausola.

In questa maniera si delinea quindi un sistema basato sulla c.d. “doppia sottoscrizione”: Ovvero ad una prima sottoscrizione generica che ha proprio il significato di accettazione del Contenuto del Contratto se ne aggiunge un’altra che ha ad oggetto l’accettazione delle Clausole vessatorie contenute nel contratto allo scopo di renderle efficaci. N.b.:Proprio per questo motivo non può ritenersi sufficiente un’unica sottoscrizione in calce al Contratto.Tuttavia, e questo aspetto è stato criticato dal Prof., è pacifico che non occorrono tante firme quante sono le Clausole Vessatorie ma è sufficiente che per approvare più clausole vessatorie un’unica sottoscrizione e a tal proposito si discute se basti il semplice richiamo, anche in forma numerica alle clausole vessatorie contenute nel Contratto o invece sia necessaria e sufficiente una sintetica esposizione del Contenuto della Clausola vessatoria.N.b: In ogni caso non hanno effetto se le stesse clausole vessatorie sono mescolate con le altre non vessatorie ovvero le condizioni generali di Contratto!!!).

5.Le “CONSEGUENZE” della Mancanza della specifica approvazione.

Intorno alle conseguenze della mancanza della specifica approvazione per iscritto delle Clausole Vessatorie vi è un accanito dibattito.Le problematiche nascono dall’espressione utilizzata dal legislatore nel 2.c dell’art.1441 la dove stabilisce che “IN OGNI CASO NON HANNO EFFETTO”.Fondamentalmente è possibile ritrovare 3 diversi orientamenti:1°)Il primo che poi costituisce l’opinione prevalente, specie in Giurisprudenza, ritiene che la “specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie” rappresenta un onere di natura “formale”, di rispetto di una forma ab sustanziam, la cui inosservanza provoca la “NULLITA’ della Clausola Vessatoria:Più precisamente si tratterebbe di una Nullità che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, e quindi sia dal predisponente sia dall’aderente e che può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.

2°)Altri autori invece propendono per una diversa soluzione. Ovvero le clausole Vessatorie non approvate specificamente per iscritto “semplicemente non producono effetti in quanto inefficaci” ma NON-NULLE.Più precisamente si tratterebbe di un’INEFFICACIA ASSOLUTA che cioè può essere fatta valere da entrambe le parti e che può essere rilevata d’ufficio dal Giudice.

3°)Infine vi è chi ritiene che “la specifica approvazione per iscritto” sia un requisito di OPPONIBILITA’ all’aderente delle clausole vessatorie: Ragion per cui “la mancata specificazione per iscritto” delle Clausole rileva quale assenza di una “formalità a protezione dell’aderente”, e che come tale può ESSERE INVOCATA SOLO DA QUESTO e NON dal predisponente e NON può essere rilevata d’ufficio dal Giudice. ’Nsomm inefficacia relativa!!!.

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Tale dibattito è RICCO di risvolti pratici.Basti pensare al problema della CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO!!!Ai sensi dell’art.1419 c.1, la Nullità di “singole Clausole” comporta la Nullità dell’INTERO CONTRATTO, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla Nullità.A questo punto però cosa succede??? Che ovviamente non è difficile immaginare che il PREDISPONENTE (ricordiamolo soggetto già forte del Rapp. Contr.) NON avrebbe concluso quel Contratto senza le Clausole Vessatorie: Nello stesso Tempo però la NULLITA’ dell’intero Contratto finirebbe per “pregiudicare interesse dell’Aderente” che invece è volto alla CONSERVAZIONE di quel Contratto e che purtroppo spesso, come sottolinea il prof., è l’unico strumento per ottenere quei beni o quei Servizi di cui ha bisogno l’aderente.Per questa ragione coloro che sostengono che le “clausole vessatorie non approvate specificamente per iscritto” sono Nulle, risolvono il problema sostenendo che l’applicazione dell’art. 1419 c.1 è esclusa non soltanto nell’ipotesi di cui al c.2 dello stesso art.1419 che prevede la sostituzione della Clausola Nulla con una norma imperativa inderogabile, ma ritengono anche che l’applicazione dell’art.1419 c.1 è esclusa nell’ipotesi di sostituzione della Clausola Nulla con una regola legale derogabile: insomma, la disciplina legale dispositiva sostituisce la Clausola Vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.2, per mancanza della specifica approvazione.

Dall’altro lato invece per coloro che sostengono l’Inefficacia (sia assoluta che relativa) il problema non ha neppure ragione di porsi in quanto l’Inefficacia delle Clausole Vessatorie fa sì che questo proprio non entrino a far parte del Contratto e quindi l’art. 1419 sarebbe inapplicabile e tale inefficacia delle clausole vessatorie determinerebbe soltanto l’applicabilità del Diritto dispositivo, cui le clausole vessatorie derogano.

6.Il carattere “TASSATIVO” dell’Elenco.L’elencazione delle Clausole Vessatorie, contenuta nell’art.1341 c.2 ha carattere “TASSATIVO”.Nel senso cioè che solo le clausole contemplate nel 2.c. necessitano della specifica approvazione per iscritto della parte aderente.QUINDI, le altre clausole che parimenti possono essere svantaggiose o onerose per l’aderente si pensi ad esempio alla CLAUSOLA PENALE(è una clausola con la quale in maniera forfettaria e preventiva si stabilisce il Risarcimento del Danno in caso di INADEMPIMENTO o Ritardo nell’adempimento), entrano a far parte del Contratto senza la necessità di una specifica approvazione. Quindi come ha specificato la Cassazione tale elencazione non ha uno “SCOPO ESEMPLIFICATIVO” bensì “TASSATIVO”. La necessità della specifica approvazione per iscritto infatti rappresenterebbe un’eccezione al Principio della LIBERTA DELLA FORMA contemplato nell’art.1325 n.4.

7.Le Clausole contemplate nell’Elenco.

Vediamo di capire di cosa si occupano espressamente le clausole contenute nell’art.1341 2c.

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A)Le Clausole che stabiliscono a favore di chi le ha predisposte LIMITAZIONI DI RESPONSABILITA’(in ogni caso cmq queste clausole anche quando approvare per scritto devono essere consentite dall’art.1229 Nel senso che sarà cmq NULLO qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità del debitore per Dolo o per COLPA GRAVE)ESEMPIO:si pensi alle clausole che fissano un “tetto” al Risarcimento del Danno oppure che escludano la “responsabilità” per “COLPA LIEVE”

B)Le Clausole che stabiliscono a favore del Predisponente, LA FACOLTA’ DI RECEDERE DAL CONTRATTO o di SOSPENDERNE L’ESECUZIONE.Nell’ambito di applicazione dovrebbero rientrare sia la CLAUSOLA Risolutiva espressa e sia la Clausola che prevede la Facoltà di Recesso a favore sia del Predisponente che dell’Aderente.

C)Le Clausole che sanciscono a carico dell’aderente delle DECADENZE: Si pensi alle clausole che a pena di “decadenza” stabiliscono l’onere dell’aderente di denunziare i vizi della Cosa in una determinata forma (ad esempio tramite raccomandata con Ricevuta di Ritorno) oppure in un termine più breve di quello legale.

D)Le Clausole che sanciscono a carico dell’Aderente, LIMITAZIONI ALLA FACOLTA’ DI OPPORRE ECCEZIONI: Si pensi alla Clausola che precluda ad esempio all’Aderente di avvalersi dell’eccezione di inadempimento, o alla clausola “solve et repete” con cui In altri termini, la parte a carico della quale sarà posta la citata clausola sarà anzitutto obbligata al pagamento o alla dazione di quanto dovuto (solve) e solo in un secondo momento potrà opporsi, chiedendo indietro quanto in prima battuta dato o versato (repete).

E)Le Clausole che sanciscono a carico dell’Aderente, RESTRIZIONI ALLA LIBERTA’ CONTRATTUALE NEI RAPPORTI CON I TERZI: Si pensi ai “PATTI DI NON CONCORRENZA”, ai Patti di Prelazione, AI DIVIETI DI ALIENAZIONE o ancora alle Clausole che impongono all’Aderente di rivendere ai terzi al prezzo fissato dal predisponente.

F)Le Clausole che sanciscono TACITA PROROGA O RINNOVAZIONE DEL CONTRATTO, in mancanza di un’apposita disdetta. Sono sempre vessatorie le clausole che stabiliscono a carico dell’aderente un periodo di preavviso più lungo di quello legale oppure che impongano una determinata forma alla disdetta. (ad esempio tramite Raccomandata).

G)Le Clausole COMPROMISSORIE e le clausole che sanciscono DEROGHE ALLA COMPETENZA DELL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA: Per quanto riguarda le clausole compromissorie è disputato se la norma si riferisce solo all’arbitrio rituale o anche alle Clausole Compromissorie(si seguono le regole del Cod. di Proc. Civ.) per arbitrio irrituale(se non si seguono le regole del Cod. di Proc. Civile).Sono vessatorie le Clausole che derogano alle norme sulla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria fissando un foro diverso da quelli contemplati dalla legge o anche limitando la scelta tra i fori alternamente previsti dalla legge e quindi fissandone uno come esclusivo.

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Non rientrano invece nell’ambito delle clausole vessatorie quelle clausole dirette a stabilire il luogo dell’adempimento (anche se ciò determini indirettamente lo spostamento della competenza per territorio) !!!.

8.Ipotesi Controverse di applicabilità dell’art.1341 c.2

Un altro aspetto che va sottolineato è che “non necessitano di specifica approvazione per iscritto da parte dell’aderente” le “clausole vessatorie” che si limitano a riprodurre una norma di legge o un uso normativo; a diversa conclusione invece ovviamente si deve giungere per quanto riguarda le Clausole che riproducano un uso negoziale.Sempre secondo un altro orientamento poi, la disciplina prevista dal 2c. circa la necessità di sottoscrivere una seconda volta le Clausole vessatorie per renderle efficaci, non sarebbe applicabile alle “Clausole Vessatorie contenute in un Contratto stipulato per Atto Pubblico”. Ciò accade perché il testo del Contratto in questo caso viene letto dal NOTAIO che accerta che lo stesso è frutto della volontà di entrambe le parti e quindi verrebbe meno il REQUISITO della Predisposizione UNILATERALE. In ogni caso MINERVINI la pensa diversamente in quanto se è vero che il Notaio accerta la Volontà circa la conoscenza effettiva del contenuto del Contratto delle parti ciò non esclude che si tratti cmq di un contratto in cui vi sia una “Predisposizione unilaterale”’Nsomm il succo cambia, in quanto in effetti tali Clausole necessitano di un’apposita seconda sottoscrizione in quanto la lettura del Notaio non fa venire meno la predisposizione unilaterale del Contratto secondo Minervini che si riaggancia al PATTI!!!!.

”Altro aspetto importante” riguarda la circostanza che la disciplina prevista dal c.2 dell’art 1341 “non è applicabile alle clausole vessatorie che sono state OGGETTO DI TRATTATIVA”Ovviamente si badi bene che le trattative però devono investire specificamente la o le Clausole vessatorie e non genericamente il Contratto nel suo Complesso. Tale regola è da imputare alla circostanza che se vi è stata trattativa la stessa di per sé esclude il requisito della predisposizione unilaterale del Contratto.Stesso discorso vale nel caso dell’adesione dei Contratti predisposti dalle ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA( BASTI PENSARE AI C.D. CONTRATTI COLLETTIVI): In questo caso l’utilizzo di un testo del Contratto elaborato in sede collettiva dalle contrapposte “organizzazioni” esclude il requisito della predisposizione unilaterale del Contratto.Infine, non si può dubitare che l’art.1341 c.2, trovi applicazione anche per quanto riguarda le clausole vessatorie contenute in un Contratto di cui sia parte la P.AMM.: E quindi sia nelle ipotesi in cui la P.A. figuri come predisponente che nell’ipotesi in cui figuri quale Aderente.

9.I MODULI e i FORMULARI.

L’art.1342 fa riferimento ai MODULI ed ai FORMULARI, che riproducono le condizioni generali di Contratto e che quindi rappresentano il metodo di divulgazione più frequente che di solito utilizza il predisponente per realizzare obiettivi di uniformazione dei rapporti contrattuali.L’art.1342 c.1 stabilisce che nei Contratti conclusi mediante la “sottoscrizione di MODULI E FORMULARI”, “le clausole aggiunte AL modulo o AL formulario, PREVALGONO su quelle

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del modulo o del formulario qualora siano INCOMPATIBILI con esse e anche se le stesse non sono state cancellate.Fondamentalmente cosa accade? Che il legislatore prevede che le “clausole appositamente formulate” in un determinato Contratto prevalgano sulle clausole predisposte per una “pluralità indeterminata di Contratti” nelle ipotesi però di “INCOMPATIBILITA’. Questo accade a prescindere dalla materiale Cancellazione delle Clausole del Modulo o del Formulario. ‘Nsomm la Volontà “PARTICOLARE” risultante da quelle clausole c.d. Aggiuntive prevale sulla Volontà generale risultante dal Modulo o dal Formulario. Si badi bene per incompatibilità deve intendersi impossibile applicazione contemporanea della clausola aggiuntiva e di quella del formulario o del Modulo.

Il c.2 dell’art.1342 invece si limita a richiamare il 2 comma dell’art.1341. Ciò significa che le “CLAUSOLE VESSATORIE” contenute nel Modulo o nel Formulario, non hanno effetto se non sono approvate specificamente per ISCRITTO. Ovviamente non avranno bisogno di una specifica approvazione le CLAUSOLE VESSATORIE che sono state OGGETTO DI TRATTATIVA, da quelle che invece siano state aggiunte “successivamente dal predisponente” ad esempio tramite un aggiornamento del Testo del Modulo o del Formulario.Un altro aspetto interessante poi è costituito dal fatto che l’art.1342 al c.2 richiama la disciplina del 2.c. dell’art. 1341 MA NON DEL 1 COMMA. Tuttavia secondo l’opinione che sembra preferibile il 1.c dell’art.1341 è applicabile anche all’art.1342, di conseguenza ad esempio non saranno conoscibili (e quindi non efficaci) usando l’ordinaria diligenza le Clausole contenute nei MODULI o nei FORMULARI che non sono COMPRENSIBILI o che NON SIANO “LEGGIBILI” a causa dei “minuti caratteri di stampa adoperati”.

Un ultima “fondamentale precisazione” va fatta con riferimento che l’art 1342 parla di “moduli o formulari predisposti per Disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti Contrattuali”, ma a differenza di quanto fa l’art.1341 non stabilisce che devono essere predisposti da “ 1 dei CONTRAENTI”. Questa questione fa sorgere il problema con riguardo ai Formulari o ai Moduli predisposti non da 1 dei contraenti, MA DA TERZI, ed utilizzato magari in maniera “occasionale dalle parti”. Il Minervini a tal proposito fa l’esempio del modulo contenente il testo di un Contratto di Locazione, che talvolta viene venduto anche nelle Tabaccherie!!! Secondo l’opinione prevalente l’art.1342 in questo caso dovrebbe trovare applicazione, nonostante il modulo sia stato predisposto da un Terzo (e non dall’imprenditore, in questo caso semplice Locatore) e non sia utilizzato quindi da 1 dei 2 contraenti per una pluralità di Rapporti Contrattuali ma in “MANIERA OCCASIONALE”.In definitiva sotto questo punto di vista l’art.1342 ha un ambito applicativo più vasto dell’art.1341 in quanto ricomprende oltre ai Moduli ed ai Formulari contenenti condizioni generali di Contratto elaborate o utilizzate dal PREDISPONENTE, anche i MODULI o i FORMULARI adoperati occasionalmente dalle Parti!!!.

10.L’Interpretazione “CONTRO L’AUTORE DELLA CLAUSOLA”.

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Ai sensi dell’art.1370, le clausole inserite nelle “Condizioni Generali di Contratto” o in “MODULI o in FORMULARI” predisposti da 1 dei contraenti si interpretano, NEL DUBBIO, a favore dell’altro. si tratta della c.d. interpretazione contro l’autore della Clausola.Come ha sottolineato il prof. a Lezione ciò dipende dalla circostanza che il Predisponente è in condizione di elaborare il testo del Contratto con accuratezza, tenendo conto dell’esperienza di mercato, e soprattutto avvalendosi della Consulenza di Avvocati o altri professionisti; insomma egli ha l’ONERE di “parlare chiaro” e qualora ciò non avvenga tali clausole saranno interpretate a favore dell’ADERENTE CONSUMATORE.Ovviamente tale norma si applica alle Clausole “DUBBIE, AMBIGUE” ma se invece le clausole “NON SONO COMPRENSIBILI E INTELLEGIBILI” dall’aderente queste saranno “inefficaci” ai sensi dell’art.1341 c.1.

N.B.:L’art. 1370 rappresenta una regola di “interpretazione oggettiva” caratterizzata dalla c.d.”sussidiarietà” nel senso cioè che è utilizzabile dal Giudice solo dopo aver infruttuosamente utilizzato le regole di “interpretazione soggettiva” della clausola.Ciò spiega la “scarsissima applicazione della Norma nella Prassi giudiziaria” in quanto tali clausole o condizioni generali del Contratto essendo elaborate da Avvocati o altri Professionisti sarà improbabile che conterranno clausole dubbie o ambigue.Tale meccanismo funziona ed è stato elaborato dal legislatore tutta al più nelle ipotesi di Contratti che siano stati “oggetto di TRATTATIVE”.

11.L’inadeguatezza degli artt.1341 e 1342 e la “FIDUCIA” del Legislatore nella TUTELA “FORMALE”: ART.95 c.1 Cod. CONS.

Le Condizioni Generali di Contratto, i Moduli e i Formulari possono essere utilizzati, quali “strumenti di sopraffazione da parte del Contraente ECONOMICAMENTE più forte (l’imprenditore) A DANNO di quello più debole (generalmente il Consumatore).Come ha sottolineato lo stesso prof. a Lezione, la prassi dei Contratti per adesione da infatti luogo ad ABUSI nei casi, peraltro molto frequenti in cui i modelli Contrattuali utilizzati contengono clausole che mettono il Consumatore alla mercé dell’imprenditore.”La FORZA CONTRATTUALE” dell’impresa contrapposta alla debolezza del consumatore, e la conseguente assenza di trattative, consentono l’inserimento nel Contratto di CLAUSOLE che si sostituiscono “alle regole legali dispositive” e che rendono il “Contratto INIQUO e SQUILIBRATO, svantaggiando pesantemente il Consumatore.

Sotto questo punto di vista la Tutela che viene fornita dagli art.1341 e 1342 è una Tutela “SQUISITAMENTE FORMALE” e quindi come sottolinea lo stesso Minervini e il Prof. assolutamente “inadeguata”.N.B.:Il vero problema del CONSUMATORE infatti non sta nel fatto che questo non conosce le “Condizioni Generali di Contratto” o nel fatto che magari non presta la “Giusta Attenzione” alle “clausole Vessatorie”. Il vero problema consiste nel fatto che l’ADERENTE “NON E’ IN GRADO DI OTTENERE LA MODIFICAZIONE DELLE CLAUSOLE PREDISPOSTE DALL’IMPRENDITORE”. Peraltro paradossalmente con il “rito” della specifica approvazione

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per iscritto delle clausole vessatorie si finisce col “legittimare” qualunque clausola seppur svantaggiosa, onerosa e irragionevole oltre misura per l’Aderente.

Da una parte abbiamo la Dottrina che sottolinea quest’aspetto, dall’altro il Legislatore sembra sordo sotto questo punto di vista in quanto è possibile notare come anche in alcune “LEGGI SPECIALI” , preveda lo stesso rito per le Clausole Vessatorie che finisce per offrire una TUTELA SQUISITAMENTE FORMALE e INEFFICACE per l’Aderente.Questo è quanto fa ad esempio nell’art.95 Cod. Cons. ove statuisce che “le parti possono convenire in forma scritta, fatta salva in ogni caso l’applicazione degli artt. 1341 C.C. e degli artt. 33-37 Cod. Cons, limitazioni al Risarcimento del Danno, diverso dal Danno alla persona, derivante dall’inadempimento o dall’inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico. In questo caso è evidente il nesso con l’art.1341 c.2 nella parte in cui prevede la specifica approvazione per iscritto delle Clausole che stabiliscono a favore del predisponente limitazioni di Responsabilità.

12.Segue. L’art. 117 c.5 del T.U.B.; L’art.25 c.2 d.lgs. 96/2001; l’art.2 c.2 L.192/1998

Per quanto riguarda la “Disciplina della TRASPARENZA” delle condizioni contrattuali di cui agli artt.115-128 T.U.B. non si fa alcuna distinzione tra “CONTRATTI STANDARD” e “Contratti oggetto di NEGOZIAZIONE INDIVIDUALE” di conseguenza sia il Contratto a “predisposizione Unilaterale” che il Contratto a predisposizione non unilaterale ricadono nella sfera di applicazione di tali norme nonostante in ogni caso sia innegabile che la predisposizione unilaterale (in questo casa della Banca Ovviamente) sia un fenomeno massicciamente praticato nel “settore bancario” essendo raro che sussistano dei “margini” di negoziazione tra la Banca ed il Cliente.

L’art. 117 c.5 del T.U.B. riveste particolare interesse in quanto disciplina il c.d IUS VARIANDI subordinandolo all’ONERE FORMALE della “specifica approvazione per iscritto da parte del Cliente nello stesso modo quindi in cui opera il Meccanismo previsto dall’art.1341 al c.2. in quanto più esattamente stabilisce “la possibilità di variare in senso Sfavorevole al Cliente il Tasso di interesse e ogni ALTRO PREZZO e CONDIZIONE deve essere espressamente indicata nel Contratto con la Clausola specificamente APPROVATA dal Cliente.Secondo un diffuso orientamento il Legislatore in questa maniera ha qualificato come “VESSATORIA” la Clausola che attribuisce alla Banca il c.d. “IUS VARIANDI” o quantomeno l’ha equiparata a questa. L’UTILITÀ di questa norma ovviamente è da individuare nella circostanza che la Clausola che Autorizza il IUS VARIANDI alla Banca non dovrebbe rientrare tra le clausole oggetto di specifica approvazione dell’aderente così come disposto dal 2.c. dell’art.1341 c.2.!!!!.

Come dicevamo tale situazione va lodata, seppur per certi tratti appaia incomprensibile con riferimento al modo solito del legislatore di Tutelare il Consumatore, in quanto tale disciplina della “Trasparenza” per quanto riguarda il “ius VARIANDI” della Banca è applicabile indipendentemente che la Clausola faccia parte delle CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO, che in MODULI o FORMULARI ma soprattutto è applicabile anche ai “Contratti Oggetto di Trattative tra la Banca ed il Consumatore” nonostante in questo caso la

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necessità della specifica approvazione sia ignota, dal momento che il Consumatore non sarà più un semplice aderente in quanto il Contratto contenente tale Clausola, essendo stato oggetto di negoziati elimina il requisito che caratterizza i Contratti di cui agli artt.1341 e 1342 ovvero della predisposizione unilaterale del Contratto!!!.

Un’altra norma che sembra richiamare la disciplina del 2 c. dell’art.1341 è l’art.25 c.2 d.lgs. 96/2001 che “se la prestazione è svolta da più SOCI-AVVOCATI, si applica il compenso spettante ad 1 solo professionista(avvocato), SALVO espressa deroga pattuita per iscritto dal Cliente”.Anche in questo caso va notato come il legislatore abbia stabilito che la deroga sia espressamente approvata per iscritto e di come ancora una volta tale disciplina non sia applicabile soltanto nella ipotesi in cui tale clausola sia contenuta tra le “Condizioni Generali di Contratto” o nei “MODULI o FORMULARI”, ma anche nel caso si tratti di un rapporto Contrattuale tra Società di Avvocati e Cliente.!!!.

ULTIMO CASO: L’art.2 c.2 L. 192/1998 stabilisce che “nel caso di Proposta inviata dal Committente secondo le modalità indicate nel c.1 (proposta scritta o effettuata per TeleFAX o per altra Via Telematica), non seguita da accettazione “scritta” del Sub-Fornitore che tuttavia inizia le Lavorazioni o le Forniture, senza che abbia richiesto la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il Contratto si Considera CONCLUSO per “iscritto” agli effetti della presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella PROPOSTA, ferma restando l’applicazione dell’art.1341 Cod.Civ.”.Sull’interpretazione di tale norma vi sono diversi orientamenti.a)Secondo Un 1° orientamento, nel momento in cui il “Contratto di Subfornitura” si conclude secondo le modalità contemplate dal 2 c. dell’art.2 della L.192/1998- ovvero proposta del Committente alla quale non segue un Accettazione Scritta ma cominciano i lavori e/o le forniture – si tratterebbe di un Contratto PER ADESIONE in base alla presunzione che il Contratto sia stato predisposto unilateralmente dal Committente. Secondo tale orientamento però che si basa su questa presunzione, anche se magari per dire quella PROPOSTA è stata oggetto di precedenti trattative telefoniche.., il richiamo che fa la l’art.2 al c.2 all’art.1341 c.2 comporterebbe un automatica applicazione per quanto riguarda le clausole vessatorie di specifica approvazione per iscritto un po’ come accade per lo ius Variandi NEL CASO DELLE Banche e cioè anche se si tratta di Contratti non conclusi ne con l’unica predisposizione da parte di un solo contraente e anche se sono stati oggetto di Trattative.Tale tesi quindi fondandosi su questa PRESUNZIONE che non ha alcun appiglio normativo fa si che tale disciplina prevista dall’art.1341 c.2 sarà applicabile solo se la PROPOSTA recherà CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO oppure riprodurrà un MODULO o un FORMULARIO.

B)Secondo un 2° orientamento inevece, si sostiene che il richiamo al c.2 dell’art.1341 comporterebbe la necessità che “in un momento successivo all’inizio delle Forniture o delle Lavorazioni, il Committente dovrà richiedere al Sub-Fornitore la restituzione della proposta debitamente firmata anche nella parte relativa alle Clausole previste dall’art.1341 c.2” Fondamentalmente questo orientamento quindi ritiene che il Sub-fornitore debba

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necessariamente accettare per iscritto, nonostante abbia già cominciato i lavori o le forniture e quindi il Contratto sia Concluso, la proposta del Committente. Tale orientamento quindi non sembra convincente, in quanto sposta arbitrariamente la specifica approvazione per iscritto delle “CLAUSOLE VESSATORIE” ad un momento logicamente e cronologicamente successivo rispetto all’inizio dell’esecuzione e quindi rispetto alla Conclusione del Contratto.

C)Secondo l’orientamento prevalente in Dottrina, il richiamo all’art.1341 (c.2) operato dall’art.2 c.2 L.192/1998, comporta che il Contratto di subfornitura si perfeziona con l’INIZIO DELL’ESECUZIONE, MA con ESCLUSIONE delle “CLAUSOLE VESSATORIE”, le quali proprio per il richiamo all’art.1341 “non essendo state specificamente approvate per ISCRITTO saranno inefficaci.In realtà si tratta di ricercare la RATIO della Norma che in questo caso consiste nella tutela del SUB-FORNITORE, e quindi secondo questa interpretazione la Norma consente al Sub-Fornitore di liberarsi delle Clausole vessatorie, utilizzando il meccanismo procedimentale dell’inizio dell’esecuzione al posto dell’Accettazione scritta. (si tratterebbe di un escamotage in fondo). Il Committente così si troverà vincolato ad un Contratto diverso rispetto quello che intendeva stipulare. ERGO il c.2 dell’art.2 serve solo per salvare il Principio della Forma “SCRITTA A PENA DI NULLITA’ di cui al c.1 della stessa legge, ma non a salvare le “CLAUSOLE VESSATORIE.

