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Ciao!! Ciao a te, matricola, che per la prima volta mi sfogli… Ciao a te, studente che già mi conosci da qualche annetto.. Ciao a te, Dottore, che ormai sai bene come sono fatto… Ciao a te, lettore occasionale che passi per la Cappella Universitaria, e che nell‟ammirare le bellez-bellezze artistiche della Chiesa di S. Vigilio, ti soffermi a leggermi… …mi presento, in modo che tutti possiate conoscermi e “usarmi” al meglio! Sono Nero su Bianco, la voce parlante della Cappella Universitaria di Siena. Nato anni fa grazie al desiderio di alcuni studenti che hanno reputato opportuno mettere per i-scritto i loro pensieri e le loro riflessioni in una forma tutta originale… oggi, ormai tredicenne, mi sforzo di perseguire questo obiettivo e di farvi “compagnia alternativa”! Davanti ai vostri occhi ecco la prima delle tre mie uscite dell‟anno.. un numero ricchissimo, ragazzi!!! Ques‟anno, Anno Sacerdotale, la Cappella Universitaria è invitata a riflettere sul tema “Gesù Cri-sto è lo stesso ieri, oggi e per sempre” (Eb 13,8), di cui già in queste pagine avrete l’opportunità di approfondirne degli aspetti, con riflessioni e raffigurazioni “artistiche”… lo scoprirete!. Mi accompagneranno in questo itinerario figure eccezionali, che spero possano parlare al cuore di ognuno di voi… in questo numero a voi ecco Don Lorenzo Milani, come già avete potuto apprez-zare dalla copertina, che sarà una delle nostre guide per metterci alla ricerca del volto di Cristo. Nel corso delle mie pagine, permeate di tante foto, rubriche e riflessioni, vi racconterò della vita che caratterizza la comunità della Cappella Universitaria, una realtà sempre in movimento.. un vero e proprio porto di mare, che vede l‟alternarsi di studenti ma anche variazioni nell‟eqipe for-mativa che vi presenterò, affiche possiate “sfruttarla” tutta e non lasciarvela scappare!. Sapete, in Cappella c‟è un posto per ognuno di voi… e i vostri amici, presentando tutti i gruppi attivi, ve ne daranno testimonianza in queste pagine! Dovete soltanto scegliere e “buttarvi”, molte volte anche “osare”! Vi riporto la vita vissuta dai ragazzi di S. Vigilio, dalla gita d‟Amicizia a Pisa a inizio anno, ai pro-getti della realtà missionaria che anima la vita di alcuni universitari, sino al racconto della vocazio-ne alla vita sacerdotale di un figlio della realtà della Cappella Universitaria. Come sempre vi pro-pongo le rubriche di riflessone, cinema, lettura e viaggi.. da questo numero affiancate da strepito-se novità, come quelle relative alla poesia, espressione della sensibilià dell‟animo, al disegno, mani-festazione intima della creatività artistica, ai grandi san-tuari, luoghi di comunanza di fede e di incontro, e inoltre una rubrica tutta dedicata alla scoperta della meraviglio-sa città che ci ospita, con i suoi tesori nascosti… Non mi resta che immergervi a capofitto nella lettura… La redazione che mi anima sarà molto contenta, al fine di migliorarmi sempre più, di ricevere da voi osservazioni e suggerimenti, che potete far pervenire all‟indirizzo [email protected]. Buona lettura, augurandovi di trascorrere un Santo Natale… anche in mia compagnia! ■

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Chi siamo Un porto di mare di Fabio Fiorino Pag. 4 L‟angolo del Don Alla ricerca del volto di Cristo di Don Roberto Bianchini Pag. 5 Cappellania Noi all‟opera... di Sergio Auristo, Elisa Belvisi, Roberta Callea, Luisa Cipriano, Renata Maniscalco Pag. 6 Gita a Pisa: il piacere della scoperta di Chiara Maniscalco- Pag. 7 Esercizi spirituali: dalla fionda alla spada di Domenico Bova Pag. 8 DIPAM: non un progetto, una realtà del Gruppo Am.Bo.Mo Pag. 9 Esperienze La mia vocazione di Don Emanuele Gigliotti Pag. 10

Il personaggio Don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana di Domenico Bova Pag. 11 Fotografando di Fabio Fiorino Pagg.12-13

A spasso per... Tra bottini... di Gabriele Romano Pag. 14 ...e fontane Leonardo Martino Pag. 15 Riflettendo “Ero forestiero e mi avete ospitato” di Federica Maniscalco Pag. 16 La casa dei santi Il santuario di San Francesco di Paola di Mariastefania De Rosa Pag. 17 C@pPoesia Guardando alla vita tra pace e indifferenza di Costanzo Cafaro Pag. 18 diSegno in Segno Gesù Cristo ieri, oggi e sempre di Filippo Sanfilippo Pag. 19 Ciak si gira Il peso dell‟anima di Eugenio Alfonso Smurra Pag. 20

Consigli di lettura “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi di Roberta Callea Pag. 21 In viaggio con... Portogallo di Adele Castelli Pag. 22 Bacheca Pag. 23

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In questo numero….

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UN PORTO DI MARE

Avete presente cosa succede in un porto di mare? Barchette di pescatori, a remi o a motore, dai nomi più strani e personali, che vanno e vengono allo stesso modo giorno dopo giorno, col caldo o col freddo; yacht a più livelli e di lusso che, provenendo dalle più svariate parti del globo, a sera approdano e al mattino ripartono per le mille destinazioni; bar-che a vela che, aiutate dal vento, sfoggiano la loro bellezza in quell‟acqua cristallina, e suscitano, alme-no per chi fa della fotografia un‟arte, una serie innumerevole di scatti… Sono lì, ancorate al molo tut-ta la notte, vicine vicine nella loro diversità, ma che sul far del giorno, scelto l‟itinerario, partono una ad oriente, una ad occidente… Se penso alla nostra Cappella Universitaria mi vengono in mente proprio queste immagini, suggestive e

avvincenti, cariche di grinta ed entusiasmo, nuove ogni gior-no… ma allo stesso tempo velate di malinconia e di voglia di bloccare il tempo che, inesorabilmente, fugge! La Cappella è un crocevia di persone, di volti, di sguardi, di storie diverse.. proprio come quelle barchette, quegli yacht, quelle barche a vela… tutte approdano a un unico porto che le accoglie nella loro diversità, tutte condividono le stesse acque, lo stesso molo, e poi tutte, senza dubbio arricchite da quella vicinanza e da quell‟incontro, breve o protratto nel tempo che sia, ripartono, vanno… affrontano il mare, forse con una sicurezza maggiore e, magari, con la determinazione di chi non vaga nel vuoto, ma raccoglie tutte le energie per un obiettivo e un‟unica meta di cui ha scoperto l‟esistenza. Probabilmente è una riflessione che si potrebbe fare ad ogni inizio d‟anno accademico, ma mi rendo conto particolarmente quest‟anno di come la nostra comunità di San Vigilio diventi sempre più ricca e bella, variegata nel suo essere, giorno dopo giorno. E‟ una grande famiglia in continua espansione, tenden-te al Dialogo, alla Collaborazione e all‟Evagelizzazione, quegli

