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Sviluppo & Organizzazione N.220 Marzo/Aprile 2007 55 Le storie e la narrazione sono una parte centrale della vita organizzativa. Il riconoscimento delle funzioni della narrazione e della retorica all’interno delle aziende è stata dapprima analizzata da diversi punti di vista: dalla fenomenologia, dalla sociologia e dalla psicologia cognitiva. A queste discipline si sono aggiunti negli ultimi anni gli studi manageriali sulla creazione di significati e sul sensemaking. Tradizionalmente ci si è riferiti allo storytelling come uno strumento per formare la cultura aziendale e influenzare il comportamento delle persone al lavoro. Ultimamente però si è riconosciuto che lo storytelling può assolvere anche ad altre funzioni: guidare nella risoluzione dei problemi e nell’assunzione di decisioni, generare commitment al cambiamento e infine può diventare il mezzo per condividere la conoscenza. In relazione a questo ultimo punto emerge sempre di più come i processi di socializzazione e di narrazione possano, infatti, facilitare l’acquisizione della conoscenza tacita e contribuire all’apprendimento organizzativo. Le storie aiutano le persone ad appropriarsi della conoscenza e a integrarla da differenti prospettive. Il proposito di questo numero delle Discussioni è di comprendere come questa pratica può essere utile per il management, a fronte della constatazione che comunque lo storytelling è uno strumento molto antico ma incredibilmente efficace per comprendere meglio le organizzazioni e aprire le nostre riflessioni sul lavoro a nuove interpretazioni. Andrea Fontana, nel suo articolo, presenta una panoramica sia dei riferimenti accademici sia delle applicazioni, al fine di mettere in luce tanto la teoria quanto l’efficacia dello storytelling e soprattutto la sua rilevanza pratica nella vita organizzativa. Simone Involti e Matteo Verdoni ci propongono un’esperienza concreta in cui lo storytelling è stato utilizzato in più occasioni sia per facilitare la comunicazione organizzativa, sia per risolvere alcuni problemi interni, traendone una serie di conclusioni sulla validità delle applicazioni sperimentate. Infine, Francesco Varanini traccia la tradizione dello storytelling a partire dai cantastorie, per poi proseguire il viaggio della tradizione orale nelle organizzazioni, viste come reti di storie. Questo percorso gli è utile per riflettere sulla pratica di consulenti e formatori che utilizzano lo storytelling, che a suo avviso “espropriano”, in un tentativo di forzosa normalizzazione, le narrazioni delle persone in azienda. Discussioni a cura di Barbara Quacquarelli e Francesco Paoletti Storytelling Qual è il contributo dello storytelling all’interno della vita delle organizzazioni e delle loro attività? Sugli Autori: Andrea Fontana ([email protected]) esperto di sistemi di formazione manageriale, sviluppo organizzativo, comunicazione d’impresa e storytelling management. Insegna Metodologia della formazione nelle organizzazioni all’Università degli Studi di Milano- Bicocca e Storytelling e narrazione d’impresa all’Università di Pavia. È autore di testi sulle nuove modalità di training evoluto e comunicazione intergrata con approccio narrativo. È business partner di Corus, società di consulenza Hr del Gruppo Assist. Simone Involti ([email protected]) ha organizzato e gestito eventi, attività commerciali, marketing relazionale, formazione presso strutture territoriali. Ha inoltre collaborato con il Centro di Ricerca “Fatebenefratelli” di Brescia in qualità di docente. Attualmente è responsabile della formazione e della gestione di processi di risorse umane di una multinazionale. Matteo Verdoni ([email protected]) è stato giornalista presso un settimanale e si è occupato di vendita e acquisti presso una multinazionale del settore musica e dischi. Ha collaborato con il Conservatorio di Bergamo in qualità di docente. Attualmente è responsabile comunicazione interna, relazioni esterne, gestione azionariato sociale, employer branding di una multinazionale. Francesco Varanini ([email protected]) è formatore e consulente, direttore di Persone & Conoscenze, docente a contratto presso il corso di laurea in Informatica Umanistica, Università di Pisa.

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Sviluppo & Organizzazione N.220 Marzo/Aprile 2007 55

Le storie e la narrazione sono una parte centrale della vita organizzativa. Il riconoscimento delle funzioni della narrazione e della retorica all’interno delle aziende è stata dapprima analizzata da diversi punti di vista: dalla fenomenologia, dalla sociologia e dalla psicologia cognitiva. A queste discipline si sono aggiunti negli ultimi anni gli studi manageriali sulla creazione di significati e sul sensemaking. Tradizionalmente ci si è riferiti allo storytelling come uno strumentoper formare la cultura aziendale e influenzare il comportamento delle persone al lavoro. Ultimamente però si è riconosciuto che lo storytelling può assolvere anche adaltre funzioni: guidare nella risoluzione dei problemi e nell’assunzione di decisioni,generare commitment al cambiamento e infine può diventare il mezzo per condividerela conoscenza. In relazione a questo ultimo punto emerge sempre di più come i processi di socializzazione e di narrazione possano, infatti, facilitare l’acquisizionedella conoscenza tacita e contribuire all’apprendimento organizzativo. Le storie aiutano le persone ad appropriarsi della conoscenza e a integrarla da differenti prospettive. Il proposito di questo numero delle Discussioni è di comprendere comequesta pratica può essere utile per il management, a fronte della constatazione che comunque lo storytelling è uno strumento molto antico ma incredibilmente efficace per comprendere meglio le organizzazioni e aprire le nostre riflessioni sul lavoro a nuove interpretazioni. Andrea Fontana, nel suo articolo, presenta una panoramica sia dei riferimenti accademici sia delle applicazioni, al fine di mettere in luce tanto la teoria quanto l’efficacia dello storytelling e soprattutto la sua rilevanza pratica nella vita organizzativa. Simone Involti e Matteo Verdoni ci propongono un’esperienza concreta in cui lo storytelling è stato utilizzato in più occasioni sia per facilitare la comunicazione organizzativa, sia per risolvere alcuniproblemi interni, traendone una serie di conclusioni sulla validità delle applicazionisperimentate. Infine, Francesco Varanini traccia la tradizione dello storytelling a partire dai cantastorie, per poi proseguire il viaggio della tradizione orale nelle organizzazioni, viste come reti di storie. Questo percorso gli è utile per riflettere sullapratica di consulenti e formatori che utilizzano lo storytelling, che a suo avviso “espropriano”, in un tentativo di forzosa normalizzazione, le narrazioni delle persone in azienda.

Discussioni

a cura di Barbara Quacquarelli e Francesco Paoletti

StorytellingQual è il contributo dello storytelling all’interno della vita delle organizzazioni e delle loro attività?

Sugli Autori:

Andrea Fontana ([email protected]) esperto di sistemi di formazione manageriale, sviluppo organizzativo,comunicazione d’impresa e storytellingmanagement. Insegna Metodologia della formazione nelle organizzazioniall’Università degli Studi di Milano-Bicocca e Storytelling e narrazione d’impresa all’Università di Pavia. È autore di testi sulle nuove modalità di training evoluto e comunicazione intergrata con approccio narrativo. È business partner di Corus, società di consulenza Hr del Gruppo Assist.

Simone Involti ([email protected]) ha organizzato e gestito eventi, attivitàcommerciali, marketing relazionale, formazione presso strutture territoriali. Ha inoltre collaborato con il Centro diRicerca “Fatebenefratelli” di Brescia inqualità di docente. Attualmente è responsabile della formazione e della gestione di processi di risorse umane di una multinazionale.

Matteo Verdoni ([email protected]) è statogiornalista presso un settimanale e si è occupato di vendita e acquisti presso unamultinazionale del settore musica e dischi.Ha collaborato con il Conservatorio diBergamo in qualità di docente.Attualmente è responsabile comunicazioneinterna, relazioni esterne, gestione azionariato sociale, employer branding di una multinazionale.

Francesco Varanini ([email protected])è formatore e consulente, direttore diPersone & Conoscenze, docente a contrattopresso il corso di laurea in InformaticaUmanistica, Università di Pisa.

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Cosa è la narrazione? Quando dico narrazione intendo da Omero a Susanna Tamaro, per dire tutti coloro

che narrano una storia. La narrazione è comunicazione d’esperienza che allo stesso tempo è anche comunicazione

di senso. Ma di quale senso? Il senso della nostra stessa vita.

G. D’Ambrosio Angelillo, Filosofia del racconto

1 - Preamboli…Dovete portare a buon fine un negoziato commercialeo far firmare un trattato di pace? Avete il compito di lan-ciare un nuovo prodotto o peggio persuadere un grup-po di lavoro della bontà di un cambiamento? Qualcunovi ha dato il mandato di convincere un collettivo dellapositività di una nuova policy organizzativa? Siete in procinto di progettare un nuovo videogioco? Sieteimmersi nel consolidare la democrazia in uno Stato a bas-sa densità libertaria e civile? Oppure più banalmente avete bisogno di convincere gliamici della scelta comune di andare al cinema? Per ognuna di questa attività vi ritroverete a usare ma-teriali simbolici e a raccontare storie: convincenti, alta-mente evocative, decisamente motivanti. Dall’automobile alla camera da letto, dai cellulari ai rea-lity televisivi la nostra vita quotidiana è costantemente av-volta da una rete narrativa che filtra le nostre percezio-ni, stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, ec-cita i nostri sensi, determinando risposte multisensoriali.Lo storytelling è ormai pervasivo della vita umana, siala nostra vita personale sia quella di lavoro, perché la no-stra realtà ha una struttura discorsiva. Ma lo storytellingnon è solo un semplice raccontare storie. È molto di più. Viviamo in un periodo di “assedio testuale” all’internodi un’economia del simbolico. Ogni sette anni l’insieme del-le nostre conoscenze viene stravolto. Ogni diciotto me-si il potere elaborativo delle nostre “macchine” raddoppia.

Tutti i giorni, ogni nostro gesto di consumo (culturale,fisico, emotivo) - all’interno di queste dinamiche - di-pende da trame di desiderio non razionali che sono unasintesi decisionale multisensoriale, che guarda caso è dinatura narrativa con “format discorsivi”. Non è forse ve-ro che l’incitazione al consumo contemporaneo passadall’espressione di sé, che in fondo è una incitazione (unpo’ coattiva) a raccontarsi? Come ha detto un profon-do conoscitore di queste dinamiche: “Essere se stessi nonbasta più. Bisogna diventare la propria storia”(1).Lo storytelling, dicevamo, è molto di più del sempliceraccontare storie. È una disciplina, ormai anche orga-nizzativa, che - in questo “accerchiamento narrativo” - di-venta strumento indispensabile con cui essere ascoltatie scelti. Un mezzo per sedurre e convincere, influenza-re pubblici di riferimento (elettori e clienti), espande-re le conoscenze, condividere esperienze e prassi di la-voro. Un dispositivo esistenziale e socio-professionale percostruire e governare il proprio set di riferimento nelmondo. Esiste quindi un connubio profondo tra narrazione, bu-siness e organizzazioni(2). Nelle prossime pagine lo pren-deremo in considerazione.

