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Editoriale Per una nuova vita nella fede di Claudia De Pasquale Pag. 3 Chi siamo La comunità si presenta di Erik Urzì Pagg. 4-5 L’angolo del Don Da Siena a Lisbona: alla scoperta dell'amicizia di Don Roberto Bianchini Pag. 6 Pensieri Benedetti L’incontro con una persona viva di Fabio Fiorino Pag. 7 Cappellania La nostra suor Lucia di Regina Virginum di Suor Antonietta Pag. 8 L’amore è diffusivo di Luisa Cipriano Pag. 9 Alla scoperta di tutto quello che siamo di Ana Manso Pag. 10 Conferenza Aborto... e dopo? di Giuseppe Di Gregorio Pag. 11 Personaggio Chiara Corbella di Alice Pappelli Pag. 12 Esperienze Un universo in una parola: HIKE di Alessandra Cocco Pag. 13 Fotografando di Angelo Donzello Pagg. 14-15

Riflettendo Occhi che vedono ma non osservano di Roberta Briamonte Pag. 16 Roma 1960 e storia: Olimpiadi a confronto di Federico Chiezzi Pag. 17 La mia terra..ritrovata di Lorenzo Sciuto Pag. 18 L’amore può soffocare di Marianna Di Tizio Pag. 19 L’importanza di essere genitore di Giuseppe Vazzana Pag. 20 Cammino per Siena, una domenica ecumenica di Federico Pipitone Pag. 21 Tradizioni La Sicilia nel cuore... di Mari Maltese di Roberta Pipitone Pag. 22 UniVersi Dalla passione secondo Luzi di Alfonso Napoli Pag. 23 Arte a parte Il pulpito di Nicola Pisano di Chiara Maniscalco Pag. 24 Ciak si gira Vedere il cinema di Eugenio Alfonso Smurra Pag. 25

Passatempo Cruciverba di Filippo Bardelli Pag. 26 Bacheca Pag. 27

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In questo numero vi augurano buona lettura...

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“Le navi non sono fatte per rimanere in porto, ma per solcare l’azzurro del mare” (anonimo). Arriva un momento nella vita di ciascuno di noi in cui ci si ferma a riflettere su chi siamo realmente e, soprattutto, verso quale direzione stiamo andando. Non sempre le risposte so-no immediate e quelle che ci sono, talvolta, facciamo fatica ad accettarle. Ci si rende con-to di come spesso credevamo di credere, ma in realtà non credevamo; credevamo di amare, ma in realtà non sapevamo cosa fosse l’amore; credevamo di vivere, ma in realtà stavamo so-lo consumando i giorni!

Prendere consapevolezza che parte del nostro tempo è stato vissuto nell’illusione, dona la carica necessaria per ANDARE. La domanda successiva è: da dove partire? Dall’ascolto della Parola di Dio, dalla continua ricerca di Lui, dalla voglia di mettersi in cammino. C’è una frase che dice: “Dio non parla a chi è sordo” . Già! Non riusciamo ad ascoltare la voce di Dio perché siamo immersi tra i mille caos che soffocano la nostra vita; siamo così concentrati su noi stessi che non riusciamo a fare silenzio e lasciarGli spazio. Il cammino di fede inizia proprio dal FERMARSI PER SVUOTARCI DI NOI STESSI E RIEMPIRCI DELLE SUE PARO-LE. La preghiera è perdersi in questo angolo di paradiso racchiuso nella comunione con Lui. E’ solo attraver-so questa comunione con Lui che ci si sente liberi in ogni cosa che si fa e si è in grado di vivere ogni istante in pienezza. Un passaggio fondamentale per entrare in un vero cammino di fede è quello di passare dalla su-perbia all’umiltà. “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5). Tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che facciamo è Opera Sua, è frutto delle Sue mani. Noi non siamo altro che semplici strumenti e, se ci lasciamo condurre da Lui, a-scoltando ciò che ci suggerisce, allora ecco che contempleremo davvero meraviglie! La felicità che Lui vuole donarci sta sempre oltre: oltre ogni aspettativa umana, oltre ogni nostro dub-bio, oltre tutto. Se restiamo in Lui, ogni giorno, nel nostro quoti-diano, sperimenteremo che l’impossibile diventa possibile. “Tutto posso in Colui che mi dà forza” (Fil 4,13). E’ davvero stupendo sapere che se abbiamo Lui nel cuore, se Gli permettiamo di entrare nella nostra vita per condurre ogni nostro passo, possiamo tutto! Nessuna paura, nessuna sofferenza, nessuna tribolazione ci fa-rà sprofondare, perché Lui è con noi donandoci la Sua forza. Quest’anno della fede è un’opportunità per tutti noi per rivalutare il nostro rapporto con Dio, per vedere a che punto del nostro cammino ci troviamo e, se non ci siamo ancora decisi a fare il “salto nel vuoto” per ab-bandonarci completamente alla Sua Volontà, allora, è giunto il momento di farlo. La conversione del cuore non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Partiamo riconoscendo che la fede è il più grande dono che ci è stato concesso, un dono che non può e non deve essere trascurato. Colui che ci ha donato la vita, che ogni giorno ci Ama personalmente prendendosi cura di ogni nostro istante, che vuole per noi grandi co-se, non sta lassù, ma è lì, dentro al nostro cuore. Ci chiama, ci attende, e non vede l’ora di incrociare il no-stro sguardo per donarci la Sua luce, il suo Amore, unica fonte di vera gioia. Non correre ancora per vie straniere in cerca della felicità: fermati per ascoltare la Sua voce, accogliLo nel-la tua vita e abbi fede che ogni Sua promessa, se credi e ti affidi, verrà esaudita! ■

PER UNA VITA NUOVA

NELLA FEDE

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LA COMUNITÀ

La nostra Cappella Universitaria nasce 21 anni fa presso la Chiesa di San Vigilio grazie all’ideazione dell’allora Arcivescovo Gaetano Bonicelli che intendeva, attraverso di essa, col-mare una lacuna nella pastorale della Diocesi. Le finalità della Cappella Universitaria, sin dalla sua nascita, non sono molto mutate nel tempo: essenzialmente consistono nell’assistenza spirituale dei giovani universitari e del corpo docente, nell’animazione cultu-rale in prospettiva cattolica della realtà universitaria e la proposta di un concreto spazio di incontro e di crescita umana offerto a tutti i giovani.

Attualmente essa è guidata dal Rettore don Roberto Bianchini ed è accompagnata dalla silenziosa, ma co-stante e concreta, presenza delle Suore Figlie della Chiesa che per essa offrono con passione tutta la loro vita: Sr. Elisa, Sr. Onorina e Sr. Lilia. San Vigilio è una realtà multiforme, poliedrica e vivace; la vita della Comunità è arricchita da numerose ini-ziative e dall’attività di vari gruppi che in essa e per essa operano instancabilmente e con entusiasmo. Se non ne fai ancora parte... vieni!!! Ti aspettiamo..

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SI PRESENTA

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6 frase Un amico vero ha il potere di penetrare la scorza del nostro cuore e permanere con la definitività di una conquista che non ci verrà più tolta (Mina)

DA SIENA A LISBONA:

ALLA SCOPERTA DELL'AMICIZIA

Se è vero che il cuore del Portogallo batte a Fatima, il viaggio che mi ha condotto nella ter-ra lusitana a fine settembre mi ha svelato molto di più. Nell’archivio di un viaggiatore di lun-go corso come me rimane uno dei viaggi più intensi. Lisbona ammalia. La città è a tratti sbrecciata e cadente, a tratti smagliante e moderna. Sempre però languida e avvolgente. Fatima è il crocevia del Portogallo. Vi abbiamo sostato tre giorni avendo uno scopo condiviso: la preghiera per Don Alessandro, caro amico amma-lato. La Madre della chiesa era lì ad accogliere il nostro grido per presentarlo a suo Figlio.

A Lisbona conosciamo la Parrocchia di S. Isabel da cui proviene la nostra amica Ana e dove siamo accolti fraternamente. Scopriamo qui anche la famiglia Manso che ci apre le braccia e ci segue da vicino nel nostro tempo a Lisbona. Scopriamo però soprattutto la bellezza dell’amicizia, un modo di stare insieme profetico e reale di cui è ga-ranzia la comune appartenenza a Cristo. Un gruppo di persone reali, segnate da storie diverse che però rie-scono a trovare dei momenti d’intesa che riempiono di stupore. Io e Don Enrico siamo due preti che si stima-no, ma che non hanno mai condiviso alcuna prossimità fuori dai contesti ecclesiali. Ci fa bene vivere come persone “normali” e scoprirci semplicemente amici. Donatella festeggia il suo compleanno: la torta è offerta dai Signori Manso. E’ squisita, ma non altrettanto della serata che trascorriamo tra l’inedito risotto al bacca-

là e i video fatti con l’I-phone che purtroppo non riescono a cogliere la consolazione di non voler essere altrove. Il presen-te una volta tanto ci basta. Suor Lilia sembra trasformata: la percepiamo serena e stupi-ta. Anche per lei è una situa-zione inedita; le suore non vanno in vacanza, eppure ne hanno bisogno come gli altri. A Nazaré, sull’oceano, diventa la vera star del viaggio. Con un’audacia tutta latina si la-scia sommergere dalle onde interamente vestita. Si teme di perderla, ma riemerge, Naiade

felice, con un sorriso che non le avevamo mai visto. Sembra che non sia lontana da casa. Sembra che la sua casa per un momento siano gli amici che la circondano: è un attimo di grazia vera, concreta, sperimentata. Durante la strada per Sintra Ana viene spremuta da me e Don Enrico. Le estorciamo storie di vita passata da cui emerge un suo antico compagno, il mitico Tiago, proprietario di una villa a Cascais; e questo è l’unico aggancio con la realtà di un personaggio che sembra uscito da un romanzo di Elsa Morante grazie al mio sor-tilegio di affabulatore impenitente e che, tornati a casa, rientra subito nell’irrealtà. Carmela lascia suo mari-to e suo figlio per unirsi a noi nel viaggio fino a Fatima; la zia mi segue nei miei pellegrinaggi europei sempre intonata ad ogni situazione; Jacopo ha un'anima mariana e un sorriso che fa sciogliere il ghiaccio; Concetta si unisce al gruppo per mail eppure entra subito in sintonia. In alcuni istanti mi sono sentito davvero inonda-to di bene e sereno, così diverso da quando incendierei il mondo che non va come voglio. Nel volto del fra-tello il Dio eterno mi si manifesta e un po' vergognandomi dei sentimenti che mi paiono troppo banali esclamo nel cuore: grazie Signore, la vita è proprio uno schianto! ■

