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Subiaco, il Monachesimo Benedettino agosto 2011 pag. 44 DEGNATI, PADRE Degnati di concedermi, Padre buono e santo, un’intelligenza che ti comprenda, un sentimento che ti senta, un animo che ti gusti, una diligenza che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, uno spirito che ti conosca, un cuore che ti ami, un pensiero che sia rivolto a te, un’azione che ti da gloria, un udito che ti ascolti, degli occhi che ti guardino, una lingua che ti confessi, una parola che ti piaccia, una pazienza che ti segua, una perseveranza che ti aspetti, una fine perfetta, e la tua santa presenza, la resurrezione, la ricompensa e la vita eterna. San Benedetto da Norcia Subiaco, il Monachesimo Benedettino agosto 2011 pag. 1 Arezzo DESCRIZIONE Arezzo sorge su una collina nella Toscana orientale a ridosso dell'Appennino Tosco- Romagnolo. Come testimonia l'architettura stessa della città, vanta un'origine antichissi- ma che l'ha vista essere una delle maggiori città etrusche e successivamente una strate- gica città romana. La parte più elevata della città conserva uno spiccato aspetto medieva- Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo ad Arezzo entro le ore 10.30 Ore 12.30 (pranzo al sacco) Arrivo a Subiaco prima di cena Serata: visita alla città FORESTERIA SANTA SCOLASTICA , 0774/85569 - 3486537743 - E-Mail [email protected] Giovedì 18 agosto

Pellegrinaggio - Subiaco - San Benedetto

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Pellegrinaggio 2011 - Subiaco - San Benedetto.Visita Arezzo, Alatri, Certosa di Trisulti e Abbazia di Casamari.Subiaco: Monasteri di Santa Scolastica e San Benedetto (Sacro Speco)

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DEGNATI, PADRE

Degnati di concedermi, Padre buono e santo, un’intelligenza che ti comprenda, un sentimento che ti senta, un animo che ti gusti, una diligenza che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, uno spirito che ti conosca, un cuore che ti ami, un pensiero che sia rivolto a te, un’azione che ti da gloria, un udito che ti ascolti, degli occhi che ti guardino, una lingua che ti confessi, una parola che ti piaccia, una pazienza che ti segua, una perseveranza che ti aspetti, una fine perfetta, e la tua santa presenza, la resurrezione, la ricompensa e la vita eterna.

San Benedetto da Norcia

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Arezzo DESCRIZIONE

Arezzo sorge su una collina nella Toscana orientale a ridosso dell'Appennino Tosco-

Romagnolo. Come testimonia l'architettura stessa della città, vanta un'origine antichissi-ma che l'ha vista essere una delle maggiori città etrusche e successivamente una strate-gica città romana. La parte più elevata della città conserva uno spiccato aspetto medieva-

Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo ad Arezzo entro le ore 10.30 Ore 12.30 (pranzo al sacco) Arrivo a Subiaco prima di cena Serata: visita alla città

FORESTERIA SANTA SCOLASTICA, 0774/85569 - 3486537743 -

E-Mail [email protected]

Giovedì 18 agosto

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le, dominata dalla Cattedrale e dalla Fortezza Medicea. La Cattedrale, che presenta nel suo aspetto tratti gotici, custodisce pregevoli opere d'arte tra le quali La Maddalena di Piero della Francesca e le vetrate istoriate di Guillaume de Marcillat. Al centro della città Piazza Grande dispiega una vera antologia di stili architettonici. Accanto alle torri medieva-li, si ergono l'imponente Loggiato Vasariano, una delle più interessanti opere architettoni-che rinascimentali; il Palazzo della Fraternita dei Laici, bell'esempio di sintesi di architettu-ra gotica e rinascimentale e l'abside della Pieve di Santa Maria. Piazza Grande, il penul-timo sabato di giugno e la prima domenica di settembre, diventa lo scenario della Giostra del Saracino, torneo cavalleresco di origini medioevali. La stessa piazza e gran parte del centro storico ospitano, ogni prima domenica del mese ed il sabato precedente, la Fiera Antiquaria. La cappella Bacci nella Basilica di San Francesco accoglie lo straordinario ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca, una delle più alte testi-monianze della pittura rinascimentale italia-na. Nella Chiesa di San Domenico, semplice costruzione a navata unica, si conserva la croce dipinta di Cimabue, opera giovanile dell'artista. Molte altre chiese e palazzi testi-moniano con la loro bellezza e la loro origina-lità stilistica la civiltà aretina e la sua impor-tanza nelle varie epoche storiche. Ricordiamo tra queste la Badia delle Sante Flora e Lucilla, la Chiesa della Santissima Annunziata, edifici come Palazzo Pretorio e Palazzo dei Priori, e a qualche minuto fuori le mura della città, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Pieve romanica di Sant'Eugenia al Bagnoro. I musei della città offrono ai visitatori la possibilità di ammirare una varietà di beni di inestimabile valore artistico: il Museo Archeologico Gaio

Cilnio Mecenate, il Museo Statale d'Arte Me-dioevale e Moderna, il Museo e Casa Vasari, la Casa Museo Ivan Bruschi e il Museo Dioce-sano. ANFITEATRO ROMANO

L'anfiteatro romano di Arezzo è un sito arche-ologico di epoca romano realizzato ad Arezzo, situato nella zona meridionale della "città murata", è accessibile da Via Margaritone e da Via F.Crispi. Realizzato tra la fine del I e l'inizio del II secolo d.C. con blocchi di arena-ria, laterizi e marmi, presenta una forma ellit-tica, a due ordini di gradinate. L'asse maggio-re misura 121 metri; la capienza raggiungeva, presumibilmente, gli 8.000 spettatori. Ripetu-tamente saccheggiato, nel corso dei secoli è

stato privato dei mate-riali più preziosi per eri-gere edifici di culto. An-cora visibili la platea e parte degli ambulacri. Sui resti dell'emiciclo sud è stato costruito nel XVI secolo il Monastero di San Bernardo, oggi sede del Museo Archeologico. PIAZZA GRANDE

La piazza grande di Arez-zo è lo scenario della Giostra del Saracino e della fiera antiquaria. Si apre nel cuore della città medioevale ed ha una caratteristica forma trapezoidale, adattata su un piano inclinato. La piazza risale al XIII secolo e subì la ristrutturazione più importante nel corso del XVI secolo, con l’abbandono e l’abbattimento di Palazzo del Comune e pa-lazzo del Popolo e la realizzazione del loggiato vasariano nel lato nord. Gli altri tre lati, dove le trasformazioni edilizie furono meno impor-tanti, ci permettono di ammirare una sintesi dell'architettura toscana dal Duecento al Settecento. Ai lati si ammirano dunque edifici e palazzi di carattere civile come Palazzo Lippoli e Palazzo Còfani, l'abside della pieve di Santa Maria, il palazzo del Tribunale e il palazzo della Frater-nita dei Laici.

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Sulla Piazza si aprono cinque vie. Via G. Vasa-ri, dove dal 1484 era situato il Monte di Pietà, con la scalinata di Vicolo dell'Arco; la Piaggia di San Martino, con resti di costruzioni medie-vali, Via Borgunto che conserva una casa-torre degli ultimi anni del XII secolo, Via Pe-scaia, con resti medievali inseriti nelle case, Via di Seteria abitata nel 1300 dalle botteghe dei setaioli. LA GIOSTRA DEL SARACINO

La prima domenica di settembre e la terza domenica di giugno (ma quest’ultima non è una data fissa) si svolgono l’edizione principa-le e l’edizione secondaria della Giostra del Saracino. Si tratta di un antico torneo cavalle-resco medievale ripristinato nel 1931 come rievocazione storica. Il primo documento aretino che menziona la giostra è del 1535, per cui le autorità cittadine ordinavano di giostrare "ad burattum" per solennizzare la festa del martire Donato, patrono di Arezzo. Il torneo si svolge nella piazza Grande prece-duto da evoluzioni equestri ed esibizioni degli Sbandieratori della città di Arezzo. I quartieri che si sfidano sono Porta Crucifera, Porta del Foro, Porta Sant’ Andrea e Porta Santo Spiri-to. La giostra consiste in lanciarsi al galoppo contro un automa corazzato armato di flagel-lo, raffigurante il saraceno "Buratto, Re delle Indie". Si tratta di un'evoluzione di un eserci-zio militare che vedeva un cavaliere armato di lancia affrontare un automa con le sembianze del nemico. La coppia di giostratori che nel colpire lo scu-do del Saracino realizza il maggior punteggio vince. Al Quartiere vincitore viene invece premiato con la "lancia d'oro". CINTA MURARIA E FORTEZZA MEDICEA

La fortezza medicea di Arezzo è un bell’esempio di architettura militare cinque-centesca, realizzata su direzione di Antonio da Sangallo il Giovane e Nanni Unghero tra il 1538 ed il 1560, per volere di Cosimo I de’ Medici. Si alza sul colle di San Donato, a 305 metri di quota, da dove si gode uno splendido panora-ma della città, nell’area occupata prima da

costruzioni del III-II secolo a.C. e poi dall’antica cittadella medievale, rasa al suolo per eliminare ogni impedimento al tiro delle bocche da fuoco. È una possente costruzione poligonale con impianto stellare a cinque punte, inserita magistralmente nella cintura muraria. La costruzione inglobò parte del forte a forma trapezoidale progettato da Giuliano e Antonio il Vecchio da Sangallo nei primi anni del Cin-quecento. Della precedente costruzione ri-mangono due baluardi del fianco est e alcuni tratti di cortina. I bastioni del fianco occiden-tale, del Belvedere, della Spina, della Diac-ciaia, e gli ambienti interni, risalgono alla nuova costruzione. Originariamente dotata di tre porte e circon-data da un ampio fossato, la fortezza rimase funzionante fino alla fine del XVIII secolo, quando venne parzialmente smantellata dai francesi. Fu restaurata nel 1868 e successiva-mente più volte rimaneggiata. Alla fine dell'Ottocento venne donata dal Conte Enrico Falciai Fossombroni al Comune di Arezzo. IL “PRATO”, PARCO FORTEZZA MEDICEA

Il parco cittadino più antico e sugestivo di Arezzo è il “Prato”. Si trova in posizione eleva-ta tra la Cattedrale e la Fortezza medicea, in un’area di alto interesse archeologico. Gli alberi secolari che lo contraddistinguono poggiano le radici su una vasta depressione naturale, che alcuni secoli fa separava le due colline con gli insediamenti della Cattedrale e della Fortezza. Oggi, il parco si estende da porta Stufi al bastione meridionale della For-tezza. LA CATTEDRALE DI SAN DONATO

La cattedrale di Arezzo fu costruita per volere del vescovo Guglielmo degli Ubertini verso il 1278. Il nuovo edificio sostituiva quello vec-chio, ormai periferico rispetto alla cttà e la sua costruzione durò fino all'inizio del Cinque-cento. Infatti la chiesa soffrì una storia molto travagliata. Venne consacrata una volta eret-te la parte absidale e le due prime campate, ma la fabbrica dovette fermarsi in seguito alla morte del vescovo. I lavori ripresero con il

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nuovo vescovo Guido Tarlati, e si conclusero verso il 1380 con la realizzazione della terza campata e del portale laterale. Nel 1384, il comune di Arezzo venne ceduto a Firenze e la costruzione subì una nuova sospensione. Si riprese nel 1471 per finire definitivamente, nel 1511. La facciata però fu conclusa all'ini-zio del Novecento, in stile gotico, con tre portali ad arco acuto, separati da una coppia di lesene, sovrastate da un bel rosone e un coronamento di archetti pensili. Sul lato de-stro dell’edificio, il portale romano-gotico in stile fiorentino è del XIV secolo, fiancheggiato da due tronconi di colonna in porfido, resti di un edificio preesistente, forse romano. Nella lunetta si trova un gruppo trecentesco raffi-gurante la Madonna con Bambino, tra San Donato e Gregorio X. A metà del XIX secolo, a fianco dell'abside fu eretto il campanile. L'interno è diviso in tre navate da alti pilastri a fascio, sormontati da archi ogivali che con-feriscono un forte slancio ascensionale, e in cinque campate con volte a crociera affresca-te. Da segnalare le vetrate a colori, in gran parte opera di Guglielmo de Marcillat del XVI secolo; il gotico sepolcro di Gregorio X del XIV secolo nella navata destra, presso il primo altare di Burali di Teofilo Torri (1614) e la cappella Tarlati del 1334. Sopra l'altare mag-giore si ammira l'Arca di San Donato del XIV secolo, mentre nella navata sinistra si trova l’affresco di Piero della Francesca raffigurante la Maddalena ed il Cenotafio di Guido Tarlati. La cappella della Madonna del Conforto, ope-ra della fine del XVIII secolo, contiene terra-

cotte robbiane. LA PIEVE DI SANTA MARIA

La pieve di Santa Maria è una delle più sugge-stive espressioni dell'arte romanica ad Arez-zo. Di origine antichissime e paleocristiane, la costruzione originale subì diversi rimaneggia-menti tra i secoli IX e XI, fino ad assumere il suo aspetto romanico verso la metà del XII secolo. Nel XIII secolo fu rifatto l'esterno, con una facciata in stile pisano-lucchese, e il seco-lo successivo, nel 1330, la torre campanaria, detta delle "cento buche", fu terminata con cinque ordini di bifore accoppiate per ogni lato. Ma la sua travagliata storia continuò fino al XIX secolo, con il ripristino della cripta e la rimozione di diversi altari sei-settecenteschi. L’interno è a tre navate con arcate leggerme-te ogivali, congiunte al presbiterio da uno pseudo-transetto. Ospita sia elementi gotici che forme romaniche. Pregevoli opere d’arte si trovano in tutta la chiesa. In controfacciata un raffinato bassorilievo dell’XI-XII secolo raffigurante l’Epifania; lungo la navata destra, il trecentesco fonte battesimale a pianta esa-gonale e formelle con Storie di San Giovanni Battista; nella navata sinistra, gli affreschi della Cappella del Sacramento di Luigi Ade-mollo, un grande Crocifisso ligneo del XV-XVI secolo e un bassorilievo del XIII secolo in mar-mo raffigurante il Presepio. Nella zona presbiteriale, sopra l’altare mag-giore, si trova la pala di Pietro Lorenzetti (1320), Madonna col Bambino e i Santi Gio-vanni Evangelista, Donato, Giovanni Battista e Matteo. Nella cripta absidata si ammirano una statua lignea policroma della Vergine e il busto reliquiario di San Donato, in argento dorato e pietre preziose, realizzato nel 1346 dagli orafi aretini Pietro Vanni e Paolo Ghisel-li. IL PALAZZO DEI PRIORI

Il palazzo dei Priori, oggi sede comunale, si affaccia sul lato occidentale di piazza della Libertà. Venne costruito nel 1333, ma della struttura originaria rimangono solo la faccia-ta, e alcune parti murarie della torre, eretta nel 1337, a cui venne aggiunto l’orologio nel

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1468, prelevato dalla Pieve di Santa Maria. Il palazzo subì numerosi rifacimenti e restauri nel corso dei secoli fino al 1800. L’ultima ri-strutturazione, opera di Giuseppe Castellucci ed Umberto Tavanti, risale al 1930. L’interno si apre su un cortile a portico del Cinquecento. Sul pianerottolo è visibile una “Madonna in trono col Bambino e San-ti” di Lorentino d’Arezzo, mentre lungo la scala un’opera di Angelo di Lorentino (1465-1527) raffigurante “San Francesco stigmatizzato”. Le sale della Giunta Comunale e del Consiglio sono visitabili solamente su richie-sta. Nella prima sono conservati i fregi deco-rativi di Teofilo Torri, dodici scene affrescate nel 1610, raffiguranti momenti della storia aretina, mentre nella seconda sono conserva-te il quattrocentesco affresco della Crocifis-sione di Parri di Spinello, e San Giovanni e la Madonna, dello stesso artista, il Crocifisso e San Donato di Alessandro Forzori e il ritratto di Pietro Aretino. LA BASILICA DI SAN FRANCESCO

La basilica di San Francesco fu iniziata nella seconda metà del XIII secolo per volere dei frati Francescani e venne completata verso la fine del 1300, su progetto di frate Giovanni da Pistoia, con aggiunte nei secoli XV-XVI di edi-cole, cappelle e dipinti. L’edificio è caratteriz-zato da semplici linee gotiche di influenza umbro-toscana. La facciata è rimasta incom-piuta e la torre campanaria appartiene ad una fase costruttiva della fine del XVI secolo. L’interno, ad’unica grandiosa navata con co-pertura a capriate, è uno scrigno di tesori d’arte. Nella controfacciata, tra le altre opere, si trova la vetrata del rosone, decorata con San Francesco e Papa Onorio III da Guillaume de Marcillat. Nella parte destra, è possible ammirare la Cappella Carbonati, con opera di