obiettivi che sin dagli albori della sua nascita si è posta e che si è sforzata di alimentare in ogni istante del suo Essere. E‟ grandioso ogni domenica incontrare gente appena arrivata in Cappella, stringere la mano ai nuovi ed iniziare un cammino di condivisione e di crescita insieme.. possibile per tutti i gusti, vista l‟ampia mole di attività che si propongono. Come gli studenti che si avvicendano negli anni, anche l‟Equipe formativa della Cappella Universitaria tende ad aggiornarsi di tanto in tanto: ringraziamo la perseveranza di Sr. Cornelia e Sr. Giuseppina che, rispettivamente dopo 17 e 18 anni al servizio della Cappella Universitaria, hanno raggiunto le nuove co-munità a Salerno e Roma, profondamente grati per aver donato il proprio Esserci a chi ha incrociato il loro cammino in questi anni. Accogliamo con gioia e vera amicizia Sr. Rita e Sr. Lucia che iniziano que-sta nuova avventura con noi in un ambiente per loro “originale”, e forse senza precedenti! Auguriamo loro di poter camminare con noi, assieme a Sr. Elisa e Sr. Onorina, ed essere le nostre “madri di fami-glia” in questa nostra vita a Siena, come anche a Don Roberto, il “padre di famiglia”, che rinnova la sua

permanenza tra noi. Il Don e le Suore si metton, come sempre, a disposizione per l‟ascolto di tutti.. per colloqui di ogni “genere e specie” (potete ritrovarli sempre a casa nostra a San Vigilio)! Aspettiamo anche Te, barchetta, yacht o barca a vela Tu sia!!! ■

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ALLA RICERCA

DEL VOLTO DI CRISTO

Viaggio spirituale alla Santa Montagna

Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre. Questo versetto di San Paolo lo avremo davanti a noi per tutto l‟anno, ma cosa vuol dire per la nostra vita? La prima impressione che abbiamo leggendolo è quel-la di qualcosa di stabile, se non immutabile. Di fronte ai grandi cambiamenti della storia, come anche all‟interno della nostra singolare vicenda umana continuamente in evoluzione, il punto fermo è il Cri-sto. Esso è il centro da cui tutto parte e a cui tutto ricondurre. E‟ la sua persona il centro di unità e di sintesi della altrimenti frammentatissima vita dell‟uomo. Tale realtà, per quanto sostanziale, va spesso a disperdersi nelle nostre giornate e ne perdiamo la consapevolezza. Ci sono però un luogo ed un modo di vivere che fanno comprendere a chi anche solo li sfiori che Cristo è il centro vitale di tutto. L‟estate scorsa, alla fine di luglio, ho avuto il privilegio di attraversare questo mondo tanto diverso dal nostro. Si tratta del Monte Athos, la propaggine più a nord della penisola Calcidica in Grecia, il cuore del cristianesimo orientale. Mentre folle di turisti si avviavano alle isole in cerca di mare blu o di sballo di vario genere, io ed un mio amico romano, anche lui sacerdote, partivamo per la Santa Montagna alla ricerca di una parola consolante in questo mondo neo pagano di inizio millennio. Il quesito che ci pone-vamo era: è possibile vivere solo per Cri-sto, desiderare lui solo, organizzare la pro-pria vita in una gerarchia in cui sia eviden-te e non implicito il posto che vi occupa il Signore? Certo, da preti, avremmo dovuto già avere tale certezza, eppure non ci pos-siamo nascondere che certe volte essa si appanna nella mediocrità della vita. La pri-ma domanda che ho fatto a Padre Pavlos la prima sera trascorsa nel paradiso athoni-ta è stata proprio questa: è possibile anco-ra oggi vivere solo per cercare Dio, fare di ciò la ragione dell‟esistenza? Nel suo polve-roso ufficio di archivista il nostro ospite tramite l‟interprete Padre Atanasios ulti-ma leva di una pianta che fiorisce dalla fine del primo millennio, mi ha dato una risposta consolante e ad un tempo non facile. E‟ possibile vivere solo per Dio e all‟Athos se ne hanno le prove nella vita di tanti padri pneumatofori (ndr - portatori di spirito) che ammaestrano ancora oggi generazioni di cercatori contemporanei del volto di Cristo. Tuttavia bisogna non illudersi: non è facile distaccarsi dal “mondo” e tutto ciò che rappresenta per saziarsi solo di Lui. Anche lì, nel giardino di Maria, tanti vivacchiano. Non vi scandalizzate, ci diceva, se vedrete monaci col cellulare o su SUV di ultimo modello. Il mondo arriva dovunque. Non ci sono luoghi totalmente protetti, delle riserve di cac-cia impenetrabili; vi sono bensì luoghi che aiutano, ma il mondo è nel cuore dell‟uomo e solo purifican-do esso e resistendo fino alla morte nella lotta contro il peccato si può trovare il Signore. Siamo ripar-titi dalla Lavra con questa parola nel cuore. Il resto della nostra permanenza non ha aggiunto molto al senso del pellegrinaggio. L‟esistenza stessa dell‟Athos ci ha detto una parola indelebile: in questo mon-do ci sono ancora dei luoghi e delle persone che si dedicano solo a Cristo e stanno là come segno per tutti a ricordare la vera vo-cazione dell‟uomo e il senso della sua esistenza. ■

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NOI ALL’OPERA... I gruppi della Cappella Universitaria si presentano

Gruppo Coro

Ormai da 4 anni faccio parte del coro della Cappella e il mio non è stato un ingresso casuale…Ricordo la prima volta che ho partecipato alla Messa degli Universitari, sono rimasta talmente entusiasta di quel

coro,di quelle voci e di quei visi giovani e festosi che animavano la messa che ho pensato “devo assoluta-mente farvi parte”...e così è stato!Sono stata accolta a braccia aperte da tutti e così è iniziata la mia vita a San Vigilio.Nuovi amici, nuove esperienze insieme e soprattutto un nuovo, anzi il principale punto di ri-fermino per la mia vita da studentessa!Far parte del coro non è un semplice cantare, bene o male che sia: è lo spirito che muove il tutto ad essere bello… gioi-re nello stare insieme e pregare cantando! ■

Gruppo Servizio Liturgico

È passato qualche annetto da quando all‟età di 9 anni mi acco-stai per la prima volta come mi-nistrante all‟altare della mia par-rocchia. Le circostanze della vita mi hanno fatto poi approda-

re a Siena e quindi alla Cappella Universitaria, dove ho trovato un gruppo di amici impegnati nel servizio all‟altare e desiderosi di percorre un cam-mino di approfondimento di un così importante ministero. Così, spinti un po‟ anche dal Don, tre anni fa abbiamo cominciato un cammino di forma-zione teorico-pratica sulla liturgia per favorire e promuovere il decoro delle celebrazioni liturgiche della comunità. ■

Gruppo Giornalino

Nero su Bianco è la “voce scritta” della Cappella… un luo-go privilegiato di incontro, rac-colta di idee, riflessione ed ela-borazione. Appassionato di af-frontare i temi più vari sotto

diversi punti di vista e con un tocco “tutto no-stro”… in ogni uscita si augura di rendere parte-cipe il lettore di ogni articolo e in tutte le rubri-che, dalla riflessione all‟attualità, dal ricordo degli eventi vissuti a San Vigilio a quelli in pro-gramma. Un bel gruppo che lavora in clima di serietà e vitalità… e che, se vorrai, aspetta an-che il tuo contributo! ■

Gruppo Cineforunm

Cineforum, cineforum… è un vero e proprio piccolo laboratorio d‟idee che mi ha per-messo di conoscere intelligenze brillanti e personalità spiccatamente creative. Inoltre è un appuntamento per stare insieme che libera la comunicazione sulle più svariate temati-che, è luogo dove la conversazione si fa più intima e informale e i dibattiti che normal-mente seguono la visione dei film sono i momenti più stimolanti e genuini per “fare comu-nità”. Qualsiasi cosa io possa scrivere sarebbe riduttiva perciò… ci vediamo al cineforum! ■

Gruppo Am.Bo.Mo.