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7 Per approfondire: http://www.annusfidei.va/content/novaevangelizatio/it.html

L’INCONTRO CON UNA

PERSONA VIVA

.. si tratta dell’incontro non con un’idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondi-tà noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio. L’incontro con Cristo rinnova i nostri rapporti umani, orientandoli, di giorno in giorno, a maggiore solidarietà e fraternità, nella logica dell’amore. Dobbiamo tornare al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscopri-

re il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella vita quotidiana. Le verità della fede chiedono una conversione dell’esistenza... conoscere Dio, incontrarlo, approfondire i tratti del suo volto mette in gioco la nostra vita, perché egli entra nei dinamismi profondi dell’essere umano. (11 ott2012)

L’iniziativa di Dio precede sempre ogni iniziativa dell’uomo e, anche nel cammino verso di Lui, è Lui per pri-mo che ci illumina, ci orienta e ci guida, rispettando sempre la nostra libertà. Ed è sempre Lui che ci fa en-trare nella sua intimità, rivelandosi e donandoci la sua grazia per poter accogliere questa rivelazione nella fede. (14 nov 2012)

“perché la Chiesa rinnovi l’entusiasmo di credere in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ravvivi la gioia di camminare sulla via che ci ha indicato e testimoni in modo concreto la forza trasformante della fede”. Ecco il nostro anno nella fede indetto da Benedetto XVI:

vogliamo svegliarci, metterci in cammino per ascoltare, conoscere, fare esperienza di gioia (piena), entusiasmarci di Colui che è Vita unica e vera! Lasciamoci guidare dalle parole del Papa...

… nonostante la grandezza delle scoperte della scienza e dei successi della tecnica, oggi l’uomo non sembra diventato veramente libero, più umano. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, ma di amore, di significato e di speranza, di un fondamen-to sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiduciosi affidarsi a un “Tu” che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida, di quella che viene dal calcolo esatto o dalla scienza. La fede è un atto con cui mi affido liberamente a Dio che è padre e mi ama; è l’adesione a un “Tu” che mi dona speranza e fiducia. La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno… è l’affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel “tu” della madre. Ed è un dono di Dio offerto a tutti gli uomini, ma è anche e soprattutto atto profondamente libero e umano. Credere è affidarsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia. (24 ott2012)

Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realta della nostra storia, si è autocomunicato fino a incarnarsi. Dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perchè e del come vivere. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà, è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme. Per parlare di Dio bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza senza pau-ra, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tan-to più la nostra comunicazione sarà fruttuosa. Dobbiamo metterci in moto per divenire sempre e realmente così, annunciatori di Cristo e non di noi stessi. (28 nov 2012) ■

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Vorrei essere ricordata così: con Gesù, sulle ginocchia di Maria, avvolta dall'Amore del Padre (dal testamento spirituale di Suor Lucia)

LA NOSTRA SUOR LUCIA

DI REGINA VIRGINUM

Lucia! Etimologicamente significa luminosa e Lucia ha concretizzato il suo nome diffondendo la luce di Cristo con grande semplicità e gioia ovunque la volontà di Dio l’ha chiamata a testi-moniare e a operare fino all’ultimo respiro. Io l’ho conosciuta da vicino quando è arrivata nel Nord Carolina, USA. Anche lei come tutte, è arrivata digiuna di inglese per cui ha cercato subito con buona volontà di immerger-

si in una nuova lingua e cultura. Con grande coraggio e tenacia ben presto ha messo a frutto i suoi doni di natura: la gioia, la semplicità, la dolcezza, la capacità di ascolto, la giovialità e la comprensione, doni che, sostenuti dalla grazia e dal suo a-more per la Parola di Dio, l’hanno aiutata ad essere una persona apprezzata sia dagli adulti che dai giovani e dai bambini. Ha iniziato a lavorare con i bambini delle elementari, poi ha diretto la catechesi sia degli adulti che dei ragaz-zi offrendo a tutti un sorriso e un incoraggiamento. In Comunità è stata una presenza arricchente e servizievole.

Ritornata in Italia ha con-tinuato, con il fervore e la professionalità di sempre, l’insegnamento e raggiunta l’età della pensione è stata trasferita a Siena dove con tanto amore seguiva gli uni-versitari ascoltando, consi-gliando e sostenendoli. Purtroppo la sua perma-nenza a Siena è stata breve perché il Signore è venuto a visitarla per unirla a sé prima nella sofferenza e

poi chiamandola definitivamente a godere il premio dei giusti. La sua malattia è stata piuttosto lunga con ricoveri più o meno prolungati, ma nonostante le sue sofferenze era sempre protesa a dedicare il suo tempo all’ascolto e al conforto delle Sorelle ammalate e anziane che vi-vevano con lei. Una delle ultime volte che sono andata a farle visita, mi ha confidato che era cosciente dell’avvicinarsi dell’incontro con lo Sposo, ma le dispiaceva non aver terminato un lavoro che stava portando a termine con la sua Comunità. La sera prima della sua morte, quando il suo respiro era affannoso e corto, ho recitato accanto a lei l’Ave Maria in inglese, e lei con tutte le poche forze che le rimanevano ha continuato bisbigliando “Holy Mary Mo-ther of God, pray for us sinners, now and at the hour of our death, Amen!” La Regina Virginum l’ha portata in paradiso a contemplare il volto di Dio. Spesso mi chiedo perché il Signore ci priva della presenza di sorelle che ancora possono dare tanto, forse perché sono più vicine al cielo? Forse perché intercedano per noi? Qualunque sia la ragione, grazie alla fede questo mistero della morte si illumina di eternità, per cui l’assenza di Lucia diventa presenza silenziosa e viva nella sua eredità spirituale lasciataci, fatta di carità, di attenzione agli altri, di tenerezza e sensibilità verso i più deboli; ci lascia un modo di vivere il Vangelo da piccoli, come voleva Gesù. Grazie Lucia per questa tua eredità, speriamo di completare ciò che il tempo non ti ha concesso di fare. Ti sentiamo vicina e presente, fiduciose che tu intercederai per noi presso il Signore. ■

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“Oggi ho letto il libro di Suor Gabriella. E’ nata il 24 luglio, proprio come me…non l’avevo mai saputo…che bello! Ora la sentirò ancora più vicina! Suor Gabriella mi ha avvicinato alla confessione e al Cuore di Gesù”. Queste parole danno testimonianza alla bellezza di una vocazione alla vita consacrata che continua ancora oggi a produrre frutti, sempre nuovi e odorosi. Suor Gabriella dei Cuori Amabili è una Suora della Congregazione delle Figlie della Chiesa che agli inizi degli anni ’80, prima della nascita della nostra Cappella Universitaria, approda a

