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Storia dell’arte 2012/2013 Biennio specialistico : storia dell’arte contemporanea,

zanella storia del arte Contemporanea6

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Storia dell’arte 2012/2013

Biennio specialistico : storia dell’arte contemporanea,

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D: Perché non ha opere video nella sua collezione?

R: ho qualcosa, ma per me i video-artisti è stato difficile discostarsi molto dai lavori di pionieri del genere come Nauman, Warhol, Vito Acconci, Joan Jones, ecc…L’eccitazione per i video come nuovo strumento espressivo si è spenta per me circa 20 anni fa, e mi viene difficile scaldarmi troppo per quello che vedo ora. Principalmente perché vedo molto poco, occupato come sono a svignarmela furtivamente dalle stanze buie nelle gallerie d’arte. Dovrei sentirmi in colpa per la mia indolenza, non degna di un amante dell’arte, ma credo di essere stato già punito abbastanza con ore di video autocompiaciuti. Persino una divinità del video come Mattew Barney mi sembra un po’ MTV. (Charles Saatchi)

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«Come il collage ha rimpiazzato la pittura ad olio, così il tubo catodico rimpiazzerà la tela »

Nam June Paik

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Videoart di Francesco Bertarelli (introduzione) L’attuale presenza del video, nelle forme più variegate, consolidata in mostre, rassegne ed eventi d’arte contemporanea, è oggi elemento che quasi non è più rilevato quale entità forte, dirompente, così come avveniva in anni passati – non molti per la verità -, ma risulta piuttosto l’appendice di un più vasto sistema visivo gerarchicamente inteso, prospettico (secondo le pertinenti definizioni connesse ai «regimi della visione» di Martin Jay) e ribadito dall’immediatezza e dalla forza comunicativa con cui le immagini in movimento – o più complesse sequenze audiovisive - si articolano, secondo un sistema di coordinate spazio-temporali riconoscibili. Due decenni di progressiva assuefazione a ritmi sempre più concentrati, quando non sincopati, franti, e all’approccio ellittico di un’estetica che di fatto è stata definita da videoclip e da pubblicità, hanno sempre più diffuso una sensibilità e una capacità di riconoscere e decodificare istintivamente i linguaggi visivi propri delle immagini in movimento, forti abbastanza, questi ultimi, da infondere al cinema stesso analoghi ritmi e sintassi, riuscendo a impartire una simile accelerazione all’articolazione “del visivo“. Tutto ciò che avviene, paradossalmente, in anni in cui proprio il cinema, nella sua accezione più forte e ostinatamente pura, “moderna” – ma ora percepita come classica – è divenuto paradigma di riferimento per più di una generazione d’artisti visivi, non solo grazie all’enorme patrimonio figurativo e visivo accumulato, ma in misura ancor maggiore per insospettate affinità di metodo di lavoro – pianificazione progettuale, casting, elaborata cura formale, ecc.

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Alcuni confini, alcune certezze normative che ancora regolavano gli scenari della creazione contemporanea, si sono progressivamente dissolti per una serie di ragioni, non ultima però la sempre più forte presenza del “digitale”, termine sotto il quale si ascrivono ormai un insieme di tecniche di realizzazione e post-produzione maggiormente flessibili (quale il montaggio), tecniche più rapide e capaci di annullare i confini fra vero e verosimile, fra reale e artificiale – ma termine chiave anche attraverso cui sintetizzano una costante trasformazione d’approccio e di metodo di lavoro, non più cartesianamente strutturato, bensì in evoluzione più libera, per così dire rizomatica, vicina ai più recenti sistemi operativi elettronici. Una sensibilità diversa e capacità legate a un’operatività non lineare, mobile.

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…La riflessione innescata dalle ricche potenzialità visive e descrittive delle immagini elettroniche, al di là dei problemi concernenti la loro natura e il loro statuto, ha già dimostrato, anche se il processo è tuttora in corso, quali immense possibilità offrano le sempre più flessibili potenzialità dei mezzi tecnologici. Dal momento che è insita nella natura stessa del video la capacità di creare squarci percettivi, associazioni visive, intuizioni sinestetiche, illuminazioni quasi, che amplificano le potenzialità della vista, essa non può essere intesa che in termini di vera e propria “visione”, là dove l’atto di vedere comporta una più rapida comprensione, in una simultaneità di intuizione che avvicina l’occhio alla mente, comprendendo sia un piano più fisico che uno squisitamente mentale. Storicamente, tali possibilità non si sono manifestate subito, ma grazie a una sperimentazione e allo sviluppo di “macchine di riproduzione del visibile”, dispositivi rivelatori di un atteggiamento ideologico adottato, oltre che della tecnologia materiale impiegata. Ogni sintesi del cammino compiuto dal video (o videoarte come si usava definire l’arco complessivo della creatività elettronica) è anche, data la sua giovane età, quarant’anni appena, una cronistoria delle più recenti trasformazioni avvenute nel campo della ricerca artistica. Nell’atto della visione si rivelano il grado di consapevolezza e l’ideologia soggiacente, più spesso mimetizzate dietro scelte e metodi adottati: le forze costituite dalle modalità d’impiego e del grado di perfezionamento tecnologico rivelano l’alto livello di rielaborazione, anche concettuale, di una tecnica che gareggia e oltrepassa la visione “naturale”, umana.