CAPITOLO II

LA DIRETTIVA 93/13/CE ED IL SUO RECEPIMENTO IN ITALIA.L’AMBITO DI APPLICAZIONE SOGGETTIVA:IL PROFESSIONISTA ED IL CONSUMATORE

1.La dir. 93/13/CE

La DIR. 93/13/CE, concernente per l’appunto le “CLAUSOLE ABUSIVE” nei Contratti con i CONSUMATORI, costituisce un tassello di fondamentale importanza per quanto riguarda la normativa Comunitaria in tema di Tutela del Consumatore.Per comprendere ciò basta far riferimento a quelle che sono le “finalità” enunciate nella stessa direttiva.Il legislatore Comunitario vuole facilitare la creazione del “mercato interno” e prende atto come le legislazioni dei diversi paesi membri in relazione ai Contratti tra “il venditore di beni e prestatore di Servizi” da un lato e “Consumatori” dall’altro presentano notevoli divergenze, disparità con il risultato che i mercati Nazionali relativi alla vendita di beni ed all’offerta di Servizi ai CONSUMATORI differiscono l’uno dall’altro.Al fine di “consolidare il MERCATO INTERNO” il legislatore Comunitario si è accorto di come sia indispensabile eliminare le “Clausole Abusive” dai contratti stipulati tra i venditori di beni e i prestatori di servizi da un lato ed i CONSUMATORI dall’altro col risultato di incrementare la “CONCORRENZA” e offrire maggiori possibilità di scelta ai cittadini Comunitari CONSUMATORI.

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Sempre con riferimento elle finalità della direttiva, il Legislatore Comunitario è consapevole della Necessità di “TUTELARE” i Consumatori per quanto riguarda le Clausole Contrattuali “vessatorie” che questo definisce come ABUSIVE. Infatti nella Direttiva si legge che “al fine di realizzare una più efficace protezione del Consumatore vanno adottate regole UNIFORMI in tema di “Clausole Abusive”, regole cioè applicabili a qualsiasi Contratto stipulato tra un Venditore o un Prestatario da un lato ed un Consumatore dall’altro.

In questa Direttiva quindi è possibile scorgere 2 diverse finalità seppur strettamente congiunte:1) Finalità di “STRUTTURAZIONE” del Mercato Interno.2) Finalità “SOCIALi” invece con riferimento alla tutela del Consumatore quale Contraente

Debole.

In definitiva per il Legislatore Comunitario il CONTRATTO sembra lo strumento più Idoneo per controllare le Imprese e quindi il Mercato, tutelare e nello stesso tempo servirsi tramite la necessaria partecipazione il Consumatore che viene chiamato a svolgere un ruolo fondamentale per il Corretto funzionamento di un “REALE MERCATO CONCORRENZIALE”.La DIR. 93/13/CE trova applicazione “soltanto” ai Contratti stipulati tra un PROFESSINOSTA Vs. CONSUMATORE; introduce la Nozione di CLAUSOLA ABUSIVA; enuncia il PRINCIPIO della TRASPARENZA del CONTRATTO; SANZIONA con la “NON-VINCOLATIVITA” della clausola ABUSIVA l’inserzione della stessa nel Contratto; introduce regole in tema di “TUTELA COLLETTIVA”,”PREVENTIVA” ed “INIBITORIA” dei Consumatori.

2.Il Recepimento della DIR. 93/13/CE nell’Ordinamento Italiano: in particolare gli artt.1469 bis ss.

L’art.25, L. 52/1996, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee, ha dato attuazione alla Dir. 93/13/CE tramite l’inserimento dopo il CAPO XIV del Titolo II del Libro Quarto del Cod. Civ., del CAPO XIV-bis intitolato “DEI CONTRATTI Del CONSUMATORE”, composto da 5 articoli 1469-bis, ter, quater. Quinquies e sexies.Recepire questa Direttiva nel sistema giuridico Italiano è stata un’operazione Complessa derivante sia dalla difficoltà di Tradurre in Italiano la Direttiva, si pensi che a tal proposito ironicamente addirittura si è parlato di una “Responsabilità del Traduttore per prodotto Difettoso”.Ancora un’altra notevole difficoltà è stata rappresentata a dei problemi squisitamente di carattere oggettivo che dipendevano dalla tessa Direttiva ovvero coniugare le 2 Finalità, intese come “STRUTTURAZIONE” del Mercato Interno da un lato e TUTELA del Consumatore dall’altro.La normativa Comunitaria peraltro si ispira più che altro a modelli stranieri e quindi sembrava lontana dal Modello Italiano.Inoltre una Direttiva di questo genere ha creato ovviamente non poche complessità dal Punto di vista “POLITICO”, in quanto le modalità con cui recepire la Direttiva o meglio le Opzioni lasciate la Legislatore hanno comportato “delicate operazioni di contemperamento e di selezione tra Interessi (dagli imprenditori da un lato e consumatori dall’altro), Valori ed Esigenze tra loro ANTITETICI.

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3.La DIR. 98/27/CE e la L. 281/1998.

Con la L. 281/1998 è stata attuata la Dir. 98/27/CE, relativa ai PROVVEDIMENTI INIBITORI a TUTELA degli Interessi dei Consumatori.In questa maniera l’azione inibitoria si è avviata a diventare un “RIMEDIO GENERALE”, diretto a tutelare gli interessi Collettivi dei Consumatori (contemplati nelle direttive riportate in allegato) al fine di garantire il Corretto Funzionamento del Mercato Interno.L’allegato ricomprende non soltanto direttive a Tutela dei Consumatori in Materia Contrattuale (TRA CUI LA Dir. 93/13/CE) ma anche Direttive a Tutela dei Consumatori in materie diverse da quella Contrattuale.N.B.:La L. 281/1998, come del resto la Dir. 98/27/CE non ha ad oggetto i soli Contratti dei Consumatori: essa riconosce ai Consumatori il diritto alla “correttezza”, alla “trasparenza” ed “equità” nei rapporti Contrattuali ed anche diritti estranei alla sfera Contrattuale quali ad esempio il Diritto alla Tutela della SALUTE, alla SICUREZZA e alla QUALITA’ dei Prodotti e dei Servizi, ad una adeguata INFORMAZIONE e Corretta PUBBLICITA’ ecc.

La L.281/1998 prevede altresì che siano legittimate ad agire a tutela degli INTERESSI COLLETTIVI dei Consumatori soltanto le Associazioni dei Consumatori e degli Utenti iscritte nell’apposito ELENCO e rappresentative a livello Nazionale.Il legislatore Italiano poi per finire potremmo dire di attuare la DIR98/27/CE ha provveduto mediante il d.lgs. 224/2001 che ha novellato la Legge del 1998 dal momento che questa già autonomamente aveva già “recepito” Buona parte della Direttiva!!!.

4.Il CODICE DEL CONSUMO.

L’art.7 della L.229/2003, recante interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – legge di semplificazione del 2001 ha delegato il Governo ad adottare 1 o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei Consumatori, nel rispetto di una serie di PRINCIPI e CRITERI direttivi tra cui possiamo ricordare i seguenti: Adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie ed agli Accordi internazionali ed articolazione della stessa allo scopo di armonizzarla e riordinarla, nonché di renderlo strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di Tutela del Consumatore previsti in sede internazionale; coordinamento, nelle procedure di composizione extra-giudiziale delle controversie, dell’intervento delle Associazioni dei Consumatori, nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione delle Comunità Europee.Fondamentalmente è accaduto che il Legislatore essendo consapevole di aver recepito le varie DIRETTIVE COMUNITARIE in tema di TUTELA DEI CONSUMATORI in maniera dicimo scadente, ha sentito la necessità di armonizzare e riordinare la normativa Italiana.A tal fine il “MINISTERO delle ATTIVITA’ PRODUTTIVE” ha nominato un’apposita Commissione la quale ha redatto un testo denominato per l’appunto “CODICE DEL CONSUMO” che per l’appunto è il D.lgs. 206/2005 nato proprio in seguito alla legge di semplificazione 229/2003.

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Il CODICE del CONSUMO “riassetta” le disposizioni vigenti in materia di Tutela dei Consumatori e cioè tenta di riorganizzare in maniera sistematica e di coordinare le varie leggi intervenute in tema di Tutela dei Consumatori.Con particolare riguardo alla disciplina delle “CLAUSOLE ABUSIVE o VESSATORIE” nei Contratti stipulati con i Consumatori, Il Cod. del Cons. provvede così:a)Ai sensi dell’art.142 del Cod. Cons., gli artt. 1469-bis, ter, quater, quinquies, sexies sono abrogati e sostituiti dal seguente art. 1469 bis:”le disposizioni del presente titolo (art.1321-1469) si applicano ai Contratti del Consumatore, ove non derogate dal Cod. del Consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il Consumatore”.

b)Le disposizioni contenute negli art. 1469-bis, ter, quater, quinquies, sexies vengono trasferite nel Cod. del Consumo, con alcune modificazioni, e collocate rispettivamente agli artt. 33, 34, 35, 36 37 del Cod. del Consumo stesso.

c)Ai sensi dell’art.38 Cod. Cons., “per quanto non previsto dal Codice del Consumo, ai contratti conclusi tra il Consumatore ed il PROFESSIONISTA si applicano le disposizioni del COD. CIVILE.

d)Gli artt. 33, 34, 35, 36,37 e 38 costituiscono il TITOLO I, denominato solennemente “Dei Contratti del Consumatore in Generale”( norme cioè suscettibili di trovare applicazione a qualsiasi contratto stipulato tra un Consumatore ed un Professionista), della parte III, denominata “Il Rapporto di Consumo”, del Codice stesso.

Infine con Particolare riguardo alla Disciplina dei Diritti dei Consumatori e degli utenti il Cod. del Consumo così dispone:a)Ai sensi dell’art. 146 c.1 lettera f cod. cons. la L. 281/1998 è abrogata

b)Le disposizioni abrogate negli artt. 1,2,3,4,5,6 e 7 L.281/1998 vengono “trasferite” del Cod. del Consumo, con “MOLTE INNOVAZIONI” ed inserite negli artt. 2, 3, 136, 137, 138, 139 e 140 del Cod. Cons.

5.Il Professionista e l’Intermediario.

La normativa di “protezione” del Consumatore in materia Contrattuale, di cui agli art. 33-38 C. Cons., si applica in presenza di alcuni presupposti: Primo fra TUTTI è che ci si trovi di fronte ad un “Contratto concluso tra un PROFESSIONISTA ed un CONSUMATORE ”.Detto questo occorre quindi procedere alla individuazione della nozione di Professionista e di Consumatore!!!

La “NOZIONE” di Professionista è contenuta nell’art.3 c.1 lett. C del Cod. Cons. la quale è alquanto ampia e definisce professionista “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, oppure un suo intermediario”.Innanzitutto va segnalato come la norma abbia risolto in senso affermativo un quesito che si era già posto in passato proprio con riferimento alla DIR. 93/13/CE e cioè se oltre ali imprenditori

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piccoli, medi, grandi commerciali e non commerciali assumano la qualità di professionisti anche soggetti che Non sono imprenditori, quali i lavoratori autonomi esercenti un’attività intellettuale oppure no.Un altro aspetto che va sottolineato poi è che nella nozione di Professionista rientrano anche i soggetti privi di personalità giuridica ovvero si pensi ad esempio alle Società di persone, quindi l’espressione personalità giuridica va interpretata estensivamente.Un altro aspetto che va notato poi è che sono considerati “professionisti” non soltanto i soggetti di Dir. Privato ma anche gli ENTI PUBBLICI qualora concludano contratti con i Consumatori.

Un altro aspetto che va considerato è poi che “al fine di accertare s un dato Contratto rientri o meno nell’esercizio dell’attività del Professionista”, l’interprete, operatore giuridico non deve procedere in base a valutazioni squisitamente giuridico-formali (per esempio riferirsi all’oggetto dell’attività come desumibile dallo Statuto sociale): MA occorre prendere in considerazione l’attività effettivamente e normalmente svolta dal Professionista!!!.

Infine, la NOZIONE di professionista ai sensi del art.3 c.1 lett. C include anche l’intermediario (a differenza in questo caso di quanto prevedeva l’art.1469-bis c.2 ora abrogato).Per INTERMEDIARIO “deve intendersi ogni persona che agisce in Nome e per Conto del PROFESSIONISTA. Sotto questo punto di vista quindi sono “intermediari” del Professionista sia i DIPENDENTI (si pensi al Commesso) che i lavoratori autonomi (ad esempio agenti con rappresentanza), che stipulano Contratti in Nome e per Conto del Professionista.Tuttavia in effetti appare banale dire che intermediario è considerato chi agisce in Nome e per Conto dell’Imprenditore nel senso che è ovvio in questo caso che gli effetti del Contratto si producono in capo al Rappresentato (Imprenditore), la vera innovazione(MACCHè) è costituita dalla Circostanza che deve considerarsi “intermediario” anche chi agisce in “nome PROPRIO” MA per “conto” del Professionista e cioè in altri termini colui che concludendo il Contratto acquista Diritti o Assume Obblighi che ricadono nella “propria sfera giuridica”, con l’OBBLIGO però di trasmettere al PROFESSIONISTA il RISULTATO della sua Attività, mentre egli rimane responsabile di fronte al Consumatore.In ogni caso si badi bene che la persona che agisce in nome proprio ma per conto del professionista, è un intermediario sia nel caso in cui agisce nell’esercizio della propria attività professionale (agente senza rappresentanza), sia se agisce al di fuori (dell’esercizio) della sua attività professionale (ad esempio il soggetto che occasionalmente stipula un Contratto con un Consumatore in nome proprio ma per conto di un Professionista). In un certo senso quindi l’innovazione si risolverebbe in una bolla di sapone. VEDERE BENE MANDATO CON o Senza RAPPR.

6.Il CONSUMATORE

A differenza della nozione ampia di “Professionista” che è peraltro pacificamente accolta in dottrina, più problematiche si annidano invece intorno alla nozione di “CONSUMATORE”, di cui all’art.2 lett. B della DIR. 93/13/CE “si intende per Consumatore qualsiasi persona fisica che, nei Contratti oggetto dellla presente Direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale”.

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A tal proposito si è parlato di un “LIMITE” della Direttiva addebitabile per lo più a ragioni derivanti dalle pressioni delle “Associazioni degli Industriali” ovviamente intenzionate ad avere mano libera nei confronti delle piccole Imprese che contrattano con esse. In altri termini si esclude la operatività della PROTEZIONE nei confronti dei “professionisti deboli ” che nei rapporti contrattuali con i professionisti c.d. “forti” subiscono le clausole abusive imposte per l’appunto da quest’ultimi… Alcuni autori, tra i quali Minervini (e anche lo stesso prof. a lezione ha accennato a questo problema) parlano di una scelta “manifestamente ingiusta” e solitamente si è fatto l’esempio del Piccolo COMMERCIANTE, il Commerciante al dettaglio insomma, il quale dovra sopportare tutti i costi, gli oneri, i rischi e responsabilità che il “GROSSO PRODUTTORE” scaricherà su di lui ma questo a sua volta non potrà fare altrettanto col “CONSUMATORE” essendo costretto a garantire nei confronti di quest’ultimo quegli standard di “PROTEZIONE” previsti nella Direttiva!!!

Nello stesso tempo alcuni notano, come questa scelta nello stesso tempo rischi di pregiudicare la Esigenza di TUTELA del CONSUMATORE in quanto si prospetta la possibilità ( ed è ciò che normalmente avviene) che il “professionista debole” scarichi questa volta in termini economici i pesi che egli sopporta nel contrattare col Grosso Produttore, in altre parole aumenterà il PREZZO.

La scelta di limitare il campo di intervento ai soli rapporti tra “PROFESSIONISTI” e “CONSUMATORI” non sembra giustificata proprio dal momento che a differenza di altri settori presi in considerazione dalla nell’ambito della politica di PROTEZIONE del Consumatore (si pensi ai Contratti fuori dei locali Commerciali o ai Contratti a distanza), il tema delle CLAUSOLE ABUSIVE non si può dire esclusivo del Mercato di Beni e di Servizi di Consumo, riguardando in egual misura anche il mercato dei Beni e dei Servizi “destinati alla produzione”.

Tornando al “Legislatore Italiano” possiamo cominciare col dire che questo NON HA provveduto ad ampliare la Nozione di “Consumatore” ma si è solo limitato a parafrasare la definizione offerta dalla DIR. 93/13/CE.L’art. 3 Cod. Cons. al c.1 lett.a (ed ancora prima l’art.1469 bis c.2) così recita: “ai fini del presente Codice si intende per Consumatore o Utente “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”!!!.Il Legislatore evidentemente parla di CONSUMATORE con specifico riguardo all’ipotesi dell’acquisto dei beni e di UTENTE con specifico riguardo all’ipotesi di utilizzazione dei ServiziN.B. inoltre (ma si approfondisce più avanti) il Legislatore ha inserito una norma a sorpresa, ignota alla DIR., e più precisamente il c.4 art.36 C. Cons. (già art.1469 quinquies c.4) che stabilisce che “il venditore ha diritto di Regresso nei confronti del Fornitore per i DANNI che ha subito in conseguenza della Declaratoria d’inefficacia DELLE Clausole dichiarate Abusive.

In merito alla Nozione ristretta di Consumatore, accolta dal legislatore Italiano (abbiamo visto che è CONSUMATORE solo la Persona Fisica, con ESCLUSIONE di ENTI, PersonificaTI O MENO, dell’Imprenditore ecc.), vanno svolte alcune considerazioni in ordine al significato da attribuire all’espressione “agire per scopi estranei all’Attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.

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L’adozione dell’atecnico “SCOPI” pone all’interprete il problema, non soltanto teorico,del Rapporto tra tale Nozione e quella più collaudata di MOTIVI !!!!. N.B Gli SCOPI quindi non vanno confusi con i MOTIVI, in altre parole l’interprete non deve svolgere una “indagine psicologica” bensì dovrà verificare le finalità oggettive dell’Acquisto cosi come risultano dalle circostanze in cui è stato concluso il Contratto e dal Contenuto e dalle Modalità dello stesso. ’Nsomm, occorre considerare la Destinazione “oggettiva” del Bene o del Servizio acquistato.

7.L’Acquisto per Fini promiscui: Gli Atti “della” Professione e gli Atti relativi “alla” Professione.

Facciamo riferimento alla persona che acquista un bene per uso “promiscuo”, e cioè finalizzato sia ad esigenze di tipo “professionale” che ad esigenze di tipo “extra-lavorative”. ESEMPIO:Si pensi ad un Computer, un’auto o un’Enciclopedia- Ebbene questa E’ o NON E’ un Consumatore???.

Cominciamo col dire che a questo interrogativo NON offre alcuna risposta il Cod. del Consumo.Si tratta quindi di una lacuna che va colmata in via Interpretativa.A tal proposito, Innanzitutto va detto che non meritano Consenso quelle soluzioni “estremistiche”, largamente diffuse, che ricomprendono sempre o al Contrario escludono sempre l’acquisto per “USO PROMISCUO” nell’ambito di applicazione della Disciplina di protezione del Consumatore.

MINERVINI a tal proposito suggerisce l’adozione del “CRITERIO della PREVALENZA” , secondo questo Criterio è Consumatore chi agisce ( o meglio Contratta o conclude Contratti) per “SCOPI” che prevalentemente non rientrano nella sua Attività imprenditoriale o Professionale.Ovviamente si capisce subito come l’applicazione di tale criterio comporti “NOTEVOLI DIFFICOLTA’ per l’interprete.Infine un’altra parte della Dottrina, al fine di evitare i problemi interpretativi che si pongono co riferimento a queste ipotesi ibride, che si caratterizzano quindi per un “uso promiscuo” del Bene, imposte differentemente il ragionamento.In altre parole occorre verificare se “rientra nel quadro dell’attività professionale” NON (l’uso) l’UTILIZZAZIONE DEL BENE o del SERVIZIO dedotto in Contratto, MA L’UTILIZZAZIONE DEL CONTRATTO e cioè l’attività di stipula di Contratti del “genere” di quello in concreto posto in essere: si tratta della c.d. Competenza rispetto all’ATTO, che distingue tra:a)Atti “della” Professione (cioè attraverso i quali il soggetto esplica la propria professione)b)Atti relativi “alla” Professione (cioè Atti che non rappresentano “espressione” della Professione, ma ad essa sono strumentali o connessi).ESEMPIO: Per questo motivo ad esempio la normativa di “Protezione” del Consumatore sarebbe applicabile al Contratto di Acquisto di un’Automobile da parte di un rappresentante di Commercio, anche se poi tale Auto sarà magari utilizzata prevalentemente per l’esercizio dell’attività professionale (Atto relativo ALLA professione). Diversamente sarà invece nel caso del Contratto di acquisto di un’Automobile da parte di un RIVENDITORE DI AUTO, in quanto la conclusione di

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Contratti di questo GENERE rientra per il Rivenditore nelle’esercizio della sua Attività Professionale (atto DELLA Professione).Tuttavia secondo Minervini tale Distinzione non è accettabile in quanto comunque è possibile che permangano zone d’ombra!!!.

8.La dichiarazione di Essere o NO CONSUMATORE.

In alcuni casi, può accadere che il Professionista, al fine di accertare la “qualità” di Consumatore del Cliente, faccia “dichiarare” a questi se egli riveste oppure no lo “STATUS” di Consumatore, e cioè se agisce o no per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale svolta: dichiarazione questa che può essere inserita nel Contratto in un’apposita clausola oppure No.

Fondamentalmente in questo caso vi sono 2 differenti esigenze che vengono a configgere:Da un lato quella di tutelare il consumatore, e cioè di evitare che questo dichiarando di essere NON un Consumatore ma un Professionista non possa godere della PROTEZIONE che gli viene offerta dagli artt. 33 ss. del Cod. Cons (già art. 1469- bis e ss.) tramite l’inserimento di una clausola in cui questo dichiari di contrarre per “SCOPI PROFESSIONALI”; Dall’altro lato però vi è l’esigenza di proteggere il professionista, che ha un affidamento meritevole di tutela in ordine alla possibilità di inserire o meno una data clausola in un determinato Contratto a seconda di quella che sarà la qualità del cliente di Consumatore o di Professionista!.

A tal proposito possiamo cominciare col dire che se il parametro necessario per l’individuazione del Consumatore è di natura squisitamente “oggettiva”, plasmato cioè sulla destinazione del bene o del servizio dedotto in giudizio, NON PUO’ ESSERE RICONOSCIUTO ALCUN VALORE alla Dichiarazione di non rivestire la qualità di Consumatore, qualora poi all’atto della stipulazione del Contratto la destinazione al “consumo” del bene o del servizio cmq emerga!!!.N.B:Si sarebbe in presenza di una dichiarazione di natura “abdicativa” alla tutela offerta dal Cod. Cons., riconducibile alla categoria delle clausole vessatorie ( in quanto determina un “significativo squilibrio” dei diritti e degli obblighi derivanti dal Contratto ) e probabilmente riconducibile anche alla categoria delle “clausole PRESUNTE Vessatorie”(art. 33 c.2 lett. T e già art. 1469-bis c.3 n.18).

Nel caso in cui invece la Dichiarazione del Bene o del Servizio sia dubbia, la dichiarazione in parola costituisce un elemento, peraltro non decisivo, che può essere apprezzato dall’interprete unitamente alle altre circostanze del caso!!!.

Le considerazioni che abbiamo appena esposto non sono da tutti “pacificamente” accolte. Più in particolare vi è chi ritiene che la dichiarazione della parte di NON-ESSERE consumatore, anche laddove non risponda a verità, dovrebbe privare la parte stessa anche in un momento successivo della possibilità di invocare l’invalidità delle clausole appellandosi alla sua effettiva qualità di Consumatore in quanto secondo questi autori si sarebbe in presenza di un atto di natura “confessoria” rivolto alla controparte. MINERVINI e il prof. la pensano diversamente.

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Un discorso più breve può essere svolto, nel caso in cui invece ci si trovi di fronte ad una “dichiarazione di contrarre in qualità di Consumatore, alla quale consegua ad esempio l’eliminazione del Contratto, da parte del professionista di tutta una serie di clausole che invece avrebbe inserito se si fosse trattato di un Contratto stipulato con un altro Professionista. In questi casi quindi, qualora il c.d. “cliente” agisca per scopi Professionali al professionista non resterà altro che invocare il rimedio del DOLO, determinante o incidente a seconda dei casi.

N.B: Un ulteriore approfondimento poi è costituito dalla circostanza che si è ipotizzato che, la dichiarazione di essere Consumatore possa essere “arricchita”, nei Contratti di durata” da una “clausola con la quale il cliente si obblighi ad utilizzare il bene o il servizio per scopi estranei alla sua attività professionale”, in questi casi ci si è chiesti quali siano le conseguenze ? qualora poi successivamente muti la destinazione “al consumo” del bene o del servizio con conseguente utilizzazione per scopi Professionali. RISPOSTA In questi casi l’inadempimento dell’obbligazione comporterà le sanzioni previste dalla legge o dal Contratto (es. Risoluzione per inadempimento, Risarcimento del Danno, pagamento di una Penale ecc.).

9.L’Azione di “REGRESSO” del VENDITORE vs il FORNITORE.

Come avevamo accennato in precedenza, l’ art.36 c.4 Cod. Cons. (già art.1469-quinquies c.4) stabilisce che “il venditore ha diritto di REGRESSO nei confronti del fornitore per i Danni che ha subito in conseguenza della “declaratoria d’inefficacia” delle clausole dichiarate abusive”.

Cominciamo col dire che si tratta di una norma oscura, involuta ed imprecisa.Siffatta previsione, che è ignota alla DIR. 93/13/CE è stata inserita a sorpresa dal legislatore Italiano il quale intende/va offrire una qualche forma di Tutela ai c.d anelli terminali della catena distributiva, e quindi più precisamente al commerciante al dettaglio, professionista DEBOLE, che si trova a subire le Clausole Vessatorie imposte dal FORNITORE (profess. FORTE), senza poterle a sua volta imporre al Consumatore, in virtù della normativa di cui agli artt. 33 e ss Cod. Cons.Contestualmente dobbiamo pensare, che il legislatore, ancora, vorrebbe evitare che il Commerciante al dettaglio, non potendo è proprio il caso di dire “trasferire” le clausole vessatorie, trasferisca un “ AUMENTO DI PREZZO” , vanificando così quella che è la RATIO della normativa ovvero la “PROTEZIONE del CONSUMATORE”

N.B. NOZIONE: L’Azione di REGRESSO è un istituto mediante il quale il legislatore persegue l’obiettivo di “REdistribuire” un sacrificio o un utilità patrimoniale fra una pluralità di soggetti a vario titolo cointeressati, in modo che ognuno di essi lo sopporti ( o ne tragga profitto) nella misura a lui imputabile nella vicenda.

Cominciamo col dire che l’uso dei termini fornitore e venditore seppur sembrerebbe confinare la norma in esame nell’ambito dello “scambio dei beni”, con esclusione della prestazione di servizi va accolta mediante un’interpretazione estensiva e quindi probabilmente tale scelta del legislatore è

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stata determinata esclusivamente dalla circostanza che le ipotesi più frequenti sono quelle che attengono ai rapporti tra venditore e fornitore.

COSA SUCCEDE? Ai sensi della norma in esame, il venditore, che subisce dei Danni per essere rimasto vincolato ad un contratto con il consumatore privato delle clausole dichiarate vessatorie, e quindi nulle, clausole che invece sono (rimaste) efficaci nel rapporto con il fornitore (trattandosi di Contratto tra Professionisti e quindi inseribili!!!), può agire per il Risarcimento dei Danni nei confronti del Fornitore.Affinché la norma trovi applicazione appare necessario che il fornitore imponga l’inserzione delle Clausole Vessatorie nel Contratto con il Venditore, nel senso cioè che occorre che queste non siano oggetto di Trattativa tra il fornitore ed il Venditore. ESEMPIO: Cosi se ad esempio il Venditore accetta le Clausole Vessatorie a fronte di una eventuale riduzione del Prezzo questo successivamente non potrà esercitare l’azione di Regresso nei confronti del Venditore.