2 - All’inizio era la narrazione…La narrazione ci piace. È in noi e siamo noi. In ogni epo-ca e in ogni tempo si sono raccontate storie. Prima era-no orali. Nelle culture antiche la narrazione includevasia il narratore sia le diverse audience. Lui creava l’e-sperienza di ascolto; gli altri recepivano i messaggi e ela-boravano immagini personali dalle parole ascoltate e daigesti visti. Poi le storie divennero scritte. La narrazione sotto for-ma di scrittura si fece mezzo per definire il mondo e com-parve il testo come dispositivo di conservazione della me-

Storytelling management Narratologia, organizzazioni e economie del simbolico

di Andrea Fontana

(1) Cfr. C. Salmon, Verbicide. Du bon usage des cerveaux humains disponibles,Climats, Parigi, 2005.(2) In un bell’articolo apparso sul Corriere della Sera il 16 febbraio 2003,Pier Luigi Celli scrive: “...non ci sono più storie di impresa memorabili... Cosìsiamo di fronte a un panorama di imprese culturalmente grigie, che esprimono dif-ferenze sempre meno percepibili...”.

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moria e organizzazione del pensiero. Oggi le storie sono multimedia. Ovunque ci giriamo qual-cuno ci consegna narrazioni visive, musicali, ipertestualie nello stesso istante ci chiede di raccontarci. Filosofi antichi e scienziati moderni si sono dovuti con-frontare con il problema e lo studio della narrazione, nonsolo in qualità di problema epistemologico ma anche co-me questione ontologica. Da questo punto di vista, tut-ta la storia umana è una storia di storie. Discorsi che so-no stati narrati e tramandati e che a loro volta hanno ge-nerato altri discorsi orientando le identità del genereumano e le vicende storiche. La narrazione ha questaduplice anima. È contemporaneamente soggetto e og-getto di se stessa, (Bal 1997). Allo stesso tempo produzionee consumo. Da una parte, infatti, la narrazione è un par-ticolare modo di organizzare il pensiero, differente daquello logico matematico, potremmo dire il pensieroquotidiano che funziona su microstorie più o meno ar-ticolate. Dall’altra, la narrazione è anche il prodotto fi-nale di quel tipo di pensiero che - se organizzato - generafiction, ognuna con un suo format e un suo storyboard, chenella nostra società massmediale si concretizzano in unaserie di strumenti multicanale: cartacei, elettronici, re-lazionali. E sempre in questa società la narrazione diventaparte cospicua della creazione dei prodotti di consumo,parte del processo di generazione del valore. La nostramerce, infatti, cristallizza sempre di più una varietà di scel-te legate ai desideri narrativi dei clienti-fruitori-consu-matori(3) (Carmagnola, 2006).Narrazione, quindi, è sia un particolare modo di pen-siero, sia un particolare modo di produrre oggetti fi-nali derivanti da quel pensiero (Smorti 1994). In que-sto senso, la narrazione appartiene alla storia dell’u-manità, sia quando gli uomini e le donne possedeva-no una cultura orale, sia quando questi hanno posse-duto una cultura prettamente scritta, sia nella nostracultura di convergenza mediatica tra oralità, scrittura,narrazione (Ong, 1982).Lo storytelling è quindi la scienza che traduce e pro-muove le “cose” (reali o immaginarie che siano) in pa-role, immagini, suoni. E traducendole le rende “vere”:pregne di significati e legittimate a esistere.

3 - Gli studi sulla narrazioneLa narrazione permea la vita sociale umana, permet-tendo il riconoscimento culturale, socio-simbolico, senso-riale. Asseconda tutti i nostri sensi, perché parla a ognu-no di questi. Vista, udito, tatto, olfatto, gusto hanno tut-ti una struttura narrativa e sfruttano la memoria chefunziona psichicamente su vettori narrativi (Bruner,1993, 2002).Possiamo infatti riconoscere un gusto perché ci ri-cordiamo del suo sapore, riusciamo a riconoscere un

volto perché ci rammentiamo delle sue sembianze, ov-vero del suo “formato”. La narrazione fa uso dei no-stri sensi perché a loro volta questi producono memo-rie grazie alle quali cumuliamo conoscenza, patrimo-nializziamo esperienze, generiamo le nostre identitàpersonali e professionali. Non vi sarebbe nessuna nar-razione senza ricordo e non vi sarebbe nessun ricordo sen-za la narrazione. Per questo motivo la narrazione è co-stitutiva delle specie umane, perché da corpo e pesoalla memoria umana (e organizzativa) che si cristalliz-za in identità: individuali e collettive. E sempre per que-sto scienziati, filosofi, poeti, artisti di tutte le epoche,ognuno dal proprio scorcio culturale, hanno cercatodi occuparsene e di sfruttarne i poteri. Trovare l’ori-gine dell’interesse verso la narrazione e degli studi sudi essa è quindi molto difficile. Come accennato pre-cedentemente, chiunque si sia confrontato con la scien-za e con l’arte ha dovuto affrontare il problema dellanarrazione. Senza dubbio un grandissimo debito lodobbiamo alla cultura greca. Pensiamo solo ai retorie al loro potere di incantamento-persuasione. Che di-re di Omero, il padre di tutta la narrazione occiden-tale(4)? Ma d’altronde come dimenticare altre formedi filosofia che hanno riflettuto sulla narrazione, peresempio le culture indiane e cinesi? Non è certo que-sto il luogo per dilungarsi in dibattiti storici. Lascio adaltri l’ingrato compito. Quello che mi interessa sotto-lineare qui - per mostrare la lunga riflessione ormai sul-la narrazione e il suo potere - è che l’interesse per lanarrazione negli ultimi duecento anni è stato porta-to avanti in modo diretto e dichiarato da molte corren-ti di studio tra cui:� Il formalismo russo, con autori e studiosi come: M.Bakthin, T. Todorov, V. Propp (come dimenticare il fa-moso Morfologia della fiaba di quest’ultimo?);� Il Neocriticismo statunitense, grazie ad autori e studiosidel calibro di: N. Frye, R. Scholes, N. Chomsky, A. MacIntyre;�Lo strutturalismo francese, grazie ai lavori di: R. Barthes,C. Lévi-Strauss, P. Ricoeur;� L’ermeneutica tedesca grazie alle riflessioni di filoso-fi come: H-G. Gadamer, E. Husserl, per citarne solo al-cuni.Queste correnti e questi autori hanno evidenziato che

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(3) Come fa notare F. Carmagnola, nel suo Il consumo delle immagini, glioggetti di consumo moderni perdono la loro consistenza forte e diven-tano “oggettili”: oggetti come funzioni e non come essenza. (4) Omero ha innescato il destino narrativo dell’occidente configuran-do e definendo il ciclo narrativo dell’eroica del potere. Tutta la storia oc-cidentale da Omero in poi, narrativamente parlando, è basata sull’eroeche va alla ricerca di se stesso, vive esperienze avventurose anche dram-matiche, incontrando mostri e pericoli, viene aiutato, si perde, e in tuttoquesto deve tornare alla patria natia. Dove è atteso dagli affetti famiglia-ri più profondi.

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ogni cultura umana ha strutture narrative profonde, qua-si - verrebbe da dire - “archetipiche”. Tuttavia è sicuramente con gli anni Settanta e Ottantadel secolo scorso che il problema-tema della narrazionesi diffonde in modo trasversale a molte altre discipli-ne scientifiche: � Nelle scienze politiche: dove per esempio R. Fischer po-ne il tema della narrazione come elemento cruciale deldibattuto politico e del suo potere persuasivo;� Nelle scienze psicologiche: dove psicoterapeuti come J.Bruner mettendo in luce il problema “narrazione-iden-tità” giungono a evidenziare come la nostra persona-lità è uno script, il prodotto meta-storico delle narra-zioni che abbiamo incontrato e che abbiamo fatto no-stre (teorie del “Sé come testo”)�Nelle scienze economiche: dove con l’irrompere degli ele-menti simbolici e irrazionali nel consumo si apre l’e-ra delle economie delle esperienze, del desiderio e dei lifesty-le che suscitano tutta una serie di dibattiti e studi sul-le componenti immaginarie e finzionali-narrative (neiprodotti) come parti integrate dei processi produtti-vi. Qualcuno ha recentemente iniziato a parlare di “ac-quistosfera” come insieme di luoghi fisici, virtuali e psi-cologici di consumo (Hine, 2002). Oggi - con la pervasione della comunicazione (me-diata e narrata) in tutti gli aspetti della nostra esistenza(Di Fraia, 2004) e con l’introduzione sui mercati mon-diali di merci-esperienze-racconti (economia del simbo-lico), gli studi sulla narrazione si moltiplicano e tro-vano applicazioni in vari ambiti, anche lontani dallaloro origine iniziale. Uno di questi ambiti si chiama“impresa”.

4 - Narrazione e organizzazioniTutte le organizzazioni parlano. Sono comunità uma-ne basate su discorsi umani che parlano di problemi umani(Levine, Locke, Searls, 2001).Tutte le organizzazioni generano discorsi verso differentiinterlocutori, interni o esterni. Parlano dentro e fuo-ri i propri confini per diversi e validi motivi. Ma fon-damentalmente comunicano per un’antica esigenza re-torica: convincere l’altro a fare quello che noi deside-riamo. In sostanza, producono discorsi per orientarei comportamenti delle persone. Se queste persone so-no clienti interni (dipendenti) i discorsi tendono a:

� Informare, di solito su politiche e prassi di lavoro;�Motivare, tendenzialmente per accettare nuovi cam-biamenti;� Orientare, generalmente verso l’assunzione di certemodalità di comportamento;� Persuadere, abitualmente a assumere certi atteggia-menti interni;� Promuovere, molto spesso servizi interni (ritroviamoqui la logica del vecchio e caro marketing che, da stru-mento esterno, si ritrova a essere usato come disposi-tivo di motivazione interna);Se le persone sono clienti esterni, le cose si modifi-cano, ma non più di tanto. I discorsi infatti tende-ranno a:� Convincere a comprare i propri prodotti e servizi fa-cendo leva su la razionalità e la logica;� Enfatizzare le componenti emozionali dei prodottie servizi (per manipolare l’impulso irrazionale di ac-quisto compulsivo); � Persuadere nella legittimazione dei propri valori idea-li (qui si “compra” un set di idee guida).Diciamoci la verità. Tutte le organizzazioni hanno unestremo bisogno di comunicare per poter sopravvive-re e svilupparsi sui nostri mercati turbolenti, soprattuttoin questo momento storico - dominato dall’economiaimmateriale - dove pare vincere o resistere chi è in gra-do di governare e raggiungere una supremazia nelmondo simbolico-discorsivo. Quel mondo da cui par-tirebbero gli impulsi all’acquisto. Tuttavia, se ci diciamo questa verità dobbiamo ancheammettere che le organizzazioni pubbliche o private,profit e non profit, quando comunicano e generanodiscorsi lo fanno attraverso delle storie e dei precisi pro-cessi narratologici. E, esattamente come per gli indi-vidui, anche per le organizzazioni che si raccontano,e raccontano i loro prodotti e servizi, richiamano sen-sazioni, tracce emotive, traiettorie affettive, che sug-gestionano la memoria individuale e di gruppo (Fog,Budtz, Yakaboylu, 2005). In questo senso la narrazio-ne è pervasiva dell’esperienza organizzativa. Addirit-tura, la narrazione - processo apparentemente aleatorio- legittima e sostanzia, attraverso i diversi tipi di codi-ci e linguaggi, le componenti più oggettive del proprioessere (Bloch, 1994), dove desiderio, esperienza e fictionvengono a costituire la dinamica del consumo e dellaeconomia contemporanea: è il consumo che parteci-pa alla rielaborazione delle icone narrative mediali del-l’immaginario (Carmagnola, 2006). Come non vede-re nei processi di produzione dei budget, dei prodot-ti, dei servizi, dei report, e di tutto quel palesare atti-vo e oggettivo, la creazione di realtà narrative: versio-ni, copioni, script, messe in scena verosimiglianti checircondano ogni nostro ciclo di esperienza organiz-zativa?

