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In questo documento trovate in breve l'evoluzione del numero chiuso in Italia dall'introduzione della legge Zecchino fino ad oggi.
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o chiuso
SMONTIAMOLO
Ogni anno migliaia di studenti provano i test d’accesso ai corsi a numero programmato, affidando il proprio futuro ad una lotteria, falsata da continue irregolarità. Il numero chiuso è frutto di interessi corporativi e mancanza di investimenti, dobbiamo smontare, una volta per tutte, questo sistema iniquo e macchinoso, che ci toglie il diritto di scegliere liberamente il nostro percorso di studio.
1 Unione degli Universitari -‐ Via G.B. Morgagni 27 -‐ 00161 Roma -‐ Tel. 342 6510958
COME NASCE IL NUMERO CHIUSO IN ITALIA
Il numero chiuso a livello nazionale in Italia è stato introdotto dalla l.264/1998 meglio conosciuta come legge Zecchino, l'allora Ministro dell'istruzione, recante norme in materia di accesso ai corsi universitari, in seguito alla sentenza 383/98 della Corte Costituzionale che poneva la necessità di legiferare in riferimento alla suddetta materia.
A supporto dell'introduzione del numero chiuso il Ministro portò due direttive della comunità europea, in particolare la direttiva 78/687/CEE, che riguardava la figura professionale dei dentisti e degli odontoiatri, e la direttiva 93/16/CEE, che invece era rivolta ai medici.
Secondo quanto previsto dalla l. 264/199, la scelta del numero di posti disponibili per i suddetti corsi di laurea deve essere prevista sulla base di determinati parametri esplicitati all’articolo 3 comma 2, lettere a) b) e c), ovvero:
a) sulla base dei posti nelle aule; delle attrezzature e dei laboratori scientifici per la didattica; del personale docente; del personale tecnico; dei servizi di assistenza e tutorato;
b) sulla base del numero dei tirocini attivabili e dei posti disponibili nei laboratori e nelle aule attrezzate per le attività pratiche, nel caso di corsi di studio per i quali gli ordinamenti didattici prevedono l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, di attività tecnico-‐pratiche e di laboratorio;
c) sulla base delle modalità di partecipazione degli studenti alle attività formative obbligatorie, delle possibilità di organizzare, in più turni, le attività didattiche nei laboratori e nelle aule attrezzate, nonché dell'utilizzo di tecnologie e metodologie per la formazione a distanza.
Il sistema del numero chiuso, dunque, è una declinazione tutta italiana che ha il solo scopo di ridurre i finanziamenti all'università e difendere gli interessi degli ordini professionali: basti pensare che con la l.264/99 il numero programmato a livello nazionale per il corso di medicina e odontoiatria è stato esteso, senza alcuna reale motivazione, ai corsi di architettura, veterinaria, e scienze della formazione primaria.
Entrambe le direttive europee si limitano ad imporre agli Stati membri un’armonizzazione dei corsi di studio di odontoiatria e di medicina, a garanzia del principio della libera circolazione dei cittadini Europei all’interno dell’Unione, non specificano in nessun modo le modalità atte a salvaguardare la qualità della didattica di tali corsi di studio.
Il numero chiuso non ce lo chiede l'Europa: per garantire la qualità della didattica, infatti, basterebbe ricominciare ad investire sull'università, invertendo la dicotomia per cui il numero di studenti deve adeguarsi alla capacità delle strutture. Lo Stato dovrebbe avere il compito di adeguare le strutture al numero di studenti al fine di garantire l'accesso al mondo universitario, non il contrario.
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EVOLUZIONE NORMATIVA DEL NUMERO CHIUSO
Inizialmente la ripartizione dei posti dei corsi a numero chiuso da parte dello Stato era effettuata su base locale, per cui ogni studente, a seconda di dove provava il test d’ingresso, avrebbe concorso solamente con tutti coloro i quali sostenevano il test nello stesso Ateneo. Questo faceva si che il punteggio d’ingresso variasse da sede a sede, con conseguenti discriminazioni palesi per cui lo studente poteva entrare con punteggi più bassi rispetto a quelli totalizzati in altri Atenei e viceversa.
