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IL PORTICO DI OTTAVIA

Portico ottavia

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IL PORTICO DI OTTAVIA

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Il ghetto ebraico Tra monte Cenci ed il Teatro di Marcello c’è lo storico quartiere del ghetto.

La presenza della comunità ebraica a Roma risale all'epoca pre-cristiana: durante i secoli imperiali e tardo-antichi la colonia ebraica era insediata principalmente a Trastevere, poi, tra l’alto e il basso medioevo si era spostata verso la riva sinistra del Tevere.

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A Roma all'inizio del XV secolo, vivevano circa 2.000 Ebrei: 1.200 risiedevano in quello che poi sarebbe divenuto il ghetto; il “serraglio degli ebrei” come veniva allora chiamato, aveva una superficie di circa tre ettari, occupando un rettangolo che aveva per lati maggiori il Tevere e l’attuale via del Portico di Ottavia, mentre uno dei lati minori attraversava la piazza Giudea e l’altro raggiungeva dal fiume la chiesa di sant’Angelo in Pescheria. L’area venne delimitata da un muro con "portoni" o "catene" detti della Rua, Regola, Pescheria, Quattro Capi e Ponte, che venivano chiusi dal tramonto all’alba. Agli ebrei era consentito girare per Roma soltanto di giorno ed era permesso esercitare solamente lavori di basso grado, come quelli di stracciaroli, rigattieri o pescivendoli.

La sinagoga all’interno del ghetto.

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Essi potevano anche esercitare prestiti a pegno e questa attività era naturalmente motivo di astio dei romani verso di loro. Una singolare restrizione riguardava anche il gioco del Lotto, in cui gli ebrei potevano giocare solo numeri bassi ed appartenenti alla stessa decina (da uno a trenta), tanto è vero che, quando accadeva che venissero estratte cinquine di questo tipo, i romani dicevano che in ghetto quel giorno era festa grande. Quando si recavano fuori del loro distretto, gli uomini dovevano indossare un panno giallo e le donne un velo giallo. Accadeva anche che durante il carnevale essi fossero oggetto di scherno da parte dei Cristiani ed obbligati a gareggiare in competizioni umilianti. Ogni sabato la comunità israelitica era obbligata ad ascoltare le prediche romane, generalmente tenute dai frati domenicani, allo scopo di “convertire li giudei”. I luoghi preposti erano le chiese di S. Angelo in Pescheria, S. Gregorio della Divina Pietà e l’Oratorio del Carmelo: gli ebrei però sembra usassero tamponi nelle orecchie per non ascoltare le prediche. Naturalmente, la gran quantità di popolazione che viveva in un'area così piccola, insieme all'indigenza della comunità, causò terribili condizioni igieniche. Il distretto, trovandosi molto in basso e vicino al Tevere, era spesso inondato: durante l’epidemia di peste del 1656, 800 abitanti su 4.000 morirono a causa dell'epidemia.

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Le cose iniziarono a cambiare con la Rivoluzione francese: nel 1798, le porte del Ghetto furono finalmente aperte, ma con la caduta di Napoleone si tornò alla segregazione. Verso la fine del 1825, il papa Leone XII ordinò che tutti gli ebrei abitanti negli Stati pontifici venissero nuovamente rinchiusi nei ghetti e che fossero ripristinati i vecchi divieti che regolavano i loro rapporti con i cristiani: “nessun ebreo dimorante nel ghetto di Roma potrà assentarsene anche per un sol giorno se non è munito di licenza in iscritto”. L’aumento della popolazione impose però una rettifica dei confini del ghetto che fu ampliato includendovi via della Reginella e parte di via della Pescheria: furono aggiunti altri tre "portoni": quello della Reginella, di un altro tratto di Pescheria e il portone grande di piazza Giudia. Solo nel 1848, Pio IX ordinò l'apertura delle porte del ghetto che sarà abolito nel 1870 e vedrà la demolizione delle mura nel 1885. Gli ebrei romani furono liberi di lasciare il quartiere, e vennero restituiti loro gli stessi diritti civili della popolazione cristiana.