San Vigilio. Qui vive gli ultimi anni della sua vocazione, come mamma premurosa di tanti giovani universitari e come fedele sposa di Cristo. Gabriella era una donna dalla contemplazione operosa, “in sosta” davanti all’Eucarestia e “di corsa” lungo il percorso della vita di quanti aveva conosciuto nella scuola, nelle parrocchie, nella Cappella Universitaria e non da ultimo, a Villa Speranza, l’hospice dove ha donato la sua sofferenza durante i mesi della malattia. Suor Gabriella aveva la straordinaria capacità di inter-cettare immediatamente i bisogni di ogni persona che incontrava e con tenerezza materna accoglieva le preoccupazioni di ciascu-no per portarle all’ ”attenzione” del suo Sposo. Coinvolgente e concreta, fantasiosa ed innamorata della vita, era sempre atten-ta ad interpretare i segni di Dio che amava chiamare “Dioincidenze”! La nascita dell’Associazione missionaria, “Amici della Bolivia e del Mondo” (Am.Bo.Mo) nel maggio 2002 rientra a pieno in questa straordinaria logica di risposta all’Amore e ne è uno dei frutti più belli e più maturi. Oggi, a distanza di dieci anni, l’Am.Bo.Mo., continua a “seminare briciole” di gratuità sostenendo progetti di solidarietà in Bolivia ed in India. Oggi, a distanza di quattro anni dalla morte di Suor Gabriella, l’Associazione, in collaborazione con la Cappella Uni-versitaria, ha curato la pubblicazione di una preziosa raccolta di poesie e prosa che Gabriella ha lasciato alla sua famiglia religio-sa. Sfogliando le pagine di questo libro, tutti coloro che l’hanno in-contrata potranno sentirla più vicina, quelli che non l’hanno mai conosciuta potranno imparare ad amarla perché semplicemente si sentiranno amati. Nel testamento spirituale, cuore del libro “L’amore è diffusivo”, Gabriella a tal proposito scrive: “Ti chie-do, Gesù, che tutti i giovani e tutte le persone, che anche per un solo istante ho incontrato nella mia vita, siano salve. Ti supplico: supplisci e ripara Tu per me. Salva tutti i viventi fino alla fine del mondo, per i Tuoi meriti e le Tue sofferenze sopportate con tanto amore nella Tua vita e con la morte sulla croce”. La preghiera di Suor Gabriella è di una bellezza disarmante, è la sintesi perfetta di una vita ininterrottamen-te accesa dall’Amore per il suo Sposo e per la Chiesa e che si è consumata nell’Amore per i fratelli. Nell’intento di rispettare la sua volontà e “diffondere” nel mondo l’amore che Gabriella ha avuto per ciascu-no di noi, il ricavato di ciascuna copia del libro sarà devoluto a sostegno dei progetti dell’Associazione. ■

“L’amore è diffusivo” si può prenotare mediante: CCP 35745660 o Iban IT 91 B 07601 14200 000035745660; Importo euro 15,00;

Causale: un libro per Gabriella (specificare il numero di copie richieste)

L’AMORE E’ DIFFUSIVO

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10 Per approfondire: http://www.esercizi-ignaziani.it/

ALLA SCOPERTA DI TUTTO

QUELLO CHE SIAMO

Esercizi Spirituali… Cosa sono? “Una cosuccia” che ha inventato Santo Ignazio di Loyola. Ma di preciso?? Vediamo… Esercizio – s,m; prova o insieme di prove che servono ad acquistare pratica in una materia. Spirituale – agg; che consta unicamente di spirito e non di materia. Hmm, inte-ressante… Peccato che alcune cose nella vita non si riescono a definire con parole, precisa-mente quelle più grandi e stupende (forse sarà proprio per questo che non riusciamo a far-lo). A volte, però, una canzone è capace di esprimere molto bene quello che abbiamo senti-

to nel più intimo di noi stessi e per me in questo caso questa sarebbe “You Raise Me Up” di Josh Groban, che tradotto in italiano è qualcosa come: Mi metto qui ad aspettare nel silenzio, Finché Lui venga e si sieda un po' con me. E quando Lui viene e sono pieno di meraviglia, Credo di intravedere l'eternità Lui mi solleva… È impossibile fare questa esperienza per bene senza sentire che sono 48 ore davvero intense. A volte sentiamo che ci cambiano la vita scoprendo parti di noi di cui mai avevamo avuto vera consapevolezza. A volte le sentiamo come una percezione del momento di pace e tranquillità che stiamo vivendo, come una casa che si costruisce piano piano e con coerenza. Si può arrivare lì in crisi e capire che alla fine va tutto bene; si può arrivare lì tranquilli e alla fine mettere a nudo qualcosa che ci inquieta. Tutto può succedere! Perché l’unica vera regola è aprire veramen-te il cuore. Senza paura di quello che si troverà. O, anche se con paura, vincendola con la fiducia. E lasciare che accada. Spogliare l’anima davanti a sè stessi e davanti a Dio, guardando nei occhi ogni paura, debolezza e peccato nascosti. Ma anche ogni amore, ogni allegria e gioia vera. Ogni sentimento e pensiero allo “stato puro”, qualunque essi siano, che arrivino dal fondo del nostro cuore, quando ci sediamo un po’ con Lui. Co-noscerci. Punto… per punto. E poi sentire il suo Amore incondizionato, per ogni pezzettino di noi, che ci guarisce da tutte le cose, e ci libera di una forma che fa diventare la vita così semplice. La grande differenza tra questi giorni e i giorni normali è il tempo. Sono 48 ore SOLO per stare con Lui. Stiamo con Lui sempre, certo, ma lì abbiamo tempo di accorgercene. Nella vita quotidiana spesso ci perdia-mo fra “l’urgente e l’importante” e invece durante gli esercizi non c’è spazio o tempo per l’urgente. Il mondo, tutto il mondo, resta fuori. Quelle magiche 48 ore sono una sorta di allenamento che ci ricorda quanto è buono stare con Lui e che lo dobbiamo fare sempre. Che ci insegna che è possibile farlo ogni giorno della nostra vita e imparare a sentirLo in ogni nostro respiro. Bisogna avere un pochino di coraggio ma ne vale la pena. Perchè vale tutta la vita. “Noi siamo buffi: siamo in grado di andare in fondo al mare, in cima alla montagna, dall'altra parte del mondo, ma scappiamo a gambe levate dall’esplorare il nostro spazio interiore. E alla fine è in questo che consiste la vita: la scoperta dell' “interiore” e la sua manifestazione, la riconfigurazione di noi dal di dentro e del prende-re la vita nelle nostre mani. In tale ottica, John Powell propone un esercizio tanto semplice quanto utile: mettere nello specchio un cartello che dica: "ecco la persona responsabile per la tua felicità".” João Delica-do, sj. ■

Esperienza degli Esercizi Spirituali 2012 della Comunità sul tema “Le Dieci Parole, segno dell’amore di Dio

Padre”, guidati da P. Ottavio De Bertolis, gesuita.

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ABORTO... E DOPO?

Per approfondire: http://ufficiofamiglia.altervista.org/cav.htm

http://mpvtoscanagiovani.blogspot.it/p/chi-siamo.html

Continua il ciclo di conferenze che la Cappella Universitaria di Siena ospita su proposta di associazioni locali che tutelano e promuovono la vita nascente e le questioni ad essa con-nesse. A fine novembre a San Vigilio si parla di aborto e delle conseguenze legate all’interruzione volontaria della gravidanza (I.V.G). La relatrice dott.ssa Cristina Cacace, psicologa e psico-terapeuta, dopo aver presentato il fenomeno della pratica abortiva e le cause che possono spingere un soggetto a porla in essere, è passata a esporre gli effetti psicopatologici connes-

si ad una scelta che molto spesso è frutto di una ponderazione inadeguata o talvolta inesistente. A tal ri-guardo è bene tener presente che all’interno delle strutture preposte all’interruzione della gravidanza sono stati rilevati quattro criteri con i quali ci si rapporta: l’approccio istintivo, l’approccio razionale che si fonda su ragioni pratiche addotte a favore dell’aborto, l’approccio basato sul rifiuto e sul temporaggiamento e inol-tre la “nessuna presa di decisione’’ che spinge la madre a delegare ad altri la scelta. Da qui si può evincere come non sempre la donna risulti pienamente consapevole dell’atto che si appresta a compiere (con il conse-guente insorgere di ripensamenti), aggiungendo a questo un altro fattore non meno degno di nota, peraltro oggetto di innumerevoli studi, ossia l’attaccamento affettivo inconscio che la madre sviluppa nei confronti del bambino fin dal momento del concepimento. Tra i disturbi connessi all’ I.V.G. sono da annoverarsi depressio-ne, ansia, disturbo post-traumatico da stress, rischio di suicidio, abuso di sostanze alco-liche o stupefacenti che posso-no trovare manifestazione nel m o m e n t o s u c c e s s i v o all’interruzione oppure anche a distanza di anni. Un recente studio americano ha delineato i sintomi del disturbo post-traumatico da stress che si i-dentificano nel rivivere l’evento attraverso ricordi ricorrenti ed intrusivi; nell’evitare persistentemente gli stimoli associati all’aborto (attraverso gli sforzi per evitare pensieri, sensazioni che riportino indietro nel tem-po, o mediante l’incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento); infine, nell’aumentato arou-sal che si concretizza in sfoghi di irritabilità, crisi colleriche, difficoltà a prendere o mantenere il sonno. Su molti dei soggetti che si sono volontariamente sottoposti ad un’interruzione di gravidanza gravano anche problemi di natura relazionale con il proprio partner ascrivibili principalmente al sentimento di sfiducia nei confronti degli uomini: in questo modo anche la serenità della coppia, oltre alla salute psicofisica della don-na, risulta compromessa. Nel nostro ordinamento l’I.G.V. è rimessa entro i primi 90 giorni alla libera determi-nazione della madre, mentre successivamente può essere praticata soltanto nel caso in cui siano accertati processi patologici in atto. Seppur non previsto dalla Costituzione, ma ugualmente riconducibile ai diritti inviolabili costituzionalmente garantiti, il diritto alla vita dovrebbe, insieme al diritto alla nascita, costituire uno spunto di riflessione sull’importanza e sul valore del fenomeno “vita” che va tutelato fin dal suo inizio ossia a partire dallo sviluppo embrionale. ■