La palese iniquità provocata da questo sistema è stata una delle principali motivazioni portate nei vari ricorsi che l’UDU ha presentato ai diversi TAR in quegli anni.
Le continue vittorie ottenute in via giudiziale hanno spinto il ministro Profumo, nel 2012, a rivalutare il sistema delle graduatorie dei corsi a numero chiuso, trasformandole da locali a nazionale.
Nonostante la graduatoria unica nazionale abbia portato con se diversi correttivi che hanno reso il sistema più equo rispetto al passato, continuano ad essere presenti elementi di criticità, dalle modalità di scelta dei luoghi in cui potersi immatricolare, all'effettiva capacità di valutazione di un test a crocette di un'ora e mezza che in realtà è più simile ad una lotteria.
L’elemento di maggiore innovazione rispetto al numero chiuso è stato il bonus maturità, introdotto con D.M. 334 dal Ministro Profumo.
Nonostante il Ministro Fioroni nel 2007 avesse già tentato di considerare il percorso scolastico antecedente, nella sua totalità, come elemento valutativo nel test, senza riuscire a darvi attuazione; il bonus maturità, diversamente, si limitava a considerare, quale elemento valutativo, solo il voto di maturità prevedendo l’assegnazione di una somma di punti che poteva variare da un minimo di 4 fino a un massimo di 10 per gli studenti che avevano ottenuto almeno un voto superiore a 80 all’esame di maturità.
L'introduzione del bonus maturità dal Ministro Profumo ha messo definitivamente e palesemente in crisi il sistema del numero chiuso aggravando i profili di iniquità già presenti: in determinati istituiti, infatti, lo studente diplomato con 90 avrebbe potuto ottenere 10 punti bonus, mentre in altri casi studenti con lo stesso punteggio avrebbero ottenuto un numero di punti bonus nettamente inferiori.
L’UDU, sin da subito, ha portato avanti una battaglia per l’abolizione del bonus, viste le discriminazioni inaccettabili che il sistema avrebbe comportato.
Con il cambio di Governo, e dunque di Ministro, una delle questioni su cui l'allora neo eletta Ministro Carrozza pose attenzione fu proprio il bonus maturità. Dopo un primo momento in cui sembrava possibile la sua abolizione, il 12 Giugno 2013 venne emanato il D.M. 449, con cui il bonus maturità fu confermato con alcune modifiche.
Nonostante le mobilitazioni da noi portate avanti per tutto il periodo estivo che chiedevano l'abolizione immediata del bonus prima dell'inizio dei test, vista la prospettiva di un nostro ricorso contro il bonus, il Ministro è riuscito a causare ulteriori e gravi discriminazioni eliminando il bonus durante lo svolgimento del test di medicina.
L'abolizione del bonus in corso di svolgimento dei test ha causato, infatti, situazioni ulteriormente discriminatorie e inique: migliaia di studenti sono entrati per fare il test consapevoli di avere o non avere determinati punti bonus e sono usciti che le regole erano cambiate. La lotteria dei test, quest'anno, con il contributo dei disastri causati dal Ministero che, anziché eliminare il bonus prima dei test, ha cambiato le regole in corsa, ha, più degli scorsi anni, posto gli studenti in una condizione di totale discriminazione.
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Con la pubblicazione della graduatoria, in data 30 Settembre l'ultimo candidato ammesso ad immatricolarsi nel corso di laurea di medicina e chirurgia era a Catanzaro, con un punteggio inizialmente di circa 40 punti (punteggio che oggi è sceso a 39,00 a seguito dei successivi scorrimenti). Lo stesso per odontoiatria, il cui punteggio era leggermente più basso, si aggirava inizialmente intorno al 39,40, mentre oggi è sceso addirittura a 38.60 con la graduatoria aggiornata al 5 Febbraio.
