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S&C STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno II - Numero 6 / Settembre-Dicembre 2013 5 S&C (Ita) n.6, Settembre-Dicembre 2013, pp. 5-10 NOI TERRESTRI Menotti Calvani La macchina che c’è in me La leggenda racconta che nel 1666, l’annus mi- rabilis, Isaac Newton mentre era nella sua tenu- ta di Woolsthorpe, fu colpito da una mela caduta dall’albero sotto il quale stava schiacciando un pisolo: non imprecò (!) ma si chiese : «Perché cade sempre verso il centro della Terra (e quindi sulla sua testa), e non trasversalmente o verso l’alto?» Ci doveva essere una forza che chiamò “gravitas” dalla parola latina che significa ”peso”. Newton dimostrò che due corpi, qualunque fosse la loro dimensione e dovunque fossero posizionati nello spazio, si attirano con una forza proporzio- nale al prodotto della loro massa e inversamen- te proporzionale al quadrato della loro distanza. In poche parole la forza con cui si attraggono è tanto più forte quanto più grossa è la loro massa e tanto più debole quanto più sono distanti tra di loro. La Terra e il Sole si attraggono, la Luna e la Terra si attraggono, la piccolissima mela e l’enorme Terra si attraggono… passando per la testa di Newton. La forza di gravità fa cade- re le mele, ci spinge verso il suolo, ci impedisce di al- lontanarci dal nostro pia- neta, condiziona i nostri movimenti e rappresenta il nostro avversario invisibile in tutte le prestazioni spor- tive. La vita sulla Terra è po- tuta nascere e si è evoluta costruendo strutture capa- ci di resistere alla forza di gravità. Tutti gli organi di un essere vivente si spiaccicherebbe- ro al suolo se non avessero una struttura soli- da a cui ancorarsi. Gli insetti si sono muniti di un involucro rigido al cui interno sono appese a “mo’ di armadio” le strutture vitali, un armadio ben ordinato che permette ai vari organi di occu- pare una posizione ben definita e funzionale. Molti esseri viventi si sono avvalsi di una strategia anti- gravitaria differente creando una struttura solida e flessibile composta di molteplici pezzi, capace di fare da contenitore per alcuni organi, da ful- cro per numerose leve, da aggancio per muscoli e tendini, da sostegno per la pelle, a cui spetta- no compiti di rivestimento esterno, di regolazione termica nonché di organo endocrino. Che la forza di gravità abbia fatto da guida alla nascita di nuovi esemplari viventi nel corso della evoluzione tro- va conferma nella straordinaria somiglianza delle strutture di sostegno (scheletro) in animali molto differenti tra loro quali gli uccelli, i rettili, i ceta- cei, i mammiferi, uomo compreso. La forza di gravità ha condizionato l’evoluzione del- la vita sulla Terra, imponendo limiti costruttivi ben precisi agli animali, influenzandone le dimensioni. L’importanza del rapporto tra scheletro e dimen- sioni era stata sottolineata da Galileo quando os- servando le zampe di una gazzella e di un bisonte, entrambi mammiferi della famiglia dei bovidi, notò che le zampe del bisonte erano notevolmente più robuste di quelle della gazzella: le dimensioni dei due animali dovevano avere delle conseguenze sul- Figura n°1 - La mela sfrutta la forza di gravità per portare in terra i semi; la forza di gravità porta in terra una sollevatrice di pesi egiziana; la De Martino torna sulla terraper godersi il bronzo. Figura n°2 - A) Una formica con il suo scheletro esterno. B) Schele- tro di mani e piedi di rettili, scim- mia e uomo in un libro del 1873. MENOTTI CALVANI Medico, specializzato in neurologia, farmacologia clinica oltre che in tossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana. Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifici su riviste internazionali prevalentemente sui temi del metabolismo, sui mitocondri e sulle patologie degenerative.

Pagine da strength & conditioning 6

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Overtraining, invecchiamento, allenamento funzionale, allenamento della potenza, esercizio fisico come gestione del sovrappeso, stretching globale attivo... Strength & Conditioning, per una scienza del movimento dell'uomo, n°6. Settembre/Dicembre 2013 http://www.calzetti-mariucci.it/shop/prodotti/strength-conditioning-n-6

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NOI TERRESTRI

Menotti Calvani

La macchina che c’è in me

La leggenda racconta che nel 1666, l’annus mi-rabilis, Isaac Newton mentre era nella sua tenu-ta di Woolsthorpe, fu colpito da una mela caduta dall’albero sotto il quale stava schiacciando un pisolo: non imprecò (!) ma si chiese : «Perché cade sempre verso il centro della Terra (e quindi sulla sua testa), e non trasversalmente o verso l’alto?» Ci doveva essere una forza che chiamò “gravitas” dalla parola latina che significa ”peso”. Newton dimostrò che due corpi, qualunque fosse la loro dimensione e dovunque fossero posizionati nello spazio, si attirano con una forza proporzio-nale al prodotto della loro massa e inversamen-te proporzionale al quadrato della loro distanza. In poche parole la forza con cui si attraggono è tanto più forte quanto più grossa è la loro massa e tanto più debole quanto più sono distanti tra di loro. La Terra e il Sole si attraggono, la Luna e la Terra si attraggono, la piccolissima mela e l’enorme Terra si attraggono… passando per la testa di Newton.

La forza di gravità fa cade-re le mele, ci spinge verso il suolo, ci impedisce di al-lontanarci dal nostro pia-neta, condiziona i nostri movimenti e rappresenta il nostro avversario invisibile in tutte le prestazioni spor-tive. La vita sulla Terra è po-tuta nascere e si è evoluta costruendo strutture capa-ci di resistere alla forza di gravità. Tutti gli organi di un essere vivente si spiaccicherebbe-ro al suolo se non avessero una struttura soli-da a cui ancorarsi. Gli insetti si sono muniti di un involucro rigido al cui interno sono appese a “mo’ di armadio” le strutture vitali, un armadio ben ordinato che permette ai vari organi di occu-

pare una posizione ben definita e funzionale. Molti esseri viventi si sono avvalsi di una strategia anti-gravitaria differente creando una struttura solida e flessibile composta di molteplici pezzi, capace di fare da contenitore per alcuni organi, da ful-cro per numerose leve, da aggancio per muscoli e tendini, da sostegno per la pelle, a cui spetta-no compiti di rivestimento esterno, di regolazione termica nonché di organo endocrino. Che la forza di gravità abbia fatto da guida alla nascita di nuovi esemplari viventi nel corso della evoluzione tro-va conferma nella straordinaria somiglianza delle strutture di sostegno (scheletro) in animali molto differenti tra loro quali gli uccelli, i rettili, i ceta-cei, i mammiferi, uomo compreso. La forza di gravità ha condizionato l’evoluzione del-la vita sulla Terra, imponendo limiti costruttivi ben precisi agli animali, influenzandone le dimensioni. L’importanza del rapporto tra scheletro e dimen-sioni era stata sottolineata da Galileo quando os-

servando le zampe di una gazzella e di un bisonte, entrambi mammiferi della famiglia dei bovidi, notò che le zampe del bisonte erano notevolmente più robuste di quelle della gazzella: le dimensioni dei due animali dovevano avere delle conseguenze sul-

Figura n°1 - La mela sfrutta la forza di gravità per portare in terra i semi; la forza di gravità porta in terra una sollevatrice di pesi egiziana; la De Martino “torna sulla terra” per godersi il bronzo.