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Sviluppatosi in una dicotomia tra il campo del “visivo” e il campo del “naturale“ (secondo le definizioni di Thimothy Druckney), nell’arco di pochi decenni il dominio del video, superando molte delle convenzioni e dei dogmi ereditati dalla storia dell’arte, ha letteralmente fagocitato l’insieme dei media visuali (pittura, fotografia, cine, animazioni con/senza computer), del design (grafica, prodotti industriali e di tendenza) e perfino delle performing art (teatro, danza, musica) suscitando visioni sempre più ampie, ricche, complesse, allargando l’orizzonte del visibile e pervenendo a una raffinata capacità di sondare nel profondo, verso quello che è stato definito da un celebre artista “l’occhio della mente”. Il video è stato e tuttora è una forma artistica particolarmente complessa che difficilmente si presta ad una singola prospettiva interpretativa, a una lettura unificante.

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Il video è storia di artisti e di visioni, è architettura della visione, è veicolo alternativo d’accesso a informazioni e punti di vista critici, ed è strumento in mano all’audience/pubblico ma è anche definibile come genere artistico a sé stante, e ancora, è sintassi con la sua grammatica e le sue potenzialità narrative e discorsive. Assomma in sé un catalogo di possibilità e di sviluppi tecnico-formali, mantenendo allo stesso tempo le caratteristiche di mezzo d’espressione estremamente duttile.

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Video Installation Art

È importante tenere a mente che le variegate aree d’indagine della ricerca video, anche se nate quasi nello stesso periodo in breve si sovrappongono e si sorpassano, così nel volgere di pochi anni, alcune trasformazioni portano la natura delle ricerche elettroniche attraverso una conquista più estesa dello spazio espositivo.Già monitor e televisori necessitavano evidentemente dispazi adeguati, ma dagli inizi degli anni 1980 il video tende a diventare videoscultura , l’immagine elettronica ingaggia una competizione con il più considerevole e solido dei mezzi: il corpo delle arti plastiche. Nascono i videoambienti quali estrinsecatori della riflessione sul transitorio, mutevole indescrivibile dell’elettronico; situazioni, in fondo, paradossale in quanto tale ricerca del monumentale si affianca all’essenza della trasmissione elettronica, ovvero qualcosa che di per sé non esiste mentre lo spettatore arriva a cogliere solo le conseguenze di quella che potremmo definire un’illusione ottica.

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Videoarte, le origini

Una caratteristica della creazione contemporanea è la facoltà che essa ha di ricorrere ad altri mezzi espressivi oltre a quelli tradizionali (pittura, scultura, grafica e ora possiamo aggiungere fotografia). Questa possibilità, sperimentata sotto forma di provocazione dai futuristi e i dadaisti, prende a partire dagli anni 1950, le forme di «happening» da una parte e di «environment» dall’altra, o opera «in situ».

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John Cage

Questa evoluzione è dovuta ad un uomo in particolare, John Cage (1912-1991) e ad una istituzione, il Black Mountain College. Istituzione sperimentale di formazione artistica, il College della montagna nera, è stato fondato nella foresta della Carolina del Sud nel 1933, All’indomani della guerra Cage è tra i suoi dirigenti. Compositore, influenzato dal dadaismo che aveva sperimentato l’idea dei pianoforti preparati, è alla ricerca di una musica naturale, cioè in accordo con la vita, integrando l’aleatorietà, dei suoni esteriori, e rimanendo indifferente alla strumentazione.

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Merce Cunningham, John Cage, Stan Vanderbeek, Nam June Paik, VariationsV, 1966

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Con la coreografa Merce Cunningham anche lei professore al college, sperimenta nel 1952 una forma di prestazione qualificata alternativamente come Event o Theater Piece n°1 : 45 minuti dove si mischiano – davanti ad un dipinto bianco di Rauschenberg – la recitazione di un discorso erudito e di poemi, il piano e il suono di un grammofono, con lunghi momenti di silenzio.

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Allan Kaprow e l’happening

Allievo di Cage, Allan Caprow (1927-2006) inventa i primi «environment», cioè istallazioni. Nel 1958, in una maniera che ricorda le Combine paintings di Rauschenberg tappezza una galleria dal suolo al soffitto con rifiuti – giornali, ali di pollo e mele fresche. Il visitatore penetra nell’istallazione, ciò che abolisce la distanza dell’opera tradizionale davanti alla quale ci si trova o intorno a cui si gira. Le mele odorano e anche questa è una novità

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L’anno successivo la produzione di istallazioni e accompagnata da una prestazione attiva: «azione», o Happening, o performance. Lo spettatore è invitato ad intervenire come lo indica già il cartoncino d’invito «farete parte integrante dell’happening. Lo vivrete simultaneamente».

