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ICONE DEL MONDO ANTICOUN SEMINARIO DI STORIA DELLE IMMAGINI

Pavia, Collegio Ghislieri, 25 novembre 2005

a cura di

MAURIZIO HARARI,

SILVIA PALTINERI, MIRELLA T.A. ROBINO

conclusioni di

CORNELIA ISLER-KERÉNYI

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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Università degli Studi di PaviaDipartimento di Scienze dell’Antichità

Immagine di copertina:Kalpis attica a figure rosse, particolare; Pittore di Leningrado, 470-460 a.C. Vicenza, Palazzo Leoni Montanari (per gentile concessione dell’Archivio Fotografico Banca Intesa).

Redazione, composizione editoriale e progetto grafico del volume:Silvia Paltineri, Mirella T.A. Robino

Icone del mondo antico: un seminario di storia delle immagini : Pavia, Collegio Ghislieri, 25 novembre 2005 / a cura di Maurizio Harari, Silvia Paltineri, Mirella T.A. Robino ; conclusioni di Cornelia Isler-Kerényi. - Roma : «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2009. – 243 p., 54 p. di tav. : ill. ; 25 cm. (Studia archaelogica ; 170) ISBN 978-88-8265-468-9

CDD 21. 704.9 1. Iconografia – Antichità – Congressi – Pavia - 2005I. Harari, Maurizio II. Paltineri, Silvia III. Robino, Mirella T. A. IV. Isler-Kerényi, Cornelia

ICONE DEL MONDO ANTICOUN SEMINARIO DI STORIA DELLE IMMAGINI

(Pavia, Collegio Ghislieri, 25 Novembre 2005)

a cura diMAURIZIO HARARI, SILVIA PALTINERI, MIRELLA T.A. ROBINO

© Copyright 2009 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Via Cassiodoro, 19 - 00193 Romahttp://www.lerma.it

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione

di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore.

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9 MAURIZIO HARARI Presentazione

Oriente e orientalizzante

13 ANDREA BABBIIconographic traditions of the Hittite and Syrian “sich entschleiernde Göttin” and the Egyptian and Syrian-Palestinian “Qu-du-shu” in the central-Tyrrhenian area from the 9th to the 7th century B.C.

31 MARIA CRISTINA BIELLALe immagini dimenticate. Su un vaso biconico dalla necropoli di Monte Cerreto a Narce

37 SILVIA PALTINERI - MATTEO CANEVARIIcone del mito e della storia. I fregi di due olpai di bucchero del VII sec. a.C.: dai modelli tecnico-formali e iconografici alla messa a punto di categorie interpretative

67 MIRELLA T.A. ROBINOUna statuetta in ambra della collezione Grotto di Adria

81 ELENA SMOQUINAUn kantharos in bucchero del Royal Ontario Museum di Toronto e il demone etrusco impugnante i serpenti

In Grecia

89 MARIA ELENA GORRINIDedalo o Aristeo? Un’indagine su alcuni documenti greci ed etruschi

111 CLAUDIA LAMBRUGODonne pittrici nell’Atene democratica? Una “giornata speciale” per la bottega del Pittore di Leningrado

119 LAURA PURITANIImmagini attiche in Etruria. Il caso delle oinochoai di tipo VII

INDICE

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129 MARTA SAPORITIL’immagine tatuata

In Etruria

141 MARCELLO ALBINILo specchio di Bolsena e la figura di Caco

159 ILARIA DOMENICIUn contributo sulla ricezione di un mito greco in Etruria: il caso di Telefo

169 VIVIANA TRAFICANTENethuns l’assente. Osservazioni sull’iconografia delle divinità marine nell’arte etrusca arcaica

187 DANIELA UCCHINOLa garanzia del sangue

Mondo italico e Roma

199 GIORDANO CAVAGNINOSaeculum frugiferum. Una nuova proposta di interpretazione per il mosaico con trionfo di Nettuno da La Chebba (Tunisia)

205 MASSIMILIANO DI FAZIOMorte e pianto rituale nell’Italia antica. Il caso dell’askos “Catarinella”

215 ALESSANDRA GOBBIHercules Musarum

235 SERENA SOLANOIncisioni rupestri e dati archeologici: elementi di continuità culturale in Valcamonica fra tarda età del Ferro e romanizzazione

241 CORNELIA ISLER-KERÉNYIConclusioni

Tavole

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Nota dei curatori

In tutti i contributi sono state adottate le abbreviazioni delle riviste dello Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts; le fonti letterarie greche sono state uniformate secondo i criteri del Diccionario griego - español, vol. 1, a cura di F.R. Adrados, Madrid 1980; le fonti letterarie latine seguono i criteri del Thesaurus linguae Latinae, Index, Lipsia 1990.

Altre abbreviazioni utilizzate sono:

AE Année ÉpigraphiqueBK H. BRUNN-G. KÖRTE, I rilievi delle urne etrusche, Roma-Berlino; vol. I (1870); vol. II, 1; vol. II, 2 (1890-96); vol.

III (1916)ABV J.D. BEAZLEY, Attic Black-Figure Vase-Painting, Oxford 1956ARV2 J.D. BEAZLEY, Attic Red-Figure Vase-Painters, voll. I-III, Oxford 19632

CIE Corpus Inscriptionum EtruscarumCIL Corpus Inscriptionum LatinarumCSE Corpus Speculorum EtruscorumCVA Corpus Vasorum AntiquorumEAA Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale, Roma.ES Etruskische Spiegel, herausgegeben von E. Gerhard, Berlin, vol. I (1840); vol. II (1863); vol. III (1865); vol.

IV(1884-1897)ET Etruskische Texte, herausgegeben von H. Rix, Tübingen 1991EVP J.D. BEAZLEY, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947IG Inscriptiones GraecaeInscr. It Inscriptiones ItaliaeLIMC Lexicon Iconographicum Mithologiae ClassicaeRE Paulys Realencyclopaedie der classischen Altertumswissenschaft, Neue Bearbeitung, begonnen von G. Wissowa,

Berlin 1894-1978REE Rivista di epigrafia etrusca (in Studi Etruschi)SEG Supplementum Epigraphicum GraecumSyll3 W. DITTENBERGER, Sylloge Inscriptionum Graecarum, 3a ed., Leipzig 1915-1924TLE M. PALLOTTINO, Testimonia lingue Etruscae2, Firenze 1968

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MORTE E PIANTO RITUALE NELL’ITALIA ANTICA.IL CASO DELL’ ASKOS “CATARINELLA”

MASSIMILIANO DI FAZIO

Tusi nei telun ta clàmataTusi nei telun clameni

Ti tui en in’ macata apaniasmeni

“Questi giovani richiedono lacrimeQuesti giovani devono esser pianti

Perché non siano del tutto perduti”*

* B. MONTINARO, Canti di pianto e d’amore dall’antico Salento, Milano 1994, pp. 54-55. Si è scelto in questo lavoro di limitare la bibliografia alle opere più recenti, oltre ovviamente a titoli di particolare importanza. Desidero ringraziare con affetto Elena Calandra per i suggerimenti che hanno migliorato il testo.

