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L’angolo del Don La nuova vita in Cristo di Don Roberto Bianchini - - - - - - - - - - -Pag. 3 Cappellania L’ultimo eccesso prima della penitenza di Federica Maniscalco - - - - - - - - - - - - Pag. 4 Etica e Politica di Domenico Bova- - - - - - - - - - - - - - - - -Pag. 5 Esperienze All’ascolto degli ultimi di Piercarlo Donatiello - - - - - - - - - - - - Pag. 6 Volontariando di Roberta Callea - - - - - - - - - - - - - - - - Pag. 7 di Domenico Bova - - - - - - - - - - - - - - - Pag. 7 Dalla laurea… al lavoro di Roberta Macrì - - - - - - - - - - - - - - - -Pag. 8 di Giuseppe Antonio Valletta - -- - - - Pag. 8 City of town and gown di Elena Flaiani - - - - - - - - - - - - - - - - - Pag. 9 Fotografando - - - - - - - - - - - - - - - - Pagg.10-11

Riflettendo Quante verità di Elvira Ianni - - - - - - - - - - - - - - - - - - -Pag. 12 Alla faccia… di Facebook di Fabio Fiorino - - - - - - - - - - - - - - - - - Pag. 13 Sulle orme del Santi San Giuseppe da Copertino di Mariastefania De Rosa - - - - - - - - -Pag. 14 Ciak, si gira Inchiodare per liberare di Eugenio Alfonso Smurra - - - - - - - Pag. 15 A tutto volume Dropkick Murphys di Leonardo Martino - - - - - - - - - - - -Pag. 16 Consigli di lettura “L’ultima lezione” . La vita spiegata da un uomo che muore di Roberta Callea - - - - - - - - - - - - - - -Pag. 17 Informateneo - - - - - - - - - - - - - - - - Pag. 17 In viaggio con... Maldive di Ludovica Cesaroni- - - - - - - - - - - -Pag. 18 Bacheca - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -Pag. 19

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Carissimi amici di Nero su Bianco, ben ritrovati! Siamo giunti al secondo numero dell’anno… e sappiate che tra le vostre mani vi ritrovate un numero favoloso (a dir poco…) del giornalino della Cappella Universitaria di Siena. A cominciare dalla copertina “primaverile”, tutte le mie pagine sono intrise di freschezza e di au-tenticità… sfogliate per credere!! Anche in questo numero continua ad aiutarci nella riflessione Madre Teresa di Calcutta. Riflettiamo particolarmente sul mistero della Pasqua e sulla garanzia della nuova vita in Cristo in cui immergerci interamente. Vi riporto gli appuntamenti che hanno segnato la nostra comunità in questi mesi, sia di tipo ludico che di riflessione sul senso civico. Inoltre in questo numero sono ricchissimo di “Esperienze” dei nostri amici, che raccontano del loro tempo donato al prossimo… e della vita vissuta post-laurea. E ancora... il linguaggio dei media oggi, la comunicazione web-dipendente, e le rubriche sui Santi, sulla lettura, sulla musica e sul cinema… per finire con i fanta-stici viaggi.. Non mi resta, quindi, che augurarvi… buona lettura!!!

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“Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4b). Attraverso il suo linguaggio denso ed a tratti arduo l’apostolo Paolo in questo versetto della sua lettera ai cristiani di Roma mette in stretta relazione il mistero della resurrezione di Cristo con la vita degli uomini, più precisamente con quella dei battezzati. Ciò potrebbe stupirci oppure po-tremmo non cogliere immediatamente il nesso, dato che spesso le persone del nostro tempo vedo-no principalmente l’aspetto morale o quello sociale del cristianesimo. Sembra loro infatti che i mi-steri della fede siano qualcosa di astratto che non riguarda la loro vita o che ha poco da insegna-

re per imparare a viverla meglio. In realtà è vero il con-trario: se il destino dell’uomo è quello di diventare come Cristo ricostruendo la sua somiglianza con Lui, è evi-dente che tutto ciò che riguarda il maestro coinvolge anche il discepolo. Ciò è vero anzitutto per la Risurre-zione, il mistero centrale della fede cristiana. E’ attra-verso di essa che l’uomo di ogni tempo rinasce alla spe-ranza. Se Cristo è risorto, la morte è sconfitta ed essa non può più esercitare un potere tirannico ed assoluto sulle creature. Esse possono camminare in una vita nuo-va. Questa vita è la vita in Cristo, la vita nella grazia e nello Spirito. Nessuno di noi battezzati è più schiavo della morte e del peccato, ma davanti a noi sta un desti-no di luce. Noi possiamo vivere nella giustizia, possiamo condurre una vita buona ed onesta perché Cristo ci ha liberati per sempre. Spesso, tuttavia, vuoi per la consa-pevolezza della debolezza umana, vuoi per il pessimismo che ci prende osservando le cose del mondo non siamo pronti a vedere questo aspetto consolante e positivo del cristianesimo. Incliniamo a pensare che, come la sto-

ria non cambia, così anche la nostra vita non può mutarsi. La grazia della risurrezione non la la-sciamo operare nella nostra esistenza e la vita nuova che ci è stata donata la congeliamo non riu-scendo a credere nella sua possibilità e prossimità. Al contrario, ci è facile cogliere il legame con Cristo nella sua croce e nella sua passione. Ci sentiamo fratelli con Lui perché spesso ci pare che la nostra vita sia sotto il segno oscuro della croce e della sofferenza; sentiamo senza difficoltà di attraversare con Cristo la morte, ma non riusciamo a vivere, sentire e pensare da figli della risur-rezione. Eppure l’apostolo Paolo scrive, sempre nella lettera ai Romani, che se “siamo intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Rm 6,5). E continua: “Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fos-se reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rm 6,6). Le parole di Paolo sono eloquenti. Da loro viene l’augurio a tutti noi per la Pasqua ventura: liberi da ogni schiavitù impa-riamo a vivere come figli della luce la vita nuova che ci è stata donata e che già opera in noi. Buona Pasqua a tutti. ■

LA NUOVA VITA

IN CRISTO

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L’origine etimologica della parola “Carnevale” deriva forse dal latino tardo “carnem levare”, ovvero