Dopo la pubblicazione della graduatoria si è dato al via a tutti quei ricorsi atti a tutelare quegli studenti messi in una condizione discriminante per l'abolizione in corso dei test del bonus.
Il Ministero presa consapevolezza del danno causato ha posto una “sanatoria” ammettendo in sovrannumero gli studenti che avrebbero avuto diritto ad immatricolarsi se si fosse applicato il bonus maturità al punteggio ottenuto al test. È per questo motivo che il 18 Dicembre è stata emanata una nuova graduatoria comprensiva di coloro che avrebbero beneficiato dei punti bonus. Sanatoria che, tuttavia, non ha risolto il problema: tale rimedio, infatti ammetteva in sovrannumero solo coloro che sarebbero risultati idonei se effettivamente la graduatoria del 30 settembre avesse tenuto conto del bonus maturità escludendo coloro i quali, però, con il bonus superavano i 40 punti (punteggio dell’ultimo ammesso della graduatoria del 30 settembre).
Applicando a tutti il bonus, il “punteggio minimo” per accedere al corso di laurea in medicina e chirurgia (cioè il punteggio corrispondente all’ultimo candidato ammesso) si è alzato da 40 punti a 44,30, mentre per odontoiatria si è passati da 38,60 a 43,50.
Con questo sistema, in sostanza, si è verificata la situazione di studenti entrati nella graduatoria del 30 settembre con punteggi di 39/40 punti e più (il punteggio si abbassa man mano con gli scorrimenti), e altri studenti che, con punteggi compresi tra 39 e 44,30, non sono stati ammessi nella graduatoria del 18 Dicembre, generando un evidente discriminazione.
Lo spostamento dei test di medicina e odontoiatria ad Aprile, infine, sono l'ultima “sanatoria” posta dal Ministero che va a danneggiare gli studenti dell'ultimo anno delle superiori, svilendone e svuotandone il percorso: i ragazzi sono costretti a distogliere l’attenzione dallo studio delle materie dell’ultimo anno, per concentrarsi sui test d’ingresso, senza contare che spesso nel mese d’Aprile i programmi su cui dovrebbe vertere il test non sono ancora stati completati.
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LE CONSEGUENZE DEL NUMERO CHIUSO
Il percorso intrapreso dalla Legge Zecchino nel 1999 e le molteplici “sanatorie” poste negli anni portate avanti dai diversi Ministri che si sono susseguiti non hanno fatto altro che evidenziare e mettere in crisi un sistema che già si dimostrava fallace ed iniquo sotto ogni profilo. Tutte le motivazioni poste a difesa e salvaguardia del sistema del numero chiuso sono facilmente smontabili.
Il sistema che si è venuto a creare con l'introduzione del numero chiuso è un sistema fortemente iniquo e discriminatorio che nel tempo ha avuto ricadute su tutto il sistema universitario.
Si è venuta a creare, infatti, una discriminazione netta tra corsi di serie A e corsi di serie B, studenti di serie A e studenti di serie B: spesso, a causa dei blocchi all'accesso, infatti, i corsi a numero aperto vengono “utilizzati” come luogo transitorio in cui dare quegli esami che potrebbero essere riconosciuti nell'ipotesi in cui l'anno successivo si passi il test. Ciò ha provocato il proliferare di numeri programmati locali in tutti quei corsi il cui piano di studi presenta affinità con quello dei corsi a numero chiuso. Questo fenomeno è emblematico nella rappresentazione delle ricadute del numero chiuso sul sistema universitario: gli studenti ad oggi non sono liberi di intraprendere il percorso di studi da loro prescelto e i corsi a cui si iscrivono sono un mero ripiego temporaneo.
In questo senso è evidente che il sistema del numero chiuso non è in grado di garantire il dettato costituzionale per cui il diritto allo studio, inteso come diritto all'accesso, deve essere garantito a tutti e lo Stato ha il compito di garantire tutti gli strumenti atti al “pieno sviluppo della persona umana” a prescindere dalla condizioni socio economiche di partenza.