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Istallazioni e Happenings in America

Oltre a Allan Kaprow, parteciparono alla storia dell inizio dell’happening Claes Oldenburg e Yoko Ono che furono tutti allievi del Black Mountain College. I ‘happening ha dello spettacolo, ma se ne distingue per il rifiuto della storia (a differenza del teatro), il ricorso a diversi e diversificati mezzi espressivi, alle soluzioni offerte dal caso, e infine all’intervento sollecitato e sperato, dello spettatore. In America come in Giappone o in Europa, l’idea dell’Happening è indissociabile da un’arte che si fa veicolo di idee di libertà.

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Legato ad un luogo e a un momento preciso, l’happening non è teoricamente riproducibile. La questione de la sua traccia è posta e risolta con le foto prima e poi con le registrazioni video. Alcune performances, alla fine degli anni 1960, sono concepite per il video e non per il pubblico.

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Claes Oldenburg, S from the City, New York, 1960

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Yoko Ono, Cut Pièce (pezzo da tagliare), Kyoto, sala Yamaichi, 1968

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Bruce Nauman, Walking in an Exagerate Manner around the Perimeter of a Square, 1967-1968

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Il cinema è alla base della videoarte che si afferma alla fine degli anni 1960, quando cioè il pubblico è già preparato alla lettura delle immagini in movimento, cinematografiche e televisive. Rispetto ai film e dalle produzioni televisive, il video è lavorato differentemente. Già non si tratta sin dall’inizio di immagini statiche; ricordiamo che il cinema ha iniziato su pellicola che riproduce singole immagini statiche in rapidissima sequenza, mentre il video su supporti digitali e analogici, trasmettendo direttamente l’immagine costituita di punti in continuo movimento che si associano (pixel nell’immagine digitale). Questa è la grande differenza. Si tratta quindi di un tipo di immagine che costituisce una struttura processuale e continua in stato di costruzione e decostruzione.Con le innovazioni tecniche del cinema andiamo incontro, probabilmente a problemi di definizione [n.d.r.].Rispetto alle altre produzioni artistiche e a quelle del passato, il video introduce un necessario legame con il tempo : i video hanno una durata, essendo in questo più vicini alla performance e all’happening.

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Se l’antenato del video è il cinema, cioè un sistema che mostra l’immagine in movimento, i veri progenitori del video sono le trasmissioni elettriche, prima radiofoniche e poi televisive. Quelli che son stati chiamati nuovi media e che continuano a rinnovarsi. La questione è complessa e non riguarda solo il campo dell’arte, ma anche quello della storia dell’arte certamente, ma anche della filosofia, della comunicazione di massa, etc.

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…Di fatto, come ha affermato Yvonne Spielmann (2005), docente di Video nella New Scotland University, si tratta di un fenomeno di «natura ibrida». Tralasciando dunque per il momento e ad altra sede le discussioni teoriche, occupiamoci della storia e degli artisti

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Nessun inizio, nessuna fine, nessuna direzione, nessuna durata, il video come la mente

Bill Viola

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La Storia

Sebbene si possano cercare le origini nell’interdisciplinarietà dell’arte e all’apertura del mondo della rappresentazione visiva a tecniche nuove, così come nei tentativi cinematografici eversivi rispetto al cinema tradizionale (ad esempio L’uomo con la macchina da presa di Vertov del 1929) e ancor prima nel riconoscimento di Marinetti dell’importanza della comunicazione radiofonica per raggiugere immediatamente un pubblico di massa, le vere origini del video sono nella seconda metà degli anni 1960 e sono all’inizio legate allo sviluppo della televisione.

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..Andando avanti, troviamo azioni performative di artisti da Pollock a Yves Klein, da Allan Kaprow al gruppo di Fluxus che preparano lo spettatore ad un nuovo tipo di arte e soprattutto abbiamo l’avvento e la diffusione della televisione. Fluxus è un movimento neodadaista che nasce nel 1961 e svolge la maggior parte della sua attività in Germania. Dal gruppo di Fluxus proviene uno dei primi rappresentanti del video: Nam June Paik, di origine coreana, compositore di formazione.

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Andy Warhol, Sleep, 1963, film in 16 mm, b/n, 5h e 21 min.