“levare la carne dai pasti”. Il significato di questa parola è ovviamente legato al precetto cattolico che abolisce la consumazione della carne per ogni venerdì nel periodo di Quaresima. La festa del Carneva-le, infatti, termina “canonicamente” il martedì precedente le Ceneri, detto martedì grasso, giorno in cui, appunto, si consuma un pasto a base di carne, ultimo momento di godimento, di abbondanza e di sfrenatezza prima del digiuno quaresimale. Ma che cosa rende così speciale e originale questa festa? Il desiderio di capovolgimento dei costumi sociali, di evasione dalla vita quotidiana, il bisogno di mostrar-si al mondo con un altro volto e di compiere degli atti fuori dal comune è sempre stato insito nella na-tura umana, ed è proprio nella festa del carnevale che esso trova la sua più ampia soddisfazione. Già gli antichi romani, nel corso dei “Saturnalia”, feste in onore del dio Saturno, avevano dato vita ad un mo-mento di ribaltamento delle regole sociali e di puro divertimento: tutta la popolazione si riversava per le strade mangiando e beven-do a più non posso. Durante il medioevo e il rinascimento invalse l’uso delle maschere, da sempre oggetti affascinanti, visti come manifestazione “del dop-pio” di ognuno di noi, della parte più nascosta, stravagante, bizzar-ra del nostro inconscio, dei nostri desideri più celati che, solo per pochi giorni, reclamano la più totale libertà. Sono diventate ormai famose diverse maschere regionali, simpatiche protagoniste della storia del tetro italiano come Arlecchino, Colombina, Pantalone, i cui lazzi, scherzi, giochi rivelano gli aspetti più ingenui, astuti, e forse anche un po’ arroganti dell’uomo. Nel corso del tempo sempre di più è cresciuto, soprattutto nei bambini, il desiderio di mascherarsi, di giocare, di diventare ancora “solo per un periodo limitato” un principe, una fata, una strega cattiva, un orco, un gatto e così via. Maghi, streghe, fatine, principi e principesse sono stati quest’anno anche i magici protagonisti della festa organizzata dalla nostra Cappella Universitaria che come tema ha scelto proprio i personaggi delle fiabe e dei cartoni animati. All’appello non mancava proprio nessuno: la ban-da dei Paperi, la ciurma di Peter Pan, la Banda Bassotti, il Lupo e i Tre Porcellini, Cappuccetto rosso, Holly e Benji, Occhi di gatto, Mulan e tanti altri personaggi che, per una sola sera, siamo riusciti a fare rivivere e che ci hanno fatto ritornare alla nostra infanzia, ad un periodo cioè in cui i giochi e gli scherzi avvenivano in maniera naturale e spontanea, un periodo in cui si credeva davvero nelle favole e nei sogni e del quale ognuno dovrebbe serbare l’innocenza e il calore. Ma è ora di rimboccarsi le maniche, è il momento di lasciare spazio nella vita di ogni giorno alla dolcez-za della contemplazione, di sostituire all’ebbrezza della festa il desiderio del sacrificio, dei piccoli “fioretti”, dei piccoli atti di penitenza e soprattutto dei momenti di preghiera che soli ci possono aiuta-re a prepararci al grande evento della Pasqua. E’ distaccandoci un po’ di più da ogni tipo di eccesso, è

ponendo lo sguardo verso la nostra interiorità che riuscire-mo a curare, nutrire sempre di più la nostra anima e ad e-stendere il nostro calore a tutto il mondo. ■

L’ULTIMO ECCESSO

PRIMA DELLA PENITENZA

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Ha condotto lancia in difesa dei comitati referendari con-tro la fecondazione assistita e da quando è stata eletta pri-ma in Senato con la Margheri-ta e ora alla Camera con il Partito Democratico, coordi-na le barricate cattoliche su qualsiasi tema riguardi la fami-glia o la bioetica. Paola Binetti, 66 anni, neurop-sichiatra infantile, co-fondatrice dell'Associazione Scienza e Vita, è la paladina dei no all'eutana-sia, alla droga, all'uso della pillola Ru486, ai Pacs. “Miss No”. Così viene definita da molti giorna-listi. Fa parte di un gruppetto di parlamentari detti “Teodem”. E anche per questo è stata soprannominata “Capo delle Guardie svizzere in Parlamento” ma anche “La cinghia di tra-smissione della Chiesa”. Un presentazione non da poco questa, ma non tradisce di certo le aspettatve l'On. Binetti nel pomeriggio che ha trascorso nella nostra Cappella Universitaria. Dopo l'interessante dibattito scaturito dal-la sua conferenza ci si accorge che è davvero come la si vede in tele-visione o in Parlamen-to, sic et simpliciter. Affrontare il tema del-l'etica dal punto di vi-sta del politico può sempre sembrare bana-le e riduttivo; la classe politica in Italia ha

sempre dimostrato poca pro-fessionalità e preparazione, dovendosi sempre più spesso rivolgere all' “esperto” di turno per avvalorare tesi e contro-tesi come nel più bieco dei talkshow televisivi. Paola Binetti, invece, nel corso della conferenza partendo dal-la sua formazione culturale, religiosa e politica (non nega infatti che il suo punto di rife-rimento in passato è stata la Dc: “un partito che voleva tra-

durre i valori in progetti e che ha contribuito alla crescita del Paese”) passa tranquillamente in rassegna quelli che sono i temi etici, ci parla dell’importanza nel malato di “dare un senso alla sua sofferenza”. In modo molto pacato ma deciso sottolinea più volte come sia importan-te il lavoro che il “risicato” gruppo dei “Teodem” svolge proponendo e difendendo anche al di fuori del cosiddetto orientamento prevalente, valori e tradizioni radicate nella cultura della vita.

