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SVILUPPO. Il ritratto dell'Italia nella conversazione con Antonio Galdo

Ultimi, secondo i datiSe negli ultimi trent'anni il paese è precipitato nelle classifiche internazionali intutti gli ambiti tranne che in corruzione ed evasione fiscale, non ci si può nasconderedietro un dito. I numeri rivelano una verità scomoda che aumenta le disuguaglianze

di Massimiliano Cannata

li ultimi saranno i pri-mi. Sarà poi vero? Ildetto evangelico con-serva, a distanza dimillenni, tutto il peso

della verità rivelata, che ha scossofin dall'originaria enunciazione lastoria, ribaltando gerarchle e si-stemi di potere consolidati. Se pe-rò si prova a passare dalla sfera ra-refatta dei ragionamenti teologici,al terreno più arido e accidentatodella statistica, il "coraggio dellasperanza" si flette e il senso dellasfida viene meno. "I numeri sonoessenziali per i governanti perchéli aiutano a ragionare, a dare un'a-

nima al loro progetto", come ricor-da citando Piatone il giornalistae scrittore, Antonio Galdo nellaprefazione di Ultimi (ed. Einaudi).Il grande filosofo di governanticerto se ne intendeva, da buonconsulente ante luterani, malgradoquesto la citazione non riesce atranquillizzarci, forse perché sonoproprio l'anima e il progetto i con-notati essenziali che mancano allenostre classi dirigenti per guidarela tanto agognata ripresa. Eppuredei numeri (e in questo, non al-lontanandoci dalla Grecia classica,bisogna dire che aveva ragioneanche Pitagora) non possiamo far-

ne a meno, perché contengonoil segreto dell'universo, essendomanifestazione di armonia, veri-tà ed equilibrio sono, insomma,chiavi di lettura che servono a in-terpretare la realtà che cambia. Nediscende che per raccontare l'Italiail dato statistico non può essereignorato, peccato che non ci siada stare allegri. Il nostro paese datroppo tempo risulta schiacciatoal fondo delle classifiche, sembraimpossibile schiodarci da posizio-ni non certo gratificanti. Non sipuò però accettare questo trendpassivamente, da qualche parte sidovranno pur creare i presupposti

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05/05/2016Pag. 19 N.5 - maggio 2016 tiratura:150000

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per il salto in avanti. In questointeressante lavoro, Galdo ha pro-vato a individuare un camminopossibile, attraverso cui tentare diriannodare il filo di un discorsocostruttivo, a dispetto della troppodiffusa retorica "declinista" che dadestra a sinistra continua a darefiato alle trite giaculatorie dellatradizionale "lamentela" italica.D'altronde come diceva Nietzscheè "nei processi del sogno, che l'uo-mo si esercita alla vita vera". Pro-viamo allora a sognare, almeno peruna volta.

Qualche anno fa, nel saggioscritto con Giuseppe De Rita, //popolo e gli dei, avete parlato delcorpus sociale italiano come del"popolo della sabbia", fatalmen-te esposto ai venti della crisi edel potere cieco, in inarrestabiledeclino. Siamo ancora in questasituazione?La narrazione di un'Italia che avreb-be ripreso a correre appartiene almarketing politico. Strategia legit-tima, per carità, ma molto distantedalla realtà. Il mio studio intendepiuttosto raccontare come negli ulti-mi trent'anni il paese sia precipitatonelle classifiche internazionali. Intutti i settori: dalla scuola all'uni-versità, dalla ricerca al digitale, dallagiustizia, alle infrastnitture. Siamodiventati primi soltanto nei gironipeggiori, mi riferisco alla corruzioneinsieme ai livelli dell'evasione e dellapressione fiscale.

"U" come ultimi è un titolo forteed efficace. Possibile che abbia-mo smarrito la rotta e che non siarimasto nulla della grande eredi-tà di una storia - basti ricordarel'Italia del Rinascimento - che ciappartiene e che ci ha visto spes-so protagonisti?La cosa più grave di questo lun-go viaggio della memoria è datodal fatto che l'Italia è diventataun paese ingiusto, dove risulta arischio la coesione sociale per ledistanze sempre più abissali che

stanno separando i cittadini. Ab-biamo in realtà delle ottime scuole,università, ospedali, asili, ma sonoindividuabili a macchia di leopar-do, quasi tutti concentrati nelleregioni del Nord. Peccato peròche a questi servizi acceda solouna minoranza di cittadini privi-legiati che hanno le conoscenzee le relazioni giuste. Per gli altril'iscrizione a una scuola, come ilricovero in ospedale ha lo stessovalore di una puntata al tavolodella roulette. Può andare bene,ma anche malissimo, con l'aggra-vante che se nasci in una regionedel Sud hai trecento possibilità inpiù di diventare povero, rispetto achi si trova a vivere in una regionedel Centro-Nord.