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«Mi chiamo Chiara. Sono cresciuta in una famiglia cristiana che sin da bambina mi ha inse-gnato ad avvicinarmi alla fede. Quando avevo cinque anni mia madre cominciò a frequenta-re una comunità del Rinnovamento dello Spirito e così anche io e mia sorella cominciammo questo percorso di fede che ci ha accompagnato nella crescita […] e mi ha insegnato a con-dividere la fede con i fratelli che camminavano con me. All’età di 18 anni in un pellegrinaggio incontrai Enrico e pochi mesi dopo ci fidanzammo. Nel fidanzamento durato quasi sei anni, il Signore ha messo a dura prova la mia fede e i valori in cui dicevo di credere. Dopo quattro

anni il nostro fidanzamento ha cominciato a barcollare fino a che non ci siamo lasciati. In quei momenti di sofferenza e di ribellione verso il Signore, perché ritenevo non ascoltasse le mie preghiere, partecipai ad un corso vocazionale ad Assisi e lì ritrovai la forza di credere in Lui, provai di nuovo a frequentare Enrico e cominciammo a farci seguire da un padre spirituale, ma il fidanzamento non ha funzionato fin tanto che non ho capi-to che il Signore non mi stava togliendo niente ma mi stava donando tutto e che solo Lui sapeva con chi io dovevo condividere la mia vita e che forse io ancora non ci avevo capito niente! Finalmente libera dalle aspettative che mi ero creata ho potuto vedere con occhi nuovi quello che Dio voleva per me. Poco dopo, contro ogni nostra aspettativa e superate le nostre paure, abbiamo deciso di sposarci. Nel matrimo-nio il Signore ha voluto donarci dei figli speciali: Maria Gra-zia Letizia e Davide Giovanni, ma ci ha chiesto di accompa-gnarli soltanto fino alla nascita. Ci ha permesso di abbrac-ciarli, battezzarli e consegnarli nelle mani del Padre in una serenità e una gioia sconvolgente. Ora ci ha affidato que-sto terzo figlio, Francesco che sta bene e nascerà tra poco, ma ci ha chiesto anche di continuare a fidarci di Lui nono-stante un tumore che ho scoperto poche settimane fa e che cerca di metterci paura del futuro, ma noi continuia-mo a credere che Dio farà anche questa volta cose gran-di». Con queste parole si presenta Chiara Corbella nel gennaio 2011 al Laboratorio della fede. A meno di due anni di di-stanza il “drago”, la malattia, ha annientato il suo corpo ma lei ce l’ha fatta! Lo scorso 13 giugno Chiara è nata in cielo, «vado a prendermi cura di Maria e Davide, tu resterai con papà. Io da lì pregherò per voi» ha scritto al suo Francesco prima di morire. Padre Vito, il suo padre spirituale, durante l’omelia del funerale precisa: «Chiara ed Enrico a queste cose ci sono arrivati gradualmente. Il Signore ce li ha portati passo dopo passo». Chiara aveva cerca-to di fare sua la regola appunto delle tre P, dei “Piccoli Passi Possibili”, di fare la cosa che gli era possibile in quel momento. Chiara ed Enrico hanno toccato con mano cosa significhi vivere pienamente ogni istante nel-la Sua volontà, come amare senza misura trasformi la vita e renda “molto dolce” persino la croce. La vita di Chiara è un esempio luminosissimo, un inno alla vita e alla gioia, come la piantina da portare a casa che, u-scendo dalla Chiesa ognuno ha ricevuto secondo il desiderio di Chiara, a dimostrazione del fatto che solo “se il chicco di grano caduto a terra muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). ■

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CHIARA CORBELLA

Per approfondire: http://www.chiaracorbellapetrillo.it/

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13 “Leggi la Bibbia, nella quale scoprirai la Rivelazione Divina (…) e poi leggi un altro libro meraviglioso: quello della Natura creata da Dio” (Baden Powell)

Chiedete ad uno scout di raccon-tarvi dei suoi hike e non smetterà più di parlare. Ma cos’è un “Hike”? Parti da solo o in coppia, con lo zaino sulle spalle e il nome di un luogo da raggiungere; hai con te una Bibbia, una cartina topografi-

ca, una bussola, una mela e un tozzo di pane; non sai dove dormirai e cosa incontrerai per strada, ma ti affidi nelle mani del Signore e vai. In 18 anni di scoutismo il mio hike più indimenticabile risale ad appena tre anni fa, durante un campo nazionale A-GESCI di formazione capi nelle foreste Casentinesi. Era la prima volta in assoluto che partivo per un hike in solitario, in precedenza lo avevo sempre fat-to in coppia con un’altra persona. Potevo pure sce-gliere di fermarmi a dormire in un paesi-no e chiedere ospi-talità ad una par-rocchia o ad una famiglia generosa, e invece ho scelto di sperimentare fino in fondo la solitudi-ne portando con me la tenda, decisa a dormire sola in mezzo alla natura. Ho lasciato tutto, anche il cellulare, con me ho solo 5 euro per l’autobus e il lettore mp3, convinta che la musica mi avrebbe potuto fare compagnia. In quelle ventiquattr’ore in cui sono stata sola ho camminato per decine di chilometri attraverso i boschi e le campagne toscane, mi sono persa, sono rimasta per ore senza acqua, ho trovato attaccate al mio corpo ben tre simpatiche zecche, ho viaggiato sull’Ape 50 di un vecchietto toscano, ho scalato una cascata gelida a piedi nudi con gli scarponi appesi al collo e lo zaino sulle spalle. Ho dormito in mezzo al bosco e ho avuto paura dei suoi rumori notturni a tal punto

che non sono riuscita a tenere le cuffie alle orec-chie per più di 15 secondi e mi sono addormentata con il coltellino nella mano destra e un bastone nella sinistra convinta che durante la notte potesse assa-lirmi qualche leone. In tanti momenti la fatica e l’incertezza della strada mi hanno fatto spaventato e mi hanno fatto credere di essere andata oltre le mie possibilità. Di solito quando si è in due ci si fa coraggio a vicenda, ma per la prima volta ero “veramente sola”, sola con me stessa e i miei limiti. Qualcuno già starà pensando: “questa è pazza; ma chi glielo fa fare a provare certe cose; ecco che ci propina la classica storia che la natura avvicina a Dio”. Ma se si guarda un po’ più a fondo e si scava oltre la superficie si scopre qualcosa di più, qualco-sa che io ci ho messo anni a capire ed ora è difficile

spiegare in poche righe di conclusio-ne. E’ vero, la natu-ra è uno dei più splendidi doni at-traverso cui Dio ci parla, saper entrare in vera comunione con essa significa che si è imparato a sperimentare la semplicità del cuo-re e della vita. Hike significa che abbia-mo imparato a fare silenzio veramente, perché quando si è così soli che anche i propri pensieri

fanno rumore, è impossibile fuggire da se stessi e provare a non ascoltarsi. E così l’hike in fondo non che è una palestra di vita che ti aiuta a metterti in ascolto di te stesso e di Dio, una delle tante strade che il Signore ci offre per entrare in comunione au-tentica con lui, liberi da tutte le distrazioni alienan-ti della società. Ecco cos’è l’hike: un universo di e-mozioni, insegnamenti, spiritualità e avventura; un’esperienza che rimane impressa nel cuore per la vita e che è capace di cambiare il tuo modo di vede-re il mondo. ■

UN UNIVERSO IN UNA PAROLA:

HIKE

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Ogni giorno ci imbattiamo in volti

sconosciuti, frettolosamente la no-stra spalla ne urta un'altra, ma quando i nostri occhi si incrociano davvero con quelli degli altri? Pen-so capiti a ciascuno di noi di sentir-

si a volte invisibili, vicini fisicamente a tanta gente eppure così lontani. Mi rendo spesso conto di quan-ta indifferenza ci sia intorno a noi, ed è facile veri-ficarlo nella vita di ogni giorno. Per le strade sempre molto affollate ognuno cammina, o meglio corre, solo con se stesso, talmente distratto e preso da sé da non chiedere nemmeno scusa se, per la fretta, urta un passante. Nei negozi la nostra mano sfiora quella della cassiera al passaggio dei soldi, ma per noi quel gesto non ha nessun significato e magari “cassiera”, “commessa” o “segretaria” diventano in-consciamente per chi ci si rivolge delle categorie ben distanti dal concet-to di persona. Spesso pranzo da sola alla mensa dell'universi-tà e guardandomi intor-no mi accorgo che c'è tanta altra gente sola con il suo piatto. Un giorno mi sedetti a un tavolo quasi tutto oc-cupato da un gruppo di ragazzi, e poco dopo mi resi conto che non si tratta-va affatto di un gruppo, in realtà nessuno conosce-va gli altri e tutti erano così presi dal proprio piatto da non alzare nemmeno lo sguardo tra un boccone e l'altro. Pensavo che la mensa potesse essere un buon luogo dove fare nuove conoscenze, ma ho tro-vato invece tanta diffidenza, come se sorridere e scambiare qualche parola con chi ci è seduto di fronte potesse nuocere alla digestione. Percepisco in certe situazioni la presenza di un senso di vergo-

gna, come se ci si dovesse vergognare di sorridere a chi non si conosce, come se ormai fosse diventato buon senso passare indifferenti accanto agli altri e non mostrare loro gentilezza. Si creano delle barrie-re tra noi e gli altri che limitano la comunicazione e che cancellano la preziosa possibilità dello scambio, quello scambio di umanità che ogni incontro reca con sé. Accanto a questa indifferenza con la quale più o meno tutti abbiamo a che fare, c'è poi un'in-differenza più radicale, che coincide con la totale mancanza di umanità e solidarietà. Quante volte sentiamo la notizia di automobilisti che investono dei pedoni e non si curano nemmeno di fermarsi a prestare soccorso? E quante leggiamo sui giornali di persone molestate, minacciate, percosse davanti agli occhi della folla ma nel quasi totale disinteresse di tutti? E si innesca il gioco delle tre scimmie, del non sento, non vedo, non parlo. Gesù nella parabola

del buon samaritano dice “Ama il prossimo come te stesso” (Lc 10, 25-37). Ma a volte fati-chiamo a vedere questo amore per gli altri, è più facile passare oltre che fermarsi e tendere una mano a chi ne ha biso-gno. Ci dimentichiamo spesso di essere tutti figli di un unico Dio e perciò di essere tutti

fratelli, e come si può non aiutare un fratello, non prestargli la nostra attenzione? Dovremmo sforzarci di far cadere quelle barriere e trattare gli altri co-me noi stessi vorremmo essere trattati. In fondo tutti vorremmo ricevere un sorriso gratuito, essere visti e considerati anche da chi non fa parte della nostra vita personale. Ogni incontro, seppur fortui-to, può lasciarci qualcosa di importante, o quanto meno farci sentire parte di qualcosa di grande. ■