L'Associazione “Amici della Bolivia e del Mondo” nasce dall'intuizione di una religiosa straordinaria, Suor Ga-briella Colella, e dall'esperienza in Bolivia di una giovane studentessa, Alice Reali. Ispirandosi al messaggio

cristiano, realizza progetti di solidarietà e di giustizia finalizzati alla tutela del diritto al lavoro, alla salute e all'istruzione. Nel suo piccolo è uno strumento per dare voce alla necessità di essere missionari nella vita quotidiana. Incontrare Suor Gabry e Alice mi ha così portato a riflettere realmente sulla responsabilità che ogni cristiano ha di accogliere la sofferenza dei fratelli lontani e vicini. Siete i benvenuti! ■

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GITA A PISA:

IL PIACERE DELLA SCOPERTA

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora la prima gita del nuovo anno accademico con la Cappella Universitaria apre un periodo ricco di novi-tà e soprattutto ricco di nuove amicizie. Quella matti-na trovandomi davanti nuove persone non provai indiffe-renza ma gioia, quella gioia che si prova quando inizia una nuova avventura, un nuovo viaggio non solo verso la splendida città di Pisa, ma verso la scoperta di qualcosa di più, verso la scoperta di nuovi mondi, nuove culture , nuovi modi di guardare alla vita. Durante la giornata ca-

pivo sempre di più quanto possono essere importanti i piccoli gesti come un saluto, un sorriso, il vedersi offrire un cornetto alla crema da un amico, il sentirsi chiamare per nome, il sentirsi parte di una fami-glia. Tutto questo circondato dalle bellezze culturali di Pisa: tra chiese, statue e torri pendenti ti ac-corgi che “l‟altro” accanto a te non ti è distante ma che forse la sua storia è simile alla tua: Impari ad

ascoltare ma anche a raccontare di te, sollecitato da per-sone simpatiche che, con entusiasmo e amore, ti prendono per mano e ti accompagnano lungo il cammino dentro un mondo nuovo ma molto simile al tuo come può essere la Cappella Universitaria di Pisa dove, con altri studenti co-me noi, ci siamo scambiati allegramente opinioni e interessi. Certo, gli inconvenienti non sono mancati: perdersi non appena scesi dall‟autobus e cercare disperatamente di rag-giungere gli altri senza sapere esattamente dove andare, ma anche questa può essere un‟esperienza divertente se non sei solo e soprattutto se non hai una cartina a portata di mano! Molti sottovalutano la gita dell‟amicizia, pochi forse riescono a coglierne il significato più profondo ovvero il piacere di scoprire e di essere scoperti. Questo,almeno, è il significato che ha avuto per me quella giornata, questo è l‟insegnamento che mi ha lasciato quella piccolissima espe-rienza, ossia che la scoperta di una persona non è meno avventurosa di un lunghissimo viaggio. ■

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ESERCIZI SPIRITUALI:

DALLA FIONDA ALLA SPADA

La storia di Davide re… e (’) la tua storia (?)

Cosa sono gli esercizi spirituali? Non chiedetelo a me! Io vi risponderei: cosa non è esercizio spirituale?

In quanto giovani, universitari e (mi auguro!) esseri pensanti, quante volte vi è capitato nelle notti insonni prima degli esami oppure prima di un grande traguardo o davanti a una sconfitta di pensare, non

vi chiedo a cosa o a chi, ma quante volte ci capita di pensare e di perderci nei pensieri senza trovare

alcuna risposta? Il mondo ci corre intorno, le giornate giocano a rincorrersi e noi con loro non abbiamo

più tempo per pensare e riflettere proficuamente. Anche le nostre riflessioni ormai sono cambiate,

vogliamo risposte immediate (magari da una delle tante applicazioni di facebook?) e non abbiamo voglia

di posare troppo approfonditamente lo sguardo su noi stessi. L‟argomento che il Don ci ha proposto quest'anno è stato molto interessante. Non si è trattato di esercizi troppo teologici come lo scorso anno, ma di una meditazione incentrata su una storia ed una

figura ben precise, vale a dire “Dalla fionda alla spada: la storia di Davide re”

Davide, un re che ha il fascino di una

delle più straordinarie dimensioni di umanità che ci offra il passato, è un

uomo prima di tutto, che ha amato

Dio, ma anche il suo popolo, le sue

donne, Saul stesso, l‟amico Gionata e il figlio ribelle Assalonne di un amore

inebriante; ha amato, ma questo non

gli ha impedito di peccare e di essere

punito, senza cessare di amare.

Il consiglio è quello di leggere la sua

storia, una storia impregnata di una

attualità e una umanità disarmanti che ci pone davanti a molteplici domande e riflessioni, è il racconto

della ricerca che ogni uomo vive: chi sono io, fatto di terra e di lacrime, chi sei Tu, che mi invadi e ti celi, che vuoi da me, Tu che mi guidi implacabile e

che nondimeno mi lasci in balia della tua Assenza?

Questa ricerca che continua e affascina uomini da secoli è uno dei tanti spunti che la vita di Davide ci offre, forse quello più grande, ma sono davvero tante le meditazioni che vengono fuori da questa

lettura...

Quando avrete il tempo di riflettere su quello che vi ho detto? Tra un aperitivo e un cinema? Beh, se è il tempo che vi manca (come credo) gli esercizi sono un micromondo in cui il tempo si ferma e si riaccende

il cervello, l'anima e lo spirito "a tutto foco" per tre giorni. Solo 72 ore in 365 giorni, non sarà molto ma

almeno è un inizio, perchè non provarci! Per questo, come ho scritto lo scorso anno, parafrasando Alexander Langer si potrebbe dire che

mentre il mondo segue il motto Decubertiano citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte, gli esercizi propongo il contrario: lentius, più lento, profundius, più

profondo, suavius, più dolce. Con questo motto non si vince

nessuna battaglia frontale, però si ottiene un fiato più lungo per

iniziare un nuovo cammino… BUON CAMMINO! ■

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DIPAM: NON UN PROGETTO,

UNA REALTA’

Resoconto dell’Associazione Am.Bo.Mo.