Qual è il messaggio di fondo del-la sua pubblicazione?Ci tengo a sottolineare una cosa:malgrado tutto, resto ottimista.Questo libro è una sorta di agendaper il governo. Avrei potuto anchetitolarlo diversamente. Ultimi, macon tutte le possibilità per diventareprimi, per esempio. La giustizia,tanto per citare un caso emble-matico: in Italia ormai possiamodire che non esiste più, polveriz-zata da una valanga di prescrizioni(130mila l'anno se ne contanoper il ramo penale) e schiacciatadai tempi biblici, come sappiamoaccade per le cause civili. Eppurea Torino, il presidente di un tribu-nale è riuscito a fare funzionare lamacchina della giustizia secondostandard europei, tanto che il suomodello è stato preso in con-siderazione dall'Unione europeacome best practice. Cosa dunquedobbiamo fare per avvicinare altricontesti italiani allo format delcapoluogo piemontese? Perché lagiustizia — mi chiedo - deve fun-zionare in Piemonte e non al-trettanto in altre regioni? È quiche si gioca la partita del futurodell'Italia, insieme alla scommessa,finora andata perduta, della suamodernizzazione

I numeri generano anche ambi-guità almeno a giudicare dallerecenti polemiche del ministroPadoan all'indirizzo della Uèproprio in merito ai metodi dielaborazione dei conti, ma anchedei rilevamenti dell'occupazione,spesso contradditorie, realizzatedall'Istat e da altre fonti gover-native e istituti di ricerca. Comesi spiegano?Piatone diceva: i numeri sono ilprimo strumento del buon gover-no. Le statistiche dovrebbero per-ciò servire essenzialmente a que-sto: capire dove sono i problemi ecome risolverli. Solo le statistichepossono fotografare la grande di-sunità d'Italia, il fatto cioè che ilpaese sia spezzato tra Nord e Sud.E evidente che tocca poi a chi go-verna interpretare i dati e le stati-stiche per provare a innescare queiprocessi di cambiamento necessarial progresso di tutta la comunitàamministrata.

L'innovazione dovrebbe essereil carburante della società dellaconoscenza, eppure ne facciamopochissima anche a giudicare dalnumero dei brevetti. Il caso dellabanda larga è emblematico: sia-mo al terz'ultimo posto in Euro-pa per digitalizzazione dell'eco-nomia e della società. Il prodottodigitale italiano è un misero 1%contro il 10% di paesi paragona-bili a noi, vedi il Regno Unito.Quando usciremo da questo cheormai è divenuto il "miraggiodell'Italia digitale"?Troppi soggetti hanno un ruolosull'Italia digitale: il Governo, ilParlamento, le regioni, l'agenzia, ilcommissario ecc. La solita giungla.II digitale deve essere un pianocomplessivo per il sistema-paesee ha fatto bene il premier Renzi,secondo me, a metterci la faccia.Adesso spero che riesca a procede-re, portando avanti un programmache sia di respiro nazionale. Almomento, una famiglia su due nelMezzogiorno non ha accesso al

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digitale, e se consideriamo più ingenerale, con l'attuale piattaformautilizzata dagli utenti, i tempi dinavigazione su Internet risultanodi un terzo più lenti rispetto allaGermania. Inutile sottolineare chein questo modo per le imprese lapartita della competitivita risultagià persa in partenza.

A proposito di impresa, da noi èun dramma avviare qualsiasi ini-ziativa. Come rimuovere quellepastoie che continuano ad allon-tanare i capitali, annullando, am-messo che ce ne siano ancora, glianimai spirits di un capitalismoin evidente crisi?E avvenuto che gli imprendito-ri, dall'esplosione della GrandeCrisi, abbiamo giocato in difesa,cercando innanzitutto di salvarela pelle. Sono stati bravi, comeal solito direi, e senza l'aiuto dinessuno, ci sono riusciti. In Italiada troppi anni non esiste unapolitica industriale. Il prezzo ditutto questo è stato altissimo: so-no infatti crollati gli investimentipubblici e privati. Per rilanciare iprimi servirebbe mettere in attodelle politiche keynesiane, evitan-do di sprecare risorse pubbliche efondi europei; per quanto attienealla sfera privata servirebbe piùcoraggio. In ogni caso occorredecidersi a uscire dall'equivocodelle dimensioni: piccolo non èpiù bello. In tempi di grave eprolungata crisi, come quello chestiamo vivendo, la dimensione diun'impresa fa la differenza per ri-uscire a esportare, per fare ricerca,per innovare, come ha giustamen-te ribadito la Banca d'Italia in più

occasioni.