Lorentino di Andrea, la Cappella Guasconi, interamente affrescata da Spinello Aretino verso la fine del 1300 e la Cappella Tarlati, che ospita l'Annunciazione e i SS.Girolamo e Francesco di Neri di Bicci. Nel coro troviamo uno dei più alti capolavori del Rinascimento italiano, gli affreschi di Piero

della Francesca ispirati alla Leggen-da Aurea di Jacopo da Varazze: Leggen-da della Vera Croce, dieci riquadri che narrano appunto la storia della Croce. Lungo la parete sinistra, si può am-mirare la Cappella di Sant’Antonio, con

affreschi di Lorentino di Andrea del 1480 Al di sotto della Basilica, estesa per la metà della sua lunghezza, sorge la Chiesa Inferiore, risalente al XIII-XIV secolo,a tre navate con capitelli di fattura romanica e una sinopia della metà del Trecento. LA CHIESA DI SAN DOMENICO

La Chiesa di San Domenico è un bell’esempio di gotico lineare del XIII secolo. Fu costruita grazie al sostegno dato all’ordine dalle fami-glie aretine degli Ubertini e dei Tarlati. La facciata è scandita da quattro lesene, con un bel portale romanico e piccolo campanile a vela, in stile gotico. L’interno è a navata unica con soffitto a ca-priate ed è caratterizzato dai suoi numerosi affreschi del XIV-XV secolo. Lungo la parte destra, tra gli altri, si trovano l’affresco raffi-gurante Santa Caterina d’Alessandria di Parri di Spinello, affreschi trecenteschi di scuola aretina, l’affresco con Gesù tra i dottori di Gregorio e Donato di Arezzo sull’altare in pietra serena. Nella cappella a destra della maggiore, possiamo ammirare il pregevole affresco staccato della Crocifissione, assegna-bile ad artista aretino della prima metà del Trecento; una Madonna col Bambino, opera in pietra sempre di scuola aretina, del XIV

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Subiaco

STORIA

Il II° Libro de “I Dialoghi” di San Gregorio Ma-gno racconta che San Benedetto fondò nella valle sublacense dodici cenobi, abitati da altrettanti monaci. Egli andò a vivere in un luogo poco distante, situato nella villa nero-niana, posta sulla riva destra dell’Aniene: que-sto fu il primo monaste-ro, che si chiamò “San Clemente”. San Benedetto dedicò a papa Silvestro un altro monastero, che più tardi si chiamerà “Santa Scola-stica”. Nel IX secolo fu distrutto dai Saraceni: papa Gregorio IV lo riedificò, Leone IV lo com-pletò e Benedetto VII lo consacrò col nome di San Benedetto e Santa Scolastica. Nel X secolo, sotto l’abate Leone III, fu co-struita una grande e nuova chiesa in stile

romanico. Nel secolo XI l’abate francese Um-berto edificò il campanile, il dormitorio dei monaci, una sala comune riscaldata e una parte del chiostro con colonne di marmo. Successivamente Giovanni V, considerato l’abate più grande tra tutti gli abati di Subia-co, dotò il monastero di altri locali, che diven-nero ancora più numerosi sotto l’abate Ro-mano. In questo periodo prese vita il mona-

stero di San Benedetto, ad opera del Beato Pa-lombo che chiese a Ro-mano il permesso di di-morare, come eremita, presso la “sacra grotta”; altri si avvicinarono a lui e, alla fine del XII secolo, si impiantò il primo ceno-bio, con un priore dipen-

dente dall’abate della sottostante abbazia. Vi furono, quindi, due monasteri e un’unica comunità (salvo l’interruzione dal 1739 al 1853), che i papi seguirono con grande cura, li beneficarono generosamente e spesso in essi soggiornarono. Tra questi ricordiamo Inno-

secolo; e l’Annunciazione, altro lavoro di Spi-nello Aretino. Nella zona presbiteriale si conserva al di so-pra dell’altare maggiore, un bellissimo Croci-fisso dipinto, opera giovanile del Cimabue. Nella cappella absidale di sinistra, si trova invece l’affresco Madonna col Bambino, di Angelo Lorentino.

Lungo la parte sinistra, è possibile ammirare un Crocifisso tra i SS. Giovanni e Michele, una Madonna col Bambino in trono e Santi ed un’Annunciazione, assegnati a Giovanni d’Agnolo di Balduccio, il San Vincenzo Ferrari, di Lazzaro Vasari, e l’affresco, con i Santi Filip-po e Giacomo Minore e storie della loro vita, di Spinello Aretino.

Venerdì 19 agosto

PROGRAMMA : Visita ai Monasteri di Santa Scolastica e San Benedetto ore 13.00 pranzo ore 15.00 Possibile visita al Monte Livata e/o Laghetto Rientro per cena

SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ DI SUBIACO

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Norcia (Perugia), ca. 480 - Montecassino (Frosinone), 21 marzo 543/560

È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un perio-do di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore han-no un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d'Europa (24 ottobre 1964). (Avvenire)

Patronato: Europa, Monaci, Speleologi, Architetti, Ingegneri

Etimologia: Benedetto = che augura il bene, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Coppa, Corvo imperiale

Martirologio Romano: Memoria di san Benedetto, abate, che, nato a Norcia in Umbria ed educato a Roma, iniziò a condurre vita eremitica nella regione di Subiaco, raccoglien-do intorno a sé molti discepoli; spostatosi poi a Cassino, fondò qui il celebre monastero e scrisse la regola, che tanto si diffuse in ogni lugo da meritargli il titolo di patriarca dei monaci in Occidente. Si ritiene sia morto il 21 marzo.

(21 marzo: A Montecassino, anniversario della morte di san Benedetto, abate, la cui memoria si celebra l’11 luglio).

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. O Dio, amante della vita, che nutri gli uccelli del cielo e vesti i gigli del campo, benedici noi e questo cibo perché possiamo servirti meglio nei nostri fratelli. Amen.

PREGHIERA AI PASTI

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1990, p. 58). Cercando il vero progresso, a-scoltiamo anche oggi la Regola di san Bene-detto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero. Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Gene-rale 9.04.2008)

La sua nobile famiglia lo manda a Roma per gli studi, che lui non completerà mai. Lo attra-e la vita monastica, ma i suoi progetti iniziali falliscono. Per certuni è un santo, ma c’è chi non lo capisce e lo combatte. Alcune canaglie in tonaca lo vogliono per abate e poi tentano di avvelenarlo. In Italia i Bizantini strappano ai Goti, con anni di guerra, una terra devastata da fame, malattie e terrore. Del resto, in Gal-lia le successioni al trono si risolvono in fami-glia con l’omicidio. "Dovremmo domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce". Lo dice nel XX secolo lo storico Jaques Le Goff. E la voce di Benedetto comincia a farsi sentire da Montecassino verso il 529. Ha cre-ato un monastero con uomini in sintonia con lui, che rifanno vivibili quelle terre. Di anno in anno, ecco campi, frutteti, orti, il laborato-rio... Qui si comincia a rinnovare il mondo: qui diventano uguali e fratelli “latini” e “barbari”, ex pagani ed ex ariani, antichi schiavi e antichi padroni di schiavi. Ora tutti sono una cosa sola, stessa legge, stessi diritti, stesso rispet-to. Qui finisce l’antichità, per mano di Bene-detto. Il suo monachesimo non fugge il mon-do. Serve Dio e il mondo nella preghiera e nel lavoro. Irradia esempi tutt’intorno con il suo ordina-mento interno fondato sui tre punti: la stabili-tà, per cui nei suoi cenobi si entra per restar-ci; il rispetto dell’orario (preghiera, lavoro,

riposo), col quale Benedetto rivaluta il tempo come un bene da non sperperare mai. Lo spirito di fraternità, infine, incoraggia e rasse-rena l’ubbidienza: c’è l’autorità dell’abate, ma Benedetto, con la sua profonda conoscenza dell’uomo, insegna a esercitarla "con voce grande e dolce". Il fondatore ha dato ai tempi nuovi ciò che essi confusamente aspettavano. C’erano già tanti monasteri in Europa prima di lui. Ma con lui il monachesimo-rifugio diventerà mona-chesimo-azione. La sua Regola non rimane italiana: è subito europea, perché si adatta a tutti. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola (ma non sappiamo con certezza se ne sia lui il primo autore. Così come continuiamo ad essere incerti sull’anno della sua morte a Montecassino). Papa Gregorio Magno gli ha dedicato un libro dei suoi Dialoghi, ma soltan-to a scopo di edificazione, trascurando molti particolari importanti. Nel libro c’è però un’espressione ricorrente: i visitatori di Benedetto – re, monaci, contadini – lo trovano spesso "intento a leggere". An-che i suoi monaci studiano e imparano. Il cenobio non è un semplice sodalizio di eruditi per il recupero dei classici: lo studio è in fun-zione dell’evangelizzare. Ma quest’opera fa pure di esso un rifugio della cultura nel tem-po del grande buio. Autore : Domenico Agasso

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cenzo III, Gregorio IX e Alessandro IV. In se-guito ad un fatto increscioso, gli abati furono eletti dalla Curia romana: non sempre ciò fu conveniente, tanto che i monaci diminuirono di numero e tra essi vi furono molti nobili, figli cadetti, obbligati ad entrare in monastero e, perciò, insofferenti. Nel 1363 fu eletto abate Bartolomeo III, di Siena, che, non riuscendo a ridurre a discipli-na i monaci, espulse quelli più indocili e invitò altri, di nazioni diverse, a venire a Subiaco. I Tedeschi accorsero e dal 1364 ai primi decen-ni del 1500 a Subiaco ci fu una comunità eu-ropea. Tra il XIV e il XV secolo l’abbazia fu intitolata a Santa Scolastica e il monastero dello Speco si chiamò “San Benedetto”. Tra i monaci tedeschi arrivarono anche due chierici tipografi Corrado Sweynheym e Ar-noldo Pannartz, che, nel 1464, introdussero l’arte della stampa. Nel 1456 nei monasteri di Subiaco fu disposto l’istituto della Commen-da; sui monaci, cioè, doveva vigilare un eccle-siastico di nomina pontificia. Nel 1514 gli abati furono temporanei ed eletti dal capitolo generale della Congregazione Cassinese, della quale i due monasteri erano entrati a far parte. Sotto i Giacobini i monaci dovranno andarsene dall’ottobre 1798 all’ottobre 1799 e sotto Napoleone per cin-que anni. Nel 1850 Pio IX chiamò a Subiaco Pier Francesco Casareto con monaci liguri, che riportarono la comunità ad una sequela più rigorosa. Nel 1915 la commenda fu soppressa. Nel 1944 Subiaco subì i danni della guerra, ben-ché limitati e senza vittime. Oggi è un punto di riferimento per tutti coloro che, sulle orme di San Benedetto, vogliono “cercare Dio”.

MONASTERO DI SANTA SCOLASTICA Dei dodici monasteri voluti da San Benedetto nella valle sublacense, l’unico sopravvissuto ai terremoti e alle distruzioni saracene fu quello di Santa Scolastica, che, sino alla fine del XII secolo, fu il solo monastero di Subiaco. In origine si chiamò “Monastero di San Silve-

stro”, successivamente (IX secolo) fu detto “Monastero di San Benedetto e di Santa Sco-lastica” e nel XIV secolo prese il nome attuale. Si presenta come un complesso di edifici co-struiti in epoche e stili diversi: un ingresso, sul quale figura la scritta “Ora et Labora”, con strutture del XX secolo, introduce nel primo chiostro o “Chiostro Rinascimentale” del se-colo XVI, dal quale si passa in un secondo chiostro o “Chiostro Gotico” del secolo XIV ed, infine, in un terzo, detto “Chiostro Cosma-tesco”, del secolo XIII. Il Campanile è del XII secolo e la Chiesa attuale è della fine del 1700, l’ultima di ben cinque chiese stratifica-tesi lungo i secoli. Il monastero ebbe il periodo di maggiore splendore tra il secolo XI e il secolo XIII. Nel 1465 i due chierici tedeschi A. Pannartz e C. Sweynheym vi impiantarono la prima tipogra-fia italiana, che arricchì la Biblioteca, già esi-stente, di incunaboli e di libri di grande valo-re. La Biblioteca è oggi situata sul lato nord del Chiostro Gotico, mentre il Refettorio si trova nel lato ovest del Chiostro Cosmatesco, un tempo sormontato dal Dormitorio. Il monastero di Santa Scolastica si trova ad est di Subiaco, a 510 metri di altezza, ed è disposto longitudinalmente e parallelamente alla valle, dove, per secoli, vissero nella con-templazione e nella preghiera, eremiti e mo-naci, che le meritarono il nome di “valle san-ta”. CHIESA DI S. SCOLASTICA

La Chiesa del Monastero di Santa Scolastica sorge sul primo oratorio di San Benedetto, di cui, nel 1962, si sono scoperte le tracce. Molto probabilmente nel secolo IX una secon-da chiesa fu costruita su quella preesistente, come si può dedurre dai resti che affiorano da sotto il campanile e presenti nella chiesa più moderna. Una terza chiesa, consacrata nel 980 da Benedetto VII, fu edificata in stile romanico e, nel 1300, fu rifatta, mantenendo immutate le dimensioni, secondo lo stile goti-co-cistercense. È ancora possibile vedere, nel transetto, i

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resti del rosone originario. Nella zona supe-riore ed inferiore della parete orientale dello stesso vi è un dipinto che rappresenta la Pen-tecoste ed è ambientato in una città; nella parete occidentale è raffigurata l’Ascensione; nella parete settentrionale oggi sono visibili solo le scene laterali, che rappresentano l’ “Incoronazione della Vergine”, di un affresco, il cui centro è andato distrutto nella costruzione della volta di co-pertura del tran-setto attuale. Il famoso architetto Giacomo Quaren-ghi, nel 1769, restaurò la Chiesa in stile neoclassi-co, seguendo la struttura gotica precedente. Possiamo ammirare il bel portale gotico, i cui elementi decorativi ricordano l’architettura cistercense del basso Lazio, con un affresco nella lunetta e, ai lati del portale, altri affre-schi di scuola senese del secolo XIV, con sce-ne della vita di San Benedetto: l’episodio del Goto, il tentativo di avvelenare il santo col vino e il castigo inferto al monaco infedele. La Chiesa è a croce latina, ad una navata di forma rettangolare irregolare, quasi un trape-zio, con volta a botte e con decorazioni risa-lenti ai restauri del Quarenghi, che si ispirò al Palladio e in particolare alla chiesa del SS.mo Redentore alla Giudecca (Venezia); l’abside, a semicupola, sostenuta da due colonne, fu terminata nel 1852 dall’architetto Giacomo Monaldi; nelle cappelle laterali sono visibili vari dipinti. Nel 1052-53, forse sulla torre campanaria della chiesa del 980, costruita a sua volta sul nartece della chiesa del IX seco-lo, di cui restano quattro grossi pilastri con altrettanti archi, fu fatto innalzare dall’abate francese Umberto il campanile a cinque piani. Gli ultimi due piani furono successivamente rifatti, anche se non si sa ben definire l’epoca,

e lo si deduce dalla cornice di archetti roma-nici intrecciati. Il lato rivolto ad est presenta minor rilievo decorativo: non ci sono trifore, ma bifore con pilastro al centro. Nel lato sud la decorazione è a due ordini di nicchie a fondo piatto, con gli archivolti circondati da ghiere di laterizi di forma romboidale. Nell’arcata del lato est, vicino alla Chiesa, è

presente una pit-tura del secolo IX, che raffigura un cerchio, simbolo di Dio, nel quale è evidente la Sua mano benedicen-te, quale segno di fecondità. Nell’arcata oppo-sta sono pitture risalenti al IX-X secolo e sono rap-

presentati, al centro, l’Agnello di Dio, e agli angoli gli Evangelisti e i loro simboli zoomorfi. Una novità, rispetto alla pittura tradizionale dello stesso periodo, è data dalla figura di San Matteo, che ha la faccia di un uomo o di un angelo e il corpo di un animale. CHIOSTRO DEI COSMATI

