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Pronti, Partenza, V...ACANZE! Eh sì lettori di Nero su Bianco... l'esta-te è finalmente arrivata!

Per gli studenti universitari giugno e luglio sono mesi d'esami, l'ultimo sforzo prima del tuffo liberatorio nelle acque delle mille località di mare della nostra penisola. Per altri invece del mare sarà la montagna ad acco-

gliere lo sfogo!

Per questo il filo che condurrà la lettura di questo numero di NsB sarà il cammino, che sia verso una meta geografica, spirituale o verso Lui.

Da poco si è concluso il cammino che abbiamo fatto durante l'anno con gli amici dell'Azione Cattolica, e an-

che quello del gruppo dei fidanzati come ci racconta Pasquale.

E proprio di altri due cammini ci parlano l’articolo di Luca e la bella storia di Linda che ci raccontano l'uno l'esperienza del gruppo cresima, l'altra il suo battesimo avvenuto da poco a San Vigilio; esperienza più ac-cidentale e ironica quella della squadra di calcetto femminile della Cappella che racconta-

no Francesca e Federica.

Non solo cammini in questo numero ma anche storie e testimonianze: si parte da Annalena Tonelli che scelse “di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati" fino alla testimonianza di Antonio Socci

e del suo libro La Guerra contro Gesù.

Cristina ci porta invece alla Giornata Diocesana dei Giovani con le suggestive storie di Padre Farid Kamal e Padre Guillaume Jedrzejczak, mentre Andrea e Isa ci raccontano i weekend monastici (tra le montagne

di Pra'd Mill e sulla bellissima Isola San Giulio).

Vorreste anche qualche viaggio nel passato? Ci pensa Federico che ci ripropone un “Cicerone pel-legrino in un mondo stanco” e Don Roberto che ci porta nei luoghi più antichi e primordiali della no-

stra religione, la Terra Santa.

Per l'estate, poi, volete che non vi proponiamo le nostre rubriche sul cinema e sui viaggi? Eugenio ci accom-pagna al cinema a scoprire The Tree of Life di Terrence Malick mentre Cristina ci invita a fare le

valige per partire verso il mare blu di Malta, l'isola dei Cavalieri e molto altro.

Il cammino non finisce qui! Domenico ci porta a scoprire antiche forme di vacanze nel pellegrinaggio a Monte Oliveto Maggiore e Fabio, invece, la storia un po’ demodé del Pellegrino Russo.

E se lungo il cammino o nel viaggio vi assale la tristezza, no problem: Nero su Bianco ha la soluzione, c'è Claudia!

Vi auguriamo buon cammino a modo nostro, ricordandovi che è in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. […] La vita è ciò che faccia-

mo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.

Buona Estate e buona lettura...

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L’angolo del Don Vide e credette: il respiro dell’eterno di Don Roberto Bianchini Pag. 4 Cappellania Il coraggio di lasciarsi andare di Luca Ercoli di Pasquale Di Sipio Pag. 5 Noi, giovani oggi di Cristina Loprete di Giovani Azione Cattolica di Siena Pag. 6 In cammino verso Gesù di Lindita Ramaj Pag. 7 Week-end monastici di Isabella Petrocelli di Andrea Vicari Pag. 8 Esperienze Pellegrinaggio nell’abisso del cuore di Fabio Fiorino Pag. 9 E’ l’incontro il vero valore del cammino di Domenico Bova Pag. 10 L’importante è vincere di Federica e Francesca Camilletti Pag. 11 Fotografando di Fabio Fiorino Pag. 12-13

Il personaggio Antonio Socci: La guerra contro Gesù di Alice Pappelli Pag. 14 In cammino con Annalena Tonelli di Federica Maniscalco Pag. 15 Riflettendo Prova ad essere felice... con un sorriso! di Claudia De Pasquale Pag. 16 Se si esulta dinanzi alla morte di Stefano Fonsdituri Pag. 17 La sfida educativa di Andrea Vicari Pag. 18 Curiosità Cicerone pellegrino in un mondo stanco di Federico Pipitone Pag. 19 Ciak si gira L’albero della vita di Eugenio Alfonso Smurra Pag. 20

In viaggio con... La terra dei cavalieri e dei navigatori di Cristina Loprete Pag. 21 Per pensare... Un pellegrino... Pag. 22 Dicono Pag. 23 Bacheca Pag. 23

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In questo numero vi augurano buona lettura...

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Chiunque si rechi nella terra di Gesù si convince immancabilmente che quel pellegrinaggio, nello spazio della vita, almeno una volta va fatto. Cos’è che attira verso quei luoghi e cosa vi troviamo? Certo le vestigia storiche della persona di Gesù sono minime. Le ingiurie dei secoli hanno cancellato la memoria di molti luoghi e personaggi, senza dire che lo stesso desiderio di conservarne il ricordo spesso li ha snaturati. Grandi edifici sono stati eretti sui siti della natività a Betlemme o sullo stesso Golgota nella città santa. Lo stesso centro ideale del pel-legrinaggio che è il Santo Sepolcro non manca di colpire anche negativamente chi lo visiti. Specie al mattino quando i gruppi si assiepano dentro l’edificio si ha l’impressione che il ba-

zar della città araba sia meno rumoroso. La convivenza poi di tradizioni cristiane diverse coi loro riti, colori, canti crea un vero e proprio caleidoscopio ma porta pure il peso di secolari contrasti e incomprensioni. Se il pellegrino si lascia prendere in questo vortice di considerazioni non gusta nulla dello spirito della terra san-ta, rimanendo nella sfera delle impressioni superficiali. Ma se, abitando nella città vecchia nei pressi di una delle secolari porte che si aprono nella sua cinta muraria, la porta di Giaffa per esempio, come è stato per me lo scorso marzo; e se, la mattina all’alba quando ancora la città è addormentata e silenziosa, ci si incam-mina verso il sepolcro fermandosi in preghiera per qualche ora; ebbene, tutte le considerazioni che sopra riportavo perdono ogni significato. Lungo le viuzze del mercato a quell’ora deserte incontri solo qualche raro negoziante che rifornisce il suo emporio di merce e garzoni adolescenti mezzi intontiti dal sonno. Diver-

samente da loro il pelle-grino è vigile: come le donne del mattino di Pasqua si reca al sepol-cro, ma lui sa che il suo Signore non è tra i mor-ti e lo attende per in-contrarlo. Altri pellegri-ni sbucano ad ogni in-crocio scendendo da scalette o uscendo da porticine che mettono nella strada principale. Sono tutti assorti: ven-gono dai paesi più di-sparati come mostrano i loro abiti e i loro atteg-giamenti. Giunto allo slargo antistante la por-ta del sepolcro viene da correre come Pietro e

Giovanni: anche tu vuoi vedere e credere. Anche tu, uomo del terzo millennio, sei bisognoso di conferme per la tua fede che è sempre tanto fragile. Attraversando un colonnato semioscuro arrivi all’edicola della resurrezione, l’anastasis. Altri meno fortunati di te che sei sacerdote e potrai entrare dentro, stanno già lì ad attendere che inizi la Messa. Le note secolari dell’introito gregoriano risuonano solenni e scarne: surrexit Dominus vere, alleluia. Al momento della preghiera eucaristica varchi il confine di quel luogo santissimo e senza tempo e l’eterno ti si fa presente. Il cuore è inondato dalla certezza che non ti sei ingannato finora; che quel Signore per il quale hai lasciato la tua casa e i tuoi progetti e lì, vivo e vero. Anzi, è la vita che ti si dona e sana le tue lacerazioni, consola le tue afflizioni, incoraggia i tuoi propositi, ti dà la forza per resistere fino alla morte nella lotta contro il male. Un pianto di commozione ti vela gli occhi, ma non devi più vedere

nulla; devi solo lasciarti afferrare dalla Sua dolce presenza.. ■

VIDE E CREDETTE: IL RESPIRO DELL’ETERNO

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IL CORAGGIO DI LASCIARSI ANDARE...