Nell‟ agosto del 2006, in un indimenticabile viaggio in India, nasceva il progetto “Dipam”. Alice ed Elisa, per conto dell‟Associazione “Amici della Bolivia e del Mondo”, nel corso della loro per-manenza in uno dei villaggi rurali più poveri dell‟Andra Pradesh, Veerapalle, dopo aver conosciuto la gente del posto, studiato le loro abitudini e capito i loro bisogni, hanno scritto un progetto che preve-deva, oltre alla ristrutturazione della scuola elementare, la costruzione di una scuola pro-fessionale e l‟allestimento dei laboratori. A distanza di circa tre anni il progetto è termi-nato. L‟obiettivo era ambizioso ma è stato raggiunto. Grazie al completamento del progetto, nel Villaggio di Veerapalle è pienamente funzio-nante una scuola professionale che permet-terà a molte ragazze di imparare un mestiere e poter essere collocate in posti di lavoro dove sono richieste buone competenze pro-fessionali. Inoltre c‟è stato l‟aumento degli insegnanti pagari dalla Diocesi dal momento che sono aumentate sia le materie insegnate, sia il numero degli alunni che frequentano la scuola. Il nostro grazie va alla Fondazione MPS che nel luglio 2009, per il secondo anno consecutivo, ha rico-nosciuto all‟Am.Bo.Mo l‟erogazione di un finanziamento di 15.000,00 euro. Il progetto terminato, realizzato in collaborazione con la Scuola Media Arnolfo di Cambio di Colle Val d‟Elsa, è stato presentato con una conferenza alla quale hanno preso parte il caro Don David Seba-stian, il coordinatore locale, la Dirigente Anna Maria Cotoloni, gli studenti universitari e gli alunni del-la Scuola Media. In questa occasione abbiamo consegnato a Don David Sebastian una somma pari a euro 4.033,00 a titolo di cofinanziamento del progetto, a carico dall'Associazione Amici della Bolivia e del Mondo. La nostra riconoscenza è per tutti coloro che, a vario titolo, in questi anni hanno sostenu-to il progetto Dipam, oggi una realtà!

Il nuovo progetto, “l‟Amore costruisce”, prevede la costruzione di casette in muratura nell‟Amazzonia Boliviana. Queste vengono essenzialmente costruite con una tecnica che ricorda le costruzioni in Ita-lia degli anni ‟50 che, per quanto antiquate, garantiranno a chi vi abiterà la protezione da animali pre-datori nnotturni e da qualche coccodrillo affamato che si arrischia fino all‟interno dei piccoli villaggi. Per la loro realizzazione si attinge manodopera locale in grado di fabbricare mattoni in terra che ver-ranno successivamente cotti al sole ed utilizzati per le opere murarie, mentre il tetto verrà costruito con resistenti foglie ricavate da una palma tipica della zona. I tempi di attuazione si aggirano intorno ai 2 mesi e il costo di ogni casetta è di circa 3000.00 euro. Coloro che desiderano collaborare possono rivolgersi all‟associazione “Amici della Bolivia e del Mondo Onlus” CCP n° 35745660, C.F. 92036710520 IBAN: IT 91 B 07601 14200 000035745660 Causale: Erogazione liberale per progetto “L‟AMORE COSTRUISCE”. ■

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LA MIA VOCAZIONE

Don Emanuele Gigliotti, figlio della

Cappella Universitaria, ci (si) racconta...

Cari lettori di “Nero su Bianco”, sono lieto di scrivere per voi un breve articolo autobiografico! Mi chiamo Emanuele, ho 29 anni, e da circa un mese sono diventato sacerdote! Nato e cresciuto a Lame-zia Terme, in Calabria, nel 1998 lasciavo la mia terra e partivo alla volta di Siena per cominciare gli studi universitari di Economia. La mia storia vocazionale si “consuma” proprio a Siena, all‟ombra della Cap-pella Universitaria dove, per cinque anni, ho ricevuto la grazia di riscoprire la mia fede battesimale, il mio rapporto con Dio, ormai interrotto da alcuni anni! Da settembre 1998 a luglio 2003 vivevo gli anni più belli e felici della mia vita, in compagnia di Dio e della sua Chiesa. Conoscevo finalmente il vero A-more, quello puro e santo, che Dio misteriosamente riversava nella mia vita! La sua presenza viva e for-te mi conquistava dolcemente, soprattutto nell‟esperienza sacramentale del Perdono e dell‟Eucaristia. La scelta di rispondere più radi-calmente a quest‟Amore è maturata solo gra-dualmente, infatti non ho subito pensato di consacrare totalmente la mia esistenza a Cri-sto. Ero semplicemente contento del rapporto che vivevo con Lui: Egli mi riempiva della sua grazia e ciò mi bastava. Dal mio rapporto con Dio scaturiva un grande slancio, tanto in Fa-coltà quanto in Cappella: seguivo con impegno i miei studi di Economia, partecipavo con assi-duità alla vita e alle attività di San Vigilio e cer-cavo di trasmettere a tutti Quello che io, per primo, avevo ricevuto. Più avanti, invece, spe-cialmente all‟avvicinarsi della laurea, cominciai a pensare seriamente in quale forma di vita avrei potuto servire il Signore. All‟inizio, l‟idea di diventare sacerdote un po‟ mi spaventava per la grandezza del mini-stero, del quale non mi sentivo affatto all‟altezza ma in seguito, rassicurato dal Signore, autore e ga-rante di ogni vocazione, ultimati gli studi, abbracciavo con fiducia la strada del Seminario. A questa scelta così importante giungevo con il prezioso aiuto di coloro che erano posti alla guida della Cappel-la: Don Roberto Donadoni, che, tra le altre cose, celebrava per noi studenti la Messa domenicale in

Duomo alle 12,15; Don Massimo Meioli, che, insieme alla lectio divina, ci offriva un’assistenza spirituale quoti-diana a San Vigilio; Padre Cristian Steiner, religioso do-menicano, dal quale ascoltavamo con frutto le cate-chesi sulla Parola di Dio; le Suore Figlie della Chiesa, che ci accompagnavano con costanza e discrezione: Sr. Gabriella (donna concreta e piena di vigore!), Sr. Corne-lia, Sr. Giuseppina e Sr. Redenta. Con il loro servizio gratuito e amorevole, insieme al sostegno di tanti amici, scoprivo più facilmente il dono di grazia a cui Dio, per la sua bontà, mi chiamava! Ringrazio Dio per il dono della Cappella, luogo del mio incontro con Lui, compa-gnia di amici nel cammino della fede. È davvero beato

chi abita la casa di Dio! (Sal 83); e ancora più beato colui che Dio sceglie e chiama vicino! (Sal 64). ■

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DON LORENZO MILANI,

IL PRIORE DI BARBIANA

“Don Lorenzo era uno di quegli uomini che, per le sue scelte nette e

coerenti, le sue rigide prese di posizione, il linguaggio tagliente e

preciso, la sua logica stringente di ragionare e argomentare, si tirava

facilmente addosso grandi consensi o

grandi dissensi con schieramenti preconcetti che hanno spesso

offuscato la sua vera dimensione”.

E‟ con queste parole che lo ricorda

Michele, il suo “figlio prediletto” ed è

decisamente questo il Priore che ritroviamo in

quel luogo dell'anima che è Barbiana.

Chi non conosce la storia di Don Milani non la

cerchi qui: sarebbe sminuente ed approssimativo

proporla in queste poche righe. Quello che vi voglio descrivere sarà forse ancora più difficile,

ma è una “figura” che

ancora oggi si sente vicina

e presente in quel luogo.