1 E. GALLI, L’askos Catarinella, in Il folklore italiano 4, 1929, pp. 100-133; S. FERRI, La “prothesis” apula di Lavello, in Historia. Revue d’histoire ancienne. Zeitschrift für Alte Geschichte 3, 1929, pp. 673-682 (= IDEM, Opuscula, Firenze 1962, pp. 317-321). Più di recente un riesame è in A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Due casi di acculturazione nel mondo indigeno della Basilicata, in PP 45, 1990, pp. 206-231. Tra gli altri contributi: M. TORELLI, Aspetti materiali e ideologici della romanizzazione della Daunia, in DialA 10, 1992, pp. 47-64; E.M. DE JULIIS, I fondamenti dell’arte italica, Roma-Bari 2000, p. 187; E.M. DE JULIIS, La rappresentazione della figura umana nella Puglia anellenica, in AEI MNESTOS. Miscellanea di studi per Mauro Cristofani (a cura di B. ADEMBRI), Firenze 2005, pp. 333-342.

2 DE JULIIS, I fondamenti, cit. Sulla classe: D. YNTEMA, The Matt-painted Pottery of Southern Italy, 2° ed., Galatina 1990, p. 279 ss.3 Cfr. F. VAN DER WIELEN-VAN OMMEREN, La ceramica apula, in L’Arte dei Popoli Italici dal 3000 al 300 a.C. – Collezioni svizzere, catalogo

della mostra, Napoli 1993, p. 46; E. CALANDRA, La ceramica indigena e la ceramica indigena di derivazione greca, in La collezione Lagioia. Una raccolta storica dalla Magna Grecia al Museo Archeologico di Milano (a cura di G. SENA CHIESA), Milano 2004, p. 66.

4 A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Due casi di acculturazione, cit.; DE JULIIS, I fondamenti, cit.5 Confronti in S. VANIA, Ceramiche apule della collezione Lillo-Rapisardi nel Museo Diocesano di Trani, Bari 2003, pp. 78-79; L’art premier

des Iapyges, catalogo della mostra (a cura di J. CHAMAY, C. COURTOIS), Napoli 2002, p. 131 ss.6 FERRI, La “prothesis” apula, cit., p. 673.

Negli anni ’20 del ’900, scavi probabilmente non ufficiali nell’agro di Lavello (odierna provincia di Potenza) restituirono un askos dalla decorazione singolare. Il pezzo, passato dapprima nelle mani del farma-cista del luogo, cavalier Donato Catarinella, fu poi recuperato da uno studioso che proprio in quegli anni si accingeva a lasciare il suo incarico in Soprintendenza, Silvio Ferri: è grazie a lui che oggi conosciamo l’askos detto “Catarinella”1. Limitandoci ad una descrizione sommaria, si tratta di un askos a tre bocche della classe “listata” canosina nella sua ultima fase di produzione2, dalla connotazione prettamente funeraria3, datato prevalentemente agli inizi del III secolo4 (Tav. 48, 1). Tutti gli elementi di decorazione accessoria presenti sul vaso hanno riscontri in esemplari della stessa classe: le due protomi femminili di tipo “gorgonico”, i galletti, le stelle, le catenelle, le ruote, i delfini5. Come ben diceva Ferri, “se l’askos non avesse ricevuto altra pittura dall’ignoto artefice indigeno, esso sarebbe entrato silenziosamente nella vetrina di un tranquillo Museo e nessuno se ne sarebbe accorto”6. Ma qui è aggiunta una scena di grande interesse, che costituisce il centro di questo contributo.

Rimandando ai lavori precedentemente citati per una descrizione puntuale, possiamo sintetizzare la scena raffigurata sul vaso: si tratta dell'esposizione di un defunto, adagiato su un letto a baldacchino, all’incirca al centro della scena; vicino al defunto una piccola figura, forse di infante. Verso il letto funebre

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7 Nella vasta bibliografia sul valore antropologico di questo rituale segnaliamo solo le acute riflessioni di V. VALERI, s.v. “Lutto”, in Enciclopedia Einaudi 8, Torino 1979, pp. 594-604.

8 G. MAZZOLI, Italicità oraziana, in Orazio: umanità, politica, cultura, Atti del Convegno, Perugia 1995, pp. 7-22.9 Panoramiche recenti sull’area in questione in A. BOTTINI, M.P. FRESA, M. TAGLIENTE, L’evoluzione della struttura di un centro daunio

fra VII e III secolo: l’esempio di Forentum, in Italici in Magna Grecia. Lingua. Insediamenti e strutture (a cura di M. TAGLIENTE), Venosa 1990, pp. 233-264; e vari contributi in Principi imperatori vescovi. Duemila anni di storia a Canosa, catalogo della mostra (a cura di R. CASSANO), Venezia 1992, pp. 585-586.

10 A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Forentum ritrovato, in Bollettino storico della Basilicata 2, 1986, pp. 67-70; sulla presenza di elementi mercenari vedi di recente G. TAGLIAMONTE, Il mercenariato italico nel mondo italiota del IV sec. a.C., in Alessandro il Molosso e i “condottieri” in Magna Grecia, Atti del Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2004, pp. 135-164.