Una chiacchierata a tratti davvero informa-le che ci ha però ricor-dato come sia impor-tante, e al contempo difficile, portare avan-ti nell’impegno politico – ma direi in tutti gli ambienti della società che frequentiamo – i nostri valori e la no-stra formazione cultu-rale. ■

ETICA E POLITICA

Incontro con l’On. Paola Binetti

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Fra le diverse dimensioni che sono alla base del cammino di formazione al sacerdozio un posto certamente importante lo occupa l'a-spetto pastorale. In relazione ad esso il Semi-nario Campano propone ai seminaristi del pri-mo anno delle esperienze di volontariato da vivere il sabato mattina: mense dei poveri, ca-se di reclusione ed altre strutture che quoti-dianamente si occupano degli “ultimi”, di tutti coloro che in qualche modo sono fuori dall'in-teresse comune. Anch'io, pertanto, so-no stato chiamato a vivere questa esperien-za, in particolare presso una Casa-Famiglia che accoglie persone siero-positive e malate di AIDS. Non nego che nel momento in cui l'é-quipe formativa comu-nicò a me ed ad altri due miei “compagni di viaggio” questa destinazione, i dubbi si affol-larono nella mente: il timore del contagio, a-cuito certamente dalla disinformazione, la paura di trovarmi in una situazione più grande di me, con “casi difficili” a cui non ero affat-to abituato... Ebbene, sin dal primo momento, invece, non è stato così! Innanzi tutto ho trovato una struttura seria e ben organizzata, attenta a garantire tutte le misure di sicurezza necessa-rie e con tanti operatori, in gran parte volon-tari legati al mondo vincenziano, che dedica-no la loro vita a questa causa. Ma soprattut-to non ho trovato riduttivamente casi diffici-li, bensì delle persone con le loro storie trava-

gliate e i loro vissuti; persone che nella vita hanno conosciuto le situazioni più varie e so-no consce delle dure prove che la vita ancora riserverà loro, ma anche capaci di vivere con particolare profondità le relazioni interperso-nali nella quotidianità. E così, dopo un po' di iniziale e reciproco imbarazzo, abbiamo potu-to gradualmente instaurare delle belle relazio-ni amicali: ciascuno si è pian piano aperto rac-contando la propria storia, i problemi che gli si pongono all'orizzonte, i dubbi esistenziali e di

fede che facilmente af-fiorano in particolari fasi della vita... Talvolta sembra quasi di essere impotente di fronte a certe situazio-ni. Si ha anche il timore di parlare per non ferire la sensibilità dell'interlo-cutore e ci si rende conto che l'unica cosa che si può fare è ascol-tare, esserci, dedicare il

proprio tempo e donare se stesso! Forse sono proprio questo ascolto e questa attenzione ciò di cui essi hanno bisogno e ne è riprova il fatto che ormai attendono con trepidazione il nostro arrivo il sabato mattina! Nel raccontare questa esperienza mi sembra quasi di vivere in prima persona il brano di Mt 25: “ho avuto fame e mi avete dato da mangia-re, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi ave-te vestito, malato e mi avete visitato, carcera-to e siete venuti a trovarmi” e ancora “ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Eppure mi rendo conto che non sono io a fare qualcosa per questi “fratelli più piccoli” ma sono invece loro a dare tanto a me! ■

ALL’ASCOLTO

DEGLI ULTIMI

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La mia esperienza di volontariato a Siena risale a qualche anno fa quando, insieme alla mia amica Elena, in un periodo piuttosto “libero” della nostra vita universitaria, avevamo deciso di dare una mano alla mensa dei poveri nella Basilica dei Servi. Ricordo di essere rimasta subito piacevolmente sorpresa perché eravamo tutti giovani studenti che, nella pausa pranzo, ci ritrovavamo per dedicare un po’ del nostro tempo a servire persone povere e bisognose. La suora che organizzava tutto era di una forza e di una simpatia uniche tanto che,

tra un piatto e l'altro, si chiaccherava e si scherzava continuamente. Noi, a dire il vero, dovevamo fare ben poco... Il cibo, infatti, era già cucinato perché proveniva da una mensa destinata ai bambini dell'a-silo, quindi era sufficiente solo riscaldarlo, dividere le porzioni, apparecchiare e controllare che non mancasse nulla. Eppure, nonostante ciò, forse non rendendocene nemmeno conto, facevamo molto di più, perché por-tando i vassoi a tavola con un sorriso gratuito, spontaneo e solare, le persone che vedevano arrivare quelle pietanze fumanti che rappresentavano una loro speranza momentanea, ci ricambiavano con il loro sorriso, forse molto più autentico e sofferto del nostro. Infatti, in quei momenti, eravamo noi che, ad avere tutto fuori, ci rendevamo utili a chi, sia lì sia fuori, aveva ben poco. Ho ancora impressi nella mente tutti quei volti, alcuni dei quali trovati dopo poche ore a chiedere l'elemosina per strada, ognuno con una storia diversa alle spalle ma di sicuro tutte acco-munate da sofferenza, povertà e malattia. Il cuore inevitabilmente ti si riempie in queste situazioni e, dato che è durata per poco tempo, spero di ripetere in futuro una simile esperienza di volontariato, seppur minima e leggera. ■

VOLONTARIANDO...

E se facendo il babysitter acchiappassi di più…? E' stata questa una delle prima frasi che mi sono venute in mente, subito dopo aver accettato quell´insolita proposta. Mentirei se negassi anche di aver pensato che po-teva andarne della mia “mascolinità” (e sto parlando di mascolinitá percepita, sia chiaro, perché sul mio grado di mascolinità non nutro alcun dubbio!) accettando di svolgere un lavoro così universalmente percepito come femminile. Per curiositá, ho subito fatto delle ricerche in rete, e purtroppo, il primo risultato

trovato non ha fatto altro che alimentare tutte le mie paure: “la babysitter piú brava d’America é un uomo. Si chiama Ryan, ha 24 anni, é gay e con i bambini ci sa veramente fare”. Ecco! - mi son detto - ci manca solo che passi per gay… lo sapevo che non dovevo accettare! Nonostante questo inizio poco incoraggiante, ho continuato a leggere articoli e a fare un po’ di ricer-che, e alla fine la mia curiositá é stata premiata. Ho scoperto che nel mondo anglosassone é stata co-niata una parola: “mannies”, ovvero l´unione di “man” e “nanne”; uomini che fanno le tate (in italiano non suona poi cosí bene... ma perché non li chiamiamo “tati”?). Cosí, ho intrapreso questa avventura in un mondo fatto di cartoni animati, libri per bambini, disegni, tutte cose che dimentichiamo troppo in fretta crescendo. La cosa piú bella che mi ha fatto scoprire Michele é che i bambini vivono i senti-menti e le emozioni in maniera pura. Senza filtri! Se un bambino ha paura, si vergogna, ti vuole bene, lo vedi in maniera limpida e chiara. Questo non accade quasi mai nel mondo degli adulti. I bambini non riescono a trattenere le lacrime, e se ci prova-no ti viene quasi da ridere, perché lo fanno in modo maldestro. E lo stesso accade quando ridono, quando ti abbracciano o quando ti danno un bacio. Loro sono sempre sinceri. Questi cinque mesi con Michele mi hanno cambiato. Sono orgoglioso di essere il suo “tato”, perché mentre mi prendo cura di lui, Michele sa essere il mio mae-stro, in modo meravigliosamente inconsapevole. ■

I nostri amici si raccontano...