Barbiana ti sbuca davanti con tutto il suo splendore

appena superata una

piccola stradina sterrata e

scoscesa. È mentre arrivi che capisci davvero il senso dell' “esilio” di Don

Milani in quel luogo

sperduto . Ti accorgi subito, quasi a pelle, dal sole che sembra più vero in

quel posto pieno di natura e da quella storia così intensa, vera e forte che sei difronte a qualcosa

di unico nel suo genere; qualcosa che ti fa

davvero capire come sia vero che lo spirito e

l'anima della nostra religione passano anche da

Barbiana. Appena varcata la soglia di quella che

era la “scuola”di Barbiana ti sembra di essere

dentro un film: rivedi davvero gli stessi ambienti, i poster fatti dai ragazzi di allora e ascoltare Gian-carlo, proprio uno di loro che ti racconta tutto

ciò è davvero una sensazione unica. Ripensi che se

doveva esser duro vivere in quegli anni in Italia,

figurarsi in quelle quattro case del Mugello. Eppure lui, il Priore di Barbiana, lì in quel luogo, in quel tempo, ci ha lasciato qualcosa che

noi oggi andiamo a ricercare. Di sicuro ritroviamo la sua concezione

severa della scuola e della vita che

non ammetteva perdite di tempo. Es-sa era legata a un atto di fede totale

nella chiesa e in Dio, come ricorda

spesso il suo alunno di allora che ci ha

accompagnati. Dovevano essere gli “ultimi” (i montanari, i contadini e gli

operai analfabeti dell' epoca) i suoi veri destinatari. Cos'altro è Don Milani? Per alcuni sarà un esempio

di fede unico, per altri un esempio di educatore,

per altri ancora un esempio di “padre”. Per me è

stato un esempio di amore! E‟ bello rileggere nelle

mura di Barbiana come il suo fosse l 'amore più

profondo e vero verso i suoi ragazzi, un amore così esclusivo per i poveri che in

ultimo ne ebbe paura. Sentì infatti il bisogno di scrivere

nel testamento che aveva

voluto più bene al dio

povero che a quello vero,

ma sperava che Dio tutto

avrebbe ascritto a suo

favore. Barbiana è molto

altro ancora, perchè ogni posto che visitiamo ha una sua anima, una sua

storia, e quando varchi quella soglia c'è ancora il povero prete di Barbiana ad aspettarti, che mai si è ribellato alla Chiesa (tutti i suoi libri recano

l'imprimatur vescovile) e che quarant'anni fa ha

voluto essere sepolto vestito dei paramenti sacri ma con ai piedi i suoi grossi scarponi da contadino.

Così si è presentato alla Porta del Paradiso. ■

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Festa di S. Viglio 2009

“Fuori casa” con gli amici della Cappella Universitaria di Pisa

Gita d‟Amicizia a Pisa

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Giornata Missionaria Mondiale 2009

Festa di Memoria per Sr. Gabriella

Presepe 2009

La scuola di Barbiana

Dedicazione del salone a Sr. Ga-

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Una delle principali opere ingegneristiche della città di Siena è il sistema di acquedotti sotterranei che si diramano per circa 25 chilometri di estensione. Queste opere vengono chiamate con il nome di “bottini” perchè i condotti ed i canali sotterranei che trasportavano l'acqua avevano la volta a forma di botte. I bottini furono costruiti tra il XI e il XII secolo dal governo senese per sopperire alla necessi-tà di acqua soprattutto in considerazione del fatto che la città, priva di corsi d'acqua naturali con notevoli portate, aveva un approvvigionamento idrico abbastanza difficoltoso. La realizzazione di un siffatto acquedotto fu possibile grazie alla particolare natura del sottosuolo, fatto di arenaria. Tratta-si, infatti, di un materiale abbastanza compatto da garantire la stabilità dei cunicoli, ma nel contempo non del tutto impermeabile e dunque capace di consentire all‟acqua di filtrare sottoterra a piccole gocce, secondo quel fenomeno chiamato stillici-dio. Grazie a questi canali sottoterranei si rac-coglievano le infiltrazioni delle acque piovane e delle vene situate nel sottosuolo delle colline cir-costanti trasportandola fino alle fonti. L'acqua raccolta scorreva sul fondo della galleria in un canaletto (gorello) sopra docci di terracotta fino a giungere abbondante alla fonte. Oggigiorno i bottini sono perfettamente funzio-nanti nella loro parte terminale, cioè in prossimità della città, in quanto anche se qualche tratto è completamente rivestito di calcare (Fontanella), l'acqua arriva alle fonti nella dovuta quantità e molta se ne perde non essendo utilizzata. Per questo il comune ha consentito che continuasse-ro ad esserci varie utenze lungo il percorso. Una nota curiosa da evidenziare è che in antichità la ricerca d‟acqua divenne sempre più ossessiva tan-to che si diffuse la convinzione che nei pressi del convento del Carmine scorresse un fiume sotterra-neo, la leggendaria Diana. Il Comune stanziò addirittura cospicui fondi per finanziare scavi che, con-dotti a più riprese tra il 1100 ed il 1300, avrebbero dovuto portare alla luce il corso d‟acqua, ma la ricer-ca si rivelò vana e tale da scatenare, nel 13° canto del Purgatorio, l‟irrisione di Dante Alighieri.

151 "Tu li vedrai tra quella gente vana che spera in Talamone, e perderagli più di speranza ch'a trovar la Diana; ma più vi perderanno li ammiragli".

Per visitare i bottini di Siena è necessario inviare una richiesta scritta via fax al numero 0577-292346 o una lettera al Comune di Siena presso Palazzo Comunale, Piazza del Campo 1, Siena, indicando il recapito tele-fonico, il nominativo e specificando il numero e nome dei partecipanti. Sarà poi un responsabile dell'associa-zione «La Diana» a contattare telefonicamente gli interessanti segnalando il giorno previsto per la visita. ■

TRA BOTTINI…

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Per sfruttare, i bottini, i Senesi costruirono nel corso degli anni varie fonti per l‟approvvigionamento idrico. La loro costruzione iniziò per rispondere alle crescenti esigenze della popolazione in espansione. Infatti molte fonti erano situate fuori dalle mura cittadine, ma con la costruzione della terza cerchia muraria furono poi quasi tutte incluse nella città, coperte con delle volte e fortificate per renderle dei veri e propri avamposti. Le fonti senesi si distinsero da quelle greche o romane poiché queste ultime, essendo utilizzate esclusivamente per scopi alimentari, erano costituite da vari zampilli e abbellite da decorazioni spesso zoomorfe. I bacini medievali, invece, si caratterizzavano per la loro funzionalità. Infatti, essi erano costituiti da tre vasche di rac-colta, collocate a diversa altezza; quella più alta, che riceveva l' acqua nova, era utilizzata per scopi potabili. La seconda, che si alimentava dal traboc-co della prima, serviva per abbeverare gli animali e nella terza si potevano lavare i panni. Il trabocco finale veniva utilizzato ad esempio per lubrificare le mole degli arrotini o per irrigare i campi. Tra le varie fonti senesi, la più famosa è senza dub-bio Fonte Gaia; tuttavia,vorrei farvi conoscere la Fonte delle Monache, un piccolo luogo nascosto di cui ignoravo l‟esistenza fino a qualche tempo fà Per raggiungere questa fonte bisogna prendere via delle Sperandie, una strada che deve il proprio no-me alle monache Benedettine di Sant'Agnese dette comunemente di “Spera in Dio”. Nel punto in cui la strada fa angolo, si deve seguire

il vialetto che costeggia le mura e, alla fine di un sentiero fra gli olivi, vi è l'ingresso di un parco silenzioso, nascosto e pieno di sorprese. Infatti, scavata nella collina troviamo la Fonte delle Monache dove le suore di clausura lavavano i panni nell'acqua freddissima senza essere viste. Questa fonte è pressoché sconosciuta, essendo nascosta nella scarpata sottostante la via. Si trova a dodici metri di profondi-tà sotto l'ex-convento, e prende luce solo da una piccola fine-stra posta alla sommità della volta. E‟ molto imponente, con un'unica grande camera di sette metri di lunghezza e cinque di larghezza, ed un'altezza di sette metri e mezzo. Sul fondo della vasca si apre il canale del bottino indipendente dagli altri bottini senesi. Una scala, la parte iniziale a mattoni e poi scavata nel tufo, sale fino a raggiungere l‟antico convento. ■