"Magister Jacobus Romanus fecit hoc opus" si legge nell'archivolto, in pietra calcare, del lato meridionale del terzo chiostro del monastero di Santa Scolastica. La firma indica l'autore, il marmoraro romano Jacopo il Vecchio, figlio di Lorenzo di Tebaldo, che lo iniziò probabilmente prima del 1210. Suo figlio Cosma, dal quale prese il nome l'arte dei marmorari romani, alla morte del padre, verso il 1240, insieme ai figli Luca e Jacopo, continuò e portò a termine la costru-zione È da notare l'assenza dell'incrostazione a mosaico caratteristica di quegli artisti; in compenso, però, sulle colonne sono presenti diverse testine mostruose, tipiche dello stile romanico internazionale, che Jacopo tentò di imitare. Al tempo dell'abate Cirillo (1577-1581) fu costruito, con arcate di tufo, il piano superio-

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dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad im-magine e somiglianza di Dio. All’obbedienza del discepolo deve corrispon-dere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figu-ra, delineata soprat-tutto nel secondo capitolo della Rego-la, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impe-gno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Grego-rio Magno – “il San-to non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato so-prattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente mo-derna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere

anche un uomo che sa ascoltare e sa impara-re da quanto ascolta. Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la

sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimen-to tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantene-re la sua forza illu-minante fino ad oggi. Paolo VI, pro-clamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultu-ra europea. Oggi l’Europa – uscita

appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche uto-pie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rin-novamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un re-gresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1,

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vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclu-sione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo peri-odo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Me-dioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il perio-do in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazio-ne. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere uma-no: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la ten-tazione della sensualità e, infine, la tentazio-ne dell’ira e della vendetta. Era infatti convin-zione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fonda-re i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco. Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spie-gato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiasti-co locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedet-to a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interio-re e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere

simbolico: la vita monastica nel nascondimen-to ha una sua ragion d’essere, ma un mona-stero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo. Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Grego-rio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi biso-gni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si ante-ponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispon-diamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi inse-gnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via trac-ciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata

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re, ma nel 1700 ne fu murato il lato nord, volendo dare una nuova sistemazione alla parte riservata ai novizi. Il Chiostro ha la for-ma di un rettangolo, i cui lati lunghi vanno nello stesso senso della chiesa. Il portico, da ovest ad est, è costituito da archi romanici che poggiano su colonnine in parte binate, in parte solitarie e tortili su una delle quali è presente la faccia di un diavolo e su un'altra una testa umana rovesciata, con capitelli sempre diversi, in marmo bianco di Carrara, preso, dopo un terremoto, da S. Clemente, primo monastero benedettino sorto in uno degli ambienti della vicina villa di Nerone. Le cornici hanno un andamento irregolare, perché scendono e risalgono, con un effetto plastico notevole. L'architettura organica ed equilibrata di questo Chiostro non solo com-pensa l'assenza del mosaico, presente in altri chiostri cosmateschi, ma ne fa un esempio di stile, pressoché unico. I pezzi che compongono gli archi sono nume-rati progressivamente da I a XVII e sui pilastri si notano segni identici a quelli delle lastre collocate vicine orizzontalmente: ciò fa pen-sare ad un lavoro prefabbricato a Roma e poi qui trasportato e ricomposto. Sulle pareti della galleria sono dipinti i simboli dei paesi che nel Medioevo erano sotto la giurisdizione temporale dell'abate, come Cervara (bandiera col cervo), Ponza (bandiera con i ponti) e sulle volte sono presenti pitture del secolo XIV: l'Agnello e gli Evangelisti; da notare l'occhio centrato di San Matteo, che guarda lo spetta-tore, da qualunque parte egli si posizioni. Il pavimento delle gallerie è più basso rispetto a quello del cortile interno, al centro del qua-le, dal 1578, sta un pozzo rivestito di marmi provenienti dalla villa neroniana. LATO SETTENTRIONALE Il Lato Nord del Chiostro Cosmatesco corre parallelamente alla Chiesa: è il lato lungo di un rettangolo asimmetrico. Esso presenta un'apertura, non centrale, ma più spostata ad ovest, contraddistinta da un arco centinato, a tutto sesto, schiacciato, poggiante, per cia-scun lato, su un unico e massiccio capitello di

due colonne binate poste sul muretto, che divide la galleria dal resto del chiostro. Chi dal pozzo guarda l'apertura, vede a sini-stra una bifora, i cui archetti a tutto sesto e centinati poggiano sul capitello di una colon-na tortile e su un robusto pilastro, posto sul muretto. Di fianco sta una quadrifora i cui archetti centinati, a tutto sesto poggiano, alle estremi-tà, su massicci pilastri che partono dal muret-to e nella parte centrale sui capitelli di colon-ne tortili e binate.A destra dell'apertura si trova una bifora identica a quella di sinistra e, di fianco ad essa, una coppia di cinque archet-ti centinati, poggianti sui capitelli di colonne binate lisce e tortili, alternate. Nella pur reale disorganicità il Lato Nord del Chiostro Cosma-tesco è complessivamente armonioso, in linea perfetta con le caratteristiche dell'archi-tettura medioevale, secondo le quali fu realiz-zato. LATO ORIENTALE Il Lato Est del Chiostro Cosmatesco è il lato più breve dell'asimmetrico "rettangolo" che costituisce il Chiostro stesso. L'apertura è centrale ed è segnata da un ar-chetto a tutto sesto, centinato, leggermente più grande degli altri, che poggia su due capi-telli di colonne binate ed ha, a ciascun fianco, una bifora i cui archetti centinati poggiano lateralmente su un robusto pilastro. Chi guarda l'apertura dal pozzo, vede partire dal pilastro di destra una quadrifora che alter-na colonne singole e lisce a colonne binate altrettanto lisce, i cui archetti a tutto sesto sono grandi ed ariosi. A sinistra, invece, la quadrifora, pur presentando analoghe carat-teristiche relativamente alle colonne, ha gli archetti molto più piccoli e stretti. Tali anomalie non ostacolano la bellezza che complessivamente caratterizza il Chiostro Cosmatesco. LATO MERIDIONALE Il Lato Sud è il lato lungo del rettangolo asim-metrico del Chiostro Cosmatesco. L'apertura è corrispondente a quella del lato nord ed è caratterizzata da un arco che poggia su due

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robusti pilastri, che si innalzano dal muretto. L'arco, a tutto sesto, è più alto degli altri ar-chetti ed ha una centina che tocca l'aggetto della sottocornice, sulla quale si innalza il prospetto degli ambienti del monastero. Chi guarda l'apertura dal pozzo, a destra del pila-stro, vede sei archetti centinati, a tutto sesto, stretti, poggianti su grossi capitelli sovrastanti una colonna tortile, centrale, e colonne lisce laterali, singole e binate. Sul pilastro che sta a sinistra dell'apertura, è disegnata con vernice rossa una testa umana rovescia-ta. Da questo pila-stro si susseguo-no sei archetti centinati, a tutto sesto, poggianti su colonne singole, lisce, alternate a colonne binate. L'ultimo archet-to poggia su un altro grosso pilastro, dal quale partono altri sei archetti, simili ai precedenti , pog-gianti su colonne che si ripetono con la stessa disposizione. I pezzi che compongono gli archi sono numerati progressivamente da I a XVII e sui pilastri si notano segni identici a quelle delle lastre collocate vicine orizzontalmente; molto probabilmente il lavoro fu fatto a Roma e poi fu qui trasportato e ricomposto. LATO MERIDIONALE Il Lato Sud è il lato lungo del rettangolo asim-metrico del Chiostro Cosmatesco. L'apertura è corrispondente a quella del lato nord ed è caratterizzata da un arco che poggia su due robusti pilastri, che si innalzano dal muretto. L'arco, a tutto sesto, è più alto degli altri ar-chetti ed ha una centina che tocca l'aggetto della sottocornice, sulla quale si innalza il prospetto degli ambienti del monastero. Chi guarda l'apertura dal pozzo, a destra del pila-

stro, vede sei archetti centinati, a tutto sesto, stretti, poggianti su grossi capitelli sovrastanti una colonna tortile, centrale, e colonne lisce laterali, singole e binate. Sul pilastro che sta a sinistra dell'apertura, è disegnata con vernice rossa una testa umana rovesciata. Da questo pilastro si susseguono sei archetti centinati, a tutto sesto, poggianti su colonne singole, lisce, alternate a colonne binate. L'ultimo archetto poggia su un altro grosso pilastro, dal quale partono altri sei archetti,

simili ai prece-denti , poggianti su colonne che si ripetono con la stessa disposi-zione. I pezzi che compongono gli archi sono nu-merati progres-sivamente da I a XVII e sui pilastri si notano segni identici a quelle delle lastre col-locate vicine orizzontalmen-te; molto proba-

bilmente il lavoro fu fatto a Roma e poi fu qui trasportato e ricomposto. CHIOSTRO GOTICO Il secondo Chiostro del monastero di Santa Scolastica, detto anche “Chiostro Gotico”, fu costruito tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300. La sua forma irregolare, a sei lati, deriva dall’unione di due rettangoli con diverso o-rientamento: i lati adiacenti alla chiesa rispet-tano la disposizione della parte più antica del monastero, mentre gli altri seguono una dire-zione che devia verso est. Forse qui un tempo stava l’ingresso, come si vede nell'affresco de “Il miracolo della falce”, posto nella galleria meridionale. Si chiama “Chiostro Gotico” per gli archi a sesto acuto, con doppio sguancio, che poggiano su robusti pilastri. Al centro sta un pozzo esagonale con

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San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontifi-cato. Comincio con una parola di san Grego-rio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dot-trina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era anco-ra vivo nella memoria della gente e soprattut-to nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fonda-mentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tem-po, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedet-to – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita uma-na come ascesa verso il vertice della perfezio-ne. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli

compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonen-do, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lon-tana posta all’origine del mondo, ma è pre-sente nella vita dell’uomo, di ogni uomo. Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presenta-zione di san Benedetto come “astro lumino-so”, Gregorio voleva indicare in questa situa-zione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivela-rono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e cultura-le, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. La nascita di san Benedetto viene datata in-torno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regio-ne della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che

San Benedetto da Norcia

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IL CUBICOLO DELLA VELATA Il cubicolo prende il nome dall'affresco della lunetta di fondo, raffigurante una giovane donna in ricca tunica e col capo velato,con le braccia alzate in atteggiamento di preghiera. Ai lati della figura orante sono rappresentate due scene probabilmente riferentisi a mo-menti importanti della vita della defunta. Al centro della volta è dipinto il Buon Pastore nel giardino paradisiaco. Gli episodi dell'Antico Testamento dipinti nell'ambiente simboleggiano la salvezza: in-fatti, come per l'intervento divino furono salvati i tre giovani ebrei dal fuoco, Isacco dal sacrificio della sua vita e Giona dal mostro, così l'anima cristiana ottiene la salvezza gra-zie alla Redenzione. Le pitture, incredibilmen-te ben conservate, sono datate alla seconda metà del terzo secolo. LA CAPPELLA GRECA Ambiente riccamente decorato con pitture di stile pompeiano, finto marmo e stucchi, pre-senta una forma particolare con tre nicchie per sarcofagi sul fondo e un bancone per refrigeri sul lato sinistro. Sono molti gli episo-di dell'Antico e Nuovo Testamento qui raffi-gurati e anche alcuni simboli della mitologia pagana che alludono all'immortalità e alla risurrezione: le stagioni e la fenice che esce dal rogo. Nell'arco di fondo viene raffigurata un ban-chetto, la cosiddetta "Fractio Panis," e nell'ar-co di fronte Gesù che chiama Lazzaro fuori dalla tomba. Ci sono le figure bibliche che richiamano la salvezza attraverso l'acqua del battesimo (Noè e Mosè) e quelle che mostra-no questa salvezza prefigurata nell'Antico Testamento: Daniele tra i leoni, i tre giovani nella fornace e Susanna accusata dai vecchio-ni e salvata dal profeta Daniele. LA PIU' ANTICA IMMAGINE DELLA MADONNA Sul soffitto di una nicchia approfondita a gal-leria per la presenza di una tomba venerata, c'è lo stucco, in parte caduto, del Buon Pasto-re, immagine di Cristo in un giardino con albe-ri in stucco e rami e fiori dipinti in verde e rosso. All'estrema destra della pittura si può

ammirare una scena suggestiva: la Madonna seduta col Bambino sulle ginocchia e accanto a lei un profeta in tunica e pallio che addita una stella, allusione alla profezia di Bala-am:"Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele." (Nu 24,15-17) Lo stile e la localizzazione (nella parte iniziale del cimitero) la fanno ritenere l'immagine della Madonna più antica del mondo: inizi del III secolo.

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parapetto e colonne di marmo, che, un tem-po appartenevano alla villa neroniana. Nel lato ovest, all’altezza del terzo e del quar-to arco, è possibile ammirare il campanile e il monte Francolano. La parete del lato nord è ornata di reperti provenienti dalle diverse chiese del monastero e dalla villa di Nerone. In una lapide, murata su un pilastro posto dirimpetto al portale della chiesa, è raffigura-to il noto simbolo eucaristico: due cervi si abbeverano ad un recipiente poggiato su una pianta. Sulla schiena dell’animale di sinistra sta un’epigrafe, che allude alla consacrazione della chiesa di Santa Scolastica (4 Dicembre 980). Non chiaro è, invece, il significato dell’iscrizione posta nella parte superiore della lapide. Dal XIII secolo in questo luogo vennero stipulati gli atti pubblici, perciò era accessibile anche ai laici; tale prassi cessò con l’abate Cirillo (1577-1581), che apportò radi-cali modifiche alla vita monastica. ARCO GOTICO - FLAMBOYANT

Il lato ovest del secondo chiostro del mona-stero di Santa Scolastica presenta al suo inizio un grande Arco "flamboyant", del 1400, a doppia arcata, dal quale si vede la facciata della chiesa gotica e il campanile romanico. Grande importanza assumono i due archivol-ti, con larga modanatura a gola: l'arco interno è acuto e ornato di grosse foglie, quello ester-no è a chiglia, con nicchie all'imposta e fiore sulla cuspide. La novità dell'Arco sta proprio nella curvatu-ra, detta appunto "a profilo di chiglia" dell'ar-cata esterna, che fu un elemento decorativo notevole nel gotico d'oltralpe; si usò soprat-tutto nelle entrate delle chiese e in qualche fac-ciata, ma fu poco pre-sente in Italia. La prima arcata contie-ne, in tenero calcare, figure di patriarchi o di profeti dai volti barbuti, sorretti da mensole; nella seconda arcata

sono rappresentati alcuni angeli che incorni-ciano la statua della Madonna in trono, posta al centro. Questo particolare, unico in Italia, si trova, invece, in portali gotici d'oltralpe so-prattutto spagnoli e catalani. L'influsso catala-no, evidente nell'Arco, testimonia la presenza nel monastero, in quel periodo, di monaci spagnoli e di altre nazionalità europee, secon-do l'apertura culturale ed artistica dei mona-steri sublacensi, e la presenza di un abate spagnolo (il cardinale Torquemada). Un'ulteriore conferma dell'influsso iberico è data dall'edicola rettangolare che inquadra l'Arco e che risulta leggermente aggettante rispetto al muro. Gli Spagnoli avevano eredi-tato questo elemento architettonico dagli Arabi, dei quali per anni subirono la presenza. CHIOSTRO RINASCIMENTALE

Il primo Chiostro o “Chiostro Rinascimentale” è la parte più recente del monastero di Santa Scolastica. La sua costruzione iniziò nel 1580, durante l’abbaziato di Cirillo di Montefiascone e fu portata a termine nel 1689, quando era abate Michelangelo Inurea, fratello del doge Luca Maria. Il lato ovest, ricostruito dopo il bom-bardamento del 23 Maggio 1944, e il lato sud sono formati da archi poggianti su robusti pilastri; il lato nord ed il lato est, che, prima del 1580, costituivano la facciata e l’ingresso del monastero, sono oggi occupati da altri edifici. Affreschi di autore ignoto, risalenti al 1600, si trovano sui pilastri del lato sud e raffigurano i papi che, nel tempo, visitarono il cenobio: Gregorio IX, Alessandro IV, Urbano VI, Pio II. Sulla parete dello stesso lato si trovano, in-

corniciate, fotocopie di docu-menti, di codici e di incuna-boli presenti nella biblioteca del monastero, come la Re-gola di San Benedetto e il Regesto del IX secolo, non-ché fotografie che testimo-niano la visita degli ultimi papi: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