NATURA FATTISPECIE: Si tratta di una fattispecie di “RESP. EXTRA-CONTRATTUALE” secondo il MINERVINI ma da atto lecito, in quanto di per sé gli art. 33 e ss. non impediscono assolutamente al Fornitore l’inserimento di clausole vessatorie essendo un Contratto tra Professionisti.N.B: Sul punto non tutta la dottrina è concorde in quanto altri studiosi ritengono che si tratti o di un’applicazione dell’Azione generale di Arricchimento senza causa o comunque di una deroga ai Principi vigenti in materia contrattuale o ancora di un’ipotesi di responsabilità Pre-contrattuale o contrattuale.

PROBLEMATICHE APPLICATIVE: Fondamentalmente il Venditore (commerciante al dettaglio) a fronte dell’inserzione nel Contratto con il Fornitore (produttore) ha dinanzi ha sé una duplice alternativa:a)Inserire a sua volta nel Contratto con il Consumatore le Clausole vessatorieb)Ribaltare sul Consumatore un aumento di prezzo corrispondente al “costo” delle Clausole Vessatorie.Pertanto sono configurabili 4 ipotesi:1)Il venditore “virtuoso”, non inserirà ne le clausole vessatorie nel Contratto col Consumatore, né tantomeno aumenterà il prezzo; tuttavia in questo caso paradossalmente non sarà tutelato dalla legge in quanto non gli spetterà l’azione di Regresso.

2)il venditore “scorretto”, inserisce le Clausole Vessatorie nel Contratto ma non gli ribalta un aumento del prezzo, invece sarà tutelato dalla Legge in quanto potrà agire in Regresso nei confronti del Fornitore. N.BParadossalmente Allora è come se la norma inviti il venditore ad essere scorretto con il Consumatore???

3)il caso più frequente invece è costituito dalle ipotesi in cui il venditore non inserisca all’interno del Contratto col Consumatore le Clausole vessatorie ma aumenti il Prezzo. Questa fattispecie è la più frequente in quanto il Venditore in questa maniera ha subito modo in qualche modo di monetizzare il costo delle clausole abusive precedentemente subite senza ricorrere alla lenta

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giustizia mediante l’Azione di Regresso. Purtroppo in questi casi il Consumatore sarà esposto alla mercé del Venditore prima senza avere alcuna forma di Tutela.

4)il venditore “scorrettissimo” inserirà le Clausole Vessatorie nel Contratto con il Consumatore e contestualmente le MONETIZZA aumentando il Prezzo. In queste ipotesi resta da capire se cmq il Venditore possa agire “in Regresso” contro il fornitore: Diciamo che elementari esigenze di equità inducono a rispondere negativamente anche se la norma non offre alcun appiglio che consente di giungere a questa conclusione.

In definitiva possiamo dire che l’art.33 c.4 trova applicazione nella sola ipotesi di inserimento delle Clausole Vessatorie nel Contratto con il Consumatore senza che vi sia però un corrispondente aumento del Prezzo.Di tale norma si è discusso tanto e più in particolare ci si è chiesti se sia giusto o meglio “ragionevole” che il fornitore sia chiamato a rispondere di un suo comportamento lecito ( ovvero l’inserzione delle Clausole Vessatorie nel Contratto col Venditore, operazione lecita dal momento che il Vend. è un Professionista ) a fronte di un comportamento illecito del solo Venditore ( ovvero l’inserzione delle stesse clausole nel Contratto con il Consumatore) Come si è risposto a questo quesito? Si è risposto negativamente sottolineando che se il Contratto che viene imposto al Consumatore dal Venditore è il risultato di una “libera determinazione” da parte del Venditore, non vi sarebbero ragioni per attribuire l’Azione di Regresso al Venditore nei confronti del Fornitore, n.b. in quanto il Fornitore non è il GARANTE della correttezza dei rapporti tra Venditore vs. Consumatore!!!!!!.Né consegue quindi che l’Azione di Regresso non è un ‘Azione generale esercitabile sempre e cmq dal Venditore ma troverà applicazione soltanto nelle ipotesi di “ IMPOSIZIONE o RACCOMANDAZIONE” da parte del Fornitore delle “Condizioni Generali di Contratto” che il Venditore deve utilizzare nei confronti del Consumatore e cioè in un sistema di prezzi di rivendita al dettaglio IMPOSTI o RACCOMANDATI come avviene ad esempio nel FRANCHISING o nelle CONCESSIONI di VENDITA ed ovviamente a condizione in virtù del discorso che abbiamo già fatto che il Fornitore però nello stesso tempo non ribalti l’Aumento del Prezzo, frutto delle Clausole Vessatorie che egli ha sopportato, sul Consumatore!!!Infine va sottolineato come il Legislatore dapprima con l’art.1469-quinquies c.4 e poi con l’art. 33 c.4 Cod. Cons. abbia voluto tutelare il professionista debole (commerciante al dettaglio) in virtù della disparità, della asimmetria dei 2 potremmo dire. Tuttavia il cammino da compiere è ancora lungo, basti pensare che la norma non ricomprende nel suo ambito di applicazione una vasta gamma di professionisti deboli, specie nel settore industriale.

10.La dubbia forza espansiva della normativa di protezione del Consumatore.

Abbiamo detto che il Cod. del Cons. da una nozione “ristretta” di Consumatore evidenziando una manifesta iniquità.La Dottrina ha quindi proposto strade differenti al fine di offrire una qualche Tutela ai soggetti esclusi dall’ambito di applicazione delle normativa di protezione del Consumatore proponendo fondamentalmente le seguenti ricostruzioni:

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A)in primo luogo si è dubitato del carattere vincolante per l’interprete della nozione di Consumatore: si è detto che si tratterebbe esclusivamente e meramente di una formula definitoria e come tale non precettiva ma soltanto descrittiva.(BARENGHI)

B)Altri hanno ipotizzato che ricorrendo all’interpretazione estensiva o a quella analogica, la disciplina del Contratto del Consumatore sia applicabile anche a soggetti che, pur non essendo in senso stretto Consumatori, siano parimenti DEBOLI .(RUFFOLO)

C)Infine taluno ha addirittura prospettato l’illegittimità Costituzionale in relazione al Principio di Eguaglianza sancito dall’art.3 COST. c.1 proprio in relazione alla diversa disciplina dei contratti conclusi da soggetti che rivestono la medesima posizione socio-economica di Debolezza.

DISCUSSIONE: La Prima opinione non può essere assolutamente accolta nel senso che secondo il Minervini l’interprete in ogni caso deve attenersi alla norma la quale in ogni caso ha valore Vincolante.La seconda opinione, invece viene in qualche modo criticata, sottolineando la “specialità” del Cod. Cons. in virtù del quale sarebbe impedita una interpretazione estensiva o analogica dell’art.3 e quindi della nozione di Consumatore.IN DEFINITIVA dinanzi all’esclusione dell’ambito di applicazione della disciplina di protezione del Consumatore quali le persone giuridiche o i piccoli imprenditori NON SI PUO’ rimediare mediante interpretazioni Correttive.(anche se talvolta la giurisprudenza ha fatto ricorso ad interpretazioni Correttive, basti pensare a quelle pronunzie che riconoscono al Condominio la qualità di Consumatore)!!!.’Nsomm non resta altro che confidare nell’intervento della Corte Costituzionale che sino ad ora è stata di segno contrario escludendo ad esempio tutte le persone giuridiche della qualità di Consumatore!!!.

CAPITOLO III

L’AMBITO DI APPLICAZIONE OGGETTIVO:LE CLAUSOLE NON OGGETTO DI TRATTATIVA;

LE CLAUSOLE CHE NON RIPRODUCONO NORME DI LEGGE

1.L’Assenza di trattativa quale presupposto di applicabilità della Disciplina? Oppure quale criterio di valutazione della Vessatorietà?

In merito all’elemento del “negoziato” o della “trattativa”, il legislatore italiano si discosta dalla DIR. 93/13/CE.

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Nella DIR. 93/13/CE, LA “DISCIPLINA DI PROTEZIONE” del Consumatore trova applicazione soltanto qualora la clausola contrattuale non sia stata oggetto di negoziato individuale ai sensi dell’art.3 par.1. In altre parole è come se l’ASSENZA DI NEGOZIATO individuale costituisce il PRESUPPOSTO per applicare la disciplina di protezione ovvero ancora il “giudizio di abusività” concerne le sole clausole NON OGGETTO DI NEGOZIAZIONE INDIVIDUALE.

L’art. 34 c.4 Cod. Cons. (già art.1469-ter c.4) invece statuisce che “non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di TRATTATIVA INDIVIDUALE”. Sotto questo punto è evidente la diversa concezione di trattativa fatta propria dal legislatore italiano Ovvero la TRATTATIVA sarebbe NON più un Presupposto del giudizio di vessatori età bensì un “criterio di valutazione della Vessatorietà”.

Siffatta scelta, che con ogni probabilità è stata compiuta inconsapevolmente dal legislatore, non merita consenso sul piano squisitamente teorico ma nello stesso tempo non comporta conseguenze negative sul piano operativo.Infatti la vessatorietà, intesa come dato oggettivo, e cioè quale significativo squilibrio (malgrado la buona fede), sic et simpliciter O VI E’ O NON VI E’, senza che la presenza di una trattativa possa spiegare alcuna incidenza.La norma così è stata interpretata come se statuisse che “non sono soggette al giudizio di vessatori età le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattative, ma ciò in ossequio ad elementari esigenze di ordine logico-giuridico. Ma dal “PUNTO DI VISTA PRATICO” però, la clausola che risulti “squilibrata e di cui non si dimostri l’avvenuta negoziazione è cmq NULLA a prescindere dal Ruolo, di presupposto o di criterio di valutazione che si intende attribuire alla trattativa.

2.L’Assenza di TRATTATIVA: Le “critiche” della Dottrina.

Allora, con il richiedere almeno apparentemente, quale criterio di valutazione della vessatorietà l’assenza di Trattativa, il legislatore italiano non presta adesione a quell’orientamento dottrinale che, rilevato come la negoziazione del contenuto del Contratto non costituisca una garanzia sufficiente per il Consumatore dell’equità di quanto pattuito, almeno nei casi in cui è evidente la differenza di potere economico e culturale tra le parti, sottolinea che non vi è ragione per limitare la portata dell’intervento al solo caso in cui lo strumento che traduce la supremazia di una parte è il contratto per adesione, sostenendo al contrario che allo stesso modo si dovrebbe intervenire anche quando lo strumento adottato è un contratto negoziato individualmente.’Nsomm questo orientamento sottolinea come le CLAUSOLE ABUSIVE possono essere contenute anche in contratti negoziati individualmente ed anzi, paradossalmente proprio al fine di eludere i rigorosi Controlli è possibile che il Professionista anziché procedere per Contratti per Adesione preferisca rifugiarsi in contratti che negozierà individualmente col Consumatore!!!In conclusione, quindi, questo orientamento sottolinea come se dal momento che la RATIO è tutelare in ogni caso il CONSUMATORE, contraente debole sarebbe opportuno dettare una disciplina che non attribuisce rilevanza alcuna alla negoziazione.

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Tuttavia la scelta del legislatore italiano, volendo restare in un’ottica rispettosa della logica della direttiva, e non alternativa ad essa, appare cmq meritevole di Consenso, considerando anche la maggiore necessità di controlli in ordine al contenuto delle clausole standardizzate, rispetto ai più “rari casi” in cui il Consumatore abbia negoziato individualmente il contenuto del Contratto.COMUNQUE gia alla luce dell’art.34 c.4 C. Cons. (già art. 1469 –ter, c.4) sembra evidente che rimangano assoggettati alla disciplina delle clausole vessatorie sia il Contratto Standard che il contratto predisposto dal professionista appositamente per una singola operazione ( tale punto è pacifico in dottrina).Peraltro non va dimenticato che è molto difficile che vi sia una fuga verso la contrattazione individuale in quanto questa comporta costi e tempi che il Professionista difficilmente vuole sopportare!!!

3.Il Mancato recepimento dell’art. 3 par.2, proposizione prima della DIR. 93/13/CE.

A questo punto occorre comprendere quando una clausola sia oggetto di trattativa individuale?!?Sotto questo punto di vista vi sono delle difficoltà dettate dalla circostanza che il Legislatore Italiano non ha recepito la Proposizione Prima dell’art.3 par. 2 DIR. 93/13/CE.Il Legislatore Comunitario nell’art.3 par.3 della DIR. stabilisce che “si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziazione individuale quando è stata redatta “preventivamente”, in particolare nell’ambito di un Contratto per ADESIONE ed il Consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare influenza sul suo contenuto!!! ”.Fondamentalmente quindi è possibile rintracciare 2 criteri:

1)Il PRIMO presuppone che il Contratto venga stipulato sulla base di un testo preformulato!!!

2)Il SECONDO richiede che il CONSUMATORE non abbia potuto INFLUIRE sul Contenuto del Contratto.

Tuttavia l’aspetto fondamentale è che il CRITERIO GUIDA è il secondo, ovvero il Consumatore non abbia potuto influenzare il contenuto del Contratto.

MA CIO COSA SIGNIFICA? innanzitutto per quanto riguarda il Primo Criterio la norma richiede che il Contratto sia stato predisposto unilateralmente dal Professionista, mentre Qualora il Consuamtore vi parteciperà vi sarà “NEGOZIATO INDIVIDUALE”. Per quanto riguarda il secondo criterio invece, ovvero che il Consumatore non abbia influito il Contenuto del Contratto, tratto peculiare, importantissimo da tenere a mente è che si può trattare si di un Contratto predisposto unilateralmente dal Professionista ma può accadere in ogni caso che al momento della Conclusione del Contratto la clausola “ preformulata subisca variazioni ” e quindi si tratti cmq di un Contratto negoziato individualmente.!!!!.

Per concludere,basta sottolineare come tale previsione sembri la più giusta anche alla luce dell’art.34. ult. C. Cod. Cons. laddove stabilisce che incombe sul Professionista l’onere di provare che la Clausola “del MODULO o del FORMULARIO” UNILATERALMENTE PREDISPOSTA

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sia stata oggetto di Trattativa!!!. Praticamente se il legislatore prevede che anche nel caso di Contratti conclusi mediante Moduli o Formulari, incomba l’onere sul Professionista di dimostrare che vi sia stata una trattativa significa che il legislatore ha già di per se considerato che anche in questi Contratti che si distinguono per una iniziale predisposizione o meglio è il caso di dire “preformulazione” da parte del Predisponente Professionista vi possa essere “NEGOZIATO INDIVIDUALE” col Consumatore!!!!. (art.34 c.4 invece non ne parla!!!).

4.La Trattativa tra Conoscenza e Modificazione della Clausola.

Cominciamo col dire che non è agevole stabilire quando una clausola, unilateralmente predisposta dal professionista, sia oggetto di trattativa col Consumatore.

Da un lato vi è negoziato qualora “la clausola unilateralmente predisposta dal professionista venga, all’esito della discussione tra le Parti modificata : Ovviamente in questi casi la “MODIFICA” è la prova dell’influenza esercitata dal Consumatore sulla Clausola stessa che quindi non può dirsi determinata dal solo professionista.

Dall’altro NN vi è negoziato qualora “il professionista si limiti semplicemente ad illustrare al Consumatore la Clausola (magari leggendola o spiegandola ecc..) senza però avviare alcuna discussione in merito. La “mera conoscenza” della Clausola infatti non è condizione sufficiente, dal momento che nulla esclude che dinanzi alla conoscenza della clausola il Consumatore si sia sentito dire il c.d. “prendere o lasciare”.Del pari quindi non vi è trattativa neppure quando al Consumatore sia lasciata la sola facoltà di scegliere tra 2 o più Contratti, ma comunque predisposti unilateralmente dal professionista.

Il problema è costituito dalla circostanza che questi 2 esempi rappresentano i c.d. “CASI LIMITE, ma vi è una vasta area oggetto di Controversie in dottrina, in cui si collocano tutte quelle ipotesi intermedie in cui vi è una discussione tra il Consumatore e il Professionista ma questa non sfocia né in una modificazione della Clausola stessa né in un’altra.

Secondo alcuni Studiosi la Disciplina di Protezione del Consumatore, va esclusa soltanto quando il Consumatore abbia partecipato insieme al Professionista alla determinazione del Contratto e delle singole Clausole Contrattuali. Secondo il Minervini tale TESI non deve essere accolta, nel senso cioè che può verificarsi che il Consumatore abbia potuto esercitare una qualche influenza nel “Contenuto” del Contratto senza che però vi sia stata una modifica del “testo originariamente pre-formulato” e comunque si possa parlare di un “ negoziato individuale ”.A conferma di questo basti osservare l’art. 34 ult. C. Cod. Cons. che prevede che incombe l’onere sul Professionista di provare che le “clausole o gli elementi di clausola”, malgrado siano stati dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di trattativa con il Consumatore . In altre parole ciò significa che una clausola predisposta unilateralmente dal Professionista può essere stata al centro di TRATTATIVE, anche se la discussione non ne ha mutato una virgola.ESEMPIO: Ciò ancora significa che si è in presenza di Trattative anche nel caso in cui il Contratto si perfezioni sulla base del testo predisposto dal professionista senza però che la Discussione tra le

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parti sfoci in una modifica del testo Contrattuale, ad esempio perché le proposte di kodifica del Consumatore potrebbero essere accolte ma solo mediante un ritocco del prezzo che il Consumatore a quel punto non trova più conveniente.ESEMPIO “importante”: A maggior ragione deve ritenersi negoziata una clausola quando, nella discussione che le parti hanno avuto su di essa, risulta che il Consumatore abbia rinunciato alla sua modifica, MA in cambio ad esempio dell’inserimento nel Contratto di altre clausole per lui più vantaggiose.

APPROFONDIMENTO: Per concludere quindi la “mera conoscenza” della Clausola da parte del Consumatore non è sinonimo di trattativa in merito alla stessa e questo è il punto di partenza anche per risolvere il problema del rapporto corrente tra la “DISCIPLINA DI PROTEZIONE” del Consumatore di cui agli artt. 33 e ss. e L’ATTO PUBBLICO. Nel senso che la lettura del Contratto da parte del Notaio comportano soltanto la “conoscenza effettiva del contenuto dell’atto” e la “volizione dello stesso da parte dei contraenti” ( a meno che il Notaio non consiglia l’introduzione, modificazione o eliminazione di una clausola del Contratto), e quindi la letura non esclude la predisposizione unilaterale del Contratto da parte del Professionista, il Notaio infatti si limita ad accertare che il Contratto sia espressione della Volontà di entrambi i Contraenti.

5.Il Contratto predisposto da “terzi”.

Abbiamo detto che in ordine all’ipotesi di Clausola non predisposta unilateralmente dal Professionista, ma redatta congiuntamente da questi e dal Consumatore, il discorso è agevole: In questo caso cioè è chiara la sussistenza del requisito della Trattativa.I dubbi permangono in merito ad alcune fattispecie che vengono definite di “confine”… e cioè quei casi in cui il Contratto viene predisposto non dal Professionista bensì da terzi In altre parole il Professionista si avvale di schemi contrattuali redatti da altri su suo incarico ( si pensi ad esempio al Notaio, all’Avvocato) oppure no (si pensi alle Associazioni di categoria, altro professionista ecc..)Cominciamo col dire che il quesito merita “risposta negativa”: NON SUSSISTONO TRATTATIVE. a tal proposito militano in equivoci elementi testuali già desumibili dalla’art.3 par.2 DIR. 93/13/CE (non recepita) la quale parla semplicemente di redazione preventiva della Clausola senza aggiungere ad opera del Professionista quando fa riferimento ai criteri per stabilire quando non ci siano state “Trattative”.Ancora, già questo basterebbe, ma volendo individuare la RATIO di tutta la disciplina del Consumatore non avrebbe senso assicurare tutela nel caso di predisposizione unilaterale del Contratto da parte del Professionista e non quando invece questo utilizza un testo “già predisposto” da altri!!!.

Ultimo caso che può verificarsi poi è che può avvenire che i terzi che predispongono il Contratto siano le contrapposte associazioni di categoria ( si pensi ai Contratti Collettivi ed accordi economici Collettivi) In questi casi basti ricordare l’art.34 c.4 Cod. Cons. (già art.1469-ter c.4) ilquale parla di trattativa “INDIVIDUALE” E CHE QUINDI DEVE INDURCI A RITENERE CHE LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NON SIA IDONEA A SOTTRARRE A CLAUSOLA AL “ GIUDIZIO DI VESSATORIETÀ ”!!!!! N. Benissimo!!!!!

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6.La Negoziazione Parziale

La DIR. 93/13/CE all’art.3 par.2,c.2 si curava di precisare che “il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un Contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un Contratto per ADESIONE.Con questa disposizione il Legislatore Comunitario si proponeva di assicurare che la negoziazione di una o più clausole non impedisse di per sé il giudizio di abusività, qualora il Contratto fosse comunque un Contratto per adesione. Quindi così cosa succedeva? che se una valutazione globale porta ad escludere che si tratti di un Contratto per Adesione, anche le clausole NON NEGOZIATE INDIVIDUALMENTE verrebbero sottratte al Giudizio di Vessatorietà. (PARDOLESI).

L’aspetto positivo è che invece in questa occasione il Legislatore Italiano non ha recepito questa disposizione con la conseguenza che anche in caso di negoziazione parziale, cioè nel caso in cui vi siano state Clausole oggetto di trattativa, la “Disciplina di Protezione” del Consumatore trova comunque applicazione al di là di quella che sarà la natura del Contratto e quindi anche se non si tratterà di un Contratto per ADESIONE!!!. ’Nsomm, occorre accertare se la singola clausola sia stata oggetto di “specifica” Trattativa come recita l’ultimo comma dell’art.34 Cod. Cons.: In mancanza la Clausola può essere oggetto del Giudizio di Vessatorietà quand’anche la restante parte del Contratto risulti negoziata, senza che occorra che il Giudice si occupi di dare una “ valutazione della natura negoziata o meno del Contratto ” nella sua globalità.

7.L’Onere della Prova (ult. Comma art.34 Cod. Cons.)

L’art. 3 par. 2, proposizione terza, della DIR. 93/13/CE stabilisce che “qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova”.Da tale norma la Dottrina ha tratto il seguente corollario: Nel caso di un Contratto standard (si pensi al modulo o al formulario) è onere del professionista di dimostrare la presenza del negozio individuale, MENTRE in caso di contratto “predisposto appositamente per una specifica operazione dal professionista” è onere del Consumatore dimostrare l’assenza del negoziato individuale. DA CIO’ QUINDI SI DESUME UNA NETTA DIFFERENZA TRA CLAUSOLE STANDARDIZZATE O NO!!!Sulla falsariga di tale previsione si muove il legislatore italiano, che riproduce tale disposizione nell’art.34 ult. C. del Cod. Cons. e stabilisce “nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di trattativa con il Consumatore”. CIO’ COSA SIGNIFICA? Ai sensi di questa norma l’onere di provare la trattativa incombe sul professionista nella sola ipotesi di Contratto concluso mediante modulo o formulario (anche se il

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modulo o il formulario viene utilizzato in una singola occasione); Nel caso invece si sipula un Contratto senza far ricorso ai Moduli o Formulari incombe sul Consumatore l’onere di provare l’assenza di trattativa.Come abbiamo già detto l’art. 35 ult.c. del Cod. Cons. trova applicazione non soltanto in moduli o formulari predisposti dal professionista, ma anche nel caso di moduli o formulari predisposti da un terzo ma fatti propri ed utilizzati dal professionista.

Le difficoltà probatorie nelle quali può imbattersi il professionista hanno trovato eco presso gli studi legali delle imprese. A tal proposito ad ESEMPIO l’ A.B.I. ha ipotizzato che la Clausola che in un certo qual modo “possa odorare di vessatorietà” venga compilata in modo autografo dal Consumatore Cliente su sollecitazione ovviamente del Predisponente. La Dottrina a tal proposito in via ironica ha paragonato il cliente ad una sorta di “AMANUENSE” cioè copiatore scrivano del professionista. Ovviamente l’autografia non costituisce di per sé prova della presenza di una trattativa sulla/e Clausole però in questa maniera l’A.B.I. molto furbescamente ha cercato di ribaltare l’onere della prova in quanto poi in questi casi spetterà al Cliente-consumatore dimostrare l’Assenza di Trattativa nonostante l’autografia della Clausola!!!!!Altri ancora, sempre per aiutare il Professionista hanno suggerito l’inserzione nel Contratto della dichiarazione che una determinata clausola è stata negoziata!!!!! Arricchendo le premesse in fatto del Contratto mediante il richiamo a fasi pre-contrattuali di discussioni e trattative sul Contenuto del Contratto. MA ANCHE SOTTO QUESTO PUNTO DI VISTA OCCORRE FARE ATTENZIONE ????!!!???? Perché comunque tale dichiarazioni non producono gli effetti di una sorta di “confessione”, cioè non ha ad oggetto dei fatti in senso stretto, ma tuttalpiù una qualificazione giuridica delle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del Contratto ma nn sono assolutamente in grado di funzionare come presunzione di Trattativa della/e clausola/e. E NON SOLO… ma come sottolinea MINERVINI in tali circostanze si potrebbe parlare anche di Clausole a loro volta Vessatorie ed anzi più probabilmente “presunte vessatorie” ai sensi dell’art. 33 c.2 lett. T Cod. Cons. in quanto avrebbero lo scopo di “invertire o modificare l’onere della prova”.

8.L’art.1, par.2 ed il considerando n.13 della DIR. 93/13/CE

In tema di clausole contrattuali che riproducono norme, la DIR. 93/13/CE detta previsioni alquanto equivoche.Nell’art.1, par.2, si statuisce che “le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di Convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva”.Nel “considerando” n.13, premesso della Direttiva, si precisa che “si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente le Clausole dei Contratti con Consumatori non contengono clausole abusive ; e che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di Convenzioni Internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte!!!

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Innanzitutto è possibile notare l’atecnicità dell’aggettivo “imperative” impiegato nell’art.1 par.2 della Direttiva, ove si pensi che il considerando n.13 precisa che l’espressione “disposizioni imperative” comprende anche le norme suppletive o dispositive; del resto l’invalidità di una clausola riproduttiva di una norma dispositiva o suppletiva sarebbe praticamente inutile in quanto subentrerebbe al suo posto la stessa norma dispositiva o suppletiva!!!! N.BENISSIMO!

Dall’Altro lato poi non possiamo esimerci dal fare a meno della ingenuità del Legislatore Comunitario il quale presuppone che le disposizioni di legge o di regolamento non sono mai abusive. delle norme che creano uno squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti ci sono e come se ci sono, e quindi è più realistico pensare che l’abusività di una norma trova giustificazione nella tutela di interessi più generali che vengono discrezionalmente valutati in sede politica !!!

Infine per quanto riguarda i regolamenti, l’esclusione della valutazione in termini di abusività, deve essere riferita solo a quei regolamenti che creano vere e proprie norme giuridiche e solo in quanto LA LEGGE MEDIANTE IL “DECRETO MINISTERIALE” DIRETTAMENTE AUTORIZZI UNA INTEGRAZIONE DI PREVISIONI GENERALI.

9.Le scelte del Legislatore italiano: le disposizioni di legge; i regolamenti; gli usi normativi; le Convenzioni internazionali.