Il recente saggio di Franco De-benedetti (Scegliere i vincitori,salvare i perdenti, Marsilio n.d.r)ha fatto molto parlare del ruolodi una politica industriale, chenon avrebbe più una ragione sto-rica per esistere. Cosa pensa alriguardo?

INTERVISTA

Penso che abbiamo bisogno di unapolitica industriale, perfino chedeve essere condivisa con l'Unioneeuropea in alcuni settori strategici,come per esempio l'energia. Holetto il libro di Debenedetti enon condivido il suo scetticismosulla politica industriale, conside-rata morta. Quando il presidenteObama ha deciso di salvare erilanciare l'industria automobilistaamericana non ha forse praticatouna mossa di politica industriale?Allo stesso modo nel momento incui Francia e Germania decido-no di continuare a blindare nellemani del pubblico alcune aziendeche operano in settori ritenutistrategici non fanno forse politicaindustriale? Piuttosto, guardan-do all'Italia dobbiamo dire chenon possiamo pensare di fare lapolitica industriale riducendola auna sorta di una "mini-Iri" magarifuori dal tempo. Mi sto riferen-do alla Cassa Depositi e Prestitiche, almeno per il momento, habruciato diversi miliardi di europer salvare un'azienda che era ungioiello, come la Saipem.

Tornando al Sud, lei conosce be-ne il Mezzogiorno: cosa occorrefare per invertire una tendenzache ci priva di un'enorme ric-chezza di risorse, intelligenze,patrimonio storico artistico?Senza la ripresa del Sud non cisarà mai una ripresa dell'Italia. IlMezzogiorno sta oggi vivendo unafase di grave desertificazione conintere generazioni che continuanoa lasciare le regioni meridionali:un livello così spinto di emigra-zione non si era visto neanche aseguito delle due guerre mondiali.Purtroppo, per riportare il Sud alcentro della politica nazionale ser-virebbe una classe dirigente degnadi questo nome. E invece nel Sudvedo tanti "caccicchi", ma nessunautentico leader.

Disuguaglianza è una delle cifreche segnano il nostro tempo. L'e-

J

quità è l'altro grande ineluttabilemiraggio?L'Italia è soprattutto diventataun paese ingiusto, dimenticandoche il boom economico, la lungaepopea che ci ha portati al benes-sere è stata realizzata all'insegnadi un valore: l'eguaglianza. So-no tornate le distanze, le grandisperequazioni con la lacerazionedel ceto medio. Le generazionalisono in conflitto insanabile, Norde Sud sono più lontani e, come senon bastasse, si è bloccato l'ascen-sore sociale. Per lavorare e per farecarriera devi esser "figlio di", oggipiù di ieri.

Che ruolo ha la paura nel frenarela voglia di intraprendere, in un'e-poca segnata dalla recrudescenzadi un terrorismo cieco? Sapevamodi essere dei "nani sulle spalle deigiganti", ma non credevamo certodi essere dei "nani" senza futuro.Possiamo sperare ancora?Ho raccontato la paura e il diso-rientamento degli italiani ancheattraverso un fenomeno che nonsarei riuscito a spiegare altrimen-ti: abbiamo il record di slot ma-chine nel mondo, si calcola unaogni 143 abitanti; neanche a LasVegas si gioca tanto. Questo per-ché tra scetticismo e paura moltiitaliani cullano il sogno di unascommessa azzeccata, che potràcambiare loro la vita. L'autenticasperanza, che dal mio punto divista è una certezza, è quella diritrovare energia, voglia di di-ventare primi, abbandonando gliultimi posti. Sogno, perché sonoconvinto che da questa vitalitànascerà un paese più moderno e,finalmente, più giusto.

ANTONIO GAU»ULTIMI

1Ultimi, AntonioGaldo, ed. Einaudi,2016

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