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I POLIEDRI NELL’ARTE

“La geometria è per le arti plastiche quello che è la grammatica per l’arte dello scrittore”

Apollinaire

Paolo Uccello (1397-1475) fu un pittore e mosaicista partecipe della scena artistica fiorentina d’inizio Rinascimento. Con il suo splendido mosaico, parte integrante della pavimentazione della Basilica di S. Marco a Venezia, è uno dei primi artisti a rappresentare un poliedro. Il mosaico è una Ruota prospettica con poliedro inscritto: il poliedro rappresentato è un dodecaedro stellato, studiato solo in seguito da Keplero, le cui facce sono formate da dodici poligoni stellati.

Quando si parla di arte e matematica è sicuramente necessario citare il dipinto, Ritratto di Fra Luca Pacioli, realizzato nel 1495 da Jacopo de Barbieri.

In alto a sinistra appeso per un filo, notiamo un solido semiregolare trasparente, un rombicubottaedro costituito da 26 facce e riempito a metà d’acqua, che simboleggia la cristallina eternità della matematica, mentre in basso a destra troviamo un dodecaedro ligneo, uno dei solidi platonici. Il personaggio che occupa il centro della tavola è Luca Pacioli, insigne matematico del Rinascimento e frate domenicano, mentre illustra una figura tratta dagli Elementi di Euclide a Guidobaldo da Montefeltro, posto alla sua sinistra.

Luca Pacioli, nato a San Sepolcro nel 1445, dopo aver vagato per diverse città italiane, viene chiamato a Milano da Ludovico il Moro nel 1476 che gli affida il compito di insegnare matematica nella scuola pubblica. Per ringraziarlo Pacioli gli dedica il suo celebre trattato, in tre volumi, De Divina Proportione (pubblicato poi a Venezia nel 1509). Come dichiara l’autore stesso, il libro è “opera a tutti gli ingegni perspicaci e curiosi necessaria”, per cui “diletterà” tutti coloro che amino lo studio della filosofia, della prospettiva, della pittura e della scultura, dell’architettura, della musica e delle discipline matematiche. E’ intenzione dell’autore svelare con la sua opera il segreto dell’armonia di tutte le cose. Il primo volume tratta la sezione aurea da un punto di vista matematico e contiene studi sui poligoni, il secondo parla del pensiero di Vitruvio sull’applicazione della matematica in architettura, il

terzo è una traduzione dal latino all’italiano di un trattato sui poliedri regolari di Piero della Francesca. Per rendere il trattato più convincente e piacevole riesce ad assicurarsi la collaborazione di Leonardo da Vinci, con cui lavora a Milano, che arricchisce l’opera con circa sessanta disegni. Leonardo disegna i solidi regolari e semiregolari in due modi diversi: prima come scheletri e poi come solidi con facce intere, che lui chiamava solidi vacui e pieni. La tridimensionalità è ottenuta da Leonardo specialmente con il colore e il chiaroscuro. Qui sotto, in sequenza troviamo rappresentati i cinque solidi platonici (un tetraedro, un esaedro regolare, un ottaedro, un dodecaedro e un icosaedro) e un poliedro semiregolare. Le tavole di Leonardo sono solo delle illustrazioni dei solidi descritti da Pacioli, utili a comprenderne la tridimensionalità. Tali immagini sono rivolte più agli artisiti che ai matematici poiché sono eseenti da di dimostrazioni.

La pubblicazione dell’opera di Pacioli porta ad un rinnovato e diffuso interesse per la matematica (sezione aurea, numero aureo, solidi regolari) tra pittori, scultori e architetti. Un esempio di arte rinascimentale in cui ritroviamo alcuni dei poliedri illustrati da Leonardo nel De Divina Proportione sono le tarsie lignee del coro della chiesa di S. Maria in Organo a Venezia (1920). Le tarsie furono realizzate da Fra’ Giovanni da Verona (1457-1525) che riuscì a intrecciare tra di loro matematica, arte e artigianato. Nella prima tarsia sono rappresentati, elencati dal basso verso l’alto: un icosaedro troncato (si ottiene troncando le 12 cuspidi dell’ icosaedro), un icosaedro e un geode. Nella seconda troviamo un dodecaedro stellato (le cui 12 facce sono poligoni stellati e si intrecciano tra di loro), un cubottaedro (che si

ottiene troncando le otto cuspidi del cubo) e un rombododecaedro (è il poliedro duale del cubottaedro). Gli intarsi si ottengono utilizzando pezzi di legno tagliati, di diversi colori, per accentuare le ombre.

Della stessa epoca di Pacioli ricordiamo l’artista tedesco Albrecht Durer (1471-1528), considerato il massimo esponente della pittura rinascimentale tedesca. Nella sua opera più importante, Il trattato sulla proporzione, Durer spiega le tecniche della prospettiva e parla dei poliedri regolari, che disegna sviluppandoli nel piano.