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5 - Il valore della narrazione organizzativaL’organizzazione può essere interpretata come un setmultiplo di narrazioni, un serie di racconti (più o me-no mirati e efficaci), una vasta gamma di gadget og-gettivi-simbolici che - a seconda dei differenti periodistorico-culturali - si esprimono attraverso i diversi mez-zi di comunicazione interna o esterna, di formazione,di sviluppo organizzativo(5). Il raccontare storie è quin-di parte della condizione organizzativa. Come sotto-lineato da molti autori, siamo “animali narranti” chevivono in contesti organizzati su narrazioni perché lenarrazioni caratterizzano il nostro stare al mondo, so-no un “media” che ci permette di capire l’esistenza dan-do senso a ciò che ci accade(6). Però, nel setting orga-nizzativo, non tutte le narrazioni sono storie. Qualchebreve scambio di battute alla macchinetta del caffè nonè un racconto organico e riflessivo. Per capire cos’è unastoria bisogna infatti distinguere tra narrazioni fram-mentarie e onnicomprensive: (si vedano le tipologiedi narrazione riportate in figura 1).Fatta questa distinzione, che mette in evidenza il ca-rattere di organicità di una storia, possiamo chieder-ci allora cosa intendiamo esattamente con il termine“storia” in una organizzazione. La letteratura di riferimento su questo è ancora sfu-mata. Il termine “storie” in un’organizzazione oggi hainfatti una serie di modi molto differenziati. Personalmente assumo la posizione più ampia per cui“storie” diventano e sono tutte quelle forme narrativeche generano prodotti oggettivi e simbolici e poi par-lano di loro (all’interno e all’esterno). Storie sono quindi le parole e i discorsi con cui i pub-blici interni definiscono e fanno vivere la cultura diun’impresa, da una narrazione frammentaria a una nar-razione più organica. Storie sono i comunicati stam-pa con cui i vertici aziendali cercano di orientare l’o-pinione e il sociale d’impresa. Storie sono anche i com-pany logo, la superficie levigata di un’automobile, unbuon romanzo di Thomas Harris, il sapore amaro diun buon whisky. Tutte forme che attraverso processinarrativi accompagnano e definiscono l’esperienza diconsumo. Per questo, possiamo dire che le storie or-ganizzative sono:

�Da un punto di vista individuale: tutte quelle narrazioni- insieme di produzioni letterarie, verbali o scritte - concui gli attori esprimono la propria esperienza di lavo-ro nell’organizzazione (Cortese, 1999);� Da un punto di vista strategico (vedendo la cosa dallaparte organizzativa): il set di storie strategico - l’insie-me di produzioni narrative mirate - per promuovereattività, iniziative, progetti interni, set adoperato secon-do una logica multicanale (carta, relazione, digitalità,eventi);� Da un punto di vista del consumo: la gamma di narra-zioni (visual design, musica, arredo, ecc.) che promuo-ve e orienta le esperienze di shopping contemporaneo(sia di acquisto che di vendita).Il valore della narrazione organizzativa è allora tripliceperché trasferisce, trasforma e guida i saperi e i pro-dotti di un’impresa: da una parte ci permette di co-noscere di più l’ambiente che abitiamo, sentirlo co-sì più nostro, dall’altra ci consente di conoscerci me-glio, infine - grazie a questo - di produrre qualcosache per i nostri pubblici di riferimento sia altamen-te significativo. Vale a dire che permetta loro di co-noscersi di più grazie a una maggiore libertà di espres-sione. Un iPod non ha forse un tipo di potere sim-bolico così grande? “Fare storytelling” significa allora per un’impresa sa-per gestire meglio il cambiamento culturale e orga-nizzativo, raccontarlo con nuovi codici e stili linguistici(Gabriel, 2001; Boje, 2001). Vuol dire anche dare vi-ta a prodotti che siano significativi in mercati ad altoassedio testuale. In particolare, equivale a raccontarsi con

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Osservazioni Aneddoti Storie Saghe

NARRAZIONE FRAMMENTARIA

NARRAZIONE OMNICOMPRENSIVA

Figura 1 - Alcune tipologie di narrazione.

(5) La letteratura su questi temi è oggi vastissima. Secondo alcuni auto-ri i modi per permettere a una organizzazione di comunicare con i pub-blici interni e esterni sono per esempio: il brand management, il marke-ting sociale, la comunicazione integrata, e in parte la formazione (inte-sa come leva di socializzazione interna).(6) Sul tema dell’individuo che racconta (“homo narrans”) e raccontandosi comprende meglio rimando a W. Fisher, “Narration as a Human Com-munication Paradigm: the case of Pubblic Moral Argument”, CommunicationMonographs, 51-1984.

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nuova forza persuasiva alle persone che ormai sono abi-tuate ai codici della comunicazione pubblicitaria emass-mediologica - che da tempo funziona secondo pa-rametri della fiction: “La televisione e i giornali […] as-sumono alcune delle funzioni socializzanti tradizionali del mi-to e del rituale: integrare gli individui nell’ordine sociale, cele-brare i valori prevalenti, offrire modelli di ruolo”(7).

6 - I molti usi dello storytelling managementCosa si può fare con lo storytelling in una impresa? L’attuale letteratura di riferimento rispetto alla di-mensione organizzativa (Boje 1991; Gabriel 2001;Czarniawska 1999; Denning 2001; Fog, Budtz, Yakaboy-lu, 2005) colloca lo storytelling all’interno di un’am-pia possibilità applicativa che va dall’elaborazione stra-tegica al product design, passando per le discipline del-l’education management e della comunicazione in-tegrata. Attraverso la narrazione è infatti possibile:� Condividere obiettivi specifici;�Dare senso alle azioni della realtà organizzativa quo-tidiana, che altrimenti sarebbe vuota e priva di spintamotivazionale;�Creare un’identità (individuale o di gruppo), che per-mette di riconoscersi sul lavoro e nella vita;�Mantenere la memoria (individuale o collettiva), ga-rantendo così una continuità dei saperi e un orienta-mento dei comportamenti;�Orientare l’opinione del sociale d’impresa, con sto-

rie che fanno ridere, portano a piangere, suscitano pau-ra, generano speranza e molti altri sentimenti, attra-verso l’identificazione e la proiezione;� Costruire e presidiare una cultura, fatta di valori eatteggiamenti che poi si riverberano nei fatti quotidiani;� Sostenere nella progettazione del futuro, che per es-sere realizzato deve anche essere ripetuto, ri-raccon-tato, “venduto”, più e più volte, sia a noi stessi che aglialtri.Le storie organizzano, ordinano, sistemano, modellanoe plasmano. Lo storytelling può essere applicato in tante aree-fun-zioni delle organizzazioni:Vedere l’organizzazione sotto questa lente di ingran-dimento porta a ripensare i ruoli: �Dei vertici aziendali e di chi declina le linee guidavaloriali in strategic statement (che dovrebbero contenereun’alta densità epica);�Della comunicazione interna e le sue capacità diorientare e sensibilizzare i pubblici interni (che do-vrebbe suscitare un interesse favoloso);�Del training e dello sviluppo organizzativo (che og-gi più che mai ha l’esigenza di formare comportamentie indicare atteggiamenti di lavoro a estesa endurance eroi-ca);�Del brand management e della possibilità di creare unapersonalità d’impresa capace di parlare all’animo delle per-

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Figura 2 - Cosa fare con lo storytelling.

(7) Czarniawska B., Narrare l’organizzazione. La costruzione dell’identità isti-tuzionale, Edizioni di Comunità, Milano 2000, p. 251.

BRAND MANAGEMENT

Storytelling(narrazione)

COMUNICAZIONEINTERNA

COMUNICAZIONEESTERNA

FORMAZIONE EPEOPLE CARE

PRINCIPISTRATEGICI

PRODUCT DESIGN

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sone (il cosiddetto “animadvertising”);�Della comunicazione esterna con l’opportunità di fi-delizzare i diversi stakeholder esterni (generando un’i-dentificazione);�Della creazione di prodotti (che necessitano sempredi più un nuovo ordine narrativo che sappia generaredistintività di scelta).In questo senso, la comunicazione interna ed ester-na, la formazione, l’envisioning, il brand manage-ment, il marketing e il product design, non sono piùsemplicemente funzioni che favoriscono il passaggiodi informazioni, la divulgazione delle conoscenze,l’approfondimento tematico-istituzionale, l’appren-dimento, la vendita di prodotti e servizi, ma diventanogaranti delle storie che accadono all’interno di unaimpresa e che vanno raccontate per generare un ac-cesso profondo nella memoria individuale e collettivadei cicli di consumo.

7 - Storytelling management toolLa flessibilità dello storytelling - in qualità di discipli-na e approccio - permette una sua declinazione mol-to ampia in una serie di strumenti diversificata a se-conda degli obiettivi e delle funzioni che scelgono diusare un approccio story-driven. Ma, prima del “parlare di”, l’organizzazione si deve pre-disporre nell’ottica di “parlare a” e, dunque, dev’esse-re in grado di esprimersi attraverso un ampio venta-glio di codici linguistici e simbolici, sapendo anche tra-sgredire questi stessi codici, transitando cioè da un re-gistro discorsivo a un altro. Per questo l’esito finale, il prodotto concreto, di un’o-perazione di storytelling è essenzialmente un “ogget-to” (o serie di oggetti) fisico o virtuale che è la sinte-si di una elaborazione che può essere essenzialmentedi tre tipi, così suddivisi: 1 - Oggetti letterari/cartacei: in cui la narrazione divieneelaborazione letteraria sotto forma di racconti brevi car-tacei (novelle) destinati alla lettura autonoma.Pubblicati mensilmente, possono essere distribuite inallegato a newsletter e house organ aziendali. Questotipo di oggetti possono concretizzarsi anche in book-

let o in collane semestrali o annuali in cui raccoglie-re e descrivere tematiche organizzative distribuite co-me prodotto editoriale a se stante.2 - Situazioni relazionali: in cui la narrazione viene usa-ta soprattutto come struttura e processo di lavoro, peresempio in percorsi di training, o in situazioni socia-li tipici della comunicazione interna come una con-vention.3 - Elaborazioni digitali (basic & advance): in cui la nar-razione diventa copione digitalizzato che permette lacondivisione di esperienze e conoscenze professiona-li, per esempio sotto forma di blog interni, enterpri-se portal narrativi, wiki di miglioramento.A titolo puramente esemplificativo e non certo esau-stivo, inserisco la tabella seguente per mostrare alcu-ne potenzialità del set di strumenti che si possono at-tivare in una logica story-driven.Come si vede dalla tabella 1 le storie possono essereutilizzate per creare o rivitalizzare l’identità profon-da di un’organizzazione, generare l’immagine intrin-seca di un’impresa, dare vita allo stile intimo di ma-nagement, pensare e/o ripensare oggetti di consumo(prodotti) con le storie più coerenti per promuoverli.Per questo, le storie vanno conosciute, interpretatee gestite. Ma cosa occorre tenere presente per inse-rire una sensibilità narrativa alla diverse funzioni diuna impresa? In modo sintetico possiamo dire che i passi per at-tivare un’esperienza organizzativa di storytelling so-no questi:1 - Individuare la funzione narrativa portante, le mo-tivazioni profonde su cui tutte le storie saranno orien-tate, anche quelle di controcultura;2 - Ricercare, raccogliere e analizzare le storie for-mali e informali presenti in una impresa, compresoil gossip intrinseco di un’organizzazione (quindi an-dando dalla semplice anedottistica alla vera e propriasaga);3 - Restituire le storie dando vita a un mix di strumenticartacei e/o virtuali narrativizzati, coerenti con i fon-damenti strategici di impresa, ma congruenti con i pa-rametri della fiction.I migliori risultati si ottengono quando, su un certo te-ma o problema organizzativo, si riesce ad attivare unmix di strumenti narrativi. Facciamo un esempio percapirci. Immaginiamo una classica funzione training con lasua esigenza costante di far conoscere ai pubblici in-terni il proprio catalogo di formazione. Immaginiamoanche - come spesso accade - che il catalogo interno,già in uso, sia percepito dai diversi pubblici in modopoco efficace (non accattivante, freddo, semplice-mente informativo, ecc.). A questo punto, i respon-sabili della formazione possono semplicemente rifa-