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Nam June Paik, Exposition of Music – Electronic Television, 1963

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1963

Nel 1963, in Germania, Nam June Paik inaugura una mostra che si intitola Exposition of Music – Electronic Television dove mette insieme 12 televisori, 4 pianoforti, giradischi, mangiadischi (che allora era una novità), oggetti metallici e la testa di un bue appena macellato. Situata all’ingresso della galleria la trasformava in un luogo iniziatico, quasi in un tempio.La mostra, che durò 14 giorni, apriva solo la sera perché la TV tedesca all’epoca trasmetteva solo in quell’orario. Nam June Paik collega i televisori agli altri impianti e manomette e disturba in questo modo le immagini trasmesse in alcuni televisori; in uno dei televisori si trasmette solo una riga bianca : Zen TV.Nam June Paik si interessa soprattutto all’aspetto strutturale e nelle possibilità del trasferimento elettronico delle informazioni

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Ben Vautier, Davanti al suo Magazine

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Denominazione

La denominazione, per una corrente che si vuole indefinibile, si determina negli Stati Uniti nel 1961, durante una serata musicale sperimentale organizzata dal fondatore del movimento e della rivista omonima, il lituano-americano George Maciunas. La rivista ha il compito di «riflettere lo stato di flusso nel quale tutte le arti si fondono». Fluxus, il flusso della vita è uno stato dello spirito, una tendenza più che un movimento, che un modo d’espressione definito, spesso umoristico e sovversivo che si attacca alla «funzione simbolica dell’oggetto». Fluxus rivendica l'intrinseca artisticità dei gesti più comuni ed elementari e promuove lo sconfinamento dell'atto creativo nel flusso della vita quotidiana, in nome di un’arte totale che predilige come ambiti elettivi d'espressione soprattutto la musica, la danza, il teatro e la performance.

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Contesto

Alla fine degli anni ‘50 ci sono tre poli d’attrazione dove si compongono le musiche dette sperimentali : Parigi intorno a Pierre Schaeffer e la musica concreta, la scuola tedesca di musica elettronica alla Radio di Colonia e al festival di Darmstadt, e la scuola americana di Music for Tape. Due avvenimenti rimettono Dada in attualità : la pubblicazione di The Dada painters and poets (1951) e la mostra Dada Dokumente einer Bewegung (1958) a Dusseldorf. In questo periodo il compositore americano John Cage sperimenta una via più Zen, una musica indeterminata. Nasce a Colonia una musica indeterminata che raggruppa diversi artisti. Il primo festival Fluxus si svolge in Germania nel 1962 a Wiesbaden e nel 1962 arriva a Nizza, dove l’accoglie Ben.

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Caratteristiche

• Fluxus fa nascere un’arte nuova, la non-arte : la non produzione di quadri e oggetti, l’antimusica, l’antipoesia, a favore «dei pezzi di vita allo stato di materia prima» (Catherine Millet).

• L’eclettismo degli eventi, delle manifestazioni umoristiche e satiriche caratterizzano Fluxus: idee, azioni musicali, happenings, films, video, fotografie, scritti, elementi della vita quotidiana recuperati e presentati con lo spirito dadaista (in due o tre dimensioni).

• Vista la difficoltà di definire Fluxus nella sua realtà storica, sarebbe più giusto di parlare di uno «spirito Fluxus» piuttosto che di un movimento, vero mito vivente che si perpetua ancora fino ad oggi.

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Artisti

• Germania : Nam June Paik (1932), Wolf Vostell (1932).

• Francia : Robert Fillou (1926-1987), Ben (1935).

• USA : George Brecht (1925), Ray Johnson (1927).

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Charlotte Moorman e Nam June Paik, Concerto per Tvcello e Videotape

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Nam June Paik (1932-2006) -

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Nam June Paik, Robot K-456 (esposto alla mostra « il Novecento di Nam June Paik»)

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Nam June Paick, Installazione

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Global Groove, 1973/2004istallazione multimonitor, video monocanale, colore, sonoro, 30’

Commissionato dal governo americano quando la guerra del Vietnam è ancora in corso per promuovere la pace tra i Popoli, Global Groovegioca con l’stetica pubblicitaria dei videoclip perfezionata nel corso degli anni 1980 da MTV: fisicamente si tratta di un assemblaggio di 21 sequenze. Due go-go-girls, indiani Navajos, danzatori coreani, pubblicità giapponese della Coca, interventi di John Cage, Allen Ginsberg, Charlotte Mooman, in pratica Oriente e Occidente. Molte figure sono distorte, tra cui quella del presidente Nixon e quella del filosofo McLuhan. La scelta dell’artista, nato in Corea e residente prima in Germania poi negli USA, è emblematica.

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1962-1964

Negli stessi anni, altri artisti si interessano alle possibilità che offre l’apparecchio televisivo, pur opponendo spesso delle critiche, anche aspre alla televisione.Ad esempio Wolf Vostell proprio perché critica il potere crescente della TV fa un’operazione in linea con i décollages di Mimmo Rotella e di altri artisti (per la maggior parte legati al Nouveau Réalisme) che chiama appunto «TV –Decollages»

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Wolf Vostel &TV-Decollage & DecollagePosters & Comestible Decollage

Questo è il titolo che Vostel dà ad una mostra fatta a New York nel 1963 dove installa sei televisori sintonizzati su diversi programmi che disturba sistematicamente (chiama décollage questa operazione, assimilandola ai manifesti strappati).