L'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità (George Bernard Shaw)

OCCHI CHE VEDONO MA

NON OSSERVANO

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17 …un momento di totale unione, pace e confronto…

Nel Mondo la parola indipendenza riempiva i cuori della gente di speranza per il futuro,

decine di Stati si staccavano dalle loro Patrie per intraprendere un cammino autonomo, la geografia stava cambiando e in Italia ci preparavamo a festeggiare la diciassettesima edizio-ne dei Giochi Olimpici. A Roma, come in nessun’altra capitale, ci avrebbero regalato delle emozioni che solo un padre o un nonno potrebbero raccontare a degli studenti universitari di oggi.

Era il 1960, quell’anno Kennedy avrebbe vinto le elezioni in America, l’Onorevole Tambroni insediato il suo primo Governo, l’allora Papa Giovanni XXIII avrebbe benedetto gli atleti alla vigilia della manifestazione, e Giovanni Gronchi presieduto la cerimonia di apertura alla presenza dei rappresentanti di 83 Nazioni che aveva-no contribuito a formare un “esercito” di 5400 atleti. Erano passati 2736 anni dalla prima edizione che vedeva, e vede ancora oggi, ogni quattro anni, sfidarsi i migliori at-leti del mondo. All’epoca il mondo conosciuto non era quello di oggi e chi ne faceva parte proveniva dall’Italia meridionale, dall’Asia Minore, dalla Crimea, e ovviamente da tutta la Grecia che era il paese ospitante. A Olimpia, nell’Elide, le gare e la spettacolarità erano talmente supe-riori a qualsiasi altra manifestazione che il solo parago-narli a Giochi organizzati nella regione greca per omaggia-re gli dei pagani, era impensabile. Le Olimpiadi nascono come temporaneo vincolo di unione tra città separate e spesso in lotta tra di loro. Du-rante lo svolgimento dei giochi nessuna guerra poteva essere dichiarata e, almeno in via di principio, i conflit-ti in corso dovevano essere sospesi. Ad atleti e spettatori era consentito transitare anche in territori bellici. Non sono soltanto gloria e ori a dipingere il quadro che raffigura la storia delle Olimpiadi. Molte volte, politi-ca e atti di terrorismo hanno distrutto un’opera d’arte che avrebbe potuto avvicinarsi ad una vera metafora di pace. La manifestazione del 1936 fu usata come strumento di propaganda per il Partito Nazionalsocialista tedesco, mentre l’URSS dal 1928 al 1956 non prese parte ai giochi organizzando una manifestazione propria con l’intento di far disputare agli atleti comunisti un evento di stampo sovietico che Stalin fece chiamare Spartachiadi. A seguire, a cavallo degli anni settanta e ottanta, USA e URSS, per questioni politiche cono-sciute, boicottarono numerose volte l’evento. Il terrorismo rappresenta la macchia più nera della storia che vede come epicentro oscuro il “massacro di Monaco ‘72”. In quell’occasione un commando di terroristi palestinesi prese in ostaggio 11 membri della squa-dra olimpica israeliana. Il tentativo di liberazione da parte delle forze dell’ordine finì in un bagno di sangue: 11 atleti, 5 terroristi ed un poliziotto morti. Dopo ciò ed in seguito all’attentato alle Torri Gemelle, le misure di sicurezza che le Nazioni organizzatrici prenderanno saranno altissime. Oltre ciò, è però doveroso pensare e ricordare le Olimpiadi del passato, come quelle odierne, come un mo-mento di totale unione, pace e confronto tra tutti gli Stati del mondo, tra tutte le culture e tutte le tradi-zioni. ■

ROMA 1960 E STORIA:

OLIMPIADI A CONFRONTO

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18 Il sapere rende liberi, è l'ignoranza che rende prigionieri (Socrate)

E’ tempo di saluti: amici, cugini, nonni, zii, zietti, zioni..non mi ero mai accorto di avere una famiglia così numerosa. Papà e mamma preparano i fazzoletti per l’addio, i miei fratelli hanno già invaso la mia stanza. Chiudo una valigia piena di dubbi, in spalla uno zaino carico di spe-ranze, è giunto il momento di lasciare la mia terra: vado a studiare al Nord. Ma dove sono capitato? Cori, strepiti e tamburi fino all’alba, bandiere e vesti da medioevo, vanno sempre in giro con uno strano fazzoletto al collo. Ciaccino, cencio, cittino..hoha ho-la?! E alla “C” che fine hanno fatto fare?

Ho già nostalgia di casa. Come vorrei poter mangiare la pasta della mamma e il dolce della nonna, ma è possi-bile che il mio dialetto qui nessuno lo capisca?! Eppure questo accento non mi è nuovo, ciao scusa di dove sei? Non ci posso credere anche tu qui, e tu, e tu, e tu. Ammazza quanti siamo! Mille notti ho dubitato se fosse o no la scelta più giusta per me e ora scopro che sono proprio tante le perso-ne che hanno accettato questa sfida già da tempo. Per anni ho detto di voler cambiare la mia terra, di voler combattere i problemi che la affliggono, di voler essere per primo un uomo nuovo, ed invece eccomi costret-to a cercare un’Università che possa offrirmi un futuro migliore, costretto ad allontanarmi. E se fossi rimasto? Le facoltà universitarie sono tutte traboccanti d’iscritti e superare i test d’ingresso è per eletti.. o “fortunati”. Gli studenti, una volta ammessi, difficilmente riescono ad instaurare un rapporto col docente che quindi non riesce a trasmettere mai a pieno le sue, a volte buone, conoscenze. Strutture caren-ti rendono difficile seguire le lezioni, mense, alloggi e sconti per gli studenti neanche a parlarne: “soldi non ce n’è, non sai che c’è la crisi?”. In media ogni anno 24.000 giovani, dopo il diploma, approdano nelle Università del Centro-Nord abban-donando il Mezzogiorno del Paese: uno studente su cinque! Un feno-meno che condanna le nostre terre ad un futuro incerto. Di questa massa di “emigrati”, quelli che fan-no ritorno ai propri territori d’origine sono all’incirca 6000. Dun-que meno della metà di coloro che si laureano scelgono di investire nei luoghi di partenza i saperi acquisiti. Anche nel post laurea gli sbocchi occupazionali che il Centro-Nord d’Italia riesce ad offrire, nonostan-te la crisi, sono in misura maggiore che al Sud. Ma di chi è la colpa? "Il sapere rende liberi, è l'ignoranza che rende prigionieri" dice Socrate. Per anni governi ed istituzioni hanno calpestato un bene prezioso come l’insegnamento tagliando invece di investire, privatizzando invece di rendere la sapienza accessibile anche agli ultimi. Perchè in fondo un popolo ignorante è un popolo che non si ribella, che crede a tutto ciò che gli viene proposto. E allora io che ignorante non voglio restare scappo, provo a vedere il mondo da un’altra pro-spettiva, provo ad adattarmi ad una vita che poi tanto male non è. Piano piano mi ci abituo, ne faccio parte, quasi dimentico da dove sono venuto, ma in verità dentro me mi chiedo se presto o tardi potrò finalmente rientrare da dove sono partito per poter dire: eppure la mia terra posso ancora migliorarla! ■

LA MIA TERRA… RITROVATA

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19 Per approfondire: Clarice Lispector, La vita che non si ferma - Lettere scelte (1941-1975), 2008, R.C.S. Libri S.p.A, Milano.

L’AMORE PUO’ SOFFOCARE(?)