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Sono laureata in Giurisprudenza e ormai da sei mesi lavoro come animatrice nella Casa di Accoglienza per anziani “Emmaus”. Nonostante i dubbi e le incertezze inziali ho ac-cettato la proposta. Non ha nulla a che fare con ciò per cui ho studiato, però mi sta aiutando a riflettere su tante cose e a guardare con occhi diversi realtà difficili che magari prima non avevo mai preso in considerazione. Fanno bene sia al cuore che all’ani-ma e aiutano ad affrontare la vita in maniera diversa. Stare con persone ammalate che spesso non hanno la consapevolezza del loro stato e che si “affidano” a persone estrane-

e, perché hanno bisogno sopratutto di assistenza e cure, ma anche solo di un sorriso o di un po’ di compagnia, penso sia una esperienze che almeno una volta tutti dovrebbero fare!! Queste realtà danno il giusto peso alle cose e ai problemi, ridimensionano quelle che spesso sembrano delle “tragedie” e che invece non lo sono. Alcuni mesi fa col coro della Cappella Universitaria abbiamo fatto loro visita per partecipare alla litur-gia dell’Unzione degli Infermi. Penso sia stata una bella e piacevole esperienza; tutti noi abbiamo preso coscienza della fragilità, della tenerezza, della dolcezza e perché no, anche della simpatia degli ospiti che vivono a Casa Emmaus. Con il nostro canto siamo stati vicini alla sofferenza dei malati ricordando anche quelli ormai scomparsi, e nel nostro piccolo abbiamo confortato coloro che sono provati dalla malattia. Il nostro canto è stato una preghiera affinché il Signore potesse infondere loro coraggio. E’ stato molto bello… anche commovente! Spero che la mia esperienza stimoli altri giovani ad avvicinarsi a queste realtà “diverse” e, anche se inti-moriscono e sono lontane dai propri progetti e aspettative, alla fine sicuramente lasciano un qualcosa in più che il lavoro “ideale-idealizzato” non è in grado di offrire! ■

Come tanti giovani neolaureati, varcata finalmente la soglia dell'Università nel fatidi-co giorno della mia laurea, mi sono ritrovato, di lì a poco, a fare i conti con un mondo reale, quello lavorativo, affascinante e, in apparenza, carico di opportunità, ma allo stesso tempo in frenetica e incessante trasformazione, irto di difficoltà e incertezze. “La mia laurea in Storia Medievale, non serve a niente”! Questo il primo pensiero che mi è balenato in mente avvicinandomi al mondo del lavoro. A dirla tutta, nel mondo del lavoro c'ero già entrato da diversi anni anche se con contratti a termine e durante il

mio percorso di studi. Contratti che non condizionavano completamente la mia giornata e non soffo-cavano quello che era il mio primo dovere, lo studio. Ma come tutti gli ormai noti Co.Co.Pro, si è trat-tato semplicemente di periodi lavorativi destinati a concludersi con la chiusura dei progetti. Bravura? Non credo, ma sicuramente tanto spirito di iniziativa, pazienza e un po’ di fortuna: questi gli ingredienti che mi hanno portato da una laurea in storia a un contratto in azienda. Dopo un periodo aleatorio di ricerca “pazza e disperatissima”, dopo aver inviato più di 5000 curricula vitae, smosso amici e parenti per una lettera di presentazione che mi aiutasse a svolgere almeno uno stage al fine di affacciarmi al mondo del lavoro, dopo aver girato agenzie interinali, impestato siti internet che offrivano opportunità di lavoro, ebbene, dopo tutto questo, sono stato anche accusato di cercare troppo! Alla fine però quello che cercavo è arrivato, ovvero un lavoro in ambito aziendale, che c’entra sicura-

mente ben poco con una laurea così teorica come la mia, ma che comunque è stata importante per farmi diventare quello che sono ora come impiegato e in futuro… chissà! ■

DALLA LAUREA…

AL LAVORO

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Hi all! Cimentarsi nel ruolo di “inviata speciale” per riassumere l’esperienza che sto vivendo ad

Oxford non sarà facile! Sono arrivata qui a settembre per frequentare il Magister Juris o Master of Law (meglio conosciuto come L.L.M.), un’ importante qualificazione internazionale nell’ambito del di-ritto. Sono partita “al buio” e ogni giorno di più mi rendo conto che si tratta di un’opportunità unica! Oxford è una città piccola, ma per certi aspetti sembra il centro del mondo: qui gravitano migliaia di studenti da tutte le parti del pianeta, che frequentano corsi di studio e stage di qualsiasi tipo e livello: ci sono professori di fama mondiale che hanno un rapporto colloquiale con i ragazzi; una rete di uffici che organizza quotidianamente conferenze ed eventi di tutti i tipi; un “career-office” che mette gli studenti direttamente in contatto con esponenti dei più svariati settori e ambiti lavorativi, e potrei continuare all’infinito… In breve, c’è un motivo per cui la città gode di fama e prestigio ineguagliati a livello mondiale. Il segreto sta in un concetto che, benché elementare, in Italia purtroppo sembra non attecchire: il valorizzare le potenzialità degli studen-ti, che in ultimo si traduce nel venire incontro alle loro aspettative fornendo le più varie possibilità for-mative e professionali. I motivi per cui raccomando a tutti una esperienza di studio qui sono anche altri… innanzitutto Oxford itself: più che una città è un insieme di college! Ce ne sono 36, immersi in giardini che a tratti costeggiano le rive del Tamigi, tutti bel-lissimi, gotici, con tradizioni antiche, fra cui quella del “gown”, il mantello nero che assieme al cappello e alla camicia costituisce la divisa che gli studenti de-vono indossare nelle occasioni formali: esami, immatricolazione, laurea, cene nella sala da pranzo del college (tra tutte, magnifica è quella in cui è stato girato Harry Potter). Inoltre ciascuno organizza o-gni settimana eventi “sociali” tra cui il brunch nel weekend e le frequentatissime feste a tema a base di musica e sano divertimento per far rilassare le nostre povere menti stanche… eh sì, perché se c’è una cosa che accomuna tutti noi qui, a prescindere dal corso di studio, è la mole di lavoro… diversissimo dal nostro. Il sistema di common law è basato su un tipo di apprendimento che ripudia lo studio pura-mente nozionistico e “a memoria”, basandosi invece su un metodo pragmatico ed impegnativo, cioè l’a-nalisi critica di fonti diverse (articoli, libri, casi giurisprudenziali a non finire, leggi e documenti vari), e su una quantità immensa di pagine da leggere… All’inizio è dura, ma poi ci si abitua e si comprende che è un sistema altamente formativo! Ad ogni modo, l’aspetto più gratificante è sul piano umano: vivere con ragazzi che arrivano qui da ogni parte del mondo, ognuno con la propria cultura, lingua, mentalità, background e diversa attitude to life, e condividerci tutto… Questo per me resterà un anno di arric-chimento interiore impareggiabile! Confrontarsi con realtà differenti dalla nostra e aprirsi al mondo e alla sua incredibile varietà e ricchezza fa sentire vivi ma inappaga-ti, perché più ci avviciniamo a chi è diverso da noi, tanto più sco-priamo di aver voglia di conoscere, perciò… come on!! … fate le valigie… Oxford is so worth! ■