E’ curioso che un breve articolo per il perio-dico della Cappella Universitaria cominci con una confessione, ma comincerò proprio da questo. E così confesso che quando mi sono avvicinato al percorso di preparazione a rice-vere il Sacramento della Cresima, l’ho fatto pensando ad una tappa obbligata in previsio-ne del Matrimonio, quasi come si fa da stu-

denti con gli esami propedeutici. Studente non lo sono più da un po’, ma chi mi legge sì. Per carità, mi ero predisposto con impegno a frequentare gli incontri, ma non ho capito subito il vero significato di quegli appuntamenti. All’inizio ho provato interesse per gli argomenti trattati, ho apprezzato le letture dei Vangeli e dei discorsi del Santo Padre, ho ascolta-to gli interventi dei ragazzi che hanno partecipato insieme a me al catechismo, così come le lezioni di Don Enrico e Suor Rita. Ho ascoltato con orecchie attente, qualche volta sono anche intervenuto nei dibattiti, ma ancora qualcosa manca-va. Poi invece qualcosa è cambiato, ho cominciato ad ascol-tare con il cuore, ho messo da parte ogni riserva, soprattut-to nei confronti di me stesso, e mi sono lasciato andare. Ho scoperto intorno a me persone straordinarie, dotate di una umanità e di una spiritualità incredibili e pronte all’autentica condivisione, a cui oggi siamo disabituati o, peggio ancora, verso le quali siamo portati a provare diffidenza o timore. Per quanto incredibile possa sembrare viviamo un tempo in cui la cosa più difficile è disporsi a ricevere quello che ci viene offerto, anche più di quanto non sia offrirlo a nostra volta al prossimo. Questo spesso accade anche nei confronti dell’amore che Cristo nutre per ciascuno di noi. Troppo presi dal lavoro, dallo studio, dalla quotidianità, dai piccoli e gran-di problemi che siamo chiamati ad affrontare, non riusciamo a compiere quel piccolo grande gesto che, usando le parole di Giovanni Paolo II, consiste nello spalancare le porte a Cri-sto che pure si manifesta a noi continuamente. Lui ed io ci siamo rincontrati così: attraverso un percorso che si è tra-sformato poco alla volta in una vera esperienza; attraverso l’entusiasmo di un prete durante la catechesi; attraverso la dolcezza e la sensibilità di una suora straordinaria; attraver-so l’abbraccio accogliente in questa comunità. Così i nostri incontri sono diventati degli importanti appuntamenti, gli interventi si sono trasformati in momenti di vera condivisione ed anche il ritorno verso casa, in compagnia di una di quelle straordinarie persone, è divenuto un bellissimo momento di confronto. Grazie. ■

Giovani coraggiosi: ecco come ci descriverei. Per-ché al giorno d’oggi è un atto estremamente corag-gioso quello di fare una scelta. La scelta di crede-re in un progetto, di met-tersi in gioco, di donarsi

completamente. E’ con questo spirito che otto coppie di fidanzati sono state condotte da Don Ro-berto, insieme alla fedele compagnia di Suor Rita, in una serie di incontri di pre-parazione al matrimonio. Più che un vero e proprio corso prematrimoniale è stato un cammino alla scoperta della vera essenza dell’uomo, del rapporto con Dio e della manifestazione del Suo progetto di amore nella coppia, che porta a concretizzare nel matrimonio il compimento della Sua parola viva. Nelle serate passate insieme abbiamo avu-to modo non solo di scoprire la ricchezza del cammino, che i giovani fidanzati com-piono insieme e l’uno per l’altra, alla luce di un più approfondito sguardo sulla dot-trina cristiana, ma sono state anche pre-ziose occasioni per condividere le gioie, le difficoltà e le aspettative di ognuno. In questi nostri giorni, in cui sembra che anche i valori della vita insieme donata, della fedeltà, della famiglia siano messi ormai alla porta, sono proprio le giovani coppie che scelgono maturamente e libe-ramente di credere nel loro amore a ridare con la loro testimonianza nuova linfa vita-le alla promessa che l’amore unisce e tutto vince. ■

Dirattamente dai gruppi CRESIMA e FIDANZATI della Cappella Universitaria, Luca e Pasquale ci invitano a lasciarsi andare, così come hanno fatto loro...

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NOI, GIOVANI OGGI

LA GIORNATA DIOCESANA DEI GIOVANI

Ricca ed intensa la Giornata Diocesana dei giovani che si è svolta sabato 9 aprile nel Con-vento di San Girolamo a Siena. Occasioni di divertimento, di riflessione e di preghiera ci hanno accompagnati fino a sera. In particolare due sono stati i momenti ricchi di spiritualità e carichi di messaggi positivi e di speranza: l’incontro con Padre Farid Kamal e Padre Guillaume Jedrzejczak e la Via Cru-cis cittadina.

Padre Farid, sacerdote della comunità copta cattolica d’Alessandria d’Egitto, ci racconta cosa vuol dire essere cristiani in un paese musulmano. Una minoranza coraggiosa, espressione di una fede forte, che non si nasconde nemmeno di fronte ad avvenimenti atroci. La testimonianza di Padre Guillaume, monaco trappista, racconta invece del martirio di sette dei nove monaci della comunità di Tibhirine in Algeria. L’attività contemplativa e la vicinanza concreta e spirituale ai popoli di ogni religione e la profonda convin-zione nel dialogo interreligioso si evincono dal testamento di Padre Christian De Chergé, priore del mona-stero di Notre-Dame d'Atlas. Sono state proprio le parole del testamento spirituale di Padre Christian ad accompa-gnarci nella Via Crucis partita dalla Chiesa dei Servi e conclusasi a San Vigilio. Scontato sottolineare l’attualità degli scritti di Padre Christian anche nella società italiana di oggi profonda-mente caratterizzata dal fenomeno migratorio. Un motivo in più per riscoprire quanto la diversità sia una ricchezza e un dono di Dio. ■

Ecco il link dove potrete ascoltare e leggere il testamento di Padre C. De Chergé: http://www.paoline.it/Proposte/TESTAMENTI/articoloRubrica_arb1089.aspx

GEMELLAGGIO CAPPELLA UNIVERSITARIA- AZIONE CATTOLICA

Il 18 maggio si è conclusa, con l’ultima S. Messa comunitaria, l’esperienza che quest’anno ha voluto avvicinare i giovani dei gruppi della Cappella Universitaria e dell’Azione Cattoli-ca. I momenti di incontro che l’anno scorso tenevamo nella chiesa di S. Cristoforo, quest’anno si sono svolti mensilmente presso la Cappella di S. Vigilio con la partecipazione alla celebra-

zione eucaristica di un sostanzioso numero di giovani e non da entrambe le parti. Gli appuntamenti, inoltre, sono coincisi con gli incontri di Lectio Divina organizzati dalla diocesi proprio in S. Vigilio. Questo ci ha per-messo di riflettere insieme su importanti passi del Vangelo di Matteo con l’aiuto di alcuni sacerdoti e laici. Oltre alla formazione spirituale, questi sono stati soprattutto incontri che hanno permesso l’instaurarsi di rapporti tra appartenenti a realtà diverse, in particolar modo durante la condivisione della cena nei locali adiacenti la Chiesa e dalle Suore Figlie della Chiesa. Così è stato possibile conoscere meglio ragazzi della Cappella Universitaria come Andrea, Federica e Francesca, Luisa, Renata, Fabio. L’amicizia che è sorta ci ha permesso di partecipare insieme a più occasioni: le veglie di preghiera e la Via Crucis per le vie del centro di Siena. Non resta dunque che ringraziare tutti coloro che hanno partecipato ed hanno contribuito a rendere

unici questi momenti passati insieme, nella speranza che il prossimo anno si possa ripetere l’esperienza che tanto ci ha arricchiti! ■

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IN CAMMINO VERSO GESU’