Nel 1960 Clarice Lispector, nata u-craina e naturalizzata brasiliana, con-tinua il cammino di scrittrice in lingua portoghese con la pubblicazione di Legami familiari. La raccolta di rac-conti applica il suo pensiero sostan-zialmente pessimista all’ambiente fami-

liare: viene rivolto uno sguardo impietoso e severo alle miserie dell’uomo, che si manifestano nell’intreccio del-le relazioni più forti e strette. In tali circostanze, il sentimento dell’amore perde la sua forza generativa per rendere chi lo riceve un oggetto, la cui esistenza si sviluppa esclusivamente in funzione dell’altro. Spesso i racconti sono incentrati su figure femminili che svol-gono a volte la funzione di vittima, in altri casi quella di carnefice, fino a rivestire entrambi i ruoli. Quest’ultima situazione si verifica nel racconto eponi-mo, quando la protagonista Catarina è al contempo figlia e madre. All’inizio della narrazione, un evento banale provoca un avvicinamento fisico con la propria madre che le rivela la glacialità del loro rapporto. Vitti-ma, quindi, della distanza affettiva del genitore, Cata-rina sceglie di legare a sé il figlio attraverso una rela-zione così calorosa da essere opposta a quella esperita nella sua infanzia, ma da risultare altrettanto crudele. Inoltre, il desiderio di amare crea timore nella persona a cui il sentimento è destinato: si sviluppa una serie di impressioni attribuite allo sguardo altrui che in realtà sono frutto delle incertezze personali. I protagonisti della Lispector non hanno una percezione unitaria di se stessi, ma sono costantemente influenzati dalle sensazioni del proprio corpo determinate dalla presenza o dall’assenza di occhi esterni. Perciò l’autrice sottolinea gesti e oggetti che riguardano la vista; inoltre, l’osservazione fisica rappresenta e veicola la prospettiva dei protagonisti sulla realtà esterna. Una realtà che si rivela spesso fittizia e illusoria, che a tratti mostra “l’anello che non tiene” attraverso avvenimenti epifani-ci. Episodi momentanei che sembrano privi di sostanza diventano illuminanti: aprono gli occhi a coloro che li vivono creando un senso di repulsione fisica che interrompe l’apparente cordialità del quotidiano. Attraverso il procedimento dell’epifania, la Lispector assume un atteggiamento narrativo ed esistenziale mol-to diffuso nella letteratura europea del Novecento, ma al contempo definisce una linea stilistica “sperimentale”. La scrittrice, infatti, compie una ricerca formale che la induce a semplificare il linguaggio, sia a livello lessicale che sintattico. È uno stile volto non solo a coinvolgere il lettore, ma soprattutto a ripro-durre con fedeltà i processi che si verificano interiormente all’uomo, con particolare interesse verso la com-ponente irrazionale. In conclusione, si può affermare che Clarice Lispector è autrice di una narrativa che ha difficoltà a rivolge-re lo sguardo verso l’alto. Se è in grado di salvarsi dalla falsità della vita quotidiana, se può cogliere l’occasione per squarciare il velo della finzione, l’essere umano non è tuttavia capace di dedicare se stesso all’altro. Un’analisi che sembra aver dimenticato Dio. O che può far notare che senza di Lui le persone dav-vero non sanno andare oltre il proprio ego. ■

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La famiglia è il nucleo fondamen-tale della società umana e rappre-senta al tempo stesso la base su cui poggia ogni comunità di cittadini, ovvero è l’unica istituzione sociale in cui tutto ha origine e in cui tut-to prende forma.

La famiglia è a mio parere la prima azienda vivente che la società abbia conosciuto, al cui interno vie-ne svolto il mestiere più impegnativo del mondo, quello del genitore. Ebbene sì, fare il genitore è una professione a tut-ti gli effetti, non si avrà a che fare con nessuna busta paga o quant’altro legato al mondo del lavo-ro ma si lotterà nel raggiungere insieme un unico obiettivo, quello di cercare di essere di esempio ai propri figli dando loro la giusta educazione e i do-vuti consigli per vi-vere all’interno della società civile insieme agli altri. Ricordo ancora co-me fosse ieri il gior-no in cui mio padre mi fece un regalo, e io, spacchettandolo, già immaginavo chis-sà quale gioco mi avesse comperato. Invece vi trovai la Costituzione italia-na, la bandiera italia-na ed un decalogo con tutte le regole del saper vivere in una comunità di cit-tadini. Non posso nascondere che lì per lì ci restai un po’ male in quanto non sapevo cosa fossero e che im-portanza avessero, ma col tempo quelle cose di-vennero di una importanza tale nella mia vita che ritengo siano tuttora il miglior regalo che io abbia mai ricevuto. Mia madre invece, grazie alle sue parole e ai suoi consigli indirettamente, mi ha fatto dono della pa-

zienza e della modestia: esse all’apparenza possono sembrare due cose astratte e prive di senso ma in realtà mi sono state utili nel cammino della vita, e spero che lo siano ancora per molto. Come potete vedere entrambi si sono divisi i ruoli, come è giusto che sia, infatti nell’educazione dei propri figli non vi deve mai essere una parte che prevalga sull’altra, ma bisogna sempre cercare di trovare un punto di incontro che sappia partorire ottimi propositi. L’elemento fondamentale della famiglia però rima-ne uno solo, ed è l’amore che lega i coniugi, se c’è quello tutto il resto non conta perché è l’unica cosa capace di superare i momenti negativi che la vita spesso ci offre riuscendo a creare un luogo di serenità e di protezione per i figli, trasmettendo loro così i veri valori della vita, in modo che anche essi possano fare lo stesso con gli amici o con i

compagni di scuola. Essere degli ottimi genitori è dunque un valore aggiunto per la nostra società: se ci si riesce verranno fuori degli ottimi cittadini capaci di esseri mes-saggeri di speranza sia per la società attuale che per quella futura. A tal riguardo è d’obbligo citare le pa-role che Giovanni Pao-lo II pronunciò duran-te la sua visita in India nel 1986: “La Chiesa non cessa mai di pro-clamare la verità che

la pace nel mondo affonda le sue radici nel cuore degli uomini, nella coscienza di ogni uomo e di ogni donna. La pace può essere soltanto il frutto di un cambiamento spirituale, che inizia nel cuore di o-gni essere umano e che si diffonde attraverso le comunità. La prima di queste comunità è la fami-glia. È la famiglia la prima comunità ad essere chia-mata alla pace, e la prima comunità a ricercare la pace e l’amicizia fra gli individui e i popoli”. ■

Essere degli ottimi genitori è un valore aggiunto per la nostra società, se ci si riesce verrano fuori degli ottimi cittadini....

L’IMPORTANZA DI ESSERE

GENITORE

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21 Il progresso è possibile festeggiando i 50 anni dal primo vero Concilio ecumenico

CAMMINO PER SIENA,

UNA DOMENICA ECUMENICA…

Da Coroncina perdo il pollicino per la Messa in centro. Dovrei rodermi nella colpa, ma m’è data una possibilità: alzare il pollice. Trovo un passaggio da una coppia afro, diretta per al-tro a Messa, alla Chiesa evangelica. Dialoghiamo, e finiscono per offrirmi del cioccolato: lo accetto perché il gesto è generoso, oltre la consapevolezza del Cibo che mi attende. Dico loro che oggi l’anima irrituale dei protestanti può esser confortata dal pontefice cattolico, che in Inghilterra sancisce gli agnostici essere vicini a Dio più degli abitudinari del culto. Sugli agnostici colgo uno sguardo scettico dei miei interlocutori, che però colgono la provo-

cazione, e riconoscono come dalla Chiesa romana – così la chiamano – i Sette Sacramenti siano approfonditi oggi più che ai tempi in cui Lutero (di fatto il loro S. Martino), con severità ispirata degna d’un Paolo, Li san-cì solo esteriori. Sto per dire che papa Benedetto XVI è un ponte di riconciliazione che il Signore ci offre con la cultura germanica in seno alla quale è nata la Riforma, e che il progresso è possibile festeggiando i 50 anni dal primo vero Concilio ecumenico… ma è il loro capolinea, e ci salutiamo. Ho ancora del tempo, e nella via della Sapienza che imbocco scopro per la prima volta aperti, accanto alla biblioteca comunale che frequento disattento, i battenti di S. Anastasia Romana, chiesa di rito ortodosso che celebra Messa una volta al mese. Entro: una comunità, nutrita di donne, radunata sulle prime panche di

fronte alle icone esposte ai lati dell’altare, leva la sua preghiera coll’incenso effuso dal sacerdo-te, che interviene intonando il canto… la lingua strania la mia analisi e, insieme allo splendore dell’abside, acuisce il senso del mistero luminoso e dell’Eucaristia. So poco del rito, ma pare che il celebrante muova ora a perlustrare ogni angolo della sala, perché la benedizione converta ogni scheggia in pietra del Tempio. Allora ricordo la trasformazione che attende anche me nella Co-munione, e uscendo l’intensità della preghiera mi accompagna in Cappella dove potrò non solo sentire ma ascoltare il Vangelo, e anche il Latino dei canti mi coinvolgerà. Oggi Siena è candidata a capitale europea della cultura, e pur senza le dimensioni delle nostre metropoli, offre questo spunto anche in ambito religioso: una città non è un insieme di edifici, anche di culto; una città può essere un percor-so culturale. Al visitatore che è pellegrino è da-to di riunire, al suo passaggio, la geografia tra-scorsa al presente dei luoghi, come anche imma-ginare che succeda a tanti altri, magari nelle dif-ferenti città di medesime proporzioni non solo dell’Italia ma dell’Unione! Che non è l’ultimo o-rizzonte per la Fede nell’unità dei Cristiani prima della Gerusalemme Celeste: però è la composita civiltà che prima comportò gli scismi, e poi li ri-comporrà. ■