CITY OF

TOWN AND GOWN

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CENA NATALE 2008

GITA SULLA NEVE 2009

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FESTA CARNEVALE 2009

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Non è semplice narrare dei fatti senza far uscire fuori un’opinione che rappresenti una presa di posizione, un credo politico o più sem-plicemente un’idea. Non è facile nemmeno per i tanti giornalisti che dovrebbero saperlo fare se non altro per mestiere. Il limi-tarsi a narrare dei fatti pare che non sia tanto di moda, e forse per questo in Italia siamo un po’ troppo pieni di opi-nionisti e un po’ troppo scarichi di cronisti. Certo, non esiste nessuno che non abbia una sua idea politica, tanto meno i giornalisti. Ma quando i fatti da raccontare sono estrema-mente delicati, l’essere di parte non può che far mettere in luce solo una parte della verità, spesso quella più comoda non per chi l’ascolta, ma per chi la racconta. Non molto tempo fa abbiamo assistito, chi in diretta Tv chi in replica riproposta dai vari TG, allo scontro tra Michele Santoro e Lucia Annunziata nel corso di una puntata di Annozero dedicata alla stra-ge di bambini a Gaza. Ad un certo punto della trasmissio-ne l’Annunziata si è tolta il microfono ed ha lasciato lo studio lamentandosi dell’im-postazione della trasmissione fin troppo filopalestinese.

L’indomani mattina dalla trasmissione non sono mancate le reazioni di politici ed esponenti isra-eliani che hanno ribadito più volte il diritto di Israele di difendersi. Difendersi per esprimere l’altra verità, quella

israeliana, che ha ugualmente diritto di essere rappresen-tata nel panorama dell’informazione. Proprio così, la veri-tà in questo caso non è una sola, o-gnuno ha la sua più o meno condivisibile, più o meno discuti-bile. L’importante è che sia data voce a

tutte le verità. Impostare una trasmissione su una verità par-ziale finisce con il rendere assoluta quella par-te di verità, finisce con il puntare il dito contro gli altri, che hanno una loro verità, ma che non viene rappresentata, e poi finisce con il rende-

re l’informazione unilaterale, frammentaria, non completa-mente vera, travisante la realtà. In altre parole, una verità par-ziale è una condizione necessa-ria ma non sufficiente per co-noscere la verità nella sua inte-rezza. E allora, se non tutti i giornalisti sono imparziali, chi per scelta chi perché non riesce a farne a meno, ben vengano anche quelli di parte, purchè siano in grado di far emergere tutte le verità. ■

QUANTE VERITA’

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www.facebook.com… chi di voi, di tanto in tanto, non lo digita?? Tra una controllatina alle varie e-mail, magari sia quella “seria” di unisi, sia quella personale, la ri-cerca di lavori scientifici su pubmed, uno sguardo alle previsioni del tempo per il week-end suc-cessivo, la ricerca di voli economici per le vacanze, una tappa sulle news in tempo reale del calcio-mercato o addirittura una sbirciatina all’aggiornatissimo sito della Cappella Universitaria di Siena (da non sottovalutare… ricco di news, foto e giornalini…), facebook ci fa, quasi sempre, capolino! Inutile negarlo… ci fa sentire meno soli! E’, al momento, il migliore compagno con cui condividiamo, molte volte senza rendercene conto,

parecchie ore della nostra giornata davanti allo schermo… e così ecco che, per magia, anche il noioso lavoro al pc di-venta più affascinante! Già, perché col “libro delle facce” ce n’è per tutti i gusti…! Cosa stai facendo? Cosa stai pensando? Ti piace questo elemento? Eh?? …e lo vuoi condividere? Guardate ragazzi che questa è una continua interrogazione!! e in questo contesto… ci piace pure, diciamolo francamente! Maggior-mente con le nuove versioni di home page che si susseguo-no, in una schermata si ha tutto sotto controllo: Pinco Pal-lino ha aggiornato il suo profilo 2 secondi fa, mentre Tizio ha cambiato la sua situazione sentimentale, passando da “fidanzato” a “situazione complicata” 10 minuti fa, e da 12

minuti Caio ha fatto amicizia con il suo amico d’asilo grazie al “persone che potresti conoscere”, invitato da Sempronio. Con Caio, Pinco Pallino ha ben 24 amici in comune, mentre Tizio, al mo-mento, sembra essere un asociale, dato che nessuno scrive sulla sua bacheca e non aderisce ad alcun gruppo. La cosa che reputo più divertente è la fatidica domanda: Buonuomo dice di essere tuo amico: vuoi accettare la sua richiesta di amicizia? Confermi o ignori? E… l’accendiamo? Facebook, d’altra parte, sembra essere uno degli strumenti capaci di permetter la condivisione di pensieri e contenuti tra amici, magari di vecchia data, e… lontani, vorrei sperare! Già, perché credo che ultimamente le meraviglie di questa tecnologia, qualora usata all’eccesso, sviliscano i rapporti e li assopiscano in una mediocrità tale da renderli “digitalizzati”. Alla condivi-sione – compartecipazione della propria vita con quella di un amico, a due chiacchiere, una birra e una giratina in centro, si sta pian piano sostituendo una scrittura sempre più rapida dalla tastie-ra del pc purtroppo anche con quell’amico che abita a poche centinaia di metri da casa. Ma… non crediamo più alla forza che può infondere un amico guardandoti direttamente negli occhi, al calo-re di un abbraccio, o a un semplice sguardo “reale” e non immortalato in quelle “facebook-minipicures”? Il libro delle facce risulterebbe molto divertente, nonostante periodicamente capace di intasare la casella e-mail da avvisi e inviti…, ma anche pericoloso nel momento in cui prende possesso delle nostre vite facendole intorpidire nella pigrizia più profonda, prospettandoci persino l’inutilità di un rapporto a quattr’occhi a vantaggio di uno “comodo” e in poltrona principalmente per-meato di tic tic di tastiera e di click di mouse! ■