I miei primi contatti con la fede risalgono all’età di 13-15 anni quando frequentavo una pic-cola chiesa nella mia terra, l’Albania. Era un’occasione per pregare, cantare e fare attività molto belle, tutte incentrate sulla persona di Gesù. Finalmente avevo scoperto che c’era un Dio, un unico Dio che aveva un volto, una Mamma e un Padre. E’ stato in questo periodo che hanno avuto inizio anche le mie prime preghiere. Vivendo in un Paese in cui “le religione degli albanesi è essere albanesi”, non fu facile prose-guire e rafforzare la mia fede. Con la realtà che si viveva in Albania, poi, la religione era dav-

vero una delle ultime cose a cui pensare. Mi staccai così da quello che avevo iniziato a scoprire, scegliendo la via più semplice. Dopo qualche anno ho deciso di lasciare il mio Paese e venire in Italia per studiare. E’ stato qui che ho incontrato la persona giusta nel posto giusto: si sono spalancate le porte del mio cuore! Es-

sa ha fatto rinascere in me le fede, mi ha nuovamente fatto incontrare Gesù. Non posso negare che nella fase iniziale i dubbi si sono fatti presenti, e tanti! Col passare del tempo, però, mi rendevo conto che era tutto lindo e bello e che la vita è un dono bellissimo che ci è stato fatto da Gesù stesso. Questo dono l’ho reputato ancora più bello e significativo se vissuto con Lui e per Lui. Ringrazio Dio per questo. Mi è bastato aprire il cuore e desiderare la compagnia di Gesù nella mia esisten-za. Penso che ognuno di noi, se vuole, può farlo: del re-

sto Lui ci offre tante possibilità per incontrarlo. Il desiderio di diventare cristiana è spinto dalla volontà a se-guire Gesù in tutto. In questo nuovo percorso di crescita del-la mia vita, e in questa nuova famiglia che mi ha accolto, voglio iniziare tutto dalla A alla Z. Con la sua compagnia ogni paura svanisce, e non è possibile sentirsi soli e abbandonati. Mi auguro di vivere con l’amore per Gesù e per gli altri e vorrei così trovare la salvezza. Sono co-sciente che non sempre sarà facile, ma allo stesso tempo che,

c e r c a n d o sempre Lui con la mia preghiera nel-la quotidiani-tà e con la buona con-dotta, avrò tutto quanto mi serve per vivere nella sua grazia. Con il mio esempio vorrei mostrare a tutti che Dio è miseri-

cordioso, che ci ama e ci accompagna da Padre buono in ogni nostro passo, che ci mostra la via giusta davanti ad ogni ostacolo, insegnandoci fattivamente come amare tutto e tutti con la vita. ■

La nostra Comunità di Cristiani si è arricchita di un nuovo membro: Lindita. I sacramenti dell’iniziazione cristiana ricevuti, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, sono segno della scoperta della sua identità di

Cristiana in cammino verso Gesù. Lindita ci racconta la sua esperienza...

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WEEK-END MONASTICI

ORTA SAN GIULIO, IL “DORMITORIO” DEI SANTI

“Tutti gli ospiti che giungono al mo-nastero siano accolti come il Cristo in persona” Queste le parole tratte da uno dei

capitoli più belli della Regola di San Benedetto che descrivono alla perfezione la nostra esperienza mona-stica presso l’Abbazia Ma-ter Ecclesiae nell’Isola di San Giulio. Prima della par-tenza, una rapida ricerca ci aveva rivelato l’aspetto della nostra destinazione che ap-pariva come un posto cir-condato da un alone quasi surreale, dalla storia leggen-daria, passato dalla domina-zione di spaventosi mostri al dominio della fede. Così, venerdì 13 maggio, ha avuto inizio il nostro soggiorno piemontese con l’arrivo nella piazza centrale del pae-se di Orta, vero e proprio “salotto” affacciato sul

lago, di fronte al quale si staglia in tutto il suo fasci-no l'Isola di San Giulio, straordinario pezzo di terra quasi sospeso sull’acqua, che il Santo scelse per fon-dare la sua centesima ed ultima chiesa. Dopo un ap-prodo suggestivo diretto alla scalinata principale del-la Basilica incastonata sull’isola e cuore religioso di quel piccolo regno, abbiamo trascorso tre giorni di intensa preghiera e riflessione accompagnati dal can-to delle monache Benedettine e dall’ospitalità della Madre Badessa Anna Maria Cànopi, eminente perso-

nalità della nostra Chiesa. E’ stato un momento di cono-scenza di una realtà quale quella della clausura che dall’esterno può apparire incomprensibile e restritti-va, ma che i sorrisi e la gioia trasmessaci dalla testimo-nianza di Suor Caterina Ma-ria sono bastati a smentire e soprattutto un momento di sospensione dai ritmi con-

sueti della vita, spesso più “comodi” ma di sicuro me-no intensi. ■

L’ABBRACCIO DI PRA’D MILL

Due pareti montagnose dove la natura rigogliosa fa da padrona. Due braccia che accolgono coloro i quali, spinti dalle più svariate motivazioni, vi si avvicinano. Sembra l’abbraccio bene-dicente di un Padre che, amandoti come una Madre, sussurra parole d’amore agli ospiti di questa deliziosa località. Parole avvolte dal discreto rispetto della libertà umana, vengono portate dal Vento in questa valle: “Venite o voi che siete stanchi e oppressi […]. Venite a

raccogliere voi stessi per trovare la strada del Mio Amore che è pace dal turbinio degli eventi che vi travol-gono. Riposo nella fatica, tenera testimonianza terrena che un altro sentire la vita −diverso da quello schizofrenico a cui tendiamo sempre più sia come singoli che a livello collettivo – è possibile”. Progressivo rilassamento dei pensieri della mente, contentezza del cuore che ricomincia a battere secondo i ritmi della natura che lo avvolge da ogni parte. La presenza mistica del Vento che accompagna i rumori ed i silenzi del giorno, trasformandosi sull’imbrunire, in protagonista discre-to del mistero notturno. Uomini vestiti di bianco che hanno deciso di abitare qui in armonia con tutto il visibile e l’invisibile presente, ricercando quotidianamente il senso ultimo delle cose, attraverso lo sguardo esteriore degli occhi e quello interiore della preghie-ra. Uomini certamente più di altri nel mondo - ma non del mondo - battagliano la vita in una delle terre di

confine del mondo, scegliendo come campo di lotta il tenero abbraccio di quella Natura che è riflesso della Luce del Padre. Il profumo di Dio in silentio dei. ■

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PELLEGRINAGGIO NELL’ABISSO DEL CUORE

Oggigiorno sembra quasi doveroso spingersi lì dove altri non sono arrivati prima, sperimen-tare il brivido dell’avventura estrema e la conseguente valanga di adrenalina, farsi travolgere molte volte anche dall’ebbrezza dell’incoscienza per sondare “sentieri nascosti” che potreb-bero rivelarci panorami inaspettati. Il desiderio dell’uomo di “osare”, però, non credo appar-tenga soltanto alle ultime generazioni, noi tutti compresi. Ammetto che è anche una bella consolazione, e una stuzzicante motivazione, leggere nella storia il coraggio ardente, proba-bilmente a primo giudizio anche incosciente, che ha mosso uomini di buona volontà col desi-