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re in modo più attraente e aggiornato il catalogo stes-so, oppure cercare di attivare delle storytelling line sulcatalogo, per esempio affiancare al catalogo classicoun Vlog (video-diario) posizionato sulla intranet in-terna o concretizzato in un dvd, costruito secondo unalogica narrativa. Un Vlog, dove in questo caso, i di-versi corsi di formazioni interni non sono semplice-mente descritti, ma narrati da alcuni partecipanti pre-cedenti, scelti come testimonial interni, che raccon-

tano cosa hanno fatto e i risultati ottenuti. Ciò richiedeuna regia completa e una convergenza mediatica eorganizzativa ampia: audio-video-testo, ma l’effetto èmolto potente per la promozione interna.

8 - Business narrative e governance d’impresa Le storie sono il timone della governance culturale di unaorganizzazione. Permettono di affrontare il mutamento(oggi) imprevedibile, e consentono agli individui di da-re forma all’incertezza e di capire e sfruttare meglio

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PRINCIPI BRAND COMUNICAZIONE COMUNICAZIONE TRAINING PRODUCT STRATEGICI MANAGEMENT INTERNA ESTERNA DESIGN

Autobiografie aziendali di figuresimboliche

Memoriali d’impresa(tratti dalle figure mitiche)

“Calepini d’impresa” (i racconti fondatori)

Road show miratidrammatizzati (per es. teatro d’impresa per raccontare i nuoviprincipi strategici)

Video clip narrativiistituzionali

Blog degli A.D. che commentano fatti e esperienze di business

Documentari e inchieste mirate

Video monografie dedicate a temi/progetti di envisioning

Narrative Claim design

Brand claim recognition

Purchase intension

Concorsiinterni/esterni sullastoria più vicina alprodotto/servizio

Testimonial aziendali

Punti vendita come “experienceproviders”

Quasi-experiencialdesign

Concorsiinterni/esterni sullastoria più vicina alprodotto/servizio

Video-co-biografie(due marche/prodottiche si raccontano insieme rafforzandosi)

Collane tematiche dedicate all’epicaaziendale

Leaflet testimonial

Booklet mirati in logica narrativa

House organ

Convention narrativesotto forma di talkshow

Sistemi di riunuoni chepartono dall’analisi diepisodi specifici

Management meetingche partono dal projectstorytelling

Video-gallery

Blog informativi

Corporate gossip Portal

Rassegna stampastorica

Campagne mirate diconsumoo narrativo(costruire intorno alprodotto/servizio unanarrazione efficace

Fiction road show (per promuovere ilprodotto/servizio)

Deminari di orientamento mirati

Community dedicata alla raccoltadi racconti sul prodotto/servizio

Blog di commento sul consumo del prodotto

Community di E-pinion

Diari di bordo a tracciabilità periodici (anchedigitalizzati)

Agende riflessive

Memoriabili biografici professionali

Percorsi che apartire dalle nar-razioni individualiricostruiscono temi, processi,soluzioni formative

Corsi da inserirenel catalogoaziendale (narrative, presentation skills, ecc.)

DVD tematici a ampia ricaduta interna (attraverso i racconti)

Video-mentoring

Blog interni dicommento sulleattività di training

Vlog

Forum dedicati

Self-Broadcasting

Racconti sulla storia dei prodotti

Cronache sulle “famiglie” passate e future di un certoprodotto

Resoconti sull’esperienze narrative legate al prodotto

Workshop creativiper la costruzione del set di storie da legare al prodotto

Loyalty testimonialedei dipendenti (che raccontano ilprodotto)

Percoprsi di analisi di come nascono i prodotti interni e le nuoive idee (cosasi racconta su ...)

Community di brand (on & off line)

Sistemi di co-designcon i consumatori finali

Strumenti cartacei

Strumenti relazionali

Strumenti digitali

Tabella 1 - Storytelling tool (esemplificazione).

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l’ambiguità della vita organizzativa. La narrazione scan-disce il tempo del nostro consumo mediale, governa lenostre relazioni organizzative, è la moneta circolantedelle culture d’impresa, organizzate in:� valori� atteggiamenti� comportamentiche devono essere raccontati e narrati, cioè fatti co-noscere e promossi attraverso narrazioni più o menomirate (Zizek, 2005). Tutte le interazioni sociali che hanno una dimensione nar-rativa (soprattutto nelle realtà di lavoro!), possiedono: sog-getti, scopi e linee di azioni, e sono organizzate secondo“copioni” e “formati” che a loro volta danno vita a “co-strutti narrativi”: miti, ideali, credenze, che poi si tradu-cono in iniziative di azione concreta.Raccontare il cambiamento, attraverso parole, segni,simboli e pratiche, generare prodotti che tengano con-to della narratologia, occuparsi di people care e di for-mazione attraverso lo storytelling management è unanuova frontiera strategica, non solo per vincere le na-turali resistenze al cambiamento organizzativo, ma an-che e soprattutto per favorire relazioni interpersona-li e per far fronte alla complessità compiuta della realtàdel business, sempre più esigente e aggressivo.

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Il contesto organizzativoL’“Azienda” è una multinazionale metalmeccanica, conuna importante presenza commerciale in Italia e una strut-tura industriale di lunga data, risultato di progressive ac-quisizioni. La survey di clima mostra un alto senso di ap-partenenza all’azienda, la centralità del cliente nell’o-rizzonte di valori comuni, e la coscienza del valore socialedell’impresa nei confronti del territorio e della comunità.Fattori di insoddisfazione sono dovuti alla forte tensioneal risultato, che porta all’irrigidimento delle relazioni ca-po-collaboratore, al mancato conferimento di una “con-tropartita” - in termini di crescita professionale e rico-noscimento individuale - e alla maggiore richiesta in ter-mini di performance di squadra e individuale.Il clima organizzativo, inoltre, è influenzato da un di-rettore generale che guida l’azienda con forza e rigore,anche durezza, e un management che fa fatica a favori-re la generazione del cambiamento nei collaboratori. Unaltro fattore di clima da segnalare è la presenza, accan-to a gruppi di persone a maggior potenziale che si la-sciano coinvolgere più facilmente nei progetti organiz-zativi, di un altro gruppo, a maggiore anzianità aziendalee proveniente da una delle società acquisite di più lun-ga data, che rimpiange i “fasti passati”. L’epoca “eroica”risale a 10-15 anni fa: quando i prodotti si vendevano “conpoco a tanto”, non era necessario offrire al mercato unservizio di qualità e la differenziazione competitiva noncompariva come un obiettivo imprescindibile nell’oriz-zonte organizzativo.

Il Piano di Progresso e il progresso del PianoL’Azienda agisce funzionalmente secondo le solite di-namiche gerarchiche, legate alle logiche meccaniche“obiettivo assegnato - risultato agito”. A tale modalità sisovrappone una funzionalità di tipo generativo, che mi-ra a coordinare le operazioni su scala allargata in basea obiettivi globali. I protagonisti sono gruppi di lavoroestemporanei, definiti sulla basse della necessità di di-sporre di competenze complementari. Le modalità di la-voro sono generative in quanto, sulla base di un obiet-tivo assegnato, il gruppo di lavoro ha la facoltà di trovareda sé mezzi e strumenti per operare il cambiamento. La logica complessiva è “non ottieni un cambiamento du-raturo e che abbia un impatto allargato se non comprendi nel-la generazione del cambiamento tutte le funzioni in gioco”.(1)

È la natura del problema che richiede di essere affron-tato in una logica pluri-specialistica; in più questo ap-proccio offre il vantaggio che la generazione del cam-biamento nasce all’interno di più gruppi funzionali, per-mettendo una sua assimilazione in tempi più rapidi.(2)

Tutto ciò è il Piano di Progresso dell’Azienda. Il Pianodi Progresso ha un orizzonte di medio periodo (2-3 an-ni), è una modalità permanente (finito un piano se nelancia un altro) e “funziona”, nel senso che è stato unadelle condizioni che hanno permesso all’Azienda di rea-lizzare importati traguardi di crescita negli ultimi anni.Piano di Progresso e obiettivi della comunicazione or-ganizzativa(3).Le responsabilità dei progetti nati nel Piano di Progressosono definite dalla direzione, come pure gli obiettivi; staal gruppo di lavoro trovare collaboratori nell’organiz-zazione, che si uniscono rispondendo a un invito delladirezione stessa. È quindi l’aggregazione progressiva chefa crescere il gruppo e vi “aggiunge” nuove competen-ze. La comunicazione entra in gioco per chiarificare lepriorità, accompagnare il cambiamento generato, dareevidenza al legame tra gli sforzi prodotti ai risultati ot-tenuti, generare motivazione alla collaborazione entroi gruppi di lavoro, agevolare lo scambio di idee neces-sario per la generazione dell’innovazione.Il controllo delle performance è stringente: ogni mesenel “diario di bordo” aziendale viene segnata con facci-ne rosse, gialle, verdi la realizzazione dei 60 e più piani

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Parlando tra le righe del colloquio annualeUn caso di storytelling applicato alla formazione

di Simone Involti e Matteo Verdoni

(1) Facendo un esempio: il cambiamento del servizio logistico è ottenutoaffrontando la problematica con un gruppo di lavoro formato da personeche provengono dalla logistica, dal Commerciale, dal marketing, dallerisorse umane, dagli acquisti.(2) Per fare un altro esempio, se il gruppo di lavoro “offerta logistica” hagenerato nuove modalità di consegna della merce, nuovi contratti, nuo-ve procedure interne, nuovi servizi da offrire ai clienti, l’organizzazionesi adatta più facilmente a tali novità perchè sin dall’inizio sono sviluppatein tutti i gruppi funzionali che sono impattati dal cambiamento stesso.(3) Nell’Azienda la comunicazione è strutturata: un piano di comuni-cazione integrato vuole garantire la coerenza tra obiettivi strategici del-l’azienda e obiettivi di comunicazione, messaggi e target; riunisce in unasola pianificazione i piani d’azione di marketing, della comunicazioneesterna e di quella interna per garantire coerenza anche a livello opera-tivo.

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d’azione sviluppati nel Piano di Progresso. La comuni-cazione sulle performance ottenute grazie al Piano diProgresso è sistematica e diffusa in tutta l’organizzazio-ne dal management tramite riunioni di funzione.In tale scenario, ad alto grado di complessità, è essenzialel’informazione sui progressi ottenuti, tenere viva l’at-tenzione al contesto in cui i gruppi di lavoro operano,mantenere la tensione al risultato facendo fronte all’i-nevitabile inerzia organizzativa. In una parola, è essen-ziale coinvolgere le persone dando loro visione del Pianodi Progresso dal suo interno. In questo scenario nasce nell’Azienda un’applicazionedello storytelling.