Il legislatore si occupa di tale argomento all’art. 34 c.3 Cod. Cons. e stabilisce che “non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in Convenzioni Internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione europea o l’Unione Europea stessa”.Ciò che balza agli occhi immediatamente è la soppressione dei REGOLAMENTI: ne consegue quindi che le clausole che riproducono disposizioni di Regolamenti SONO soggette al giudizio di Vessatorietà, in quanto i regolamenti non costituiscono disposizioni di legge.In queste ipotesi il giudice non si limiterà a dichiarare la “NULLITA’ della clausola vessatoria riproduttiva di una norma REGOLAMENTARE ma provvederà anche a disapplicare quet’ultima perché contrastante con le norme di protezione del Consumatore di cui agli artt. 33 e ss.N.B.: Sotto questo punto di vista rispetto il legislatore Europeo è chiaro che il Legislatore Italiano si è avvalso della facoltà riconosciuta a tutti gli Stati membri dall’art. 8 della DIR. di adottare disposizioni più severe per garantire un livello di protezione più elevato per il Consumatore.

Ancora, il riferimento dell’art.34 c.3 Cod. Cons alle disposizioni di legge, consente di escludere che a queste possano aggiungersi gli usi normativi.

Infine in merito alla nozione “disposizioni di legge” e quindi sia Imperative che Dispositive o suppletive tale nozione comprende non soltanto le norme del Codice del Consumatore ma anche le norme di diritto comune.

10.I Considerando n. 2 e n. 10 della DIR. 93/13/CE

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Nelle pagine precedenti abbiamo individuato i “presupposti” per l’applicazione della Normativa di Protezione del Consumatore, di cui agli art. 33 e ss. Quindi si deve trattare di un Contratto stipulato tra un Professionista ed un Consumatore, le cui clausole NON SIANO OGGETTO DI TRATTATIVA e non riproducono norme di Legge.Tuttavia alcuni autori aggiungono altri presupposti riducendo o cmq restringendo però a sfera di protezione del Consumatore.-Il secondo considerando, premesso alla DIR. 93/13/CE, fa riferimento ai “contratti stipulati tra il venditore di beni o il prestatario di servizi da un lato ed il consumatore dall’altro” . in virtù di questo considerando, alcuni hanno sostenuto che quindi il Legislatore Europeo si riferiva esclusivamente ad un Contratto tra Professionista da un lato e Consumatore dall’altro., MA può accadere ovviamente che sia IL Consumatore a cedere un Bene o a prestare un Servizio ma questa volta ad un Professionista?? E non sembrano esservi tracce per escludere questa ipotesi anzi gli art. 33 e ss. sembrano formulati in maniera tale da ricomprendere anche la fattispecie del Consumatore che vende beni o presta servizi.

Infine, anche il decimo Considerando della DIR., stabilisce che sono escludi dalla stessa i contratti di lavoro, i contratti relativi ai diritti di successione, i contratti relativi allo statuto familiare ed i contratti relativi alla costituzione ed allo statuto delle società.Il legislatore italiano, il problema di cui si discute peraltro riguarda la circostanza se i considerando abbiano valore normativo considerando che La Direttiva tutta cmq è il criterio ermeneutico della normativa interna, in quanto questa è promulgata espressamente in attuazione della Direttiva medesima!!! non si è espressamente occupato di questo genere di Contratti, ma ciò ad esempio può essere ricondotto alla circostanza che la “TUTELA DEL LAVORATORE SUBORDINATO” è assicurata dalla più penetrante legislazione speciale di settore.O per quanto riguarda la famiglia e le successioni, sarà difficile individuare un contratto stipulato tra un Professionista ed un Consumatore se non in ipotesi marginali quali ad esempio la “Vendita di eredità”.Mentre per quanto riguarda le Società (cooperative ad es.) non si può escludere che la normativa di cui agli artt. 33 e ss. Cod. Cons. possa svolgere una qualche rilevanza contribuendo all’eliminazione dAgli Statuti Sociali delle Clausole Vessatorie.

CAPITOLO IV

LE CLAUSOLE VESSATORIE

1.La BUONA FEDE (33 c.1)

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Adesso si può procedere ad analizzare la nozione di clausola vessatoria, contenuta nell’art.33 c.1 Cod. Cons. (già art. 1469-bis c.1).La prima novità, che balza agli occhi del Lettore, è di sapore terminologico: Possiamo subito cominciare a notare che il Legislatore Italiano ha sostituito all’aggettivo “abusivo” il termine “vessatorio”. Tuttavia il legislatore non si mantiene sempre fedele a questa scelta ma adopera i 2 termini in maniera indifferenziata infatti ad esempio già negli artt. 36 c.4 e 37 c.1 Cod. Cons. si parla di clausole “abusive” e/o “abusività” delle stesse.N.b.:Tuttavia a giustificazione di questa confusione terminologica che adopera il legislatore, possiamo fare riferimento all’esigenza sentita dallo stesso di uniformare in qualche modo il linguaggio settoriale adottato dalla Dir. a quello comunemente utilizzato in Dottrina e Giurisprudenza con riferimento alle clausole contemplate nel c.2 dell’art. 1341.

DISCUSSIONE (importante): Preliminare ad ogni indagine in merito alla definizione di clausola vessatoria di cui all’art. 33 c.1 Cod. Cons. è l’esame nella “nozione di clausola ABUSIVA portata dal’art.3, par. 1 della DIR. la quale dice “una clausola Contrattuale si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede , determina, a Danno del Consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal Contratto ”.

La Dottrina si è a lungo interrogata sul significato da attribuire all’infelice espressione “malgrado il requisito della buona fede”: l’opinione maggioritaria legge tale norma come se dicesse “in contrasto con il Principio di Buona Fede” e fa riferimento al concetto di BUONA FEDE OGGETTIVA o CORRETTEZZA .

Ancora più dibattuti poi sono i rapporti che corrono tra l’EQUILIBRIO e la BUONA FEDE : Più precisamente si discute se i 2 criteri del significativo Squilibrio e del contrasto con la Buona Fede abbiano o assumano un significato autonomo oppure siano tra loro inscindibilmente legati.Sotto questo punto di vista si collocano diverse linee di pensiero.a)Tra queste possiamo citare quelle che sostengono che la stessa contrarietà a Buona Fede della Clausola comporta necessariamente uno squilibrio e la rende abusiva.b)O ancora vi sono linee di pensiero che sostengono che la Clausola pur essendo conforme alla buona fede, è abusiva ogni qualvolta che determina un significativo squilibrio.c)Altri invece in completo contrasto con l’ipotesi su descritta sostengono che la Buona Fede vada intesa quale criterio atto, volto al contemperamento o meglio per l’appunto equilibrio degli opposti interessi delle parti e quindi sarebbe impensabile una situazione di squilibrio ma nello stesso tempo conforme a Buona Fede.

Per comprendere esattamente qual è il rapporto tra La Buona Fede e lo Squilibrio è necessario ripartire dalla nozione che da il Legislatore Italiano all’art. 33 c.1 Cod. Cons. il quale così statuisce “si considerano vessatorie le clausole, che malgrado la buona fede, determinano a carico del Consumatore uno significativo squilibrio dei Diritti e degli Obblighi derivanti dal Contratto”.

Cominciamo col dire che il legislatore, ripercorrendo le orme della Direttiva si riferisce alla Buona FEDE “OGGETTIVA”.

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Pertanto in conformità alla direttiva, l’inciso “malgrado la buona fede” va inteso nel senso di “in contrasto con la Buona Fede oggettiva o Correttezza”. ergosarà vessatoria la Clausola che determina un significativo squilibrio in contrasto con la Buona Fede Oggettiva o Correttezza(PRINCIPIO GENERALE).Il Professore, così come anche il Dott. Bellezza in sede di colloquio, ritiene che il riferimento sia alla Buona Fede Oggettiva o Correttezza, e cioè si deve far riferimento al comportamento del Professionista in Contrasto con La buona Fede o Correttezza OGGETTIVA, E NON Soggetiva cioè con riferimento alla malafede del Professionista.Di conseguenza non va accolta questa seconda tesi che pur considerando il riferimento alla Buona Fede OGGETTIVA interpreta quella norma come se dicesse letteralmente malgrado e quindi dice: è vessatoria la clausola che comporta un significativo squilibrio la Buona Fede e quindi anche in presenza della Buona Fede.

Infine non manca chi ritiene che la Norma faccia riferimento alla “BUONA FEDE “SOGGETTIVA”, con conseguente eliminazione di ogni esplicito riferimento alla Buona Fede Oggettiva QUALE CANONE DI VALUTAZIONE DEL SIGNIFICATIVO SQUILIBRIO!!!Tale tesi non va accolta nella maniera più assoluta in quanto la norma stessa evidenzia l’irrilevanza della Buona Fede Soggettiva del Predisponente ai fini del “giudizio di vessatorietà” in quanto questa può sussistere anche qualora il professionista ignori di ledere i Diritti del Consumatore.

in definitiva quindi possiamo dire che il legislatore italiano, in conformità all’art. 8 della Direttiva, aggiunge la specificazione che la normativa di protezione del Consumatore trova applicazione ANCHE SE IL PROFESSIONISTA È IN BUONA FEDE !!!.

N.B.:Peraltro lo stesso Cons. di Stato chiamato ad esprimere il suo parere sullo schema del Cod. del Consumo ha ritenuto condivisibile il prevalente orientamento che intende il riferimento alla Buona Fede come richiamo alla Buona Fede Oggettiva o Correttezza.Quindi, una volta che abbiamo stabilito una volta per tutte che ai sensi dell’art. 33 c.1 Cod. Cons. è vessatoria la Clausola che, in contrasto con la Buona Fede Oggettiva, determina un significativo SQUILIBRIO si ripropone all’interprete il problema di stabilire i Rapporti Correnti tra il “significativo squilibrio” e contrarietà a “Buona Fede”. - A TAL PROPOSITO è prevalsa la tesi che “riconosce al “significativo squilibrio” il ruolo centrale nel Giudizio di Vessatorietà, ed attribuisce alla Buona fede OGGETTIVA il compito di criterio Valutativo della significatività dello squilibrio e cioè di metro per valutarne la rilevanza di questo. ‘Nsomm alla stregua della violazione della Buona Fede OGGETTIVA va valutata l’esistenza dello squilibrio, che assumerà rilievo in quanto il sacrificio imposto dal Professionista al Consumatore con una data clausola non appaia conforme a correttezza nel contesto complessivo dell’affare.

2.Il “SIGNIFICATIVO SQUILIBRIO”. (33 c.1 e 34 c.2)

L’art. 33 c.1 Cod. Cons. (già art. 1469-bis, c.1) parla di “significativo squilibrio dei Diritti e degli Obblighi” derivanti dal Contratto a carico del Consumatore.

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Aspetto fondamentale che va sottolineato, è che dalla lettura di questa norma congiuntamente all’art. 34 c.2 Cod. Cons. ai sensi del quale “la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene all’ adeguatezza del CORRISPETTIVO dei BENI e SERVIZI, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile” è agevole desumere che lo squillibrio c.d. rilevante ai fini della Vessatorietà è quello NORMATIVO e non quello ECONOMICO!!!! Ciò comporta che sarà vessatoria la Clausola che comporta un significativo squilibrio tra Diritti ed Obblighi e NON tra BENE e Corrispettivo !!!!.

L’art. 33 c.1 dunque non intende sindacare circa la “convenienza dell’affare” bensì il legislatore vuole far corrispondere ad un Diritto del Professionista un Diritto del Consumatore in un’ottica di tendenziale corrispondenza tra le posizioni giuridiche di Vantaggio e di Svantaggio di ciascuno dei contraenti.Il MINERVINI a tal proposito utilizza una significativa “metafora”. Paragone cioè il Contratto al Prodotto e dice che come per il prodotto per assicurare una certa qualità occorre che questo abbia degli standard minimi, e ciò si noti bene indipendentemente dal prezzo concordato analogamente ciò deve avvenire nel Contratto tra il Professionista ed il Consumatore nel quale è necessario che vi sia un adeguato equilibrio tra le rispettive posizioni giuridiche delle parti ossia tra i diritti e gli obblighi derivanti dal Contratto.

Il criterio del “significativo squilibrio” non è sicuramente di agevole applicazione.A)innanzitutto, lo squilibrio tra Diritti ed Obblighi presuppone che si sappia quale sia l’EQUILIBRIO!!!!!E allora che succede? Che per quanto riguarda i “Contratti Tipici” non vi sono particolari problemi, in quanto le norme dispositive e come tali “derogabili” dall’autonomia privata, rappresentano per definizione il c.d. regime ottimale per quanto riguarda l’EQUILIBRIO di un determinato rapporto Contrattuale. In questi casi quindi non è difficile accertare se la clausola contrattuale determini o meno un significativo squilibrio: basta confrontare l’assetto dei Diritti e degli Obblighi così come delineato dal Contratto con l’Assetto legale degli stessi disciplinato dal Codice.I problemi invece sorgono con riguardo ai “Contratti Atipici”, i quali non essendo disciplinati dal legislatore non hanno un contenuto predeterminato circa i Diritti e gli Obblighi delle parti!!!

B)Ancora, ad esempio il Legislatore sia Italiano che Comunitario ha dettato una nozione del significativo squilibrio considerando quella che è l’ipotesi più comune di Contratto tra Professionista e Consumatore ovvero il “Contratto a prestazioni Corrispettive”. Quindi nello stesso tempo non facile allora appare la valutazione del significativo squilibrio nel caso di Contratti a Titolo gratuito ad esempio o con obbligazioni del solo preponente.

C)Un problema “molto delicato” è poi quello di accertare se nella valutazione dell’equilibrio tra le posizioni giuridiche delle parti, l’interprete possa indagare in ordine all’effettiva utilità delle attribuzioni al Consumatore: cosa vuol dire? Che non è affatto detto che il diritto attribuito al contraente A soddisfi interessi di eguale natura se attribuito al contraente B.ESEMPIO: Si pensi alla Clausola del Contratto di Assicurazione contro i Danni che riconosca il “Diritto di Recesso”, qualora si sia verificato un sinistro tanto all’assicuratore quanto all’assicurato.

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Ma tale ipotesi in realtà sarebbe assurda.. perché proprio la realizzazione del sinistro corrisponde ad un “maggior bisogno di sicurezza” dell’AssicuraTO connesso all’accresciuta rischiosità quindi è da escludere in linea di massima che sussista un suo interesse ad avvalersi del Diritto di Recesso, questo cioè tutt’al più ce l’avrà l’assicuratore ma non l’assicurato!!! N.B.

N. Benissimo Insomma, al fine di evitare una così clamorosa elusione della disciplina di protezione del Consumatore, l’interprete deve operare una sorta di forzatura (FORZATURA perché PENSA AL CASO PRECEDENTE IL Diritto di Recesso ce lo avevano entrambi quindi sembrava nn ci fosse uno squilibrio) dell’art. 33 c.1 Cod. Cons. ricorrendo alla Buona Fede OGGETTIVA e cioè: l’Assenza di ogni apprezzabile “interesse” del Consumatore ad avvalersi del Diritto attribuitogli determina alla stregua di una valutazione (del significativo squilibrio) compiuto secondo Buona Fede e tenendo conto anche delle altre clausole del Contratto medesimo (art. 34 c.1) la VESSATORIETA’ della Clausola!!!!!!!! Importantissimooooooooo N.B. Da ciò si desume quindi che lo squilibrio deve essere valutato in “senso sostanziale”, non risultando sufficiente che dal punto di vista formale gli oneri Contrattuali siano posti a carico di entrambe le parti poiché la disparità tra le singole posizioni contrattuali non lascia ritenere sufficiente una bilateralità dei Diritti e degli Obblighi assunti dai Contraenti.

Un altro aspetto che va approfondito riguarda il fatto che abbiamo detto che è Vessatoria la Clausola che determina uno “ squilibrio normativo” e NON ECONOMICO. Tuttavia il MINERVINI a tal proposito sottolinea come comunque anche lo squilibrio “economico” possa e debba essere valutato dall’interprete proprio nella valutazione della significatività dello squilibrio Normativo. CHE VUOL DIRE? Nel senso che ben può accadere che ovviamente cio che è Abusivo ad un Prezzo può perfettamente essere equo da Unun altro.N.B. Inoltre e per di più, lo squilibrio economico, di per sé insindacabile inteso quale convenienza dell’affare, alle volte può acquistare diretta rilevanza: Così ad esempio nell’elenco di Clausole Vessatorie, di cui all’art. 33 c.2 si parla sub. F) in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento di “risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo e sub O) consentono al professionista di aumentare il prezzo senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto!!!

Infine un ultimo punto strettamente connesso a questo riguarda la circostanza che abbiamo detto che l’art. 34 al c.2 Cod. Cons. stabilisce che “la valutazione della vessatori età della Clausola non attiene all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei Servizi, purchè pero tali elementi siano individuabili in modo chiaro e comprensibile” Che vogliamo dire?? Che interpretando al contrario la norma si desume che qualora tali “ELEMENTI non siano individuati in maniera chiara e comprensibile assume rilievo immediato lo squilibrio ECONOMICO e non Normativo; in questa maniera si vuole tutelareil Consumatore che non si sia accorto, al momento della stipulazione, delle effettive difficoltà o della reale dimensione dell’obbligazione alla quale egli o il Professionista è obbligato e quindi dell’effettivo ONERE che quella sottoscrizione comporta per lui. (questo è un punto strettamente connesso alla “TraspArenza”).

3.I Criteri di Valutazione della Vessatorietà. (34 c. 1 e 2)

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L’art. 34 stabilisce che “la Vessatorietà di una Clausola è valutata tenendo conto della natura del Bene o del servizio oggetto del Contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua Conclusione ed alle altre clausole del Contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende”“La valutazione del carattere vessatorio della Clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del CONTRATTO, né all’adeguatezza del Corrispettivo dei beni o dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in maniera chiara e comprensibile”.Tale norma contempla nel c.1 dell’art. 33, 3 criteri di valutazione della Vessatorietà mentre nel c.2 2 criteri che invece delimitano in un certo senso l’ambito del giudizio di Vessatorietà.

Quindi la valutazione della Vessatorietà va effettuata:a)Tenendo conto della Natura del Bene o del Servizio che è oggetto del Contratto.b)Facendo riferimento alle Circostanze esistenti al momento della Conclusione del Contratto c)Facendo riferimento alle Altre Clausole del Contratto medesimo o di un altro collegato da cui dipende.

Mentre la Valutazione della Vessatorietà di una Clausola NON attiene:d)alla determinazione dell’oggetto del Contrattoe)all’adeguatezza del corrispettivo dei Beni o dei Servizi (purchè però tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile)

Alla luce dei Criteri elencati nell’art. 33 c.1 Cod. Cons. la valutazione della Vessatorietà di una Clausola va effettuata non in astratto ma in concreto e più precisamente con riferimento cioè alla peculiarità della posizione delle parti ed al modo quindi in cui i diversi interessi contrapposti di questi si siano composti!!!Più in particolare abbiamo detto che il Criterio sub. A) impone di tener conto della Natura del Bene o del Servizio oggetto del Contratto, in quanto l’esistenza del significativo squilibrio contrario alla buona fede può risultare connesso alle caratteristiche del Bene o del Servizio nel caso concreto… che significa? Che una clausola inserita in un Contratto può non avere lo stessso significato in un altro Contratto.Il criterio sub. B) invece impone di valutare, di far riferimento a tutte le circostanze esistenti al momento della stipula del Contratto. N.B. a tal proposito è molto interessante il “considerando” della DIR. relativo a questo criterio il quale ad esempio dice che occorre porre l’attenzione sulla circostanza che il Consumatore sia stato indotto o incoraggiato a dare il suo accordo alla Clausola o se invece i beni o i servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del Consumatore!!!!!!.Infine il criterio sub. C) dice che l’interprete deve far riferimento alle “altre clausole del Contratto” O EVENTUALMENTE ALL’ALTRO Contratto da cui questo dipendeCiò significa che l’interprete nel valutare la Vessatorietà di una Clausola deve in primo luogo, come ha tenuto a sottolineare il Prof. di tutte le altre clausole del Contratto, e più precisamente con riferimento alla circostanza che la norma parla anche “dell’eventuale Contratto da cui esso dipenda” all’intera Operazione Economica.

4.La Delimitazione dell’Ambito del Giudizio di Vessatorietà. (34 c.2 Cod. Cons)

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L’art. 34 c.2 Cod. Cons. (già art. 1469-ter c.2) reca la delimitazione dell’ambito del “giudizio di vessatorietà”, dettando i criteri della determinazione dell’Oggetto del Contratto e dell’adeguatezza del Corrispettivo… e più precisamente “la valutazione del carattere Vessatorio della Clausola NON attiene alla determinazione dell’Oggetto del Contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”. I primi problemi nascono dalla “locuzione” “poco felice” di determinazione dell’Oggetto del Contratto. A tal proposito l’art.4 par.2 della DIR. fa riferimento alla “definizione dell’oggetto principale del Contratto”. Cominciamo col dire che con l’espressione “oggetto principale” che peraltro certamente non appartiene alla cultura giuridica italiana, si indica il BENE o il SERVIZIO offerto dal professionista e richiesto dal Consumatore.

Nell’art.34 c.2 lA PAROLA “DETERMINAZIONE” SOSTITUISCE IL TERMINE “DEFINIZIONE” E VA INTESA NEL SENSO DI SCELTA DELL’OGGETTO senza alcuna allusione quindi al fenomeno della determinatezza o determinabilità dell’Oggetto del Contratto di cui all’art.1346 Cod. Civ.

Su questo criterio che delimita la valutazione del carattere vessatorio della Clausola, ancora non si comprende bene a cosa bisogna riferirsi. Cioè? Che significa che, la valutazione del carattere vessatorio della Clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del Contratto? Secondo alcuni autori addirittura si dice che si vuole evitare che si giunga a desumere il carattere vessatorio di una Clausola solo perche il Contratto di cui fa parte ha per oggetto beni o servizi frivoli!.Dal canto sua peraltro la giurisprudenza ad esempio ha sottolineato come il Giudice nel caso di un Contratto di Assicurazione non può, non gli spetta sindacare l’oggetto del Contratto e i limiti della prestazione resa dalla compagnia di Assicurazione.(Nel caso di specie il Giudice aveva sindacato, circa la clausola che escludeva il rimborso delle spese mediche sostenute per l’interruzione volontaria della gravidanza).!!!! RICORDATELO

Per quanto riguarda invece il secondo criterio cui NON si deve tener conto nel valutare il carattere vessatorio della Clausola, ovvero l’adeguatezza del “Corrispettivo”, va sottolineato che esso costituisce la “traduzione” dell’art.4 par.2 della DIR.Per Corrispettivo va intesa ogni prestazione e non soltanto il pagamento di una somma di denaro.

Approfondimento importante:Un ultimo aspetto da approfondire riguarda il problema di coordinamento tra i criteri di cui all’art. 34 c.1 Cod. Cons. e quelli invece di cui al c.2 di cui stiamo parlando. Così ad esempio basta pensare che la valutazione della Vessatorietà deve aver luogo tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del Contratto ma nello stesso tempo non attiene alla determinazione dell’oggetto del Contratto; oppure ancora la valutazione della vessatori età va condotta facendo riferimento alle altre clausole del Contratto ma non attiene alla determinazione dell’oggetto del Contratto ed all’adeguatezza del Corrispettivo.Per risolvere questo problema occorre menzionare il 19° “considerando” della DIR. che dice “ai fini della presente Direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che

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illustrano l’oggetto principale del Contratto e/o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o del servizio, ciò invece lo si può fare nella VALUTAZIONE delle ALTRE CLAUSOLE del Contratto. Praticamente cosa accade? Che se è vero che ai sensi del 2 c. dell’art.34 il giudice nel Valutare il carattere vessatorio di una Clausola non deve tener conto della “convenienza dell’affare” intesa quale adeguatezza del corrispettivo dei beni e servizi, ne tantomeno della “determinazione dell’oggetto del Contratto” rectius semplicemente OGGETTO del Contratto., ciò che non entra dalla porta è come se entrasse dalla finestra in quanto il giudice se è vero che non può entrare nel merito inteso come convenienza dell’affare in riferimento al prezzo-prestazione ci si può riferire nello stabilire se una determinata clausola debba o meno essere considerata vessatorie.N.B: Ciò in qualche modo conferma quanto abbiamo detto poc’anzi con riferimento allo “squilibrio non solo Normativo ma anche ECONOMICO” del Contratto o meglio prodotto dalla Clausola, nel senso che il giudice in ogni caso ne terrà conto!!!.

5.Il Diritto del Consumatore all’equità nei RAPPORTI CONTRATTUALI (art.2 c.2 C.Cons)

Le considerazioni che abbiamo esposto sino ad ora devono essere in qualche modo verificate alla luce dell’art.2 c.2 C. Cons.Tale norma contiene un elenco di diritti dei Consumatori riconosciuti come fondamentali: Tra questi diritti alla lettera e) spicca, in materia Contrattuale, e cioè del Consumatore inteso come Contraente, quello alla Correttezza, trasparenza ed equità nei Rapporti Contrattuali.A questo punto quindi ci si domanda se il Legislatore Italiano con tale norma abbia voluto dettare una “previsione innovatrice” della realtà giuridica preesistente o al contrario si tratta di una norma meramente “ricognitiva e/o riassuntiva di diritti alla correttezza, alla trasparenza e all’equità che quindi ricevono già una tutela all’interno del Codice!!!A)Per quanto riguarda la CORRETTEZZA, non si può dubitare della natura meramente ricognitiva dell’art.2 c.2 lett. E) C. Cons. La “CORRETTEZZA” cioè è un Principio generale che governa l’intera materia delle obbligazioni e dei Contratti; e non a caso quindi “la contrarietà a buona fede Oggettiva” gioca un ruolo fondamentale nell’indagine sulla “natura vessatoria di una clausola secondo l’interpretazione dell’art. 33 c.1 Cod. Cons.”.

B)Stesso discorso vale per la TRASPARENZA, che approfondiremo in seguito, ma che si riallaccia alle “previsioni in tema di trasparenza” di cui all’art. 35 c.1 C. Cons. relative alla disciplina delle Clausole Vessatorie.

C)Invece, con riferimento alla nozione di EQUITA’, non vi è accordo in Dottrina.Si discute cioè se l’equità vada ricondotta all’equilibrio normativo (cioè quello che delinea il rapporto tra i Diritti e gli Obblighi derivanti dal Contratto) oppure all’equilibrio economico (cioè con riferimento all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei Servizi o cmq il Valore delle prestazioni).N. Benissimo: Ancora una volta, la seconda opinione, ovvero quella che riconduce l’equità all’equilibrio normativo crea più problematiche e non merita consenso dal momento che sappiano bene che il Cod. Cons. all’art. 34 c.2 esclude espressamente che ai fini del giudizio di vessatorietà il giudice debba tener conto dell’adeguatezza del Corrispettivo o alla congruità o ancora all’equilibrio

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di valore tra le prestazioni. Quindi se da un lato, abbiamo detto che in realtà in determinate circostanze e a determinate condizioni rileva ANCHE l’equilibrio economico accanto all’equilibrio normativo , vi è da supporre che il Legislatore se avesse voluto così statuire innanzitutto non avrebbe proceduto alla stesura del c.2 dell’art. 34 e in secondo luogo poi va notato che di tale linea di pensiero non ne è rimasta traccia neppure nei lavori preparatori del Codice.Quindi l’opinione che merita Consenso è quella che riconduce l’equità all’equilibrio normativo ed esclude cioè ogni ingerenza del Giudice nella valutazione rectius. Correzione se si seguisse l’altro orientamento, dell’equilibrio economico tra le prestazioni dedotte in Contratto.