derio di ritrovare il senso pieno della propria vita, probabilmente celato dall’attivismo e dagli affanni del mon-do. “I racconti di un pellegrino russo” sono una appas-sionante scoperta per coloro, di tutte le età, che vogliono osare addentrarsi nell’abisso del proprio cuore, territorio più insondabile per eccellenza, e fare ricerca pura dell’essenziale, “invisibile agli oc-chi”... Con la preghiera del cuore, il pellegrino si mette in marcia ed entra in sintonia con la miseria degli uo-mini e con la misericordia del Salvatore (lo riporta anche il Catechismo della Chiesa Cattolica). « “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Se qualcuno recita questa Preghiera di Gesù aven-done bisogno, la dica senza interruzione, così come il respiro esce incessante dalle narici. E così, con il passare degli anni, nell’uomo che la pronuncia si in-sedierà lo Spirito Santo e Cristo, Figlio di Dio, scen-derà in lui e a lui verrà anche il Padre. Ed entrata in quest’uomo, la Santa Trinità ne farà una sua dimo-ra. E la preghiera arderà il cuore di quest’uomo e il cuore arderà la preghiera. E quest’uomo continuerà a recitare incessantemente tale preghiera, giorno e notte e sarà libero da tutte le insidie del Nemico, in Gesù Cristo Nostro Signore; a Lui la gloria, con il Padre e lo Spirito Santo, com’era in principio e nei secoli dei secoli (dal Florilegio dell’abate Doroteo di Gaza)». Il vero pellegrino è certamente tosto in quanto non si arrende alle difficoltà, non demorde alle intemperie, alla stanchezza e all’inganno del nemico, né tantome-no si sente mai arrivato, ma è anche profondamente innamorato, fatica duro ogni giorno, si riveste di umiltà ed agisce con prudenza, spinto dal desiderio della meta all’orizzonte. Il pellegrino è, se volete, anche noioso! Con l’arma della preghiera incessante, la cui ricerca lo induce a partire dalle proprie sicurezze, allontana o-gni forma di accidia per coltivare in ogni istante il rapporto col suo Signore che vuole costantemente alimen-tare. Ognuno di noi è potenzialmente un imitatore del pellegrino russo, ciascuno ha il bisogno di indagare gli abissi del proprio cuore per indirizzarlo alla pienezza. Sarà un’impresa ardua, certamente non per super-eroi ma per noi comuni mortali. Lo stesso pellegrino russo ammette che “per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per o-pere grande peccatore, per vocazione pellegrino senza dimora, del ceto più basso, errante di luogo in luogo. Il mio patrimonio è: sulla spalle una bisaccia col pane secco, sotto la ca-micia una Bibbia. Tutto qui”. Ma se durante questa estate osassimo diventare un po’ tutti più “pellegrini”?? ■

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Scale mobili, tapis roulant, macchine, motorini, treni, bus, aerei. Quali sono le occasioni in cui ancora riutilizziamo i nostri piedi per camminare? La domanda sembra banale, ma è so-stanziale perché usando tutti i mezzi a nostra disposizione difficilmente si conosce davve-ro qualcuno. Camminare significa infatti aprirsi al mondo. E’ un’esperienza che talvolta ci muta renden-doci più inclini a godere del tempo e non a sottometterci alla fretta che governa la vita de-gli uomini del nostro tempo. Camminare consente poi di percepire totalmente la realtà, di

farne pienamente esperienza lasciando all’uomo l’iniziativa; in treno usiamo lo sguardo, ma nel cammino c’è una vera sinfonia dei nostri sensi! La peregrinatio nel nostro mondo è sempre meno ascesi volontaria, eserci-zio di spiritualità. Il pellegrinaggio, invece, è una perenne devozione a Dio, una lunga preghiera fatta con il corpo. E’ infatti sempre una ricerca di spiritualità a spingere i pellegrini a mettersi in cammino. Sono queste le idee che regolavano la mia vita prima del pellegrinaggio con la Cappella a Monte Oliveto, il mio motto era sempre stata una splendida frase di Alexander Langer:”Io vi propongo: lentius, più lento, pro-fundius, più profondo, suavius, più dolce. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però si

ottiene un fiato più lungo”. Potete credere che siano fra-si fatte, di un romanticismo trapassato, ma se aveste per-corso i chilometri che divido-no Siena da Monte Oliveto forse mi capireste. E’ tutto vero, la realtà è questa non quella che vediamo negli spot con le belle donne e i macchi-noni. E può capitarti così di pensare: “poverette non sanno cosa si perdono” mentre per-corri una strada sudato e do-lorante e una Ferrari con due biondone ti salutano. Alla fine di un viaggio, poi, dopo ore e giorni di lento procedere, i passi si affrettano o si fanno

più pesanti, a seconda del desiderio di ritrovare gli altri, di riprendere la vita normale momentaneamente messa da parte. E che cosa importa dell’esito del cammino se ciò che conta è solo il fatto di averlo percorso! Nel modo in cui un fiume, pur seguendo un percorso tortuoso, continua a cercare, e con ostinazione, la strada più breve che porta verso il mare, così il pellegrino cerca il Signore. Scrivere di questo pellegrinaggio è stato come ripercorrerlo una seconda volta, l’ennesimo dono, come un dono è ogni passo e ogni volto che Dio ci mette davanti ogni giorno e noi ci passiamo accanto disinteressati abituati a fare sempre più incetta di immagini e false emozioni davanti ai nostri pc. Non siamo noi che facciamo il viaggio, è il viaggio che ci fa e ci disfa e ci inventa. E se qui il mio articolo si conclude, l’ultima parola è soltanto una tappa lungo il percorso. La pagina bianca è sempre una soglia. Per fortuna la vita ci darà altre occasioni per ripartire, come la settimana in montagna, certi che la terra è fatta più per i piedi che per i pneumatici, e che fintanto che abbiamo un corpo tanto vale servirsene bene! ■

Link ad una bella canzone sui pellegrini: http://www.youtube.com/watch?v=86QykTK9rFI

Puoi costruire qualcosa di bello anche con le pietre che trovi sul tuo cammino (J.W. Goethe)

E’ L’INCONTRO IL VERO VALORE

DEL CAMMINO

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Da piccoli ci insegnano che nel gioco l’importante è partecipare e non vin-cere, che bisogna giocare per divertirsi. Crescendo capiamo che ci si diverte solo quando si vince. Proprio questa era l’intenzione con cui le due squadre, maschile e femminile, della Cappella Universitaria si sono iscritte al torneo diocesano di calcetto: vincere!! I primi a scendere in campo sono stati i ragazzi. Dopo un esordio fortunato che lasciava sperare il meglio, la squadra subisce pesanti sconfitte, deluden-

do i pochissimi tifosi, tre o quattro, che hanno riversato tutte le loro aspettative sulla selezione femminile. Scese in campo dopo mesi di duro allenamento le ragazze partono subito aggressive bucando la rete per ben due volte in tre minuti: giusta l’intenzione, sbagliata la porta, e forse anche il portiere!?!

Le giocatrici non demordono e continuano a giocare in modo offensivo, si fa per dire, riuscendo a segnare almeno un goal. La partita si conclude undici a uno fra le risate delle avversarie, del pubblico, dell’arbitro; insomma di un po’ tutti. La prestazione della squadra non migliora nelle partite seguenti, sui cui risultati è meglio sorvolare. Affrante e umiliate le ragazze si ap-prestano a giocare l’ultima partita; inaspettatamente la squadra va a segno per tre volte, incredibile ma ve-ro: stavolta la porta è giusta! Sul tre a zero finisce il primo tempo. A pochi minuti dalla ripresa eccolo arri-vare, attesissimo, bello come sempre: l’autogoal, tanto cercato e purtroppo anche trovato. E’ proprio questo a far prendere coraggio alle avversarie che iniziano la rimonta. Al 35’ arriva il pareggio seguito dal sorpasso. La squa-dra lotta, soffre e spera e con lei anche

l’affezionatissima curva, capitanata da Domenico Bova. La sorte della partita sembra ormai decisa quando le ragazze gonfiano la rete due volte in un minuto, rega-lando grandi emozioni. Il triplice fischio dell’arbitro segna la fine di una partita destinata a restare nella storia del calcetto per molto tempo. Ad attendere le vincitrici all’uscita del campo applausi, coriandoli e grida di gioia. Sicuramente il merito di questa vitto-ria va anche alla curva che, nonostante i risultati poco soddisfacenti, non ha abbandonato la squadra neanche un minuto, seguendola anche in trasferta: questo è amore! Le ragazze ringraziano commosse promettendo risultati migliori per i prossimi tornei. Non si possono non spendere due parole per il, a dir poco paziente, mister Erik Urzì e per il suo assisten-te Gianmarco Scarcella che per la squadra ha dato proprio tutto, anche la voce: “ ragazzi il vostro lavoro è stato buono, ma i miracoli ancora non vi competono”. Entrambe le squadre non hanno ottenuto i risultati sperati classificandosi al penultimo posto di questo torneo. Tuttavia resta un ricordo piacevole di questa esperienza che ci ha fatto passare serate divertenti e ha portato alla nascita di nuove amicizie. Forse avevano ragione quando ci dicevano che l’importante è partecipare, anche se, diciamocelo, vincere non sarebbe dispiaciuto a nessuno! ■

L’IMPORTANTE E’ VINCERE!