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MUSEO Il Museo è oggi collocato in locali sottostanti il monastero di Santa Scolastica, restaurati dall’amministrazione della Provincia di Roma con fondi del Giubileo del 2000. Un tempo, al suo posto, si trovava il vecchio frantoio; sono ancora visibili, infatti, buche profonde un paio di metri, coperte da lastre di vetro, che indi-cano il luogo nel quale un tempo si raccoglie-va l’olio. Nel museo sono presenti oggetti diversi ri-guardanti le scienze geologiche, archeologi-che, paleontologiche, etnologiche e strumenti scientifico-didattici per la scuola. È dedicato a Luigi Ceselli, ex ufficiale del Genio pontificio, presidente della sezione di scienze naturali nell’Accademia Pontificia della Concezione, presidente della sezione di mineralogia nell’accademia pontificia dei Quiriti, membro onorario dell’Istituto Filotecnico Nazionale e socio corrispondente di altre Accademie na-zionali e straniere. Egli raccolse ossa di animali preistorici e molti oggetti di utilità quotidiana, necessari ad evidenziare il modo di vivere, familiare e so-ciale, dell’epoca di appartenenza (dal VI seco-lo a. C. fino all’età tardo-antica), che sono oggi preziosissimi, poiché l’espansione edilizia ha distrutto buona parte dei siti archeologici dai quali provengono. Il Ceselli morì nel 1882 e della sua collezione non si seppe nulla sino al 1915, quando Mar-co Ceselli, suo nipote ed erede, ne fece dono alla comunità benedettina di Subiaco, per onorare anche lo zio Mariano, fratello di Luigi Ceselli, che era stato monaco in questa comu-nità. I reperti furono schedati e ordinati da Don Antonio Caselli, professore di scienze nel seminario di Parma e furono messi a disposi-zione di insegnanti e studenti del seminario diocesano di Subiaco. Le rovine causate al monastero dall’ultima guerra non risparmiarono il museo e i cimeli in esso custoditi, che solo in parte furono recuperati. Nel 1953 l’abate Salvi si interessò presso il Ministero della Pubblica Istruzione, perché il patrimonio del museo venisse salva-

to. Il recupero iniziò solo nel 1970, ad opera del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, dottor Vito Agresti, per merito del quale è arrivato sino a noi. BIBLIOTECA

Nel monastero di Santa Scolastica, al piano superiore del lato nord del chiostro gotico, con finestre ad arco che vi si affacciano, è collocata la Biblioteca. Nella “Regola” San Benedetto impose ai mo-naci la lettura di libri sia privata, che comuni-taria, soprattutto in particolari momenti dell’anno liturgico. Era, quindi, necessario un luogo dove conser-varli, ma a Santa Scolastica non è rimasto alcun segno di tale pratica. Si sa, invece, che alla fine del 1100 l’abate Giovanni V, amante della cultura, dotò il monastero di uno “Scriptorium”, nel quale chiamò miniatori di grande fama da monasteri italiani e stranieri. Commissionò il “Sacramentarium Sublacen-se”, che oggi si trova alla Biblioteca Vallicellia-na di Roma e molti altri libri, dando origine ad una vera e propria biblioteca. Anche i suoi successori fecero altrettanto, così che alla fine del 1300 la biblioteca di Santa Scolastica poteva contare diecimila volumi. Nei secoli successivi molti libri anda-rono dispersi, ma nel 1465 due stampatori di Magonza, i chierici A. Pannartz e C. Swe-ynheym, vi impiantarono la prima tipografia italiana. Si mise fine, così, ad attività connesse con la preparazione di materiali scrittori, con la copiatura dei testi e con la loro ornamenta-zione, ma si diede vita, il 29 Ottobre 1465, al primo libro stampato in Italia, in uno stile tipografico detto “stile Subiaco”. Molti altri libri furono stampati, ma non sem-pre gelosamente custoditi; fino al 1848, quan-do fu curato il riordinamento della Biblioteca e dell’archivio e furono acquistate opere ri-guardanti la Storia della Chiesa, la Sacra Scrit-tura, classici latini ed autori stranieri. Durante le incursioni garibaldine i libri furono nascosti in un luogo sconosciuto. Nel 1873 furono confiscati dallo Stato e, come gli altri beni del

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DAL BASSO MEDIOEVO AL XVI SECOLO Traslate le reliquie all'interno della città, le catacombe furono completamente abbando-nate; gli accessi furono ostacolati dalla vege-tazione e dalle frane, i santuari e i cimiteri caddero nell'oblio. Durante il Medioevo si perse ogni traccia della loro ubicazione e si faceva gran confu-sione sui nomi. Le uniche catacombe ad esse-re ricordate furono quelle di San Sebastiano, di San Lorenzo (o di Ciriaca) e di San Pancra-zio. ETÀ MODERNA In epoca moderna furono accidentalmente riscoperte nel XVI secolo e cominciarono ad essere esplorate prima con Antonio Bosio (1575-1629 col suo libro postumo Roma Sot-terranea del 1634) e soprattutto con le ricer-che di Giovanni Battista de Rossi (1822-1894). Negli anni cinquanta del XX secolo furono ritrovate molte catacombe nei pressi di Ro-ma. TIPI DI SEPOLTURA Le catacombe romane sono costituite da gallerie sotterranee (ambulacra), lungo le cui pareti erano ricavate le tombe (loculi). I locu-li, generalmente disposti su file verticali (pilae), potevano contenere uno o più cada-veri; esternamente erano chiusi da lastre di marmo, su cui spesso erano incisi il nome del defunto ed il mestiere, accompagnati da ele-menti simbolici cristiani o ebraici. Un'altra tipologia di sepoltura, tipica delle catacombe romane, è l'arcosolio (arcosolium), costituito da una nicchia arcua-ta sovrastante una lastra marmorea posta in orizzontale, che chiudeva la tomba (il solium sub arcu). L'arcosolio poteva essere semplice (ossia per una sola persona), oppure compo-sito, fino ad accogliere le sepolture di una intera famiglia. Lungo i corridoi non sono infrequenti i cubi-coli (cubicula), camere sepolcrali di forma quadrata o poligonale, contenenti più loculi o arcosoli destinati a membri della stessa fami-glia o di famiglie imparentate tra loro; oppure le cripte (cryptae), cappelle decorate con

affreschi (la più conosciuta è la "cripta dei papi" nella catacomba di san Callisto). Infine, per ragioni di spazio alcune tombe erano scavate anche nel pavimento dei corri-doi (formae): questa tipologia di sepoltura era diffusa soprattutto nei pressi della tomba di un martire, luogo ricercato dai primi cristia-ni per la loro ultima dimora. CATACOMBE DI SANTA PRISCILLA

LA REGINA DELLE CATACOMBE La catacomba di Priscilla, conosciuta in tutti i documenti topografici e liturgi-ci antichi, si apre sulla via Salaria con ingresso presso il monastero delle Suore Benedettine di Priscilla. Per la sepoltura di nume-rosi martiri questa catacomba era

denominata nell'antichità "la Regina delle catacombe". Il cimitero, scavato tra il II e il V secolo, inizia da tre nuclei originariamente indipendenti e separati tra loro, dei quali i principali sono: un arenario, il criptoportico di una villa e l'ipogeo a carattere familiare degli Acilii Glabrioni. LE GALLERIE CIMITERIALI Scavate nel tufo, si snodano per circa 13 chi-lometri in percorsi irregolari, ogni tanto inter-rotte da piccole stanze, i cubicoli, tombe di famiglia o sepolcri venerati. Il corpo del defunto, avvolto in un sudario e senza una cassa, veniva adagiato in una stret-ta insenatura rettangolare, detta loculo, sca-vata nelle pareti delle gallerie. Le lastre di chiusura, in marmo o in terracot-ta, sono state quasi completamente asporta-te col passare del tempo. Alcuni frammenti di iscrizioni in latino o in greco sono affissi sulle pareti o sui muri di sostegno eretti in zone pericolanti. Piccoli buchi tra una tomba e l'altra servivano per appoggiare le lucerne a olio che illuminavano il percorso.

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Catacombe di Roma Le catacombe di Roma sono antiche aree cimiteriali sotterranee ebraiche e cristiane. Erano solitamente scavate nel tufo al di fuori dell'antica cinta muraria della città, dato che all'interno della quale non era possibile sep-pellire i defunti (hominem mortuum in urbe neve sepelito neve urito, "Non si seppellisca né si cremi nessun cadavere in città") STORIA

I E II SECOLO I nuclei più antichi delle cata-combe romane risalgono alla fine del II secolo. Preceden-temente i cristiani venivano sepolti insieme con i pagani; quando la comunità divenne più numerosa, fu necessario creare cimiteri collettivi. Per risolvere il problema dello spazio e grazie alla facilità dello scavo nel banco di te-nero tufo sottostante la cit-tà, essi vennero realizzati con gallerie sotter-ranee a più piani. All'inizio le catacombe ven-nero utilizzate esclusivamente per scopi fune-rari e per il culto dei martiri ivi sepolti. L'opi-nione comune che vuole che esse fossero utilizzate come nascondigli dai cristiani perse-guitati è probabilmente priva di fondamento. Del resto le persecuzioni caratterizzarono solamente alcuni periodi dell'Impero Roma-

no, al tempo di Nerone (tra il 64 e il 67), Do-miziano (solo nel 96), Decio (249-251), Vale-riano (253-260) e Diocleziano (303-305). III E IV SECOLO Nel III secolo, già nella sola Roma, si contava-no 25 cimiteri, alcune delle quali erano in possesso della Chiesa (ad esempio le cata-

combe di San Callisto, dato che Ippolito Romano scrisse nei Philosophumena che papa Zefirino nominò il diacono Callisto custode e amministratore della cata-comba). Nella prima metà del III secolo, inoltre, Roma fu suddivisa in sette regioni ecclesiastiche: ad ognuna di esse vennero assegnati luoghi di culto e diverse catacombe per la sepoltura dei cristiani. Nel 313, il Cristianesimo diventò reli-gione legittima ed almeno all'inizio furono in molti a voler essere sepolti vicino

ai martiri. DAL V AL IX SECOLO Già dal V secolo si cominciò ad abbandonare l'uso della sepoltura nelle catacombe, che continuarono comunque ad essere meta di pellegrini a scopo di devozione. Tra l'VIII ed il IX secolo, in seguito ai saccheggi dei barbari, i santuari vennero gradualmente abbandonati e le sacre reliquie furono trasla-te nelle chiese.

PROGRAMMA MATTINA: ore 9.00 partenza da Subiaco per Roma (Catacombe di santa Priscilla), arrivo previsto ore 10.30 (Visita di 1 ora e ripartenza per Tivoli) ore 12.30-13.00 pranzo a Tivoli: . Trattoria Pizzeria Buca Di Sant'Antonio Vicolo S. Antonio 19 tel: 0774 318961 (Sig. Massimo Martone) ore 15.30 partenza per Giussano (cena al sacco) ore 24.00 previsto rientro

Domenica 21 agosto

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monastero, furono messi all’asta; Santa Sco-lastica divenne monumento nazionale. Successivamente un monaco fu incaricato di ordinare i libri e i manoscritti rimasti, che, nel 1875, ammontavano a 5256 e che, nel 1894, diventarono 8000. Oggi la biblioteca è “Biblioteca Statale” annes-sa al Monumento Nazio-nale di Santa Scolastica e contiene 100.000 volumi, 3780 pergamene, 15.000 documenti cartacei dal 1500 in poi, 440 codici manoscritti e 213 incuna-boli, di cui solo 3 stampati a Subiaco: un Lattanzio e due De civitate Dei. Dal 1996 ospita il famoso “Archivio Colonna”, che l’ha arricchita e le ha dato ulteriore prestigio.

MONASTERO DI S. BENEDETTO Pio II, visitando il Monastero di San Benedet-to nel 1461, lo definì “nido di rondini”. Incassato nella roccia a strapiombo sulla valle sottostante, tale appare al visitatore che per-corre il Bosco Sacro. Pareti, volte e scale, perfettamente integrate nella pietra cui si appoggiano, con la loro irregolarità, garanti-scono un’autentica suggestione in chi si avvi-cina per visitarlo. Composto da due Chiese sovrapposte e da Cappelle e grotte, interamente affrescate in epoche diverse, costituisce un monumento unico, per bellezza e spiritualità, tra quanti la storia della Chiesa e dell’Arte hanno abbon-dantemente dotato il nostro Paese. INGRESSO

L’Ingresso al Monastero di San Benedetto è ancor oggi costituito da una piccola entrata, sulla quale sta una croce a mosaico del XIII secolo. La porta, opera di un marmoraro ro-mano, molto probabilmente smembrata, spostata e successivamente salvata come pezzo di spoglio nelle trasformazioni che il monastero subì, immette in una galleria, che a sua volta, conduce in una stanza detta del

“Capitolo Vecchio”. Sull’architrave, separate da una cornice a mosaico, stanno due iscrizioni, che dicono: “SIT PAX INTRANTI · SIT GRATIA DIGNA PRE-CANTI” e “LAURENTIUS CUM IACOBO FILIO SUO FECIT HOC OPUS”. La firma del marmo-

raro ci fa capire che an-che in questa parte dello Stato Pontificio, finora poco toccata dal grande rinnovamento religioso voluto da Innocenzo III, arrivava l’arte cosmate-sca, espressione e con-trassegno dell’operato di questo papa, che lasciò

un’impronta particolare nella Roma solenne e ufficiale di allora. All’interno, sopra la porta, si trova un dipinto del 1400, che raffigura una “Madonna col Bambino”, di Scuola Umbra e, nella volta, si possono ammirare quattro im-magini, forse della stessa Scuola. I dipinti della parete sinistra sono del XVI secolo: al centro il Redentore e ai lati i quat-tro Evangelisti, ognuno dei quali ha alle spalle paesaggi lontani. In uno di questi è raffigurato il Sacro Speco, con vie di accesso diverse da quelle attuali, cosa estremamente importante per conoscere la sua evoluzione architettoni-ca nei secoli. Nella lunetta, inoltre, è rappre-sentata la “Sacra Famiglia e Santi”, suggestiva eco dell’esperienza fiorentina e toscana di Pietro Perugino (sec. XVI). CORO

Tra la seconda campata della Chiesa Superio-re e il braccio destro del Transetto, di fronte alla cappella più lontana dall’altare si apre l’ingresso ad un piccolo ambiente dove è situato il Coro. Al di sopra degli scanni lignei, sulle quattro pareti sono affrescate una “Crocifissione con la Madonna, San Giovanni, San Benedetto e Santa Scolastica”, “L’Angelo Custode”, una “Madonna con Bambino, Angeli e Santi” e la “Deposizione dalla Croce”. Sulla sinistra c’è un organo del 1700, ad avvia-mento manuale.

