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Economia delle aziende non profit
La gestione del personalenelle aziende non profit
• La struttura organizzativa fornisce una lettura “statica dell’organizzazione” e non ci consente di capire come mai organizzazioni simili funzionano in maniera diversa.
• La struttura di base definisce “i dove, il chi fa che cosa, e i quando” ma non il “come”
I meccanismi operativi (organizzativi) sono:
• l’insieme dei processi che fanno funzionare “operativamente” l’organizzazione inducendo adeguati stimoli ai comportamenti delle persone;
• le regole esplicite che spiegano il funzionamento delle singole strutture e ne costituiscono l’elemento dinamico
I meccanismi operativi riguardano i seguenti processi:
• La pianificazione, la programmazione e il controllo dei costi e delle attività
• I sistemi informativi di gestione• Il marketing, la comunicazione e la raccolta
fondi;• La gestione del personale
La gestione del personale
• La gestione del personale è l’insieme delle regole che governano il rapporto con le singole persone e influenzano le loro decisioni di entrare/non entrare, restare/non restare, impegnarsi/non impegnarsi, collaborare/non collaborare all’interno di un contesto organizzativo.
Le fasi che riguardano la gestione del personale sono:• Programmazione• Reclutamento, Selezione, Inserimento• Formazione• Valutazione, Percorsi Di Carriera E Sistema Incentivante• Recesso
• AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE vs GESTIONE DEL PERSONALE
• AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE è l’insieme degli adempimenti burocratici collegati all’instaurarsi del rapporto di lavoro e alle fasi successive cui è tenuta una organizzazione nell’applicazione della normativa sull’impiego pubblico o privato
Il fattore umano
La qualità della gestione delle organizzazioni (delle aziende) dipende in larga misura dalla qualità delle persone che in esse operano.
• La centralità del fattore umano vale in generale, ma vale a maggior ragione nelle anp nelle quali è fondante non la spinta dell’interesse economico (il principio della massimizzazione del profitto) ma la motivazione degli individui a raggiungere il proprio fine istituzionale
Perché la gestione del personaleassume una dimensione strategica?
• PERCHÉ SONO AZIENDE DI SERVIZI
Prodotto intangibile e difficilmente misurabile l’utente/cliente non è solo destinatario finale
ma partecipa alla produzione dello stesso
• il servizio consiste in interazioni sociali
• la qualità del servizio dipende dalla buona qualità dell’interazione sociale, e la sua valutazione si estende a tutto ciò con cui entra in contatto
• il risultato aziendale (azione educativa, assistenza, sociale etc.) è determinato da motivazioni,abilità, competenze/ professionalità, modo nel quale le persone operano (senza dimenticare la qualità del management ad esse funzionali)
• per avere un buon risultato occorrerà monitorarle
• AZIENDE PERSONALITY INTENSIVE
Il coinvolgimento di tutti gli operatori è molto elevato
• La maggior parte dei processi decisionali per essere consensuali diventano molto lunghi o + lunghi di quelli del settore privato for profit che privilegia relazioni verticali e gerarchiche.
• Distinzione tra cultura professionale e manageriale
PERCHÉ SONO AZIENDE DI TIPOPROFESSIONALE
La cultura professionale/ specialisticaconsidera centrale l’autonomiadecisionale della persona che haincorporato, con lo studio e
l’esperienza, conoscenze e competenze specifiche;
• I professionisti ritengono di avere e culturalmente hanno una responsabilità diretta ed autonoma sugli atti che compiono
• dispongono di un sapere riconosciuto socialmente e giuridicamente legittimato dal quale deriva un elevato orgoglio per il proprio lavoro
• spesso considerano il problema delle risorse come un problema di cui non ci si deve occupare, ma che qualcun altro deve risolvere
La cultura manageriale/ dirigenzialeritiene che l’autonomia decisionale e di comportamento delle persone debba essere sottoposta alla verifica dei risultati e al confronto con i risultatiottenuti da altri.E’ orientata a perseguire “l’ottimalità”globale complessiva e l’equilibriogenerale di un organizzazione (e nonsolo “l’ottimo” sulla singola situazione o ambito).Assume come propria responsabilitàcentrale proprio quella di mettere adisposizione di altri le risorsenecessarie per dare soluzione aiproblemi e di creare le condizionifavorevoli per garantire nel tempo lamigliore risposta alle esigenzedell’utenza.