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La fine degli anni 1960

Se finora gli artisti agivano con il disturbo dei programmi, in seguito cominciano ad intervenire con programmi propri; per meglio comprendere dobbiamo ricordare che sono anni di contestazione generale, dove si mettono in discussione molti aspetti della vita sociale. L’approccio al video diventa così più concettuale, e allo stesso tempo, con il miglioramento dei mezzi di produzione e di trasmissione-registrazione, ci sono anche dei cambiamenti tecnici. Di fatto il video si sviluppa di pari passo con questi cambiamenti.

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Le prime videomostre

Nel 1967, l’emittente televisiva WHGB (TV pubblica) di Boston realizza un programma intitolato Artist in Television per avvicinare gli artisti contemporanei al grande pubblico, e in seguito manderà dei video di danza, musica, arte in un programma dal titolo Medium is the medium. Nel 1969, in Germania viene sperimentata una videogalleria da una TV tedesca Sender. La mostra si intitola Land Art che ospita artisti come Richard Long, Walter De Maria e arti Land-Artists.

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Cronologia

1965- Sony lancia il Portpak, primo videoregistratore portatile; Andy Warhol mostra pubblicamente i suoi primi video in una festa a New York; Nam June Paik acquista unpo dei primi Portpak e mostra il suo lavoro al Café Au Go Go di New York.1966- la Sander realizza il primo videogioco.1967- Aldo Tambellini apre a New York il primo «teatro electro-media» che ospita performance e environment actions che usano video; Bruce Nauman espone una videoistallazione all mostra American Sculptures of the Sixties al Museo di Los Angeles.1968- Jean-Luc Godard e Chris Marker realizzano i primi documentri con videoregistratore in b/n; Gerry Schum fonda una «Fernsehgalerie» (galleria televisiva).1969- Joan e Oriol Duràn Benet, artisti catalani, sperimentano i primi video a circuito chiuso; la Wise Gallery di New York organizza la mostra TV as a Creative Medium

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Gli anni 1970

All’inizio del decennio viene iniziata da alcuni artisti un’operazione di critica militante contro i contenuti delle TV e nasce la Guerrilla Television, con la conseguenza di diversi movimenti e diverse manifestazioni (sempre con gli artisti della Land-Art e altri come Doug Hall e Chris Burden). Dagli anni 1970 alcuni artisti cominciano ad esplorare e sperimentare il sistema digitale: la memorizzazione numerica sostituirà un po’ alla volta la trasmissione elettronica dei dati.

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In questi anni di contestazione giovanile e di rinnovamento sociale, altri artisti cominciano a rivolgersi verso le nuove tecnologie che vengono soprattutto apprezzate da quelli che praticano Body Art, Concettuale, Action Art. La qualità estetica dell’immagine migliora con il migliorarsi della tecnologia, lo vediamo ad esempio con l’uso del flou o delle immagini sfocate che nei primi video erano così per mancanza di perfezione tecnica, mentre oggi se lo sono lo sono per effetto voluto. Aumentano gli effetti come dissolvenze, cambio di punti di vista, dissolvenza e mixaggio delle immagini.

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Vito Acconci (1940), 3 Adaption Studies(1.Blinfolden Catching), 1970

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Vito Acconci,

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Dan Graham,

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Joan Jonas, Mirror Check, 1970 (performance)

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Joan Jonas

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I mezzi di diffusione

Se gli anni 1960 si chiudono con le prime presentazioni tematiche (ad esempio la mostra Newyorchese Television as a Creative Medium, che appunto mostrano le possibilità di questo mezzo, nel 1971 già questo entra in un museo: lo Everson Museum of Art di Syracuse presenta Circuit: A Video Invitation e l’anno dopo il Museo Civico di Bologna Video Recording, mentre il Neuer Berliner Kunstverein inaugura la prima collezione di videoarte. Nel 1977 una sezione di Documenta 6 a Kassel è dedicata interamente al video. L’esposizione richiama molti artisti e ha il titolo esemplare di VT≠TV (il videotape non è uguale alla televisione)

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1970- Expanded Cinema, il primo libro sulla videoarte; viene costruito il primo sintetizzatore video.1971- Gerry Schum apre una videogalleria a Düsseldorf; Steina e Woody Vasuka fondano a New York «The Kitchen Live Audio Test Laboratory» dove si producono e diffondo video e arte in generale.1972- Sony introduce un sistema standard per le cassette e commercializza il primo videoregistratore a colori.1973- Fior Bex inaugura ad Anversa il primo centro internazionale per la produzione e la diffusione di Video (International Culturel Centrum).1974- Il MoMA di New York presenta una serie di video mostre – Project: Video.1975- è il boom delle mostre che presentano video : Parigi, Bruxelles, Milano, Caracas, New York, etc. ; viene lanciato il Betamax per registrare le trasmissioni televisive.1977- il Centre Georges Pompidou di Parigi acquista una cinquantina di opere di videoarte per la collezione permanente. 1977- Primo festival di Ars Electronica a Linz (Austria)