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CHIESA SUPERIORE

La Chiesa Superiore è la struttura più alta del Sacro Speco e fu l’ultima parte del santuario ad essere costruita. Il suo interno è formato da due Campate irregolari, sia in pianta che in elevazione, conseguenza delle varie modifi-che apportate. La Campata più esterna, vicino all’ingresso, è rettangolare ed è molto più alta di quella interna; le separa un arco, al di sopra del quale sta l’affresco della “Crocifissione”. La prima Campata è tagliata da un arco trasver-sale, che poggia su mensole decorate con motivi a foglie: da qui partono i costoloni della prima crociera verso l’entrata, che si interrompono dal lato della parete della “Crocifissione”, dopo aver appena accennato alla linea curva di un altra crociera, mai realiz-zata. La seconda Campata presenta una crocie-ra molto più bassa, senza costoloni. Alcuni gradini immettono nel Transetto, un tempo separato dalla Chiesa tramite un muro e che, oggi, costituisce una specie di iconosta-si. L’abside è scavata nella roccia e di fianco ha un piccolo spazio rettangolare, al quale si accostano le cappelle quadrangolari del brac-cio destro del Transetto. Ogni spazio disponibile è affrescato e ciò in parte nasconde le incongruenze presenti. Una anomalia vistosa, ad esempio, è costituita dal pulpito che si trova, per chi entra, sulla parete sinistra della prima Campata, cioè in fondo alla Chiesa, alle spalle dei fedeli. All’esterno, inoltre, sul lato destro, in corrispondenza della prima Campata, ci sono i resti di una facciata; si vedono, infatti, nell’intercapedine tra il fianco della Chiesa e il monastero, una porta murata, con spigoli smussati e una lu-netta trilobata, sormontata da un rosone

polilobato, al di sopra del quale sta una corni-ce di archetti intrecciati, in pietra. È molto probabile che la facciata terminasse a capanna e che la porta stessa avesse una copertura, come dimostrano gli incassi a sol-co e le mensole. Sopra il rosone, invece del calcare, c’è il tufo e questo fa supporre un innalzamento della struttura. L’ipotesi più accreditata è, quindi, che la Chiesa Superiore fosse costituita inizialmente solo dal vano della prima Campata, con ingresso e pulpito nella parete di fronte: poteva essere uno spazio di stretta clausura, visto che tutti gli altri luoghi erano accessibili ai numerosi pel-

legrini. Questo ambiente potrebbe essere stato collegato col monastero che l’abate Bartolomeo II (1318-1343) aveva ingrandito creando il chiostro. Gli ambienti più antichi, un tempo esclusi, potrebbero essere stati inglobati e potrebbe essere stata demolita la

parete corrispondente a quella dell’attuale arco con l’affresco della “Crocifissione”. Le volte della prima Campata sarebbero state rialzate e si sarebbe tentato di dividere lo spazio per ottenere tre campate uguali, ma, e non si conosce il perché, i lavori si interruppe-ro e tutto rimase come oggi si vede. Questo sembra confermato anche dalle deco-razioni: nella prima Campata lavorarono i Senesi, chiamati dall’abate Bartolomeo da Siena (1363-1369) e, intorno al 1430, quando si decise di sospendere i lavori, i maestri um-bro-marchigiani ornarono la parete più inter-na della Chiesa ed il Transetto. PRIMA CAMPATA Chi entra nella Chiesa Superiore del Monaste-ro di San Benedetto, non può non essere colpito dalla “Crocifissione”, opera davvero imponente del Maestro trecentesco del Sacro

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sviluppato l'economia agraria e hanno orga-nizzato lavori di bonifica con tecniche talora anche originali, come le marcite in Lombar-dia, per incrementare la produzione. In queste terre bonificate essi hanno edifica-to, quali centri di irradiamento spirituale, le loro abbazie dai nomi composti con riposanti aggettivi esornativi che creano una sensazio-ne di luce, di freschezza, di profumo con tra-sparente riferimento alla vita spirituale: Chia-ravalle, Aiguebelle, Fontfroide, Bonneval, Clairmont. Con l'applicazione dei loro principi spirituali alla costruzione dei monasteri, essi hanno impresso all'architettura religiosa un carattere di forza, di grandezza, di semplicità che ha forte-mente contribuito alla nascita e allo sviluppo dell'arte gotica così da meritare l'appellativo di missionari dell'arte gotica. Le abbazie cistercensi presentano, dal punto di vista architettonico, una uniformità di linea ed una disposizione costante degli ambienti, secondo le esi-genze della loro spirituali-tà monastica, pur adattan-dosi alle condizioni ambientali, alla configura-zione del terreno, al corso delle acque e dei venti. La semplicità dello stile e la funzionalità della struttura sono un' esigenza di spiritualità ed un manifesto di povertà di cui l'Ordine fa professione. Dagli Statuti sono severamente proibiti gli affreschi, le sculture, le opere di oreficeria, i cori riccamente intagliati, i prezio-si paramenti liturgici e quanto potrebbe ap-parire", per ostentazione e ricchezza, contra-rio alla gravitas cistercense. La novità e l'im-portanza storica dell'Ordine cistercense consi-stette, forse, nell'aver attuato il ritorno all'os-servanza letterale, alla puritas, della Regola di

san Benedetto come presupposto di fuga dal mondo. Nei primi anni non fu necessario insistere sulla semplicità e su1l'austerità di vita, sia nelle costruzioni che negli ornamenti e nelle cerimonie di culto, in quanto la povertà stes-sa imponeva tali restrizioni. L'abate Alberico, secondo l'Exordium Parvum, inculcava solo la perfetta osservanza della Regola di san Bene-detto e l'austerità di vita dei monaci che, con la rinunzia alle rendite feudali, volevano vive-re con il lavoro delle proprie mani, per ade-guarsi alla povertà del Cristo. Gli edifici, l'arre-damento, le vesti e i vasi liturgici erano per-

meati di spirito di povertà. In ar-chitettura la sola imposizione tas-sativamente formulata dal capito-lo generale consisteva nel proibire campanili in pietra, ritenuti inutili in quanto le abbazie erano costrui-te lontane dai centri abitati e dalle vie di comunicazione. Lo spirito di povertà determinò soprattutto in seguito alla violenta requisitoria di Bernardo, nell'Apo-logia, la decisione di escludere opere di scultura e di pittura nelle chiese, nei chiostri e nelle altre parti del monastero. San Bernar-do, senza condannare altre forme architettoniche, proponeva con

trasporto un'architettura religiosa concepita secondo una pura razionalità L'architettura cistercense non è tanto affermazione di un'e-sigenza estetica, quanto espressione di un ideale monastico vissuto nella povertà nell'u-miltà e nel lavoro. Così è più facile comprendere la mancanza di statue, di affreschi, di lampadari cesellati e di sculture nelle chiese cistercensi, che presen-tano gli stessi caratteri in quanto espressione di una stessa spiritualità. I Cistercensi hanno saputo creare, nella pratica della povertà e in spirito di semplicità una struttura razionale, funzionale, pulita e decorosa, servendosi della pietra e del cotto, materiali più facil-mente reperibili.

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ste parole: "Bisogna tener presente che tutti i suddetti monasteri non dispongono neanche dei libri e della suppellettile necessari per la celebrazione dell'ufficio divino". Nel 1623, la comunità ridotta a soli otto reli-giosi, fu annessa con altre otto abbazie alla Congregazione Cistercense Romana, sorta ad opera di papa Gregorio XV. Il pontefice con questo atto cercava di dare nuovo stimolo ad alcune abbazie del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio. Ma la situazione all'interno dell'abba-zia non migliorò. Solo nel 1717 questo centro religioso co-nobbe una buona rinascita grazie all'o-pera di Clemente XI , in precedenza abate commendatario di Casamari. Questi rimosse dall'abbazia i cistercensi della Provincia Romana e introdusse una colonia di monaci cistercensi riformati, detti anche Trappisti, provenienti da Buonsollazzo, in Toscana. EPOCA CONTEMPORANEA Il 13 maggio del 1799 soldati francesi di ritor-no da Napoli si fermarono a Casamari e, dopo aver ucciso alcuni religiosi, la depredarono. Dal 1811 al 1814 l'abbazia fu soggetta ai so-prusi del regime napoleonico, ateo e materia-lista. Il pontefice Pio IX, cercò di riportare in auge l'abbazia. Purtroppo, però durante la lotta che vide opposti i soldati borbonici a quelli Piemontesi; questi ultimi incendiarono gran-de parte dell'edificio. Nel 1874 l'abbazia fu dichiarata monumento nazionale: da allora cominciò a riacquistare una posizione di prestigio e una certa flori-dezza economica. Raggiunse l'apice della sua rinascita ne1 1929, quando la congregazione di Casamari fu aggregata alle altre dell'Ordine Cistercense. Nel dicembre di quell'anno, in-

fatti, Casamari fu eletta canonicamente con-gregazione monastica e riaggregata giuridica-mente all'ordine, come le altre congregazioni. Se nel 1929 contava appena 50 monaci, distri-buiti in 5 monasteri (Casamari, San Domenico di Sora, Valvisciolo, Santa Maria di Cotrino a Brindisi e Santa Maria della Consolazione a Lecce ), attualmente la congregazione di Ca-samari conta circa 200 monaci in 18 monaste-

ri. Nel corso degli anni, difatti, sono stati aggregati all'ab-bazia di Casamari i monasteri di San Do-menico di Sora, di Valvisciolo, di Chiara-valle della Colomba, di S. Maria di Piona, di S. Maria Assunta in Asmara, della Certosa di Trisulti, di S. Maria di Chiaravalle in Brasi-le, di S. Maria di Men-

dita in Etiopia, della certosa di Firenze, di Nostra Signora di Fatima negli Stati Uniti, della Certosa di Pavia. La casa madre di tutta la Congregazione è l'abbazia di Casamari. Le fondazioni in Eritrea e in Etiopia sono state erette per incarico del pontefice Pio XI che, nel 1930, ha dato mandato alla comunità di Casamari della diffusione del monachesimo cattolico in queste nazioni: sono sorti, pertan-to, sei monasteri e delle stazioni missionarie, con quasi 100 monaci. L'abbazia di Casamari è divenuta in questi anni sede di varie attività che ancora oggi vedono impegnati i monaci che, oltre alla partecipazione assidua alla preghiera, curano anche l'insegnamento presso il collegio San Bernardo, interno all'abbazia, la farmacia, la liquoreria, il restauro dei libri, la gestione della biblioteca e del museo archeologico. ARCHITETTURA E SPIRITUALITÀ L'architettura delle abbazie cistercensi è strettamente legata alla storia ed alla spiri-tualità dell'Ordine, ne rispecchia la robustezza interiore e la semplicità. I Cistercensi hanno

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Speco, dipinta nella parete di fronte all’ingresso. Il corpo di Gesù, disegnato con veridi-cità e con seria par-tecipazione, è ac-compagnato da nu-merosi particolari, che costituiscono mere “isole” compo-sitive e cromatiche, non stonate rispetto all’unità dell’opera. Un sapiente gioco di sguardi e di gesti, infatti, ricompone il tutto e lo spettatore stesso ne è coinvolto. La sua attenzione è attratta dal volto sereno di Gesù morto e poi scorge i tanti episodi secondari, ma importanti, quali il gruppo delle pie donne, quello degli armati e dei notabili, che si muovono sul pendio o tra le croci, gli angeli sgomenti, i ladroni vigoro-samente legati, la Maddalena che tende la mano, giovani del tutto indifferenti, i soldati che giocano a dadi per spartirsi le vesti e colei che regge il corpo di Maria svenuta, di giotte-sca ispirazione. La parete, a destra di chi en-tra, è divisa in tre zone o registri. Nel registro inferiore sono rappresentati: “Il Tradimento di Giuda” con conseguente “Fuga degli Apostoli” e, ancora più a destra, “La Flagellazione”. In questi affreschi è evidente l’impostazione generale del Maestro trecen-tesco, ma anche la mano degli Aiuti. Ne “La Flagellazione” la prospettiva appare trascura-ta, soprattutto se si guarda la colonna di un piccolo loggiato a volta, alla quale è legato Gesù. Nel registro mediano, è rappresentato “Il Giudizio di Pilato” e “Il Viaggio al Calvario”, con grande ricchezza di particolari ed impo-nente movimento di personaggi. Ne “Il Giudi-zio” è descritta la città trecentesca con mura merlate alla guelfa, terrazze e loggette; Pilato è rappresentato come un giudice medioevale di fronte a Cristo in veste regale. Ne “Il Viaggio al Calvario” si assiste al galoppo di Armati tra soldati e popolani e al centro

Trombettieri schie-rati in duplice fila, che introducono al camminare di Gesù, preceduto e seguito da persecutori, ladroni e soldati. L’affresco del terzo registro, rappresen-ta “La Pentecoste”, descritta secondo il modo tradizionale: i

dodici Apostoli, identificabili dal nome sotto-scritto, sono seduti, in atto di ricevere le lin-gue di fuoco. Anche la parete di sinistra, a destra della Crocifissione, è divisa in tre zone. Nel primo registro è rappresentata: “L’entrata in Gerusalemme di Gesù”, accolto da fanciulli in festa e da canti di giovani, ma nelle facce dei Notabili della città è evidente il presenti-mento della imminente sciagura. Un poco più avanti sta l’affresco delle “Marie al Sepolcro”, nel quale il Maestro ha ripreso le Marie di Duccio da Boninsegna. Nel secondo registro l’affresco rappresenta “L’Incontro di Cristo con la Maddalena”. La donna è tesa verso Gesù, che inalbera la rossa bandiera crociata e le impedisce il con-tatto. Accanto a questo, un altro affresco rappresenta “L’incredulità di Tommaso”. Nel terzo registro è rappresentata “L’Ascensione, tra Angeli in festa, Maria, i Discepoli e le Pie Donne”. Nelle vele della volta sono dipinti i quattro dottori della Chiesa Latina, assisi su cattedre gotiche che, nel dorsale, hanno il busto di un evangelista. SECONDA CAMPATA La seconda Campata della Chiesa Superiore del Monastero di San Benedetto è un am-biente più antico rispetto alla Prima Campata e lo dimostra la volta, molto più bassa e priva di costoloni. C’è chi lo ritiene il nucleo originario della costruzione, in seguito ampliata con la Prima Campata, molto più alta, dalla quale lo sepa-rava il muro, successivamente abbattuto e sostituito con l’arco, al di sopra del quale,

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nella controparete, è dipinta la “Crocifissione”. Gli affreschi, che riempiono tutti gli spazi, sono attribuiti a pittori di Scuola Umbro-Marchigiana, che vi operarono sin dai primi anni del 1400. Nella parete di fondo, in un affresco molto deteriorato, è rappresentato “San Benedetto in cattedra”, con abiti pontifi-cali, insieme a santi e a membri della famiglia Anicia. Nella parete a sinistra sono tre affreschi: “San Benedetto tentato dal diavolo”, “San Bene-detto che rotola fra le spine” e “San Benedet-to che prega nella grotta”. Nella lunetta, vici-no all’ingresso, si vede, a destra, “Il miracolo del veleno” e a sinistra “La guarigione del monaco indemoniato”, opere di mano diversa rispetto alle altre descritte, che presentano figure di scarsa plasticità, in ambienti archi-tettonicamente curati, ma scarsamente pro-spettici. Nelle vele della volta sono dipinti “San Mau-ro”, “San Gregorio Magno”, “San Romano”, “San Martino” e, al centro, “L’Agnello”. TRANSETTO

Al Transetto della Chiesa Superiore del Monastero di San Benedetto si accede attraverso alcuni gradini, costruiti durante i lavori di restauro del 1853, per collegare questo ambiente con le due Campate; tale ingresso fu chiuso, in epo-ca imprecisata, da un mu-ro, al quale fu addossato un altare. È rimasta documentazione di ciò in due litografie, ancor oggi ben conser-vate. Il restauro inserì i gradini in una specie di iconostasi, tuttora visibile, secondo il “gothic revival”, espressione culturale vigente nella seconda metà del XIX secolo. Ogni spazio del Transetto fu affrescato dagli artisti di Scuola Umbro-Marchigiana, presenti

al Sacro Speco nei primi anni del 1400. Nella prima Cappella a sinistra si possono ammira-re: una “Crocifissione”, “Santa Caterina del Monte Sinai” e i “Padri del deserto”. Davanti alla stessa Cappella si vede una “Madonna col Bambino, San Pietro e San Paolo” e un “San Cristoforo”. Dietro l’altare sta una “Crocifissione”. Nell’arco tra l’altare e le altre due cappelle di destra è dipinto l’ “Ultimo colloquio di San Benedetto e Santa Scolasti-ca”, nel quale è stato notato l’influsso di Otta-viano Nelli di Gubbio e di Lorenzo Salimbeni di San Severino Marche, dai quali il Maestro Umbro trasse ispirazione. Nelle pareti laterali della prima Cappella a destra, di quella cioè, più vicina all’altare, stanno una “Crocifissione” e la “Morte di San Mauro”. Nella parete del Transetto, davanti a questa prima cappella è raffigurato “Il marti-rio di San Placido”, opera propria del Maestro Umbro, che descrive nei dettagli più crudi le torture e l’accanimento degli aguzzini contro il martire; mentre nella volta del transetto,

l’affresco rappresenta “Sant’Agostino, San Fran-cesco, San Bernardo e San Domenico”. In una parete laterale della seconda cappella di destra, quella, cioè, più lontana dall’altare, l’affresco rappresenta “Il martirio di San Paolo”, nell’altra parete è descrit-ta una “Madonna con bambino, San Pietro e San Paolo” e nella vetrata dell’altra parete, c’è una “Madonna con Bambino”.

Nella volta della stessa cappella sono affre-scati i quattro evangelisti. Nella volta del tran-setto, davanti alla cappella appena descritta, sono raffigurati gli Apostoli. Nella parete del Transetto, davanti alla stessa cappella è rap-presentato il “Miracolo dello storpio”, nel quale colpisce il gioco simmetrico dei colori e la raffinatezza delle forme.