… E FONTANE

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“ERO FORESTIERO

E MI AVETE OSPITATO”

(Mt 25,35-36)

“La notte e il mare erano neri come il nulla; la luce delle stelle illuminava uno spettacolo terribile: una compagnia di persone che tentava di intraprendere un viaggio estremo; aggrappate le une alle altre, gli occhi sbarrati, invocavano aiuto dal cielo…” Sarebbe confortante pensare che si tratti dell‟inizio di un romanzo di avventura , invece si tratta di uno scenario che è possibile “vedere” dal racconto che una dei cinque superstiti clandestini provenien-ti dal continente africano ha riferito ai medici e ai giornalisti all‟Ospedale “Cervello” di Palermo, dove sono stati accolti alla fine dello scorso mese di Agosto dopo ben 21 giorni di navigazione. Gli occhi di questa giovane eritrea sono pro-fondi e brillanti come le numerose notti che ha dovuto trascorrere in balia delle onde, dentro un gommone che trasportava lei ed altri 77 connazionali verso l‟Italia. Un viaggio tutt‟altro che facile: quando decidi di lascia-re il tuo paese e la tua famiglia per sfuggire ad un servizio militare forzato che ti adde-strerà a lottare nelle guerre fratricide che dilaniano la tua nazione, è sempre la forza della disperazione che ti spinge ad andare lontano in cerca di condizioni di vita migliori, a sopportare condizioni igieniche pessime ed intere giornate senza alcun sostentamento. Per queste persone, piene di tristezza per il ricordo dei compagni morti in mare e per l‟indifferenza da parte delle imbarcazioni incontrate durante il tragitto, sarebbe ben presto cominciata la trafila delle indagini e degli interrogatori, in quanto colpe-voli del reato di immigrazione clandestina, reato che persegue tutti coloro che arrivano nel nostro pae-se senza un regolare permesso di soggiorno. Diventa inevitabile chiedersi: “Può lo Stato essere cosi indifferente a tanta sofferenza? Si è così indu-rito il cuore umano?” Quel calore, quel senso della filantropia, di adesione alla vita che soli ci permettono di distinguerci co-me esseri umani e che rappresentano le ragioni fondanti del concetto di dignità della persona, sono stati definitivamente sepolti sotto la sabbia del nostro egoismo come preziosi cimeli, simbolo e retaggio di una civiltà antica, splendida, ma ormai del tutto dimenticata? Nel mondo greco era a partire dalla conoscenza e dalla messa in pratica del valore della “Xenίa” (ospitalità), valore sacro agli dèi, che le po-polazioni civili si distinguevano da quelle barbare, in quanto si facevano detentrici di un principio indi-scutibile, quello dell‟accoglienza e dell‟aiuto verso lo straniero. Nel tempo, quel valore ha assunto una connotazione ancor più sublime con l‟esempio di Cristo. Non si tratta più, infatti, solo di un parametro necessario per distinguere una civiltà da un‟altra, bensì di un vero e proprio slancio umanitario che ci rende Missionari nel nostro stesso paese. “So che pensate che dovreste fare un viaggio a Calcutta, ma io vi consiglio ardentemente di risparmia-re il prezzo del biglietto aereo e di usarlo a favore dei poveri del vostro paese […]. Vi sono migliaia di persone che muoiono per un pezzo di pane. Ve ne sono migliaia di migliaia che muoiono per un po‟ di

amore”. Madre Teresa ci insegna che il prossimo è già nella nostra vita, nelle nostre città, per le nostre strade. ■

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IL SANTUARIO DI

SAN FRANCESCO DI PAOLA

L‟umanità è paragonabile a un bellissimo quadro di impressionismo francese: un insieme di colori intensi e allo stesso tempo sfumati, così come le persone riescono ad essere ricche di diversità ma, allo stesso tempo, unite universalmente da un filo sottile. L‟uomo, inoltre, riesce sempre a riscoprire il tempo, quello della pace, e il luogo, quello in cui potersi sentire unito agli altri in un sottofondo comune di paure, gioie e speranze, in cui incon-trare se stesso. Un santuario rappresenta non solo una realtà di aggregazione ma un micro mon-do in cui i volti di un insieme di persone raffigura-no la vita con tutte le sue sfaccettature. E l‟uomo, quando si sente accomunato agli altri da una medesima gioia o sofferenza, si consola e rie-sce a trovare quella sua autenticità fra tutti che dà un sen-so ai suoi passi. Fra il morbido incan-to dall‟azzurro del mar Tirreno e l‟aspra bellezza della roccia, sorge il Santuario di San Francesco di Paola (Cosenza, 1416-1507). Attraversan-do il percorso della Zona dei prodigi si incontrano: la sor-gente fatta sgorgare dal Santo, chiamata “cucchiarella”, la cui acqua benefica mantiene sempre lo stesso livello e la fornace, da dove si narra che il Santo estrasse dalle fiamme le ossa del suo agnellino Martino per ridargli vita. La fe-de è caratterizzata dallo stesso “strabismo” del tempo: noi tutti, nel guardare avanti con la spe-ranza di toccare ciò che accende il nostro credo, troviamo speranza in queste testimonianze del passato e conquistiamo la consapevolezza del pre-sente per lasciare la nostra impronta. Sulle pareti del silenzioso corridoio che attornia il chiostro, affreschi sbiaditi del tempo raccontano la vita del Santo: le guarigioni che operò, la traversata

dello Stretto di Messina sul suo mantello, il san-gue che fece sgorgare da una moneta d‟oro come severo richiamo al re Ferdinando perché gover-nasse in modo più giusto. Una vita fedele ai valori del Vangelo chiede di essere onesti e veri: la pre-ghiera di giustizia che il Santo rivolge a un poten-te rappresenta la speranza di impegnarci per una realtà più equa, con la perseveranza ed elevatez-za interiore dei semplici. Ci suggerisce di non de-mordere nelle nostre imprese: arriverà, provvi-denzialmente, il suo mantello a farci strada. Infi-ne, ai piedi della salita chiamata Pietra del mira-colo vi sono grandi massi che, si narra, rotolarono dalla montagna minacciando di travolgere tutto e fermati da un suo gesto. E‟ così che la fede, fat-ta di preghiera e di lotta e sacrifici quotidiani,

diventa porto sicu-ro dalle paure. S. Francesco di Pao-la appare come un viandante: lo carat-terizzano una lunga barba, un cappuccio e un bastone. Lo immagino sulla stra-da di ognuno di noi disponibile ad anti-cipare il nostro pas-so per illuminarlo, pronto a fermare un masso che possa

travolgerci e speranzoso nel prestarci il suo man-tello per raggiungere le nostre mete più ardue. Non è necessario recarsi nel suo Santuario: guar-dandoci intorno con cuore sincero, fra i tanti “volti-vite” che ci circondano, lui è presente per noi e, incontrandolo, sentiremo che anche la no-stra presenza ha un senso profondo per gli altri. ■