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Isola San Giulio (NO)

Pra’d Mill (CN)

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ANTONIO SOCCI:

LA GUERRA CONTRO GESU’

Venerdì 6 maggio è stato presentato nella chiesa di San Vigilio il nuovo libro di Antonio Socci, La guerra contro Gesù, un’inchiesta giornalistica di carattere divulgativo, seppur co-stellata da tratti di autentica erudizione. L’autore volge lo sguardo su questioni complesse e tratta di cose che a volte sfuggono al cristiano, come ad esempio la continuità tra l’identità fra il Cristo storico e il cristiano nella fede. Nell’epoca moderna e nella nostra postmodernità la figura di Gesù è fortemente mani-polata (Gesù rivoluzionario, guru, agitatore di folle). Ogni epoca ha proiettato su di lui a-

spettative e desideri del proprio periodo. La questione che si pone è dunque: come può un “Dio tra gli altri” salvare ed essere significativo per noi? E’ da qui che inizia a dipanarsi il complesso filone della storicità del cristianesimo e dei Vangeli. Il Vangelo è ciò di cui gli uomini hanno più bisogno, in grado di colmare la necessità propria dell’uomo di tro-vare qualcosa più forte del dolore e della morte. La Buona Notizia è che un uomo è entrato nella storia a-vanzando la pretesa di essere la Verità, che l’Impossibile si è fatto Possibile. Il fatto più straordinario è che questo uomo si può conoscere e seguire con semplicità, col cuore pronto a lasciare tutto, in primis la pro-pria idea di non morire. L’autore mette in luce l’eccezionale e “miracolosa” diffusione del cristianesimo, il fascino di quest’uomo co-involgente a tal punto da conquistare il mondo, e pone la questione: tutto questo è vero o no?

Innanzitutto la veridicità della storia di Gesù è accertata da fonti pagane, ebrai-che, anticristiane; lo scrittore Giuseppe Flavio ne attesta addirittura la risurrezio-ne. Gesù è preceduto da centinaia di profe-zie, il suo popolo è sin da subito contras-segnato dal martirio e dalla persecuzione; gli apostoli conoscono benissimo la loro sorte, acquistano una forza ed entusia-smo che non viene da loro stessi, né tan-tomeno dal loro fanatismo. Se i Vangeli non fossero veridici, sarebbero stati ri-mossi o modificati dettagli “scomodi” (ad esempio le donne che scoprono la tomba vuota di Cristo, in un’epoca in cui non si dava credito a testimonianze femminili). Si tratta della storia più documentata tra

quelle tramandate; gli attacchi ai Vangeli avvennero 1600 anni dopo la loro redazione e non in seguito a qual-che scoperta ma a un pregiudizio ideologico basato sull’impossibilità che un Dio si sia incarnato. Di fronte all’asserzione che i Vangeli sarebbero leggende, le scoperte, archeologiche e non solo, ci dimostrano che non è così; “… dal pantano della cultura nichilista, che genera disperazione, non ci libera un’altra cultura, nean-che cattolica, ma un incontro, dove si sperimenta che davvero Gesù è vivo oggi e opera potentemente (e questa è la prova della sua resurrezione)”. Così accadde secondo Guitton a uno dei più radicali esegeti ra-zionalisti, Paul Louis Couchoud, grazie al suo incontro con Marthe Robin, presenza evidente di Gesù vivo e operante nel XX secolo, straordinaria mistica alla cui presenza il grande ateo non poteva negare l’evidenza del Mistero. Le scrisse: “Ignoro quello che ignori. Vorrei sapere quello che sai. Di quello che preghi, mi giun-ge il profumo. Non dimenticarti di me, o piena di vita!”. ■

Per approfondire:

Per approfondire: “La guerra contro Gesù”, Rizzoli 2011 “Indagine su Gesù”, Rizzoli 2008 Sito web: www.antoniosocci.com

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“Scelsi di essere per gli altri: i pove-ri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati. Ero una bambina e così sono stata e confido di continuare a essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così forte-mente: LUI e i poveri in LUI”.

Cosa significa dare la vita per i propri fratelli? Il pas-so evangelico in cui Gesù proclama il comandamento dell’Amore ci impone lo sforzo di carpirne il senso più profondo e di metterlo in atto nella nostra vita. Siamo tutti come tanti pellegrini russi, sempre in cammino, alla ricerca della preghiera del cuore, delle chiavi dell’orazione interio-re, della perfetta comunio-ne con Dio, del suo stesso respiro. E’ un viaggio fati-coso e difficile, ma nel momento in cui decidiamo di intraprenderlo possiamo sostenerci con l’esempio di uomini e donne straordinari che hanno attuato in pienezza il Vangelo nella loro vita. Di cammino ne ha fatto davvero tanto Annalena Tonelli percor-rendo le strade della Somalia: Wajir (Kenia), Mogadishu, Belet, Weyne e Merca (Somalia), Bora-ma (Somaliland). Ogni tappa ha segnato l’inizio di una missione nuova e ricca di sfumature di-verse: di amore nell’incontro con le popolazioni locali; di assisten-za e soccorso nella cura degli ammalati di tubercolosi; di atte-sa e di pazienza verso i mussul-mani che la guardavano con so-spetto e disprezzo perché giova-ne, bianca, cristiana e non spo-sata; di coraggio nei momenti di maggiore paura e smarrimento: come quello che la vide subire la de-portazione per essersi impegnata nell’impedire il ge-nocidio di una tribù di nomadi del deserto ordito dal governo del Kenya; di studio della medicina e

delle malattie; di apprendimento della lingua, della cultura e delle tradizioni locali; di intensa dedizione nell’insegnamento della lingua inglese e delle più sva-riate materie. Una delle convinzioni più profonde, infatti, di questa donna dai sereni occhi azzurri, era che dalla cultura sia possibile trarre la forza per la libertà e per la crescita di ogni uomo. Nell’aridità del deserto, circondata dalla diffidenza dei governi lo-cali e dei mussulmani, Annalena riuscì e dare vita a

una vera e propria famiglia: nel settembre 1976 fondò il “Rehabilitation Centre for the Disabled”, centro di riabilitazione dei poliomieli-tici dove lavorò insieme ad altre volontarie, tutte non stipendiate, tutte decise a portare avanti la causa del Vangelo. La missione di An-nalena è stata anche un combattimento contro le catene della schiavitù, dell’ignoranza e dei pregiu-dizi in base ai quali la tu-bercolosi è una punizione

mandata da Dio per una colpa indelebile. Eppure lei è riuscita ad alimentare il dialogo interreligioso, tra-endo un insegnamento importante anche dal contat-

to con i mussulmani: “Mussulmani. Loro mi hanno in-segnato la FEDE”. L’esempio di questa donna si può seguire sol-tanto dopo il pieno raggiungi-mento della libertà interiore. Un desiderio che alimentò il cammi-no del pellegrino russo, il quale riuscì a realizzarlo attraverso l’apertura delle porte del proprio cuore. “Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vis-suta. Ed è allora che la nostra vita diventa bellezza, grazia, be-nedizione […] perché noi vivia-mo nella nostra carne la bellezza del vivere e del morire”. ■

IN CAMMINO CON

ANNALENA TONELLI

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PROVA AD ESSERE FELICE…

CON UN SORRISO!