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poco chiaro. Il Chartarium Casamariense, redatto sul finire del '400 dal monaco di Casa-mari Gian Giacomo de Uvis, per incarico dell'abate commendatario Giuliano della Rovere, è il punto di riferimento fondamenta-le per la ricostruzione storica dei primordi del monastero di Casamari. Nonostante alcuni dubbi che ancora riguardano la datazione delle origini dell'abbazia, questo documento ci fornisce preziose informazioni. Secondo il Cartario, nell'anno 1005 alcuni ecclesiastici di Veroli, decisi a riunirsi in un cenobio, scelsero Casamari e riutilizzarono, come era in uso allo-ra, materiale preleva-to dai ruderi di un tempio di Marte lì ubicato, per costruire una chiesa in onore dei Santi Giovanni e Paolo. Quattro di essi, sacerdoti, si recarono nel vicino monastero di Sora e ricevettero l'abito religioso dall'abate, il venerabile Giovanni: erano Benedetto, Giovanni, Orso e Azo. La maggiore parte degli storici che si sono occupati dell'argomento (il De Persiis, il Lon-goria, il Giraud e molti altri) contestano la data del 1005 e, primo fra tutti il Baronio, stabiliscono la data della erezione dell'abbazi-a al 1036. L'abbazia acquistò in seguito, grande impor-tanza grazie a numerose donazioni. Ma subì successivamente, una grave crisi a carattere sia economico, che religioso: a carattere eco-nomico per il venir meno dell'economia cur-tense con l'avvento dell'economia commer-ciale (che ebbe come conseguenza un prolun-gato stato di ingovernabilità con frequenti dimissioni di abati); a carattere religioso per il generale disorientamento successivo alla riforma gregoriana. Nell'arco di tempo tra il 1140 ed il 1152 ai monaci "neri", benedettini (così chiamati dal

colore della loro tonaca), si sostituirono i monaci "bianchi", cistercensi. La Cronaca del Cartario riporta: "... nel 1143 i monaci neri erano diventati tanto indiscipli-nati, disonesti e dimentichi della salvezza della loro anima, che Eugenio III [...] trovò il monastero di Casamari dai sopraddetti mona-ci neri ridotto all'indisciplina, dilapidato nelle sostanze e fatiscente nei fabbricati e comin-ciò allora a prenderne cura e vi introdusse i monaci dell'ordine cistercense nell'anno 1152 [...]". I monaci cistercensi trovarono subito consen-

so per la austerità per il rigore e per la sem-plicità della loro vita. Tra la fine del XII se-colo e l'inizio del XIII fu iniziata la costru-zione del nuovo mo-nastero. Nel 1203, fu benedetta da Inno-cenzo III la prima pietra della chiesa, costruita secondo i canoni dello stile gotico-cistercense:

ancora oggi il chiostro, la sala del capitolo, il refettorio, il dormitorio e tutti gli altri ele-menti che compongono l'abbazia destano la viva ammirazione del visitatore. A cominciare dal XII secolo l'abbazia di Casa-mari non solo acquistò possedimenti nelle zone limitrofe, ma intraprese anche nuove fondazioni monastiche, soprattutto nel meri-dione d'Italia. A questo momento di prosperi-tà seguì dalla metà del 400 un periodo di decadenza così come avvenne per altre abba-zie. Causa di questo fenomeno fu la "Commenda", estesa a Casamari da Martino V ne1 1430, a favore del cardinale Prospero Colonna, suo nipote. EPOCA MODERNA Nel 1569, don Nicola Boucherat I, abate di Citeaux, visitò 34 monasteri del meridione, tutti sotto commenda; dopo questo viaggio stilò una relazione che si concludeva con que-

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Abbazia di Casamari INTRODUZIONE

Nel territorio del comune di Veroli, a 9 km dal centro, sulla via Maria, - raggiungibile facil-mente anche dall'autostrada Frosinone-Sora - sorge l'abbazia di Casamari. Essa fu edificata sulle rovine dell'antico municipio romano denominato Cereatae, perchè dedicato alla dea Cerere. Il nome Casamari è di origine latina e significa "Casa di Mario", patria del console romano Caio Mario, celebre condot-tiero, nemico di Silla. L'abbazia fu costruita nel 1203 e consacrata nel 1217. E' uno dei più importanti monasteri italiani di architettura gotica cistercense. La pianta dell'edificio è simile a quella dei mo-nasteri francesi, men-tre la facciata della chiesa presenta all'ester-no un grandioso portico. Si entra nel mona-stero attraverso un'ampia porta a doppio arco. All'interno si trova un giardino la cui parte centrale è occupata dal chiostro. Esso è di forma quadrangolare, con quattro gallerie a copertura semicilindrica. L'aula capitolare è un ambiente formato da nove campate e da quattro pilastri ed è usata per le riunioni. Dal chiostro, grazie a una porta, si entra nella chiesa che è a pianta basilicale a tre navate. Dietro l'altare dell'abbazia troviamo il coro costruito nel 1940. All'interno della struttura ci sono alcune sale duecentesche, che con-tengono reperti archeologici di epoca roma-na. Di grande interesse sono: la biblioteca e il museo ricco di opere d'arte. PROFILO STORICO DELL'ABBAZIA

EPOCA ROMANA L'Abbazia di Casamari, ubicata nell'omonima contrada del territorio di Veroli, in provincia di Frosinone, è un importante centro storico, culturale e spirituale del Lazio. E' possibile ammirare questo secolare monumento, per-

correndo la via Mària, strada provinciale che collega Frosinone a Sora. Probabilmente tra i nomi "Casamari" e "Via Mària" si è già notata una certa assonanza: ciò è dovuto alla loro comune etimologia, che si riconduce al nome di Caio Mario ( II-I sec. a.C.), insigne personaggio della storia di Ro-ma, sette volte console e avversario di Silla nella guerra civile dell'88 a C. La fama che assunse questo personaggio nel mondo ro-mano fece sì che il luogo dove nacque e visse

i primi anni della sua vita fosse connotato dal suo nome: infatti Casa-mari (Casa Marii) signifi-ca etimologicamente "casa di Mario". Precedentemente, le fonti storiche indicava-no questo luogo con il nome di "Cereatae": Plutarco, nelle Vite, riporta che "[Mario]

trascorreva il tempo nel villaggio di Cereate, nel territorio di Arpino..."; Strabone, geografo greco, nomina il villaggio di Cereate nella descrizione del territorio adiacente al fiume Liri; infine Frontino, storico latino del I secolo d.C., riferisce che "...la famiglia di Caio Mario risiedeva nel municipio di Cereate..." In base a queste testimonianze e a numerosi ritrovamenti archeologici, possiamo afferma-re con certezza che l'abbazia di Casamari sorge nell'antico municipio romano. Durante i secoli di decadenza dell'impero, Cereate subì la progressiva crisi economica, conseguente alla decadenza della civiltà di Roma e alle invasioni barbariche. Le testimonianze riguardo a Cereate riaffiora-no a partire dal secolo XI, da documenti che attestano la presenza di una comunità di monaci benedettini nel luogo chiamato Casa-mari. MEDIOEVO La fondazione del monastero è descritta nella "Cronaca del Cartario", documento del XIII secolo, che presenta tuttavia qualche punto

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CHIESA INFERIORE

Tra il 1244 e il 1276, l’abate Enrico ristrutturò il Sacro Speco, come si legge nel Chronicon, trasformandone completamente l’aspetto. A questo periodo risale la creazione del vasto piano della Chiesa Inferiore, un ampio spazio rettangolare, diviso in tre vani, coperti da volte a crociera, uno rettangolare e due qua-drati. Alterò profondamente l’interno dello Speco l’inserimento della pianta “ad quadratum”, bernardina, che i Cistercensi, in quel tempo, andavano diffondendo in Europa e presente nel Lazio a Fossanova e a Casamari. L’accesso alla Chiesa Inferiore avviene oggi dal transet-to della Chiesa Superiore tramite una scala, a sinistra della quale (sulla parete settentriona-le) sta un affresco di matrice bizantina, che raffigura il testo della bolla del 4 Luglio 1202, con la quale il papa Innocenzo III concedeva speciali favori ai monaci residenti nello Speco. Nell’affresco tale testo è sorretto a destra dallo stesso Innocenzo III e, a sinistra, da San Benedetto, che è seduto, e che, inginocchio davanti a lui, ha l’abate Romano. Sia Innocen-zo III che l’abate Romano hanno l’aureola quadrata, ad indicare che erano ancora in vita nel momento in cui fu fatto il dipinto e poiché morirono entrambi nel 1216, tale fatto è si-gnificativo per le opere di ristrutturazione che lo Speco subì in quegli anni. Successivamente il Conxolus affrescò, sopra il testo della bolla, un altro Innocenzo III, con piviale rosso, pallio e tiara ad una sola corona e ricoprì l’affresco con una pittura, ancora conservata, che raffigura San Benedetto. Di questo artista non si sa molto: probabil-mente era romano e a lui, e ai suoi Aiuti si attribuisce la maggior parte degli affreschi della Chiesa Inferiore, nei quali, come disse F. Hermanin, è evidente che “guardò la vita e la prese direttamente a modello”. Nell’absidina, vicino al bellissimo affresco della “Madonna con Bambino tra due Angeli”, su fondo azzur-ro, ci ha lasciato il suo nome; si legge, infatti: “Magister Conxolus pinxit hoc opus”. L’immagine, stesa sulla superficie concava,

produce effetti ottici notevoli, perché sembra che si muova con colui che la guarda. Tale fenomeno, dai critici non sempre giudicato positivamente, risulta, invece, nuovo ed e-stroso, anche perché le eventuali tecniche correttive non avrebbero risolto dalla radice il problema. L’ispirazione dell’artista è di origi-ne bizantina, poiché il trono suggerisce la descrizione della Madonna come Madre della Chiesa, ma l’opera nella sua realizzazione è cosmatesca e tardo duecentesca, avvicinabile alla raffigurazione dei troni di Cimabue. L’ovale del viso, la diversa grandezza degli occhi, il naso diritto, la piccola bocca, il collo cilindrico mostrano nell’insieme dolcezza e serenità, svelate dal movimento della mano, che nel Bambino, sereno e greve, indica la loro ultima origine. PRIMA CAMPATA La Prima Campata della Chiesa Inferiore è situata vicino alla Scala Santa, posta sulla sinistra di chi si mette di fronte alla Chiesa. Nella parete di fondo sono rappresentati gli episodi de “L’offerta del pane”, “Il pane avve-lenato sottratto dal corvo” e “Cristo benedi-cente tra angeli, con San Benedetto e Santa Scolastica”. Il primo di essi, a sinistra di una finestra, è ambientato in una grotta, dove San Benedetto, seduto, riceve, in un ampio lino, da una donna vestita di rosa, il pane avvele-nato, dono del prete Fiorenzo, con grande sconcerto di Mauro e di Placido. L’autore, che non è Conxolus e neppure il suo primo Collaboratore, ma un artista della sua stessa bottega, segue lo schema di altri episo-di dipinti in questa Campata, ma sa bene esprimere lo stupore dei due nel gesto delle mani e nello sguardo pieno di domanda rivol-to al Santo. A destra della finestra è raffigura-to San Benedetto che comanda ad un corvo di portar via il pane avvelenato. Nella parete a sinistra, sopra l’ingresso della Scala Santa, è affrescato il “Cristo benedicente tra Angeli”, che fuoriesce dal rotondo scudo. Quest’opera presenta forti analogie con ope-re di Cimabue; in un angelo, inoltre, si ricono-sce il modello del Conxolus e nell’altro un

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modello bizantino. Nella volta è dipinto Cristo con aureola cruciforme dentro una cornice di rami e di fiori, con Arcangeli che si alternano ai Santi Pietro, Giovanni Evangelista, Paolo e Andrea, considerati “i pilastri del cielo” nella cosmografia di Cosma Indicopleuste, mercan-te e viaggiatore egiziano del VI secolo. Nella lunetta della parete dove si apre la por-ta del Coro, è descritto il “Miracolo del salva-taggio di San Placido”, che si fa fatica ad attri-buire al Conxolus. E’ più facile vedervi la ma-no di un suo Collaboratore, che usa una mino-re consistenza plastica e un attento studio psicologico, evidente negli stretti occhi a mandorla, negli ovali allungati e nei riflessi che convenzionalmente segnano la direzione della luce. Viene descritto San Mauro, che inconsapevol-mente corre sull’acqua del lago, appena San Benedetto gli fa cenno di salvare San Placido, inavvertitamente cadutovi. Anche ne “Il Mira-colo del falcetto” è presente la mano del secondo Collaboratore, per la fisionomia dei visi, molto rassomiglianti a quelli dell’episodio del pane avvelenato. La scena è vivace ed espressiva, benché il lago sia rappresentato come una bianca macchia rettangolare, dai bordi ondulati: a sinistra sta il Goto che porge al santo il bastone senza falcetto, a destra San Benedetto immerge nell’acqua il bastone, al quale il falcetto mira-colosamente si unisce. SECONDA CAMPATA La Seconda Campata della Chiesa Inferiore si trova allo stesso livello della Prima Campata e ad un livello più basso rispetto alla Terza Campata, poiché segue il digradare della roc-cia. A sinistra, vicino all’ingresso che porta alla Grotta della Preghiera, vi è un affresco che rappresenta “Cristo benedicente tra Angeli”.

Nella parete a destra della scala è dipinto “Il funerale di San Benedetto”, dove è evidente il rapporto del Conxolus e dei suoi Colla-boratori più stretti con altri autori coevi, quali Pietro Cavallini e il primo Giotto. Nella stessa parete sono affrescati i santi “Stefano,

Tommaso e Nicola”. Nella volta sono dipinti papi, vescovi e monaci santi, San Benedetto, San Gregorio, San Silvestro, San Lorenzo e altri santi dell’Ordine. TERZA CAMPATA Nella Terza Campata della Chiesa Inferiore, a sinistra, si trova una grotta nella quale è alle-stito permanentemente un presepio. Nella parete a destra sono dipinte le storie di San Benedetto: “Il miracolo del vaglio”, “Il viaggio verso la chiesa di Affile” “La vestizio-ne”, “Il ritiro in orazione dentro la grotta”. Particolare attenzione merita il primo di essi, nel quale colpiscono i volti, opera esclusiva del Conxolus, descritti con forte plasticità. E’ evidente nel Santo lo stupore per l’avvenuto miracolo e nella nutrice, che tiene il vaglio, l’incipiente vecchiaia, per le rughe poste intorno agli occhi rotondi. Nel secondo affresco è messa in risalto la figura di San Benedetto teso verso la chiesa di Affile, chie-sa descritta con forte accentuazione plastica dal Conxolus, che non dipinse molti edifici sacri, ma che dimostra di conoscere bene le opere di Giotto dove tali edifici sono presenti. Nell’affresco della “Vestizione di San Bene-detto ad opera dell’abate Romano”, l’episodio è descritto in un paesaggio sassoso, nel quale si erge la chiesa di Santa Croce, che lega questo al dipinto precedente. I colori, la consistenza dei personaggi, le modalità e-spressive sono del Magister; la sua mano è evidente nella testa rotonda, negli occhi gran-di, nel collo robusto di San Romano. Nell’ultimo episodio San Benedetto è descrit-to in preghiera, dentro la grotta immersa in

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debole convinzione lo vuole “alatrense”, es-sendo a quei tempi Alatri un municipio e colo-nia romana. Il nome “Sisto”, probabilmente di origine greca, potrebbe anche significare che fu il sesto successore di San Pietro. Non c’è chiari-to neanche quale dignità ricoprisse S.Sisto al momento della sua elezione a Sommo Ponte-fice. Il Catalogo Feliciano dei papi ed i vari martiro-logi lo indicano come martire sotto il crudele Antonino Pio, ma non ci sono dettagli sul tipo di martirio che patì. Alla sua morte, fu inumato nel sepolcreto della basilica Vaticana. Fu Papa dal 115 al 125 D.C. L’ ARRIVO AD ALATRI DELLE RELIQUIE DI S. SISTO I PAPA E MARTIRE Correva l’anno 1132, Rainolfo, conte di Alife, decise di inviare degli ambasciatori a Roma per ottenere dal Papa Anacleto II° le reliquie di qualche santo con lo scopo di liberare la propria città dalla pestilenza. Anacleto concesse l’urna delle reliquie di S. Sisto agli alifani che la caricarono sul dorso di una mula per far ritorno fiduciosi ad Ali-fe.Giunti ad un trivio, probabilmente nei pres-si di Fumone, la mula non volle più saperne di proseguire per Alife e si avviò per un sentiero che conduceva ad Alatri. Nessun tentativo riuscì a far cam-biare strada alla mula che si fer-mò nei pressi della chiesa di S. Matteo in località detta il Colu-bro, dove fu accolta dal Vescovo, dal clero e dal popolo alatrino. La mula proseguì il suo cammino dirigendosi senza esitazione ver-so l’acropoli e davanti alla catte-drale si inginocchiò aspettando che il Vescovo Crescenzio la liberasse dal suo prezioso carico. Da quel momento Alatri fu liberata dal conta-gio e i cittadini fecero dono agli alifani di un dito del Santo.S.Sisto aveva scelto la sua di-mora: era l’11 gennaio 1132.