Storytelling come soluzione organizzativa.L’esempio di un videoraccontoAl fine di coinvolgere le persone, trasmettere emozionie condividere buone prassi e risultati, la direzione siè fatta promotrice della realizzazione di un video(4) dautilizzarsi tramite proiezione durante le riunioni di co-municazione sui risultati annuali del piano di svilup-po aziendale. Il messaggio del video è molteplice: il coinvolgimentodelle persone come fattore di successo del Piano diProgresso; le “buone pratiche” sviluppate dai gruppi dilavoro; i risultati e le persone grazie alle quali sono sta-ti ottenuti; il processo che ha portato ai risultati; il coin-volgimento dei colleghi nello sviluppo dell’azienda; igruppi di lavoro; l’approccio trasversale come fattore dicrescita delle competenze.Il video è rivolto a tutti i dipendenti, in particolare a chinon ha partecipato al piano. Infatti l’obiettivo di co-municazione è sì creare attenzione sui risultati ottenu-ti, ma anche indurre le persone che non partecipano alpiano a unirsi spontaneamente a esso. Il meccanismo èsemplice: favorire l’aggregazione creando identificazionecon i colleghi che hanno “fatto bene”.La modalità di comunicazione è narrativa: ogni perso-na intervistata racconta la sua esperienza, i risultati ot-tenuti, la sua valutazione del vissuto organizzativo lega-to al progetto sviluppato. Ne emerge un “ritratto cora-le”, che, integrato nella narrazione degli obiettivi azien-dali e sfruttando la leva empatica della narrazione, fa-vorisce l’identificazione con il collega che racconta e lasituazione raccontata e, da ultimo, la visualizzazione del-la finalità collettiva del lavoro nell’organizzazione: il pro-gresso dell’organizzazione stessa.

Valutazioni dell’utilità dello storytellingCrediamo che la modalità narrativa sia un buon vei-colo per creare identificazione e muovere all’azione,suscitando una leva di automotivazione. In questo sen-so è differente dalla formazione, in quanto spesso laformazione è istruttiva e prescrittiva e non riesce a crea-re un’identificazione immediata. Il processo della for-mazione è più lungo, in quanto essa muove all’azionesolo tramite la maturazione nella persona “formata”di una differente intenzionalità, coerente con il mo-mento organizzativo su cui il formatore ha posto l’ac-cento.Le medesime dinamiche si trovano nell’altro esempioche vorremmo qui riportare, che è un esempio di azio-ne di formazione veicolata attraverso un medium ti-picamente comunicazionale: l’audio-cd. Anche per que-sto strumento di comunicazione, che nasce per fina-lità differenti, è stata utilizzata la leva dello storytellingper far passare più facilmente messaggi “ostici” e fa-vorire un corretto comportamento delle persone nel-lo svolgimento del colloquio di valutazione annuale.In particolare, in questo strumento lo storytelling hapermesso di utilizzare il “parlar d’altro” per parlare dinoi, facendo esempi lontani ma che fossero facilmentericollegabili alla realtà aziendale. Lo storytelling, in que-sto caso, ha favorito il meccanismo psicologico di “ab-bassare le difese” su un argomento carico di pregiu-dizi e interpretazioni fuorvianti.

Seconda necessità organizzativa: il colloquio annuale come imbuto dell’organizzazioneIl colloquio annuale è un momento topico e ostico.Attraverso di esso, per così dire, “passa tutto”: la coe-renza organizzativa, la relazione personale capo-col-laboratore, la realizzazione concreta dello sviluppo pro-fessionale, le frustrazioni di chi pensa di “meritare dipiù e non ottiene mai”, le ansie da prestazione del ca-po, la capacità di rendere chiara la catena degli obiet-tivi, le competenze possedute e quelle richieste, la vo-lontà di dedicare del tempo dedicato a “staccare la spi-na”, sedersi e parlare. Si capisce come questo momentodi gestione diretta delle persone - che è d’obbligo pertutta la popolazione impiegatizia dell’Azienda in que-stione - sia realizzato con difficoltà, o in ritardo o sen-

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(4) Il video ha coinvolto una trentina di persone che hanno lavorato a18 progetti. Dura circa 15 minuti. Le modalità di ripresa sono studiateper dare il massimo risalto al racconto: le persone sono riprese mentreraccontano la loro esperienza, su un fondo neutro. Il racconto è inter-vallato da immagini dei colleghi che lavorano insieme all’intervistato, de-gli spazi aziendali dove si svolge il quotidiano dei gruppi di lavoro, del-le funzioni impattate dai cambiamenti logistica, amministrazione, pro-duzione, montaggio prodotti, ecc.

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za un ritorno effettivo in termini di coerenza orga-nizzativa complessiva. Una formazione specifica per ivalutatori in azienda era già stata realizzata, senza ot-tenere un’accelerazione del processo; mancava inve-ce quella per i valutati.

Le storie e la storia di storie. Secondo esempioNell’audio-cd qualche musica qua e là, ma soprattut-to storie, storie aziendali o meno, che diano stimoli perla riflessione, l’appropriazione e il cambiamento deicomportamenti: Esopo, lo zen, la Bibbia, il testo di unacanzone dei Pink Floyd, la filosofia di Salvatore Natoli,la storia “girata” dal collega, la “storia del giaguaro” rac-contata da un altro collega... E la nostra storia azien-dale del capo che ci chiede di realizzare una forma-zione a tempo di record, con un mezzo facilmente erapidamente utilizzabile, per un alto numero di uten-ti e su un tema ostico. Per cui anche una meta-storia:la storia dello stesso farsi del racconto, storia tra le sto-rie, o storia delle storie. Abbiamo fatto la scelta di prendere tutto di fronte, sen-za fare sconti a nessuno, dando anche un nome al di-sagio (che è un modo per affrontarlo e risolverlo). Lestorie e la “forma” dell’audio-cd ci hanno permesso dialleggerire e liberare il canale di comunicazione. Peresempio, la favola del chiodo che risponde al muro chegli chiede perché lo percuotesse è un pretesto per par-lare della pressione sulla catena degli obiettivi orga-nizzativi.Gli obiettivi dell’operazione erano, in sintesi, di mi-gliorare le pratiche di svolgimento del colloquio an-nuale e sensibilizzare responsabili e collaboratori, tra-mite la diffusione del cd prima dell’inizio del ciclo dicolloquio annuale. I messaggi veicolati sono: la coe-renza di comportamento di valutati e valutatori duranteil colloquio di valutazione annuale, la necessità di ave-re obiettivi comuni, l’importanza di dedicare tempoalla loro definizione. Il target: tutti i valutati, tutti i va-lutatori.Di seguito riportiamo alcuni brani del testo dell’audio-cd, esemplificativi di come i temi sono stati affrontatiin una logica aziendale, ovvero in modo coerente conle necessità e lo stile organizzativo dell’Azienda.

Il gioco delle partiM.: (…) il colloquio annuale è qualcosa che è un ostacolo: il mo-mento peggiore per chiedere le ferie, un momento che il capo con-tinua a rimandare, un momento che ci mette sempre un po’ adisagio (…)S.: Il mio capo di qua, il mio capo di là… non ha mai tempoper me, ci sono delle urgenze, le capisco… ma io non sono maiuna di quelle!M.: Si tratta sempre di priorità. Se lo mettessero in cima alla sca-letta lo farebbero prima delle altre cose…S.: Esatto! E poi è loro responsabilità, è loro compito fare i collo-qui con i collaboratori.M.: Dovrebbero pensare che “priorità” è qualcosa che se non vie-ne fatta, fa perdere tempo.S.: Ma come? Mi stai dicendo che se uno ha 20 collaboratori daintervistare ogni anno, risparmia tempo se fa il colloquio con tut-ti i collaboratori?M.: Certo, perché se il colloquio annuale è fatto bene, noi colla-boratori lavoriamo meglio, siamo più motivati, abbiamo più chia-ra la situazione. (…) (Dopo la lettura della favola di Esopo, “Il leone e il topolino”)S.: Certo che il vocabolario non è certo dei più “politicamente cor-retti”…: i “potenti”, i “deboli”… mi sembra di essere tornato nelmedioevo, anzi prima!M.: È logico che la favola va contestualizzata, ma non troppo:si tratta di una metafora, ovvero di un linguaggio figurato cheillustra una situazione reale.S.: Mi stai dicendo che c’è ancora il potente e ancora il debole?M.: Sì, te lo sto dicendo: è inutile che ci giriamo attorno, solo sericonosciamo la situazione e agiamo di conseguenza possiamoottenere benefici, da entrambe le parti. E poi comincio a non sop-portare più il vocabolario “politicamente corretto” che spesso nonfa che nascondere ipocrisie…S.: Questo è un colpo di piccone! Non esageriamo… è comunquevero che il potere relativo a un ruolo è parte reale e fondante diuna organizzazione. Non si può far certo finta che non esista!M.: È quello che volevo dire. Di conseguenza al potere segue laresponsabilità, non dimentichiamolo. Questo è da dire, da tenerein conto. Non posso comportarmi da “compagno”, da “amico”se sono un capo, tanto meno in sede di colloquio annuale. Perdereil’efficacia del mio ruolo.S.: Però se c’è un rapporto ben coltivato, ci posso andare vicino:se c’è reciproca stima e fiducia, se c’è una visione comune del ri-sultato da raggiungere, posso pensare che prima o poi il mio caposi fidi di me e non usi sempre e solo il potere per farmi arrivare alrisultato. Ben conscio che ogni collaboratore ha bisogno di un ca-po, ma anche che ogni capo ha bisogno di un collaboratore.

Solo i cretini non cambiano mai idea(Dopo la lettura della favola di Esopo, “La volpe e l’uva”)S.: È chiaro: la volpe racconta a se stessa che l’uva è acerba permascherare la sua inadeguatezza. Mente a se stessa pur di nonfar lo sforzo di cambiare.

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M.: I meccanismi di difesa svolgono comunque un ruolo im-portante nell’equilibrio complessivo dell’individuo; ognunodi noi ha sviluppato i suoi e li utilizza per difendersi da si-tuazioni troppo frustranti. Sono funzionali e utili e non so-lo patologici. Il problema è la quantità. Se diventano la mo-dalità prevalente o l’unico meccanismo di reazione di frontea informazioni negative, allora diventano patologici.S.: Quel che è da dire è che di fatto, non provocano in noialcun cambiamento. (…)M.: Un’altra modalità di reagire è quella che definiamo digestione attiva della crisi. Questo processo parte dal prestareattenzione ai segnali di critica che riceviamo, per poi ap-profondire i feedback negativi, chiedere ulteriori informazio-ni, verificare se succede altrove o con altri.S.: Fare un test di realtà.M.: Esatto. Questo ci può portare ad elaborare alcuni modellialternativi di comportamento e cioè un modo diverso, più com-pleto, migliore del precedente di fare le cose.S.: Il risultato è, in questo caso, anche un diverso eserciziodel nostro ruolo, ma soprattutto un arricchimento della no-stra identità che ha potuto confrontarsi con un altro com-pletamente diverso da sé.M.: Va quindi profondamente rivalutata la funzione dei feed-back negativi: da intralcio, ostacolo, disturbo a unica possi-bilità di apprendere e cambiare.S.: Impari perché fai un lavoro su te stesso e di verifica congli altri.M.: Perché l’accettazione profonda del feedback implica unaadozione di comportamenti alternativi.