Il test d'ingresso è una vera propria lotteria a cui ogni anno migliaia di studenti “partecipano” nella speranza di sorteggiare il numero fortunato. Innanzitutto un test di un'ora e mezza, le cui domande non verificano nei fatti la preparazione pregressa, non è indicativo dell'attitudine di un soggetto ad intraprendere un percorso piuttosto di un altro (per quello esistono gli esami). Ulteriore problema posto dal test è il mercato che è nato introno ai test d'ingresso: chi potrà prepararsi ai test frequentando corsi ad hoc sarà sicuramente avvantaggiato rispetto a chi non potrà permetterselo che dovrà subire doppiamente la lotteria dei test. E' questo forse un sistema equo?
La scelta dell’UDU di presentare ogni anno ricorsi contro il numero chiuso è una rivendicazione politica atta ad evidenziare e scardinare un sistema palesemente iniquo e che ogni anno danneggia migliaia di studenti: dalle criticità del bonus maturità, alle palesi violazioni dell'anonimato.
E' indispensabile superare il sistema del numero chiuso, dovrebbe farci riflettere il fatto che l'Italia è penultima tra i Paesi OCSE per numero di giovani laureati: limitare l'accesso all'università non può essere una soluzione soprattutto nel momento in cui il sistema è già in grado di sostenere un numero maggiore di studenti, numero che andrebbe a crescere se si ricominciasse ad investire sull'università.
Il numero chiuso è innanzitutto un problema culturale che passa anche dalla quasi totale mancanza di momenti di orientamento durante il percorso scolastico obbligatorio. Tutte le motivazioni portate a difesa del numero chiuso sono mere giustificazioni figlie di scelte politiche fatte di tagli all'istruzione. E' dunque il momento ricominciare ad investire seriamente nel nostro sistema formativo, attraverso una programmazione adeguata e maggiori finanziamenti atti ad eliminare i blocchi all'accesso.
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SMONTIAMO IL NUMERO CHIUSO! IL NUMERO CHIUSO CE LO CHIEDE L'EUROPA? FALSO!
La comunità europea chiede solo di armonizzare i sistemi formativi e gli standard di qualità, affinché i professionisti possano muoversi liberamente nello spazio europeo del lavoro, vedendo riconosciuti i propri titoli e non afferma in nessun caso che tali standard debbano essere garantiti tramite blocchi all'accesso e la definizione di un numero bassissimo di studenti che possono intraprendere il percorso di studi.
In tal senso è incredibile come tali direttive siano state e vengano ancora oggi completamente strumentalizzate in Italia, in quanto la stessa legge 264/99 che norma l’accesso ai corsi a numero chiuso nazionali sostiene che “…in conformità alla normativa comunitaria vigente e alle raccomandazioni dell'Unione europea che determinano standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti.” (art.1, comma 1, lett. a).”
Si tratta dunque di una vera e propria mistificazione legislativa oltre che mediatica: le basi su cui si fonda la legislazione stessa del numero chiuso non sono altro che una reinterpretazione opportunistica di direttive europee che sostengono tutt’altro e vengono solo sfruttate per limitare il diritto allo studio dei giovani italiani e garantire gli interessi di pochi.
IL NUMERO CHIUSO E’ L’UNICO MODO DI GARANTIRE LA QUALITA' DELLA DIDATTICA? FALSO!
La qualità del percorso formativo non dipende dal numero di studenti iscritti: le università sono ricche di corsi di studio con pochissimi studenti che non riescono comunque a garantire una didattica di qualità. La qualità del percorso formativo dipende da numerosi fattori alcuni quantificabili come il numero di docenti, le strutture, i laboratori presenti, e i servizi a disposizione degli studenti mentre altri no, come la qualità dei piani di studio proposti e i metodi didattici utilizzati.
