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Associazioni Cristiane
Lavoratori Italiani
Circolando per CHIVASSO e dintorni... DICEMBRE 2017
Notiziario per soci e simpatizzanti distribuzione gratuita stampato in proprio da Circolo ACLI di Chivasso via Italia 10
Strumento di informazione e di collegamento con i soci, non è un periodico e non ha carattere giornalistico
scaricabile anche dal sito www.aclochivasso.it può essere richiesto inviando una mail a info@aclichivasso.it
Alle attività già in essere quali, l’Alzheimer
Caffè, la formazione delle assistenti familiari,
l’associazione Angelo Vassallo di Libera, l'asso-
ciazione Trebbiatori e gli incontri dei nostri cir-
coli e relativi consigli direttivi, si stanno aggiun-
gendo: un gruppo di giovani che si interessa di
fotografia e video, un coro polifonico, l’aper-
tura di un punto di incontro per il gruppo di ac-
quisto “l’Alveare dice sì”.
Altre attività sono inoltre “in itinere” per cercare
di riempire e sfruttare questa sede al meglio
sempre con l’obiettivo di rivitalizzare il quartie-
re oggi carente di strutture sociali.
Quanto riusciremo a fare non lo sappiamo ma la
“speranza” ci sostiene.
A gennaio, con altre associazioni collaboreremo
per portare a Chivasso la mostra fotografica
EXODOS, sulla tematica dei migranti, edita
dalla regione Piemonte. Sempre a gennaio ab-
biamo in programma un incontro di formazione
“LA NUOVA LEGGE ELETTORALE” in previ-
sione delle elezioni primaverili.
Con la parrocchia San Giuseppe Lavoratore stia-
mo programmando un momento di riflessione
sulla tematica del lavoro in occasione della fe-
stività del 1° maggio.
Anche i servizi di patronato e di caf si sono rior-
ganizzati per migliorare la loro attività con l’a-
C arissimi soci e simpatizzanti,
termina un altro anno ed è tempo di fare un mi-
nimo di bilancio.
Come già anticipato nel numero di aprile abbia-
mo aperto la sede del centro incontri “I CARE”
nell’ex convento cappuccini di via Mazzè ed in
questa saletta stiamo iniziando a proporre le
nostre attività.
In questi mesi abbiam cercato di apportare
qualche miglioria, come le doppie porte agli in-
gressi, e un po’ per volta cercheremo di creare
un ambiente il più possibile confortevole ed ac-
cogliente che ci permetta di farlo diventare un
punto di incontro per il quartiere della zona cap-
puccini.
Già con il prossimo anno speriamo di poter pro-
porre anche pomeriggi di musica e di svago.
pertura del nuovo FRONT OFFICE, aperto tutto
il giorno per informazioni ed appuntamenti.
Lo sforzo è notevole anche in considerazione
che a fronte dell’aumento dei servizi erogati,
abbiamo subito tagli economici importanti; ma
riteniamo che, come ACLI, non possiamo dero-
gare dal nostro impegno a favore dei cittadini
soprattutto dei meno abbienti.
Una notazione di tipo politico. In estate si è in-
sediata la nuova amministrazione comunale
con a capo il sindaco Claudio Castello, già asses-
sore della giunta precedente: a lui ma a tutti gli
amministratori di maggioranza e minoranza
facciamo i migliori auguri affinchè possano su-
perare le beghe elettorali e impegnarsi concre-
tamente sui problemi del territorio chivassese
dando anche una dimostrazione di volontà poli-
tica per ridurre la distanza tra cittadini e stato.
Concludo facendo a tutti voi l’augurio per un
Santo Natale di serenità in famiglia e un 2018 di
felicità. Beppe stocco
Un caro e sincero
augurio di
Buon Natale!
Il titolo è volutamente provocatorio, perché a
parlare in linea ufficiale di Vangelo sono più di
una Chiesa Cristiana. Eppure non basta. Non
basta mai! La voce di Dio sovrasta le nostre fra-
gili predicazioni.
Ma non è solo questo.
Nel suo significato originario Vangelo è Buona
Notizia di liberazione dalle nostre schiavitù.
Nuovo Esodo. Grazia di Amnistia.
Ma chi sono i messaggeri di liberazione, che
danno carne al vangelo, qui a Chivasso?
Ne cito quattro, scusandomi con quanti ho di-
menticato: l’ex (sic!) assessore Annalisa DeCol,
che con tanta ostinazione ha voluto un ricove-
ro per gli emarginati; l’infaticabile Lina Borghe-
sio da sempre concretamente attenta alle don-
ne in difficolltà; gli impegnati Aclisti dell’Alzhai-
mer Café e corso badanti annesso; le due fami-
glie di “Casa Betlemme” con i loro progetti di
accoglienza missionaria in casa propria.