ALLA FACCIA…

DI FACEBOOK

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Una figura umana sospesa fra cielo e terra è l'immagine più rappresentativa della fede co-me strumento di dialogo e di avvicinamento verso Dio. E' tensione verso di Lui: ricerca continua e fiduciosa. Non serve, però, librarsi nell'aria per raggiungerlo. Lui ci concede di incon-trarlo dove, quando e come noi desideriamo e sentiamo farlo. La sensa-zione è di appagamento e di pace con il mondo, di libertà e di leggerezza proprio come il volo. Il Santo di Copertino poco istruito, umile e semplice possedeva il dono della scienza infu-sa che, nonostante la sua mancanza di diplo-mazia nel trattare con gli altri uomini, la sua inca-pacità di svolgere un ra-gionamento coerente, il non sapere maneggiare oggetti e svolgere arti, gli fece parlare di misteri di teologia con i più alti professori del tempo. Ad un grande teologo francescano che chie-deva come conciliare gli studi con la semplici-tà del francescanesimo, rispondeva: “Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”. Lo studio come ogni arte in cui infondere e-nergie così come ogni attività che l'uomo compie dovrebbero essere ispirati, rivolti e

dedicati a Dio non solo per dare un senso a fatica, passione e lavoro quotidiani ma per ricevere da lui l'ispirazione che permette di illuminare e dirigere ogni umana azione. E così la vita diventa preghiera e pregare è vivere.

Aspetti umani e divini si fondono e, fra cielo e terra, lo spazio sospeso è semplicemente costituito dalla vita di ogni giorno: missione verso un fine il cui senso è ispirato dal-l'alto e che è possibile cogliere solo affidandosi a Lui, senza paura di ca-dere. La Chiesa ha scelto San Giuseppe da Copertino come protettore degli studenti, degli studiosi e degli educatori proprio per indicare a chi si ci-menta negli studi, che il Signore ha un progetto su ognuno di noi e che, se si riesce a sposarlo con convinzione, non ci saranno risparmiate le

fatiche, ma le ricompense sapranno colmare il nostro cuore più di ogni altra cosa. In quell'essere sospesi nel seguire la nostra strada diamo, così, un senso ad ogni nostro giorno, sentiamo di essere parte di un tutto e, guidati dalla passione terrena e dall'ispirazione divina e offrendo al Signore il frutto del no-stro lavoro, in Lui ritroviamo la direzione del cammino quotidiano. ■

SAN GIUSEPPE

DA COPERTINO

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Quando il vecchio sacerdote, custode della biblioteca universitaria di Bologna, volge sconvolto lo sguardo oltre l’inferriata della sala antica, anche allo spettatore è data piena visione della scena di un insolito delitto. E’ una folgorazione figurativa: incunaboli, codici e preziosi manoscritti sparsi ovunque, trafitti da lunghi chiodi sui tavoli e sul pavimento. L’opera di un folle? Un atto terroristico? Il giallo, però, presto si risolve: responsabile è un professore scomparso nel nulla. Ma perché un tale gesto? “Mi sono chiesto: di chi parlo nel mio ultimo film?”, spiega il regista Ermanno Olmi. “Chi ricordare, nella folla dei Grandi della Storia, come esempio assoluto di umanità cui poterci riferire nei momenti bui per trovare sostegno e speranza?”. Quella del Maestro è un’ipotesi carica di sensibilità umana, artistica e religiosa, che riflette nel suo

Centochiodi un forte e personale anelito alla spiritualità: se oggi Cristo tornasse? Forse po-trebbe essere proprio quel giovane professore di filosofia delle religioni (interpretato da un sor-prendentemente sincero Raz Degan – a riprova che i Maestri riescono a vedere dove altri non vedono), responsabile di aver inchiodato quei preziosi testi: non un atto d’accusa contro i libri, ma il rigetto di una dogmaticità accademica ari-da ed invasiva, lontana dai veri bisogni dell’uomo (“C’è più verità in una carezza che in tutte le pagine di questi libri”). Il “Professorino”, come viene soprannominato (non ha nome infatti), in-chioda la falsa sapienza alle sue responsabilità e

inizia una vita nuova. Ricercato dai carabinieri, si rifugia in un rudere sulle rive del Po, spogliatosi di tutto. In un eremo di naturale genuinità una folla di gente semplice si raduna intorno al novello Gesù, da cui ascolta commossa parole di Verità attraverso i racconti evangelici: è occasione d’incontro, di solidarietà, di sincera amicizia, di reciproca crescita umana. Lo stile iniziale da thriller perfetto diviene naturalistico, poetico. Il sorgere del sole tra l’erba, le con-trastanti correnti sulla superficie del fiume, la nebbia sugli argini: immagini elegiache, quasi fuori dallo spazio-tempo. Il Cristo di Olmi ripropone con forza la ribellione ai mercanti e agli arroganti dottori del tempio, alla mercificazione della Parola; contro il vecchio custode che si vanta di “amare più i libri degli uomini” sta la ribellione alle religioni, quelle del trascendente e quelle culturali di economia, scienza, politica, quando divengono vuota idolatria o strumento di demagogica manipolazione. Centochiodi per liberarsi dalle sovrastrutture condizionanti della cultura “ufficiale”, per rinascere. E solo nell’innocenza di questi semplici, che accolgono sinceramente lo Sconosciuto, è possibile rinascere per riconoscere la Verità, come Gesù diceva a Nicodemo. Non è un caso che alla fine l’unico a rivede-re lo scomparso “Professorino”- Cristo, dopo il suo arresto, sarà il più semplice tra i semplici: un bambi-no. “Era lui!”, dirà a tutti, assicurando di averlo visto sorridergli… E viene in mente: “Ti ringrazio, Padre, perché hai voluto nascon-dere queste cose ai sapienti ed agli scaltri, e le hai rivelate ai semplici, agli umili”… Buona visione! ■