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Peter Campus (1943) Three Transitions, 1973

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Steina e Woody Vasulka (1940 e 1937), Home, 1973

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Nan Hoover (1931), Impressions, 1978

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Gli anni 1980

Se la tendenza generale (al contrario del decennio precedente) è piuttosto conservativa (è il decennio Tatcher e di un secondo falso boom economico); c’è il boom del mercato dell’arte, delle gallerie e il video – che è andato molto oltre - raggiunge un suo linguaggio completamente autonomo. Alcuni artisti scelgono questo mezzo come unico mezzo d’espressione; tra questi Fabrizio Plessi, il collettivo Studio Azzurro, Bill Viola, Gary Hill, Bill Seaman, e altri. Il termine videoartista è ormai di uso comune e molti si rifanno alla pratica dell’istallazione e della scultura utilizzando disposizioni particolari dei monitor (es TV-Cross di Gary Hill che nel 1982-1983 dispone i video in forma di croce).La televisione in questi anni cambia molto: entra sempre di più nel quotidiano, fa concorrenza al cinema e proprio negli anni 1980 nasce MTV che trasmette videoclips che mette insieme musica e arte.

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1980- Sony lancia il primo Camcorder.1981- mostra Performance, Video, Installation alla Tate Gallery di Londra.1984- Prima Videonale a Bonn.1987- jean-Luc Godard presenta al festival di Cannes una serie video Histoire(s) du cinéma.1989-Artec, prima biennale di arte e tecnologia al Museo di arte e scienza di Nagoya.

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Pipilotti Rist (1962), I’m not the girl who misses much, 1986

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Gary Hill (1951), Incidence of catastrophe, 1987/1988

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Bill Viola, I do not know what it is I am like, 1986video monocanale, colore, sonoro, 89 minuti

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Fabrizio Plessi, Sea of marble, 1986, media misti, installazione Art Ware, Hannover

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Martha Rosler (1943), Born to be sold: Martha Rosler reads the strange case of baby SM, 1988

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Gli anni 1990

Come abbiamo detto il video avanza di pari passo con l’avanzare della tecnologia: in questi anni in cui i mezzi vengono messi sempre di più alla portata di tutti, si moltiplicano riprese e montaggi fatti in casa, al computer, convertiti da altri formati. Diventa facile la trasformazione dei documenti in immagine digitale e gli artisti fanno ricorso a materiali sempre più eterogenei che possono venire facilmente rielaborati e trasformati e il copia-incolla è prassi comune: vecchi film, documenti d’archivio, immagini prese al volo, etc. in un processo che in un certo senso si può definire di valorizzazione. Se da una parte lo spettatore è ormai abituato alla percezione del mezzo, spesso si assiste ad una elevazione e complicazione del linguaggio per cui è richiesta una certa cultura, o almeno competenza per cogliere appieno il gioco di immagini e di costruzione o decostruzione, di oggettivazione o soggettivazione e intimizzazione operato dagli artisti.In questo decennio si comincia ad abbandonare il tubo catodico e nel decennio successivo si diffondono i televisori al plasma. I televisori cominciano ad uscire di scena nelle istallazioni video e gli artisti ricorrono sempre più spesso alle proiezioni su muro con proiettori collegati a lettori DVD. Travalicando la questione della riproduzione, i videoartisti cominciano a numerare le loro opere e a porre delle condizioni per la loro fruizione.

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1990- Passages de l’Image al Centre Georges Pompidou a Parigi.1996- inizia JennyCAM che durerà fino al 2003: una studentessa americana trasmette ogni attimo della sua giornata (ancora non esisteva Facebook), 24/24 senza alcuna censura.1997- Sony lancia il primo Camcorder digitale; apre a Karlsruhe un Centro per la Tecnologia e le arti mediatiche.1999- Fast Forward: new Chinese Video Art al centro di Arte Contemporanea di Macao (Hongkong)

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Paul Mc Carthy, Bossy Burger, 1991

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Bruce Nauman,(1941), Anthro/socio, 1992

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Oladélé Ajiboyé Bamgoyé (1963), Homeward: bound, 1994

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Smith and Steward (1968 e 1961), Mouth to mouth, 1995 «Ci interessa esplorare il rapporto tra uomo e donna»

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Marina Abramovich (1946), Balcan Baroque, 1997

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Anri Sala (1974), Intervista – finding the words, 1998«forse insisto nel rendere visibile ciò che per me è ricco di significato, ciò che, nella nostra fretta, non sappiamo apprezzare, ciò che dimentichiamo e lasciamo scomparire »