Quello che abbiamo notato in questi nostri an-
ni di militanza fratesca è come i cattolici delle
parrocchie dormano della grossa sul Vangelo
che riguarda la vita di relazione con le persone
e con il territorio.
Sbattersi per il lavoro-casa-sanità-accoglienza-
ecologia-politica del bene comune? Ronf-
Ronf.
Meglio spiritualizzare la fede?
Attenzione! Il Vangelo si vive dentro la città.
Non si può guardare la realtà delle cose dall’e-
sterno, quando si è parti in causa.
Si rischia di indurire il volto e di atteggiarci a
giudici; o di ammansire la propria coscienza.
I quattro esempi che ho citato, diversi tra lo-
ro, vivono la loro fede uscendo dal tempio.
Non sono dei sacrestani. Si sono rimboccati le
maniche, e hanno tessuto l’esistenza di accenti
fraterni.
Gesù, per amore del Vangelo, è uscito dall’or-
todossia della religione del sabato, per ripristi-
nare il Sabato di Dio: quello della dignità di
ogni persona!
Dove trovare un po’ di Vangelo vivo in città! di Fra Carlo
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Migrazioni e Migranti Tra dati di fatto e precomprensioni!
di Arturo Masetto
I n questo articolo ho raccolto una serie di
brani tratti dalle conclusioni dei primi 4 ca-
pitoli del libro “Migrazioni” – Egea editore del
professore di sociologia Maurizio Ambrosini.
Questo scritto demolisce molte credenze dif-
fuse tra la popolazione italiana da partiti e mo-
vimenti xenofobi (vedi tab. 1.1).
Il termine “immigrato” comporta sempre, più
o meno consapevolmente, una valenza peggio-
rativa. Altri stranieri residenti non sono perce-
piti o etichettati come immigrati: o perché pro-
vengono da paesi sviluppati, o perché sono
individualmente affrancati grazie all’eccellenza
in qualche campo di attività. Infatti, quando ad
attraversare le frontiere sono i cittadini del
Nord del mondo, preferiamo parlare di
“mobilità”, anziché di migrazione. Solo quan-
do sono in possesso di credenziali educative
adeguate e hanno competenze che possono
servire alle esigenze del mondo sviluppato
possono essere autorizzati a entrare: è il caso
per esempio di medici e infermieri. Per queste
ristrette categorie si è coniata la definizione di
migrazioni qualificate. Nella tab. 1.2 abbiamo visto
l’incidenza dei rifugiati e richiedenti asilo sul
complesso della popolazione migrata, insisten-
do su tre evidenze statistiche. Primo, i rifugiati
di norma fanno poca strada: sono accolti princi-
palmente in altre regioni del loro paese o nei
paesi vicini. Secondo, in Europa ne arrivano
relativamente pochi rispetto al carico che sop-
portano oggi paesi come Li-
bano, Turchia, Pakistan e
Giordania. Terzo, in Italia
sono sì cresciuti, ma rimango-
no una quota esigua sul com-
plesso della popolazione im-
migrata: all’incirca il 3%, e il 3
per mille della popolazione
residente complessiva.
Agli ingressi, in realtà calanti,
fa riscontro una crescita
dell’emigrazione verso l’este-
ro. Benchè non si tratti neces-
sariamente di cervelli in fuga,
e neppure soltanto di giovani,
il fenomeno segnala che sia-
mo inseriti in un contesto internazionale in
cui la mobilità è costitutiva e la riaffermazione
dei confini nazionali suona velleitaria e anti-
storica.
Va notato a questo punto che il dibattito pubbli-
co prescinde da questi dati conoscitivi. Nel 2015 in-
sisteva sull’aumento degli arrivi di rifugiati in
Europa, principalmente accolti in realtà dalla
Germania. Nel 2016 trascurava l’Europa per
dire che gli arrivi sono cresciuti del 18% in
Italia
Per concludere, va ribadito che l’immigrazio-
ne in Italia è sostanzialmente stabile, è dettata
da ragioni di lavoro o familiari (vedi tab. 1.2),
è in prevalenza femminile, europea, prove-
niente da paesi di tradizione cristiana. Non c’è
nessuna invasione in corso, tanto meno isla-
mica (vedi tab. 2.1).
Non è vero che gli immigrati arrivano dai pae-
si più poveri del mondo. In Italia come altro-
ve, provengono in gran parte da paesi inter-
medi quanto a posizionamento sull’indice di
sviluppo umano. Non sono neppure, media-
mente, i più poveri dei loro paesi.