CONSEGUENZE
• Introdurre quelle figure manageriali che sono orientate a mantenere l’equilibrio complessivo d’azienda e la massima integrazione tra tutti i soggetti e a rispondere di costi e risultati complessivi dell’organizzazione rispettando criteri di efficienza ed efficacia.
• Disegnare strutture organizzative appiattite con pochi livelligerarchici, rapporti basati sulla cultura del consenso (infatti se i
professionisti non sono d’accordo con le decisioni prese dal management si fanno sentire con decisione)
• Porre attenzione al “processo”attraverso il quale si arriva alla presa di decisione, piuttosto che disciplinare dipendenze gerarchiche e relazioni funzionali o prevedere analiticamente i meccanismi operativi.
• Nelle ANP che offrono servizi alle persone, e hanno quindi relazioni umane particolarmente intense il personale è maggiormente sottoposto al rischio di sindrome di BURN OUT
BURN OUT
• stato di esaurimento fisico emotivo e mentale caratterizzato da senso di svuotamento, da sentimenti di impotenza e disperazione, da atteggiamenti negativi verso il lavoro, le altre persone la vita.
• legato a lavori in ambiti socio sanitari e assistenziali, con intenso rapporto con persone in stato di sofferenza
• legato a sovraccarico lavorativo, scarsa definizione di ruoli, inadeguato riconoscimento di competenze e prestazioni
Il personale volontario
• Il volontario è colui che presta la propria opera e il proprio servizio, senza un rapporto di dipendenza contrattuale e senza una remunerazione di tipo monetario.
• Il volontario è colui che partecipa ad una organizzazione formale, cioè ad un fenomeno collettivo, attraverso un’azione organizzata
Alcune caratteristiche del personale volontario:
• Forte motivazione che lega il volontario alla mission determinando impegno, costanza, serietà
• Predisposizione del volontario ad occupare un ruolo di rilievo sulla base di alcune competenze peculiari o particolari esperienze
• Esistenza di consuetudini e norme di comportamento informali
Volontariato:
• Umanizzazione dell’attività aziendale
• Efficacia dell’azione svolta
• Vantaggio competitivo
• I volontari sono caratterizzati dalla libertà di scelta (accettazione del compito assegnatogli, flessibilità negli orari, etc.)
• DIFFICOLTA’ DI COORDINARE I VOLONTARI
• LIMITARE L’ELEVATO TURN OVER (determinato dalle relazioni esistenti tra contributi e incentivi)
Contributi dei volontari
• Originalità delle soluzioni adottate• Completa autonomia nell’operare• Elevato entusiasmo • Inaffidabilità nell’impegno
Quali modalità abbiamo per ridurre il turn over dei volontari?
• Prevedere un responsabile, coordinatore del personale volontario
• Rendere chiare e flessibili le programmazioni orarie dell’impegno dei volontari
• Cercare di assegnare compiti specifici e significativi rispetto alle motivazioni individuali
• Sviluppare il legame tra bisogni del volontario e sistema di ricompense (x mantenere elevato il commitment verso l’organizzazione)
• Attraverso una selezione accurata prevedere una corretta valutazione di conformità, tra le aspettative, le motivazioni individuali e ciò che l’organizzazione può realmente offrire
Problema: integrazione tra volontari e dipendenti
• Impegnare i volontari in programmi o progetti di attività specifici e separati dalle altre attività organizzative (il coordinatore ne è responsabile)
• Diffondere la presenza dei volontari in tutta la struttura facendoli partecipare come supporto o membri di gruppi di lavoro (il coordinatore ha il compito di integrazione tra volontari e dipendenti)
• Includere tra i volontari gli ex utenti (elevato grado di commitment) – feed back sulle attività svolte e contributo nei processi di formazione sul campo – rischio di ricaduta da parte dell’ex utente
REALTA’ NON PROFIT
• Il nonprofit attrae sempre ma ha difficoltà a trattenere le persone.
• Risultati dall’Indagine 2006 sulle prassi gestionali e retributive, condotta dall’ Osservatorio Sodalitas-HayGroup sulle Risorse Umane nel Nonprofit su un campione qualificato di 75 organizzazioni.
• Le organizzazioni nonprofit mostrano attenzione al benessere personale dei propri collaboratori.