Figura n°2 - A) Una formica con il suo scheletro esterno. B) Schele-tro di mani e piedi di rettili, scim-mia e uomo in un libro del 1873.

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

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Overtraining, overreaching: cominciamo

da un famoso esperto!

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Che cosa è e come si manifesta

EVASIO PASINIFondazione “S Maugeri”, IRCCS, Lumezzane (BS). I principali settori di ricerca e di valutazione e terapia clinica sono attualmente due: la valutazione personalizzata del metabolismo molecolare e funzionale di pazienti affetti da patologie croniche quali diabete, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, ictus, insuffi cienza respiratoria, insuffi cienza renale, ecc con quantifi cazione delle interazioni inter-organo (muscolo, adipe, rene, polmone, cervello, sangue, ecc.) e identifi cazione di possibili interventi terapeutici individualizzati; gli effetti della terapia farmacologica e nutrizionale e della attività motoria preventiva e riabilitativa sulla capacità lavorativa in soggetti sani e patologici e sugli effetti della prevenzione primaria e secondaria. E. Pasini è autore o coautore di oltre 200 lavori scientifi ci pubblicati su riviste nazionali ed internazionali.

a sindrome da overtraining: che cosa è? Come si manifesta? Da che cosa è causata? Come identifi carla precocemente? Come prevenirla o ridurre i sintomi?

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Evasio Pasini

Lo scopo dell’allenamento negli atleti è quello di aumentare le proprie prestazioni sportive. Ma che cosa avviene nel nostro corpo durante l’allenamento e perché allenandosi si migliorano le prestazioni? Fu un medico austro-ungherese che indentificò le basi fisiologiche dell’allenamento. Di fatto, durante le varie sedute, l’organismo viene stressato con attività che vanno ben al di sopra delle attività normali. Durante questa fase di so-vra-richiesta metabolica/funzionale, l’organismo attinge a risorse straordinarie e riesce ad ese-guire le diverse esercitazioni previste. Quando la seduta di allenamento termina, termina anche lo stimolo stressogeno e l’organismo attua una se-rie di attività metaboliche finalizzate a ristabili-re le condizioni del metabolismo basale, aggiun-gendo tuttavia di volta in volta una piccola riserva detta “supercompensazione”. Se ne deduce che

allenamenti continui nel tempo e ben organizzati causano una sommatoria di “supercompensazio-ni” che all’apice del periodo di training aumentano, per forza di cose, la prestazione (1).

Da quanto detto, emergono tuttavia alcune con-siderazioni logiche:

1) È importante stabilire allenamenti validi da un punto di vista sia qualitativo che quantita-tivo.

2) È di fondamentale importanza identifica-re il periodo di intervallo (= riposo) tra una sedu-ta di allenamento e l’altra, nel quale il metaboli-smo dell’atleta recupera l’omeostasi metabolica.

È chiaro che sia il punto 1 sia il punto 2 sono strettamente personali. Uno degli errori spesso ricorrenti è quello di uniformare, per comodità o

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Gian Nicola Bisciotti

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FiFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia (I).

l fenomeno dell’invecchiamento ed il ruolo dei radicali liberi: una teoria in discussione?

IPerché invecchiamo?

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PAROLE CHIAVE radicali liberi, invecchiamento, antiossidanti.

Il fenomeno dell’invecchiamento nell’uomo viene attualmente spiegato attraverso essenzialmente tre categorie di teorie. La prima è la cosiddet-ta “teoria evoluzionista”, che si basa sul concetto del “soma disponibile”. Una seconda categoria è costituita dalle “teorie integrative” che analizzano il sistema di mantenimento dell’omeostasi gene-rale che assicura il controllo del fenomeno dell’in-vecchiamento stesso. La terza ed ultima cate-goria è rappresentata dalle “teorie cellulari” che si basano sia sulle influenze ambientali, sia sulle qualità del genoma. Indipendentemente dalla loro categoria di appartenenza, tutte queste teorie sono più o meno inclini a presentare componen-ti di tipo deterministico oppure stocastico. Una spiegazione deterministica dell’invecchiamento è legata all’ipotesi che un unico gene possa influen-zare la durata della vita. Effettivamente, nel topo l’inattivazione di un gene che codifica per la pro-teina p66shc, aumenta del 30% la vita massimale dell’animale. Questa proteina sarebbe infatti in grado di aumentare la produzione di radicali liberi che sarebbero, a loro volta, responsabili dell’in-duzione dell’apoptosi cellulare, ossia una sorta di morte cellulare programmata (Migliaccio e coll., 1999). D’altro canto, con l’avanzare degli anni, nell’uomo come nell’animale, è possibile notare un

decadimento delle capacità di regolazione omeo-statica nei confronti dello stress termico ed os-sidativo, a livello sia proteico che enzimatico. È quindi spesso possibile trovare un punto d’incon-tro tra teorie deterministiche e teorie stocasti-che. In questo caso, ad esempio, l’inattivazione di un preciso ed unico gene (teoria deterministica) bloccherebbe l’aumento di radicali liberi respon-sabili di un’alterazione casuale dei costituenti cellulari (teoria stocastica). Anche nell’ambito di alcune patologie umane, può risultare evidente un’interazione tra teorie stocastiche e determi-nistiche dell’invecchiamento. Ne è un esempio la sindrome di Werner. I soggetti colpiti da questa patologia sviluppano, seppur in giovane età, in modo drammaticamente rapido delle caratteri-stiche fisiologiche tipiche dell’età avanzata come un marcato invecchiamento fisionomico, canizie, alopecia, formazione di cataratta, diabete di tipo II, modificazioni sclerodermiche della cute, atro-fia muscolare, osteoporosi, aterosclerosi ed in-sorgenza di patologie tumorali maligne (Epstein e coll., 1966). La morte, causata da neoplasia (che resta la principale causa di morte), affezioni car-diache o cerebrovascolari, sopravviene mediamen-te attorno al quarantasettesimo anno di vita. La sindrome di Werner1 è una malattia autosomica

1. Autosomico/a: riferito/a, relativo/ a, o che si verifi ca per mezzo di un autosoma; che non implica la partecipazione di cromosomi sessuali. Un autosoma è un qualsiasi cromosoma che non partecipa alla determinazione del sesso (non-X e non-Y); le cellule somatiche umane possiedono 22 coppie di autosomi e due cromosomi sessuali (eterocromosomi).