Se chiediamo alla gente che cosa desideri maggiormente dalla vita la risposta più comune che ascolteremo è: “Voglio essere felice”. Ma allora perché cosi poche persone al mondo so-no felici? Personalmente penso che spesso si cerca la felicità nei modi e nei luoghi sbagliati. Quanti di voi si sono mai fermati a riflettere, per esempio, sull’importanza di un sorriso? Ep-pure, cosa c’è di più bello, spontaneo, semplice e sentito di un sorriso? Nonostante ci si rife-risca propriamente al sorriso pensando alla sola bocca, l'espressione coinvolge anche e so-prattutto gli occhi. La carica espressiva e comunicativa del sorriso deve proprio allo sguardo

la sua profondità. Quanta gioia si prova nel vedere una persona sorridere… Pensate al sorriso di una mamma che ha appena partorito un figlio o al sorriso di un bimbo quando fa il suo primo passo, e ancora, al sorriso di chi, pur avendo una vita difficile, non perde il suo tempo a lamentarsi, ma sorride sempre! Il sorriso manifesta serenità, benessere e apertura nei confronti di un'altra persona. Penso che sorridere sia un modo, il più eco-nomico, per aumentare la nostra abilità nel risolvere i problemi poiché in qualunque espe-rienza, se si cerca un lato positivo, molto spesso lo si trova. Il tempo che ci è stato dato è prezioso, trop-po prezioso per sprecarlo sentendoci infelici. Ecco perché ogni giorno per noi deve essere una gioia non una lotta. E’ il nostro atteggia-mento verso la vita che determina la qualità della vita stessa… e quale atteggiamento mi-gliore del sorridere? Una delle più infallibili regole della felicità è quella di coltivare un atteggiamento di grati-tudine; non importa quanto terribili siano le circostanze che ci troviamo ad affrontare ma per ciascuno di noi c’è sempre qualcosa che può costituire motivo di gratitudine. Ricordiamoci che si è felici nella misura in cui si decide di esserlo. Il “sorridere alla vita” è una scelta che si può fare in qualsiasi momento, ovunque e in qualsiasi luogo. Sorridi! Sorridi davanti al nemico, a chi non ti ha mai amato, mai apprezzato e non ha mai creduto in te; sorridi in una giornata di pioggia respirando l’aria che emana la terra bagnata; sorridi quando guardi un fiore sboccia-re; sorridi davanti ad un tramonto pensando che è qualcosa di davvero meraviglioso. Soprattutto, sorridi pensando alla vita… TU SEI VIVO, TU SEI QUI! come puoi non sorridere di fronte a un tale miracolo? Si, il miracolo della vita ti appartiene, e non ti puoi permettere di dimenticare quanto sia grande e meraviglioso e , nel ricordarlo, non puoi non sorridere! Sorprenditi e sorridi di ogni cosa: questo sarà l'unico modo per salvarti da ogni minima intaccatura della mali-gnità che si insinua volendo far marcire la tua anima. “Un sorriso non costa niente e produce molto; arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona. Dura un solo istante, ma talvolta il suo ricordo è eterno. Nessuno è così ricco da poter farne a meno e nessuno è abbastanza povero da non meritarlo. Un sorriso non può essere comprato, nè prestato, né rubato, perché è

qualcosa di valore solo nel momento in cui viene dato. E se qualche volta incontrate qualcuno che non sa più sorridere, siate generosi, dategli il vo-stro, perché nessuno ha mai bisogno di un sorriso quanto colui che non può regalarne ad altri” (P. Faber). ■

"Fate a Gesù un bel sorriso ogni volta che la vostra nullità vi spaventa. Confidate nella gioia di Gesù che è la vostra forza: siate felici e in pace, accettando la Sua volontà con un grande sorriso". Madre Teresa di Calcutta

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2 maggio scorso. Osama Bin Laden, lo “sceicco del terrore”, come veniva chiamato, viene ucciso. In un blitz delle Seal, le forze speciali americane, ad Abbottabad, in Pakistan. Gli statunitensi scendono in piazza, per far festa. Ebbri di gioia, come avviene dopo la vittoria di un Mondiale di calcio, di una Champions. Spumante, bandiera a stelle e strisce, grandi adunate di gente. L’unica voce critica, nella contentezza globale, è il Vaticano. “La morte non si festeggia”, dice padre Lombardi. Ora, se è “comprensibile” la soddisfazione dei fami-gliari delle vittime dell’11 settembre, ad esempio, cosa spinge un uomo qualunque ad esultare

per la fine di Bin Laden? A causa di quali gravissimi pericoli le Seal possono esplodere due proiettili (uno in pieno viso) ad un uomo disarmato? Bin Laden era visto come il capo delle Forze del Male, come l’aveva tratteggiato Bush, dopo gli attentati del 9/11. Il Bene contro il Male, gli Stati Uniti, ma anche l’Occidente in genere, contro i “terroristi”, i cattivi che incutono terrore. L’attribuzione semantica di termini è importante. “Terrorista” porta con sé un’aura negati-va, “rivoltoso” o “combattente” no. Bin Laden, armato dagli stessi americani nella ribellione afgana all’invasione sovietica, era passato dall’altra parte. La sua morte, in questo senso, era salutata con giubilo in quanto si esorcizzava un Nemico (altra parola chiave). La manifestazione di gioia era qua-si un sabba. L’ombra di Bin Laden, dopo 10 anni di vana ricerca, era spazzata via. Ma per gli Stati Uniti, che tanto si fanno paladini dell’equità di giudizio davanti alla legge, non era meglio proces-sarlo? La brutale uccisione di Bin Laden, peraltro reo di aver ucciso migliaia di vite innocenti, li e-quipara ai “terroristi”. E il cadavere “sepolto” in mare rappresenta un gesto empio per i musulmani. Dopo il blitz di Abbottabad è stata diffusa una foto del cadavere del saudita. Foto, dopo poco, rivelatasi una patacca. Un falso. La tv pachistana che l’ha diffusa ha rivelato, dopo qualche ora, che non era un’immagine attendibile. La scrittrice americana Susan Sontag, nel suo libro “Davanti al dolore degli altri”, tratta della raffigurazione dell’altro, del lontano da noi. Se fosse stata resa disponibile la foto reale del cadavere di Bin La-den, parecchi media occidentali l’avrebbero pub-blicata. Magari, dopo un breve dibattito sulla giu-stezza o meno di tale scelta. Ma poi avrebbe riem-pito le prime pagine dei quotidiani, l’home page dei siti web. Perché alieno da noi. Come le stragi in Ruanda e gli eccidi in Bosnia, i teschi in Cambogia. E diversamente da quanto avviene per i “nostri” morti, soprattutto in guerra. Bare coperte da bandiere, il suono del “Silenzio”. La guerra, nel terzo millennio delle news in diretta, 24 ore su 24, nei media non è rappresentata adeguatamente. E’ un video game, è la luce dei missili nella notte di Baghdad, di Belgrado. La morte di Bin Laden deve farci riflettere. Mettiamo il silenziatore al chiasso delle strade americane. La morte di un uomo, per quanto perfido possa essere quest’uomo, è una sconfitta per tutti. Perché la strada della morte arrecata conduce ad altro odio, ad altro sangue sparso. In un circolo vizioso, senza fine. Quella gioia è un sentimento fuori luogo, da discount dei facili comportamenti. A prezzi davvero stracciati. ■

SE SI ESULTA

DINANZI ALLA MORTE

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LA SFIDA EDUCATIVA

La nostra epoca è, almeno da un certo punto di vista, depressa. La mancanza di amore, la finitezza, la morte, il senso del dolore, la falsità, sono i fili neri che intessono la non certo confortante tela di tristezza che frena, oggi più di ieri, lo sviluppo più profondo dell’essere umano. Quella che non a caso viene chiamata da una parte del pensiero contemporaneo: “l’epoca delle passioni tristi”, è caratterizzata infatti da una frequente indisponibilità a prova-re gioia; nonostante le indiscutibili vittorie che l’uomo ha conseguito in campo scientifico e tecnico. Nella Gaudete in Domino Paolo VI aveva denunciato come la società tecnologica