• oltre il 90% del campione consente di gestire con estrema flessibilità l’orario di lavoro, la pianificazione delle ferie e dei permessi, rendendo così possibile una buona conciliazione tra vita privata e lavorativa.
• Il valore attribuito alla dimensione umana contribuisce a mantenere elevata la forza di attrazione del Terzo settore.
Oltre il 35% delle organizzazioni nonprofit ha inserito in organico nel 2005 collaboratori provenienti da aziende profit.
Si conferma il gap retributivo rispetto alle aziende profit.
• Il divario è rilevante già per i quadri intermedi, e diventa molto elevato per i dirigenti, che percepiscono compensi sensibilmente inferiori rispetto ai colleghi del profit. Tuttavia, i livelli retributivi del nonprofit risultano sostanzialmente allineati a quelli del settore della pubblica amministrazione, che rappresentano un termine di riferimento internazionalmente riconosciuto.
• A offrire le retribuzioni più frugali sono le cooperative sociali. Associazioni e fondazioni, seguite dalle organizzazioni non governative, adottano invece una politica retributiva più generosa.
le retribuzioni sono anche poco differenziate.• solo il 40% delle organizzazioni adotta politiche
retributive differenziate, e solo in un caso su quattro ciò avviene sulla base del merito, della qualità della prestazione o delle competenze acquisite.
• Il criterio di differenziazione in assoluto più utilizzato rimane infatti quello della famiglia professionale di appartenenza.
• Le politiche di retribuzione variabile sono poco diffuse, e in larga parte non basate sulla valutazione dell’apporto individuale.
• Lo strumento di gran lunga più diffuso è l’una tantum, utilizzato dal 40% delle organizzazioni, piuttosto facile da gestire, poiché erogato in maniera discrezionale e non a fronte di piani formalizzati di incentivazione
• solo il 12% del campione – a fronte del 21% rilevato nel 2004 - ricorre a incentivi a breve termine correlati al raggiungimento di obiettivi individuali o di gruppo.
• Gli organici delle organizzazioni nonprofit sono esposti a un turnover medio annuo del 29% in entrata e del 17% in uscita. Mediamente, il turnover riscontrato è superiore del 21% rispetto al mondo profit.
• I costi a carico delle organizzazioni sono enormi: dispersione di competenzechiave;
impossibilità di consolidare una cultura organizzativa condivisa. Riportare il turnover a livelli fisiologici significa rimuovere un ostacolo importante allo sviluppo delle organizzazioni nonprofit”.
Origini, sviluppo e ciclo di vitadi ANP
• I fase – lenta start up – intuito, entusiasmo, grossacondivisione della mission, volontarismo entusiastico
• II fase crescita, differenziazione, aumento concorrenza esterna
• o rischio crisi, burn out,demotivazione, uscita dal mercato• o decollo - espansione, strutturazione,
• III fase –maturità – consolidamento, totale condivisione di ciò che si è appreso dal punto di vista org.vo, della struttura organizzativa, introduzione del management
La gestione delle risorse umane nellediverse fasi del ciclo di vita delle ANP
• Nella fase di costituzione l’aggregazione di forze non avviene secondo le logiche della “produzione”, ma in base all’aderenza ai medesimi valori e per questo si riscontrano resistenze all’organizzarsi meglio.
• Si osserva spesso che ad alti livelli di impegno individuale o di aderenza valoriale si accompagna una certa resistenza a riconoscere le priorità dell’azienda nel suo complesso, rispetto alle propria necessità individuali.
• Le necessità “organizzative” vengono considerate con minore grado di priorità, e le persone si preoccupano di gestire la quotidianità più che di gestire l’organizzazione per garantirne la continuità.
Ciclo di vita di una ANP
Fattori di disfunzionalitàgestionale
• Struttura debole
• Scarsa capacità di lettura del mercato
• Dipendenza finanzia da Enti pubblici
• Carenza di cultura manageriale
• Insufficiente formalizzazione organizzativa
• Svolgimento di attività marginali a basso valore aggiunto
Fattori difunzionalità gestionale
• Forte carica motivazionale del personale• Piccola dimensione e radicamento territoriale• Apporto specifico e difficilmente sostituibile
nel comparto operativo di riferimento• Crescita dei mercati della qualità sociale• Coinvolgimento dell’utente nella gestione dei
servizi• Attenzione al coinvolgimento degli
interlocutori sociali• Valorizzazione dei contributi individuali
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