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Per questa pagina dedicata alla poesia, ho pensato di proporvene due che mi hanno accompagnato in questi anni universitari. Una poesia assume la forma che più ci si addice: il testo poetico, oltre ad avere una sua oggettività, possiede un senso più profondo che appartiene a tutti noi; riveste completamente i nostri sensi e interpreta i nostri stati d‟animo. Il te-sto poetico diventa nostro, ci appartiene e assume un significato più specifico, relativo ad una delle migliaia di possibilità di interpretazione. Per questo, ogni poesia gode di una certa unicità che coincide con l‟essere irripetibile di ognuno di noi. La mia, per-tanto, non vuole essere un‟analisi stilistica del testo, né tanto meno vorrei dare un‟interpretazione da definirsi unica. Desidererei semplicemente offrire a tutti voi che leggete uno spunto utile per riflettere. […] Lungo la strada, un tiglio si leva: là, finalmente, in sonno riposai. Sotto il tiglio, che fiori come neve su me versava, io dimenticai come la vita fa male, e tutto fu di nuovo bello! Tutto! L‟amore e la pena e il mondo e il sogno! Gustav Mahler (1884) La nostra vita è un viaggio e sono sicuro che ognu-

no di noi riuscirà a inserire questi pochi versi nella propria storia di “viandante”. Siamo sempre in cam-

mino, percorriamo dei sentieri che non sempre sono facili. Tante volte il dolore e la delusione ci rendono il percorso più difficile, sempre in salita. Sentiamo il bisogno di fermarci in un luogo sicuro in cui ripo-sare. E per alcuni fortunati un tiglio si leva lungo la strada della vita. Il tiglio è una persona, per alcuni, magari, è un‟esperienza importante che cambia il corso degli eventi verso i quali si stava convergen-do, un amore, un‟amicizia che protegge dalle intem-perie della vita. Qualcosa o qualcuno che per il solo fatto di esistere nella nostra vita è in grado di darci una prospettiva migliore di tutto ciò che ci accade. C‟è che succede di continuo che si alzi l‟alba su un lago azzurro, che ci sia il tramonto più bello, dietro ai monti, che un ruscello corra allegro, che lunghe ciglia si sollevino su occhi chiari, scuri, verdi, blu, innocenti innamorati, tristi felici e non ci sia chi colga tutto ciò. Ezia Schiavone (da E‟ così) L‟elemento peculiare di questa poesia sta nel verbo dell‟ultimo verso: cogliere; cogliere l‟essenza e la bel-lezza delle cose di tutti i giorni che, coperte dal ve-lo della quotidianità perdono, agli occhi dei più, la capacità di suscitare meraviglia. Tutto ci sembra scontato e dovuto e l‟autrice ce lo fa notare pale-sandoci la triste realtà che si concretizza nella no-stra indifferenza. Leggendola si prova a pieno la sensazione malinconica di consapevolezza della per-dita di quei particolari indispensabili, di quegli atti-mi importanti per la costruzione di noi stessi che sono racchiusi in piccoli scorci di vita, come l‟alba su un lago azzurro, il rumore di un ruscello che scorre oppure uno sguardo incorniciato da lunghe ciglia. ■

GUARDANDO ALLA VITA

TRA PACE E INDIFFERENZA

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GESU’ CRISTO IERI, OGGI E SEMPRE

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IL PESO DELL’ANIMA

Si fa fatica a non alzarsi e lasciare la sala (o a non spegnere il televisore) durante la prima mezz‟ora di 21 GRAMMI, secondo film del regista messicano Alejandro González Iñárritu: il finale all‟inizio, le sce-ne spezzettate con continui flashback, quasi spalmate l‟una sopra l‟altra, in una struttura narrativa che stravolge il lineare svolgimento degli eventi: lo spettatore è decisamente spiazzato. Tuttavia, anche senza aver visto “Amores Perros”, primo film del regista, né il successivo, “Babel”, ci si rende gradualmente conto che questo particolare tipo di montaggio caratterizza lo stile dell‟Autore, ed anzi ne rappresenta un punto di forza. Nel film i destini in apparenza paralleli di tre persone molto diverse sono uniti da un tragico incidente, in un intreccio di amore, vendetta e redenzione. Paul è un professore molto malato in attesa di un tra-pianto cardiaco che può salvargli la vita; Cristina è una donna che vive serenamente con il marito e le loro due bambine; Jack è un ex detenuto che ora sopravvive cer-cando riscatto in una fede cieca ed ossessiva, vissuta con fanati-co ardore. Ma come si intrecciano le loro vite? Se il cuore nuovo di Paul è quello del marito di Cristina, morto con le due bambine nell‟incidente stradale causato da Jack… Le conseguenze sono devastanti: Paul sente il bisogno disperato di conoscere la storia di chi, perdendo la vita, ne ha dato un‟altra, e si innamorerà, ricambiato, di Cristina; questa però, di-strutta dal dolore e corrosa da un forte sentimento di vendetta, si riaffaccia ad un passato da tossicodipendente; Jack, dispera-to, si sente tradito dal suo Dio, viene risucchiato dai sensi di col-pa e, lasciati moglie e figli, vaga senza trovare un ubi consistam. Si salveranno i tre? Le domande e le storie si aggrovigliano, fuggono avanti ed indie-tro, i frammenti delle tre vicende vengono cuciti assieme senza una logica apparente, in un continuo gioco di incastri; gli avveni-menti cruciali vengono riproposti spostandone il punto di vista e mescolando il piano spazio-temporale. Questa l‟idea di cinema di Iñárritu: un montaggio spezzettato e straniante; una costruzione rapsodica in cui si fondono passato e presente, giustificata e saldata da una fotografia tecnicamente bellissima e dall‟intensa partecipazione degli eccellenti interpreti (S.Penn, B.Del Toro, N.Watts). La macchina da presa scava nei personaggi e cerca quasi di penetrare nella loro anima: grazie all‟ampio utilizzo della „camera a spalla‟ le inquadrature sono sporche, nervose, stanno addosso ai personaggi, ai loro corpi, cogliendoli precisamente nelle loro paure, nei loro pensieri, nei loro rimpianti e negli istanti esatti in cui soffrono, ridono, sperano, si disperano. La fotografia sgranata accentua i contrasti tra luce ed ombra, ed anche l‟uso del colore è voluto ed efficace: blu-freddo per Paul, rosso-caldo per Jack, giallo-intermedio per Cristina. Senza svelare di più, per non dissolvere il desiderio di ricomposizione che è il sostegno del film, rimane una domanda: alla fine gli elementi possono armonizzarsi? E‟ forse la Speranza la chiave?

Quei 21 grammi del titolo pare siano il peso che si perde quando si muore. “…Il peso di un colibrì, di una barretta di cioccola-to…”, si sente nel finale. Forse il peso dell‟anima. Buona visione. ■

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“SOSTIENE PEREIRA”