(Una storia)Boschi del Canada, freddo e nebbia. Sullo sfondo, leMontagne Rocciose innevate. È pomeriggio. Camminoper un sentiero, quando vedo questa scena. Un uomo sta segando, da solo, un albero, una quer-cia abbastanza grossa. Suda da matti, una fatica tre-menda. È abbastanza avanti nel taglio, ma deve esse-re lì da ore. A un certo punto, passa un vecchietto arzillo, anchelui a spasso per i boschi come me. Il vecchietto si fer-ma, osserva attentamente l’uomo che sega, il quale con-tinua imperterrito a segare come un forsennato. Si sta facendo buio. Il vecchietto alla fine dice all’uomo che sta segando:“Ragazzo, ti sei accorto che stai segando con una sega conla lama smussata? Così andando, non finirai neppure do-

mani sera! Smetti di segare, e affila questa dannata lama!” Ma l’uomo, senza smettere, gli risponde: “Non posso smet-tere per affilare la sega! Sono troppo occupato a segare que-sto maledetto albero!”

Parole chiave e gadget per stimolare l’interattivitàMisurare l’efficacia di ogni azione di comunicazioneo di formazione è sempre difficile, perché non riescia definire indicatori di misura del cambiamento deicomportamenti che è un po’ lo scopo di ogni azionesia di comunicazione interna che di formazione inazienda. Ci siamo limitati a creare un piccolo gioco diinterattività per misurare il tasso di utilizzo dello stru-mento a seguito dell’invio.Abbiamo inserito nelle sigle di chiusura di ogni pun-tata del cd delle parole chiave che abbiamo chiesto diinviare per posta elettronica, promettendo ai più ra-pidi “un premio utile per il lavoro e la famiglia” (unachiavetta Usb da 1 giga). Abbiamo ricevuto nel primomese circa un centinaio di messaggi, quinti un tassodi risposta di quasi il 10%. Ne riportiamo alcuni di se-guito, a mo’ di conclusione.Ovviamente le parole-chiave avevano un senso sia re-lativamente alla puntata che chiudevano sia a quellache precedevano, sia nella loro sequenza: davano insintesi il senso del colloquio annuale. Relazione, ascol-tare, storia, motivazione, autoironia.

I messaggi (dal sito intranet dedicato al cd di audio-formazione(5))

21 dicembre. Messaggio da un venditore“Curioso come sono, ho ascoltato subito questo cd in macchinacon tutta la mia famiglia mentre ci recavamo a cena, mia mo-glie e i miei due bambini di 13 e 10 anni.Premetto che abbiamo da subito riso della forma ‘artigiana-le e narrativa’ di questo racconto.Sicuramente alcuni aspetti e terminologie prettamente lavo-rative non erano per loro direttamente comprensibili ed eccol’aspetto più interessante che emerge… nello spiegare il sen-so di alcuni racconti abbiamo parlato e fatto molte riflessio-ni utili a tutti, proprio a tutti, a me come persona che operain un contesto di grande multinazionale e a loro nel conte-

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(5) Note tecniche. Il cd è stato distribuito tra il 19 e il 20 dicembre a tut-ta la popolazione aziendale coinvolta nel colloquio annuale, ovvero piùdi 1.100 persone in una dozzina di sedi. Dotato di una semplice coperti-na, con un messaggio del Direttore risorse umane che accennava al con-testo aziendale in cui l’operazione si collocava: il Piano di Formazione,l’Asse del Piano di Progresso aziendale, l’obiettivo dell’asse di crescerecon le persone valorizzandone i talenti e le diversità, il titolo del cd.

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sto di classe e a tutti insieme come famiglia.Ogni occasione è buona, per riflettere e migliorarsi.Ma il vero motivo di questa nostre e-mail (mia e dei miei bim-bi) è… VINCERE IL PREMIO, perciò ecco le parole nasco-ste. (…)Ah, dimenticavo… Auguri di un sereno Natale e di un fan-tastico 2007.”

21 dicembre. Messaggio da un product-manager“Vorrei fare i complimenti per il cd realizzato, sia come strumentodi comunicazione e soprattutto come esposizione.A mio parere mi ha toccato profondamente e mi ha trasmesso tan-ti messaggi, che a volte sono scontati ma alla fine mi hanno da-to la possibilità di soffermarmi e riflettere nella mia persona e for-se anche nei comportamenti dei miei colleghi (…anche amici).Inoltre mi ha coinvolto molto al punto di promettermi di riascoltarloun’altra volta (magari nei prossimi giorni).”

22 dicembre. Messaggio di uno specialista di comunicazione“Simone, Matteo,solo poche righe per complimentarmi della splendida realiz-zazione ‘artigianale’.Ricevuto il cd con molta curiosità e, ammetto, anche un po’di sospetto, fin dai primi minuti di dialogo, si apprezza l’ap-proccio insolito ma estremamente facile a concetti molto ‘osti-ci’, giusto per continuare sulla linea…Un particolare apprezzamento per la scelta della colonna so-nora!”

22 dicembre. Messaggio di un progettista“Bello, ma potresti mettere a disposizione i testi (magari an-che con i titoli delle canzoni, alcuni dei quali mi sfuggono)?Sono interessanti, ma li ho trovati un po’ difficili (‘parli co-me un libro stampato’).Per una completa comprensione, ci vogliono sicuramente piùascolti, e il tempo non sempre c’è, forse leggendo…Ci sono spunti di riflessione e idee da valutare ma, alcunevolte, siete stati un po’ fuori dalla realtà di tutti i giorni (ilfile con le cose fatte da sottoporre al capo per esempio) dove,soprattutto adesso dove le strutture sono ridotte all’osso e lavelocità con la quale si lavora è frenetica, si fa fatica a teneretutto sotto controllo come, magari, si vorrebbe.”

27 dicembre. Messaggio di un gestore commesse“Innanzitutto desidero porgere i complimenti a Simone e Matteoper la lodevole iniziativa.Devo dire che, superato un primo momento di scetticismo, lacuriosità ha avuto il sopravvento ed ho ascoltato il cd, an-che se in modo discontinuo.Devo anche confessare che i contenuti, seppur resi piacevo-li all’ascolto da storielle e pause musicali, mi sono risulta-ti un po’ ‘ostici’ in quanto lo ho trovati ‘a volte’ un po’ pro-lissi, dispersivi e poco attinenti con le conclusioni della par-te finale.Vorrà dire che dovrò riascoltarlo altre volte per una miglioreassimilazione…A livello generale, nel contesto in cui lavoro, l’iniziativa nonè piaciuta per nulla a quei ‘collaboratori’ che da uno o dueanni non effettuano il colloquio annuale, a causa per esem-pio di cambi organizzativi; così come ha trovato scetticismoe delusione in quei collaboratori che non hanno ricevuto i pro-messi ritorni dai colloqui o che si aspettavano i decantati col-loqui di valutazione intermedi.Da considerare anche il fatto che, negli stessi giorni, sono sta-te rese note alcune importanti evoluzioni organizzative de-correnti dal 1° gennaio, cosa che certo non giova alla rela-zione/comunicazione e alla motivazione delle risorse umane,che vede e vive il distacco tra la teoria di quanto viene pro-messo e decantato con la realtà di ogni giorno.Con i migliori auguri di buon anno…”

Conclusione. Per valutare l’operazioneAbbiamo contribuito allo sviluppo organizzativo?Abbiamo reso il colloquio annuale un momento ef-fettivo di ri-allineamento delle operazioni e di con-fronto su performance e obiettivi individuali? Per oranon possiamo dirlo: verificheremo al termine del pe-riodo dedicato in azienda. Possiamo dire con più cer-tezza che abbiamo contribuito alla creazione dell’i-dentità aziendale, in quanto abbiamo dato voce a ciòche succede, a ciò che le persone vivono dal loro pun-to di vista, agli obiettivi che la direzione pone sul col-loquio di valutazione annuale. Abbiamo esplicitato ilnon-detto in un momento preciso della storia del-l’organizzazione.

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Appropriazione indebitaL’“agire comunicativo” così come lo abbiamo definito a par-tire dalla riflessione di Jürgen Habermas (Habermas, 1981;Lyytinen, 1999); l’“agire formativo”, intendendo come for-mazione un approccio attivo che deriva dalle metodologie del-l’attivismo pedagogico (Dewey, 1932) e del costruttivismosociale (Brunner, 1990, Papert, 1980, 1993, 1999, Gard-ner, 1983); l’“agire organizzativo”, inteso come forma ristrettadell’agire comunicativo che può essere applicata all’internodei contesti aziendali... ammetto che anch’io anni fa scri-vevo così, bisognoso di legittimazioni e teso all’imi-tazione dello stile di autori che apprezzavo. Ma ora non riesco più a leggere pagine siffatte. Farciredi citazioni e riferimenti uno scritto, avendo a di-sposizione il web, è diventato un gioco da ragazzi.Spero che non vi appaiano farcite di citazioni que-ste pagine che state per leggere: che senso ha parla-re di quotidianità, di vita spesa lavorando, degli affettie delle sofferenze che costellano le nostre giornate,che senso ha parlarne da lontano, con austero e giu-dicante sguardo professorale? Meglio, molto meglio il caldo, emotivo racconto dichi quelle vicende le vive quotidianamente. Meglio, molto meglio lo storytelling. Ma è impossibile non notare la contraddizione. Daun lato sosteniamo l’importanza delle storie, delle nar-razione, dei racconti. Da quell’altro imbalsamiamoquesti caldi testi - barzellette, storielle, lettere, au-tobiografie. Li imbalsamiamo incapsulandoli in uncontesto accademico, e sussumendoli a una defini-zione tecnica, espressa in inglese. Notate come im-pongono differenti contesti percettivi il termine in-glese storyteller e il termine italiano cantastorie. Lo story-telling, forse perché ci viene dall’America, attraversoaccreditati saggi e articoli pubblicati sulle riviste giu-ste, ci pare un serissimo approccio, degno di trova-re posto nel quadro di quella disciplina che ci piacechiamare management. Il cantastorie ci pare appar-tenere a tutt’altro contesto. Eppure solo se pensiamo a qualcosa di apparente-mente remoto, ma vivo, come il cantastorie, possia-mo avvicinarci in modo concreto e sensato allo story-telling (prometto di usare qui per l’ultima volta story-teller e storytelling).