avesse creato innumerevoli occasioni di piacere, senza tuttavia aprire gli spazi della vera gioia. E questo per-ché? Perché la gioia è spirituale e non può essere dise-gnata con la tecnica e messa sul mercato dei beni; ma necessita di un duro lavoro educativo lungo tutto il cor-so della vita. Il denaro, l’agio, la sicurezza a livello mate-riale frequentemente non mancano; ma la noia, il tedio, rimangano i sentimenti che albergano con maggiore assi-duità nel cuore di molti oggigiorno. L’uomo contempora-neo come quello del futuro, non deve essere tuttavia lasciato morire lentamente in questa tela di tristezza interna ed esterna: serve un aiuto. Già nella Spe Salvi, l’attuale pontefice si era posto il problema, sottolinean-do come nella speranza del messaggio cristiano sia possi-bile per l’uomo aprirsi alla gioia della vita eterna. Pienez-za che squarcia il velo delle passioni tristi che respiriamo e riapre il vivere al Trascendente. Ma per far in modo che questo avvenga, occorre una sola cosa: educare. Il grido di Benedetto XVI sull’emergenza educativa irrompe non a caso in questi tempi in cui molte certezze e molti valori sembrano essersi persi, in un oblio nichilista che tiene l’uomo ostaggio di se stesso. L’occasione per lanciare con decisione questo messaggio d’allarme è stata sicuramente la Lettera sull’educazione del gen-naio 2008 che il Pontefice ha inviato alla Diocesi di Roma. I contenuti e le riflessioni che si potrebbero svi-

luppare da questa necessiterebbero di uno spa-zio decisamente più esteso di quello a disposi-zione. Qui vorrei tuttavia sottolineare alcuni aspetti salienti. In primo luogo il fatto che edu-care è difficile, che educare serve tuttavia per prepararsi a discernere su quello che è bene da quello che è male. Educare significa tramanda-re valori, stili di vita, ragioni di fiducia negli uo-mini e di speranza verso il futuro. Educare si-gnifica conservare e tramandare la sapienza del-la vita, la sua bellezza, la bontà da ricercare, la Verità. Spesso, purtroppo, l’educazione a cui siamo abituati è semplicemente istruzione: una troppo frequentemente mera accumulazione di saperi incapaci di entrare nel cuore dell’uomo per farlo sbocciare. Perché educare deve esse-

re fondamentalmente capacità di porsi domande. Tenendo sempre vive in modo particolare quelle essenziali per poter vivere meglio il domani: quelle che approfondendo i misteri dell’umanità, ricercano le ragioni dell’essere, emancipandoci dai condizionamenti delle diverse mode e riempiendo il vuoto etico di quel nulla

esistenziale su cui il mistero del male gioca le sue carte migliori. Questa è la sfida aperta oggi a tutti gli uomini di buona volontà. ■

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CICERONE PELLEGRINO

IN UN MONDO STANCO

Cicerone era un senatore diverso dai colleghi: i privilegi di casta erano aboliti da due secoli, i figli dell'aristocrazia avevano ammesso i figli della borghesia, ma ancora di raro integravano un homo novus come lui, senza il padre senatore. Ma non la tradizione l'avvocato perseguì in politica e l'oratore non la tradusse in scrittura. Veniva da studi classici, dalla filosofia elleni-ca: prediligeva l'etica, che i Greci sviluppano nella loro crisi politica del IV secolo (prima che le monarchie nazionali abbattano i recinti per altro angusti delle pòleis: Atene perde così il suo prototipo suffragio democratico mentre l'Urbe ancora sperimenta la liberale divisione

dei poteri). Il Nostro si forma alla Scuola platonica: eppure non si accontenta di contemplare le Idee celesti che il maestro aveva invece poeticamente espresso, fino magari a divenirne scettico come altri nell'Accade-mia. Platone infatti aveva architettato le leggi della Repubblica a immagine delle Idee (e a sua somiglianza farà il nostro repubblicano Mazzini), quando già Socrate aveva intuito un Dio onnipotente e onnisciente,

emancipato dagli altri dèi capricciosi come mai neanche Zeus era stato. La teologia di Cicerone ripeterebbe co-sì quella di Aristotele (o di Spinoza), ma in lui Dio non resta come in loro quale Primo Motore Immobile: «La divinità stessa, tale quale noi la concepiamo, non può essere pensata che come uno spirito autonomo e libero, libero da qualsiasi aggregato caduco, che conosce tutto e muove tutto, dotato com’è esso stesso di movimento eterno» (De natura deorum, 3,94). Cicerone vive il suo secolo: l'ultimo del mondo prima di Gesù, il primo di Roma capitale del mondo. I Conserva-tori erano sempre un club. Le fazioni s'erano contesa la Repubblica lacerata dagli emuli violenti di Alessandro e Scipione; solo Cesare mostrava talento e coraggio; gli si consentiva persino la legge ad personam che gli proroga-va i poteri militari in Gallia; ma da lì egli costruiva l'Im-pero! Il Principato alla fine arrivò: non bastò la resisten-za repubblicana né l’uccisione di Cesare. Nella guerra civile, non per ammirazione ma per grettezza, i più fazio-si trovarono una tregua nella guerra civile accettando un uomo solo al comando, e con Ottaviano la chiamaro-no pace. In mezzo, frattanto, si poneva Cicerone, l'intel-lettuale della concordia omnium. La teoria peripatetica della dynamis di Dio immanente nell'uomo avanzava negli ambiti che la giuridica forma mentis romana separava: il quotidiano letterario, forense, politico, s'arricchiva del

potenziale divino! I Doveri sono opera morale proprio coeva alla crisi; ma all'uomo di ogni tempo offrono non un prontuario di valori da difendere, quanto un campionario di virtù cardinali, Equità, Costanza, Lungimi-ranza, Equilibrio: così traduciamole da lui che le traduce dal greco. Dottore di traduzione, sapeva forse di fornire un lessico alla filosofia d'Occidente (e già dopo ai dottori della Chiesa, di cui non sapeva che avreb-bero arricchito quelle virtù di Fede, Speranza e Carità). Glielo deve l'Europa. E se le libertà repubblicane hanno radici così profonde, è una pena assistere e basta alla contrazione, qua e là, dall'Italia all'Ungheria, dei nostri Parlamenti per l'acclamazione di vecchie monarchie di fatto. ■

“Alla fine il mondo perirà ma il Dio ne farà uno più bello”. Cicerone

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L’ALBERO DELLA VITA

Le parole del Libro di Giobbe, il sole che filtra tra gli alberi; poi una voce fuori campo, quasi sussurrata, descrive l’eterno contrasto tra Grazia e Natura: “La prima, benigna, spinge verso l’alto; la seconda, crudele, verso il basso”. E’ l’incipit di The Tree of Life, film del regista americano Terrence Malick, Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes. Anche un altro suo film, La sottile linea rossa, inizia con l’immagine del sole che filtra tra gli alberi; poi un coccodrillo si immerge nella melma di una palude ed ancora un sussurro fuori campo: “C’è una guerra nel cuore della natura… Perché la Terra combatte contro il Sole?”.

E’ la primordiale contrapposizione fra caduta ed ascesa, natura e spirito, realtà bruta e bellezza trascenden-te: quello che ne La sottile linea rossa era solo un sottotesto, in The Tree of Life diventa il testo. Infatti la storia di una famiglia americana degli anni ’50 è appena l’espediente narrativo per raccontare l'universale par-tendo dal particolare: una madre dolce, comprensiva, eterea, di impalpabile sostanza e di ineffabile bellezza

(è la Grazia/Amore); un padre duro, severo ed irremovibile (è la Natura/Forza); tre figli, in continua lotta fra l'amore dell’una e il rigore dell'altro (sono l’Uomo). Dopo che uno dei ragazzi muore in guerra, a soli 19 anni, il film diviene una inten-sa rielaborazione del lutto che ci lancia nel futuro, quando il figlio maggiore, ormai adulto, fa i conti con il passato. Da qui le vicende familiari saranno continuamente intervalla-te da un’autentica sinfonia di immagini naturali, potenti ma poetiche, a tratti psichedeliche, persino mistiche ma al con-tempo realistiche, epiche ed allo stesso tempo liriche: casca-te, fiumi, vulcani, alberi, prati sconfinati, cieli, animali. L’uso sapiente di luce e musica rende The Tree of Life un prezioso affresco cinematografico, riuscendo Malick a liberare la sin-tassi filmica dalle briglie delle esigenze narrative. Quando la madre sta per partorire, il regista per ben 20 minuti ci regala una sequenza totalmente astratta in cui la nascita del figlio diventa la nascita dell’universo: un neonato, un Big Bang. Le immagini giocano sull’idea di micro-macro: prolifera-no cellule, nascono embrioni, si formano galassie, nebulose, stelle, pianeti. Un meteorite precipita verso la Terra, sprofon-dando nell’oceano (la feconda?). Gli occhi dello spettatore sono attoniti ed impreparati, a vol-te inadeguati (viste le reazioni istericamente negative di una parte del pubblico in sala): è il momento in cui forse molti vor-ranno andarsene chiedendo indietro i soldi del biglietto; altri, invece, non vorranno uscire neanche dopo i titoli di coda.