Lo sviluppo di una certa area geografica nella
fase iniziale stimola l’emigrazione, perché più
persone scoprono nuove aspirazioni e dispon-
gono delle risorse per par-
tire. Solo nel medio-lungo
periodo l’emigrazione ral-
lenta ed eventualmente
s’inverte. A questa persi-
stenza dell’emigrazione
contribuisce il
grande fenomeno
delle rimesse, che
sostengono il be-
nessere di milioni
di famiglie nei pae-
si d’origine.
L’idea della pover-
tà come causa
dell’emigrazione si
traduce poi nella
paura di un assalto al nostro sistema di welfare.
Questa paura non è confermata dai dati dispo-
nibili: per ragioni anzitutto demografiche, gli
immigrati danno alle casse dello Stato più di
quanto prelevano, e come consumatori contri-
buiscono a far prosperare determinati mercati,
malgrado i costi indubbi dell’accoglienza dei
richiedenti asilo e rifugiati. Questo è meno ve-
ro a livello locale, dove determinate spese so-
ciali aumentano, rendendo auspicabile un rie-
quilibrio tra centro e periferia nell’impiego de-
gli introiti fiscali generati dagli immigrati.
Non va poi dimenticato il fondamentale con-
tributo che le donne immigrate danno alle fa-
miglie italiane, soprattutto facendosi carico
dell’assistenza agli anziani: sono il perno del
welfare invisibile che ha consentito di abbatte-
re i costi sociali della non autosufficienza.
Come mai persiste l’immigrazione irregolare e
si rivela così difficile da sradicare, malgrado
diversi decenni ormai di dichiarata chiusura
delle frontiere e di misure sempre più rigide
per restringere le possibilità di ingresso e per-
manenza sul territorio degli stranieri non auto-
rizzati. Possiamo concludere affermando in
maniera diretta o indiretta, l’immigrazione irrego-
lare trova sponde all’interno della società ricevente. Per
alcuni aspetti ne serve direttamente i fabbiso-
gni, per altri la riluttanza ad attuare una regola-
zione stringente si spiega con gli intrecci tra
una relativa apertura delle frontiere e altri inte-
ressi e valori: una più severa repressione li
metterebbe a repentaglio. Interviene infine la
3
questione dei costi, delle risorse umane e orga-
nizzative necessarie per attuare politiche più
determinate ed efficienti in materia.
Resta poi il fatto che nell’affrontare la questio-
ne, si sbaglia bersaglio e frontiera da presidiare:
l’attenzione di opinione pubblica, media e poli-
tica si concentra sulla sponda Sud e sugli sbar-
chi dal mare, mentre gli studi sull’argomento
spiegano che gli immigrati irregolari perlopiù
arrivano da Est, entrano in modo regolare, e
sono accolti e protetti soprattutto da famiglie
italiane.
Si potrebbe domandare: ma allora dobbiamo
accogliere tutti? Credo vada riconosciuto con
chiarezza che nessuno Stato nazionale, per
quanto democratico, abbia mai rinunciato a
regolamentare gli ingressi e ad espellere cittadi-
ni stranieri ritenuti indesiderati.
Il problema è trovare un equili-
brio tra istanze di difesa delle
frontiere, interessi vari che pro-
muovono l’apertura, obblighi
internazionali di protezione dei
rifugiati. Bisogna fare in modo
che la difesa dei confini non
danneggi in modo grave altri
valori e legittimi interessi. In
realtà poi le società riceventi già
oggi accolgono in maniera se-
lettiva, al di là e al di fuori delle
norme scritte: più le donne de-
gli uomini, più chi è meno visi-
bile di chi non può nascondere
la propria diversità, più chi tro-
va lavoro di chi non lo trova,
più chi rimane nascosto di chi
protesta, disturba o infastidisce
i cittadini. Non stiamo affatto
accogliendo tutti, e non lo fac-
ciamo sulla base di norme chia-
re e imparziali. Sull’altro fronte,
le persone partono perché sono
sottoposte a minacce molto se-
rie, come nel caso minoritario
dei rifugiati, oppure perché
hanno agganci sul posto e quin-
di speranze di poter trovare un
lavoro e sistemarsi.
Rimane alla fine una questione
di fondo che ha oggi serie con-
seguenze. Gli attori politici, da
anni, alcuni in modo
civile, altri in forme
semplificate e aggres-
sive, promettono una
chiusura delle frontie-
re solo in parte realiz-
zabile. La promessa
alimenta chiusure e
diffidenza. La sua
mancata realizzazione
semina rancore e sfi-
ducia. Dire la verità
all’opinione pubblica,
anziché fare mostra
di assecondarla, è un
onere imprescindibile
dei veri leader politici:
le migrazioni in un sistema democratico, intri-
so di valori liberali ed economicamente aperto,
possono essere controllate soltanto in parte,
salvo decidere di rinunciare a una parte non
irrilevante dei vantaggi della democrazia politi-
ca e del mercato libero.