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Doug Atken (1968), Electric heart, 1999

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Shirin Neshat (1957), Fervor, 2000

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Stan Douglas (1960), Journey into fear, 2001

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Yang Fudong (1971), Lock again, 2004

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Candice Breitz (1972), Mother + Father, 2005

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Mattew Barney, Cremaster cycle, 1994

Dopo otto anni e cinque video-colossal, dal 1994 al 2005ha saputo creare attorno a sé un alone di generale curiosità che a ben vedere non si riscontrava dai tempi di Andy Warhol. Ora, con la visione di questa retrospettiva, è possibile valutare il peso effettivo di questo artista che, senza nulla togliere al suo talento imagista, certamente ha beneficiato di una macchina organizzativa che, grazie al sostegno finanziario di una potente gallerista (Barbara Gladstone), alla partecipazione a importanti manifestazioni (Biennale del 1993 e le edizioni 1992 e 2002 di Documenta/Kassel), all'avvallo di critici e curatori influenti, in pochi anni lo ha trasformato in un autentico fenomeno mediatico.

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Il Cremaster Cycle, la saga epica del 'muscolo testicolare' (questa è la nota traduzione del termine) è suddiviso in cinque episodi che Barney ha voluto però non rispettassero l'uscita della loro progressione numerica, ma seguissero invece il seguente ordine: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1 (1995), Cremaster 5 (1997), Cremaster 2 (1999), Cremaster 3 (2002). Certo non casualmente, la sequenza numerica 4-1-5-2-3 contiene un'evidente simmetria costruita attorno al numero cinque in posizione centrale, che risulta anche dalla somma delle coppie numeriche alla sua destra e sinistra. Ma il gioco delle combinazioni può ancora continuare e costruire piramidi o serie di coppie oppositive sempre sulla base del numero cinque, che oltretutto corrisponde alla classica pentapartizione in atti delle antiche tragedie greche.

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.• Come una grande metafora genitale, ma priva di intenzionalità sessuale,

la Saga Cremaster risolve il suo racconto esclusivamente su base biologico-organica, e ad un livello di visionarietà allegorica corrispondono sempre riferimenti scientifici da trattato di andrologia. Non c'è traccia di erotismo o di sensualità, pur esplicitando sistematicamente questioni genital-cromosomiche che proiettano un universo ermafrodita, senza repulsioni per liquidi organici, orifizi e corpi cavernosi di qualsiasi natura.

• Rimossi i simboli fallici e tutte le allusioni ad un livello di eroticità, Barney si concentra sulle alchimie scrotali, sulle oscure meccaniche di un muscolo involontario, il muscolo crimasterico, che agendo sulle contrazioni testicolari (avvicina le gonadi al corpo in base alla necessità di alzare la temperatura basale per la produzione di sperma), funziona da interruttore generale del meccanismo riproduttivo, e per questo scelto da Barney come elemento principe della sua opera video, vera cosmogonia genitale sui processi di affermazione sessuale.

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In Cremaster 4, 1995, il primo episodio della serie, Matthew Barney enunciava i suoi precetti estetici, ed il gioco delle sue identità si articolava fra quella di un satiro-ballerino di tip-tap e la pecora Loughton, curioso animale a 4 corna, che realmente pascola sulle alture dell'isola di Man (set del video), dove testimonia di antiche leggende celtiche sulla sua natura divina. Buone parte del film è occupata dal parallelo fra due ambienti interno/esterno entro cui si esprime la tensione di forze antagoniste nella loro ricerca di dominio finale. Anche i faticosi avanzamenti di Barney all'interno di uno stretto tunnel di sostanze organiche o la singolare sfida tra due sidecar giallo-blu altro non sono che le visionarie traduzioni di un codice andrologico, che in questo modo visualizza la perigliosa lotta fra gameti verso la conquista dell'equilibrio ormonale.

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In Cremaster 1, 1996, pur ruotando sugli stessi temi, Barney sceglie una partitura da musical anni '40, ambientata però in uno stadio di football, le cui coreografie di danza vengono affidate alla curiosa stocastica di un lancio di chicchi d'uva o di perle ad opera di una modella-demiurgo, all'interno in un ambiente fetale bianco-monocromo.