DI ANTONIO TABUCCHI

La nostra Cappella Universitaria, mai stanca di nuove e originali iniziative, ha intrapreso quest‟anno un‟attività molto particolare legata al fantastico mondo della lettura. Abbiamo organiz-zato, infatti, un vero e proprio “gruppo di lettu-ra”, battezzato col nome di “A cena con un libro”, per cercare di unire l‟amore per il libri all‟amore per il cibo. L‟intento è quello di chiacchiera-re,scambiarci opinioni e punti di vista su un libro scelto, magari davanti ad un piat-to di spaghetti o ad una cioccola-ta calda.E…speriamo di suscitare interesse in molti giovani universi-tari. Il primo libro scelto, dopo le pro-poste avanzate da ognuno di noi, è stato “Sostiene Pereira” di An-tonio Tabucchi, considerato un romanzo civile e una forte testi-monianza storica. Il protagonista della storia è Pereira,un giornali-sta del “Lisboa”, giornale porto-ghese,di cui egli dirige la pagina culturale. Le vicende di questo “simpatico” personaggio si svolgo-no nella Lisbona del 1938 durante dittatura di Salazar. Il lavoro tranquillo di giornalista si intreccia presto in una storia intricata di violenza e censura, tramite la conoscenza di alcuni soggetti particolarmente pericolosi che sconvolgeranno la vita di Pereira. Egli rimane disimpegnato rispetto al regime che lo circonda anche dopo essere venuto a stretto contatto con un giovane ragazzo, Monteiro Ros-si, suo collaboratore antifascista che lo destabi-lizzerà con la sua vita bizzarra e i suoi articoli im-proponibili. L‟esistenza di Pereira è scandita da maniacali abitudini, ossia pranzare al solito Cafè Orquidea con la solita omelette alle erbe aromati-che e limonata zuccherata e, soprattutto dopo la morte dell‟amata moglie, salutare il suo ritratto prima di uscire da casa. La particolarità del libro è proprio questa: riuscire quasi a staccare la real-tà storica del periodo della guerra civile spagnola

dalle vicissitudini del privato di Pereira. Nelle pagine del libro emerge chiaramente una volontà di informarsi sulle vicende che lo circondano at-traverso le domande rivolte ripetutamente al ca-meriere di fiducia del Cafè, che lapidariamente lo soddisferà. Ma, appunto,questo modo di ap-procciarsi delicatamente al mondo reale ha breve durata, data la straordinaria generosità che ca-ratterizza la vita di Pereira da un determinato momento in poi.

Colpisce un‟espressione che vie-ne utilizzata di continuo nel dia-logo incessante del protagonista, ossia “sostiene Pereira”, quasi a volersi distaccare dalla confes-sione e dai racconti narrati con lentezza e abitudinarietà. Credo ci siano in questo romanzo nume-rosi spunti di riflessione che van-no dalla volontà di vedere la real-tà in un modo diverso da quello che in fondo è, il coraggio di schierarsi a favore della libertà alla metabolizzazione del lutto e alla capacità di ribellarsi ad un sistema politico che va contro i diritti umani. Lo stesso Tabucchi ci fornisce,

inoltre, una curiosità di non poco conto. In por-toghese “Pereira” significa “albero del pero” e, come tutti i nomi degli alberi da frutto, è un co-gnome di origine ebraica. “Questo”, spiega Tabuc-chi, “per rendere omaggio ad un popolo che ha subito persecuzioni e ingiustizie dalla storia e che ha lasciato anche una traccia nella civiltà portoghese” Il gruppo di lettura si incontra ogni secondo lune-dì del mese. Aspettiamo anche te! ■

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PORTOGALLO

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Porto, Batalha, Nazaré, Braga, Coimbra, il Portogallo si percorre in lungo e in largo con estrema faci-

lità, grazie alla pervasiva rete autostradale e alle dimensioni ridotte. Nel visitare questa terra l‟estate scorsa in un tour di dieci giorni ho avvertito una sensazione fortissima di estraneità culturale, come se essa fosse appena emersa vergine dalle acque dell‟Oceano. Se si esclude il secolo d‟oro di Enrico il Na-vigatore e delle scoperte geografiche i portoghesi non si sono mai imposti all‟attenzione generale e nel corso della sua storia questa terra ha interagi-to assai poco con le nazioni europee, ad eccezione della vicina Spagna. E a ben vedere seguendo le esplorazioni dei portoghesi non si scopre nulla del-la loro terra nativa ed ignoravo, ad esempio, che proprio il Portogallo è stata la prima nazione euro-pea a raggiungere l‟unità nazionale, in un processo iniziato dopo la battaglia di Ourique contro i mori del 1139 e conclusosi già vent‟anni prima dell‟unione dei cantoni svizzeri. Perché vi dico questo? Ma perché, quale che sia la città portoghese che vi troviate a visitare, non troverete sfarzo di mezzi espressivi, sfileranno davanti a voi le facciate ricoperte di maiolica insieme a costruzioni d‟avanguardia, al tempo stesso moderne e umanissime (affianco mentalmente la stazione ferroviaria di Porto e di Lisbona), nelle chiese portoghesi manca il marmo bianco e il porfilo e abbondano invece i pannelli lignei decorati in oro. Neppure può sfuggire l‟acribia delle decorazioni in stile manuelino dei più visitati monumenti della capitale, come la torre di Belem. Come la vita del suo più celebre scrittore Fernand Pessoa il Portogallo é un paese privo di esu-beranza e nel lasciarsi percorrere dalle note di saudade del suo fado nasconde il suo fascino sotto una sconcertante noncuranza di sé. Ma l‟ispirazione dimessa e raccolta della sua anima raggiunge vertici di sublimità. È un paese che, insomma, sfugge all‟immediata empatia. Non si può fare a meno di riconosce-re che il Portogallo ha comunque sviluppato una fisionomia personalissima e intensa, uno spirito atlan-tico e sobrio (ma, ahimé, forse un po‟ scostante). Non toglierebbe nulla alla sua grandezza se i più ricor-dassero la sua inutile partecipazione alla prima guerra mondiale, solo ed esclusivamente in relazione agli eventi di Fatima. Non potendo mancare di paragonare Lourdes e Fatima, dove neanche il santuario ce-de allo spettacolarismo, bisogna dire che pur respirando un‟atmosfera ugualmente raccolta, se Lour-des è il luogo della riconciliazione e della guarigione, Fatima è la sperimentazione della pace ritrovata, dell‟armonia della creazione. Augurandomi di rivedere con maggiore consapevolezza il Portogallo e, perché no, gustare i suoi vini, vorrei poter giungere a Lisbona dal mare per verificare la verità delle pa-role di Pessoa nel suo Lisbona. Quello che il turista deve vedere: “… Lisbona, anche vista in lontanan-za, sorge come una bella visione di sogno, stagliata contro un cielo azzurro splendente che il sole allie-

ta con il suo oro. E le cupole, i monumenti, gli antichi castelli appena al di sopra dell‟insieme di edifici, sono come lontani aral-di di quel luogo delizioso, di quella regione benedetta”.. ■

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Per Suggerimenti e Osservazioni su

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sempre aggiornato!!!

AUGURI ai

neo-laureati e dottorati della Cappella Universitaria

Elena Dott. ssa in Giurisprudenza

Filiberto Dott. in Economia

Angela Dott. ssa in Lettere

Nina Dott. ssa in Filosofia

Mariastefania Dottore di Ricerca in Diritto Pubblico

Antonello Dottore di Ricerca in Biochimica

Auguri al piccolo GABRIELE, frutto dell‟amore di Angelo e Valentina. Benvenuto al mondo!!!!

Amici lettori,

noi della redazione di Nero su Bianco

abbiamo pensato di mettere a disposi-

zione la rubrica C@pPoesia a chi

volesse contribuire ad arricchirla con

proprie composizioni. Chi fosse inte-

ressato può inviare la sua alla reda-

zione tramite e-mail, all'indirizzo

[email protected].

Una volta lette, faremo una selezione

e le più belle verranno pubblicate!

NOVENA DI NATALE

dal 15 dicembre, ogni sera

ore 19.00 - S. Vigilio

RITIRO DI AVVENTO sabato 19 dicembre

S. MESSA DELL‟EPIFANIA

6 gennaio, ore 19.15

FESTA DI CARNEVALE 13 febbraio, ore 21.00

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