INCHIODARE

PER LIBERARE

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Se vi piacciono le arie irlandesi, l’atmosfera da festa folkloristica e gli assolo di chitarra elettri-ca stile punk, vi consiglio decisamente l’ascolto dei Dropkick Murphys. Infatti, per questo numero di Nero su Bianco voglio parlarvi di un gruppo il cui ascolto riesce sempre a mettermi di buon umore e ad infondermi la giusta carica per affrontare la giornata: i Dropkick Murphys. In questo album, The Warrior Code, a mio parere il migliore composto finora da questi ragazzi di Boston, la band di Ken Casey e Al Bar prosegue per la propria strada, quella del punk stradaiolo unito alle sonorità folk e popolari, strada che i Dropkick hanno proprio per-corso per primi, dando il via a un filone che vanta ora molti altri validi gruppi. Rispetto al precedente Blackout, in cui la componente folk era preponderante, questo nuovo episodio, dedicato alla memoria del pugile Micky Ward (leggenda del Massachusett, luogo di ori-gine dei Dropkick), è sicuramente più bilanciato e suona più duro e potente, fin dal dirompente inizio di Your Spirit's Ali-ve, in cui il suono aggressivo e provocatorio delle chitarre distorte e quello molto più folcloristico delle cornamuse si fondono alla perfezione, dando un esempio concreto di ciò che sono i Dropkick. In effetti quasi tutte le canzoni sono costruite sul perfetto equilibrio tra suoni tradizionali (dati dalla miriade di stru-menti utilizzata) e suoni punkrock, e gli esiti sono perlopiù buoni, soprattutto in pezzi come Sunshine High, Take It And Run; anche se la mia preferita resta comunque I'm Ship-ping Up To Boston (canzone galeotta che mi fece conoscere questo gruppo per la prima volta, ascoltata con piacevole sorpresa nel film The Departed). Passando in rassegna la tra-cklist, The Auld Triangle, viene introdotta da un dolce suo-no di pianoforte prima di esplodere in tutta la sua carica, mentre sono immancabili la ballata lenta The Green Fields Of France, e i motivi da festa paesana quali Captain Kelly's Ki-tchen e Wicked Sensitive Crew. Citizen C.I.A. è invece una canzone punk sparata, veloce e rabbiosa. L’album viene chiu-so da Tessie, un divertente brano composto per celebrare la vittoria nella Major League dei Boston Rex Sox. Questo The Warrior’s Code è un album piuttosto vario, un perfetto connubio tra testi e ritmo che inneggia all’andare sempre avanti nonostante le avversità, ad affrontare le sfide sempre a testa alta e, perché no, a guardare anche la vita con un pizzico di irriverenza, cogliendo tra le sfumature la sottile ironia che pervade l’esistenza umana. ■

DROPKICK MURPHYS

The Warrion Code: Tracklist 1. Your Spirits Alive 2. The Warrior's Code 3. Captain Kelly's Kitchen 4. The Walking Dead 5. Sunshine Highway 6. Wicked Sensitive Crew 7. The Burden 8. Citizen CIA 9. The Green Fields Of France 10. Take It And Run 11. I'm Shipping Up To Boston 12. The Auld Triangle 13. The Last Letter Home

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Senza parole. Ecco come sono rimasta girando l'ultima pagina di questo libro. Impietrita e con una lacrima, anzi più di una, ho subito riflettuto sul fatto che un libro del genere non si dimentica tanto facilmente. Perché non si tratta di un libro qualunque, non sono parole buttate li' per caso e inventate ma una storia vera, autentica, vissuta sulla pelle di un uomo nella vita reale rimane anco-ra di più indelebile. Randy Pausch è un professore di informatica presso la Carnegie Mellon University di Pit-tsburgh, che nel 2007 scopre di avere un male in-curabile: il cancro. Randy ha una moglie Jai e 3 figli, Dylan di 5 anni, Logan di 2 e Chloe di 1. Quando arriva questa noti-zia tragica il mondo gli crolla addosso perché si tratta di una malattia che lo condanna ad un destino infame. Ma è l'atteggiamento di quest'uomo unico che riesce a rendere il tempo che gli resta un po’ meno “pesante” e di riu-scire a vivere ogni singolo momento come irripetibile e, addirittura, diver-tente! Un mese dopo la terribile dia-gnosi, Randy decide di tenere la sua “ultima lezione” proprio nel suo mon-do, l'università, e lo fa davanti a 400 tra colleghi e studenti. Da quel momento, il video della lezione comincia a girare su internet, i giornali dedicano

articoli e interviste commoventi al professore malato di cancro, ormai conosciuto in quasi tut-to il mondo. Ed è proprio dalla sua ultima lezione che nasce questo libro così intenso e magico, perché ricco di sofferenza, di amore, di aneddoti particolari vissuti prima e dopo la sua malattia. Randy lancia messaggi di vita assolutamente straordinari, vuole lasciare qualcosa di concreto dalla sua esperien-za, soprattutto ai figli ancora così piccoli. Con acuta ironia, nonostante la situazione, quel-lo di Randy Pausch è un inno alla vita, da vivere al massimo come se ogni giorno fosse l'ultimo e riuscire a capire che essa non va sprecata.

Le ultime pagine del libro sono assolu-tamente le più toccanti, in cui emerge un lento e angosciante saluto di Randy a tutte le persone che gli sono state vicino ma anche a coloro a cui lascia il suo insegnamento con questo libro ma soprattutto alla sua amata famiglia. Cito, per ultime, le parole che mi han-no personalmente più impressionato... “Non so come si fa a non divertirsi. Sto per morire e mi diverto. E ho in-tenzione di continuare a divertirmi per ogni singolo giorno che mi resta. Per-

chè non c'è altro modo di vivere”. Dopo ciò... c'è veramente poco da aggiungere… ■

L'ULTIMA LEZIONE.