6.La “Chiarezza” e la “Comprensibilità” della Clausola.(Princ. Della Trasparenza)

L’art.35 cc.1 e 2 Cod. Cons. ha riprodotto integralmente l’art.5 della DIR. 93/13/CE, e statuisce che “nel caso di Contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al Consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al Consumatore”.

L’art. 35 al c.1 codifica espressamente il principio della c.d. TRASPARENZA del Contratto: Cioè tutte le clausole, vessatorie o meno, essenziali o accessorie, aventi contenuto normativo o economico, proposte al Consumatore per iscritto (ma anche in forma orale..così TRIPODI) debbono essere redatte in modo chiaro e comprensibile.Ovviamente questa norma si applica sia al “contratto standard” che al “contratto predisposto dal professionista per una singola operazione” e NON ovviamente al Contratto che sia stato oggetto di Trattative.Un altro aspetto che colpisce per quanto riguarda l’art. 35 è “l’evidente erroneità della RUBRICA” che per l’appunto reca “FORMA e INTERPRETAZIONE”, nonostante come abbiamo già detto il Legislatore in questa norma non pone “Requisiti di FORMA” ma impone l’obbligo di Trasparenza a carico del Professionista.

Considerazioni in merito alla “chiarezza” ed alla “comprensibilità”.a)Con riguardo alla “chiarezza” si sostiene in Dottrina che questa vada riferita ad una redazione con “caratteri leggibili” della Clausola In altri termini, la clausola, non deve, come spesso accade, essere posta in “micrografia” allo scopo magari di farla passare inosservata o di farla passare non importante sebbene onerosa!!!

b)La “comprensibilità” invece va riferita al “CONTENUTO”, della Clausola che deve essere formulato in modo da rendere “edotto” l’aderente dei propri diritti ed obblighi attraverso la lettura del testo.

Ma come si valutano “chiarezza e comprensibilità” ? DISCUSSIONE: Cominciamo col dire che non vi è dubbio che sia la chiarezza che la comprensibilità non possono essere apprezzate soltanto alla stregua del linguaggio tecnico ciò perché se è vero che le formule tecniche assicurano una precisione al dettato dall’altro lato molto spesso possono non essere comprensibili al Consumatore!!!

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Tuttavia dall’altro lato, non si può pretendere che le imprese pongano in essere in favore della Controparte una sorta di traduzione del linguaggio giuridico e quindi in realtà “al fine di verificare l’intellegibilità” di una clausola occorre avere quale punto di riferimento un “Consumatore “MEDIO”, di “Ordinaria Diligenzia”. Anzi a tal proposito, è dibattuto, se si debba tener conto delle particolari “caratteristiche soggettive” del Consumatore ( ad esempio se questo è Analfabeta o al contrario particolarmente capace o avvezzo), ma ricorrendo alla “BUONA FEDE OGGETTIVA (ART. 1366) si tratta tuttalpiù di una strada percorribile solo nel caso di un Contratto predisposto dal Professionista per quella singola operazione e non invece nel caso di Contratti Standardizzati.

Passando invece per quella che è la “sanzione” per l’inosservanza dell’obbligo di trasparenza che incombe sul Professionista, certamente da un lato il dovere di chiarezza e comprensibilità è rafforzato dal c.2 dell’art. 35 ovvero dell’interpretazione contro l’AUTORE DELLA CLAUSOLA.Tuttavia però l’aspetto più interessante che va notato è con riferimento all’art.34 c.2 il quale stabilisce che “la valutazione del carattere vessatorio della Clausola NON attiene alla determinazione dell’oggetto del Contratto, né all’adeguatezza del Corrispettivo dei Beni e dei Servizi, purchè tali elementi siano individuato in modo chiaro e comprensibile!!!! Così interpretando “a contrario” l’art. 34 c.2 è agevole desumere che la mancanza di trasparenza, per quanto riguarda le Clausole che attengono alla determinazione dell’oggetto o all’adeguatezza del Corrispettivo di beni e Servizi, pur non integrando di per sé un’ipotesi di vessatori età, costituisce ul rilevante elemento per il giudizio di vessatori età in quanto consente che il giudizio verta anche sulla determinazione dell’oggetto del Contratto o sull’adeguatezza del Corrispettivo di beni e Servizi e quindi su clausole che normalmente sottratte alla valutazione degli altri criteri!!!Pertanto il Professionista deve eliminare dai propri contratti ambiguità ed oscurità se vorrà ridurre il margine di Discrezionalità del Giudice nel valutare la Vessatorietà di una Clausola. ulteriore approfondimento poi è costituito dalla circostanza che abbiamo appena detto di come in mancanza di chiarezza e comprensibilità il giudice possa tener conto ai fini del giudizio di Vessatorietà, delle Clausole poco chiare e/o comprensibili che attengono all’Oggetto del Contratto o al Corrispettivo. Ma cosa succede, se la Mancanza di Trasparenza colpisce altre Clausole del Contratto? Vi è chi sostiene che non accade nulla e chi invece in relazione a queste ipotizza un “azione risarcitoria ex art. 1337 Cod. Civ” e quindi una responsabilità PRE-CONTRATTUALE per avere il professionista durante le N.B. TRATTATIVE aver inserito clausole non chiare o comprensibili e quindi senza essersi comportato secondo Buona Fede.

7.L’interpretazione contro l’Autore della Clausola.L’art.35 c.2 C. Cons., costituisce una ripetizione del canone della interpretazione “contro l’autore della Clausola” di cui al’art.1370.In realtà non si tratta di una norma inutile: in quanto questa disciplina “l’interpretazione non soltanto del Contratto Standard”, ma “anche nel CONTRATTO “predisposto” dal Professionista per una “Singola Operazione”. Approf. Infatti è dibattuto se l’art. 1370 trova applicazione anche nel caso del Contratto predisposto dal professionista per la singola operazione, e l’espressa statuizione di tale criterio nel Cod. Cons. consente di affermare con Sicurezza, che nei contratti con i Consumatori, ci sia un effetto di “postergazione” degli altri criteri di interpretazione “oggettiva” ed in particolare del c.2 dell’art. 1368 che stabilisce che nei Contratti in cui una delle parti è un

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Imprenditore, le “clausole ambigue” si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa”.!!!!!!!!Ancora. L’art.35 c.2 ci può spingere a pensare, che a differenza di quanto accade comunemente, per i Contratti dei Consumatori, si debba passare alla prevalenza delle regole di “Interpretazione Oggettiva” ogni qualvolta le “clausole contenute nei Contratti non siano state negoziate”, mentre qualora si tratti di un Contratto in cui le clausole siano state oggetto di Trattativa varranno le regole sulla interpretazione soggettiva dei Contratti.Come sappiamo è possibile distinguere 2 diverse forme di interpretazione del Contratto, ed il Cod. Civ. se ne occupa dagli artt.1362 al 1371. Si può distinguere una interpretazione “soggettiva” che è quella volta a “ricercare la comune intenzione delle parti” ed una interpretazione “OGGETTIVA” alla quale si ricorre una volta “ che non si è riusciti ad individuare la comune volontà delle parti ”. In tutto questo l’art. 1366 funge un po’ da spartiacque e stabilisce che “Il Contratto deve essere interpretato secondo Buona Fede”, funge da spartiacque in quanto si riferisce alla c.d. “ buona fede oggettiva” o PRINC. Di Correttezza. Sempre come fosse una “regola di Condotta”.

Per concludere poi, per quanto riguarda il “nesso corrente” tra il Principio della Trasparenza e l’interpretazione contro l’autore della Clausola si discute se questi siano in rapporto di PRESUPPOSTO a CONSEGUENZA cioè alla Violazione dell’obbligo di trasparenza, in quanto la clausola è non chiara e comprensibile, questa verrà interpretata contro l’autore della Clausola.Tuttavia è preferibile propendere per un “autonomia” dei 2, in quanto come abbiamo già avuto modo di vedere l’interpretazione contro l’autore della Clausola è soltanto uno dei rimedi, in quanto abbiamo visto come la Violazione dell’obbligo di trasparenza possa condurre il giudice ad una maggiore discrezionalità nella valutazione della Vessatorietà delle Clausole che riguardano la determinazione dell’oggetto e l’adeguatezza del Corrispettivo che invece al Contrario sfuggirebbero ed anzi delimiterebbero il giudizio di Vessatorietà della Clausola Contrattuale.!!!!!!

8.L’art.6 par.1 della DIR. 93/13/CE e le scelte del Legislatore italiano.

Vediamo di capire quali siano gli effetti che conseguono alla qualificazione di una Clausola come “Vessatoria” o meglio “Abusiva” se si vuole utilizzare il linguaggio del Legislatore Comunitario.L’art.6 par.1 della DIR. 93/13/CE statuisce che “gli Stati membri prevedono che le Clausole Abusive contenute in un Contratto stipulato tra un Consumatore ed un Professionista non- vincolano il Consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni Nazionali , e che il Contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che.. esso possa sussistere senza le Clausole Abusive”.

La formulazione dell’art. 6 par. 1 Dir. 93/13/CE ovviamente NON HA incontrato i favori della Dottrina in quanto ad esempio si è sottolineata la “genericità” dell’espressione “le Clausole abusive non vincolano il Consumatore” che è suscettibile di essere riprodotta all’interno dell’ordinamento in molteplici modalità che spaziano dall’inefficacia delle stesse sino alla Nullità!!!

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Ancora un altro aspetto importante che reca l’art. 6 della Dir., il quale è pacificamente accolto dalla Dottrina e che il legislatore Comunitario per quanto riguarda la “CONSERVAZIONE del Contratto” detta un criterio “meramente oggettivo” , con questo cosa Vogliamo Sottolineare? Da una parte noi abbiamo il “PRINC. Di CONSERVAZIONE” del Contratto che viene consacrato nell’art.1419 c.1 Cod. Civ. e che stabilisce che “la nullità parziale di un Contratto o la Nullità di singole Clausole importa la NULLITA’ dell’INTERO CONTRATTO , se risulta che i Contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo Contenuto che è colpita dalla Nullità”. Vs. L’art. 6 invece dice che il Contratto resta vincolante per le parti “secondo i medesimi termini” sempre che esso possa sussistere senza le Clausole Abusive Ciò quindi rappresenta una grossa ed importante differenza con l’art. 1419 c.1 in quanto in quel caso si giunge alla Nullità dell’intero Contratto se risulta che i Contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte colpita dalla Nullità mentre il Legislatore comunitario abbandona nettamente questa prospettiva o criterio di indagine “SOGGETTIVO”!!!!!!.

DISCUSSIONE: Il “RECEPIMENTO” dell’art.6 par. 1 della DIR. è stato alquanto travagliato: Tutto ciò è nato dalla circostanza che durante il percorso parlamentare si è affacciato l’interesse della “categoria professionale dei NOTAI (ladri uhauhauha) ” a “non avere una disciplina con la Sanzione della NULLITA’ delle Clausole VESSATORIE!!!”.Di qui la loro pressione, ha fatto si che la sanzione prevista per le Clausole Vessatorie fosse l’INEFFICACIA, per sottrarre la loro attività alla responsabilità professionale, tipizzata nel loro ordinamento professionale!.Proprio così infatti veniva approvato l’art.1469-quinquies cc.1-3 che recitava “Le clausole considerate Vessatorie ai sensi degli artt.1469-bis e 1469-ter sono inefficaci mentre il Contratto rimane efficace per il resto. L’ Inefficacia opera soltanto a vantaggio del Consumatore e può essere rilevata d’UFFICIO dal GIUDICE”.in questa maniera quindi il legislatore italiano, quantomeno a parole, optava per la categoria dell’INEFFICACIA in luogo della NULLITA’. Ci si accorse ben presto che si era trattato di una scelta “infelice”, quantomeno per i Consumatori (uhauhauha), in quanto ci si ritrovava dinanzi ad una disposizione alquanto “equivoca” che sicuramente non era facilmente decifrabile e/o riconducibile al sistema delle invalidità negoziali fondamentalmente priva di un “suo contenuto teorico”.Più in particolare, la Contrapposizione inefficacia della Clausola-efficacia del Contratto sembrava riecheggiare , giustamente, troppo la NULLITA’ PARZIALE. Per questo motivo, quantomeno nei fatti, l’inefficacia veniva considerata come una vera e propria ipotesi di Nullità seppur speciale ed il termine inefficacia stava ad indicare soltanto che non si applicava il regime ordinario della Nullità ed in particolare dell’art. 1419 c.1 rubricato Nullità Parziale.

A differenti conclusioni, perviene invece il Cod. del CONSUMO che, in conformità al parere del Cons. di Stato provvede a sostituire il termine inefficacia con quello più tecnico di Nullità.A tal proposito è significativo il parere del Cons. di Stato, che sottolinea come sia opinione comunemente diffusa in Dottrina e Giurisprudenza che l’espressione inefficacia, recata anche nell’art. 1469-quinquies debba leggersi come sinonimo seppur ATECNICO di Nullità “relativa” o meglio di “Nullità di Protezione”.

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e così che l’art.36 C.Cons. rubricato per l’appunto “NULLITA’ DI PROTEZIONE” ai cc. 1-3 recita:”Le Clausole considerate Vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono Nulle mentre il Contratto rimane Valido per il resto. La NULLITA’ opera soltanto a vantaggio del Consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice”.In definitiva col Cod. del CONSUMO viene definitivamente attribuito “rilievo” di Diritto Positivo alla Nullità di PROTEZIONE che sino ad allora era stata solo una categoria Dottrinale.Come tiene a puntualizzare il Cons. di Stato, la “Nullità di Protezione” è una specie del genere delle Nullità contrattuali per violazione di norme imperative di cui all’art. 1418 c.1.A voler essere ancora più cavillosi poi, la scelta di parlare di Nullità e non di inefficacia appare ancora più coerente con quanto dispone l’art. 143 c.1 del C. Cons. “secondo cui è nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del Codice stesso attributive di Diritti al Consumatore”.

9.La Nullità “parziale necessaria”.

Nell’attuare la DIR. 93/13/CE il legislatore si è reso conto della NECESSITA’ che il contratto rimanga, relativamente alle clausole che non sono colpite dal giudizio di Vessatorietà, vincolante per le parti, e ciò indipendentemente dalle intenzioni del Professionista, in quanto questo sarà interessato alla completa caducazione dell’Intero Contratto mentre il Consumatore, secondo l’id quod plerumque accidit, avrà un ‘interesse opposto e quindi alla “Conservazione” del Contratto che spesso può rappresentare l’unico mezzo per ottenere beni e servizi difficilmente conseguibili altrimenti. Il MINERVINI a tal proposito parla proprio di “Vittoria di Pirro” nel caso in cui il Consumatore e riesce a far dichiarare Nulle le Clausole Vessatorie ed in conseguenza di questo poi viene dichiarato Nullo l’intero contratto.

Proprio per questo motivo il legislatore ha optato per la “Nullità soltanto PARZIALE” del Contratto in cui è contenuta una clausola vessatoria. DISCUSSIONE importante! Sotto questo punto di vista il legislatore italiano è andato anche oltre nel senso che non recependo l’art.6 par. 1 della DIR. dove questo stabilisce che “il Contratto rimane vincolante per le parti sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive” ha istituito un regime di NULLITA’ PARZIALE “NECESSARIA”.L’art. 36 c.1 Cod. Cons. Infatti stabilisce che “le Clausole considerate vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono NULLE, MENTRE IL CONTRATTO RIMANE VALIDO PER IL RESTO!!! ”.Tramite il meccanismo della c.d. Nullità Parziale NECESSARIA il legislatore cerca di soddisfare le esigenze di tutela del Consumatore in quanto la sanzione della Nullità viene circoscritta alla sola Clausola Vessatoria mentre il Contratto rimane in vita soddisfacendo il Consumatore.Tale scelta sembra in linea con quanto stabilisce l’art.8 della DIR., il quale legittima i paesi membri nel recepire la Direttiva ad adottare disposizioni più severe pur di garantire un livello di protezione maggiore al Consumatore.

Problematiche: N. BENISSIMO:Tuttavia dal sistema della “Nullità Parziale Necessaria” nascono una serie di problematiche. Ad esempio ci si chiede come possa rimanere in vita un Contratto una volta che viene dichiarata vessatoria e quindi Nulla una Clausola che incida sulla “CAUSA o altro Elemento Essenziale” del Contratto in modo obiettivamente incompatibile con la sopravvivenza dello stesso.

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Considerazioni analoghe poi vanno fatte anche per l’ipotesi in cui la valutazione della Vessatorietà attiene alla determinazione dell’oggetto del Contratto o all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e servizi (che come abbiamo detto ai sensi del 34 2.c non dovrebbero rilevare ma in determinate ipotesi può succedere! Rivedi bene) in quanto tali elementi non siano “individuati in maniera chiara e comprensibile”. La nullità di clausole inerenti l’oggetto del Contratto o al rapporto (economico) tra le prestazioni dovrebbe infatti impedire la sopravvivenza del Contratto!!!.A tal proposito, basti pensare che è lo stesso legislatore nell’art. 33 c.2 lett. N) a prevedere “tra le clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria ” quella che ha per “ oggetto” o per “effetto” di stabilire che il PREZZO DEI BENI O DEI SERVIZI sia determinato al momento della consegna o della prestazione. Ma la declaratoria di Nullità di una clausola del egenre dovrebbe estendersi all’intero Contratto, che altrimenti come può sopravvivere venuto meno il PREZZO????.

Come sottolinea il MINERVINI, le problematiche nascono dalla circostanza che il legislatore una volta imboccata la strada della “Nullità parziale Necessaria” avrebbe dovuta percorrerla sino alla fine indicando i criteri necessari per l’adattamento giudiziale del Contratto o meglio in altri termini indicando le “Fonti” dalle quali attingere per integrare la disciplina lacunosa, consentendo così al Giudice di salvare il Contratto pur in presenza di clausole vessatorie incidenti su di un elemento essenziale del Contratto.Da una parte si può confidare nel ricorso all’art.1374 (integrazione del Contratto” di colmare le lacune facendo ricorso al “diritto dispositivo”. E poi nel caso in cui la clausola dichiarata vessatoria è quella che stabilisce il “PREZZO” come si fa??? In questo caso non solo ovviamente non è possibile ricorrere al diritto dispositivo ma allora si deve ricorrere all’EQUITA’??? Ma il legislatore davvero intende riconoscere questo immenso potere al Giudice, che ricorrendo all’EQUITA’ possa praticamente riscrivere un Contratto… Nel silenzio DELLA Norma ciò non sembra accettabile!!!! Con la conseguenza che la mancanza di apposite norme di adattamento, possa portare alla vanificazione della sanzione della Nullità in quanto il Consumatore a quel punto preferirà un Contratto con clausole Vessatorie di fronte all’alternativa di “Nessun Contratto”!!!.

10.La Nullità “relativa” ma rilevabile d’ufficio.(art.36 c.3)

L’art. 6 par.1 DIR. 93/13/CE utilizza l’espressione “le clausole abusive non vincolano il Consumatore”, in questa maniera sembra attribuire soltanto a questi e non al Professionista la legittimazione a far valere l’abusività di una Clausola. Nello stesso tempo però il legislatore Comunitario non si era affatto espresso in merito alla rilevabilità d’ufficio dell’abusività della Clausola da parte del Giudice; in ogni caso a fugare ogni dubbio ci ha pensato la “corte di giustizia delle Comunità Europee”, secondo la quale, il giudice ha secondo la Direttiva il potere di rilevare d’ufficio l’abusività. N.B: L’irrilevabilità d’ufficio infatti potrebbe portare a pronunzie sfavorevoli per il Consumatore, qualora per ignoranza o trascuratezza non venisse fatta valere da questi la Vessatorietà.

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A questi problemi ha cercato di offrire una soluzione l’art. 36 c.3 C. Cons.(già art.1469-quinquies c.3) stabilendo che “la Nullità opera soltanto a vantaggio del Consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice”.Cominciamo colo dire che questa norma “presenta un’oscurità che ha dato luogo a moltissime interpretazioni della Dottrina”.

Discussione:-In primo luogo, non è limpido, il riferimento ad una Nullità che opera soltanto a vantaggio del Consumatore Perché, se è vero che si tratta di “Clausole Vessatorie” che per definizione svantaggiano il Consumatore rispetto al Professionista non si capisce come mai la loro caducazione possa tornare utile al Professionista.A MIO AVVISO sotto questo punto di vista la spiegazione è da ricercare nella circostanza che come abbiamo detto, molte volte, come nel caso di Una clausola attinente al PREZZO, la dichiarazione di Vessatorietà di questa con conseguente Nullità non consentirebbe di tenere in vita il Contratto. In questi casi il Legislatore sa bene, che la Nullità di quella Clausola travolgerebbe l’intero Contratto “a scapito” e sicuramente “NON a vantaggio” del Consumatore!(caso in cui la Nullità PARZIALE NECESSARIA non può operare)!!!.-In secondo luogo, abbiamo detto che ai sensi dell’art.36 c.3, si tratta di una “legittimazione relativa”, nel senso che può essere fatta valere solo dal Consumatore e “che può essere rilevata d’ufficio dal Giudice”.Cominciamo col dire che i veri problemi partono da qui, ovvero “questa disposizione sembra rivoluzionare completamente quella che è la Disciplina della Nullità all’interno del Cod. Civ..A tal proposito per l’appunto si parla di una “incompatibilità Logico-Giuridica tra “Legittimazione Relativa e Rilevabilità d’Ufficio”.-Soprattutto è proprio il caso di dire tale Norma, segna un DISTACCO PROFONDO, dalla disciplina della Nullità racchiusa nel Cod. Civ. e più in particolare con riferimento all’art.1421.L’art. 1421 stabilisce che “Salvo diverse disposizioni di Legge, la Nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal Giudice!!

Nell’art.36 invece abbiamo detto che vi è una “Legittimazione Relativa” nel senso che solo il Consumatore può far valere la Nullità, ma soprattutto le difficoltà nascono dalla necessità di comprendere “quando e come” il GIUDICE può rilevarla d’Ufficio.

1)A tal proposito, vi è ad esempio chi sostiene che il Legislatore abbia voluto subordinare la “rilevabilità d’ufficio della Nullità della Clausola” alla circostanza che “il Consumatore non abbia tenuto un contegno che sia espressione di una “VOLONTA SANANTE”Praticamente si dice, il Consumatore che è il “miglior giudice” del suo Vantaggio, potrebbe con una sua manifestazione “anche tacita” di volontà, “sanare” la Nullità della Clausola Vessatoria, impedendo così al Giudice di rilevarla d’ufficio. In altre parole, l’iniziativa d’ufficio del Giudice può dispiegarsi o nel caso non ci sia una domanda del CONSUMATORE, ma MAI CONTRO UNA DOMANDA DEL CONSUMATORE!!!.MA ALLORA COSI COSA SUCCEDE? La cosa bella è che seguendo questo schema, fondamentalmente si finisce col riconoscere che una NULLITA’ “che paradossalmente può essere rilavata anche d’ufficio dal Giudice”, può essere sanata “giudizialmente” o anche

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“stragiudizialmente” dal Consumatore, ed in virtù dell’art. 1423 Cod. Civ. secondo cui il Contratto Nullo “non può essere Convalidato” SE LA LEGGE NON DISPONE DIVERSAMENTE, ed in questo caso la legge che “ DISPORREBBE DIVERSAMENTE” sarebbe proprio l’art. 36 c.3 che riconosce una legittimazione relativa a far valere la Nullità al solo Consumatore e in via “interpretativa subordina” la rilevabilità d’ufficio del Giudice solo di fronte all’INATTIVITA’ DEL Consumatore o cmq davanti a manifestazioni dello stesso che NON SIANO SANANTI!!!!!!!MA ANCORA UNA VOLTA COSI’ COSA ACCADE? Succede che la teorizzazione sopra esposta, “largamente diffusa” in Dottrina, va a configgere con l’ ART. 143 C.1 del Cod. Cons. laddove dispone che “ I DIRITTI ATTRIBUITI DAL Cod. del CONSUMO al CONSUMATORE sono IRRINUNCIABILI !!!!

In definitiva da un lato abbiamo l’art. 143 c.1 del Cod. Cons. che afferma che i DIRITTI RICONOSCIUTI dal COD. CONSUMO al Consumatore “sono irrinunciabili”, dinanzi a questa norma però viene detto a)che il Consumatore “può o NON Può” esercitare il Diritto di “FAR VALERE LA NULLITA’ della Clausola Vessatoria”, Addirittura può Domandare quindi l’esecuzione di quel Contratto e quindi di quella Clausola Vessatoria oppure ancora può “RINUNCIARE A DICHIARARE LA NULLITA’ della Clausola Vessatoria e CONVALIDARE rectius Sanare ai sensi dell’art.1423 Cod. Civ. la Nullità della Clausola VESSATORIA!!!!!!!!!

In definitiva dunque, coglie nel segno chi ha parlato quantomeno di una scelta “inopportuna” riguardo all’inserimento nel Cod. del Consumo dell’art. 143 c.1. All’interprete nel frattempo non resta altro che sostenere che “l’art. 36 c.1 e 3 è una norma speciale del diritto dei Consumi che deroga pertanto alla norma generale ci sui all’art.143 c.1 dello stesso codice.Un’ultima aspetto riguarda la circostanza, che dinanzi alle eventuali lacune del Cod. del Consumo si applicano le regole che disciplinano la Nullità del Cod. Civ. nei limiti della compatibilità con l’art. 36 c.1 e 3.; o meglio ancora si applicano tutte le regole del Cod. Civ. in tema di Nullità non derogate dal Cod. Cons.E così ad esempio anche l’azione a far valere la Nullità della Clausola Vessatoria è imprescrittibile o ancora la Nullità della Clausola Vessatoria è opponibile ai terzi. La Sentenza che pronuncia la Vessatorietà di una Clausola è “dichiarativa o di Accertamento”.

11.La Combinazione tra “Clausole Generali” e “liste di Clausole a Vessatorietà Presunta” (artt.33 c.2 e 36 c.2).

Sia la DIR. 93/13/CE, che la disciplina Italiana non si limitano ad individuare i “criteri”, fondati sull’impiego di “clausole generali” quali la “Buona Fede (oggettiva) o il “Significativo Equilibrio”, per qualificare una Clausola come “ABUSIVA o Vessatoria”, ma integrano tali criteri ricorrendo alla differente tecnica legislativa della “formazione analitica o regolamentare” prevedendo ciascuna un elenco di Clausole che “si presumono vessatorie”, al quale la disciplina italiana di attuazione affianca un “secondo elenco”: In questa maniera quindi si realizza una Combinazione tra Clausole Generali e Categorie o tipi di Clausole Contrattuali.

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Ovviamente, tali elenchi, costituiscono uno dei “noccioli” della normativa di protezione del Consumatore, in quanto in un certo senso rappresentano la “concretizzazione” del concetto di Clausola Abusiva o Vessatoria.Le Clausole che vengono elencate sono estremamente eterogenee e quindi spetta all’interprete in relazione alle diverse Clausole concretizzare il Concetto di Abusività o Vessatorietà.L’art.3, par.3 DIR. 93/13/CE statuisce che “l’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate Abusive”.Con questa disposizione il Legislatore Comunitario prevede il riferimento ad una “Presunzione relativa di Abusività” ovvero incombe sul Professionista l’onere di fornire la Prova Contraria. Questo cioè al fine di evitare la Declaratoria di Abusività di una Clausola, deve dimostrare che essa nell’Economia del Contratto e nella Cornice delle sue Circostanze , non determina un “ significativo squilibrio ” e non contrasta col “ Dovere di Buona Fede OGGETTIVA ”. N.B. Si deve escludere assolutamente comunque che “la specifica approvazione per iscritto” di cui parla l’art. 1341 c.2 possa vincere la Presunzione di Abusività o Vessatorietà della Clausola.