Brevi tracce di letteratura, o apologia del cantastorie Il fatto che si prenda per buono un approccio, e sistia qui a discuterne, perché così hanno già fatto stu-diosi stranieri considerati autorevoli esponenti diquella pseudodisciplina che è il management, mi ap-pare umiliante. Che ci siano arrivati anche questiesperti, buon per loro, ma io penso che valga la pe-na di guardare a fonti più serie.Pensiamo alla narrazione orale, alla tradizione po-polare, al folklore, al passaggio attraversato dalla let-teratura, in ogni contesto linguistico e geografico.Il narratore è un bardo, un rapsodo (“colui che cu-ce il canto”). Non è il “proprietario” della cono-scenza contenuta nella narrazione. Lui, di fronte auna conoscenza comune, nella quale la collettivitàsi riconosce, non fa altro che rielaborarla, aggiun-gendo il contributo della sua soggettività, e orga-nizzarla in funzione di un contesto, di un pubblico,di una situazione. Ho visto all’opera cantastorie inAmerica Latina, ma non consideratela una cosa eso-tica: anche da noi cent’anni fa i cantastorie eranoancora fondamentali fonti di intrattenimento e diinformazione. Non pensate nemmeno che si tratti di una manife-stazione legata al contesto marginale e minoredell’“arte popolare”. Omero era un cantastorie. Daibardi, dai trovatori e dai giullari discendono i mo-derni poeti e romanzieri: Ariosto e Cervantes non fan-no altro che rielaborare materiali tradizionali. Comunque, restando all’oggi, è interessante vederecome l’evoluzione dal cantastorie al poeta e al ro-manziere è visibile oggi sotto i nostri occhi, nelle let-terature del cosiddetto Terzo Mondo. Lì convivonocantastorie e romanzieri, e si danno la mano, anzi,si passano di mano in mano i loro testi.Gabriel García Márquez è un caso esemplare. Nonha fatto altro che ripresentare con la moderna eti-chetta di “romanzo” - prodotto offerto al pubblicoattraverso quel “nobile” supporto che è il libro - i con-tenuti erano quotidiano oggetto di esibizione dei can-tastorie colombiani. Dettaglio non trascurabile,sempre ricordato dallo stesso García Márquez, nonsi trattava di cantastorie qualsiasi: le storie che lui ci

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L’organizzazione come rete di storie e lo storytelling come furto

di Francesco Varanini

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narra non sono altro che i racconti che ascoltava nar-rare da sua nonna.(1)

Zolle, gomitoli e terre incogniteLe narrazioni sono importanti per ogni popolazione.Sono importanti per i conterranei di García Márquez,per gli abitanti di qualsiasi villaggio e di qualsiasi me-tropoli. Per i lavoratori di qualsiasi azienda. Per noi che viviamo nelle organizzazioni, o comunquedi sforziamo di capire come e perché le organizzazionifunzionano, la necessità della narrazione è partico-larmente evidente. Il motivo è il seguente: le metafo-re meccaniche - tipica metafora: un immenso orolo-gio, sistema perfettamente regolato di ingranaggi - oorganicistiche - la stessa metafora del corpo umano, fat-to di organi specializzati, ci suona insufficiente - ci ap-paiono del tutto inadeguate a descrivere la realtà cheabbiamo sotto gli occhi. Non possono certo bastare pro-cedure informatiche e disposizioni operative, descri-zioni di processi, organigrammi, mansionari. Il mondo, anche il mondo in apparenza regolato daun “modello organizzativo”, o da “leggi economiche”,ci appare come un agglomerato informe. Pensiamo allatino glomus, “gomitolo”. Un “groviglio, o garbuglio, ognommero, che alla romana vuol dire gomitolo”, fa dire Gad-da al commissario Ingravallo. Non deve meravigliarci che da qui discenda globo, equindi globalizzazione. Lo scenario è sempre più evi-dentemente complesso, “mucchio”, “ammasso”, “mol-titudine”, a un primo sguardo informe. Glomeratus: “me-scolato”, “impastato”. In origine sta l’idea di una mas-sa di terra. Come leggere questo testo - tessuto, intreccio- informe, in apparenza illeggibile? Torniamo all’eti-mologia e seguiamo allo stesso tempo il ragionamen-to di Gadda. In origine gleb -, una radice attestata in Italia e nelle areegermanica, baltica e slava, che ci parla di “afferrare (unazolla di terra)”.(2) Colgo questa metafora: ciò che è af-ferrabile è solo una zolla di terra, e la speranza, il ge-sto sul quale si basa la conoscenza, sta nel fatto che quel-la zolla che - in apparenza per caso - ho preso in ma-no, mi racconti la storia di tutto quel terreno. Ora, que-sto è esattamente il senso originario di plot. Plot, l’e-spressione inglese, malamente traducibile in italiano

con “trama” o “intreccio”, sta in origine proprio per“small piece of round”. Anche qui: piccolo pezzo di ter-ra, zolla. Non mi interessa qui tirare tutte le fila del discorso. Delresto, la stessa idea di poter tirare tutte le fila del di-scorso è fallace. La “trama”, il tessuto di ogni testo (an-che dei testi dei grandi autori), così come la realtà del-le organizzazioni che abbiamo sotto gli occhi, anchedelle organizzazioni migliori) ci appaiono lontane dal-la perfezione. Ci è più utile qui la metafora del gomitolo - il gomi-tolo viene prima del tessuto. E dietro il gomitolo, ab-biamo visto, la massa informe, metafora ancestrale. DiceGadda, parlando del metodo di indagine del com-missario Ingravallo: lì, in quella massa informe, cao-tica, si può scoprire “un vortice, un punto di depressioneciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospi-rato tutta una molteplicità di cause convergenti.” (3)

Chi vuole, leggendo, si può divertire a completare ilquadro che ho sommariamente tracciato: stiamo par-lando dell’organizzazione sottesa che Borges coglievanella Biblioteca di Babele, stiamo parlando di ciò chela teoria delle catastrofi chiama frattali - la zolla, in sca-la diversa, rappresenta tutto il terreno - stiamo parlandodi ciò che la teoria del caos chiama “attrattori strani”,stiamo parlando di algoritmi genetici, di automi cel-lulari. Stiamo parlando di quella chiave di lettura cheGoethe chiamava “forma formante”. Ma in fondo basta qui ricordare che stiamo parlandodi come, di fronte alla complessità delle organizzazioni,di fronte a questa realtà non descrivibile in termini “di-gitali”, “discreti”, orientati all’esattezza e all’esaustività,non resta che la via del racconto. Il “mondo” incognitopuò essere descritto solo per come ci si mostra: vediamosolo labili tracce, segnali deboli. In aneddoti, barzel-lette, piccoli fatti quotidiani sta il plot. Quell’evento inapparenza irrilevante è il vortice verso il quale cospi-rano le cause convergenti. Ciò che non può essere de-scritto altrimenti può essere narrato. C’è un arte con-divisa da poeti, romanzieri, musicisti, e anche dalle per-sone che, in una pausa del lavoro, si riuniscono attornoalla macchinetta del caffè. Sanno vedere nella massainforme il gomitolo, sanno quale filo tirare. Sanno co-gliere il plot emergente, e attorno a questo costruireuna narrazione. Sanno dare senso al vissuto quoti-diano.(4)

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(1) Rimando, per un più compiuto sviluppo di questo ragionamento, eper i riferimenti bibliografici, a Varanini, 2004. Un approfondito esame divizi e virtù di Gabriel Garcìa Màrquez si trova in Varanini, 1998.(2) Vedi la voce “Globalizzazione” in Varanini, 2006.(3) Gadda, 1957.(4) Per un’articolata riflessione sull’accettazione e sulla lettura della com-plessià organizzativa, vedi: Varanini e Bocchi, 2004.

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Chi aggiunge e chi toglieHo detto che c’è qualcosa che accomuna il poeta, ilromanziere, l’artista e il lavoratore che narra e ascol-ta storie. I testi di poeti e romanzieri costituiscono una rete chechiamiamo “letteratura”. Analogamente, possiamo di-re che e organizzazioni sono anche - o soprattutto -reti di storie. Storie “scolpite” in software procedure“ufficiali”, ma anche - o soprattutto - storie perse nelrumore nella mensa, nascoste nei cassetti, sintetizza-te in barzellette e soprannomi. Storie orali e scritte,storie intrecciate, slabbrate, dai confini sfumati, fittedi rimandi. Storie non sempre facili da scoprire e dacomprendere.Detto di poeta, romanziere, e di lavoratore narrato-re di storie, dobbiamo ora dire di altre figure sociali,il cui contributo alla rete della conoscenza è assai piùdubbio.Barbara Czarniawska, meritevole autrice del testo for-se più interessante di questo filone, Narrating the Orga-nization,(5) pone il modo chiaro la questione: visto chesi tratta leggere e interpretare narrazioni, il manager,lo specialista in risorse umane, il consulente, tutti co-storo dovrebbero oggi avere competenze vicine e quel-le del critico letterario, o del semiologo. Per Czarniawska, Umberto Eco è un punto di riferi-mento. Seguiamo dunque l’evoluzione del pensierodi questo celebrato intellettuale. In tempi ormai lon-tani ci aveva stupito parlandoci di Opera aperta. Andan-do contro il nostro conformismo ci aveva detto chel’opera non è dell’autore, che in fondo non esiste:l’autore scrive sempre rimaneggiando testi altrui.L’opera non può essere sigillata e chiusa: è sempresoggetta ad interventi, aggiunte, elaborazioni, inter-pretazioni. Così, appunto, sono le storie aziendali: di tutti e dinessuno, opera mai terminata, aperta a contributi eaggiunte e rielaborazioni. Aggiungiamo che questo, se era già vero quando Ecoscriveva, negli anni sessanta, è ancora più vero oggi:la tecnologia rende più facile ed evidente la possibi-lità di aggiungere, condividere. Pensiamo a come puòessere rimaneggiato ogni testo (a cominciare da quel-lo che ora sto scrivendo) quando si disponga non so-lo di un testo stampato, ma della sua versione in Word.O ancora, pensiamo a come facilitano la diffusione ela condivisione di storie l’e-mail e il web - luogo di scrit-tura collaborativa.Ma Eco negli anni settanta era anche andato oltre: ave-va sottolineato l’importanza delle “decodifiche aber-ranti”. Ciò che rispetto a una norma data a priori puòapparire “aberrazione”, errore, è in realtà nuova ric-chezza emergente: il lettore è sempre anche autore,leggendo, dal suo peculiare punto di vista, contribuisce

al lavoro creativo dell’autore. Il testo è un luogo di in-contro. Dove sta il problema? Sta nel fatto che se la mia in-terpretazione non vale più della tua, cade la base ma-teriale sulla quale si fondano l’identità professionale,il potere, il guadagno di chi fa l’interprete di profes-sione. Di Umberto Eco, come di ogni consulente au-torevole interprete di “narrazioni aziendali”.Ecco così che Eco, trent’anni dopo anni dopo averscritto di opere aperte e di interpretazioni aberranti, apartire dagli anni novanta viene a parlarci di “limitidell’interpretazione”. Ci fa sapere che c’è una interpretazione semantica, cherisponde alla semplice domanda: ‘cosa vuol dire que-sto testo?’. Bontà sua, Eco concede che questa inter-pretazione è accessibile a chiunque, anche a noi ta-pini, poveri mortali lettori. Ma poi, aggiunge saccen-te, c’è una interpretazione semiotica: “capire e spiegare co-me è possibile che il testo dica quello che dice”. Naturalmentequesto secondo, più alto livello di interpretazione, èaccessibile solo agli specialisti. Che dunque sarebbe-ro ancora e sempre di più necessari.(6)

Ecco così legittimato il ruolo di editor di case editri-ci, recensori, critici letterari: figure non troppo lon-tane da quella di censore. Di questo potrebbe im-portarci poco, in questa sede. Ma Czarniawska, con ra-gione, vede l’analogia tra il ruolo del critico lettera-rio, interprete di un testo scritto, e quella del consu-lente che interpreta quel testo che è l’organizzazio-ne. Ecco così legittimato il comportamento di quei pro-fessori e di quei consulenti che teorizzano l’importanzadelle learning history e, in genere, delle narrazioni azien-dali, ma poi pretendono di imporre lo stile e un ri-gido formato, già scandito in paragrafi, a chi scrive lestorie, la propria storia. Ecco così legittimato l’atteg-giamento di chi impone uno schema anche a chi scri-ve la propria autobiografia, e anzi fonda una scuolaper raccoglitori professionali di autobiografie altrui.