Malick è un filosofo (con tanto di laurea ad Harvard); i suoi temi sono infatti da sempre oggetto di specula-zione filosofica e religiosa: il silenzio di Dio e l'indifferenza della natura, la tentazione innata del Male e l'al-ternativa impervia della Grazia, l'immensa forza dell'Amore, l'infinito rovello dei sensi di colpa, il mistero inde-cifrabile della Morte. Si può non condividere il misticismo del regista o la sua concezione fideistica dell'universo, ma non si può certo rimanere indifferenti di fronte allo splendore visivo ed all’intensità emotiva di un film che si spinge là dove pochissimi sinora avevano osato.

Buona Visione. ■

“Dov’eri tu quando io gettavo le fondamenta della Terra? Dove sono fissate le sue fondamenta, o chi pose la sua pietra angolare, quando le stelle del mattino cantavano tutte insieme e tutti i figli di Dio mandavano grida di gioia?”

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LA TERRA DEI CAVALIERI

E DEI NAVIGATORI

Natura, cultura e preghiera - Don Roberto docet - è quello che devi scoprire durante i tuoi viaggi. E’ sempre molto interessante visitare nuovi posti, lasciarti guidare dalle strade affollate, incantare dalla maestosità dei paesaggi ed osservare i comportamenti degli autoc-toni. Ma c’è, ad oggi, un solo posto che non mi stancherei di osservare: Malta che con il suo arci-pelago, adagiato tra la Sicilia e la Tunisia, lascia a nord il mondo latino e a sud quello arabo e tutto

intorno il Grande Blu. Tutte le civiltà mediterranee sono passate da lì lasciando ciascuna la propria impronta, un tesoro di ricchezze ac-cumulate nei secoli che si traducono oggi in un vero e proprio “spirito maltese” risultato di abitudini latine, una cultura europea ben radicata e del rigore anglosassone. Edifici e prigioni medievali, moschee arabe e cattedrali rinascimentali: un museo a cielo aperto. Il colore del tufo in contrasto con il blu del cielo e del mare, colori forti e caldi lasciano intendere che Malta sia fortemente influenza-ta dalla cultura araba. In realtà è una terra profondamente cristia-na. La conversione dell’isola si deve a San Paolo. Naufragato e rifu-giatosi a Rabat, l’Apostolo delle Genti utilizzava una grotta come oratorio dove pregava, predicava la parola di Dio, celebrava l’eucarestia, fondava e formava la prima comunità cristiana dell’isola. Rabat e Mdina fanno ripercorrere, inoltre, le storie dei Cavalieri e di artisti italiani vissuti a lungo sull’isola. La Cattedrale di San Paolo a Mdina è uno degli esempi più belli di architettura re-ligiosa barocca e i dipinti di Mattia Preti ne arricchiscono l’interno. La capitale, la Valletta, sembra una città silenziosa. Lascia parlare i suoi bastioni, le sue piazze, le chiese. Il Cattolicesimo è la religione di stato. Si stima infatti che il 98% della popolazione sia cattolica, ma naturalmente è riconosciuta la libertà di culto. Tanto è vero che basta accede-

re alla Valletta dalla porta della città, che si apre su Freedom Square, per capire quanto plurale sia la cul-tura di quest’isola. Si viene accolti da due grosse lava-gne poste in alto con scritte che educano alla tolleran-za e al rispetto della diversità. Anche prendere un au-tobus a Malta è un’esperienza curiosa, così come ori-ginali sono gli autisti e il loro modo di addobbare i pul-lmann gialli e rossi dal perfetto stile londinese anni ‘60 (pare, infatti che i vecchi autobus siano un omaggio della Regina Elisabetta alla sua vecchia colonia... non sapendo in che altro modo disfarsene!) All’interno, in-vece, l’angolo dell’autista si trasforma in un vero e pro-prio altarino con immagini di Santi protettori e di per-sone care. Poco più a sud della Valletta troviamo Mar-saxlokk un tradizionale villaggio di pescatori. Per tut-to l’anno le acque del porto sono ravvivate da barche

colorate chiamate luzzu sulla cui prua campeggiano due grandi occhi che si dice siano lì per scacciare la malasorte. E a giudicare dalle casset-te di pesce al mercato della domenica sembra proprio che funzioni! ■

Il mare è un amico dalle mille facce, mai monotono, mai ripetitivo, mai uguale. Susanna Agnelli

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Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario, come si usava a quei tempi. Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole. Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra. Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione. Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. Lo guardò con compassione. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile. Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente. "Che cosa fai?", chiese il pellegrino. "Non lo vedi?" rispose l'uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. "Mi sto ammazzando di fatica". Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. S'imbattè presto in un secondo spaccapiertre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato. "Che cosa fai?", chiese anche lui, il pellegrino. "Non lo vedi?" Lavoro da mattino a sera per mantenere mia mo-glie e i miei bambini", rispose l'uomo. In silenzio, il pellegrino riprese a camminare. Giunse quasi in cima alla collina. Là c'era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità. "Cosa fai?", chiese il pellegrino. "Non lo vedi?", rispose l'uomo, sorridendo con fierezza. "Sto costruendo una cattedrale".

E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.

I tre spaccapietre richiamano all'attenzione che si deve avere per il senso delle azioni che si compiono nella propria vita. I tre spaccapietre fanno l'identico lavoro. Ma c'è una bella differenza tra "ammazzarsi di lavoro" e "costruire una cattedrale".

E' il perché lo fanno che li cambia profondamente. Si può vivere la vita senza un perché. (subisco la vita) Si può vivere una vita con qualche perché. (mi aiuta a sopravvivere) Si può vivere la vita sapendo il perché la vivo. (vivo la vita da protagonista)

...come vivi la tua vita?

UN PELLEGRINO...

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Per suggerimenti e osservazioni sul giornalino: [email protected] (aiutaci a migliorarci!!!!)

Visita il nostro sito:

www.capunisi.it

Dicono che in Cappella ci siano poche vocazioni ma che almeno in 3 o 4 ci stiano seriamente pensando, chissà che lo Spirito non ci faccia qualche sorpresa entro l'anno!

Dicono anche che questo è l'anno dei matrimoni, attente donne che come nella Bibbia dopo un grande rac-colto c'è grande carestia... Dicono che ci sono sempre nuovi cacciatori che girano in via Bandini... dicono anche che i principi azzurri si trovano solo nelle favole! Dicono che questa rubrica è scritta da un uomo o forse da una donna, dicono che sia un pettegola/o ma vi dico che ancora non avete visto niente... lo scoop arriverà prossimamente!

AUGURI

ai neo-laureati della

Cappella Universitaria

Dott.ssa Rosy Laurea in Biologia sanitaria

Dott.ssa Anna Laurea specialistica in Economia

Dott. Filippo Laurea specialistica in Ingegneria Informatica

Dott. Erik Laurea specialistica in Ingegneria Informatica

GRAZIE a tutti i collaboratori e amici e della nostra Comu-nità con cui in quest’anno abbiamo condiviso il no-stro cammino, tra cui...

Abbazia Dominus Tecum di Pra’d Mill (CN) Abbazia Mater Ecclesiae di Isola San Giulio (NO) Abbazia Monte Oliveto Maggiore Giovani dell’Azione Cattolica di Siena Pontificio Seminario Pio XII di Siena

AUGURONI

(e figli maschi)

agli amici NEO-SPOSI della Cappella:

Salvo e Stefania

Fabrizio e Rosaria

GITA IN MONTAGNA (fantastica!!!)

Passo del

Gran San Bernardo (AO) 23—30 luglio 2011

Iscrizioni in Cappella...

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