Ancora, dal momento che l’elenco di Clausole è “indicativo, non esaustivo quindi”, è possibile affermare la Vessatorietà di una Clausola “innominata” , che non sia compresa cioè nell’elenco!!.

Infine è pressoché pacifico, che i legislatori nazionali, in sede di recepimento della Dir., possano modificare l’elenco di cui all’allegato in “senso estensivo” aggiungendo o ampliando cioè l’ambito di applicazione delle Clausole previste, ma non in senso riduttivo.Il Legislatore Italiano dal canto suo, ha dettato una norma, l’art. 33 c.2 Cod. Cons. del seguente tenore “ Si presumono Vessatorie fino a prova contraria le Clausole che hanno per oggetto e per effetto di:….Dall’altro lato poi, ha inserito un’altra norma del tutto sconosciuta al legislatore Comunitario, e più precisamente l’art. 36 c.2 Cod. Cons. il quale stabilisce “ sono Nulle le Clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di … seguono 3 clausole che costituiscono il secondo elenco”.

12. La c.d. “LISTA GRIGIA” e la c.d. “LISTA NERA”.

L’art.33 c.2 prevede un “elenco di clausole che si presumono Vessatorie fino a prova Contraria, che incombe sul professionista: Tali Clausole costituiscono la “c.d. Lista GRIGIA”.in questi casi cioè il PROFESSIONISTA deve dimostrare che la clausola, tenuto conto della natura del Bene oggetto del Contratto, delle circostanze esistenti al momento della sua conclusione, e delle altre clausole del Contratto stesso, la Clausola non comporta un significativo squilibrio contrario alla buona fede oggettiva, oppure ancora ovviamente gli basterà dimostrare che la Clausola è stata oggetto di “trattative individuali”(art.34 c.3).N.B.: A tal proposito, alcuni hanno acutamente rilevato, che la norma non impone al professionista “particolari allegazioni od Eccezioni”. Il giudice cioè, posto che riscontrerà ala corrispondenza di una certa clausola ad uno dei tipi di quelle indicate nell’art. 33 c.2 qualora

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propenderà per la NON-VESSATORIETA’ della Clausola sarà tenuto a motivare argomentando in relazione alle peculiarità del rapporto Contrattuale dedotto in giudizio e quindi con riferimento allo squilibrio normativo contrario alla buona fede e nella valutazione della Clausola con riferimento alla natura del bene oggetto del Contratto, alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e le altre clausole del Contratto stesso!!!!!

L’art.33 c.2 C. Cons., sostanzialmente ha riprodotto, con alcune modifiche ed aggiunte le Clausole, la c.d. LISTA GRIGIAelencate nell’allegato della Dir. 93/13/CE.Ancora più delicata poi appare l’interpretazione dell’art. 36 c.2 C. Cons., ovvero quello che contiene la c.d. Lista Nera.L’art. 36 c.2 contiene tre clausole, che si N.B., sono NULLE “ quantunque Oggetto di TRATTATIVA”..Ma “tratto ancor più peculiare e problematico” queste 3 clausole, sono già riportate nell’elenco di cui all’art. 33 c.2 alle lettere a) b) l) e per l’esattezza la prima è riprodotta testualmente mentre le altre 2 con minime differenze letterali.All’interprete quindi non resta altro che risolvere questo “rebus”!!!!E’ possibile distinguere 2 diversi orientamenti:1)Il primo, che poi peraltro è l’orientamento prevalente, sostiene che coesisterebbero una Lista Grigia di Clausole, che si presumono vessatorie sino a prova contraria (per le quali dunque sussiste una Presunzione “ relativa), ed una Lista Nera di Clausole, che si presumono vessatorie senza possibilità di Prova Contraria (per le quali dunque sussisterebbe una Presunzione Assoluta), anche se oggetto di Trattativa . Tuttavia, interpretando così la norma, resta “insoluto” il problema di quale utilità possa aver avuto la ripetizione di quelle stesse Clausole anche nella Lista Grigia.

2)Il secondo orientamento invece sostiene che l’art. 36 c.2 può essere letto come se dicesse “le tre clausole si presumono vessatorie, e quindi Nulle, salvo prova contraria , anche se oggetto di “Trattativa”. Secondo il MINERVINI, questa interpretazione appare preferibile, sia perché come abbiamo detto queste 3 clausole sono già presenti nell’elenco delle Clausole che si presumono vessatorie ai sensi dell’art. 33 c.2 e quindi se fossero sempre Nulle che senso avrebbe avuto inserirle tra quelle che si “presumono vessatorie e quindi Nulle”, e quindi il “QUID” sarebbe che per quelle tre clausole il Legislatore ha voluto dire che sono Nulle perché vessatorie, salvo la prova contraria nonostante siano state oggetto di Trattativa. Il che significa che a differenza delle altre clausole, qualora siano state oggetto di “Trattativa” si esclude il giudizio o valutazione della Vessatorietà, in questo caso INVECE anche se “sono state oggetto di Trattativa” le si presume comunque Vessatorie e NULLE e quindi il Professionista però può fornire la “Prova Contraria”!!!!.

In ogni caso per chiudere, possiamo dire che comunque il problema della natura “presunta o assoluta” della presunzione contenuta nell’art.36 c.2 va sottovalutato dal punto di vista pratico in quanto già per quanto riguarda le clausole che si presumono Vessatorie ai sensi della 33 c.2 e quindi Lista Girigia è molto difficile per il Professionista “VINCERE LA PRESUNZIONE” e infatti si evidenzia spesso come la lista grigia si colori di Nero. Quindi anche per chi opta, come il Minervini, per la Presunzione relativa delle clausole previste dall’art. 36 c.2, non si capisce proprio come in concreto possa essere fornita la Prova Contraria circa la loro Vessatorietà!!!!.

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13.La Tassatività delle Liste

Abbiamo detto in precedenza che l’ASSENZA DI TRATTATIVA costituisce il presupposto per individuare la disciplina di cui agli artt.33 e 38 del Cod. Cons. : Il “Giudizio di Vessatorietà” dunque concerne soltanto “le clausole non oggetto di Trattativa” come peraltro viene confermato dall’art. 34 c.4 Cod. Cons.A tale PRINCIPIO DEROGAT l’art. 36 c.2 Cod. Cons.. Si tratta di una norma eccezionale, che reca un elenco tassativo di clausole, suscettibile si interpretazione “estensiva” ma non “analogica”.

Ben più dibattuta invece, appare la Natura tassativa o meno, dell’elenco contenuto nell’art. 33 c.2. Cod. Cons. A tal proposito, cominciamo col dire che il sistema legislativo autorizza a ritenere vessatoria “qualunque Clausola che comporti un significativo squilibrio delle posizioni dei Contraenti”. Ciò in termini pratici significa, che ciò che non entra dalla porta intesa questa come la corrispondenza della clausola ad una delle ipotesi previste dall’elenco dell’art. 33 c.2 Cod. Cons. entra dalla finestra grazie alla regola o criterio generale del “Necessario Equilibrio” e della Buona Fede Oggettiva nel Contratto.Ritornando sulla “TASSATIVITA’ di tale elenco, possiamo cominciare col dire che si tratta sicuramente di un elenco Tassativo. L’EQUIVOCO nasce dalla circostanza che è pacifico che il Giudice possa dichiarare vessatorie Clausole c.d. “innominate” ovvero che non rientrano in quell’elenco, ma ciò solo per la ragione che abbiamo esposto prima. Ovvero il Giudice riscontra in ogni caso una Clausola che provoca un “significativo squilibrio” ed è in contrasto con la Buona Fede Oggettiva.Per concludere quindi, dobbiamo dire che senz’altro è tassativo l’elenco di cui all’art. 32 2c., e che anche per le Clausole della c.d. Lista Grigia è ammessa l’interpretazione “estensiva” ma non quella per “Analogia”.

N.B. Appr. Interpretazione: E’ possibile distinguere più forme di interpretazione: (approfond.)ESTENSIVA:L’interpretazione ESTENSIVA come dice la parola stessa, è quella che amplia il significato delle parole giuridiche, estendendone la portata ed ampliandone il Contenuto. P.S. Si ritiene cioè che la legge abbia detto meno di quanto il legislatore abbia voluto, e quindi paradossalmente con questo “ampliamento” si da alla legge il significato e la portata originaria.

ANALOGICA: Quando la legge non consente di risolvere un determinato caso, od una particolare controversia, si cerca di trovare la soluzione nelle leggi che riguardano casi simili o analoghi . Più precisamente, si cerca la soluzione nelle leggi che regolano casi simili o materie analoghe . Per questo caso poi si è espressa anche la Corte di Cassazione del 1969, la quale ha giustamente sottolineato che in nessun caso, qualora si tratti di disposizioni speciali di legge, qual è nel caso che a noi ci riguarda il Cod Cons., si da luogo ad un “Diritto Eccezionale” e come tale non suscettibile di interpretazione ANALOGICA.DE IURE CONDITO quindi nel nostro caso, l’equivoco può nascere dalla circostanza che si dice, come possono esservi Clausole vessatorie “innominate” e poi dire che è tassativo l’elenco di cui

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all’art. 33 c.2? La risposta è agevole, le Clausole innominate, non si “presumono vessatorie” come quelle di cui all’art. 33 c.2, il giudice semplicemente le dichiara Vessatorie in quanto provocano un “SIGNIFICATIVO SQUILIBRIO”, mentre per quanto riguarda le clausole di cui alla Lista Grigia queste possono essere interpretate in maniera estensiva!!!!!!. N. benissimo.

14.Le Clausole contemplate nell’Elenco

Vediamo ora di svolgere qualche considerazione sul Contenuto di Ciascuna clausola presente nelle liste.

artt. 36 c.2 lett. A) e 33 c.2 lett. A) C. Cons.: Tali lettere contemplano la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di escludere o limitare la responsabilità del Professionista in caso di morte o danno alla persona del Consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del Professionista.Ciò che va notato con riferimento a tali clausole è che vi è già l’art. 1229 c.2 del Cod. Civ. che stabilisce che è Nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore (o dei suoi ausiliari) costituisca violazione di “obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”: e secondo una “diffusa opinione” tra gli obblighi derivanti da norme di ordine pubblico, rientrerebbero gli obblighi inerenti alla salvaguardia della persona.Da un lato quindi queste lett. A degli artt. 33 e 36 del Cod. Cons. possono sembrare una ripetizione superflua, in realtà essendo inserite nel Cod. del Consumo, servono per evitare che ai sensi dell’art. 1419 la Nullità di queste Clausole possa travolgere l’intero Contratto, in quanto opererà al Contrario l’art. 36 c.1 in virtù del quale la clausola Nulla dichiarata vessatoria non vincolerà il Consumatore e soprattutto non travolgerà l’intero Contratto!.artt. 36 c.2 lett. B) e 33 c.2 lett. B) C. Cons.: Tali lettere prevedono la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di escludere o limitare le azioni o i diritti del Consumatore nei confronti del Professionista o di un’altra parte in caso d’ inadempimento totale o parziale da parte del professionista.Ciò che va notato è che fondamentalmente si tratta della clausola di limitazione o di esonero da responsabilità per INADEMPIMENTO e che, a differenza di quanto dispone l’art.1229 c.1 è Nulla anche se relativa alla sola responsabilità per “colpa lieve”, mentre nel 1229 c.1 è nulla solo se è per Dolo o Colpa Grave. N.b. Per quanto riguarda poi il riferimento, alle azioni ed ai diritti spettanti al Consumatore nei confronti di un’altra parte, in ipotesi di inadempimento del professionista, vi è chi ritiene che si tratti dell’AUSILIARE del Professionista.artt. 36 c.2 lett. C) e 33 c.2 lett. L)C. Cons.: Tali lettere prevedono la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di prevedere l’ estensione dell’adesione del Consumatore a Clausole che NON HA AVUTO MODO DI CONOSCERE PRIMA DELLA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO.A tal proposito, per quanto riguarda le “Condizioni Generali di Contratto”, le norme sembrano entrambe superflue trovando applicazione l’art.1341 c.1 (il quale stabilisce che le condizioni sono efficaci nei confronti dell’aderente, solo se questo le ha conosciute al momento della conclusione

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del Contratto o cmq avrebbe dovuto conoscerle utilizzando l’ordinaria diligenza); Lo stesso discorso vale per i “Moduli o i Formulari” dal momento che si ritiene che per questi trovi applicazione la disciplina di cui all’art. 1341 c.1.Ed anche nell’ipotesi di “Contratto predisposto dal Professionista per una singola operazione”, le norme in parola sembrano inutili, in quanto comunque urtano contro i Principi Generali che disciplinano la manifestazione di volontà(in altre parole manca l’Accordo ed è cmq nulla quella Clausola).Da notare infine, che l’art. 1341 fa riferimento alle “Condizioni Generali” che devono essere conosciute o conoscibili al momento della Conclusione del Contratto mentre tali lettere parlano di Clausole che devono essere conoscibili “PRIMA” della Conclusione del Contratto e secondo aspetto, nel 1341 1 c. tali “Condizioni Generali” devono essere conosciute o conoscibili usando l’ordinaria diligenza mentre nella norma in parola non prevede un simile dovere per il Consumatore e cioè di usare l’ordinaria diligenza per conoscere le Clausole!!!art.33 c.2 lett. C) C. Cons: Tale lettera contempla la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di escludere o limitare l’ opponibilità , da parte del Consumatore, della COMPENSAZIONE di un debito nei confronti del Professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo.Fondamentalmente si tratta di una ipotesi di c.d. pactum de non compensando. Tale norma si applica a tutte le clausole comunque dirette ad escludere o limitare la compensazione, legale e giudiziale. LEGALE , ope legis automaticamente, Giudiziale opposizione in giudizio. Legale (cose omogenee, sentenza dichiarativa) giudiziale (debito opposto non è liquido ma di pronta e facile liquidazione, sentenza costitutiva).art.33 c.2 lett. D) C. Cons: Tale lettera prevede la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di prevedere un “ impegno definitivo ” del Consumatore, mentre l’ esecuzione della Prestazione del Professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua Volontà. Sempre l’art.33 c.2 lett. V) si riferisce invece alla Clausola che abbia per oggetto o per effetto di prevedere l’alienazione di un Diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinate ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del Professionista a fronte di un obbligo del Consumatore, e fa salvo il disposto di cui all’art. 1355 Cod. Civ. (Mi assumerò quest’obbligo quando deciderò di farlo, Ti venderò questo Diritto quando vorrò io, in questo caso però a fronte di un obbligo che invece già investe il Consumatore!!!).In questo caso l’interprete si trova dinanzi ad un Rebus. Vi è chi ritiene che entrambe le norme facciano riferimento alla “condizione meramente potestativa”, nel primo caso Condizione “RISOLUTIVA”, cioè il Consumatore con quella Clausola assume l’impegno di pagare la fornitura, mentre il Professionista gli dice tu paga, avrai la fornitura quando vorrò io. Nel secondo caso invece si tratterebbe di una condizione “SOSPENSIVA”. Altri ancora ritengono che la prima norma sia compresa nella seconda, e cioè in entrambe si faccia riferimento alla condizione “Sospensiva”.Ciò che va detto è che in ogni caso, l’espressa salvezza dell’art. 1355 fa si che tali clausole siano comunque Nulle aldilà del Giudizio di vessatorietà almeno per quanto riguarda la lett. V.art.33 c.2 lett. E) C. Cons: Tale lettera prevede la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di “Consentire” al professionista di trattenere una somma di Denaro versata dal Consumatore se questi non conclude il Contratto o Recede da esso, senza prevedere il Diritto del Consumatore di esigere dal Professionista il DOPPIO della somma corrisposta se è questi a non concludere il Contratto oppure a Recedere.

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La norma fa riferimento alla c.d. “caparra penitenziale”, nonche alla caparra controfirmato ria versata all’atto della Conclusione del Preliminare in vista della stipula del Definitivo, nonché a tutte le dazioni di somme di denaro effettuate allo scopo di garantire la futura conclusione del Contratto. E’ dubbio, se alla Nullità della Clausola in esame faccia seguito l’eliminazione del Diritto del Professionista di trattenere la somma precedentemente versata dal Consumatore o invece il Diritto del Consumatore si esigere il doppio della somma stessa.art.33 c.2 lett. F) C. Cons: Tale lettera fa riferimento alla Clausola che abbia per effetto o per oggetto di imporre al Consumatore, in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di Denaro a “Titolo di Risarcimento”, “Clausola Penale” o altro titolo equivalente di importo manifestamente eccessivo .A tal proposito dobbiamo notare che mentre l’art. 1384 statuisce che la “Penale manifestamente eccessiva” può essere soltanto diminuita dal Giudice, la norma in esame invece stabilisce che tale clausola può essere dichiarata Nulla, in quanto presunta Vessatoria. In tale ipotesi peraltro rientra anche quella prevista dal 1526 2c. in cui sia convenuto che in caso di Risoluzione per Inadempimento, le rate pagate restano acquisite al Venditore a titolo di “Indennità”.art.33 c.2 lett. G) C. Cons: Tale lettera contempla 2 clausole: quella che ha per oggetto o per effetto di riconoscere al solo professionista, e non anche al Consumatore, la Facoltà di RECEDERE dal Contratti; e quella che ha per oggetto o per effetto di consentire al professionista di trattenere, in tutto o in parte, la somma versata dal Consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il Professionista a RECEDERE dal Contratto.Per quanto riguarda la Prima Clausola, si tratta di capire se il Giudice una volta dichiarata la vessatorietà elimini la Facoltà di Recesso al professionista oppure se attribuisca tale diritto anche al Consumatore.Per quanto riguarda la seconda, questa è singolare, in quanto si tratta puramente e semplicemente di una somma trattenuta come “indebito” con conseguente obbligo di restituzione della stessa.art.33 c.2 lett. H) C. Cons: Tale lettera prevede la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di consentire al Professionista di recedere dai “Contratti a tempo indeterminato”, senza un ragionevole preavviso , tranne che nel caso di “Giusta Causa” . In questi casi si ritiene che una volta pronunciata la Nullità della Clausola, il professionista può cmq RECEDERE dal Contratto ma dandone però un congruo Preavviso. Il PREAVVISO è ragionevole quando la “controparte Consumatore” è messa in condizione di adeguarsi ai mutamenti derivanti dalla cessazione del rapporto Contrattuale, in modo tale da eliminare o limitare i Danni derivanti dallo scioglimento dello Stesso.art.33 c.2 lett. I) C. Cons: tale lettera contempla la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del Contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la Proroga. Da notare che invece ai sensi dell’art. 1341 c.2, è comunque Vessatoria la Clausola che sancisce a carico dell’aderente “tacita proroga o rinnovazione” del Contratto. E’ dubbio se alla Nullità della Clausola prevista nell’art. 33 c.2 lett. I consegua che il Consumatore possa disdire in ogni momento il Contratto o invece lo possa fare secondo un termine congruo.art.33 c.2 lett. M) C. Cons: Tale lettera prende in considerazione la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di consentire al Professionista di “ modificare unilateralmente ” le Clausole del Contratto, oppure le caratteristiche del bene o del servizio da fornire, senza un GIUSTIFICATO

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MOTIVO, indicato nel contratto stesso. Fondamentalmente si tratta del c.d. ius variandi sulla cui legittimità, aldilà di determinate ipotesi quale quella nel Settore Bancario, si discute in Dottrina.art.33 c.2 lett. N) C. Cons: Tale lettera contempla la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di stabilire che il prezzo del bene o del servizio sia determinato dal Professionista al momento della Consegna del Bene o della prestazione del Servizio. Si pensi alla Clausola “del prezzo in vigore al momento della consegna”, molto diffusa nella prassi. In altre parole si vuole evitare che il Consumatore sia tenuto a corrispondere un prezzo a sorpresa da quello che ragionevolmente poteva aspettarsi all’atto della stipula del Contratto. E cioè il c.d. “EFFETTO SORPRESA”.Tale ipotesi suscita qualche perplessità in “ordine alla validità” del Contratto in quanto l’indeterminatezza o l’indeterminabilità dell’OGGETTO del Contratto comporta la Nullità dell’intero Contratto.E’ valida invece la Clausola per la quale il PREZZO del bene o del servizio viene si individuato al momento della Consegna del Bene ma “alla stregua di criteri oggettivi individuati nel Contratto” quale ad esempio la Clausola del “PREZZO A MISURA”.art.33 c.2 lett. O) C. Cons: Tale lettera prevede la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di consentire al professionista di aumentare il Prezzo del Bene o del Servizio, senza che il Consumatore possa RECEDERE , se però il prezzo finale è troppo elevato rispetto a quello originariamente convenuto. Anche in questo caso la norma vuole evitare che il Consumatore si trovi dinanzi ad un effetto sorpresa in quanto obbligato a pagare un prezzo diverso da quello che si aspettava. Si tratta di capire se in questi casi una volta accertata la Vessatorietà della Clausola, al Professionista non sia più consentito di aumentare il Prezzo del bene o del Servizio oppure al Professionista è consentito aumentare il Prezzo ma il Consumatore ha facoltà di Recesso!!!art.33 c.2 lett. P) C. Cons: Tale lettera contempla la Clausola che abbia per oggetto o per effetto di riservare al Professionista il potere di accertare la conformità del Bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel Contratto o conferirgli il Diritto Esclusivo di interpretare una qualsiasi clausola del Contratto. ???art.33 c.2 lett. Q) C. Cons: Tale lettera si riferisce alla Clausola che abbia per oggetto o per effetto di limitare la Responsabilità del Professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai Contratti stipulati in suo nome dai Mandatari o subordinare l’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità. Tale norma è “oscura”, più in particolare non si comprende se essa faccia riferimento al solo mandatario con rappresentanza o invece a qualsiasi intermediario cosi come stabilisce art. 3 c.1 C. Cons.art.33 c.2 lett. S) C. Cons: Tale lettera contempla la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di consentire al Professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal Contratto, anche nel caso di “consenso preventivo” del Consumatore, qualora ne risulti diminuita la tutela di questo. Tale norma ricomprende nel suo ambito di applicazione qualsiasi ipotesi di “sostituzione”: esempio “cessione del Contratto” “al Contratto per Persona da nominare”. Per quanto concerne “la diminuzione della tutela dei diritti del Consumatore” si pensi ad esempio alla sostituzione di un professionista che dia ampie garanzie di affidabilità o solvibilità con un altro che non offra le medesime garanzie.art.33 c.2 lett. T) C. Cons : Tale lettera prevede la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di sancire a carico del Consumatore: I) DECADENZE, II)Limitazioni alla facoltà di opporre ECCEZIONI, III) DEROGHE ALLA COMPETENZA DELL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA,

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IV)Limitazioni all’allegazione di PROVE, V)Inversioni o Modificazioni dell’onere della PROVA, VI) Restrizioni alla “Libertà Contrattuale” con i Terzi. Art.33 c.2 lett. R) C. Cons: contempla la causa che abbia per effetto o per oggetto di limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento da parte del Consumatore., “fattispecie peraltro che sarebbe potuta rientrare tranquillamente nell’ipotesi sub. 2 lett. T!!! Da notare che la lett. T dell’art. 33 c.2 riecheggia palesemente il disposto dell’art. 1341 c.2.art.33 c.2 lett. U) C. Cons: Tale lettera contempla la Clausola che abbia per effetto o per oggetto di stabilire come “foro competente” sulle controversie, LOCALITA’ diverse da quella di residenza o di Domicilio elettivo del Consumatore. Secondo l’opinione prevalente in dottrina, la norma non introduce un “foro legale esclusivo” del Consumatore e pertanto una volta dichiarata Nulla la Clausola sono operativi i Criteri di cui all’art. 18,19 e 20 del C.P.C. La Cassazione invece, dopo alcune oscillazioni, si è pacificamente orientata nel senso che la norma in esame introduce un foro esclusivo del Consumatore ( derogabile dalle parti in seguito ad una apposita trattativa) con esclusione di ogni altro foro, inclusi quelli facoltativi di cui all’art. 20 C.P.C.Infine l’art. 33 c.3 e ss. prevedono alcune deroghe a quanto statuito nel c.2, lett. H e M, con riguardo ai Contratti aventi ad oggetto la Prestazione di Servizi Finanziari, valori mobiliari e strumenti finanziari ed allae Clausole di indicizzazione dei Prezzi.

15.La Clausola “di scelta della Legge Applicabile”

Accogliendo l’interpretazione dell’art. 36 c.2 C. Cons. che abbiamo proposto in precedenza, e quindi anche per le 3 lettere che indica il 36 la Presunzione non è assoluta, in quanto è possibile fornire la prova contraria… l’unica Clausola che si presume vessatoria SENZA POSSIBILITA’ di prova Contraria è contemplata dal c.5 dell’art. 36 il quale stabilisce “è NULLA ogni Clausola Contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al Contratto di una legislazione di un PAESE EXTRA-COMUNITARIO, abbia l’effetto di privare il Consumatore della protezione assicurata dal presente Capo, laddove il Contratto presenti un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato Membro dell’Unione Europea”.Il legislatore italiano prevedendo il c.5 dell’art. 36 ha inteso attuare l’art. 6 par. 2 della DIR. “secondo cui gli Stati Membri prendono le misure Necessarie affinchè il Consumatore non sia privato della Protezione assicurata dalla presente Direttiva a causa della scelta della legislazione di un paese terzo quale legislazione applicabile al Contratto, laddove il Contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro”.Tratto peculiare di questa norme è che “la norma non prevede la Nullità delle Clausole Vessatorie inserite nel Contratto in cui vi è il richiamo alla legislazione di un paese membro”, essa invece prevede la Nullità della Clausola con le quali le parti hanno statuito l’applicabilità al Contratto della legislazione di uno stato EXTRA-COMUNITARIO, Nullità alla quale poi consegue l’applicabilità della normativa di uno Stato Comunitario e più precisamente quello con il cui territorio il Contratto presenta il collegamento più stretto) e quindi la Nullità delle Clausole Vessatorie inserite nel Contratto stesso. N.B. La Nozione di collegamento più stretto va individuata alla stregua dell’art. 5 della Conv. Di Roma del 1980Balza agli occhi immediatamente le incongruenze della norma, che così facendo non assicura sempre al Consumatore il livello di protezione adeguato.

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ESEMPIO: Così ad esempio, può accadere che il rinvio porti all’applicazione della normativa di uno Stato Comunitario, in virtù del collegamento più stretto, e tale stato comunitario comporti una tutela inferiore alla Disciplina italiana del Cod. del Consumo, resta applicabile la legge straniera; mentre qualora la legislazione del paese extra-comunitario sarebbe più efficace rispetto a quella del paese comunitario con cui vi è il collegamento più stretto del Contratto, ma nello stesso tempo inferiore a quella italiana la legge straniera non sarebbe applicabile.In ogni caso resta da segnalare che ai sensi dell’art. 143 c.2 C. Cons. laddove le parti abbiano scelto di applicare al Contratto una legislazione diversa da quella italiana, al CONSUMATORE DEVONO ESSERE COMUNQUE RICONOSCIUTE LE CONDIZIONI MINIME DI TUTELA PREVISTE DAL CODICE DEL CONSUMO”.Va segnalato infine, che se nel Contratto NON è PREVISTA una clausola in ordine alla legge applicabile, il contratto è regolato dall’art. 5 c.3 Conv. Di ROMA ed è quindi soggetto alla legge del paese in cui il consumatore ha la residenza abituale.