Nei paesi sviluppati, come in molti paesi emer-
genti, si registra tuttora una domanda di lavoro
immigrato. Riguarda principalmente i livelli
inferiori del sistema occupazionale, tutt’altro
che aboliti, a dispetto delle retoriche sulla so-
cietà della conoscenza e sull’immigrazione qua-
lificata. La crisi economica l’ha intaccata, ma
non rovesciata: i cittadini europei rimangono
restii a ripiegare sui lavori più faticosi e meno
riconosciuti socialmente, quelli che abbiamo
definito i lavori “delle cinque P” (pesanti, peri-
L’angolo del Poeta… di fra Carlo Basili Mediterraneo Balneare
D’estate il mare è ripulito dal catrame,
dalla sporcizia delle carcasse morte.
Verranno i villeggianti a villeggiare
Sulle tombe degli emigranti annegati
neppure un fiore, ma il palo
variopinto dell’ombrellone.
colosi, precari, poco pagati, penalizzati social-
mente). Di fatto i sistemi economici hanno
sempre bisogno di nuovi immigrati, e per certe
occupazioni di immigrati soli, senza legami fa-
miliari.
Politicamente però questi fabbisogni sono dif-
ficili da ammettere, dati i livelli raggiunti dalla
disoccupazione. Per questa ragione economia
e politica si divaricano: la prima richiede brac-
cia, la seconda le nega o le concede con molta
reticenza: da qui deriva la definizione di
“importatori riluttanti”.
Dal canto loro, la maggior parte degli immigra-
ti accettano una retrocessione nella scala del
prestigio sociale pur di potersi inserire in un
contesto che appare loro più promettente di
quello che si lasciano alle spalle.
Due risorse di diverso tipo possono però di-
fendere gli immigrati nel mercato del lavoro,
La prima è rappresentata dalla tutela sindacale,
a cui di fatto gli immigrati in Italia si sono ri-
volti con grande favore in questi anni. La se-
conda è invece il lavoro autonomo, aumentato
molto negli anni pre-crisi e tuttora in moderata
crescita.
L’inserimento lavorativo degli immigrati è un
percorso a ostacoli, molto esposto agli anda-
menti del mercato, ma va ricordato ancora una
volta che 2,3 milioni di immigrati sono regolar-
mente occupati nel nostro paese e rappresenta-
no più del 10% dell’occupazione complessiva.
Se la promozione rimane difficile, l’esclusione
è ancora più improbabile, e la tenacia dei pro-
tagonisti malgrado le avversità fa pensare che il
futuro non sia già scritto.
Ad un anno dalla chiusura del Convento dei
Cappuccini, anche il nostro fra Carlo ha lasciato
Chivasso per continuare la sua attività evangeli-
ca a Pinerolo…
Alla luce dei suoi lunghi trascorsi come “frate
tra la gente” ed “in corsia”, noi abbiamo prova-
to a farci raccontare la sua esperienza e abbia-
mo provato a strappare qualche pensiero.
Che bilancio fai dei tuoi 16 anni chivassesi?
Ho amato Chivasso. Tanto.
Che cosa ti è piaciuto della nostra città?
Le persone innanzi tutto. ma lo direi di chiun-
que. Sono un frate o no?... Tra i luoghi, direi che
Chivasso mi ricorda con un po’ di fantasia Tori-
no: la città e la collina, anche se da voi ormai
devo dire così, manca un Pavese. Poi il parco
Mauriziano…
E la città?
Ti stupisco. Ho ammirato lo sforzo di Andrea
Sindaco nel dare una struttura più moderna a
Chivasso. Non poteva risolvere tutto. Ma ha fat-
to molto.
Intervista a fra Carlo un frate/Amico
Redazione
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MARTEDI 9,00 - 12,00 SU APPUNTAMENTO
PRATICHE DI SUCCESSIONE
VOLTURE CATASTALI
Sì. ma guarda che la nostra Diocesi ha avuto sei
pastori che ci hanno preparato alla sua venuta.
Oltre Bettazzi, un patito come me degli anni
‘60, non dimentico mons. Miglio. Ingiustamente
dimenticato.
Dici così perché è stato tuo professore…
Guarda: non era un gran comunicatore. Meglio.