11 Vedi di recente D. MUSTI, Magna Grecia. Il quadro storico, Roma-Bari 2005, pp. 323-325.12 A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Forentum ritrovato, cit.13 A. RUSSI, Alla ricerca di Forentum (in margine ad Hor. Carm. III 4, 13-16), in Miscellanea greca e romana. Studi pubblicati dall’Isti-

tuto italiano per la storia antica 17, 1992, pp. 145-157; F. GRELLE, Canosa romana, Roma 1993, pp. 23-24.14 BOTTINI, TAGLIENTE, Due casi di acculturazione, cit.15 DE JULIIS, I fondamenti, cit., pp. 184-187; M.L. NAVA, Olla daunia con scene figurate, in Rassegna Civico Museo Archeologico di

Milano, suppl. 20, 2000, pp. 15-19; L’art premier des Iapyges, cit., p. 141; DE JULIIS, La rappresentazione, cit.16 Escluderei tra i possibili “precedenti”, perché non configurano una completa prothesis, le generiche immagini di figure umane

con le mani alzate in segno di lamento, note in Italia meridionale già dall’VIII secolo (DE JULIIS, I fondamenti, cit., p. 45 ss.), della cui tradizione si può forse individuare il prosieguo nelle protomi plastiche configurate di kyathoi di produzione canosina di VI e V sec. (L’art premier des Iapyges, cit., p. 71 ss.).

converge una serie di personaggi coinvolti nel pianto: alcune prefiche in atteggiamento di dolore; ancelle che portano vasellame; alcuni musici; altri personaggi in atteggiamenti non immediatamente decifrabili (Tav. 48, 2). L’insieme restituisce dunque inequivocabilmente la rappresentazione di quella che in ambito greco chiameremmo una prothesis, ovvero l'esposizione del defunto, associata al rito del pianto e della lamentazione e ad offerte funerarie7.

Prima di entrare nell’analisi della scena, è d’obbligo richiamare almeno sommariamente il complesso e difficile contesto storico in cui il nostro askos venne prodotto. Lavello, come avvertirà ancora secoli dopo il venosino Orazio (Lucanus an Apulus anceps)8, è un territorio di confine tra Dauni e Lucani, che nel IV secolo sembra condividere con la limitrofa area del Melfese la connotazione “daunia”9. D’altro canto, proprio nel IV secolo sono evidenti presenze di elementi di stirpe osco-sannita in ruoli non di secondo piano10, infiltrati gra-dualmente ed in modo non traumatico (a differenza di quanto accade in altri centri lucani). Non va dimenticato poi un forte influsso di matrice greca, a dir poco ovvio in un'area così vicina a Taranto. A completare il quadro dei tria corda enniani11, proprio il nostro askos è stato considerato come una traccia del processo di “romanizza-zione” culturale degli inizi del III secolo, anni in cui Lavello, identificata con la romana Forentum12 (ma questa identificazione non è da tutti accettata13), è già entrata nell’orbita politica romana a seguito della conquista nel 317 (Liv. 9,20) o 315-4 (D.S. 19,65,7). Di questo processo di “romanizzazione” sarebbero indizio il corno e la tibia suonati dai musici sull’askos, estranei alla cultura locale ed invece prettamente romani: così Tagliente propone di riconoscere nel committente un cavaliere di Forentum, ad imitazione del funerale di un magistrato della vicina colonia di Venosa14. Questa proposta va misurata, a mio avviso, con alcuni fattori non solo iconografici, ma anche archeologici, storico-sociali ed antropologi, che andremo a richiamare seppure in sintesi.

Sul piano dell’analisi iconografica, negli ultimi anni il nostro askos è leggermente uscito dalla condizione di unicum grazie ad alcuni esemplari grossomodo coevi, con scene figurate di difficile interpretazione15, nes-suna delle quali tuttavia confrontabile con quella del “Catarinella”. Un primo punto da approfondire dunque riguarda eventuali confronti a livello locale16.

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17 M.L. NAVA, Le stele della Daunia, in Principi imperatori vescovi, cit., p. 135; G. ROCCO, Il repertorio delle stele della Daunia: iconografie e temi narrativi tra Grecia e Adriatico meridionale, in Prospettiva 105, 2002, pp. 4-7; M. Mazzei (Fregio fittile di età tardoarcaica da Arpi, in AnnAStorAnt n.s. 4, 1997, pp. 153-159) sostiene invece l'assenza di scene di danza e musica nelle stele daunie (p. 157), interpretando probabilmente la lira come telaio a mano; ma la presenza dell’oggetto in mano a personaggi che paiono maschili sembra contraddire questa lettura (sulla questione lira-telaio vedi M.C. D’ERCOLE, Immagini dall'Adriatico arcaico. Su alcuni temi iconografici delle stele daunie, in Ostraka 9, 2000, pp. 335-336).

18 E.M. DE JULIIS, L’olla daunia con labbro ad imbuto. Origine forma e sviluppo, in ArchCl 43, 1991, pp. 893-913. Questa funzione sem-bra trovare conferma nella bella scena di commiato in cui l'uomo parte salutato da una donna col vaso (cfr. ad esempio M.L. NAVA, Stele daunie, Firenze 1980, nn. 222, 591, 949).

19 Rispettivamente F. TINÉ BERTOCCHI, La pittura funeraria apula, Napoli 1964, pp. 16-19; E.M. DE JULIIS, Nuovi documenti di pittura figurata dall’”Apulia”, in DialA n.s. 2, 1984, pp. 25-30: 26-27.

20 Un nuovo Cerbero ora è anche in un ipogeo di Arpi: M. MAZZEI, La Daunia e la Grecia settentrionale: riflessioni sulle esperienze pittoriche del primo ellenismo, in La pittura parietale in Macedonia e Magna Grecia, Atti del Convegno (a cura di A. PONTRANDOLFO), Paestum 2002, pp. 67-77.

21 Si è giustamente osservato che nelle stele mancano i riferimenti al corpo del defunto ed ai riti cui esso è soggetto (D’ERCOLE, Immagini dall'Adriatico arcaico, cit., p. 348 n. 151); ma è possibile che il defunto fosse rappresentato dalla stessa stele.

22 R. BENASSAI, La pittura dei Campani e dei Sanniti, Atlante tematico di topografia antica, Suppl. 9, Roma 2001, p. 168 ss.23 A. GRECO PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Ideologia funeraria e società a Poseidonia nel IV secolo a. C., in La mort, les morts dans les sociétés

anciennes (a cura di G. GNOLI, J.P. VERNANT), Cambridge 1982, pp. 299-317.24 Di recente A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Illustrazione di una ricerca, in Paestum. Scavi, studi, ricerche. Bilancio di un decennio

(1988-1998) (a cura di E. GRECO, F. LONGO), Paestum 2000, p. 21.25 B.M. FELLETTI MAJ, La tradizione italica nell’arte romana, Roma 1977, p. 121 ss.26 Altri esemplari in J.M.C. TOYNBEE, Death and Burial in the Roman World, London 1971, pp. 44-47.