Il problema è che da anni i governi succedutisi hanno deciso di non considerare l’università una priorità, di tagliare i finanziamenti su di essa impedendo agli atenei di rafforzare gli strumenti messi a disposizione degli studenti, di bloccare il turn-‐over imponendo dall’alto la riduzione della docenza senza interessarsi minimamente della qualità della didattica e della formazione dei giovani italiani.
In quest’ottica il numero chiuso è solo una giustificazione, anche estremamente riduttiva, dei mancati investimenti sulla formazione superiore, a maggior ragione quando è totalmente assente nel nostro Paese una politica di valutazione concreta che consenta veramente di certificare la qualità della didattica impartita.
Ricominciare ad investire sull’università in tutti i suoi settori significa ricominciare a pensare veramente allo sviluppo e al progresso dell’Italia riportando il nostro Paese al livello degli altri Paesi industrializzati (che in tempo di crisi invece investono in istruzione) e allo stesso tempo smontare una delle giustificazioni più strumentali del numero chiuso.
IL NUMERO CHIUSO CONSENTE DI FAR ISCRIVERE SOLO GLI STUDENTI CHE IL NOSTRO SISTEMA UNIVERSITARIO PUO’ SOSTENERE. FALSO!
La programmazione dei posti disponibili per i corsi a numero chiuso, in particolare quelli di area medica, non è ad oggi, anche legislativamente parlando, in alcun modo collegata alle strutture necessarie a garantire una didattica di qualità agli studenti iscritti.
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Come dimostra la stessa Legge 264 che definisce le modalità con cui vengono programmati gli accessi attualmente si tiene conto in minima parte del presunto fabbisogno di laureati delle varie tipologie nelle strutture pubbliche e, in massima parte, degli interessi dei vari ordini professionali che hanno l’evidente obiettivo quello di garantire gli interessi dei propri centri di potere e componenti attuali.
Anche solo applicando gli attuali (e stringenti) requisiti necessari per garantire la qualità dei corsi di laurea alle disponibilità di docenza e strutture dei corsi a numero chiuso nazionali si scopre che il numero di studenti immatricolabili anche nella situazione attuale sarebbe enormemente superiore alle 8-‐10.000 unita attualmente consentite.
Far ripartire gli investimenti sull’università e cambiare il paradigma per cui la programmazione dei posti disponibili è legata prevalentemente alle necessità degli ordini professionali di categoria consentirebbe di smontare da subito il numero chiuso.
IL NUMERO CHIUSO E’ L’UNICO MODO PER GARANTIRE UN’OCCUPAZIONE A TUTTI GLI STUDENTI FALSO!
E’ importante premettere che l’istruzione universitaria NON ha il solo scopo di formare professionalità spendibili nel mercato del lavoro, l’istruzione e la formazione hanno una funzione sociale fondamentale, che va al di la del solo dato occupazionale. L’idea che si debba formarsi, soltanto se vi è esigenza, reale o presunta, di una specifica professionalità, risponde ad una visione economicistica dell’istruzione, che ne nega il valore intrinseco per l’individuo e la collettività.
L’Italia ha un’altissima disoccupazione giovanile, e, nonostante siamo quasi ultimi in Europa per numero di giovani laureati, si sta diffondendo l’idea che il numero chiuso garantisca la piena occupazione. Questa idea è falsa, perché il numero chiuso aggira soltanto il problema, che va invece risolto con interventi forti in due direzioni: l’orientamento e il mercato del lavoro.
L’orientamento dei giovani, è l’unico strumento che può favorire una scelta consapevole del proprio percorso di studio, limitando così le distorsioni. E’ necessario investire per potenziarlo ad ogni livello, iniziando dalla Scuola, che deve costruire negli anni l’orientamento degli studenti, partendo dalla strutturazione stessa dei cicli, ad oggi dei compartimenti stagni che non comunicano tra loro.