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Conclusioni

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PAROLE CHIAVEvalutazione tecnica, elettromiografi a, sensori inerziali, video-analisi, salto giro avanti, salto giro dietro

Introduzione

Negli sport tecnico-combinatori, quale la ginna-stica artistica, che hanno come obiettivo princi-pale la ricerca della perfezione del gesto tecnico, la tecnica riveste un ruolo fondamentale poiché oggetto della valutazione della prestazione (Wei-neck, 2001). Per tecnica sportiva s’intende la componente principale della prestazione motoria che permette di raggiungere i massimi risultati, rappresentando dunque il modello ideale tipico e l’obiettivo dell’allenamento (Lees, 2002). La valu-tazione del gesto tecnico può essere effettuata mediante un’analisi qualitativa (dal vivo o tramite video-analisi) per individuarne le fasi cruciali e le sequenze spazio-temporali (Knudson, Morrison 2002; Marinsek 2011), e un’analisi quantitativa che utilizza variabili di tipo metrico (cinematiche e dinamiche) (Bernasconi et al. 2000; Harski 2002; Marinsek 2011; Merni 1991). Nella gin-nastica artistica, un ruolo fondamentale è rive-stito dall’esatta esecuzione dell’acrobatica, che prevede la conoscenza di alcuni elementi di base, come i salti giro, dai quali dipende l’evoluzione tecnica del ginnasta al suolo e agli attrezzi. Si definisce salto giro la rotazione di 360° attor-no all’asse trasversale che il ginnasta esegue in avanti o indietro, in attitudine di volo (Laterza, Ravaioli 2000). Considerando la mancanza di stu-di scientifici che abbiano indagato in maniera in-tegrata le caratteristiche neuro-meccaniche dei salti giro avanti e dietro, lo scopo del presente studio pilota è di definirne i parametri cinematici e neuro-meccanici durante le fasi principali (cari-camento, stacco, volo e arrivo) per verificare se, ed eventualmente come, possano influenzare la riuscita del salto.

Approccio sperimentale al problemaPer la rilevazione dell’attività neuromuscolare è stato utilizzato un elettromiografo portatile (BTS Bioengineering); per lo studio delle accelerazioni lineari e dello spostamento del centro di massa (CdM) attorno ai tre assi x,y e z, e delle velocità angolari, è stato utilizzato un dispositivo inerziale indossabile (Freesense); la frequenza di campiona-mento del sensore è stata configurata a 200Hz. I parametri cinematici (ampiezze degli angoli busto/coscia, al ginocchio, di atteggiamento, altezza del CdM, tempo di volo, lunghezza del salto) sono stati determinati tramite dati video (JVC–Everio-GZMS120) analizzati con il software Kinovea.Prima dell’inizio della sperimentazione, è stato condotto uno studio preliminare al fine di stabilire un esatto protocollo di studio (routine di riscal-damento, numero di salti, durata complessiva), stabilire la disposizione delle strumentazioni (nu-mero e posizionamento dei marker, esatto luogo di collocazione delle attrezzature) e verificare l’e-cologicità del test. Dall’analisi dei dati preliminari è emerso che l’EMG della parte destra e sinistra del corpo era asso-lutamente comparabile in termini di ampiezza e tempistica; è stato pertanto deciso di posizionare gli elettrodi di superficie sul Vasto Laterale (VAL), Bicipite Femorale (BFCL), Retto Femorale (RF) e Gluteo Massimo (GLMA) dell’arto dominante (il destro in tutti i ginnasti), e Retto dell’Addome (RA) ed Estensore della Colonna (ERSL). Dall’ana-lisi integrata dei dati rilevati tramite software di video analisi Kinovea e sensore inerziale Freesen-se, è stato possibile suddividere il salto in quattro parti fondamentali: fase di caricamento (inizio va-

Metodi

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MATTEO BONFIGLIO

nalisi neuro-meccanica nell’acrobatica di base della ginnastica artistica

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Matteo Bonfi glio, Roberta De Pero, Valentina Camomilla, Paola SbriccoliDipartimento di Scienze Motorie, Umane e della Salute, Università degli Studi di Roma, Foro Italico

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ROBERTA DE PERO

VALENTINACAMOMILLA

PAOLA SBRICCOLI

Indirizzo di riferimento per comunicazioni agli autori:Prof. Paola Sbriccoli - Università degli Studi di Roma- Foro ItalicoP.za L. De Bosis, 15 00194 Rome, Italy - Tel/Fax +39 0636733214

Email: [email protected]

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Pizzigalli Luisa, Gennaro Federico, Nazzi Gino, Rainoldi Alberto

olfi sti professionisti e dilettanti:quali differenze nel putt?

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LUISA PIZZIGALLILuisa Pizzigalli, PhD (aff iliazione: Centro Ricerche Scienze Motorie, SUISM).Dottore di ricerca (PhD) in Sistemi Complessi in Medicina e Scienze della Vita, indirizzo in Fisiopatologia Medica, presso l’Università degli Studi di Torino. Dottore Magistrale in Scienze e Tecniche delle Attività Fisiche Adattate; Docente presso la SUISM (Università degli Studi di Torino).