Elementi utili ai fini di un migliore inquadramento del nostro pezzo sono forniti ovviamente dalle stele daunie. In questo panorama figurativo, esteso soprattutto nei secoli VII e VI, sembra mancare la prothesis. Troviamo invece la processione di donne con recipiente sul capo, associata alla presenza di un musico17: il dettaglio dell’olla in testa (che peraltro trova un suo confronto proprio sul nostro askos) è evocativo di un contesto funerario18 (Tav. 49, 3). La scena di corteo (da distinguere da quella, spesso equiparata, di danza fem-minile) potrebbe essere affiancata alle pitture di due tombe canosine in loc. S. Aloia ed Ipogeo del Cerbero19, datate tra IV e III secolo; in particolare per la scena canosina “del Cerbero”, la connotazione funeraria pare assicurata proprio dalla presenza del mitico guardiano dell’Ade20. Questo induce a pensare che l’uso di un corteo femminile accompagnato da musica in occasione dei funerali fosse in qualche modo già proprio dell’area apula21. Ma siamo ancora lontani da una vera scena di prothesis.

Poco o nulla ci dice la pittura campano-sannitica, peraltro poco conservata22. Per trovare confronti ico-nografici alla scena dell’askos, possiamo però rivolgerci ad un altro importantissimo patrimonio di immagini dell’Italia meridionale, ovvero la pittura funeraria di Paestum23. In questo ambito troviamo scene di prothesis che costituiscono un confronto molto prezioso, poiché, di là dalla resa stilistica ben diversa e dal variare di alcuni dettagli, contengono gli stessi elementi di base del pezzo che stiamo esaminando, in un programma figurativo creato intorno alla metà del IV secolo24 (Tav. 49, 4).

Un confronto evidente con la scena dell’askos è poi su un noto rilievo da Amiternum datato al I secolo a.C.25 (Tav. 49, 5). Tra i vari aspetti di interesse di questo rilievo, vi è la decorazione del baldacchino con luna e stelle, che forse suggerisce una analoga lettura per le decorazioni dell'askos, e che è stata collegata alla pene-trazione delle dottrine pitagoriche. Va ad ogni modo sottolineato come in generale, nell’arte romana, scene di prothesis non paiano essere presenti prima della tarda età repubblicana26. È importante inoltre rilevare le analogie del rilievo amiternino con il patrimonio figurativo pestano, non solo da un punto di vista iconogra-fico ma più ampiamente sul piano della cultura e dell'ideologia funeraria: il rilievo in questione, infatti, con

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27 L. FRANCHI, Rilievo con pompa funebre e rilievo con gladiatori al museo dell’Aquila, in Studi miscellanei 10, Monumenti di Amiternum, 1963-1964, pp. 23-32.

28 A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992: Andriuolo 58; Andriuolo 53; Andriuolo 89; Andriuolo 4/1971; Laghetto X; Gaudo 2/1972; Vannullo 1. Sulla diffusione di scene simili in contesto funerario anche in Apulia, vedi M. MAZZEI, Nota su un gruppo di vasi policromi decorati con scene di combattimento, da Arpi (FG), in AnnAStorAnt 9, 1987, pp. 167-188.

29 Vedi il catalogo di G. CAMPOREALE, Le scene etrusche di “prothesis”, in RM 66, 1959, pp. 31-44 (da aggiornare), e di recente E. BRIGGER, A. GIOVANNINI, Prothésis: étude sur les rites funéraires chez les Grecs et chez les Étrusques, in MEFRA 116, 2004, pp. 179-248 (non esauriente).

30 Nell’ampia bibliografia mi limito a segnalare: BRIGGER, GIOVANNINI, Prothésis: étude sur les rites, cit.; M. PEDRINA, I gesti del dolore nella ceramica attica (VI-V secolo), Venezia 2001; I. HUBER, Die Ikonographie der Trauer in der Griechischen Kunst, Mannheim-Mohnesee 2001; O. PAOLETTI, s.v. Purification, in Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, II, Los Angeles 2004, pp. 9-11.

31 Vedi già le perplessità di J. BOARDMAN, Painted funerary plaques and some remarks on prothesis, in BSA 50, 1955, p. 57.32 Per una generica rassegna vedi A.M. DI NOLA, La morte trionfata. Antropologia del lutto, Roma 1995.33 N. PURCELL, P. HORDEN, The Corrupting Sea, Oxford 2000, pp. 404-408: cfr. A. CHANIOTIS, Ritual Dynamics in the Eastern Mediterranean:

case Studies in Ancient Greece and Asia Minor, in Rethinking the Mediterranean (a cura di W.V. HARRIS), Oxford 2005, p. 160 ss.34 In TH. MANN, K. KERÉNYI, Romandichtung und Mythologie, Zürich 1945 (tr. it. Dialogo, Milano 1973, p. 31).35 PH. ARIÈS, Essais sur l’historie de la mort en Occident du Moyen Âge à nos jours, Paris 1975 (tr. it. Storia della morte in Occidente,

Milano 1998, p. 26).36 Osserviamo peraltro che il rituale della pompa funebris sembra stabilizzarsi a Roma non prima del IV secolo (T. HÖLSCHER,

Die Anfänge römischer Repräsentationskunst, in RM 85, 1978, pp. 315-357; H.I. FLOWER, Ancestor Masks and Aristocratic Power in Roman Culture, Oxford 1996, p. 107 ss.), e che da principio lo strumento principale è la tibia, affiancato solo più tardi dal cornus per probabile analogia con la pompa triumphalis (C. AMPOLO, Il lusso funerario e la città arcaica, in AnnAStorAnt 6, 1984, pp. 85-86; C. VENDRIES, s.v. Music, in Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, II, Los Angeles 2004, p. 409): in questo fenomeno viene peraltro comunemente individuata un'influenza etrusca (E. FLAIG, Ritualisierte Politik. Zeichen, Gesten und Herrschaft im Alten Rom, Göttingen 2003, p. 51 ss.).

tutta probabilità era associato in uno stesso monumento con un altro celebre rilievo, raffigurante una scena di combattimento gladiatorio27. Ebbene, l'associazione tra scena di funerale e giochi in onore del defunto (duelli o corse di bighe) compare puntualmente già sulle tombe pestane28: sarebbe dunque incauto sopravvalutare l’apporto propriamente romano in questo genere di iconografia, che mostra retaggi più antichi.