Dall’altro il mercato del lavoro, dove si deve favorire davvero l’incontro tra domanda e offerta, eliminare la precarietà, favorire l’inserimento dei giovani in un sistema sempre più “vecchio”, ridistribuire il lavoro ed abbattere i privilegi corporativi di alcuni settori. In particolare, molti dei numeri programmati, sono collegati a professioni “ordinistiche”, cioè tutelate dagli Ordini professionali che, nel nostro Paese, sono spesso arroccati nella difesa corporativa dei soli interessi della propria categoria. Non è un caso che, proprio gli Ordini, abbiano spinto fortemente per il numero chiuso, e concorrano ogni anno alla determinazione del numero di posti disponibili nei vari Corsi di studi.
Se prendiamo in considerazione, ad esempio, gli sbocchi occupazionale dei laureati in Medicina e Chirurgia, o in Odontoiatria, questi vanno, sostanzialmente, in due direzioni: all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, oppure nel Mercato privato.
Nel primo caso, è ormai noto che il SSN va incontro ad una rilevante “gobba pensionistica”, cioè ad un ciclo di pensionamenti che determinerà, nei prossimi anni, un fabbisogno crescente di medici specialisti. La sostituzione, con altro personale sanitario, di determinate funzioni ora svolte da medici, è un effetto la cui reale entità è tutta da dimostrare, e comunque non sufficiente a compensare i pensionamenti. Questo, ovviamente, in un contesto in cui si decide politicamente di investire nel nostro Sistema Sanitario Nazionale, invece di dismetterlo lentamente, come vorrebbero alcuni. Quella contro il numero chiuso è anche una battaglia per una Sanità pubblica realmente efficiente e garantita a tutti.
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Parallelamente Medici di Base e Pediatri nel nostro paese sono troppo pochi; con una media di oltre 1.100 pazienti a testa, i nostri Medici di Base si avvicinano al massimale, previsto dalle convenzioni, di 1.500 (millecinquecento!) assistiti. Inoltre molti di loro sono “anziani”: il 60% dei Medici di base è laureato da più di 27 anni, e quasi il 90% da più di 20 anni. E’ evidente come questo settore possa rappresentare un altro sbocco, per molti giovani medici, magari migliorando al contempo la qualità e la capillarità dell’Assistenza di base.
Discorso a parte, invece, il mercato privato. E’ qui che si rende più evidente come, dietro la programmazione degli accessi, vi sia una forte spinta conservatrice da parte degli Ordini professionali, ovviamente interessati a limitare la concorrenza.
E’ ovvio che, a tutela anzitutto dei cittadini, deve essere assolutamente garantita la qualità delle prestazioni mediche, che non si prestano a gare al ribasso. Ma si ha la netta sensazione che, nel nostro Paese, si usi la reale preoccupazione della qualità, per garantire ingiustificate rendite di posizione; come sembra testimoniare il semplice dato che le tariffe dei medici privati italiani sono tra le più alte in Europa.
Insomma, aggiungere un po’ di concorrenza, non può certo danneggiare un mercato fortemente ingessato in logiche corporative, come quello italiano.
“IL NUMERO CHIUSO SELEZIONA GLI STUDENTI PIU' MERITEVOLI” FALSO!
Qualsiasi forma di selezione precedente al percorso di studi non permette di valutare realmente gli studenti, soprattutto in una situazione in cui l’assenza di un vero sistema di diritto allo studio non consente a tutti gli studenti di partire dalle stesse condizioni di partenza (basti pensare alla contrapposizione tra gli studenti che possono permettersi ripetizioni e veri e propri corsi di preparazione ai test e coloro che, privi dei mezzi necessari, si affidano solo alle proprie capacità).
Non è possibile valutare uno studente e decidere il suo percorso di studi e di vita sulla base di un test a crocette di un’ora e mezza dove spesso le materie trattate esulano completamente dal percorso di studi antecedente e posteriore. Allo stesso tempo l’eterogeneità del territorio, della situazione scolastica italiana e soprattutto la funzione e il fine stessi della scuola media superiore di secondo grado non permettono di utilizzare il percorso scolastico come indice di valutazione di studenti che vogliono intraprendere un percorso di studi universitario.