La varietà dei colpi effettuati durante una competizione golfistica si può suddividere in due tipologie principali: il gioco lungo, effettuato tramite i legni ed i ferri, appositamente progettati per proiettare la pallina su lunghe distanze, ed il gioco corto, eseguito tramite “bastoni” specifici: i wedge per avvi-cinarsi all’area del putting green, ed il putter, una volta arrivati in questa zona, per imbucare la pallina eseguendo la tecnica del putt.In una competizione golfistica, il putt rappresenta una componente fondamentale dell’intera presta-zione sportiva. La letteratura scientifica ha infatti evidenziato come questo gesto costituisca circa il 40% di tutti i colpi giocati in una gara (Gwyn & Patch, 1993), ed evidenzia come i maggiori guadagni, derivanti dalle vittorie nei circuiti golfisitici professionistici, siano riconducibili a quanto migliore sia l’abilità nel putt (Alexander & Kern, 2005). Questi dati trovano un’ulteriore conferma nelle statistiche elaborate dall’associazione professionistica di golf più famosa nel mondo, la Professional Golfer Asso-ciation (PGA), che, raccogliendo ed elaborando i risultati di gara (score) di Tiger Woods, uno tra i più celebri e forti giocatori esistenti, ha documentato come questo campione abbia usato il putter per il 41.3% dei suoi colpi totali in un solo anno del circuito golfistico PGA Tour (www.pgatour.com, 20-11-2009).L’importanza di questa fase di gioco nella prestazione golfistica totale, permetterebbe d’ipotizzare che la differenza di performance nel putt, tra giocatori professionisti e dilettanti, sia molto marcata in favore dei primi. Tuttavia la letteratura interviene documentando come tale forbice non sempre sia così evidente, illustrando invece quanto siano simili, se non identiche, le percentuali di un putt vincente in queste due tipologie di giocatori soprattutto entro certe distanze dalla buca. Un primo confronto tra golfisti professionisti e dilettanti è stato effettuato estrapolando gli score del putt di due competizioni golfistiche, il Birkdale Tournament giocato da professionisti, ed il Berkshire Tournament nel quale hanno gareggiato giocatori dilettanti (Alastair & Stobbs, 1968) (Tab.1).

IntroduzioneFEDERICO GENNARO(aff iliazione: SUISM)Dottore in Scienze Motorie e Sportive. Corso di Perfezionamento in Chinesiologia presso la SUISM (Università degli Studi Torino).

Figura n°2 - Esempio di attivazione muscolare durante un salto avanti

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Alberto Andorlini

ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea F.C. e Nazionale Femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

ltre l’allenamento1. Allenare la Funzione è Allenare il Movimento

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Introduzione

Il nostro viaggio sarà per il momento un viaggio puramente teoretico, me ne rendo conto. Sarà una lettura che potrà portare a sottili disquisi-zioni terminologiche, a nuove attenzioni, ad af-fascinanti scenari, ma anche - d’altra parte - a empasse concettuali, plateau operativi, immobili-tà interpretative. Vorrei fosse un viaggio in grado di condurci a rapide visioni di paesaggi, piuttosto che obbligarci a code noiose davanti all’entrata di affollati musei; un viaggio non per turisti colti ma per viandanti curiosi; ma soprattutto un viaggio che, rimbalzando sulle idee, ci potesse guidare fino al MOVIMENTO; non al movimento perfetto - che non esiste - ma ad un movimento interpre-tato, plasticamente adattabile alle situazioni, alle concatenazioni, alle improvvisazioni.“Allenare la Funzione è allenare il Movimento” è il primo, di una serie di “interventi multi tema-tici”. Primo passo, in punta di piedi, verso la de-finizione di una nuova metodologia di intervento rivolta all’Allenamento del Movimento. La nostra dissertazione nasce con il presente articolo, che è da considerare come una sorta di incubatore di ipotesi concettualizzate ... o di ipotetici concet-ti; proseguirà con una libera lettura dell’assioma “La Forma segue la Funzione” (2° articolo); pas-serà per un asse di riferimento - dal Corpo, al Movimento, fino al Corpo in Movimento - che co-stituirà, invece, la bussola con la quale orientare considerazioni ed alimentare approfondimenti (3° articolo); toccherà una Grammatica elementare che vorrebbe fornire gli strumenti per decodifica-re qualunque composizione motoria (4° articolo); fino a giungere, alla definizione di un modello me-todologico e operativo che abiliti la “performan-ce” (5° articolo). Quella “performance” (ordinaria

e straordinaria) che non può essere limitata ad un solo istante, ad una sola seduta, ad un solo momento, ad una sola esecuzione ma che deve essere estesa a tutti i movimenti e... a tutti gli elementi, comuni ad ogni movimento. Non sarà un’esposizione scientifica - prevengo le obiezioni dei cultori dell’esattamente dimostrabile - ma una proposta fatta di concatenazioni che dai principi ci possano guidare al metodo, dalle teorie alla prassi. La proposta è alimentata dalla volontà di esplorare campi di indagine poco noti e dal de-siderio di proporre pensieri e azioni, che siano, se non evidenti, almeno “filosoficamente” attraenti e razionalmente “sostenibili”.

Primo pensiero. Nel mondo dell’allenamento, nel campo dello studio e della ricerca, nell’universo delle interpretazioni e delle rivisitazioni, i temi espressi, divulgati e dibattuti, tesi ad inquadrare attualità ed attuabilità, nuove ipotesi ed evidenze storiche, dubbi insolubili ed incrollabili certezze, trovano posto in un puzzle - quello della realtà - che può risultare molto più semplice di quan-to avessimo mai potuto immaginare. Dall’analisi selettiva, si può passare ad una sintesi allarga-ta, dalla sintesi si può se non altro avvicinare la “compressione” concettuale. Facendo del corpo lo strumento, del movimento il mezzo, e del corpo in movimento il fine, l’Allenamento NON è ALLE-NAMENTO del muscolo, delle ossa, del cuore, dei polmoni, ma ALLENAMENTO al MOVIMENTO; non scopre elementi originali, ma piuttosto “riscopre” strutture originarie. L’articolo che segue, non enuncia certezze, ma sfiora argomenti e temi; e li allinea, in ordine sparso e - ahimè - in equilibrio su un asse traballante. Buona lettura.

Inizia a collaborare

con S&C

Alberto Andorlini,

per almeno 5 testi

originali, per tutto

il 2014, cominciando

da ora.

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PRIMA PARTE

Dall’Editore...

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È comunemente accettato dalla comunità scienti-fica che l’allenamento della forza, compreso l’alle-namento pliometrico, se ben pianificato e soprat-tutto assistito, produce sensibili adattamenti in bambini ed adolescenti simili a quanto riportato per gli adulti (Faigenbaum AD et al 2009, Falk, B and Mor, G 1996, Lillegar W et al 1997, Kotza-manidis C 2006, Matavulj D et al 2001). I risulta-ti di tali studi, inoltre, mostrano evidenze correla-tive fra lo sviluppo della forza ottenuto ed alcune performance atletiche come la corsa, il salto, etc (Kraemer W and Fleck S 2005).Nonostante alcuni studi abbiano riportato un in-cremento della sezione trasversa (Fukunaga et al 1992) del muscolo anche in soggetti prepuberi, si è concordi nell’assegnare principalmente a modifi-cazioni di tipo nervoso l’incremento dei parametri di forza osservati. È anche ben conosciuto che, nel corso dell’età evolutiva, aumenta gradualmen-te nell’organismo l’attività degli ormoni anaboliz-zanti come GH, I-GF1 e testosterone e che tali presenze contribuiscono, insieme all’allenamento della forza, a realizzare anche modificazioni di ca-rattere morfologico e non solo funzionale.Ovviamente, nei più giovani e negli adolescenti, le precauzioni dovrebbero essere maggiori, data la relativa fragilità delle strutture passive dell’appa-rato locomotore, come cartilagini ed ossa, lega-menti articolari e tendini, ancora in via di accre-scimento. Nella Tab. n.1 (Cfr. anche S&C. Per una