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(5) Czarniawska, 1997.(6) Umberto Eco, 1962: il libro, raccolta di saggi precedentemente usci-ti in riviste, ha vissuto vicende editoriali complesse: è stato più volte rie-dito in versioni via via modificate; l’ultima nel 1976. Eco, 1975. Eco,1990.

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Alienazione Ma a noi, cosa ci importa di qualcuno che ci spieghicon parole complicate perché quel testo ci convincee ci commuove? Quello che vale per la mediazione deicritici letterari che pensano loro diritto/dovere direagli altri cosa leggere, e come leggere, vale per i con-sulenti che ci dicono che le storie che raccontiamo so-no importanti, ma contemporaneamente ci conside-rano incapaci di raccontarle. Lasciamo perdere i dotti e arzigogolati ragionamen-ti degli interpreti, lasciamo perdere libri di manage-ment che ci vengono a dire con parole difficili coseche sappiamo benissimo. Sappiamo benissimo che l’organizzazione è una retedi storie, il luogo di incontro di donne e uomini chesi sono incontrati e conversando mettono insieme etengono insieme, sulla basa di un incontro vero, unloro linguaggio vero.(7)

Weick ha scritto bei libri sul “dare senso” e sul “sen-so comune”, ma in fondo i suoi libri non servono al-tro che a farci tirare un sospiro di sollievo. Siccomelavorando sembra che ci si debba adeguare a model-li esterni, che spesso ci risultano insensati, e che peròvalgono in virtù della fonte - quel manager, quella so-cietà di consulenza, quel teorico del management - perfortuna ecco qualcuno che, pur sempre parlando dalpulpito, ci dice una cosa sensata, una cosa che ap-punto, nel nostro buon senso, davamo anche per scon-tata. Ma con questo, almeno in Italia, Weick non aggiun-ge nulla, e invece toglie qualcosa. Dicevamo buon sen-so, dicevamo “parla come mangi” e adesso per essereup to date, à la page - sempre espressioni straniere, lon-tane dal senso comune - dobbiamo parlare di sense-making. Così il sensemaking etichettato Weick, un sen-semaking divenuto astratto, modellato secondo quan-to descritto in un libro, impedisce il sensemaking “pra-tico” e quotidiano che regolava spontaneamente le re-lazioni tra colleghi.(8)

C’è un bel paradosso in tutto questo, anzi una con-traddizione: la contraddizione esposta all’inizio di que-sto scritto. Si dà senso al mondo narrandolo. Il lavo-ratore lo sa bene: “parlare di quello che si fa” è im-portante tanto quanto “fare le cose”. La narrazioneha uno scopo autoterapeutico, è fonte di socializza-zione. L’organizzazione è una rete di storie: se le per-sone al lavoro smettessero di scambiarsi informazio-ni al di fuori di procedure, nessuna azienda funzio-

nerebbe. Se i lavoratori smettessero di conversare tradi loro - su temi inerenti al lavoro, ma non solo - l’”an-dare a lavorare” perderebbe senso.Qualcuno, ora, ci viene a dire che queste narrazionisono importanti. Lo sapevamo già. Lo sapeva ogni la-voratore. Ma ora, essendo riconosciuta l’importanzadi queste narrazioni da parte di chi prima non se neera minimamente occupato, si assiste a un tentativodi normalizzarle e di espropriarle: ed ecco lo scheminoper scandire in capitoli la storia, il manuale per stan-dardizzare le autobiografie, il libero flusso del raccontoingabbiato in un questionario. Regole di stesura deltesto prive di qualsiasi originalità, oltretutto, ma pre-sentate in libri e in articoli con tanto di nota a difesadel copyright. Non ci si preoccupa di come per la per-sona sia difficile e significativo accettare di condividerecon un terzo estraneo il proprio narrare. E ci si preoc-cupa invece che quel narrare sia normalizzato, pre-disposto per l’uso che il terzo estraneo vorrà farne: lasua ricerca, il suo articolo, il suo libro.Non voglio rinunciare a chiedermi come apparirà agliocchi di chi ha scritto una storia, quella stessa storiacompressa in una forma che le è estranea, inglobatanel testo firmato da un illustre studioso. La scrittura è per chi scrive è una oggettivazione, mavita che egli ha dato all’oggetto - quando l’oggetto èespropriato - gli si contrappone ostile ed estranea.

Pars construensTutto, secondo me, dipende dalla hybris, dall’arro-ganza con la quale si rielabora il materiale altrui. Hodetto di come ogni testo è una rielaborazione di untesto precedente. Ma il problema qui è che il teori-co dello storytelling resta chiuso in un atteggiamen-to di superiorità: gli autori delle narrazioni non so-no da lui riconosciuti come autori, ma solo come for-nitori di grezza materia prima. È la prosecuzione, in altro contesto, di un modo diintendere le relazioni sociali che troppo spesso si ma-nifesta nell’aula di formazione. Il formatore non rie-sce a fare a meno di pensare: io sono colui che inse-gna, tu stattene lì buono nel tuo ruolo di discente.

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(7) Vedi Giuseppe Varchetta, Introduzione a Weick, 1997.(8) Per riflettere sul dare senso al lavoro, inteso come esperienza quoti-diana, più di Weick consiglierei due libri diversissimi tra loro: Berger eLuckmann, 1966 e Varela, Thompson, Rosch, 1991.

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Quando, in incontri con altri formatori o consulen-ti, accenno all’idea della rete di conoscenze - una re-te alla quale tutti contribuiamo - incontro sempre col-leghi che regiscono piccati: “Ma come, faccio questo la-voro da trent’anni”; “Non siamo tutti uguali” (dove è im-plicito “Io sono migliore”). Nessuno mette in dubbio lecompetenze, le capacità e le conoscenze di chi ha an-ni di professione alle spalle (anche se un po’ di au-tocritica non guasterebbe). Ma resta incontestabile un dato di fatto: tra le personeche ho di fronte, e che stavolta partecipano a un in-contro che mi vede nel ruolo di docente, tra questepersone c’è certamente qualcuno che su un altro qual-siasi tema potrebbe “dare lezione” a me. E ancor piùincontestabile resta un altro dato di fatto: almeno suun tema l’altro sarà più esperto: la sua vita. Credo che l’atteggiamento arrogante, consapevole omeno, nei confronti della produzione dell’altro, siauna discriminante fondamentale. Si può lavorare meglio. E condividere le reciprochescritture è un modo per farlo. Ma si possono condi-videre le reciproche scritture solo se si tiene lontanada noi l’ansia e l’irritazione. Il rispetto per se stessiva di pari passo alla considerazione per gli altri. Uncomprensivo interesse, la confidenza, la fiducia, so-no requisiti necessari per lavorare rispettosamente ecostruttivamente sui testi prodotti da altri. L’“autore tradizionale” - il bardo, il trovatore, il can-tastorie - e cioè l’autore precedente alla fase borghese,che ha visto trasformata la scrittura in una lotta perl’affermazione della proprietà del testo - “diritto d’au-tore”, “copyright” - l’autore tradizionale, non si na-scondeva, ma nemmeno ostentava il proprio ruolo,era orgoglioso della propria opera, ma non arrogante.Sempre consapevole di non aver fatto altro che ela-borare materiali preesistenti. Per questo, pur consa-pevole del proprio apporto, spesso sceglieva consa-pevolemente l’anonimato.Chi lavora su narrazioni aziendali, credo, dovrebbemantenersi vicino a questo atteggiamento.Chiudo ricordando alcune esperienze personali. Il sito www.bloom.it, la rivista Persone & Conoscenze (edi-ta dalla stessa casa editrice di Sviluppo & Organizza-zione), la collana Virus (edita da Guerini & Associati)si propongono come luoghi destinati a dare spazioa narrazioni. Per non nascondermi dietro un dito, segnalo due ti-toli della collana Virus che esemplificano il mio pun-to di vista. L’Educazione sentimentale del manager, di Lauro Venturi,è scrittura autobiografica libera da vincoli. Un giovane,sulla soglia tra l’adolescenza e l’età adulta, raccontase stesso a se stesso, in un diario. Trent’anni dopo,quando riprende in mano quelle privatissime pagi-

ne, è diventato un manager. Giusto chiedersi cosa le-ga queste due persone. Giusto chiedersi come si cam-bia, ma anche in quali radici affondi la nostra eticadel lavoro.(9)

Ti sembra facile. Il Bpm e il workflow della biancheria do-mestica è un opera collettiva, scritta da trenta perso-ne impiegate in ruoli diversi - da dirigente a tecnicoa segretaria - presso Tsf, una importante azienda diservizi informatici. Opera collettiva, perché frutto diun accurato lavoro di gruppo: selezione dei testi e re-visioni incrociate, scelte condivise per titoli e orga-nizzazione complessiva del testo. Ma anche opera do-ve l’individualità è pienamente rispettata: ognuno sce-glie il suo genere letterario, dal racconto ala poesiaal fumetto. Per ognuno, e per il gruppo nel suo in-sieme, e per l’azienda che ha scelto di vivere questoprogetto, è un “lavoro su di sé”, un sofferto allonta-namento dall’autocensura. L’organizzazione, di so-lito, ci chiude in un ruolo. Ma chiusi nel ruolo nonpossiamo dare all’organizzazione il contributo che sa-remmo in grado di dare. La censura imposta dall’or-ganizzazione alla manifestazione delle potenzialità in-dividuali finisce per tradursi in autocensura. Convintiche non avremo spazio, si finisce per non provarcinemmeno. Purtroppo, a ben guardare, nel proporre di “rac-contare storie” imponiamo in realtà una censura: “puoiraccontare di te, ma solo nel modo che dico io”. Ritengo sipossa agire altrimenti: si può lavorare con le perso-ne stimolando la loro libertà espressiva. Se si ragio-na insieme attorno all’atteggiamento del critico let-terario, del recensore, e si mostra come in questo ruo-lo si annidi il tarlo della censura, si favorisce l’ab-bassamento della soglia dell’autocensura. Se svelo isegreti del mio rapporto con la scrittura, aiuto l’al-tro a dare valore al suo personale rapporto con la scrit-tura. Così, vedrete, persone inattese tireranno fuoridal cassetto, prima timidamente e poi con orgoglio,le cose che hanno scritto. E attorno alla scrittura ve-dremo lavorare insieme persone fino ad allora divi-se da differenze di ruolo, o da ostilità.(10)

Personalmente, credo di poter stimolare altri a scri-vere, e a dare valore ai propri scritti, solo perché misento scrittore. Non perché sono socialmente rico-nosciuto come scrittore: questo non importa. Importail rapporto tra scrittura e autobiografia. Ognuno haun’autobiografia, e ha il diritto a narrarla. Così ho fat-to, per me stesso, quando, non potendo farmi altri-menti ragione della situazione di angosciose situazioni

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(9) Venturi, 2005.(10) AA.VV., 2005.

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di lavoro che stavo vivendo, mi sono trovato a espri-mermi in versi.(11)

Credo che ci sia una bella differenza tra il parlare disé, mettendosi in gioco, lasciandosi vedere, e il rac-cogliere e l’incasellare con atteggiamento giudican-te le parole scritte da altri.

BIBLIOGRAFIA

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(11) Il mio punto di vista sulla scrittura intesa come chiave di lettura “et-nografica” delle organizzazioni è esplicitato (con ampia bibliografia) inLa restituzione poetica, 2003.

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