E’ POSSIBILE SUPERARE IL NUMERO CHIUSO? VERO
Già oggi il nostro sistema potrebbe ospitare molti più studenti, di quanti effettivamente ne assorbe. I tagli ai finanziamenti, il blocco alle nuove assunzioni e una molteplicità di criteri e vincoli, sono le giustificazioni più frequenti della recente ondata di programmazione degli accessi, che ci ha portato ad avere il 57% di tutti i corsi di studio nel nostro Paese a numero chiuso. Per la maggior parte di essi, compresi alcuni dei corsi ad accesso programmato nazionale previsti dalla legge 264 del ‘99, il numero chiuso potrebbe essere eliminato immediatamente, con interventi e adeguamenti minimi.
Per quei corsi che presentano accentuate esigenze di tirocinio, di laboratorio e di personale, e che non riuscirebbero ad assorbire nell’immediato tutti i candidati, si tratta, anzitutto, di invertire la prospettiva, cominciando a programmare e tarare le risorse, le strutture e l’organizzazione, sulla base del numero di studenti e delle loro esigenze didattiche, incrementandole gradualmente. La legge 264, infatti, prevede che si tenga conto della capacità degli Atenei di ospitare studenti, ma non vi è previsto nessuno strumento per incentivare gli atenei ad aumentare quella capacità attraverso, ad esempio, l’adeguamento delle strutture, la stipula di più convenzioni c per i tirocini, un’organizzazione, della didattica più efficiente.
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Il superamento totale del numero chiuso, passa da interventi complessivi sul sistema universitario, ma non è affatto una prospettiva utopistica: si devono, certamente,investire più risorse, portandole ameno alla media europea, ma anche programmarle meglio, in modo da andare effettivamente incontro alle esigenze specifiche dei vari corsi di laurea.
Ciò che serve, in definitiva, è la volontà politica di superare il numero chiuso, e la capacità programmatica di farlo.
ABOLIRE IL NUMERO CHIUSO E’ NECESSARIO. VERO
L’Italia è penultima, tra i paesi OCSE, per numero di giovani laureati: tra le persone comprese tra i 25 e i 34 anni, solo il 20% ha una laurea, contro una media OCSE che sfiora il 40%, e siamo ben lontani anche dagli obbiettivi europei in materia di istruzione di “Europe 2020”.
Abbiamo una disoccupazione giovanile superiore al 40%, e circa 2.000.000 di “NEET”, giovani che non studiano, non si formano e non lavorano. L’abbandono scolastico, al 19%, è tra i più alti d’Europa e significa che uno studente su cinque non si diploma.
Questi semplici dati dimostrano che il luogo comune secondo cui in Italia ci sono troppi laureati è, semplicemente, una balla. Una falsità alimentata, strumentalmente, da chi ha interesse a sostenere la propria visione ideologica dell’università piccola e di élite. L’università per i pochi “bravi per nascita”, che se la possono permettere.
Le statistiche dimostrano che i laureati hanno più possibilità di trovare un’occupazione, e che, in termini occupazionali, hanno risentito meno della crisi, rispetto ai non laureati.
La contraddizione tra questi dati, e l’esistenza del numero chiuso, è evidente: mentre tutto il mondo avanzato, cerca di aumentare l’istruzione media e la percentuale di laureati tra i propri cittadini, l’Italia va nella direzione opposta.
C’è un motivo se, in tempi di crisi, la maggior parte degli altri Paesi investono nell’istruzione: questa genera, infatti, innovazione, mobilità ed equità sociale, arricchisce la società intera di idee, cultura e professionalità. L’istruzione è, in definitiva, uno dei pochi strumenti per uscire dalla nostra grave crisi economica e sociale; e andrebbe garantita a tutti. Bloccare, con il numero chiuso, l’accesso all’università per migliaia di studenti, è una politica sbagliata e priva di prospettiva.
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