Ovviamente, il pianto rituale e la prothesis non sono appannaggio dell’Italia meridionale: oltre alle testimonianze analoghe nell’arte etrusca29, possiamo ricordare che scene del genere sono note in contesto greco fin dal tardo Geometrico, e si conservano pressoché immutate più o meno fino a tutto il V secolo30. Ma sarebbe semplicistico considerare le raffigurazioni di ambito etrusco-italico come mere derivazioni da quelle greche31: il pianto rituale è un fenomeno euromediterraneo32, inscrivibile in quella “lateral transmis-sion of ideas and practices”33 che caratterizza il Mediterraneo ed ha una sua unità di fondo evidente di là dalle varianti locali che possiamo individuare, e che attendono di essere sistematicamente evidenziate. Per rubare una felice espressione a Károly Kerényi, possiamo dire che in questo ambito “la morte recita una parte collegata nel profondo e slegata in superficie”34. Sarebbe dunque errato cercare nella documentazione che abbiamo dei percorsi esclusivamente derivativi; piuttosto, non va dimenticato che il pianto sul cadavere è fenomeno antico, ed organico a quella “massa d’inerzia e di continuità”35 che è l'atteggiamento verso la morte. Allora il corno romano raffigurato sull’askos di Lavello potrà anche essere una novità, ma forse non basta a connotare la scena come un rito importato da un notabile locale per esprimere la sua apertura cultu-rale. Anzi, paradossalmente proprio quell’elemento “estraneo” riesce a mettere in evidenza la profondità di radicamento del rituale della prothesis e del pianto: talmente profonda da mantenere la capacità di introiettare elementi allogeni senza perdere la sua natura36.

Passando ad esaminare la questione da un punto di vista archeologico, possiamo notare come la pro-fondità di radicamento sembri aver trovato un prezioso riscontro ad Ausculum, dove è stata individuata una

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37 M. FABBRI, M. OSANNA, Aspetti del sacro nel mondo apulo: rituali di abbandono tra area sacra e abitato nell'antica Ausculum, in Lo spazio del rito. Santuari e culti in Italia meridionale tra indigeni e greci, Atti delle giornate di studio (a cura di M.L. NAVA, M. OSANNA), suppl. I, Bari 2005, p. 231; M. FABBRI, M. MAZZEI, M. OSANNA, T. VIRTUOSO, Sacrificio e banchetto funebre nella Daunia preromana: l’area sacra di Ausculum, in Siris. Studi e Ricerche della Scuola di Specializzazione in Archeologia di Matera 3, 2000-2001, pp. 23-106.

38 Vale la pena ricordare che dal territorio della futura colonia di Venosa viene un peso da telaio con iscrizione osca: M.L. MARCHI, G. SABBATINI, Venusia. Forma Italiae 37, Firenze 1996, pp. 90-91.

39 Notiamo che nell’area i defunti sono sepolti in posizione rannicchiata, secondo il costume daunio; che le ceramiche negli oikoi sembrano essere state infrante ritualmente; che sono presenti servizi da banchetto e resti di banchetto e consumo di cibo e vino, testimonianza di riti collettivi, nonché louteria ed ampi bacini a vasca poco fonda, che gli editori dello scavo spiegano in funzione di pratiche purificatorie funzionali al sacrificio, ma che possono essere molto utili anche per le pratiche di abluzione dei cadaveri.

40 A. BOTTINI, M.P. FRESA, M. TAGLIENTE, L’evoluzione della struttura di un centro daunio, cit., pp. 245-246.41 Vedi M. TAGLIENTE, L’acropoli di Lavello e i suoi monumenti, in Forentum II. L’acropoli in età classica (a cura di A. BOTTINI, M.P. FRESA,

H.-M. VON KÄNEL, I. RAININI, M. TAGLIENTE), Venosa 1991, pp. 22-23.42 J. RÜPKE, Die Religion der Römer, München 2001, p. 70.43 M.L. MARCHI, M. SALVATORE, Venosa. Forma e urbanistica, Roma 1997, pp. 9-10. Ridotta incidenza si deve supporre per i 2500

coloni di Luceria, fondata nel 315-4 ma meno vicina a Lavello.44 G. UGGERI, La via Appia nella politica espansionistica di Roma, in Quaderni di studio per l’archeologia etrusco-italica 18

(Archeologia Laziale 10, 1), 1990, p. 22. Sul ruolo dell’Appia come canale di diffusione culturale vedi di recente MUSTI, Magna Grecia, cit., p. 370 ss.

45 È d’obbligo ricordare anche la posizione di E.T. SALMON (Samnium and the Samnites, Cambridge 1967, p. 231), secondo cui in realtà la notizia liviana della conquista di Forentum nel 317 è frutto di una duplicazione di fatti successivi, e lo scetticismo di M.

serie di piccole strutture quadrangolari o rettangolari, raccordate da pavimentazione in ciottoli, utilizzate nel corso di cerimonie con banchetto lungo tutto il IV secolo37. La stretta connessione topografica tra questi naiskoi e le tombe ha fatto pensare ad una loro funzionalità nell'ambito del rito funebre che precedeva il seppellimento, forse l’esposizione del cadavere. In quest'ottica, i quattro pesi da telaio individuati, sempre secondo gli autori dello scavo, potrebbero forse non essere semplici ex-voto ma funzionali a sostenere dei tendaggi, cosa che ha fatto pensare proprio al baldacchino dell'askos Catarinella38. Avremmo così un riscontro archeologico al rito rappresentato del nostro askos, che rafforzerebbe quella profondità di radicamento di cui sopra39. L'associazione tra tombe con corredi ricchi, aree pavimentate a ciottoli, ed edifici a destinazione rituale sembra peraltro presente nella stessa Lavello, ma è stata messa in relazione con la volontà da parte dei cavalieri di Forentum di imitare le forme di esibizione di uno status aristocratico proprie dei gruppi gentilizi di Canosa e di Arpi40. Eppure indizi della presenza di apprestamenti precari funzionali probabilmente a cerimonie funerarie sono ravvisati a Lavello già nel V secolo, con elementi di diversità che potrebbero ben essere comprensibili in ottica diacronica41.