16.Il Cumulo dei Controlli “FORMALE E SOSTANZIALE”

Occorre comprendere e accertare se gli art. 33 e ss. del Cod Cons. e gli artt. 1341-1342 del Cod. Civ. trovino applicazione “cumulativamente o alternativamente”.Come sappiamo bene, abbiamo detto che la tutela che viene assicurata dagli art. 1341 e 1342 e una Tutela “Meramente Formale” e proprio per questo motivo è stata accolta con tanto entusiasmo la discplina di cui al Cod. del Consumo e soprattutto degli art. 33 e ss. in quanto prevede quelle che è un “Controllo Sostanziale” della Vessatorietà delle Clausole.Tra i rapporti intercorrenti tra le 2 diverse discipline sono state proposte diverse interpretazioni. I problemi sono nati dalla mancanza di “norme di coordinamento” tra il Cod. del Consumo e gli artt. 1341 e 1342 del Cod. Civ. O meglio le norme di coordinamento ci sono, basti pensare allo stesso art. 38 Cod. del Cons. il quale stabilisce che per quanto non previsto dal Codice stesso ai Contratti del Consumatore si applicano le disposizioni del Cod. Civile E allora taluno dice :Dal momento che il Cod. Cons. non prevede un “controllo frmale” delle Clausole Vessatorie ai Contratti del Consumatore si applicano gli artt. 1341 e 1342 C. C.Del pari però ai sensi dell’art. 1469-bis, così come novellato dall’art. 142 C. Cons. le disposizioni del Cod. Civ. che vanno dagli artt. 1321 al 1469 si applicano ai Contratti del Consumatore, solo quando però non sono derogate dal Cod. del Cons. ( o da altre disposizioni più favorevoli per il Consumatore). E quindi ugualmente si giunge alla stessa conclusione: Il cod. del Cons. non si occupa del Controllo formale e quindi non apporta alcuna deroga agli artt. 1341 e 1342 che si applicano ai Contratti del Consumatore.

Fondamentalmente quindi si tratta di stabilire se gli art. 1341 e 1342 , e la normativa sulle Clausole Vessatorie di cui al Cod. del Cons. si applica “alternativamente o cumulativamente”.???Per l’alternatività, in primo luogo, si è sostenuto che la Normativa sulle Clausole Vessatorie contenuta nel Cod. Cons. avrebbe ridisciplinato l’intera materia, con conseguente applicabilità dell’art.15 prel., secondo cui si ha abrogazione quando “ la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”.

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Infine sempre per l’alternatività, si è affermato che la nuova normativa del Cod. del Consumo sarebbe indice di incompatibilità con le disposizioni precedenti, e quindi sempre in virtù dell’art. 15 prel. Vi sarebbe stata abrogazione per incompatibilità.Altri ancora hanno invocato, oltre ai principi della successione delle leggi nel tempo, il criterio della specialità, per cui gli artt. 1341 e 1342 troverebbero applicazione soltanto ai Contratti stipulati tra soggetti che non rivestono la qualità di Professionista e Consumatore.

Questi assunti secondo il MINERVINI, non meritano Consenso anche perché comunque e in ogni caso i Professionisti continuano nel dubbio a far sottoscrivere espressamente le Clausole considerate vessatorie ai sensi dell’art. 1341 c.2.Secondo il Minervini, soprattutto non pare corretto sostenere che la Nuova normativa sui Consumatori, ovvero quella che viene dal COD. Cons. abbia regolato l’intera materia degli art. 1341 e 1342.Le 2 discipline infatti hanno un ambito di applicazione diverso: quella di cui agli art. 1341 e 1342 dal punto di vista SOGGETTIVO rientrando anche i Contratti che non sono stipulati necessariamente da un Professionista ed un Consumatore., Il cod. del Consumo invece ha un ambito di applicazione più ampio dal punto di vista OGGETTIVO facendovi rientrare anche i Contratti predisposti appositamente dal Professionista appositamente per una singola operazione!!!.Soprattutto fondamentalmente si è in presenza di una legge anteriore generale (artt. 1341 e 1342) e di una legge posteriore “Speciale” (Cod. Cons) con conseguente applicazione simultanea.Detto questo il Controllo Formale ed il Controllo Sostanziale, secondo il MINERVINI, possono agevolmente coesistere a Tutela degli Interessi del Consumatore.In conclusione quindi gli artt. 1341 e 1342 del Cod Cons, si applicano cumulativamente ai Contratti tra Professionisti e Consumatori.Da notare poi le somiglianze di molte Clausole Vessatorie ai sensi del 1341 c.2 e 33 c.2 del Cod Cons.

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CAPITOLO V

LA TUTELA COLLETTIVA

1.I RIMEDI DI TIPO “PREVENTIVO E INIBITORIO”

Con l’espressione “tutela collettiva” dei consumatori in materia contrattuale si intende fare riferimento a quei rimedi di tipo GENERALE, PREVENTIVO ed INIBITORIO, inerenti il fenomeno della contrattazione standardizzata nella sua dimensione astratta e collettiva: in altre parole si fa riferimento a quei rimedi fondati su di un controllo di natura collettiva improntato quindi a criteri generali e astratti, che si svolgono in una fase antecedente alla conclusione di un singolo contratto oppure a prescindere dalla sua conclusione.Pertanto quindi possiamo dire che si tratta d rimedi che per definizione si rivolgono verso il futuro piuttosto che al passato e che semplicemente hanno la funzione di evitare che dati atti lesivi degli interessi dei consumatori vengano ulteriormente posti in essere da un professionista nella dinamica contrattuale.Il codice del consumo si occupa diffusamente della tutela collettiva dei consumatori, dettando una serie di norme (in particolare gli artt. 37, 139 e 140) che hanno suscitato giudizi alquanto variegati tra i commentatori. Da un lato, una innovazione importante del codice del consumo è la sistemazione delle norme sull’accesso alla giustizia dei consumatori.

Possiamo cominciare sin da ora a dire che il legislatore italiano ha operato, in “tema di tutela collettiva del consumatore” una scelta differente rispetta a quella compiuta dal legislatore comunitario.Il legislatore comunitario ha posto al centro del sistema la dir 98/27/CE relativa ai “provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori”: tale disciplina si applica a

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qualsiasi atto contrario alle disposizioni delle direttive che regolano i vari settori del diritto dei consumatori in materia contrattuale e no.Il legislatore italiano invece ha delineato un sistema “bipolare” di tutela collettiva dei consumatori: -Da un lato vi sono gli artt. 139 e 140 c. cons. che nella logica del legislatore italiano prendo il posto della normativa 98/27/CE: questi recano la disciplina dell’azione inibitoria nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal codice del consumo. c.d.”inibitoria generalista”.-Dall’altro lato vi è l’art 37 c. cons. che reca la disciplina dell’azione inibitoria ma questa volta per una particolare ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori e cioè per l’ipotesi di inserimento di clausole vessatorie o abusive nelle “condizioni generali di contratto da parte del professionista” .PROBLEMATICHE: così facendo però il legislatore ha disatteso il parere reso dal consiglio di Stato il quale aveva opportunamente consigliato di incorporare nella disciplina dell’art 140 anche l’azione inibitoria oggi ospitata dall’art 37 c. cons.Non avendo seguito il suggerimento del consiglio di Stato, il legislatore ha dovuto inserire apposite norme per coordinare le discipline degli artt. 139 e 140 da un lato e 37 dall’altro. E così ad esempio il c. 4 art 37 stabilisce che, per quanto non previsto dall’art 37, alle azioni inibitorie esercitate dalle associazioni dei consumatori di cui all’art 137, si applicano le disposizioni dell’art 140 (e quindi succede che per quanto riguarda le azioni inibitorie esercitate dalle associazioni rappresentative dei professionisti e dalle camere di commercio, queste invece sostanzialmente rimangono sfornite di disciplina processuale essendo ad esse applicabili le sole regole dell’art 37!!!).

2.Il GIUDICE COMPETENTE

Ai sensi dell’art 37 c. 1 c. cons. “ le associazioni rappresentative dei consumatori di cui all’art 137, le associazioni rappresentative dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano o che raccomandano l’utilizzo di Condizioni Generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui si è accertata l’abusività ai sensi del presente capo.La norma non precisa se il giudice competente sia il giudice ordinario oppure il giudice amministrativo. Tuttavia a tal proposito in virtù del rinvio agli artt. 669 bis e ss. del c.p.c. disposto dall’art 37 c 2 c. cons. nonché dall’art 140 c 8 c. cons. non essendo concepibile un a divaricazione tra giudice del merito e giudice della cautela, tra inibitoria finale e inibitoria provvisoria, il giudice competente è il giudice ordinario. Più precisamente si tratta del tribunale del luogo ove il convenuto ha la residenza o il domicilio o la sede ai sensi degli artt. 18 e 19 c.p.c.Ai sensi del 37 c 4 invece, in virtù del rinvio all’art 140 cc 1 e 11 c. cons., il giudice competente sarà il giudice amministrativo in materia di SERVIZI PUBBLICI ai sensi dell’art 33 d.lgs. 80/1998. Concludendo sul punto sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di pubblici servizi così come individuati dall’intervento della corte costituzionale inclusa l’azione inibitoria dal momento che questa non rientra nel novero delle controversie concernenti rapporti di utenza con soggetti privati (anche se in qualche modo questa influisce e incide in via mediata sull’assetto dei rapporti stessi).

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3.LA LEGITTIMAZIONE “ATTIVA”.

l’art. 37 c.1 C. Cons., riconosce la legittimazione attiva alle Associazioni dei Consumatori di cui all’art. 137 del Codice stesso.Del pari l’art.139 c.1, stabilisce che le Associazioni dei Consumatori e degli Utenti nell’elenco di cui all’art.137 sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi dei Consumatori.

L’art. 3 c.1 lett. B) C. Cons. Reca la “definizione” delle associazioni dei consumatori: si intendono per Associazioni dei Consumatori e degli utenti “ le formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei Diritti e degli Interessi dei Consumatori ” .A tal proposito possiamo notare che l’art. 3 c.1 lett. B) richiede che lo “scopo statutario di tutelare i diritti e gli interessi dei Consumatori” sia ESCLUSIVO, escludendo quindi tutte le organizzazioni che accanto a finalità consumeristiche perseguano anche Finalità “culturali” “ambientali” “politiche” “sindacali” ecc.. Quindi tutte le attività dell’Associazione devono essere indirizzate al perseguimento dell’unico “scopo Consumeristico”.Ai sensi degli art. 37 c.1, 139 c.1 e 140 c.1, le Associazioni dei Consumatori e degli Utenti sono legittimate ad agire in giudizio, soltanto se siano inserite nell’apposito Elenco, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive (ora Ministero dello Sviluppo Economico). ,delle Associazioni dei Consumatori e degli Utenti rappresentative a Livello Nazionale ai sensi dell’art. 137 C. Cons.

Per quanto riguarda l’iscrizione nell’elenco, istituito presso il Ministero delle Attività produttive, delle Associazioni dei Consumatori e degli utenti rappresentative a Livello Nazionale, l’iscrizione ai sensi dell’art. 2 del Decreto del Ministro dell’Industria 19 Gennaio 1999 n.20 è subordinata di alcuni “RIGIDI REQUISITI”, che secondo il Legislatore servono a comprovare l’effettiva CAPACITA’ RAPPRESENTATIVA della categoria dei Consumatori a Livello Nazionale. Da tutto ciò però ne consegue, che il Ministero NON E’ TITOLARE di un potere discrezionale in tema di iscrizione della Associazione, o meglio ancora qualora questa avrà i requisiti richiesti dalla Legge avrà un Diritto Soggettivo Perfetto ad ottenere l’iscrizione al quale quindi corrisponderà un Atto Dovuto o Vincolato per il Ministero. N.B: A tal proposito si è parlato di una sorta di “Patentino di Rappresentatività” dell’Associazione.

Resta inoltre da ricordare che, l’art. 37 c.1, ma non l’art. 140 c.1 del Cod. Cons. attribuisce la legittimazione ad agire in giudizio anche alle Associazioni Rappresentative dei Professionisti ed alle Camere di Commercio, industria, artigianato ed agricoltura: Tuttavia di una statuizione che è destinata a rimanere “Law in Book” ove si pensi che ad oggi le Camere di Commercio hanno promosso 1 sola Azione inibitoria e le Associazioni rappresentative dei Professionisti nemmeno una.N.B.:Interessante è notare come e perché sia stata riconosciuta la legittimazione ad agire alle Associazioni rappresentative dei Professionisti. Ci si aspettava che queste avrebbero avuto un interesse a promuovere tali Azioni in relazione alla “CONCORRENZA” sleale del Professionista che tramite l’inserzione di Clausole Vessatorie nei suoi Contratti poteva sopportare meno costi e rischi e quindi essere più concorrenziale.

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N.B.:Un altro aspetto particolare poi riguarda la Circostanza che il Legislatore non abbia previsto dei Criteri idonei atti a stabilire la “Rappresentatività” dell’associazione di Professionisti. Quindi per queste Associazioni, spetterà alla Discrezionalità del Giudice appurare se queste siano sufficientemente rappresentative tenendo conto della consistenza numerica delle stesse, della diffusione sul Territorio, degli scopi che risultato dallo Statuto ecc..

Per quanto riguarda le Camere di Commercio, è il caso di aggiungere che la loro legittimazione attiva incontra soltanto limiti di carattere territoriale, cioè la stessa potrà esercitare i suoi poteri nell’ambito della circoscrizione territoriale di Competenza. Pertanto il “POTERE DI AGIRE IN INIBITORIA, spetta alla Camera di Commercio nel luogo in cui è radicata la Competenza territoriale Giurisdizionale.

4.La Legittimazione “PASSIVA”(37 c.1)

L’art. 37 c.1 C. Cons., riconosce la legittimazione passiva al professionista o all’Associazione di Professionisti che utilizzano o raccomandano l’utilizzo di Condizioni Generali di Contratto.Da notare, in questo caso che il Legislatore Comunitario nell’art. 7 par.3 della Dir 93/13/CE si era espresso diversamente in quanto riconosce legittimazione passiva non solo Al professionista o all’associazione di Professionisti, ma anche a Più Professionisti insieme e soprattutto non solo quando applicano le medesime Condizioni Generali di Contratto MA ANCHE QUANDO SONO SIMILI. N.B. L’art. 37 c.1 quindi sotto questo punto di vista comporterebbe una minor Tutela, e ciò renderebbe illegittimo l’art. 37 in quanto vi sarebbe un “Livello di Protezione” meno elevato rispetto a quello garantito dal Professionista!!!

Si badi Benissimo che l’AZIONE INIBITORIA è “sicuramente esperibile” anche nei confronti del Soggetto che “NON UTILIZZA” ma “MAGARI RACCOMANDA O IMPONE” l’adozione di determinate Condizioni Generali di Contratto! E quindi tanto l’Associazione di Professionisti quale ad esempio l’A.B.I., CHE IL “PRODUTTORE” nei casi di vendita attraverso catene di distribuzione integrata, come il franchising).

L’art. 137 C. Cons. invece “non pone alcuna limitazione alla legittimazione passiva” e quindi saranno legittimati passivi sia il singolo Professionista, che più Professionisti che le Associazioni di Professionisti.!!!.

5.L’Ambito di Applicazione.

Per quanto concerne l’ambito di Applicazione dell’Azione Inibitoria, l’art. 37 c.1 C. Cons. fa riferimento alle “ Condizioni Generali di Contratto” . Innanzitutto a tal proposito va detto che la Norma è applicabile, in virtù di un’elementare interpretazione estensiva, anche ai MODULI o ai FORMULARI.N.B:Ciò che invece non rientra nell’ambito di applicazione dell’Azione Inibitoria sono le “Clausole Contrattuali predisposte appositamente dal Professionista per una singola operazione”, d'altronde va notato che il fatto stesso che siano per l’appunto predisposte per una singola operazione, di per sé significa che se fosse altrimenti tutelerebbero “Interessi Individuali” e non Collettivi come richiede

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l’art. 139 quando espressamente sancisce che le Associazioni dei Consumatori agiscono a “Tutela di Interessi Collettivi”.

Un altro aspetto importantissimo, che in qualche modo va proprio a connotare il Fondamento del RIMEDIO INIBITORIO, è costituito dalla Circostanza che l’art. 37 c.1 “fa riferimento NON SOLO alla “Utilizzazione” ma anche alla “RACCOMANDAZIONE” di Condizioni Generali di Contratto. Ciò cosa comporta? Comporta che l’Azione Inibitoria può avere ad oggetto non solo le Condizioni Generali di Contratto “già utilizzate” dal Professionista, ma anche le Condizioni Generali di Contratto “predisposte e diffuse” ma “non ancora utilizzate” nella contrattazione con i Consumatori dal Professionista.Quest’aspetto è importantissimo, in quanto connota quello che è l’aspetto principale del “RIMEDIO INIBITORIO” che in un’ottica di Protezione del Consumatore dovrebbe operare impedendo che tali “Clausole Vessatorie” entrino a far parte del Contenuto Contrattuale “STANDARDIZZATO” prima ancora del verificarsi dell’illecito!!!!.

L’art.140 c.1 lett. A) invece non pone alcuna limitazione riguardo il suo ambito di Applicazione, in quanto parla genericamente di “ATTI” ( e quindi Contratti ma anche Atti non Negoziali) e di “COMPORTAMENTI” lesivi degli interessi dei Consumatori e degli Utenti L’Azione Inibitoria quindi assume un carattere GENERALIZZATO.

APPROFONDIMENTI:Un altro aspetto particolare, riguarda la circostanza che abbiamo appena detto che ai sensi dell’art. 37 l’Azione inibitoria si attaglia solo alle “Condizioni Generali di Contratto” ed essendo questo Rimedio volto a proibire, vietare qualcosa può far si solo che non si applichino più quelle Condizioni Generali di Contratto considerate Vessatorie, mentre ai sensi dell’art. 140 avendo l’inibitoria come ambito di applicazione anche un “COMPORTAMENTO” che a sua volta potrà essere sia “OMISSIVO” che “COMMISSIVO” , l’inibitoria potrà avere sia un “contenuto negativo (ordine di non fare) che un Contenuto Positivo (ordine di fare). Così il Trib. Di Torino del 2002.Ciò a sua volta comporta che ai sensi dell’art. 37 C. Cons., in sede di inibitoria è possibile far valere la Vessatorietà delle Clausole, ma “non la Mera non Trasparenza DELLE STESSE” Tuttavia essendo ai sensi dell’art. 2 c.2 C. Cons. consacrato il diritto alla “CORRETTEZZA, TRASPARENZA ED EQUITA’ al Consumatore nei rapporti Contrattuali, sarà possibile seppur ai sensi degli artt. 139 e 140 l’ammissibilità di un’azione Inibitoria con riferimento alle c.d. “Clausole a sorpresa” o di “Non trasparenza” o ancora “Non eque” essendo queste un diritto che il Consumatore legittimamente può vantare nei Rapporti Contrattuali!!!. N.BENISSIMO!!!

6.L’Accertamento della Vessatorietà

Ai sensi dell’art. 37 c.1 C. Cons., il Giudice inibisce l’uso delle “Condizioni Generali di Contratto” di cui sia “accertata l’abusività ai sensi del presente capo”.Detto questo, quindi per l’interprete si pone il “Problema” di comprendere quali siano i “Criteri” da applicare al fine di accertare l’Abusività o Vessatorietà delle Clausole.

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Detto questo quindi occorre accertare se i “Criteri di Valutazione” della Vessatorietà di cui all’art. 34 c.1 C.Cons. siano utilizzabili dal giudice per accertare la Vessatorietà delle Condizioni Generali di Contratto.A tal proposito, è chiaro che per chi opta per un’interpretazione meramente letterale dell’art.37 dovrebbe rispondere in maniera affermativa al quesito.In realtà, tale soluzione non convince in quanto in un procedimento di tipo “generale, preventivo ed astratto” qual è l’Azione Inibitoria, non possono assumere rilevanza elementi di “specificità” e di “concretezza” collegati al singolo Contratto. ’Nsomm, qualora le Condizioni Generali di Contratto, siano sottoposte “preventivamente” ad un controllo per l’appunto “preventivo”, viene meno di per sé la praticabilità di un esame esteso alle circostanze di specie ed anzi l’astrattezza di per sé osterebbe a tale riscontro.Pertanto accade che , nell’ambito del Procedimento Inibitorio, l’interprete per valutare la Vessatorietà di una Clausola, non può utilizzare quei criteri contemplati dall’art.34 c.1 che fanno riferimento ad elementi di specificità del “singolo Contratto”.Detto questo ad Esempio sicuramente non sarà applicabile, ai fini del giudizio di Vessatorietà, il criterio di cui all’art. 34 c.1 che fa riferimento “alle circostanze esistenti al momento della Conclusione del Contratto”.Al contrario invece, sarà sicuramente utilizzabile il Criterio che fa riferimento “alla natura del Bene o del Servizio oggetto del Contratto”.Discorso diverso invece, merita il terzo criterio di cui all’art. 34 c.1 e cioè quello che rinvia “alle Altre Clausole del Contratto o di altro Contratto collegato o da cui dipende”. In questo caso sicuramente sarà inapplicabile il Criterio che rinvia alle Clausole di un altro Contratto Collegato o da cui Dipende, mentre secondo l’opinione prevalente, tale criterio sarà utilizzabile nella parte in cui rinvia alle altre Clausole del Contratto stesso ( purché però si badi bene, si tratti di Clausole inserite nelle medesime Condizioni Generali di Contratto).

Continuando ad esaminare i parametri cui il Giudice deve e/o può attenersi in sede di Azione inibitoria quale Rimedio preventivo, generale ed astratto particolare attenzione meritano le “Clausole” o “regole Generali” di cui agli artt. 33.Cominciamo col dire che è sicuramente utilizzabile la “Regola Generale” del “Significativo squilibrio” contrario a Buona Fede OGGETTIVA. Ovviamente però in sede di inibitoria, la “BUONA FEDE OGGETTIVA” dovrà essere valutata non in relazione all’interesse del singolo Consumatore, ma in riferimento all’interesse “collettivo” della Categoria dei Consumatori. N.B:Tuttavia a tal proposito va segnalato che la “Giurisprudenza” sembra di segno contrario in quanto sostiene che la Buona Fede non è utilizzabile in sede di Inibitoria.Per quanto riguarda invece sia la “LISTA GRIGIA” che la “LISTA NERA” , vi è da riscontrare che la Giurisprudenza attinge a piene mani e cosi anche per quanto concerne l’art. 36 c.5 con riguardo al fenomeno del “law shopping”, e così anche per quanto riguarda le norme inerenti la “Trasparenza” e cioè artt. 34 c.2 (… purché siano individuati in modo chiaro e comprensibile..) e 35 c.1 (clausole devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile).N.b: In sede di inibitoria non è possibile invocare l’esimente della “Trattativa individuale” di cui agli artt. 34 c.4 e 5 Cod. Cons.

7.L’Interpretazione (contro l’autore della Clausola? 35 c.2 e c.3)

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L’art. 35 c.2 C.Cons. stabilisce che “in caso di dubbio sul senso di una Clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al Consumatore”.Lo stesso art. 35 al c.3 però precisa che “la disposizione di cui al 2 c. non si applica nei casi di cui all’art. 37 ”. Cominciamo col dire che in questo caso il Legislatore si è attenuto perfettamente alle indicazioni dell’art. 5 della Dir. 93/13/CE.Ciò che invece va notato, è invece N.B. che introducendo il c.3 in virtù del quale in sede di INIBITORIA non si procede ad una interpretazione della Condizione Generale di Contratto dubbia CONTRO l’autore della Clausola, ha fatto sì che l’Azione INIBITORIA fosse ancora più incisiva, in quanto è chiaro che per i Consumatori sarà più vantaggioso che il Giudice una volta appurato che una Clausola è dubbia la RIMUOVA, anziché che questa diventi Clausola di Contratto Standardizzato ma con interpretazione contro l’autore della Clausola, e quindi il Professionista.Detto questo però, va rilevato che l’art. 35 c.3 non risolve ogni problema, in quanto occorre stabilire come il Giudice in sede di Inibitoria debba procedere per interpretare le Condizioni Generali di Contratto?!?A qualcuno sembrerebbe ovvio rispondere che il Giudice seguirà le consuete regole del Codice inerenti alla interpretazione “oggettiva” del Contratto, ma aspetto curioso ed interessante, e che facendo questo, il Giudice in un certo modo incapperebbe nell’art.1367 del Cod. Civ. il quale prevede che nel DUBBIO il Contratto o le Clausole del Contratto “devono essere interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché quello per cui non ne avrebbero alcuno”(c.d. Principio di Conservazione del Contratto). Detto questo quindi, non resta altro che leggere l’art. 37 c.3 come se dicesse “nel Dubbio sul senso di una Clausola, prevale l’interpretazione più sfavorevole al Consumatore, affinché il Giudice giunga all’inibitoria della Clausola di dubbia interpretazione, perché ritenuta vessatoria!!!.,

8.L’Inibitoria Cautelare.

Il Legislatore Italiano disciplina, accanto all’Inibitoria Finale o Definitiva (che viene pronunciata con Sentenza), l’Inibitoria Cautelare o Provvisoria.Per essere più precisi, l’art.37 c.2 C.Cons. statuisce che “l’inibitoria può essere Concessa, quando ricorrono “ GIUSTI MOTIVI ” ai sensi dell’art. 669-bis e ss. c.p.c. ”.Un contenuto pressoché identico ha l’art.140 c.8 C.Cons. ai sensi del quale “nei casi in cui ricorrano “ GIUSTI MOTIVI D’URGENZA ” l’azione Inibitoria si svolge a norma degli artt. 669- bis e ss. c.p.c.”.

DISCUSSIONE: l’Attenzione degli studiosi si è incentrata sul significato da attribuire all’espressione “giusti motivi d’urgenza”(essendo pacifico che l’inibitoria Cautelare può essere proposta soltanto dai legittimati a proporre l’inibitoria finale). I “Giusti Motivi d’Urgenza” costituiscono un presupposto alquanto generico, che deve essere riempito di contenuto da parte dell’interprete.L’aggettivo “GIUSTI” allude al Fumus Bonis Iuris, mentre i “MOTIVI DI URGENZA” richiamano alla mente il periculum in mora.

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Il Nocciolo del Problema è costituito dalla circostanza, che premesso che l’inibitoria cautelare è sostanzialmente sussumibile all’interno della categoria dei “Provvedimenti d’urgenza” ex art. 700 del Cod. Civ., va accertato se i Motivi di Urgenza di cui all’art.37 e 140 possano essere considerati un “sinonimo” di “pregiudizio grave ed irreparabile”.A tale quesito va data senza dubbio risposta negativa: Il legislatore cioè parlando di “Motivi d’Urgenza” anziché “pregiudizio grave ed irreparabile”, ha voluto abbassare la SOGLIA DI ACCESSO alla “Tutela Cautelare” in quanto i “Motivi di Urgenza” rappresentano sicuramente qualcosa in meno rispetto al “Pregiudizio grave ed irreparabile”.

A ciò però bisogna aggiungere che anche l’indagine in “ordine ai motivi di urgenza è alquanto Delicata e Complessa, e non ammette “scorciatoie”.Ad esempio, qualcuno ha affermato che il “Periculum in Mora” sarebbe in re ipsa, proprio con riferimento al fenomeno che le Condizioni Generali di Contratto devono regolare. Si dice cioè dal momento che il o i Professionisti possono utilizzare tal Condizioni Generali di Contratto, standardizzandole e quindi veicolare Clausole Vessatorie nei rapporti con i Consumatori, vietate dalla legge, o ancira continui a compiere atti lesivi dell’interesse dei Consumatori ad una Contrattazione corretta, trasparente ed equa, la sussistenza del periculum in mora sarebbe già stata valutata positivamente dal legislatore attraverso la tipizzazione della misura cautelare in esame!!!!Tale interpretazione, seppur lodevole, in quanto animata dall’intento di favorire la Tutela dei Consumatori non può essere condivisa in quanto il legislatore espressamente “ richiede la sussistenza dei Motivi d’urgenza ”.