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Chi era Ottavia? Il portico di Ottavia fu fabbricato da Ottaviano Augusto in onore della

sorella Ottavia, a cui era molto legato, dedicando infatti a questo monumento il suo nome. Il nome completo della donna era Ottavia Turina Minore nata nel 69 a.C. e morta nell’11 a.C. Nasce dal secondo matrimonio di Gaio Ottavio con Azia Minore. Da parte materna era parente di Gaio Giulio Cesare, zio di Azia. Di aspetto, e le immagini lo confermano, sembra fosse molto bella e dai lineamenti fini. Ottavia era reputata avere tutto il fascino, le virtù e le capacità necessarie per guadagnarsi l'affetto delle persone e l’influenza sul marito e sul fratello. La sua bellezza era reputata essere maggiore di quella di Cleopatra. Ottavia si sposò due volte, la prima nel 54 a.C. con Gaio Claudio Marcello Minore; Nel 54 a.C., Gneo Pompeo Magno, uno degli uomini più potenti di Roma, aveva perso la moglie Giulia, figlia di Cesare. Cesare, volendo mantenere dei legami familiari con l'influente Pompeo, gli propose di sposare Ottavia, dopo che questa avesse divorziato da Marcello. Pompeo rifiutò, e Marcello rimase marito di Ottavia. Marcello e Ottavia ebbero tre figli: Claudia Marcella maggiore, Claudia Marcella Minore e Marco Claudio Marcello.

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Alla fine del 41 a.C. Marcello morì, lasciando Ottavia incinta; quasi

contemporaneamente, all'inizio del 40 a.C., anche Marco Antonio divenne vedovo, perdendo Fulvia, che gli aveva dato due figli. Poiché Antonio e Ottaviano si erano recentemente riappacificati dopo essersi combattuti, decisero di saldare il proprio legame con un matrimonio: fu così che per motivi politici, Ottavia sposò Antonio, ma prima il Senato dovette dare ad Ottavia il consenso per sposarsi incinta. Il matrimonio riuscì ad ottenere i risultati sperati: quando nel 36 a.C. Ottaviano e Antonio entrarono in contrasto, Ottavia riuscì a far riconciliare il marito col fratello. Ottavia curò l'educazione dei figli avuti da Marcello, dei figli di Antonio, e dei due figli che ebbe dal secondo marito, Antonia maggiore e Antonia minore.

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Quando però ebbe l'occasione di recarsi in oriente per condurre una campagna contro i Parti, Antonio non si fece sfuggire l'opportunità di abbandonare la moglie, di cui si era stancato, e di tornare da Cleopatra, che aveva già conosciuto nel 41 a.C. e da cui aveva avuto due gemelli. Ottavia tentò allora di riconciliarsi col marito. Si mise in viaggio nel 35 a.C. col denaro e le truppe che intendeva consegnare ad Antonio per la sua campagna di Armenia, ma Antonio le chiese di tornare indietro; Ottavia consegnò le truppe e il denaro per Antonio e ritornò in Italia. Secondo alcune testimonianze, fu Ottaviano a fornirle le truppe per Antonio: aveva già previsto la risposta del suo collega, e intendeva utilizzarla per giustificare un’eventuale guerra contro di lui.

Ottaviano Augusto

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Il matrimonio tra Ottavia e Antonio finì nel 32 a.C., quando Antonio inviò alla moglie una lettera di divorzio. Ottavia morì nell'11 a.C. ed il fratello le tributò i più alti onori, pronunciando egli stesso l'orazione funebre.

Quando Ottavia tornò a Roma, Ottaviano le propose di lasciare la casa di Antonio e di recarsi a vivere con lui, ma Ottavia rifiutò la proposta del fratello, rimanendo fedele al marito anche quando scoppiò la guerra tra Antonio e Ottaviano.