Le reliquie di S.Sisto sono conservate nella Concattedrale di S.Paolo entro un’urna di piombo antichissima, sul cui coperchio vi è incisa la scritta: “HIC RECONDITUM EST COR-PUS XYSTI PP. PRIMI ET MARTIRIS” La ricorrenza della venuta del Santo si festeg-gia ad Alatri l’11 gennaio con una solenne funzione religiosa, mentre, il mercoledì dopo Pasqua, l’imponente statua è portata in pro-cessione per le strade della città. Il motivo del “doppio festeggiamento” è da ricercarsi in un avvenimento storico. Nell’anno 1186, Alatri è assediata dalle trup-pe di Arrigo VI°, figlio di Federico Barbarossa. Dopo nove giorni di resistenza i viveri e le forze cominciano a mancare e gli alatrini van-no a prostrarsi innanzi al loro Patrono San Sisto per invocare aiuto e protezione. Dopo fervide preghiere, si sentono animati da gran forza d’animo. Riunite le forze, si scagliano come leoni contro il nemico, che si da a ver-gognosa fuga verso la vicina Guarcino, non resistendo all’attacco. Tutti attribuirono a San Sisto l’onore della vittoria, ed essendo il fatto accaduto nel mer-coledì dopo la Santa Pasqua, decretarono che d’allora in poi quel giorno dovesse essere consacrato al loro Santo Protettore e ritenuto

il più importante dell’anno. S.Sisto “gode” dunque di ben due feste, entrambe avvertite profondamente dal popolo alatrense.La statua del Santo è in legno ricoperto d’oro (la te-sta, il braccio e la palma sono di argento). Il suo peso è di circa 7 quintali ed essa è portata processional-mente in spalla per le vie della città da 20/25 incollatori appar-tenenti alla Confraternita.

Una curiosità: ogni qualvolta avviene il cam-bio del Vescovo di Alatri, il suo primo ingresso nella città è a dorso di una mula bianca, in ricordo dell’episodio della venuta di S.Sisto. Le città di Alatri e Alife, inoltre, sono unite nella fede al Santo attraverso un gemellaggio.

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MIRACOLO EUCARISTICO OSTIA INCARNATA

Tra le molte testimonianze di fede che nel corso dei secoli hanno scandito la storia di Alatri si inserisce il Miracolo dell’Ostia Incar-nata: una particola consacrata divenuta carne umana in seguito ad un atto sacrilego, com-piuto nella città tra la fine del 1227 e i primi mesi del 1228. La memoria di quest’evento è racchiusa in un documento redatto nel palaz-zo lateranense il 13 marzo 1228: un Manda-tum pontificio di Gregorio IX° al vescovo dio-cesano Giovanni V°. In questa Bolla è ufficia-lizzato il giudizio del Pontefice, in risposta ad una precedente lettera infor-mativa del presule di Alatri: IL MANDATUM " Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio, al venerabile Ve-scovo di Alatri, nostro fratello, salute e apostolica benedizio-ne. Abbiamo ricevuto, fratello carissimo la lettera riguardan-te il fatto che una giovane, a causa della cattiva influenza di una donna malvagia, avendo ricevuto dalle mani del sacerdote il sacratissimo Corpo di Cristo, lo trattenne temporaneamente nella bocca, finché, coltane l’opportunità, lo avvolse di nascosto in un panno, fino a quando, dopo tre giorni, trovò il medesimo Corpo, che ave-va ricevuto sotto forma di pane, convertito in carne, come appare in modo inequivocabile a chi tuttora lo osserva. Pertanto, avendoti entrambe confessato umilmente tutto ciò, chiedi di essere istruito, con una nostra rispo-sta, su quale debba essere la penitenza da infliggere loro. Dunque, innanzitutto, rendia-mo grazie, per quanto possibile, a Colui che, sebbene operi mirabilmente in ogni cosa, tuttavia in alcune circostanze interviene in modo miracoloso e si avvale di eventi straor-dinari, affinché, rinsaldando la Fede nella verità della Chiesa cattolica, ravvivando la Sapienza, riaccendendo la Carità, dissuada i peccatori, converta i malvagi e confonda l’errore degli eretici. Quindi, fratello carissi-mo, con questa lettera apostolica ordiniamo

che, per quanto concerne la giovane, giacché si valuta abbia sbagliato più per fragilità che per malizia e, soprattutto, poiché è da creder-si che si sia sufficientemente tormentata in confessione, sia da infliggerle una punizione più mite. All’altra, piuttosto, che la indusse a peccare a causa della sua perversità, esclu-dendo ciò che riteniamo di dover lasciare al tuo giudizio, (disponiamo) che tu la costringa, portandosi al cospetto dei Vescovi viciniori, a dichiarare con remissività il suo reato, implo-rando umilmente il perdono. Dato in Laterano il 13 marzo, l’anno primo del nostro pontifica-

to." Agli inizi del’700, non senza l’indignazione del clero e del popolo di Ala-tri, una porzione della Reliquia viene offerta dal Vescovo Giuseppe Guerra al proprio concittadino e futuro cardinale Camillo Cybo che, a sua volta, ne fece atto di donazione al

Monastero e chiesa di S. Maria degli Angeli alle Terme di Diocleziano a Roma. Attualmen-te, la restante particola consacrata è conser-vata nella Concattedrale di S. Paolo in un’apposita cappella fatta realizzare nel 1997, presso la navata destra. Entro una teca vitrea, è esposta alla venerazione di tutti i credenti. Si presenta con le fattezze di un piccolo pezzo di carne dall’aspetto omogeneo e di colore brunastro. La materia evidenzia una forma sferoidale del diametro di circa 1 cm, conferi-tale dal cilindro di cristallo nel quale è da sempre conservata. L’esistenza di una fonte di assoluto rilievo, quale la Bolla di Gregorio IX°, non può che inserire a pieno titolo il Mira-colo alatrino tra i più antichi prodigi eucaristi-ci storicamente documentati. SAN SISTO I San Sisto ebbe i suoi natali a Roma dalla fami-glia Pastore (nome assai frequente tra i roma-ni del II secolo). Il suo anno di nascita è igno-to. La tradizione lo vuole appartenente alla regione di Via Lata, centro animato della vita civile al tempo dell’Impero. Una seconda

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un paesaggio realisticamente rappresentato, del quale sono con accuratezza descritti gli alberi e la campagna circostante. Anche qui il campanile a vela, con campana e corda, stabilisce la connessione agli altri tre dipinti e mette in evidenza la volontà del Conxolus di rappresentare con realismo gli episodi della vita del Santo. Nella parete a sinistra della scala che porta alla Chiesa Superiore è dipinto il “Papa Inno-cenzo III”, “San Benedetto in cattedra e l’abate Romano” e a destra, nell’absidiola, la “Madonna in trono col Bambino e Angeli”, rappresentata a mezzo busto, seduta su un trono con schienale a baldacchino di fattura cosmatesca, con la dicitura: “Magister Conxo-lus pinxit hoc opus”. GROTTA DI S. BENE-

DETTO

La Grotta di San Bene-detto, chiamata anche “Grotta della Preghie-ra”, è il principale pun-to di riferimento di tutto il sacro comples-so. E’ un anfratto del mon-te Taleo, dove, come dice san Gregorio Ma-gno nel II libro dei “Dialoghi”, San Benedetto si ritirò a vita eremitica per tre anni, ignoto a tutti, fuorché a Dio e al monaco Romano, che dall’orlo della roccia sovrastante, mediante una lunga corda, mandava al Santo il cibo essenziale per la sopravvivenza. In seguito al tentativo di avvelenamento da parte di Fiorenzo, parroco della chiesa di San Lorenzo, situata sulla riva sinistra dell’Aniene, San Benedetto abbandonò la grotta ed essa rimase per circa seicento anni solo luogo di preghiera per quei religiosi che vivevano nel vicino monastero di Santa Scolastica. Nel 1090 l’abate di tale monastero, Giovanni V, dette al monaco Palombo, che gliene aveva fatto richiesta, il permesso di stabilirsi nelle immediate vicinanze della grotta e di condur-vi vita eremitica. Dopo il 1193 al Sacro Speco si insediò una comunità di dodici monaci, con

una propria amministrazione, guidati da un priore dipendente dall’abate di Santa Scola-stica, e la roccia nella quale la grotta è inseri-ta subì adattamenti e modifiche strutturali, per agevolarne l’accesso e consentire il nor-male svolgimento della vita monastica. Il papa che, in quel periodo, maggiormente ebbe a cuore l’esperienza benedettina, fino a riformarla, fu Innocenzo III, che andò spesso a Subiaco e valorizzò lo Speco. Ancor oggi è possibile ammirare, all’interno della grotta, un paliotto d’altare di quell’epoca, opera cosmatesca, testimonianza del gusto che i marmorari romani allora diffondevano. Alla fioca luce delle dodici lampade si può vedere, inoltre, la bianca statua opera di An-

tonio Raggi, allievo del Bernini, che raffigura il giovane Benedetto in preghiera, con le brac-cia sul petto e gli occhi rivolti alla croce. La nuda roccia accresce la profonda suggestione del luogo, nel quale non fu e non è difficile “cercare” e trovare

Dio. CAPPELLA DI S. GREGORIO

La Cappella di San Gregorio è un piccolo am-biente absidato, in parte stretto alla roccia, con volta a crociera non costolonata, al quale si accede dalla Chiesa Inferiore, attraverso una scala a chiocciola, che sostituisce le fun-zioni di un antico passaggio voluto dall’abate Giulio Graziani nel 1595. A destra della finestra si trova, in un pannello rettangolare bruno-oliva, l’affresco che rap-presenta San Francesco d’Assisi, che ha in mano una carta, nella quale si legge: PAX HUIC DOMUI. Ai suoi piedi è raffigurato un piccolo monaco, con tonaca rosso cupo, che è, forse, il committente dell’opera. Si nota la grande intensità spirituale che l’autore, detto “il Maestro di Frate Francesco”, volle impri-mere nel suo personaggio principale. L’opera è anteriore al 1224, anno in cui San

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Francesco ebbe le stimmate, che qua non figurano, come non figura l’aureola, ad indi-care che il santo, in quel tempo, era ancora vivo. Dello stesso autore è l’altro affresco, posto a sinistra della finestra, che rappresen-ta il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, dive-nuto poi papa col nome di Gregorio IX, dipin-to nell’atto di consacrare la cappella a San Gregorio Magno. Molti riconoscono, nella figura che si trova accanto ad Ugolino, lo stesso San Francesco, che avrebbe assistito a tale consacrazione. Ugolino è dipinto secondo una formula com-positiva, cara al Mae-stro di frate Francesco, desunta da una matri-ce culturale bizantina: la curvatura della figu-ra, nel rispetto della cornice d’arco. Nell’iscrizione posta sotto l’affresco si legge la data: il secondo anno del pontificato di Gregorio IX (1227-1241); in tale periodo operò al Sacro Speco questo maestro, autore anche di altri dipinti della Cappella di San Gregorio. Il suo tocco si riconosce nell’affresco, che sta a destra della finestra, in alto, dove è rappresentato, su fondo color oliva, bordato di una fascia verde e di un listello, profilato di porpora, a T rossi e bruni, “San Michele Arcangelo”, che scuote il turibolo, piegato, a seguire la curva della cornice d’arco. Un’altra opera, attribuita al Maestro di frate Francesco e presente in questa Cappella, è “San Gregorio e Giobbe piagato e afflitto”, sottoposto a tardivi restauri, che ne hanno irrigidito i profili di alcuni particolari. San Gregorio, assistito dallo Spirito Santo rappre-sentato sotto forma di colomba, con il piviale rosso, il pallio e la tiara bordati e ricamati con oro e perle, si curva su Giobbe seminudo e ricoperto di piaghe. In tale opera, prescindendo dalle parti mal restaurate, è possibile trovare forza espressi-

va e sofferenza coinvolgente, soprattutto nella figura del vecchio Giobbe, che richiama il san Giovanni della “Crocifissione”, opera rappresentata nella parte alta dell’abside, irrimediabilmente deteriorata e forse ingiu-stamente attribuita ad altri autori. Nella zona sottostante è dipinto il “Salvatore benedicen-te” che ha ai lati san Pietro e san Paolo. Nella volta sono affrescati i simboli degli e-vangelisti e quattro cherubini, dei primi anni del 1200, di autori bizantineggianti. L’ex voto, a destra della finestra, è la “Pietà”, opera quattrocentesca, attribuibile forse ad Anto-

niazzo Romano. SCALA SANTA

La Scala Santa fu fatta costruire dall’abate Giovanni V (1060-1121) per sostituire lo stretto sentiero, lungo il pendio del monte Taleo, che San Bene-detto percorreva per passare dallo Speco o “Grotta della preghie-

ra” alla “Grotta dei Pastori” ed incontrarvi le persone desiderose di ascoltare le sue parole. Oggi, a causa delle modifiche subite da tutto il complesso nel corso dei secoli, l’originaria Scala Santa è ridotta ad un piccolo tratto, ma conserva tale nome quella che ha inizio dalla Cappella della Madonna. Ad occidente la Scala rasenta la roccia e ad oriente il muro esterno, dove sta una monofora. La copertura presenta una vasta crociera, ma la roccia rende tutto un po’ asimmetrico, perché con-diziona lo spazio, peraltro affrescato in ogni sua parte. Prima di arrivare alla Grotta di San Benedet-to, sulla sinistra, si ha l’accesso ad una scala a chiocciola, che porta alla cappella di San Gre-gorio, correzione fatta durante il restauro del 1925-31. Gli affreschi della Scala Santa, pur nella asimmetria delle pareti, presentano tre episodi descritti dal Maestro Trecentesco del Sacro Speco, da un suo Collaboratore e un Aiuto, su temi ricorrenti e letterariamente

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dell’acropoli stessa: un piazzale dal panorama eccezionale. LA PORTA MINORE che consente l’accesso ad una salita verso l’acropoli su cui sono sorti il Duomo seicentesco dedicato a S. Paolo e l’episcopio, forse su un tempio antico. PALAZZO GOTTIFREDO - (Palazzo Case Grandi) - Costruzione gotica del XIII secolo con un corpo centrale ornato da due piani di bifore. Nei locali della torre del Palazzo (restaurata nel 1930) e del pianterreno, dal 1996, viene ospitato il Museo Civico con sculture di epoca romana, la biblioteca e una sala per esposizio-ni. Visita al MUSEO CIVICO (su prenotazione) e gratuita nelle ore 10 - 12 e 18 – 19. IL DUOMO - Cattedrale di S.Paolo, XII secolo - Consacrato nel 1091, la facciata settecente-sca, corsa da lesene, e' preceduta da una ampia scalinata. Custodisce la celebre reli-quia dell'Ostia incarnata, miracolo del 1227. CHIESA DI S. MARIA MAGGIORE (prospiciente l'omonima piazza) - Chiesa costruita nel XIII, in forme romanico gotiche, ampliando e ri-strutturando le rovine di un preesistente tempio consacrato alla dea Venere (V secolo); la facciata romanico gotica presenta tre por-tali di accesso, il campanile a due piani di bifore simile a un torrione merlato e un origi-nale rosone a traforo (XIV secolo). Nell’interno a tre navate scandite da una doppia fila di massicci pilastri si conservano numerose opere d’arte di notevole rilievo tra cui un gruppo di ligneo policromo dei secoli XII e XIII raffigurante la Madonna di Costanti-nopoli; vero capolavoro dell'arte romanica, con figurazioni policrome della vita di Cristo e della vergine. Inoltre il Trittico del Redentore, lavoro autografo di Antonio da Alatri, raffigu-rante Cristo benedicente, la Vergine col Bam-bino e S. Sebastiano (prima meta' del XV sec) e un fonte battesimale del XIII secolo. CHIESA DI S. SILVESTRO - In stile gotico roma-nico fu eretta tra il X e l' XI secolo ad una sola navata; nel 1331 fu ampliata con l'aggiunta di una seconda; la cripta custodisce affreschi del XIII - XIV. secolo.