scienza del movimento dell’uomo, 2012, 2, pag. 57 e precedenti e seguenti, NdC) vengono ripor-tate le linee guida proposte dalla NSCA (Youth resistance training: updated position. Statement paper from the National Strength and Conditio-ning Association, Faigenbaum AD, Kraemer WJ, Cameron JR, Blimkie, Jeffreys I, Lyle J Micheli, Ni-tka M and Rowland TW, Journal of Strenght and Conditioning Research, 2009), relativamente a questi aspetti.Christou M et al (2006), in uno studio effettuato su 18 giovani calciatori di età 12-15 anni verificò relazioni positive fra l’allenamento della forza e la performance sportiva per bambini di questa età. Divisi in due gruppi, i giovani venivano sottoposti per cinque volte alla settimana e per 16 settima-ne (8 + 8) a: 1° gruppo (SOC), allenamento speci-fico tecnico-tattico più altri mezzi per le qualità fi-siche normalmente utilizzati, evitando però mezzi specifici per la forza muscolare; 2° gruppo (STR), identiche sessioni di allenamento più esercizi per la forza muscolare, ripetuti per due volte a set-timana; il terzo gruppo (CON) era rappresentato da bambini di pari età che non partecipavano ad attività sportive organizzate. Tutti i gruppi furo-no classificati per età maturative simili (Tanner 5 point scale, Malina RM, and Bouchard, 1991) e nessuna differenza media relativamente all’età anagrafica e di allenamento era presente all’inizio dello studio. Gli esercizi di forza utilizzati dal grup-po 2 erano leg press, leg extension, leg flexors, calf rais, sit-ups, più altri per la parte superiore del corpo. Il carico di allenamento prevedeva un

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Stefano D’Ottavio e Antonio Urso

STEFANOD’OTTAVIO Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche dello Sport dell’Università degli Studi Tor Vergata di Roma e Responsabile Nazionale dell’Area Tecnica del Settore Giovanile e Scolastico della FiGC. Direttore del Master Universitario di 1 livello “Teoria e Metodologia della Preparazione Fisica del calcio” nell’Università degli Studi Tor Vergata di Roma.

ANTONIO URSO Presidente della Federazione Italiana Pesistica e della European Weightli-fting Federation.Componente dell’Esecutivo della IWF International Weightlifting Fede-ration.Laurea in Scienze Motorie;Laurea Magistrale in Attività Motorie Preventive e Adat-tate; Master 1° livello Scienze Motorie Preventive Adattate e Recupero Atletico;Maestro di Pesistica.Ha allenato la nazionale maschile e femminile di pesistica.è stato più volte campione italiano.

allenamentodella potenzamuscolarenel calcio

L’ SECONDA PARTE

Particolarità dell’allenamento della potenza nei giovani

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Giampietro Alberti, Luca Cavaggioni, Athos Trecroci, Roberto Bianchi, Lucio OngaroDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

GIAMPIETRO ALBERTIProfessore Associato di Metodi e Didattiche delle Attività SportiveFacoltà di Scienze Motorie, Dipartimento di Scienze Biomediche per la SaluteUniversità degli Studi di [email protected]

ack wall squat test: postura e grado di piegamento al ginocchio nell’esercizio di squat

B

Introduzione

La valutazione della qualità del movimento è mate-ria che conquista sempre più interesse da parte di allenatori, terapisti della riabilitazione e ricer-catori; si riferisce ad un ambito esteso di sogget-ti e coinvolge - oltre gli atleti di differente livello - anche giovani in età evolutiva e anziani, per mez-zo dell’analisi di vari parametri – comuni a tutti - comprendenti, per esempio, le caratteristiche antropometriche e/o combinazioni di esse. È di-mostrato, per esempio, come un discreto livello di BMI sia correlato ad una maggiore funzionalità del movimento13,32,36. La valutazione del comples-so muscolo-scheletrico non può quindi ignorare le caratteristiche morfologiche di ciascun soggetto. Un monitoraggio attento, soprattutto in ambito sportivo, aiuta a ridurre problemi legati alla reite-razione scorretta di un gesto atletico22,23,28 che potrebbe causare, più o meno celermente, proble-matiche tali da sfociare, nel tempo, in un evento infortunistico.Tuttavia, a causa della complessità delle situazio-ni sportive con le quali ci si deve confrontare, la valutazione della qualità del movimento non è suf-ficiente a misurare tutto il complesso della per-formance atletica29,31.Partendo da tale concetto, è indispensabile im-prontare l’analisi qualitativa attraverso il ricorso a movimenti in grado di esplorare le caratteristi-che legate alla funzionalità muscolo-scheletrica, tali per cui vi sia un collegamento diretto con la prestazione sportiva. Il movimento di Squat, ovvero l’atto di piegare e distendere gli arti inferiori, oltre che essere un gesto presente nella vita quotidiana25, è consi-

derato un esercizio di fondamentale importanza nella preparazione fisica di vari sport. Alcuni ricer-catori hanno dimostrato che, in campo sportivo, l’esercizio di squat è utile ed efficace per svilup-pare forza e potenza muscolare10,16; inoltre, la fase di salita e discesa del movimento permette di stimolare congiuntamente la muscolatura degli arti inferiori e quella del tronco che è deputata alla stabilizzazione del centro di massa. In regime di sovraccarico, poi, deve verificarsi una corretta sinergia fra tronco e arti inferiori, affinché si de-termini uno sviluppo della forza, senza che esso stesso diventi causa d’infortunio. Il grado di sollecitazione a carico delle strutture osteo-muscolari dipende poi dall’entità del piega-mento a carico delle articolazioni di ginocchio e anca: mezzo squat-half squat, squat profondo-de-ep squat, squat completo-full squat. L’analisi del movimento di squat (squat test), perciò, può es-sere ritenuta necessaria e tecnicamente utile al fine di verificare come un soggetto modifica la sua postura complessiva, rispetto al progressivo piegamento degli arti, ma più in generale rispet-to all’orientamento dei propri segmenti corporei: posizionamento del capo, allineamento delle spal-le, inclinazione del busto, allineamento del rachide dorsale e lombare e direzionalità speculare fra gi-nocchia e piedi. In questo articolo, dunque, ci oc-cuperemo di esaminare alcune tipologie di “squat test” in forma bi-podalica, tralasciando così tutte le differenti modalità di esecuzione in forma mo-nopodalica, e proporremo una nuova versione di squat test, semplice e agevole da realizzare, che introdurrà, per la prima volta, la presenza della