LA VITA SPIEGATA

DA UN UOMO CHE MUORE

CONSULTANDO IL SITO WWW.UNISI.IT POTETE TROVARE IN-FORMAZIONI UTILI INERENTI:

➤ I corsi e le strutture didattiche dell’Università degli Studi di Siena ➤ Il servizio bibliotecario

➤ Le borse di studio e gli stage all’e-stero ➤ Gli assegni di ricerca e i premi di

laurea ➤ I master e i dottorati di ricerca

➤ Gli stage e le offerte di lavoro NEWS: ➤Su www.unisi.it/attivitaculturali puoi trovare tutte le informazioni sulle attività culturali promosse dall’-Ateneo senese, il laboratorio teatra-le, il coro d’Ateneo e tutti gli altri spettacoli, workshop ed incontri organizzati ➤ L’Ardsu promuove le attività

culturali e ricreative degli studenti: sostiene specifiche iniziative di asso-ciazioni e gruppi studenteschi, age-vola la partecipazione degli universi-tari alle iniziative locali di maggiore rilevanza (stagioni musicali, teatrali, cinematografiche, etc…) favorisce la conoscenza della città e l'integrazio-ne da parte degli studenti fuori se-de. Info su www.dsu.siena.it ■

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MALDIVE

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L’armonia di onde delicate che incontrano una bianchissima spiaggia, la trasparenza dell’acqua che permette di scorgere anche il più piccolo movimento sul fondale marino, un caldo vento che scompiglia i capelli mentre ti godi un caldissimo sole equatoriale sdraiato in uno spicchio di sabbia soffice come talco mentre il tuo spirito si rimette in pace col mondo… Chi, stressato e stanco non ha per un attimo staccato la spina fantasticando su uno scenario tropicale da favola e immaginandosi in vacanza del ge-nere? Chi non ha mai pensato “mollo tutto e me ne vado su un’isola deserta?”… Forse sarebbe impossibi-le abbandonare per sempre la nostra realtà quotidiana, ma anche una breve vacanza in un posto simile ha il potere di ricaricare un po’ le no-stre batterie scariche… Soprattutto quando è freddo e piove la nostra voglia di vacanze e posti assolati cresce, e per mia grande fortuna ho po-tuto beneficiare di un’esperienza simi-le… quest’inverno sono stata con la mia famiglia alle Maldive, il famoso insieme di atolli dell’Oceano Indiano, un gioiello ancora in gran parte incontaminato si-tuato tra l’India e l’Equatore… Le Maldive sono un sogno ancor prima di partire: pensare di far la valigia con costumi da bagno e pinne è quasi para-dossale quando fuori dalla finestra ci sono pochi gradi! Ma la vera emozione comincia quando, dopo ben dieci ore di aereo, dal tuo finestrino cominci a scorgere tante piccole mac-chioline verdi circondate da bianche strisce che sfumano in un blu cobalto profondissimo che assomi-gliano a smeraldi adagiati su un panno blu di velluto… Dopo lo sbarco a Male, la capitale delle Maldive, un idrovolante ci ha portati nella “nostra” isoletta di destinazione: appena scesa dall’ondeggiante trabiccolo mi sono resa conto che non stavo sognando, che era tutto vero: ho poggiato il piede su quella sabbia borotalcata e mi sono sentita come dev’essersi sentito il primo uomo sulla luna! Calcare un suolo del genere è davvero irreale, ma non è niente in con-fronto a ciò che si prova a fare il bagno in un’acqua oceanica che è tutt’altro che fredda. Nuotare alle Maldive è un’esperienza incredibile: l’acqua è costantemente a 30°C, e sia facendo snorkeling (attività che consiste nel nuotare a pelo dell’acqua muniti di maschera e pinne), sia facendo sub, è possibile am-mirare una miriade di pesci tropicali dai colori fluorescenti e sgargiantissimi. Con un’escursione sul Dhoni, la tipica imbarcazione maldiviana, si può praticare la pesca o raggiungere i punti più incontami-nati dell’arcipelago, dove si possono ammirare i delfini che nuotano, o magari fare un’immersione in ac-que più profonde tra mante, squali (innocui) e tartarughe! Per chi invece non ha voglia di nuotare le Maldive offrono ampie spiagge su cui prendere il sole indi-sturbati per poter sfoggiare una nerissima abbronzatura al proprio ritorno. Dimenticatevi le affollatis-sime spiagge a cui siamo abituati, i ritmi frenetici, i negozi e il caos: la vita sull’isola è placida, semplice,

rilassata; il ritmo delle giornate è scandito dal sorgere e tra-montare del sole, e sembra realmente di vivere in un’altra epo-ca, dove lo stress non esiste e si ha sempre voglia di sorride-re. ■

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AUGURI ai

neo-laureati della

Cappella Universitaria

Milena Dott. ssa in Lettere Antiche

CONSIGLIO DI COMUNITA’

domenica 26 aprile, ore 21.00

ADORAZIONE EUCARISTICA ogni primo giovedì del mese, ore 19.00

www.capunisi.it

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CINEFORUN martedì 21, 28 aprile, 5 maggio ore 20,30 - Salone di S. Vigilio

WEEK END MONASTICO “MEN”

23 - 24 maggio

WEEK END MONASTICO “WOMEN” 6 - 7 giugno

GITA CULTURALE

NELLE MARCHE:

Loreto, Urbino, Frasassi, Recanati,

Porto Recanati, Fabriano

1 - 3 maggio

RITIRO DI PRIMAVERA

domenica 17 maggio

OPEN DAYS

13 - 14 giugno

Signore, Quando avrò fame, mandami qualcuno che ha bisogno di mangiare. Quando avrò freddo, mandami qualcuno che ha bisogno di calore. Quando soffrirò, mandami qualcuno che ha bisogno di consolazione. Quando la mia croce sembrerà pesante, fammi condividere la croce di un altro. Quando mi sentirò povera, mettimi al fianco qualcuno più bisognoso di me. Quando non avrò tempo, dammi qualcuno che chieda il mio aiuto. Quando mi sentirò umiliata, fa che io abbia qualcuno da lodare. Quando sarò scoraggiata, mandami qualcuno da incoraggiare. Quando mi verrà da piangere, mandami qualcuno a cui asciugare le lacrime. Quando penso solo a me stessa, attira la mia attenzione su un’altra persona.

Per SUGGERIMENTI:

[email protected]

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