BADIA DI S. SEBASTIANO (SEC. VI) - Stupendo nucleo architettonico fondato nei primissimi anni del VI secolo accolse in origine una delle piu' antiche comunita' cenobitiche d'Occiden-te. Successivamente pero', in seguito all'affie-volimento della comunita' maschile, l'eremo fu abbandonato e solo nel 1233, dopo una totale ristrutturazione in forme romaniche, fu nuovamente ripopolato dall'ordine delle Da-mianite di santa Chiara che vi dimoro' fino al 1442. CHIESA DEI PADRI SCOLOPI - costruzione tar-do barocca (1734-1745) - Edificio di puro impianto seicentesco costruito fra il 1734 e il 1745 su progetto dall'architetto Benedetto Magariti. All'interno la chiesa e' adornata da dipinti del veneziano Benedetto Mora e Car-mine Spinetti. CHIESA DI S. STEFANO (sec.XII) e Chiesa di S. Silvestro (sec. X-XI) CHIESA DI S. MADDALENA (sec. XII) con affre-schi del sec. XIV CHIESA S. FRANCESCO (e convento dell'ordine francescano del sec. XIII) - Fu costruita alla fine del XII secolo con particolari pregevoli, come il portale gotico e il rosone, e ristruttu-rata internamente in forme tardo barocche. Accoglie i resti di un affresco raffigurante una Madonna col Bambino e Santi (XV secolo), del Maestro della Scuola di Alvito. Fontana di porta S. Pietro, Fontana Antonimi e Fontana Pia (al centro della piazza omonima - 1869) realizzate su progetti dell'architetto Giuseppe Olivieri. GRANCIA DI TECCHIENA - Un mirabile esem-pio di architettura settecentesca alle pendici del colle Monticchio (sec, XVIII). PORTA PORTATI a Nord-Est dell'Acropoli. PORTA S.FRANCESCO a Nord-Ovest dell'Acro-poli. LE PIAGGE - Un caratteristico dedalo di ripide scalinate e strette viuzze attraverso gli antichi quartieri medievali della citta' e raccolti lungo il versante meridionale dell’acropoli.

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cosicché all'originaria struttura gotica si è sovrapposto un impianto decorativo barocco; la facciata è del 1798 ed è stata realizzata dall'architetto Paolo Posi. L'interno è suddiviso da un'iconostasi in due parti: quella dei conversi e quella dei padri, conformemente alla tradi-zione certosina. Alla base dell'iconostasi trovano posto i resti di due martiri cristiani, in seguito vestiti da cavalieri. Notevoli i due cori lignei: uno, del 1564, è opera del certosino Mastro Iacobo, mentre l'altro è stato realizzato nel 1688 per opera del certosino Frate Stefano. Nella chiesa sono conservate pregevoli opere pitto-riche di Filippo Balbi, tra cui un dipinto sulla strage degli innocenti. Gli affreschi della volta, raffiguranti una Glo-ria del Paradiso, sono stati realizzati da Giu-seppe Caci nel 1683; sua è anche la pala d'al-tare che raffigura una Madonna in trono con il Bambino e i santi Ambrogio ed Agostino. LA FARMACIA L'antica farmacia del monastero, del XVIII secolo, è costituita da vari ambienti su due livelli; è decorata con realistici trompe-l'œil di ispirazione pompeiana e presenta arredi set-tecenteschi. Segue lo stile pompeiano in voga sul finire del Settecento anche la decorazione della volta a crociera della sala principale, realizzata da Giacomo Manco. Il salotto d'at-tesa è detto salottino del Balbi: anch'esso è stato decorato — in maniera molto originale — dal pittore napoletano; il dipinto che ritrae frate Benedetto Ricciardi, all'epoca direttore della farmacia, si distingue per l'elevato reali-smo e la complessa costruzione prospettica. Nella farmacia si possono vedere i vasi in cui erano conservate le erbe medicamentose e i veleni estratti dai serpenti. Interessante il giardino antistante la farmacia in cui le siepi di bosso ripropongono forme animali: un tempo era l'orto botanico.

Alla base del campanile della Chiesa di S.Agostino (Sec. XIV) sono ancora visibili i (Bartolomeo Sinibaldi) fu terminata nel 1536, dopo la sua morte, da Bastiano Bertolani da Palazzo Pfanner (secc. XVII-XVIII) si distingue per il suo splendido giardino all'italiana attri-

buito a Filippo Juvarra (1678-1736), per l'impo-nente scalone e romana. Ai piani superiori si trovano capolavori duecenteschi i borghi di S.Alessandro, sulla via delle Saline colon-ne fu colorato di granito rosa, e a spese del vescovo fu fatto anche l'attuale

Alatri MURA CICLOPICHE Alatri e' notissima per la sua alta cinta di mu-ra poligonali, in assoluto la più bella di quante si conoscano, edificate nel II secolo a.C. dai Romani a protezione della cosiddetta Civita, l’antica acropoli fortificata che occupava la sommita’ del colle. Lungo il perimetro murario, fortificato nel medioevo con restauri medioevali e con l'ag-giunta di torri per dare rifugio alla popolazio-ne, troviamo le cinque porte che consentono l’accesso alla citta'. L'ACROPOLI (CIVITA) Rappresenta il massimo monumento di ar-cheologia preromana di origine heteo - pela-sgica (IV secolo a.C). Sorge sulla parte alta della citta' protetta da una cinta di mura tra-pezoidali a grandi blocchi poligonali di grande imponenza (enormi sassi di pietra calcarea sovrapposti l'uno sull'altro in modo perfetto e senza l'aiuto di sostanze cementizie). Delle cinque porte che aveva in origine, ne restano due: LA PORTA DELLA CIVITA O DELL'AEROPAGO – Sormontata da un architrave monolitico lun-go 5,13 m per 1,80 di spessore, vi si accede salendo 12 gradini e conduce alla sommita’

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trattati in quegli anni. Il primo episodio, “L’incontro dei Tre Vivi e dei Tre Morti, rappresenta tre giovani, due dei quali, intenti a discorrere tra loro, col falco e la civetta tranquillamente appollaiati sui rispettivi guanti, incuranti o indifferenti a quanto San Benedetto mostra loro, a diffe-renza di un loro amico, interessato alle parole del Santo, che gli indica l’inevitabile destino dell’uomo: la corruzione del corpo (le tre bare, infatti, mostrano non tre morti, ma tre fasi diverse della trasformazione di un solo corpo operata dalla morte); alle sue spalle un monastero turrito, nella solitudi-ne della campagna, propone, quale con-tropartita di salvezza, la vita ascetica. Su un pannello irre-golare il cui bordo superiore, curvilineo, muove la scena che si stende lungo le rampe, è affrescata “La Cavalcata della Morte”. La morte, con spada sguainata, procede a ritmo sostenuto, incu-rante di quanti travolge nel suo passare (nobili, monaci, giovani, dame), desiderosa di colpire due cacciatori del tutto ignari del suo arrivo. Qui è evidente la presenza di un Colla-boratore del Maestro, ben più esperto dell’Aiuto, la cui mano è palese nel “Battesimo di Gesù”, soprattutto nella faccia smunta di Cristo e di san Giovanni, dipinto nel sott’arco, vicino alla rappresentazione di un bosco lussureggiante. La mano del Maestro, invece, si evidenzia nell’allineamento del bosco, del lago e delle pietre e nell’impaginazione globale dell’affresco. CAPPELLA DELLA MADONNA

La Cappella della Madonna, risultato costrut-tivo di un rifacimento del XIV secolo, è situata sotto la Cappella di San Gregorio. La sua ampia apertura immette nella Scala

Santa. Nonostante l’irregolarità delle pareti, che seguono l’andamento della roccia, fu interamente affrescata dal Maestro trecente-sco del Sacro Speco, dal suo Collaboratore e dagli Aiuti, tanto bene da coinvolgere lo spet-tatore nei fatti rappresentati. Nella vela di volta è dipinta “l’Annunciazione” e nel prospetto sottostante la “Natività” e “l’Adorazione dei Magi”; se si ruota di 180 gradi, nella vela opposta si vede la “Presentazione al Tempio” e nei sottarchi

della volta d’ingresso la “Strage degli Innocen-ti” e la “Fuga in Egitto”. “L’Annunciazione” è raffigurata dentro un’edicola triabsidata, che, inserita tra i co-stoloni della crociera, dà l’impressione di una finestra ogivale, la cui profondità è accentua-ta dal cielo stellato. L’ampio seggio ligneo, ornato e traforato, è in

asse con la Vergine, ma non è da ogni parte visibile; come le absidi, evidenti solo a chi le guarda da destra, in una prospettiva dinamica e rotatoria imposta dalla struttura stessa della Cappella. Nella parete ogivale sottostante, dall’oculo incorniciato, parte in verticale una linea im-maginaria che divide la scena della “Natività” da quella dell’ “Adorazione dei Magi”, ben visibili entrambe soprattutto da chi sta a sini-stra. Nella prima, una sottile tettoia lignea sostitui-sce la grotta-montagna di tradizione bizanti-na, mentre il bue e l’asinello sono piccoli e quasi lontani; San Giuseppe, pensoso, siede vicino alla Vergine, ben modellato nel corpo, nonostante lo spazio ristretto; l’angelo e i pastori occupano spazi che ne lasciano presa-gire altri più ampi: il piccolo Gesù si impone non solo perché è al centro della scena, ma perché un fascio radioso lo investe. Il Collaboratore del Maestro ha lasciato la sua

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impronta nell’Adorazione dei Magi, soprattut-to nel Re inginocchiato, senza corona, nel bambino che gioca con i suoi capelli e negli altri due Magi, ben contenuti nell’ansa della roccia. La “Presentazione di Gesù al Tempio” è dipin-ta nella vela di volta, tra i costoloni ai quali perfettamente si adattata. Nella “Strage degli Innocenti” l’uso di modelli convenzionali non contrasta con la descrizione, quasi recitativa, della morte inflitta dai soldati e con la dispe-razione delle madri, espressa in forme diver-se. L’irregolarità della parete offre adeguato spazio alla “Fuga in Egitto”, con tre figure

separate da due alberi, secondo gli schemi del Maestro. Da segnalare, inoltre, la scena della “Dormitio Mariae”, alla quale, sul lato oppo-sto corrisponde la “Crocifissione”; la scena dell’ “Assunzione”, alla quale corrisponde “Maria in trono” e la scena della “Madonna della Misericordia”, alla quale corrisponde l’ “Incoronazione”: testimonianza del culto mariano vivo nel Trecento. Nella volta di ac-cesso alla Cappella sono presenti in medaglio-ni mistilinei “San Giovanni Battista”, “San Lorenzo”, “Santo Stefano” ed altri Santi, non-ché i busti dei Profeti, secondo l’uso dei pitto-ri umbri di quegli anni.

Sabato 20 agosto

PROGRAMMA MATTINO: ore 8.00 Partenza per la Certosa di Trisulti (arrivo previsto 9.30) ore 11.00-11.30 partenza per Alatri (e pranzo presso RISTORANTE PIZZERIA BRIO BAR vl. Duca d'Aosta tel: 0775 442948) PROGRAMMA POMERIGGIO: Breve visita ad Alatri Ore 14.30 partenza per Abbazia di Casamari Ore 16.00 Rientro per la messa prefestiva a Subiaco (18.00 o 18.30) SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ

INTRODUZIONE

Grandi o piccole che siano, le abbazie bene-dettine rispecchiano nella loro struttura ar-chitettonica la condotta monastica espressa dalla Regola. In esse i luoghi dell’animo ritro-vano altrettanti luoghi dello spazio. La chiesa: elemento che domina, con le sue cupole e le torri, all’interno del complesso di edifici dell’abbazia in relazione alla centralità delle attività che in essa si svolgono. In essa spesso vi sono seppelliti i benefattori della comunità e conservate le reliquie dei santi. Il capitolo: è la sede delle assemblee ufficiali della vita monastica, nonché il luogo di lettu-ra di brani della Regola. Benché il passo letto quotidianamente non corrispondesse sempre a un capitolo, questo nome ancora oggi indica la sala ove i monaci prendevano conoscenza del loro codice.

I chiostri: spazi aperti spesso con al centro aiuole fiorite e il tradizionale pozzo, circonda-ti da portici sostenuti da colonne e pilastri. Essi uniscono fra loro le varie costruzioni del monastero di cui vengono così a formare l'ossatura e servono ai religiosi da deambula-tori e riparo. Nei chiostri vige la Regola del silenzio. La biblioteca: ha sempre avuto grande impor-tanza in un monastero perché la lettura e lo studio fanno parte integrante della vita mo-nastica benedettina. Custodiscono libri rari e manoscritti raccolti dai monaci nei secoli. Il dormitorio: da luogo comune di riposo, come prescritto da S. Benedetto, fu sostituito nel corso dei secoli dalle singole celle divenu-te di uso generale dal XV secolo.

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Il refettorio: è il luogo del pasto comune in occasione del quale, per elevare le minime azioni della giornata ad atti profondamente religiosi, si benedice il cibo e viene fatta la lettura pubblica di alcuni brani della Sacra Scrittura come prescrive la Regola: "mai la lettura deve mancare alla mensa dei fratelli". La foresteria: i monasteri, spesso localizzati lungo vie molto trafficate, erano attrezzati con luoghi riservati all’ospitalità a semplici viaggiatori e a re, principi e vescovi. L’infermeria e la farmacia: affidata a un mo-naco-medico, era attrezzata per curare i mo-naci malati o deboli o gli ospiti che ne avesse-ro bisogno. A questa era annessa la farmacia. Il giardino dei semplici: così era denominato l’orto destinato alla coltivazioni delle erbe medicinali che i monaci uti-lizzavano per la preparazione di medicamenti. La fattoria: sulle terre appar-tenenti all’abbazia, interne a essa e curate direttamente dai monaci o esterne e affi-date a contadini, si svolgeva la produzione di beni e der-rate alimentari rappresen-tando un'occasione di lavoro e un mezzo di sostentamento che assicurava al monastero l'autonomia alimentare. Con-nesso a tale attività ci sono i Magazzini e le Dispense dove, sotto la tutela del monaco cellaio, veniva conservato il cibo. Il cimitero: Alla loro morte, i monaci erano seppelliti nel cimitero interno al monastero. Questo luogo permette ai monaci defunti di non lasciare il monastero e a quelli in vita di rinnovare il ricordo dei propri confratelli.

Certosa di Trisulti La Certosa di Trisulti è un monastero che si trova nel comune di Collepardo, in provincia di Frosinone. È monumento nazionale dal 1873. È collocata tra boschi di querce, nella cosid-detta Selva d'Ecio, alle falde del Monte Roto-

naria (Monti Ernici), a 825 m di altitudine e a 6 km a nord-est del centro abitato. STORIA Una prima abbazia benedettina fu fondata nel 996 da san Domenico di Foligno: di essa restano alcuni ruderi a poca distanza dall'o-dierno complesso. L'abbazia attuale fu co-struita nel 1204 nei pressi della precedente, ma in un sito più accessibile, per volere di papa Innocenzo III dei Conti di Segni e fu as-segnata ai Certosini. La chiesa abbaziale di San Bartolomeo fu consacrata nel 1211. Il nome Trisulti deriva dal latino tres saltibus che è il nome con cui veniva chiamato un castello del XII secolo gestito dai Colonna e che dominava i tre valichi (i "salti") che im-mettevano rispettivamente verso l'Abruzzo,

verso Roma e verso la Ciocia-ria. Tale castello è andato di-strutto, ne rimangono alcune rovine. In seguito il nome si estese a tutta la zona situata su tre appendici (tres saltibus) del monte Rotonaria. Il complesso nel corso dei se-coli è stato ampliato e modifi-cato più volte, e si presenta attualmente con forme essen-

zialmente barocche. Nel 1947 è passato alla Congregazione dei Cistercensi di Casamari. ARCHITETTURA ED ARTE Per entrare nella certosa, racchiusa da mura, bisogna varcare il grande portale sormontato da un busto di San Bartolomeo, opera di Jaco-po Lo Duca, allievo di Michelangelo. Sopra di esso si apre una caditoia che rievoca lotte di altri tempi. Nel piazzale principale si trovano l'antica Fo-resteria romanico-gotica detta Palazzo di Innocenzo III, che si caratterizza per il portico e la terrazza e che ospita un'antica biblioteca (36.000 volumi), e la chiesa di San Bartolome-o. LA CHIESA DI SAN BARTOLOMEO La chiesa è dedicata alla Vergine Assunta, a San Bartolomeo e al fondatore dei certosini san Bruno ed è stata più volte rimaneggiata,