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LUCA CAVAGGIONILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano

ATHOS TRECROCILaurea Magistrale in Scienza Tecnica e Didattica dello Sport, Dottorando in Scienze dello Sport, Università degli Studi di Milano

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Marco Basilio

MARCO BASILIOComponente Staff Tecnico Nazionale FIB Settore Volo per la preparazionedelle specialità di tiro progressivo e tiro veloce a coppie. Giàcomponente (2001-2011) dello Staff Nazionale Special Olympics.

l talento nello sport delle bocce, modalità dell’individuazione e dello sviluppo. Il ricambio generazionale

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Per poter definire con sufficiente affidabilità che un soggetto in età giovanile possa rappresentare un potenziale talento nello sport bocce, occorre tener ben presente la struttura della massima prestazione che potrà essere conseguita in tempi futuri. La prognosi ottenibile si basa sull’analisi di aspetti multifattoriali che, comunque, forni-scono una rappresentazione globale, suscettibi-le d’interpretazioni parziali che andranno via via delineandosi col progredire della specializzazione degli interventi, sempre pianificati su base mul-tilaterale.

Le procedure d’identificazione si basano, sostan-zialmente, su tre diverse modalità di verifica:

• diagnosi della prestazione: consiste in un ac-certamento del livello delle diverse Capaci-tà-Abilità;

• diagnosi dello sviluppo: consiste in una valu-tazione iniziale ed in rilevamenti successivi, ottenendo una curva dello sviluppo individuale delle capacità di prestazione;

• controllo dell’allenamento: mediante l’utilizzo di parametri di valutazione come mezzo di ac-certamento del processo di allenamento pro-grammato.

Il confronto tra livelli di prestazione dei coetanei delle altre Nazioni e i dati ottenuti dalle ricerche avviate daranno un quadro più completo alla ricer-ca delle specifiche caratteristiche che permet-teranno di definire un giovane come “potenziale talento” nello sport bocce.

Le caratteristiche della personalità, impegno-di-sponibilità verso le attività di allenamento, vengo-no misurate attraverso l’analisi di questionari; le qualità tecnico–tattiche e comportamentali sono misurate attraverso l’utilizzo dell’osservazione e la compilazione di schede, griglie, check list e ta-belle.Il programma nazionale prevede l’inserimento dei più giovani nel progetto federale “talento”, attra-verso operazioni che hanno un orientamento de-terminato in ambito pedagogico:

nella fase di preselezione i giovani sottoposti ad osservazione per il gioco tradizionale (età maschi: 12-13; età femmine 11-12) e per i giochi alternativi progressivo-staffetta (età maschi: 13-14; età femmine: 12-13) si alle-neranno nelle Società di appartenenza, sotto la guida del proprio Tecnico societario, che si avvarrà della consulenza dei Responsabili di area sia del gioco tradizionale, sia dei giochi alternativi. A cadenza mensile gli atleti parte-ciperanno a stages o ad allenamenti collegiali che si terranno presso i Centri federali decen-trati di preparazione.

In questa fase verranno inclusi 15-20 atleti tra femmine e maschi per ogni area di riferimento. Successivamente, dai 15 anni per le femmine e 16 anni per i maschi, le attività di preparazione si svolgeranno prevalentemente nei Centri federali regionali di preparazione.In questa fase gli atleti formeranno gruppi di 10- 15 atleti tra femmine e maschi.La FIB intende attivare, con la massima atten-zione ed efficacia, un processo dinamico sistema-

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Luca Marin, Matteo Vandoni, Filippo Lauri, Massimiliano Febbi

Il Ministero della Salute valuta che in Italia siano ottantamila le persone colpite da lesione midolla-re, con un incremento annuale di 20/25 nuovi casi per milione di persone; l’80% delle persone mie-lolese nel nostro Paese ha un’età compresa tra i 10 e i 40 anni. I traumi della colonna vertebra-le abbinati a lesione midollare hanno conseguen-ze molto gravi, spesso mortali; dei pazienti che sopravvivono il 25% diventa tetraplegico, mentre il 75% viene colpito da paraplegia. Gli esiti del-la paraplegia dipendono dal livello vertebrale della lesione e variano da un deficit degli arti inferiori sino alla paralisi di entrambi gli arti e del tronco; tutti i pazienti manifestano, indipendentemente dal livello lesionale, disfunzioni dei riflessi spinali e problematiche vescicali, intestinali e sessuali. La principale ricaduta di questa patologia è la mo-difica dello stile e della qualità di vita, considerata nella completezza della sfera bio-psico-comporta-mentale; in questa situazione, appare ovvio con-siderare anche i cambiamenti indotti sui/dai livelli di attività fisica praticata. Un numero ormai con-siderevole di studi evidenzia l’efficacia dell’attività fisica come strumento di prevenzione, primaria e secondaria; parimenti, altri studi indicano la tipo-logia e la quantità di esercizio ideale per ogni pato-logia. Per quanto riguarda la paraplegia, in lette-ratura non è semplice reperire studi che indagano le dosi e l’efficacia dell’esercizio, in termini di be-nessere e di aumento della qualità della vita, nei soggetti affetti da questa patologia. Nel numero 0 di S&C (Marin L, Il modello bio-psico-sociale nel-la prescrizione dell’attività fisica adattata, S&C, Anno 1, numero 0, autunno 2011, 66-68) appar-

ve un articolo che ripercorreva brevemente i fon-damentali cambiamenti avvenuti in ambito medico e successivamente sociale, nella classificazione della disabilità (1). Il passaggio fondamentale dalla valutazione della disabilità , basata sulla “perdi-ta della funzione”, a quello della quantificazione delle capacità residue, abilità dell’individuo, apre la strada ad un nuovo approccio. L’integrazione sociale passa necessariamente anche attraverso l’autonomia personale e proprio su questo assun-to si basa il lavoro presentato in questo articolo che vorrebbe promuovere la pratica dell’attività fisica finalizzata al recupero biopsicosociale indi-viduale. In questa prima parte, verrà descritta la scala di valutazione che può essere adottata per valutare le capacità residue del soggetto al fine di individualizzare la proposta di attività fisica.

Uno studio di Jacobs (1) indaga gli effetti dell’al-lenamento di resistenza sulla capacità di lavoro, sulla forza muscolare e sulla potenza anaerobica della parte superiore del corpo in soggetti con pa-raplegia cronica e arriva alla conclusione che tale allenamento può incrementare significativamente i suddetti parametri nei soggetti paraplegici.