Nel dipinto Melencolia I° (1514) Durer racchiude un tale intreccio di simboli da renderlo quasi un compendio del suo pensiero sull’arte e sull’animo umano. In primo piano troviamo una donna alata, con in mano un compasso, che siede apatica e infelice e che probabilmente rappresenta una figura allegorica della malinconia. Attorno a lei ci sono molti strumenti, ma non ha le forze e la capacità di utilizzarli. Ogni oggetto presente nell’opera ha un significato simbolico. Si possono vedere un recipiente sul fuoco e una bilancia, che alludono all’alchimia; in alto a destra troviamo un “quadrato magico”, che rappresenta la matematica. Il solido a sinistra è stato oggetto di molte discussioni. Secondo alcuni studiosi ritengono si tratta di un poliedro troncato romboedrico (detto anche, dal nome del suo autore, poliedro di Durer) a sei facce a cui sono stati troncati due vertici per poter inscriverlo in una sfera: avrebbe quindi sei facce a forma di

pentagono irregolare e due facce triangolati. Secondo altri il solido rappresenterebbe un

cubo a cui sono stati troncati due spigoli opposti; esso rappresenterebbe (seguendo l’idea platonica) la terra, pensata come materia prima appena intaccata dall’opera dell’uomo (rappresentata dagli spigoli troncati) e quindi in equilibrio insatbile. Inoltre, alcuni studi prospettici, hanno permesso di ipotizzare che gli angoli della faccia del solido siano di 72°, angolo strettamente legato con la sezione aurea. Dopo il grande interesse in campo artistico che i poliedri destarono nel periodo rinascimentale, nei secoli successivi vennero studiati prevalentemente da un punto di vista matematico. Solo nel 1900 diversi artisti, come Dalì, Esher e Paladino, utilizzarono nuovamente le figure poliedriche nelle loro opere. Salvador Dalì, che visse in Spagna dal 1904 al 1989, durante gli anni cinquanta, venne influenzato e con lui le sue opere, dal cattolicesimo e da un crescente interesse per le materie scientifiche, la fisica e la matematica; in quel periodo l’artista realizzò diverse opere a sfondo religioso, ponendo i solidi platonici come elementi centrali dell’opera stessa.

Nell’opera Corpus Hypercubicus (Crocefissione) del 1954 (conservata nel Metropolitan Museum of Art di New York), nel rappresentare la crocefissione di Cristo Dalì pone la sua figura di Cristo sospesa in aria e rappresenta la croce come un ipercubo ottaedrico, composto da otto cubi. Questa struttura, essenzialmente un cubo che proietta altri cubi da ciascuna delle facce, con un cubo aggiuntivo che si proietta dalla faccia inferiore, per formare una croce, è esplicitamente mutuata dall’ipercubo, o tesseract, sviluppato dal maestro britannico Charles Howard Hinton intorno al 1880 e divulgato nel secolo successivo dall’architetto americano Claude Bragdon, teorico della quarta dimensione. L’artista concepisce l’ipercubo come un ottaedro quadri-dimensionale e paragona quello che ritiene essere il movimento esplosivo dei cubi verso l’alto con le ambiguità spaziali concave e convesse che egli individuava nei dipinti di Picasso. Dalì definì il quadro con aggettivi come “metafisico, trascendente, cubico”. Egli rappresenta un ipercubo, figura in quattro dimensioni, che noi non

possiamo vedere ma solo intuire, e la mette in relazione con la figura di Cristo, sia uomo che Dio, che appartiene perciò sia ad una realtà fisica sia ad una realtà metafisica, che noi non riusciamo a percepire.

Nel Sacramento dell’ultima cena, del 1955 (conservato nella National Gallery of Art di Washington) Dalì ritrae la nota scena dell’arte sacra dell’ultima cena di Cristo. L’intera scena principale è inserita all’interno di un dodecaedro, che assume un valore mistico; infatti al suo interno troviamo un figura umana a torso nudo che simboleggia la presenza