Sul piano sociale e storico, va sottolineato che un “rituale di crisi” come la sepoltura, che marca situazioni in cui “Die Legitimitätsanforderungen […] sind überdurchschnittlich”42, ha necessariamente caratteri forte-mente tradizionali. È dunque difficile immaginare che un aspetto culturale così conservatore e critico possa mutare nel giro di pochi anni, specie se consideriamo che il citato passo diodoreo sulla conquista di Forentum lascia trasparire una certa conflittualità tra Romani ed i Sanniti (mercenari?) ai quali il centro è sottratto. Inoltre, la conquista di Forentum non deve necessariamente implicare l'immediato avvio di un processo di forte romanizzazione dell'area, per il quale piuttosto dovremo aspettare la fondazione della vicina colonia di Venosa (291 a.C.), col trasferimento di circa 20000 coloni romani (parte dei quali furono probabilmente arruolati tra gli stessi indigeni)43, ma ancor più il prolungamento dell’Appia (formidabile mezzo di romaniz-zazione) da Benevento a Taranto, forse non prima del 26844. Se poi consideriamo le già citate perplessità sulla identificazione di Lavello con Forentum, la scansione delle tappe della “romanizzazione” assume contorni ben più sfumati45.

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SORDI (Roma e i Sanniti nel IV secolo, Bologna 1967, p. 74 ss., in partic. 76 n. 7) sulla ricostruzione liviana e sulla possibilità di una forte presenza romana in Daunia già a fine IV secolo.

46 J.-P. MOREL, La romanisation du Samnium et de la Lucanie aux IVe et IIIe siècles av. J.-C. d’après l’artisanat et le commerce, in Comunità indigene e problemi della romanizzazione nell’Italia centro-meridionale (IVo-IIIo sec. av. C.), Actes du Colloque (a cura J. MERTENS, R. LAMBRECHTS), Roma 1991, pp. 142-144.

47 M. MAZZEI, Indigeni e Romani della Daunia settentrionale, in Comunità indigene, cit., p. 120 (cfr. anche p. 117), con una visione più articolata di questa fase. Vedi anche M. MAZZEI, Arpi, in Italici in Magna Grecia, cit., p. 61.

48 M. TAGLIENTE, M.P. FRESA, A. BOTTINI, Relazione sull’area daunio-lucana e sul santuario di Lavello, in Comunità indigene e problemi, cit., p. 94, dove non manca tuttavia il riconoscimento di “elementi di persistenza, che confermano la gradualità del processo di roma-nizzazione” (ibid.). Per la gradualità dei meccanismi di acculturazione in campo religioso e culturale, tra la sterminata bibliografia si veda V. LANTERNARI, L’acculturazione: problemi e teoria, in IDEM, Antropologia e imperialismo, Torino 1974, p. 16 e passim.

49 A. ROUVERET, A. PONTRANDOLFO, Riti funerari e credenze escatologiche, in I Greci in Occidente. Poseidonia e i Lucani (a cura di M. CIPRIANI, F. LONGO, M. VISCIONE), Napoli 1996, pp. 243-244.

50 A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Pittura funeraria in Lucania e Campania. Puntualizzazioni cronologiche e proposte di lettura, in DialA n.s. 1, 1983, p. 127.

51 Vedi analoghi esemplari in L’art premier des Iapyges, cit., pp. 149-151.52 M. GIORGI, S. MARTINELLI, Lavello: la necropoli ellenistica, in Bollettino Storico della Basilicata 8, 1992, pp. 37-41, terzo gruppo.53 Su questo problema, anche se per diverso ambito culturale: E. CAPPELLINI, M.C. BIELLA, B. CHIARELLI, D. CARAMELLI, Lo studio del

DNA antico: il caso della tomba 5859 della necropoli dei Monterozzi di Tarquinia, in StEtr 69, 2003, pp. 263-275.

Vale la pena al riguardo richiamare quanto osservato da Morel46, secondo cui nei secoli IV e III a livello commerciale ed economico la volontà dei gruppi dominanti osco-lucani di allearsi con Roma è tutt'altro che evidente. Queste società sono al contempo conservatrici e già impregnate di una cultura altra, che è quella ellenica, che non abbandonano per modelli e prodotti provenienti da Roma; la situazione cambia invece in maniera evidente agli inizi del II secolo, quando la politica di Roma si fa più aggressiva. Questo quadro, valido per gli aspetti economici ed artigianali, dovrebbe essere tenuto presente anche per aspetti culturali e religiosi, da iscrivere nella categoria dei fenomeni di longue durée. Lo sfoggio di vasellame da banchetto in area daunia alla fine del IV secolo, dunque, andrebbe forse visto ancora in funzione di una “volontà di identificarsi ed essere identificati come aristocratici di cultura greca”47, come nel caso di Arpi ancora nel corso del III secolo, piuttosto che con l'ossimoro della “rapidità del processo di acculturazione”48.

Un altro aspetto va considerato. Lo stile delle figure del nostro askos impedisce di stabilire se il defunto fosse uomo o donna, ma alcune riflessioni potrebbero essere utili. Innanzitutto, nelle scene delle tombe pesta-ne, che rappresentano a livello figurativo quanto di più vicino cronologicamente e culturalmente all’askos, la prothesis è esclusivamente femminile49; questo dettaglio differenzia la realtà lucana da quella attica, ma anche da quella etrusca. In particolare, come è stato notato, la prothesis lucana mostra in bell'evidenza non solo la defunta, ma anche il corteo di fanciulle che recano oggetti tipici di status della donna in quanto padrona dell’oikos50. Potrebbe dunque essere importante ritornare agli oggetti tenuti dalle ancelle sulla scena del nostro askos. Tra queste, una sembra portare due vasi, due anfore secondo la lettura di Tagliente. Ma un’altra lettura può chiamare in causa i caratteristici vasi gemini situliformi che conosciamo nei corredi delle tombe di Lavello in età ellenistica51. Esaminando i corredi della fase cronologica coeva al nostro askos, è possibile riscontrare che, nelle tombe in cui troviamo questo caratteristico vaso, troviamo sempre oggetti tipici di una tomba femminile, come specchi, unguentari, cassette; per contro, non troviamo mai un vaso doppio in sepolture caratterizzate dalla presenza di armi o strigili52. Pur consci del rischio di attribuire il sesso di un defunto solo in base agli elementi del corredo53, tuttavia non possiamo non sottolineare la costanza con cui questi elementi si presentano. A possibile conferma interviene proprio la presenza della cassetta lignea, che nelle pitture e nei corredi delle tombe pestane rappresenta una sorta di status symbol femminile, e che

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54 M. CIPRIANI, Prime presenze italiche organizzate alle porte di Poseidonia, in I Greci in Occidente, cit., p. 138.55 CIPRIANI, ibid.56 Sulla questione, dati e bibliografia in A. BOTTINI, Archeologia della salvezza, Milano 1992, p. 63 ss. Nel mare della bibliografia sulla

diffusione dell’orfismo in Magna Grecia segnaliamo G. PUGLIESE CARRATELLI, Le lamine d’oro orfiche. Istruzioni per il viaggio oltremondano degli iniziati greci, Milano 2001, con bibl. precedente.