Uno studio di Zoeller et al. (2), su un campione di soggetti paraplegici, indica che una maggior forza muscolare è associata ad una maggior potenza aerobica e ad una maggior endurance. La maggior forza muscolare potrebbe esercitare un’influen-za positiva sulla performance durante l’esercizio,

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LUCA MARINDottore inFisioterapia.Docente presso ilCorso di Laurea inScienze Motoriedell’Università degliStudi di Pavia.Docente e Tecnicodella FederazioneItaliana Pesistica.

bili si diventaA

L’attività fi sica secondo il modello biopsicosocialeMATTEO VANDONIRicercatore presso ilDipartimento diSanità Pubblica,MedicinaSperimentale eForense (Universitàdi Pavia).

Esercizio fi sico e mielolesione

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ORAZIO RENATOMELILaureato in Scienze della Riabilitazione e in Fisioterapia, opera presso la U.O.C. Anziani e Cure Domiciliari come fi sioterapista per la A.S.P. di Catania. È stato docente in corsi universitari di perfezionamento post-base presso l’Università di Roma “Tor vergata”. È presidente dell’associazione a carattere scientifico Ass.ne Italiana di rieducazione Posturale Globale.

tretching globale attivo e paraplegia

S

Diego Sgamma, Orazio Renato Meli

DIEGO SGAMMAè fi sioterapista con Master in Osteopatia presso l’Università di Lione (Francia). Autore e co-autore di diverse pubblicazioni, oltre a svolgere la sua attività di fi sioterapista, è docente per i corsi di RPG presso una università francese (U.I.P.T.M.) e fa parte del comitato scientifi co dell’Associazione Italiana Rieducazione Posturale Globale.

Lo Stretching Globale Attivo (SGA) (Souchard 1995) è un metodo di allungamento miofasciale che deriva dalla Rieducazione Posturale Globa-le (RPG), ideata dal Prof. Ph. E. Souchard fisiote-rapista Francese (Souchard 2012).Lo SGA nell’ambito della RPG occupa uno spazio importante, che è quello sia di prevenire l’instau-rarsi di un processo patogenetico, che di favorire il mantenimento dei risultati ottenuti dall’approc-cio terapeutico precedentemente proposto.In termini molto semplici, l’utilizzo dello SGA serve a migliorare l’armonia muscolo-scheletrica, impe-dendo ai fruitori di diventare pazienti ed ai pazienti che hanno finito il loro percorso terapeutico, di tornare ad esserlo.Tale metodo sviluppa il proprio approccio, parten-do dalla considerazione che la patologia muscola-re e osteo-articolare costituiscano un’alterazione della fisiologia e quindi solo una loro conoscenza approfondita possa permettere di individuarne le alterazioni.L’individuazione dei modi e dei processi fisiopa-tologici, attraverso cui avvengono le alterazioni dello stato fisiologico, ci permettono di indivi-duare i meccanismi di alterazione dell’apparato muscolo-scheletrico ed i conseguenti percorsi di correzione.La fisiopatologia con maggiori ripercussioni sul complesso musco-lo-scheletrico è quella retrattile dei muscoli to-nici posturali, i cui effetti a livello morfologico sono particolarmente eviden-

ti e spesso invalidanti (Souchard 2012). Tenere conto di ciò è assolutamente fondamentale, in quanto ci porta a considerare un nuovo concet-to di debolezza muscolare causato dall’eccesso di rigidità che, quando cronicizza, sta alla base dei dismorfismi.

I principali elementi implicati in questo meccani-smo che poco a poco si auto-alimenta sono quelli che stanno alla base del mantenimento della po-stura: le fibre muscolari.

Dal punto di vista cinetico ne sono stati individua-te due tipi

a) Toniche o posturali (muscoli statici)o Fibre torbide più ricche di mitocondrio Muscoli che hanno un’attività pressoché continua

b) Fasiche o di movimento (muscoli dinamici)o Fibre chiareo Muscoli che si contraggono più saltuariamente

Dal punto di vista metabolico, la suddivisione è più dettagliata (Yang SY et al. 1997).

Caratteristiche delle fibre muscolari di Tipo I, IIa, e IIb

I IIa IIb

Velocità di contrazione

Lente (5 - 15 Hz)

Moderatamente veloci (15 - 40 Hz)

Veloci (50 - 100 Hz)

Forza di con-trazione Leggera Variabile Alta

Affaticabilità Resistenti alla fatica

Piuttosto resistenti alla fatica

Rapidamente affaticabili

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DAVID O SWORDCollege of Health Professions and Weight Management Center, Università di Medicina del South Carolina, Charleston,South Carolina.

esercizio fi sico come strategia di gestione del sovrappeso e dell’obesità: dove è adatto l’esercizio con resistenze da vincere?

L’David O SwordPT, DPT, CSCS

Attualmente, negli Stati Uniti, il 69% degli adul-ti sono in sovrappeso (indice di massa corporea [BMI] ≥ 25 kg/m2), mentre il 36% soddisfano i criteri per l’obesità (BMI ≥ 30 kg/m2) (13). Dopo diversi decenni di rapido aumento, dati recenti suggeriscono che potremmo essere in vista al-meno di un appiattimento temporaneo dei tassi di obesità (13). Anche se questo dato è incorag-giante, gli sforzi per ridurre le attuali percentuali del sovrappeso e dell’obesità devono rimanere una priorità della salute pubblica. Un piano nazionale incentrato sulla promozione della salute e la pre-venzione delle malattie, Healthy People 2020 (cfr. S&C, 5/2013, gennaio-aprile, pp.71-74, NdC), ha stabilito diversi obiettivi relativi alla riduzione dei soggetti sovrappeso ed obesi (21).Secondo il documento Healthy People 2020, il sovrappeso e l’obesità sono associati ad un au-mentato rischio di malattie croniche e di morte prematura (21). Patologie croniche associate con la condizione di sovrappeso e obesi includono, ma non solo, ipertensione, diabete di tipo 2, iperlipi-demia, malattie cardiache, ictus, vari tipi di can-cro, osteoartrite, problemi respiratori e coleci-stite (2,12, 21). La precisa relazione tra eccesso di peso corporeo e mortalità per qualsiasi causa è alquanto controversa. Anche se alcuni studi hanno evidenziato che il tasso di mortalità degli adulti in ognuna delle cause aumenta di pari passo con crescenti livelli di sovrappeso e obesità (1, 5),

Flegal et al. (14,15) non hanno segnalato alcun eccesso di mortalità associato con la condizione di sovrappeso (BMI 25-29,9 kg/m2). Questi studi sono in accordo con l’elevato rischio di mortalità associato con l’obesità (BMI ≥ 30 kg/m2). Inoltre, tale alto rischio di mortalità è aggravato da cre-scenti livelli di obesità.Come ulteriore prova della gravità di questo pro-blema, una cattiva alimentazione e la mancanza di attività fisica (PA), spesso precursori dell’obesità, sono stati citati come la seconda causa di mor-te negli Stati Uniti, subito dopo l’uso di tabacco, soprattutto il fumo di sigaretta e l’esposizione al fumo passivo (28). L’impatto economico della con-dizione di essere in sovrappeso e obesi negli Stati Uniti è sconcertante, stimato - come è - in più di 215 miliardi di dollari ogni anno, con 147 miliardi di dollari in spese mediche dirette (18).