di Cristo nell’Eucarestia. Dalì amò unire con la figura di Cristo figure matematiche che servivano a proiettare la vita terrena in una dimensione metafisica. Infatti il dodecaedro è uno dei cinque poliedri platonici: i primi quattro sono associati, nella cosmologia platonica, agli elementi base del cosmo (aria, acqua, terra, fuoco) mentre il dodecaedro era associato all’etere, perfetto e incorruttibile, e rappresentava la percezione stessa del cosmo. Osserviamo inoltre che il dodecaedro ha dodici facce come gli apostoli. Il dipinto è strettamente legato al numero aureo: il quadro ha le dimensioni di un rettangolo aureo e troviamo altri rapporti aurei sia tra gli elementi dipinti sia all’interno della stessa figura del dodecaedro (il cui lato è sezione aurea del raggio della circonferenza in cui può essere inscritto). Dalì definì quest’opera una “cosmologia aritmetica e filosofica basata sulla sublime paranoia del numero dodici”. Un altro artista fortemente influenzato dai solidi platonici è Maurits Cornelis Escher (1898-1972). Escher è stato un artista sconosciuto a lungo e solo recentemente apprezzato da artisti, matematici e grande pubblico per le sue applicazioni di strutture matematiche, rappresentazioni simboliche, costruzioni prospettiche e illusioni ottiche. Spesso inserì i solidi platonici o altri poliedri semiregolari in raffigurazioni fantastiche, in universi paralleli pluridimensionali. Escher spiegò così il suo interesse per queste figure geometriche: “Essi simbolizzano il desiderio di Armonia e di ordine dell’uomo, ma nello stesso tempo la loro perfezione desta in noi il senso della nostra impotenza. I poliedri regolari non sono invenzioni della mente umana perché esistevano molto tempo prima che l’uomo comparisse sulla scena”. Tra le opere che evidenziano il suo interesse, ma anche la sua conoscenza geometrica accurata, per i solidi troviamo:

L’incisione Rettili (1943), dove piccoli rettili si muovono lungo una circonferenza che attraversa seconde e terza dimensione: partono da una realtà bidimensionale, essendo disegnati in un foglio, per poi uscirne, acquistando una vita tridimensionale, fino a raggiungere il loro massimo dinamismo sulla sommità del dodecaedro, solido platonico che rappresenta l’universo.

Nell’incisione Ordine e Caos (1950), al centro troviamo un piccolo dodecaedro stellato inserito in una sfera cristallina forata dal dodecaedro stesso, che serve a rappresentare l’ordine e la perfezione, in contrasto con la serie di oggetti, rotti e in disordine, che lo circondano, che rappresentano appunto il caos.

Il Planetoide Doppio (1949), è la rappresentazione di una stella octangula, della quale vengono sottolineate le forme grazie alla compenetrazione di due tetraedri, uno rappresentante un terreno montagnoso, l’altro una fortezza.

L’opera Stelle (1948) è la raffigurazione di un corpo celeste formato da tre ottaedri concentrici vacui, che imprigionano due camaleonti, che si aggrappano con le zampe e con la coda a questa strana struttura. Attorno ad esso sono disposti vari poliedri regolari e semiregolari, che fluttuando nello spazio rappresentano le stelle.

Cascata (1961) è una delle “figure imposibili” realizzate da Escher: essa rappresenta un flusso d’acqua che cade dall’alto mettendo in moto il mulino sottostante, il quale, a sua volta spinge lo scorrimento acqueo verso un canale che, zigzagando, ritorna, contro le leggi della gravità, all’inizio della rapida; questo strano effetto è ottenuto unendo due ptriangoli di Penrose. In cima alle torri vediamo due poliedri stellati di Keplero, realizzati con la compenetrazione di solidi platonici.

Un altro artista e matematico straordinario da citare quando si parla di poliedri è Lucio Saffaro (1929-1998). Egli è sempre stato così affascinato dalla geometria tridimensionale da approfondire lo studio dei grandi matematici del passato e realizzare vari dipinti con solidi, regolari e semiregolari. Ecco alcuni dei suoi capolavori: Nel primo dipinto sono rappresentati a sinistra un piccolo dodecaedro stellato e a destra un icosaedro regolare; anche nel Ritratto di Keplero dipinge un icosaedro regolare; nel terzo dipinto osserviamo un poliedro molto complesso formato da tante piccole piramidi; nell’ultima figura è rappresentato l’icosaedro di Wenzel Jamnitzer.

Il piano di Orfeo ( 1991) Ritratto di Keplero (1967)

Il poliedro M2 (1985) L’intermediario immobile (1975) Un altro artista in attività dagli ultimi anni del Novecento che ha utilizzato i solidi platonici o altri poliedri regolari è Mimmo Paladino (nato nel 1948) il quale si approccia a quest’argomento rianalizzando l’opera degli artisti rinascimentali, pur avendo obiettivi e presupposti differenti.

Mimmo dopo il duemila si dedica a sculture e installazioni che prendono spunto dal piccolo dodecaedro stellato, integrandolo nella sua arte ormai strutturata d’artista maturo. Infatti occupandosi del rinnovamento urbanistico della Piazza Guidi a Vinci pone al suo interno un poliedro stellato.

Anche nel Carro appare il piccolo dodecaedro stellato inscritto in un cubo che compone, avendo delle ruote nella parte inferiore, il carro stesso da cui prende nome l’opera che già da un primo sguardo colpisce per la particolare convivenza di arcaicità e modernità.

Nella sua scultura, Zenit (1999) fonde uno dei suoi famosi e caratteristici cavalli con il piccolo dodecaedro stellato, i due elementi si fondono in un armonia perfetta data dall’esemplare rispetto della sezione aurea.


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