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..In Cremaster 5, 1997, a fare da quinta scenografica è la città di Budapest, che diede i natali al mago Houdini, deuteragonista ricorrente nei video di Barney in qualità di creatura sovrumana, degna di una posizione nel multiforme Olimpo dell'artista, in cui si trovano affiancati indistintamente: divinità celtiche e miti greci, emblemi della cultura popolare, campioni dello sport e icone dello star system. Altri set di questo film sono il ponte sul Danubio, le suggestive terme dello Storico Hotel Gellért, il Teatro barocco dell'Opera di Stato, dove una fascinosa Regina delle Catene (Ursula Andress) canta il suo amore tragico per il tenebroso Magician-Barney-Houdini. Seduta su un trono costellato di orifizi, The Queen of Chain osserva sotto i suoi piedi il regno di acque sotterranee popolate da ninfee dagli occhi a mandorla e da un imperioso Nettuno-Barney che da quegli abissi risponde alla simmetria delle azioni aeree della Diva (ancora Barney), la cui faticosa performance sul proscenio fallisce tragicamente come del resto ogni azione di questo quinto Cremaster, che sembra riguardare da vicino il dramma della caduta, l'eterna condizione di sconfitta che segna il destino degli uomini.

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..Cremaster 2, 1999, è decisamente il più intenso e ricco di tensione visiva. La storia è ricavata da un fatto di cronaca nera e si articola come una ballata mortifera attorno all'omicidio di un mormone benzinaio per mano del killer psicopatico, Gary Gilmore poi condannato a morte dalla giustizia americana. Barney si interessa a questo omicidio e volendo sottrarre il suo oscuro protagonista alle maglie della frenologia, gli costruisce una complessa genealogia che lo fa discendere dal mago Houdini, e giustifica la sua patologia come una sindrome regressiva che contiene uno stato di neutralità fra bene e male, e per traslato una condizione di indifferenziazione sessuale tra identità maschile e femminile. Secondo l'ormai noto parallelo con la vita intrauterina del feto, la sindrome dell'assassino Gilmore esplicita un tipico stadio della gestazione, in cui la formazione delle gonadi può andare incontro a fenomeni di regressione o presentare caratteri di ambiguità ermafrodita. Non c'è limite alla visionarietà di Barney, che in questo racconto produce immagini memorabili, instaurando paralleli con il mondo delle api, con la brutalità di icone Dead Metal, con paesaggi sublimi di ghiacciai e laghi salati. Il racconto inoltre procede secondo continui flashback che servono a ricostruire episodi di vita passata dell'assassino Gilmore ed al contempo contengono il viaggio profondo in una dimensione psichica di pura atemporalità inconscia.

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.In Cremaster 3, 2002, l'ambiente è quello del Chrysler Building di New York, grattacielo Decò dai lussureggianti marmi moreschi. Qui Barney instaura un parallelo tra la macchina architettonica di quell'edificio e la gerarchia della loggia massonica la cui struttura piramidale determina i ruoli e le relazioni fra i protagonisti del film. Come un gangster movie, il racconto prende il suo avvio proprio dalle cronache newyorkesi degli anni '30 segnate dal crollo della borsa, dal proibizionismo, dalle guerre tra clan malavitosi, e dal proliferare di logge massoniche e sette esoteriche che qui vengono simbolicamente chiamate a raduno nel tempio-Chrysler, dove l'Entered Apprentice-Barney sta per compiere un atto di hybris contro quella rigida gerarchia massonica. Tutti questi elementi di verticalità contengono anche un implicito aspetto scultoreo, oltretutto sottolineato dal cameo di Richard Serra, nei duplici panni di se stesso (replica una performance del 1969, ma questa volta anziché piombo fuso, scaglia vaselina) e del 'The Architect'/Hiram Abiff, mitico costruttore del tempio di Salomone, secondo il racconto biblico depositario di ogni sapere scientifico. In questo intricato gioco di metafore Barney/aspirante massone, deve espiare il suo colpevole affronto verso l'autorità, prima subendo l'umiliazione fisica della rottura dei denti, e poi recuperando la propria verginità superando una serie di prove atletiche. Scenario di questi riti espiatori è il museo Guggenheim, trasformato in studio televisivo o forse in surreale stadio olimpico dove tra ballerine e cheer-leaders, The Entered Apprentice compirà il singolare pentathlon (è ancora 5 il numero ricorrente, come 5 erano le discipline olimpiche nei giochi ateniesi) che nella cosmogonia 'gonadica' di Barney corrisponde alla graduale discesa testicolare verso lo stadio finale di maturità sessuale.

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La mostra del 2003

Dopo otto anni e cinque video-colossal, Matthew Barney presenta al mondo il suo Cremaster Cycle in un tour di due tappe europee (Museo Ludwig a Colonia, e Musée de la Ville a Parigi), che a febbraio approderà negli Stati Uniti per le celebrazioni finali al Solomon Guggenheim di New York.In mostra oltre alla proiezione dei video esiste naturalmente anche un percorso di sale che ricreano l'universo Cremaster attraverso le testimonianze dalle scenografie originali dei cinque film. Tuttavia è proprio questo l'aspetto più debole della retrospettiva, in cui tutti questi materiali (sculture, disegni, fotografie) finiscono per essere solo malinconiche vestigia di imprese concluse altrove e che solo all'interno dei video, nel buio della sala cinematografica trovano la loro collocazione naturale.

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Studio Azzurro