Altri ancora, invece argomentano con una tesi completamente diversa per cui l’indagine in ordine alla sussistenza dei motivi d’urgenza va condotta alla luce del Principio secondo cui l’inibitoria finale è la regola, mentre l’inibitoria cautelare sarebbe solo l’eccezione da considerarsi applicabile solo in ipotesi del tutto eccezionali.Anche tale interpretazione è assolutamente da “ ESCLUDERE” sia perché NON ESISTE UN Principio di questo genere e poi anche e soprattutto perché,proprio per quelli che sono i Lunghi tempi del Processo l’Inibitoria Cautelare assume un Ruolo Primario dal momento che come dice il MINERVINI viene e verrà “utilizzata sempre di più”.

N.Benissimo E’ opportuno precisare, che nella valutazione della “sussistenza dei motivi d’urgenza”, il Giudice non deve tener conto della gravità delle conseguenze per il Singolo Consumatore che magari verrebbe a stipulare un Contratto contenente Clausole Vessatorie oppure un Contratto contrastante con le regole della Correttezza, trasparenza ed equità, BENSI’ della gravità dell’inquinamento dell’ambiente Commerciale da parte delle Condizioni Generali di Contratto recanti Clausole Vessatorie oppure da parte degli “atti” o dei “comportamenti” del Professionista lesivi degli interessi dei Consumatori!!!!. Anche perché il singolo Consumatore, può trovare tutela in maniera “individuale” innestando un’azione diretta alla dichiarazione di Nullità di Clausole Vessatorie, al Risarcimento dei Danni, alle restituzioni ecc.), l’interesse che deve essere tutelato invece è quello “ collettivo ” dei Consumatori ad una contrattazione corretta, trasparente, equa ed immune da Clausole Vessatorie. Tale interesse “COLLETTIVO” non si presta ad essere valutato in termini di “pregiudizio grave ed irreparabile”, insuscettibile cioè di

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riparazione economica e non a caso infatti il Legislatore ha richiesto i “Giusti Motivi di Urgenza”.

Osservato questo, quindi il MINERVINI sottolinea proprio l’erroneità di quella Giurisprudenza che ritiene ad esempio che il Giudice debba prendere in considerazione ai fini della sussistenza dei “giusti motivi d’urgenza” le concrete ripercussioni che possono verificarsi nella sfera dei singoli Consumatori a causa di una Tutela non sollecita. N.b Se così fosse saremmo davanti ad una semplice tutela cautelare del Singolo Consumatore!!! Ed invece qui si tratta di una TUTELA INIBITORIA GENERALE PREVENTIVA ED ASTRATTA.

Vediamo quindi di individuare le “Ragioni di Urgenza” che aprono la strada alla tutela Cautelare inibitoria.Abbiamo detto che si tratta per definizione di assicurare, ai e non al singolo Consumatore una Contrattazione Corretta, trasparente ed equa che potrebbe essere pregiudicata dalla eccessiva durata del giudizio(PERICULUM IN MORA) finalizzato alla concessione della INIBITORIA FINALE.L’interprete deve tener conto di una pluralità di elementi:-L’ampiezza della Diffusione, anche solo potenziale del Contratto Standard configgente con le regole della Trasparenza, Correttezza ed Equità o contenente le Clausole Vessatorie, e quindi il numero di Contratti che verranno prevedibilmente stipulati;-La dimensione, la natura e l’importanza dell’attività in questione;-La rilevanza economico sociale del tipo di Contrattazione;-Le condizioni del Mercato (concorrenza perfetta, oligopolio, monopolio ecc.)N.b: Chi aderisce, per l’adesione a questi elemento quindi ritiene che il Giudice debba valutare la rilevanza “quantitativa” degli interessi in gioco e quindi dal grado di “potenziale diffusione” nel Mercato del Contratto contrastante con le regole della correttezza, trasparenza ed equità o contenente le Clausole Vessatorie.Minervini a tal proposito quindi sottolina che coglie nel segno, chi afferma che la formula dei “Motivi d’urgenza” è finalizzata ad isolare quelle situazioni nelle quali, per l’autorevolezza del Professionista e/o per l’ampiezza del numero dei destinatari del Contratto Standard, l’attività del Professionista assume carattere di particolare, grave pericolosità per gli Interessi dell’intera categoria dei Consumatori!!!

Altra parte della Giurisprudenza invece, aderisce alla c.d. “rilevanza Qualitativa ” degli interessi in gioco, sostenendo quindi che i “Motivi d’Urgenza” andrebbero ancorati ad elementi di tipo !qualitativo” come la natura ESSENZIALE del Bene o del Servizio Oggetto del Contratto oppure dell’interesse o del diritto del Consumatore che il Bene o il Servizio è diretto a soddisfare.Secondo il Minervini, tale linea di pensiero, nonostante anche questa abbia avuto riscontro in parte della Giurisprudenza, non merita Consenso, in quanto il riferimento all’essenzialità del bene o del Servizio o dell’interesse o del Diritto non trova alcun collegamento col Dato normativo: peraltro l’art.2 c.2 riconosce (sempre come) fondamentale il Diritto del Consumatore ad una Contrattazione corretta, equa e trasparente e ne consegue quindi che aderendo alla rilevanza “qualitativa” degli interessi in gioco giungeremmo alla paradossale conclusione che “i motivi d’urgenza sussistono sempre!!!!”.

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Prima di concludere, dobbiamo aggiungere che ai fini della “Inibitoria Cautelare” il pericolo, , oltre ad essere grave , deve essere Attuale ! Sotto questo punto di vista, quindi occorre sottolineare come vi siano delle ipotesi in cui i “Motivi d’urgenza”, non sussistono in quanto ad esempio il Contratto Standard è stato predisposto, ma non utilizzato né risulta che vi sarà un impiego imminente! Questo proprio perché l’interesse Collettivo non rischierebbe di essere pregiudicato o messo in pericolo dalla durata del giudizio finalizzato alla Concessione dell’Inibitoria Finale; o ancora quando l’utilizzazione del Contratto Standard sia stata sospesa in attesa della pronunzia del Giudice!!!.

9.Le “Misure idonee”

L’art.37 C.Cons “non contempla strumenti di attuazione del Provvedimento Inibitorio”, nello stesso tempo peraltro non sembra neppure applicabile l’art. 2599 “che attribuisce al Giudice il potere di disporre accanto l’inibitoria in se considerata, “gli opportuni Provvedimenti”.Detto questo quindi, deve escludersi che il Giudice possa ai sensi dell’art. 37 e 2599, dare al Provvedimento Inibitorio un “contenuto positivo”, indicando al Professionista gli accorgimenti opportuni per modificare una Clausola Vessatoria o per rendere comprensibile una Clausola oscura, e specificare in quali forme il Provvedimento inibitorio deve essere attuato.

Tuttavia a questa lacuna, pone rimedio l’art. 140 c.2 lett. B) in quanto la norma prevede che “Il Giudice possa, su richiesta dell’Associazione, “ adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti Dannosi delle Violazioni Accertate”.Il legislatore quindi inquesta maniera è come se avesse previsto uno strumento di attuazione del Provvedimento Inibitorio, definitivo o cautelare, analogo a quello contemplato dall’art.2599.Tuttavia tale ricostruzione non è affatto pacifica, tanto è vero che con riferimento alle “misure idonee” contemplate dall’art. 140 si parla addirittura di un vero e proprio “oggetto misterioso”.-Abitualmente, si parla delle “Misure Idonee” come di misure ripristinatorie, restitutorie, riparatorie o reintegratorie Misure cioè che sarebbero dirette a ripristinare la situazione precedente alla Violazione, ripristinando quindi lo status quo ante.

-Altri autori invece, prendono spunto dal riferimento dell’art.140 delle misure idonee atte a correggere o eliminare “gli EFFETTI DANNOSI” delle Violazioni Accertate, e sulla base di questo riferimento riconducono la norma al Risarcimento del Danno. Secondo il MINERVINI tale interpretazione non merita Consenso, in quanto sia la Dottrina che la Giurisprudenza respingono tale accostamento e sottolinea come in ogni caso anche se così fosse comunque il Risarcimento NON dovrebbe spettare all’Associazione, bensì al Singolo Consumatore danneggiato dalla Violazione.

Altro “problema dibattuto” è quello del Rapporto corrente tra l’inibitoria e le Misure Idonee.-Ciò dipende dalla circostanza che alcuni autori leggono le lettere a e b del c.1 dell’art. 140 separatamente e ritengono quindi che le “MISURE IDONEE” non avrebbero una funzione ancillare dell’Inibitoria, intese cioè quali strumenti di attuazione di questa.

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Cioè l’azione che l’Associazione dei Consumatori promuoverebbe ai sensi dell’art. 140 lett. B, avrebbe un carattere successivo, e non preventivo come in ipotesi di Inibitoria. ergo, le misure idonee potrebbero essere richieste o contestualmente all’inibitoria o anche a prescindere da questa!!Così però sorge il Problema se le misure idonee, possano essere chieste “in via d’urgenza”, dato che la lett. B del 140 fa riferimento a violazioni GIA’ Accertate???. Tale tesi è stata respinta, e soprattutto non ha nemmeno ragione di porsi per chi sostiene che le “Misure Idonee” siano uno strumento di Attuazione dell’Inibitoria e quiindi sostengono che è evidente che come l’nibitoria, così anche “le Misure idonee” possano chiedersi in via d’urgenza!!!.

Per Chiudere, è invece pacifico il carattere “atipico o innominato” delle c.d. “Misure Idonee”, nel senso che il Giudice volta per volta potrà tenere conto delle peculiarità del Caso Concreto; le stesse così, potendo assumere i contenuti più vari, danno vita ad una ricca gamma di Rimedi a favore delle Associazioni dei Consumatori.

10.Le “Misure Coercitive indirette”.

Un'altra importante lacuna che presenta l’art. 37 C. Cons è costituita dalla circostanza che questo NON prevede “Misure Coercitive Indirette”, che invece peraltro in un settore così delicato come questo, prevedono gli altri ordinamento stranieri e l’ordinamento Comunitario per primo ai sensi dell’art.2 par.1 lett. C) Dir. 98/27/CE.Tale assenza è ancora più grave, laddove si considera che il “Provvedimento Inibitorio” ai sensi dell’art. 37 è secondo l’opinione prevalente “incoercibile, insuscettibile cioè di esecuzione forzata in forma specifica.L’inottemperanza del Professionista al provvedimento inibitorio, comporta soltanto l’applicazione, peraltro problematica, dell’art. 388 C.P (Mancata esecuzione “dolosa” di un Provvedimento del Giudice). o secondo altri art. 650 C.P(Inosservanza dei Provvedimenti dell’Autorità).La dottrina sotto questo punto di vista, ha sottolineato come il “soddisfacimento della pretesa dell’Associazione dei Consumatori dipende essenzialmente dalla Volontaria Ottemperanza del Professionista, colegata essenzialmente alla necessità dello stesso di evitare il Discredito nell’ambiente Commerciale”!!!!.

Tuttavia la lacuna rappresentata dall’Assenza di misure Coercitive indirette dell’art. 37, viene colmata dall’art. 140 c.7 del Cod. Cons. il quale stabilisce che “con il Provvedimento che definisce il giudizio di cui al c.1, il Giudice fissa un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti e , anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da Eur. 516 a Eur. 1032, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del Fatto. In caso di inadempimento degli obblighi risultanti dal “Verbale di Conciliazione” di cui al c.3, le parti possono adire il Tribunale con Procedimento in Camera di Consiglio affinchè, accertato l’inadempimento disponga il pagamento di dette somme. Tali somme sono versate all’entrata del Bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, al fondo da istituire nell’ambito di apposita unità previsionale di base dello Stato di previsione del Ministero delle Attività Produttive, per finanziare iniziative a vantaggio dei Consumatori”.

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Tale norma quindi, mira a colmare la lacuna dell’art. 37, introducendo una “disciplna sanzionatoria” dell’inosservanza degli obblighi stabiliti dal Provvedimento Inibitorio da parte del Professionista, garantendo così l’effettività dell’esecuzione del Provv. Inibitorio.N.B: Un aspetto peculiare che va osservato è che il giudice dispone detti pagamenti, anche su domanda dell’Associazione dei Consumatori, pertanto il Giudice può agire anche “d’ufficio”!!!.-Ancora, possiamo osservare, che la misura indiretta coercitiva di cui stiamo parlando, non ha “finalità risarcitorie e/o riparatorie”, bensi delle finalità “Punitive”.-Ancora, possiamo notare che il Giudice, stabilirà l’ammontare della somma di Denaro che va dai 516 Eur ai 1032 in relazione alla “gravita del fatto” e cioè alle conseguenze dell’inadempimento del Provv. Inibitorio.-E poi un’ultima chicca è rappresentata dalla circostanza che l’art. 140 al c.7 fa riferimento al “provvedimento che definisce il Giudizio di cui al c.1” ovvero “inibitoria finale” e “non cautelare di cui al c.8” e così alcuni studiosi hanno paventato la possibilità che l’inibitoria Cautelare non possa essere accompagnata da tale Misura Coercitiva Indiretta!!! Tuttavia, sembra ovviamente preferibile NON accogliere tale interpretazione in quanto finirebbe col “vanificare le Ragioni che stanno alla base del’inibitoria Cautelare”, che richiedendo un Urgenza, si risolverebbe in un Nulla non potendo incentivare l’immediato adempimento del Professionista!!!!

11.La “Pubblicazione del Provvedimento Inibitorio”.

l’art. 37, c.3 C.Cons. detta una previsione, questa volta ignota alla DIR. 93/13/CE del seguente tenore letterale “il Giudice può ordinare che il Provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui 1 almeno a diffusione Nazionale”.Dal canti suo invece, l’art 140 c.1 lett. C) reca una disciplina analoga ma non identica e dice: “le Associazioni dei Consumatori sono legittimate ad agire a Tutela degli Interessi Collettivi, richiedendo al Tribunale “di ordinare la Pubblicazione del Provvedimento su uno o più Quotidiani a diffusione Nazionale oppure Locale nei casi in cui la Pubblicità del Provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle “violazioni accertate”.Cominciamo col dire che entrambe le Norme, prevedendo la Pubblicazione del Provvedimento Inibitorio , “rafforzano e amplificano” gli effetti del provvedimento stesso. La Pubblicazione infatti è un rimedio volto a scongiurare l’inserzione delle Clausole Vessatorie nei Contratti Standard, ovvero più in generale il compimento di “Atti” e/o “Comportamenti” lesivi degli interessi dei Consumatori, in quanto fa leva sul discredito commerciale che la conoscenza del Provvedimento può determinare in danno del Professionista, che solitamente è attento a salvaguardare la propria immagine.-E’ pressoché pacifico che la Pubblicazione possa seguire sia un “Provvedimento inibitorio definitivo” che un “Provvedimento inibitorio Cautelare”.-Ancora, una interpretazione estensiva di entramebe gli artt. Induce a ritenere che la Pubblicazione può avvenire anche con Modalità Diverse, come ad esempio mediante il Ricorso a mezzi “radiotelevisivi o informatici”.-Ultimo tratto peculiare, è costituito dalla circostanza che l’art.140 consente la Pubblicazione “soltanto nei casi in cui la Pubblicità del Provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle Violazioni accertate” A tal proposito la Dottrina parla della

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Pubblicazione come di una “Misura Idonea” in chiave di tutela “restitutoria o reintegratoria”. Nulla di ciò invece è previsto nell’art.37.

12.La Conciliazione

L’art.140 cc. 2,3 e 4 C.Cons. stabilisce che “ le Associazioni di cui al c.1, nonché i soggetti di cui all’art.139 c.2, possono attivare, prima del Ricorso al Giudice , la Procedura di Conciliazione dinanzi alla Camera di Commercio, industria, Artigianato e Agricoltura competente per territorio, nonché agli altri Organismi di composizione extra-giudiziale per la composizione di Controversie in materia di Consumo a norma dell’art. 141 . La Procedura è, in ogni caso definita entro 60 gg., ed il “PROCESSO VERBALE” di CONCILIAZIONE sottoscritto dalle Parti, è depositato per l’OMOLOGAZIONE nella Cancelleria del Tribunale del luogo in cui si è svolto il Procedimento di Conciliazione”.IL verbale omologato costituisce Titolo Esecutivo.L’art.140 c.6 aggiunge che “il soggetto al quale viene chiesta la Cessazione del Comortamento lesivo ai sensi del c.5, o che sia stato chiamato in giudizio ai sensi del c.1, può attivare la “Procedura di Conciliazione” di cui al c.2 senza alcun pregiudizio per l’Azione Giudiziale da avviarsi o già avviata.La favorevole conclusione, del Procedimento di Conciliazione, viene valutata ai fini della Cessazione della Materia del Contendere”.

-L’art. 140 cc.2,3,4 e 6 è finalizzato a facilitare l’accesso alla giustizia delle Associazioni dei Consumatori in forme alternative al processo vero e proprio, che sono più celeri e soprattutto meno costose. Il Legislatore quindi persegue anche l’obiettivo di deflazionare in qualche modo la Giustizia ordinaria in un settore carico di Contenzioso qual è questo.-Dall’altro lato, l’espressa Previsione del Procedimento di CONCILIAZIONE apre la strada dell’ampliamento della autonomia privata in materia dei Diritti del Consumatore. Ric. Transazione.(Si discuteva della natura indisponibile degli Int. Coll. Di cui è portatrice l’Ass. dei Cons.).-Qualche problematica poi può nascere in relazione al Procedimento di Conciliazione o meglio alla Conciliazione Vera e Propria e l’art. 143 c.1 Cod. Cons., il quale stabilisce che i diritti attribuiti da questo Codice al Consumatore sono Irrinunciabili. Quindi questo problema può essere superato, solo se si ritiene che questa norma sia rivolta al solo Consumatore e non all’Associazione dei Consumatori. Detto questo resta da sottolineare, come il “Procedimento di Conciliazione” dlineato dal Cod. Cons. mediante gli artt. 140 c.2,3,4, e 6 sia “FACOLTATIVO” E NON OBBLIGATORIO.-Ancora da notare vi è che il Procedimento di Conciliazione promosso dall’Associazione dei Consumatori ha carattere preventivo, nel senso che non può essere proposto una volta che sia stato instaurato il Giudizio. MENTRE nel caso del Professionista, questo può essere sia preventivo che Successivo in quanto ai sensi del c.6 lo stesso può promuovere il “Proc. Di Conciliazione” sia nel momento in cui gli sia stata ancora chiesto solo “stragiudizialmente” la Cessazione del Comportamento, che ai sensi del c.1 e quindi nel momento in cui sia già stato Convenuto in Giudizio.-Ancora, ovviamente anche il “Procedimento di Conciliazione” ha ad oggetto le sole controversie collettive, pertanto non può essere attivato dal singolo Consumatore.

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-La “Procedura di Conciliazione” va attivata “dinanzi alla Camera di Commercio, industria, artigianato e Agricoltura competente per territorio. Normalmnte è competente la Camera di Commercio del luogo ove il Professionista ha la sede.-Per quanto riguarda la durata della Procedura di Conciliazione l’art.140 c.2 stabilisce che “La Procedura è, in ogni caso, definita entro 60 gg”. Tale termine è prorogabile e decorre dalla presentazione della Domanda di Conciliazione. In ogni caso è pacifico che decorso inutilmente il termine di 60 gg., le parti possano agire in giudizio.N.B: a tal proposito va aggiunto che il legislatore non ha previsto l’improcedibilità dell’Azione Giudiziaria, durante lo svolgimento della procedura di Conciliazione. Anzi l’art. 140 al c.6 prevede che l’attivazione della procedura di Conciliazione da parte del Professionista non arreca alcun pregiudizio per l’azione giudiziaria da avviarsi (in questo caso ovviamente ci si riferisce alla sola richiesta di Cessazione) o già avviata ( in questo caso ci si riferisce all’ipotesi in cui l’Ass. dei Consumatori abbia già promosso il giudizio ai sensi della lett. A e/o B ai sensi del 140 c.1). Pertanto l’Associazione dei Consumatori può abbandonare a suo piacimento la Procedura di Conciliazione ed agire in giudizio, senza attendere il decorso dei 60 gg.-Ancora l’art.140 al c.3 fa riferimento ad un “processo verbale di Conciliazione che deve essere sottoscritto dalle parti e dal Rappresentante dell’organismo di composizione extra-giudiziale adito” Pertanto l’organo conciliativo deve essere a composizione “Monocratica” e “Non Collegiale”.-Ancora ai sensi dell’art.140 cc.3 e 4, il Processo “Verbale di Conciliazione sottoscritto” deve essere omologato nella Cancelleria del TRIBUNALE del luogo nel quale si è svolto il Procedimento di Conciliazione. Il “Verbale di Conciliazione”, omologato dal Tribunale, che ne deve accertare solo la “regolarità formale” senza entrare nel merito costituisce “TITOLO ESECUTIVO”. Il Tribunale pertanto dovrà accertare esclusivamente che il “Verbale” provenga da un organismo di composizione extra-giudiziale di cui all’art. 140 c.2, La presenza delle sottoscrizioni richieste e la corrispondenza della controversia oggetto della Conciliazione a quella prevista nell’art. 140 cc.2 e 6. ovvero controversia tra un’Associazione dei Consumatori rappresentativa a livello Nazionale ed un Professionista e un Associazione di Professionisti).-Infine, il già menzionato art. 140 c.7 , proposizione seconda, prevede che in “Caso di Inadempimento degli Obblighi risultanti del Verbale di Conciliazione”, sia l’Associazione dei Consumatori che il Professionista possano adire il Tribunale in “Camera di Consiglio”, affinchè accertato l’inadempimento disponga il pagamento della somma di Eur. 516 a 1032 ovvero la “Misura Coercitiva Indiretta”. N.b.: La norma non dice se il Verbale basti che sia sottoscritto, o seinvece debba essere almeno stato depositato in attesa di omologazione o addirittura debba già essere stato depositato e omologato!!!.

13.La “Richiesta di Cessazione” (140 c.5)

L’art. 140 c.5 C.Cons. stabilisce che “in ogni caso l’Azione di cui al c.1 (e quindi sia Inibitoria che quella di richiesta delle Misure idonee a correggere o eliminare gli effetti Dannosi delle Violazioni Accertate), può essere proposta solo dopo che siano decorsi 15 gg. Dalla Data in cui le Associazioni abbiano “Richiesto” al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo di “Lettera Raccomandata con Avviso di Ricevimento”, la CESSAZIONE del COMPORTAMENTO LESIVO DEGLI INTERESSI dei Consumatori e degli Utenti”.

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Cominciamo col dire, che questa norma che impone, prima di ricorrere al Giudizio la “Richiesta di Cessazione del Comportamento lesivo degli Interessi dei Consumatori e degli Utenti”, ancora una volta insieme alla previsione dell’istituto costituito dal “Procedimento di Conciliazione”, sottolinea il favore del Legislatore di creare una sorta di “filtro” prima di accedere alla Giurisdizione, facendo sì che tale Richiesta accompagnata dai seguenti 15 gg. Possa essere un’Occasione per le parti di trovare un punto di incontro ed evitare il Processo.-Detto questo, è chiaro che nonostante il legislatore, non se ne sia occupato espressamente si ritiene che la “Mancata Richiesta di Cessazione”, o il “Mancato decorso del Termine minimo di 15 gg” renderebbero improponibile d’uffico la domanda giudiziale dell’Associazione di cui all’art. 140 c.1!!!.-Ancora, l’art. 140 non si preoccupa nemmeno di precisare se la “Richiesta di Cessazione” debba precedere anche la Richiesta di “Provv. Inibitorio Cautelare” o meglio ancora, se questo viene chiesto in corso di causa non sussistono dubbi, dal momento che il Mancato inoltro o il Mancato decorso dei 15 gg. renderanno inaccoglibile in ogni caso anche la Richiesta di Provv. Inibitorio Cautelare; Discorso diverso invece si pone nel caso in cui venga richiesto un “Provv. Inibitorio Cautelare c.d. “Ante- Causam”, in questo caso la Ratio dell’urgenza dello stesso dovrebbe spingerci per una soluzione diversa ovvero della Non Necessità della Richiesta di cessazione del Comportamento”., questa sarà necessaria invece all’instaurazione del successivo giudizio di Merito!!!. N. Bene.

14.I Limiti “Soggettivi” del Giudicato Inibitorio.

Per quanto riguarda quelli che sono i “Limiti Soggettivi” del Giudicato Inibitorio, purtoppo né l’art.37, ne l’art. 140 si sono preoccupati di stabilire cosa si debba fare nel momento in cui una volta che si sia giunti ad un Provv. Inibitorio che vieta al professionista di non inserire Clausole Vessatorie o non corrette, o non trasparenti o ancora non eque, questo in maniera sorda continui a non ottemperare.Da un lato abbiamo fatto riferimento alla “Misura coercitiva indiretta” consistente nel pagamento di una somma di Denaro per ogni giorno di Inadempimento, ma nella prospettiva del “singolo Consumatore”, questo cosa dovrà fare? Purtroppo il Consumatore dovrà agire in ogni caso “individualmente” e qui si ripropone un altro interrogativo, e cioè il Giudice dovrà tornare a valutarne la Vessatorietà, oppure queste essendo già state è proprio il caso di dire Inibite, le si presupporranno già vessatorie e/o cmq non corrette, equi o trasparenti? La risposta in ogni caso è semplice: Il Giudice in punto di Diritto, non può e non deve tenerne conto sia perché il Cod. del Cos. Nulla ha previsto in merito, ma anche e soprattutto perché potendosi trattare di un “singolo Contratto” col Consumatore, innanzitutto il Professionista potrà dimostrare che tali Clausole ad esempio “siano state oggetto di Trattativa”, e poi quelle stesse Clausole risultate vessatorie, inique, non trasparenti o non Corrette in sede “Collettiva” potrebbero cmq non contravvenire alle regole generali di cui all’art. 33 c.1 in quanto affiancate da una sorta di “contropartita” del Consumatore!!!!!! N. BENISSIMO!!! -Pertanto possiamo concludere dicendo che il “Giudicato Inibitorio”, sia di accoglimento che di Rigetto, non ha e non può avere effetti sui singoli Contratti stipulati dai Consumatori.

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Un altro aspetto, che invece evidenzia una lacuna o cmq una scelta opinabile del Legislatore riguarda la circostanza, che il “ Provv. Inibitorio non concerne le Condizioni Generali di Contratto, seppur addirittura identiche, di un altro Professionista che è rimasto estraneo al processo ovvero non è stato Convenuto!!!! N.Benissimo . E tutto ciò avviene, nonostante la Dottrina cerchi di invocare una sorta di efficacia “ultra partes”.!!!!

Un ultimo problema infine riguarda la possibilità di “riproporre l’Azione Inibitoria”, nonostante un precedente giudicato, di rigetto o di Accoglimento.Nel caso di “giudicato di accoglimento” la risposta è abbastanza semplice, nel senso che mancherebbe l’interesse ad agire di cui all’art. 100 C.P.C. anche ovviamente per gli altri legittimati.Nel caso di “giudicato di Rigetto” la questione invece si fa più complessa, tuttavia secondo l’opinione che sembra preferibile, il rigetto non dovrebbe precludere l’azione Inibitoria agli altri Soggetti Legittimati. Tuttavia non manca chi la pensa in maniera diametralmente opposta, argomentando che in questa maniera il Professionista sarebbe sempre esposto a tali azioni da parte di Tutti i soggetti Legittimati.!!!!!!!!!!!!!! N.Bene.

FINE

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