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Nascita del portico e successivi utilizzi Il portico di Ottavia viene costruito durante l’età augustea,

precisamente tra il 27 e il 23 a.C., da Ottaviano Augusto per dedicarlo alla sorella Ottavia. Viene costruito nel luogo in cui si innalzava l’antico Portico di Metello, costruito da Quinto Cecilio Metello nel 147 a.C. Il Portico fu restaurato dopo l'incendio dell’80, e poi ancora sotto Settimio Severo, in seguito all'incendio del 191. Tra i resti del Portico, venne allestito sin dal Medioevo il mercato del pesce, che fronteggiava la Chiesa di S. Angelo, detta per questo motivo "in Pescheria". Durante lo scavo archeologico del complesso monumentale sono stati ritrovati i resti di una bottega in cui erano presenti in gran quantità gusci di telline e ostriche a testimonianza dell'esistenza del commercio del pesce sin dall'epoca alto medievale. Nel XII secolo, venne trasferito qui il mercato del pesce, all'interno del quartiere ebraico.

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La vendita era favorita dalla vicinanza del Tevere e dalla possibilità di sfruttare ampie zone coperte. Il pesce arrivava con le barche nella notte e veniva scaricato alla Renella, dal lato di Trastevere. La vendita all'ingrosso del pesce iniziava all'alba e si svolgeva in forma di asta, per fissare il listino della giornata. Un vero e proprio spettacolo, frequentato da popolani e nobili che vi si recavano in abito da sera, dopo aver partecipato alle feste nei palazzi. I pesci venivano esposti su grandi tavole di marmo - le "prete" ricavate dai resti del portico, di proprietà di importanti famiglie che guadagnavano sull'affitto. Una famiglia poteva possedere un unico bancone, ma un bancone poteva essere di proprietà di più famiglie. A seguito di restauri della Chiesa nella seconda metà dell'800, il mercato venne trasferito in via di S. Teodoro.

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Il mercato del pesce era chiamato Forum piscium o di Pescheria Vecchia e la pietra a destra del grande arco del Portico è quanto ne resta: come dice l’iscrizione, “Debbono essere date ai Conservatori (magistratura elettiva capitolina) le teste di tutti i pesci che superano la lunghezza di questa lapide, fino alle prime incluse.” Come si sa la testa è la parte migliore per la zuppa di pesce.

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Caratteristiche del portico I resti mostrano il propileo d'ingresso

e il tratto di portico alla sua destra, fino all’estremo angolo meridionale. Lo scavo di quest’ultima parte ha riportato alla luce il pavimento antico: ci si accorge così che l’edificio sorgeva al di sopra di un basso podio, al margine del quale si allineava il colonnato. La parte meglio conservata è il grande propileo, al centro del lato meridionale, che sporge internamente ed esternamente alla linea del portico.

È costituito, lateralmente, da due muri in mattoni, originariamente rivestiti in marmo, nei quali si aprono arconi in corrispondenza del portico. Le due facciate erano precedute da quattro grandi colonne corinzie, inquadrate tra le ante, anch'esse corinzie, costituite dalle testate dei muri laterali.

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Rimangono in piedi due colonne esterne (quelle di destra sono state sostituite nel medioevo da un arcone, in corrispondenza della chiesa di Sant'Angelo in Pescheria) e tre di quelle interne. Sull'architrave è la grande iscrizione severiana che fornisce con la data del restauro (203 d. C.).

I timpani sono stati costruiti in gran parte con materiale reimpiegato, appartenente con tutta probabilità alle fasi precedenti dell'edificio. Dei due templi che erano al centro dell'edificio, restano alcuni elementi solo di quello di Giunone . Tra le numerosissime opere d'arte che ornavano il portico, i templi e la biblioteca, va ricordato il gruppo di trentaquattro statue equestri bronzee, rappresentanti Alessandro e i suoi ufficiali morti nella battaglia del Granico e la statua in bronzo di Cornelia, madre dei Gracchi, la prima statua di donna esposta in pubblico a Roma.

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