Chiaramente, c’è un numero significativo di ame-ricani che attualmente sono al di sopra del ran-ge raccomandato di BMI 18,5-24,9 kg/m2 (13). Anche se un numero considerevole di adulti sta cercando di perdere peso, sono pochi coloro che stanno facendo i cambiamenti di stile di vita ne-cessari, richiesti per promuovere la perdita di peso (3). Inoltre, tra le persone che hanno perso almeno il 10% del loro peso corporeo, 8 su 10 sono incapaci di mantenere tale perdita di peso per 1 anno (40). Le attuali raccomandazioni cli-niche suggeriscono un obiettivo iniziale di perdita

PAROLE CHIAVEobesità ; controllo del peso; esercizio aerobico; esercizio di resistenza; eccessivo consumo di ossigeno post-esercizio

Incidenza e impatto dell’essere sovrappeso ed obesi

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ORIG: EXERCISE AS A MANAGEMENT STRATEGY FOR THE OVERWEIGHT AND OBESE: WHERE DOES RESISTANCE

EXERCISE FIT IN?, SCJ, VOL.34, N°5, OCTOBER 2012, 47-55PUBBLICA

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Gestione del sovrappeso e dell’obesità

PRIMA PARTE

Page 13: Pagine da strength & conditioning 6

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Daniele Sabatucci, Davide ViggianoDipartimento di Medicina e Scienze per la Salute, Univ. Molise - Campobasso Italy PUBBLICATO

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allenamento con il balance disc: dinamica di apprendimento e infl uenza delle condizioni atletiche iniziali.

L’ DANIELE SABATUCCIè laureato in Scienze Motorie e Sportive ed in Attività Motoria Preventiva e Adattata presso l’Università degli studi del Molise con la quale collabora in studi sul controllo del baricentro. Allenatore e Preparatore Fisico FIP (Federazione Italiana Pallacanestro) Personal Trainer, Istruttore Kettlebell e TRX (Suspension Training). Ha diretta esperienza a livello nazionale come giocatore di pallacanestro a livello professionistico.

PAROLE CHIAVEwobble board, balance disc, equilibrio, distorsioni

Introduzione

DAVIDE VIGGIANOè laureato in Medicina e Chirurgia e dottore di ricerca in Morfologia Umana. Attualmente è ricercatore di Fisiologia presso l’Università degli Studi del Molise dove è titolare dell’insegnamento di fi siologia del controllo motorio. Si occupa di analisi del sistema della motivazione in modelli animali, traslando poi i risultati in campo sportivo e nel controllo motorio in atleti.

Uno dei più comuni infortuni muscolo-scheletrici è la distorsione della caviglia, particolar-mente frequente negli atleti che praticano pallacanestro. La cura di questi infortuni ha un grosso impatto sulla società a livello economico. Generalmente, per prevenirli vengono usati piattaforme instabili come il balance disc (3), il wobble board o il balance board. Questi strumenti durante il loro utilizzo provocano un’instabilità a livello della caviglia, permettendo di migliorare le risposte automatiche a situazioni di improvvisa instabilità, come nella pallacanestro. È possibile quindi avvantaggiarsi dell’aumento artificiale della instabilità per allenare il sistema nervoso a reagire meglio in situazioni di instabilità natu-rale. Si ritiene che questo tipo di apprendimento possa determinare anche una maggiore sensibilità propriocettiva a livello della caviglia. Infatti, studi longitudinali hanno dimostra-to che l’allenamento con balance board è in grado di ridurre e prevenire le distorsioni della caviglia in atleti di sesso maschile e femminile (1).Queste piattaforme altamente instabili sono utilizzate in programmi di allenamento di circa 6-8 settimane e apparentemente migliorano gli indici di stabilità, anche se il mec-canismo di apprendimento non è del tutto chiaro. Alcuni dati sostengono l’efficacia di questo tipo di allenamento sul miglioramento dei programmi motori centrali (2). Ulteriori osservazioni suggeriscono un miglioramento della discriminazione dei movimenti discreti alla caviglia (4).La maggioranza di tali studi analizza l’effetto su queste piattaforme instabili dopo un pe-riodo di allenamento prolungato, in modo da raggiungere una performance costante (fase di plateau o steady state). Sarebbe molto interessante capire se le loro conclusioni si applicano anche prima di raggiungere la fase di plateau. Inoltre, non è noto se questo mi-glioramento della capacità di equilibrio cambia in maschi rispetto alle femmine ed in base alle condizioni atletiche dei soggetti (per esempio in atleti rispetto a soggetti non atleti).Un particolare tipo di balance board è il balance disc o fit disc, costituito da un cuscino gonfiabile con un lato liscio e un lato nodoso. Questo sistema è instabile come le altre piattaforme, ma in questo caso, essendo costituito da una superficie particolarmente morbida, si adatta meglio alla pianta del piede e con la parte rugosa fornisce anche una maggiore stimolazione della superficie plantare del piede. I soggetti utilizzano questo apparecchio a piedi nudi, al fine di ricevere una maggiore stimolazione. Allo stato attuale non sono presenti studi che caratterizzano la dinamica di apprendimento e l’efficacia di questo nuovo tipo di balance board.Lo scopo di questo lavoro è quindi quello di analizzare l’equilibrio e l’abilità di soggetti atleti di entrambi i sessi e soggetti di controllo dopo un periodo di formazione con il balance disc. La durata dell’allenamento è stata limitata al fine di analizzare i soggetti prima di rag-giungere la fase di plateau. A tal scopo, in questa breve relazione si indaga l’effetto di allenamento con il balance disc sulla capacità di equilibrio in un singolo test, confrontando gli effetti ottenuti in entrambi i sessi, in giocatori di pallacanestro e in controlli, prima di raggiungere la fase di plateau di apprendimento.

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