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LA SICILIA NEL CUORE…

LA GENEROSITA’ DEI “MORTI”

Oggi è il 2 novembre, giorno della Commemorazione dei Defunti, ma vivo in Sicilia e, per-ciò, se ho meno di quattordici anni, il mio risveglio è accompagnato da un sorriso impazien-te… si, perché mi aspetta la caccia al tesoro più emozionante dell’anno. Stanotte, mentre tutti dormivamo, sono venuti a farci visita i nostri cari Morti! Lo so, forse non me lo meriterei, ma avranno portato i consueti doni e allora, via con la ri-cerca! Guarda, sotto la dispensa, vedo una carta argentata: la bambola che avevo chiesto

alla mamma, chissà come ha fatto a farlo sapere loro… e lì dietro il comò, oh! incastrata tra il muro e il mobi-le “a pupa ri zuccaro” sembra chiedermi con gli occhietti languidi di essere salvata dalla scomoda posizione, ed essere messa in bella mostra da qualche parte, magari per un anno e oltre e, dopo aver scovato sotto le poltrone pacchettini colorati più piccoli, vedo campeggiare al centro del tavolo della stanza da pranzo il vas-

soio di “frutta ri Marturana”: c’è la castagna, il mandarino, il fico e financo l’oliva! Questi li man-geremo a colazione: d’altronde la pasta di mandor-le di cui sono fatti ben si abbina al latte e al caffè! Hanno pensato proprio a tutto, si sono fatti pic-coli e sono venuti a ricordarci che ci vogliono be-ne e che ci guardano dall’alto. Adesso andiamo al Campo Santo a ringraziarli di tutto cuore! Un fio-re è poca cosa per la gioia che ci hanno arrecato, ma sappiamo che per loro sarà una festa vederci arrivare pieni di riconoscenza! ■

IL FOLKLORE: ESPRESSIONE DELLA TRA-DIZIONE

Cosa vuol dire amare la propria terra? Vuol dire conoscerla prima di ogni cosa, viverla e portar-la nel cuore ovunque la vita ci conduca… Ho imparato ad amare la mia Sicilia dal momento in cui iniziai a conoscere la storia che fecero i siciliani, le tra-

dizioni popolari fatte di canti e danze, i valori che queste portano con sé e l’entusiasmo che consegue il praticarle. La conoscenza ha poi stimolato in me il bisogno di “viverla”, così entrai a far parte di un gruppo folklori-stico, il quale tuttora porta nel mondo la tradizione popolare siciliana. I diversi viaggi mi hanno fatto approdare nelle magnifiche acque della Cô-te d’Azur (Francia) e della Spagna, in Austria, Polonia, Repubblica Ce-ca…e in ognuna di queste terre ho vissuto momenti intensi di confronto con le diverse culture, un continuo scambio di esperienze oltre che di storia, proprio perché il gruppo mi ha trasmesso un grande insegnamento: portare la Sicilia nel cuore. Solo in questo modo mi è stato possibile ar-ricchirmi di altre culture e trasmettere al tempo stesso la mia. E così nelle occasioni importanti andiamo ad animare i relativi momenti di festa, oggi come allora, con le danze e i canti praticati dagli antichi borghesi che raccontano storie di amori e di lavori, presentandoci agli spettatori con costumi originali e strumenti di un tempo. Le emozioni riscontrate sono di stupore e meraviglia armonizzate dal melodioso suono di “friscalettu e marranzanu”. ■

«I morti non è quel che di giorno in giorno va sprecato, ma quelle toppe d'inesistenza, calce o cenere pronte a farsi movimento e luce » (Vittorio Sereni) Per approfondire: http://www.youtube.com/watch?v=aa5TREUFUVk

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23 Per approndire: http://www.youtube.com/watch?v=Ue0nNhyvw6g

DALLA PASSIONE SECONDO LUZI

«C’è nel tempo qualcosa che m’affligge,/ il tempo è degli umani, per loro l’hai creato,/ a loro hai dato di crearne, di inaugurare epoche, di chiuderle./ Il tempo lo conosci, ma non lo condividi./ Io dal fondo del tempo ti dico: la tristezza/ del tempo è forte nell’uomo, invinci-bile.» Dal tempo, cinque battiti di metronomo per scandire un sistema ritmico che include la metrica ma non le obbedisce e solo in certi punti speciali la formalizza, Mario Luzi avvia l’ambizioso progetto di scrivere un monologo in versi per la Via Crucis al Colosseo presiedu-ta dal Santo Padre Giovanni Paolo II in occasione della Pasqua del 1999. L’intersezione della

dimensione temporale con l’eternità del divino genera una significativa meditazione sul tema dell’Incarnazione: «Perché, Padre, talora mi domando, l’incarnazione è tra gli uomini,/ perché non in un’altra specie/ tra quelle delle tue creature visibili/ e che pure ti testimoniano: gli uccelli,/ i pesci, le gazzelle, i dai-ni…/ Ma questa perduta specie volevi riconciliarti,/ mi hai affiliato all’uomo perché, figlio dell’uomo,/ trafit-to dagli uomini, sanguinassi/ e questo fosse il prezzo del perdono e del ricominciamento». Consapevoli della pericolosità nel parlare «al posto del Cristo», i versi di Luzi sono puntualmente accompagnati dai passi delle Scritture da cui traggono spunto e non rinunciano ad un onesto autoammonimento: «Il divino che è in me, quello vogliono uccidere/ questa bramosia li eccita./ Sfogare sopra un misero/ e indifeso corpo umano/ che hanno nelle loro mani, l’astio/ d’un antico e inconfessato paragone/ con la divinità, questo li esalta.» Il sottile equilibrio tra natura umana e divina è inevitabilmente destinato a infrangersi man mano che gli eventi avvici-

nano il lettore al mistero della Morte e Resurrezione di Cri-sto; spetta ad un narratore esterno, il cui punto di vista è ora esclusivamente umano, il compito di chiudere la “Passione”, non prima che Gesù-narratore abbia, però,congedato i suoi spettatori: «Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto./ E’ bella e terribile la terra./ Io ci sono na-to quasi di nascosto,/ ci sono cresciuto e fatto adulto/ in un suo angolo quieto/ tra gente povera, amabile e esecrabile./ Mi sono affezionato alle sue strade,/ mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti,/ le vigne, perfino i deserti./ E’ solo una stazione per il figlio tuo la terra/ ma ora mi addolora lasciarla e perfino questi uomini e le loro occupazioni,/ le loro case e i loro ricoveri/ mi da pena doverli abbandonare./ Il cuore umano è pieno di contraddizioni,/ ma neppure un istante mi sono allon-tanato da te/ ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi/ o avessi dimenticato di essere stato./ La vita sulla terra è dolorosa,/ ma è anche gioiosa: mi sovvengono/ i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali./ Mancano oggi su questo pog-gio che chiamano Calvario./ Sono stato troppo umano tra gli uomini oppure troppo poco?/ Il terrestre l’ho fatto troppo mio o l’ho rifuggito?/ La nostalgia di te è stata continua e forte,/ tra non molto saremo ricongiunti nella sede eterna.» Vinta l’ultima tentazione, Cristo può finalmente tornare al Padre e contemplare i fratelli «che afflitti rifaranno questa via/ nei secoli, nei millenni.» ■

Mario Luzi, attraverso i molti volti della sua poesia, è stato uno dei maggiori poeti italiani del ‘900; la “Passione”, testo edito da Garzanti, ne testimonia la sincera e perenne riflessione sulla Fede.

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24 Per approfondire: http://www.operaduomo.siena.it/

TESORI NEL DUOMO DI SIENA:

IL PULPITO DI NICOLA PISANO

Il pulpito conservato all’interno del Duomo di Siena porta la firma di uno dei più importanti scultori ed architetti dell’epoca medievale, Nicola Pisano. Questo capolavoro della scultura fu realizzato tra il 1265 ed il 1268 e risulta essere un’originale mescolanza di varie componenti culturali: quella classico-ellenistica evidente nelle composizioni più affollate, quella gotica espressa attraverso l’asprezza drammatica e l’accentuazione di una più profonda indagine delle esperienze e dei sentimenti umani. Rispetto al pulpito del Duomo di Pisa notiamo delle importanti mutazioni stilistiche: figure più fitte e numerose, non più idealizzate ma caratte-

rizzate da una più libera espressione delle emozioni e da una più decisa insistenza sugli accenti drammatici. Gli episodi rappresentati nei riquadri sono idealmente collegati: Annunciazione, Natività, Presentazione al tempio, Fuga in Egitto, Crocifissione, Giudizio Universale. Ciò permette un continuum narrativo oltre che decorativo. L’episodio stilisticamente più significativo è quello della Crocifissione: è da notare la maestria con cui Nicola Pisano ha saputo rappresentare realisticamente tutta la tragicità di quel momento. Siamo di fronte ad una delle prime rappresentazio-ni del Cristo sofferente sulla croce: la posa complessa delle gambe sovrapposte e dei piedi confitti da un unico chiodo, tratta da modelli francesi, è qui ripropo-sta con evidenza tanto maggiore. Altro elemento di novità è l’indagine tutta uma-na e psicologica delle reazioni provocate dalla morte di Gesù: il terrore negli occhi nei discepoli, lo svenimento di una delle donne che stavano ai piedi della croce ci propongono una precoce indagine del pathos. Il pulpito è costituito da nove colonne, quella centrale sostenuta da uno zoccolo ottagonale adornato con le figure delle arti liberali e della filosofia, mentre le otto colonne laterali sorreggo-no archi a tutto sesto. Tra gli archi, so-pra i capitelli, sono raffigurate le virtù, non solo teologali e cardinali, ma anche di natura diversa, come la Logica. Lo scopo dell’opera risulta a questo pun-to abbastanza chiaro: Nicola Pisano at-traverso la rappresentazione realistica degli episodi ha voluto allacciare una co-municazione diretta tra spettatore e im-magine, ed attraverso l’inserimento della personificazione delle Virtù, delle arti liberali e della Logica, ha voluto mostrare la sua crescente convinzione che tali arti potessero contribuire a facilitare la ri-cerca di Dio da parte dell’uomo. ■