57 Cfr. A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Due casi di acculturazione, cit., pp. 225-227.58 Di recente M. MERTENS HORN, I pinakes di Locri: immagini di feste e culti misterici dionisiaci nel santuario di Persefone, in Il rito segreto.

Misteri in Grecia e a Roma, catalogo della mostra (a cura di A. BOTTINI), Roma 2005, p. 55. Il particolare interesse femminile per l'orfismo-pitagorismo in ambito magnogreco era già stato notato da J.J. BACHOFEN in un interessante lavoro pubblicato nel 1867, che prendeva spunto proprio da un askos canosino configurato (tr. it. La dottrina dell’immortalità nella teologia orfica, Milano 2003, pp. 76-77).

59 Di recente MUSTI, Magna Grecia, cit., p. 187 ss. Cfr. anche W. BURKERT, Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Cambridge (Mass.) 1972, p. 120 ss.; e in generale le osservazioni di G. CASADIO, Adversaria Orphica. A proposito di un libro recente sull’orfismo, in Orpheus n.s. 8, 1987, pp. 381-395.

60 Rimando d’obbligo a A. MELE, Il pitagorismo e le popolazioni anelleniche d’Italia, in AnnAStorAn 3 1981, pp. 61-96. Più di recente P. POCCETTI, La diffusione di dottrine misteriche e sapienziali nelle culture indigene dell'Italia antica: appunti per un dossier, in Tra Orfeo e Pitagora. Origini e incontri di culture nell’antichità, Atti Seminari Napoletani (a cura di M. TORTORELLI GHIDINI, A. STORCHI MARINO, A. VISCONTI), Napoli 2000, pp. 91-126. Sulle diverse caratteristiche del pitagorismo romano vedi A. STORCHI MARINO, Il Pitagorismo romano. Per un bilancio di studi recenti, in Tra Orfeo e Pitagora, cit., pp. 335-366.

61 MUSTI, Magna Grecia, cit., pp. 341-342. La resistenza alla romanizzazione è stata sottolineata anche nella continuità dei culti lucani, monumentalizzati ed enfatizzati proprio in funzione antiromana per ribadire la propria identità: H. HORSNÆS, Lucanian Sanctuaries and Cultural Interaction, in New Developments in Italian Landscape Archaeology, Atti del Convegno (a cura di P. ATTEMA), Oxford 2002, pp. 229-234.

62 M. DETIENNE, Les chemins de la déviance: orphisme, dionysisme et pythagorisme, in Orfismo in Magna Grecia, Atti del XIV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Napoli 1975, pp. 49-79.

63 Sui caratteri di “rottura” e di “emarginazione” dell’orfismo, come sul nesso tra pitagorismo ed urbanesimo, vedi MUSTI, Magna Grecia, cit., p. 196 ss. Sulla topografia di Lavello: M. GIORGI, La topografia di Lavello in età storica, in Forentum I. Le necropoli di Lavello (a cura di M. GIORGI, S. MARINELLI, M. OSANNA, A. RUSSO), Venosa 1988, pp. 27-35.

trova corrispondenza non solo con le analisi osteologiche, ma anche con le scene dipinte, che garantiscono appunto che si tratta di una defunta54. In tal caso, il “titolare” del funerale dell’askos non sarebbe un cavaliere di Forentum ma una signora.

Proprio una di queste tombe femminili poseidoniati offre lo spunto per affrontare un altro aspetto della questione, forse il più delicato: nel corredo, infatti, oltre alla cassetta lignea ed a vasellame, vennero rinvenuti frammenti di guscio d’uovo55, letti come traccia della penetrazione di credenze orfiche56. Tra le decorazioni “accessorie” alla scena del “Catarinella” sono da rimarcare il cipresso, le stelle, i galletti che sembrano avere volto umano, ed ovviamente la protome femminile “persefonea”: elementi questi che farebbero pensare proprio ad una tradizione orfica57. In tal caso, non potremmo sottovalutare la presenza dei galli, che nell'am-bito delle religioni misteriche rimandano ad un ambito femminile58. Ma il dato orfico ci permette anche un ulteriore approfondimento, considerato nell'aspetto del pitagorismo, di cui è stata sottolineata la contiguità in ambito magnogreco proprio sul piano della cultura funeraria59. Se teniamo presente che il contesto cultu-rale pitagorizzante dei Lucani60 proprio nel corso del IV secolo assunse aspetti antiromani61, è a mio avviso lecito pensare che anche l’altro “chemin de la déviance”62 costituito dall’orfismo rivestisse lo stesso ruolo culturale di riaffermazione identitaria, configurandosi in qualche modo come una sorta di “pitagorismo di campagna” in una zona non strutturata in senso urbano come quella di Lavello63. Con ciò, la possibilità che su una produzione ceramica commissionata da un cavaliere indigeno (o piuttosto da una signora?) nella Lavello di inizi III secolo vi fosse contemporaneamente un richiamo a riti e costumi romani e ad elementi culturali antiromani, sembra alquanto contraddittorio.

C’è un ulteriore livello di analisi che a mio parere non fa che confermare la profondità di radicamento del

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64 E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Torino 1958 (nuova ed. 1975). Le riflessioni demartiniane sono state opportunamente utilizzate nell’analisi delle pitture pestane da GRECO PONTRANDOLFO, ROUVERET, Ideologia funeraria, cit., e per il mondo greco da PEDRINA, I gesti del dolore, cit.

65 Possiamo limitarci a ricordare che l’uso di materiale etnologico e folklorico a fini di ricostruzione storica trovò una sua elabo-razione nell’ambito della scuola antropologica vittoriana, nel cui seno si formò l’idea che le società e le culture conoscono sviluppi simili a quelli degli organismi biologici, dando così i natali al concetto di survival (nell’ampia bibliografia, segnalo A.M. CIRESE, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo 19732; G. COCCHIARA, Storia del folklore in Europa, Torino 1971; J.W. STOCKING, Victorian Anthropology, New York 1987).