Non ha venduto fumo. Ad esempio, ha spinto
anche la Chiesa chivassese sulla via delle unità
pastorali.
L’avessero ascoltato…
...Forse noi cappuccini saremmo rimasti dove
eravamo.
Senza parrocchia, ma in convento. Già.
E perché ci avete lasciato?
La tua domanda è complessa e insidio-
sa.
Insidiosa? Ti ho messo in difficoltà?
Quello che penso fino in fondo non lo
dirò a nessuno, neppure sotto tortura.
I panni sporchi si lavano in famiglia.
Però, credimi, sono sereno. Dico solo
che si doveva fare di più, anche per la
Chiesa locale.
Eravate un po’ troppo aristocratici e ar-
roccati sulle vostre posizioni.
Il populismo non mi è mai piaciuto.
Neppure il fondamentalismo. E anche
sul fronte dei devozionalismi, che tan-
to vanno per la maggiore…
Lasciamo perdere. Non comprometterti.
Invece, ritorniamo al punto: perché ci
avete lasciato?
La domanda è complessa. È dipeso da
una serie di fattori. L’ultimo, ma pro-
prio l’ultimo, è stato la questione eco-
nomica. Il convento era a pezzi, per-
ché non c’erano i quibus per sanarlo.
Alcune cose che avete fatto sono state
straordinarie: annunciare il Vangelo come buona
notizia per tutti. È stato qualcosa di grande per i
chivassesi!
A me non piace dire “ho fatto” oppure “l’avevo
detto”.
Si, ma in Ospedale sei stato l’artefice di un altro
stile nei confronti dei malati, infermieri, medici.
La verità è che siamo stati una sola famiglia,
insieme.
La Diocesi l’ha capito?
Non lo so. Mi importa che si sia realizzato qual-
cosa di grande, di unico, dove ho solo cercato
di fare la mia parte: con gioia e con ritardi,
stanchezze… dal 2008 il cuore… però ho potuto
dare un po’ della mia carne. E benedico il Si-
gnore, i medici-infermieri-malati, che mi hanno
permesso di avvicinarli.
Insomma, il bilancio è stato positivo a Chivasso.
Non devo dirlo io. Posso dirti che aver
“lavorato” con gli amici delle Acli mi ha aiutato
a capire Chivasso e ad amare ancora di più il
Signore. Per far digerire a quei birboni (non
posso fare i nomi) il Vangelo, ho sviluppato un
forte interesse per Gesù di Nazareth. Volevo
convertirli: mi hanno convertito loro.
E dimmi: com’è che sei finito a Betlemme? Chi-
vasso non ti ha voluto?
Ti metto una mano sulla bocca. Non è stato un
bel momento. Ho dovuto cercarmi un buco do-
ve abitare e digerire delle porte… blindate. ma
se non si accolgono tanti poveri diavoli, perché
accogliere un frate? Siamo o no in padania,
cribbio! Però sono stato ospitato con estrema
cura e generosità da “Casa Betlemme”, in via
degli angeli… lì san Pietro si chiama Giorgio; le
madonne sono due belle dame; e poi c’è tanta
gioventù innamorata e non ancora; e il mio
amico Giuseppe a cui mando un saluto juventi-
no. Non dimentico il dottore, figlio di san Luca,
che imita i frati in sandali.
Lasci un po’ del tuo cuore a Chivasso?
Non vivo di nostalgia. ma gli/le amici/che sono
molti. Come sarà a Pinerolo. Spero. Chiudo,
salutando i francescani secolari: “ad maiora”!
Allora anche tu, come il PD ti prepari all’inciucio
con FI?
Lo sai bene da che parte sto. Non sono affatto
un destrorso!
Eh si, abbiamo perso, oltre che un amico, un fra-
te, il volto di una Chiesa impegnata nella vita,
anche politica, della città!
Intesa come cosa pubblica, bene comune. Ma
non abbiamo avuto un gigante in merito, qui… Il
Vescovo Bettazzi? Avrebbe dovuto fare scuola.
Io ho semplicemente e… da lontano seguito il
suo esempio.
Mi sembra anche per quanto riguarda il Concilio…
Se fosse attuato, la Chiesa uscirebbe definitiva-
mente dal Medioevo!
È quanto con molto coraggio sta facendo papa
Francesco.
L’ULTIMO DEI….CAPPUCCINI SE NE VA’….
Un pranzo per salutare il compagno di viaggio di questi
ultimi 15 anni l’amico fra Carlo che da Chivasso si spo-
sta a Pinerolo. A lui facciamo i migliori auguri per la
sua missione. A noi mancherà molto ma continueremo
a volergli bene e ad approfittare della sua “penna”.
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