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VEDERE IL CINEMA

«I Giudei chiamarono dunque, per la seconda volta, l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. Ed egli rispose: “Se sia o meno un pec-catore, io non lo so; so solo una

cosa: prima ero cieco ed ora ci vedo” (Gv 9, 24-26). In memoria di Haig P. Manoogian, Maestro. Con affetto e determinazione, Marty». È questa una delle chiuse più giustamente famose della storia del Cinema: la citazione dal Vangelo di Giovanni che conclude Toro Scatenato, capolavoro diretto nel 1980 dal regista Martin Scorsese. È l’accorata dedica da parte di un ricono-scente allievo al pro-prio carismatico do-cente di Teoria del Cinema. Dunque un Maestro che permet-te all’allievo di vede-re: il Cinema visto in un modo diverso, nuovo, può cambiare una vita, o addirittu-ra salvarla. Alla fine degli anni ’70 il regista attraversava il momento più nero della propria carriera e della propria vita: il fiasco dell’ultimo film, il secondo divorzio ed un uso smodato di droghe. «Mi distrussi quasi completa-mente», racconta Scorsese, «al punto che quattro giorni su sette restavo a letto, malato, a causa della mia asma, della coca, delle pillole. Pesavo 49 chili: avevo un’emorragia interna e rischiavo di morire». Ma, appunto, è un film a salvargli la vita. Toro Sca-tenato, girato nel bianco e nero dei reportage foto-grafici degli anni ’40, mostra l'ascesa e la caduta di Jake La Motta, ex campione di pugilato diventato un mediocre cabarettista dopo una carriera segnata da un temperamento violento e paranoide. La sua particolarità era trascinarsi dietro il ring, dovunque

andasse: usava la propria vita come sacco per boxa-re. Scorsese scorgeva se stesso in quella figura tragica e autodistruttiva. Così, convinto dall’amico Robert De Niro, si rialzò e ne fece un film da ricordare: il risultato è ormai unanimemente considerato come una delle migliori opere cinematografiche di sempre. Lo girò, infatti, con particolare maestria trovando un equilibrio perfetto tra movimento (i carrelli e i sinuosi movimenti di macchina sono il proprium di Scorsese) e fissità della macchina da presa. Adottò tecniche diverse per filmare i combattimenti e ren-derli emotivamente unici: il primo con la macchina a spalla, il secondo con grandi focali, il terzo con una carrellata, il quarto in falsa prospettiva; montò il

film quasi come una partitura musicale; fece ricorso alla sua profonda conoscenza della Storia del Cine-ma, allo stesso tempo anticipando temi e ossessioni che avreb-be trattato nei film futuri: la violenza di Quei bravi ragazzi e Casinò; la difficoltà nei rapporti personali di Fuori orario; il mar-tirio de L’ultima ten-tazione di Cristo; la lotta tra Bene e Male di The Departed.

Qui, inoltre, il legame tra Scorsese e De Niro rag-giunse l’apice: l’attore scivolò nei panni del pugile dopo essersi allenato per mesi con il vero Jake La Motta ed arrivò ad ingrassare di 30 chili per dar corpo al protagonista invecchiato. Tutto questo arriva a noi con la potenza propria del Simbolo: il Cinema non è mai neutro, ma ci cambia, ci ingrassa, ci deforma, ci trasforma. Spinge più in là la nostra identità, dilata la nostra coscienza, convo-glia idee e soluzioni, muove il futuro. Ovviamente, solo se lo vogliamo. Buona Visione. ■

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ORIZZONTALI 1. Sconfisse il gigante Golia, 7. Si gioca 11 contro 11, 11. La dimora delle api, 19. Abitante di Fiume, 20. Simbolo dell’oro, 21. Capoluogo della Campania, 23. Il più piccolo dei nani, 25. Spagna, 26. Il segno del pareggio, 27. Venne istituita con il Patto Atlantico, 29. Imperfezione della pelle, 31. Ospita i turisti, 32. La strada principale, 34. Il giorno della Passione, 36. Servizi di guardia, 38. Viterbo, 39. Il numero perfetto, 40. Estenuante, 42. Due…romano, 43. La fine della pazzia, 44. Si corre in Piazza del Campo, 46. I confini del west, 47. Particella atomica, 48. Rovi-go, 50. Area interdetta alle auto, 51. Consente agli uccelli di volare, 52. Né tuo né suo, 54. Sono uguali in rete, 55. Terni, 56. La Colussi ex presentatrice, 59. Ai confini dell’isola, 60. Il Red del Roxy Bar, 61. Le consonanti della sera, 62. In Toscana abbrevia questo, 63. Laboratorio, 64. Essere vivente con patrimonio genetico modificato, 66. Opera Nazionale Dopolavoro, 67. Seconda persona singolare, 68. Leonardo per gli amici, 69. La quarta nota, 70. Il trigramma di Bernardino da Siena, 71. Il Signore è lento ad essa, 72. Articolo per donne, 75. Oristano, 77. Ar-ticolo maschile, 78. La Vergata è un’università, 79. La Nike conservata al Louvre, 85. Argomento, 87. Piccolo aereo, 89. Lo è tutto il resto secondo don Filippo, 90. Condizione di incertezza, 93. Venuta alla luce, 94. La città santa, 96. Appartiene a lei, 97. Un colpo alla palla già in volo, 98. Il magnate greco, 99. Abbreviazione della squadra di calcio di Marsiglia, 100. Modena, 101. Risposta affermativa, 103. Cittadina della Normandia, 106. Principio di ruga, 107. Sono pari nel minore, 108. Luogo di culto mariano nei pressi di Grenoble, 111. Svizzera, 112. Negazione, 113. Gestisce gli alloggi per gli universitari, 115. Prefisso di parole riferite al sangue, 117. Ambito Territoriale Ottimale, 118. Metà lode, 120. Le vocali di mira, 122. Metallo per strumenti a fiato, 125. Nella penisola iberica, 130. Nipote di Abramo, 132. Cloruro di sodio, 133. Il musical della Cappella. VERTICALI 1. La catechesi del lunedì sera, 2. E’ spesso nella manica, 3. Consonanti nel vuoto, 4. Canale televisivo, 5. Divisione in due, 6. La dea greca dell’aurora, 7. Il miglior amico dell’uomo, 8. Non si manifesta esternamente, 9. L’organo che pulsa, 10. Si ciba di tutto, 12. Lecco, 13. Può esse-re ferito, 14. In mezzo alla pece, 15. I primi greci, 16. Il più famoso è quello delle Amazzoni, 17. Embedded Open Type, 18. Successo di De André, cantato nel musical, 22. Pari nel mare, 24. I membri di una tribù israelitica, 28. Risposta inglese, 30. La Vanoni della canzone, 33. Il Garros del tennis, 34. Copre il volto della sposa, 35. Non è storto, 37. In mezzo alla mota, 41. Il vecchio partito di Fini, 45. Aureola luminosa, 49. Acceso, 53. Il capo della iena, 57. I confini dell’Uganda, 58. Capoluogo regionale dell’omonima Valle, 61. Va bene per Elisa, Onorina e Lilia, 62. Chicchi di vita, 65. Una veggente di Medjugorje, 73. Città argentina a sud di Buenos Aires, 74. Garantisce la validità dei contratti, 76. Ravenna, 77. Andato…arcaico, 79. La moglie di Abramo, 80. Quella di Tom Cruise era “impossibile”, 81. Collezione tedesca per arredo di bagni, 82. Capoverso, 83. Alessandria, 84. Ha rimpiazzato la vecchia Ici, 86. Lo dice il gatto, 88. Congiunzione latina, 89. Bellezza, 91. Separato dal resto, 92. Casa editrice pugliese, 93. Il Vendola della politica, 94. Il Flash dei fumetti, 95. Banchina, 100. Invece, 102. Italia, 104. Enna, 105. Separa due giorni, 109. Antico college inglese, 110. La decima lettera dell’alfabeto, 114. L’acronimo inglese per il tempo coordinato universale, 116. Né tua né sua, 119. Organizzazione di Liberazione della Palestina, 121. Alessandro per gli amici, 123. La testa dell’olmo, 124. Spagna, 125. Pescara, 126. L’inizio dell’oblio, 127. L’Ulivieri allenatore di calcio (iniz.), 128. L’autore di Mistero Medjugorje (iniz.), 129. Tipo di farina, 131. Metà di otto.

CRUCIVERBA

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BACHECA

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