66 Continuità che comunque implica una serie di riflessioni, ad esempio, sul rapporto tormentato tra queste sopravvivenze di paganesimo ed il contesto fortemente cattolicizzato.

67 Sul concetto di “riplasmazione coerente”, cfr. A. BRELICH, Un culto preistorico vivente nell’Italia centrale, in StMatStorRel 24-25, 1953-1954, pp. 36-59; e di recente E. MONTANARI, Survival e «riplasmazione coerente». Osservazioni su una metodologia, in IDEM, Categorie e forme nella storia delle religioni, Milano 2001, pp. 49-63.

68 BOTTINI, FRESA, TAGLIENTE, L’evoluzione della struttura di un centro daunio, cit., p. 241.69 E più sporadicamente anche delle tombe a camera: GIORGI, MARTINELLI, Lavello: la necropoli ellenistica, cit., p. 37.70 A. RUSSO, Costume funerario. Monosomia, polisomia e riuso, in Forentum I, cit., p. 271.71 M. ALEXIOU, The ritual lament in Greek tradition, Cambridge 1974, p. 20; RÜPKE, Die Religion, cit., p. 118.72 A. RUSSO TAGLIENTE, Tra morte culturale e rinascita. Un gruppo di vasi campani da Lavello, in BdA 67, 1991, pp. 1-18.

rituale del pianto e dell’esposizione del defunto nella realtà apulo-lucana. Negli anni ’50, proprio in Lucania, uno dei più grandi intellettuali italiani del ’900, Ernesto de Martino, raccoglieva materiale folklorico riferito alle manifestazioni di pianto rituale64. Ovviamente è impossibile aprire qui una opportuna parentesi meto-dologica relativa all’utilizzo di simile documentazione65. Possiamo però dire che c’è un aspetto di interesse antichistico che il materiale raccolto da de Martino ci permette di recuperare, ed è quello del movimento. Dunque il gesto della mano sul capo, fissato nella pittura o sulla pietra, in realtà non è un blando porre la mano sul capo: le prefiche lucane ci mostrano che si tratta di un percuotersi ritmato, violento e insieme regolato, che produce quelle lacrime necessarie per piangere il defunto. Nello specifico dell'analisi dell'askos “Catarinella”, oltre al dato interessante ma generico della continuità di atteggiamenti66, non potremo non rilevare che un rito così radicato da emanare riflessi ancora a distanza di secoli, pure se ovviamente non immutati ma brelichianamente “riplasmati”67, difficilmente può essere stato introdotto in tempi brevi e come mera “imitazione” di fatti culturali allogeni.

Tornando ad un discorso archeologico, i costumi funerari a Lavello fanno registrare un significativo cambiamento nel corso della prima metà del IV secolo, dunque prima del processo di “romanizzazione”: si manifestano i primi segni di forme cultuali successive al funerale68, compare il fenomeno delle tombe a semi-camera69, e si assiste all'abbandono della consuetudine di riutilizzare le tombe, indizi questi di una diversa considerazione del corpo del defunto70. Il cambiamento è importante a livello di organizzazione sociale, in quanto marca l’unità del gruppo gentilizio, che si ritrova attorno alla tomba per celebrare il passaggio del defunto alla condizione di antenato; ma ha risvolti cruciali anche dal punto di vista socio-economico, in quanto chi partecipa al rito acquisisce il diritto alla successione71. Questo salto di qualità non può essere ricon-dotto ad influenza romana, ma non sembra neanche semplicemente ricollegabile all'ellenizzazione delle genti locali. Vale la pena prendere in considerazione, almeno a livello di ipotesi, una terza via, che ci induca a rivol-gerci piuttosto a quegli elementi osco-sanniti ai quali abbiamo già fatto cenno. Da una necropoli di Lavello (la stessa dell’askos secondo la Russo Tagliente) provengono nove rilevanti vasi a figure rosse, databili tra il 350 ed il 330, prodotti da due officine campane, su alcuni dei quali è da notare peraltro la presenza di elementi che riconducono ad ambiti misterici72. Questi pezzi confermano il ruolo del Melfese quale tramite culturale

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73 Cfr. G. SIEBERT, Des vases apuliens à figures rouges aux céramiques à decor polychrome et plastique, in Ktema 10, 1985, pp. 19-26.

tra il mondo apulo settentrionale e quella galassia in movimento formata, nel IV secolo, da Campani, Sanniti e Lucani. L'analogia dell'askos con le scene delle pitture pestane assumerebbe, in quest'ottica, un rapporto più profondo, innestandosi comunque su una cultura alla quale il pianto del defunto non era estraneo (vedi stele daunie e dintorni). Ma l'askos “Catarinella” non è prodotto di una temperie culturale osco-sannita, bensì di un momento di iniziato III secolo, in cui il peso di tale componente è ormai scemato, anche in conseguenza delle sconfitte militari subite ad opera dei Romani (a Forentum ma non solo), e pare sostituito da una forte influen-za canosina, probabilmente “sponsorizzata” dai Romani. Ecco dunque che troviamo un supporto tipicamente canosino, come il nostro askos, ma connotato da una scena rituale che doveva avere già una sua tradizione, di cui possiamo cogliere le tracce anche a livello archeologico, e che è verosimilmente espressa in funzione di un ceto indigeno che continua a caratterizzarsi con la sua cultura, e a proporsi in maniera ellenizzante attraverso richiami all'orfismo (ridotto peraltro a poco più che estetico ornamento), ma che ormai deve accontentarsi di prodotti strettamente locali e di qualità artistica di tutt'altro livello rispetto alle classi ceramiche a decorazione policroma e plastica che nel frattempo avevano sostituito la produzione a figure rosse73.

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Tavola 48

1. Askos "Catarinella" (A. BOTTINI, M. TAGLIENTE, Due casi di acculturazione nel mondo indigeno della Basilicata, in PP 45, 1990, p. 226).

2. Askos "Catarinella", sviluppo della decorazione (E. GALLI, L'askos Catarinella, in Il folklore italiano 4, 1929, p. 126).

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Tavola 49

3. Stele daunia (M.L. NAVA, Stele daunie, Firenze 1980, tav. CCCXV).

4. Pittura funeraria da Paestum (A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992, p. 124).

5. Rilievo da Amiternum (R. BIANCHI BANDINELLI, Roma. L'arte romana nel centro del potere, Milano 1969, p. 59).

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