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Facoltà Cattedra
Economia e Direzione delle Imprese Diritto Tributario
ENTI NON COMMERCIALI E ONLUS
NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
Relatore
Ch.mo Prof. Fabio MARCHETTI
Candidato
Emanuela MARITATO
Matr. 621691
Correlatore
Ch.mo Prof. Rolando VALIANI
Anno Accademico 2009 – 2010
3
Indice
pag.
Introduzione……………………………………………………………. 6
Capitolo 1. Gli enti non commerciali…………………………………. 8
1.1 Cenni storici………………………………………………………… 8
1.2 Le diverse categorie degli Enti Non Profit……………………… 13
1.2.1 Le Associazioni…………………………………………… 15
1.2.1.1 Assemblea ed amministratori………………… 17
1.2.2 Le Fondazioni……………………………………………. 23
1.2.2.2 Fondazioni di origine bancaria……………… 24
1.2.2.3 Fondazioni di partecipazione……………….. 25
1.2.3 I Comitati…………………………………………………………. 26
1.2.4 APS: Associazioni di Promozione Sociale……………………. 27
Capitolo 2. Qualificazione delle Onlus………………………………… 31
2.1 Costituzione e Statuto………………………………………………. 31
2.2 L’Anagrafe unica delle Onlus……………………………………… 42
2.2.1 Effetti dell’iscrizione……………………………………… 45
2.2.2 Cancellazione dell’Anagrafe delle Onlus……………… 51
2.3 L’ agenzia per le Onlus…………………………………………….. 53
Capitolo 3. La gestione degli Enti Non Profit………………………….. 56
3.1 Gli aspetti gestionali tipici dell’azienda non profit……………... 56
4
pag.
3.2 Il sistema di Budgeting e di Reporting……………………………. 59
3.2.1 I Sistemi di reporting: Principi e criteri di funzionamento 60
3.2.2 Finalità del Reporting……………………………………….. 62
3.2.3 Tipologia dei Report…………………………………………. 62
3.2.4 Nuove forme di finanziamento……………………………… 64
3.3 L’organizzazione di una Onlus……………………………………. 66
Capitolo 4. Le Fonti di Finanziamento…………………………………. 71
4.1 La gestione dei compensi…………………………………………… 71
4.2 Il Fund Raising………………………………………………………. 74
4.2.1 Il ciclo del Fund Raising…………………………………. 76
4.2.2 Il futuro del Fund Raising……………………………….. 82
4.3 Il Fund Raiser……………………………………………………….. 93
4.4 Le Donazioni………………………………………………………… 96
4.5 Titoli di solidarietà…………………………………………………… 99
4.6 Gli intermediari finanziari………………………………………… 100
Capitolo 5. Contabilità e Bilancio……………………………………… 103
5.1 Gli obblighi fiscali…………………………………………………. 103
5.1.1 Adempimenti inerenti le raccolte pubbliche di fondi… 112
5.2 I documenti e i destinatari del Bilancio……………………….. 113
5.2.1 Lo Stato Patrimoniale………………………………… 113
5.2.2 Il Rendiconto di gestione……………………………... 113
Capitolo 6. Gli Obblighi Fiscali degli Enti Non Profit……………….. 116
6.1 Le Imposte Dirette………………………………………………….. 116
6.1.1 Determinazione del Reddito complessivo imponibile 122
5
pag.
6.1.2 Dichiarazione dei Redditi………………………………… 125
6.2 Le Imposte Indirette…………………………………………………. 130
6.2.1 L’Iva ………………………………………………………… 130
6.3 L’Irap…………………………………………………………………. 136
6.4 Agevolazioni fiscali per gli enti Non Profit di tipo associativo 137
6.5 Le erogazioni liberali a beneficio degli Enti Non Profit………. 140
6.6 Le Sanzioni…………………………………………………………… 141
Bibliografia……………………………………………………………… 143
6
Introduzione
Con il Decreto Legislativo 460 del 1997 (riordino della disciplina tributaria
degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità
sociale in attuazione della legge Delega 662 del 1996) si tenta un primo passo
verso una razionalizzazione del settore non Profit in Italia.
Una riforma di questo tipo era auspicabile, visto che il codice civile, nel libro
primo titolo II, non prevedeva nessuna definizione degli enti non lucrativi
limitandosi a disciplinare i presupposti per il riconoscimento della personalità
giuridica di diritto privato e a dettare alcune regole basilari per la formazione
di atti costitutivi, di statuti e per l’amministrazione delle personalità giuridiche
medesime.
Il decreto ha ridefinito il sistema degli enti non commerciali, soprattutto per
quanto riguarda il loro trattamento fiscale ed ha introdotto le organizzazioni
non lucrative di utilità sociale come soggetto giuridico tipico per tutti gli enti
non lucrative che abbino fini di utilità sociale.
Nell’analizzare il quadro normativo che definisce il settore del non profit si
cercherà di raccordare la disciplina del codice civile con quella fiscale e di
mettere in evidenza i punti che spingono verso una riforma complessiva del
settore e le sue direttrici principali.
Dall’istituzione del codice civile ad oggi c’è stato uno scarso adeguamento
delle norme in esame con le reali esigenze del settore. Il D. Lgs. 460/97 viene
incontro a questa esigenza di qualificazione degli enti non commerciali, quindi
ai soggetti che già operano nel terzo settore; lo stesso Decreto tende a
stimolare la nascita di nuove realtà sociali come l’introduzione delle onlus,
che costituisce la vera novità, in quanto identifica, seppur a fini fiscali, quella
7
parte degli enti non commerciali che svolgono attività socialmente utili
distinguendoli da quelli che sono riconosciuti profit.
Il presente lavoro vuole affrontare il tema degli enti non profit, in particolar
modo la figura delle Onlus, con un taglio aziendale, partendo dalla
considerazione che tali soggetti, pur essendo caratterizzati dall’assenza di
lucro sono condizionati dal problema economico di dover gestire al meglio le
scarse risorse, finanziarie e umane, a disposizione reperite in vari modi come
nel caso del fund raising, per raggiungere gli obiettivi che hanno il fine di
solidarietà sociale. I soggetti (Onlus), nonostante abbiano diritto ad una serie
di agevolazioni fiscali sono chiamati a rispettare veri e propri obblighi come
qualsiasi altra fattispecie disciplinata dal nostro codice civile, quali: la tenuta
della contabilità, la redazione del bilancio, le imposte, l’iscrizione all’anagrafe
unica ed una corretta condotta amministrativa.
L’obiettivo di tale lavoro è quello disegnare un quadro specifico della figura
delle Onlus e, in generale, di commentare la figura degli altri enti non profit.
Tutto ciò scaturisce dalla naturale conseguenza di considerarle imprese a tutti
gli effetti pur operando e rispettando la condizione di economicità. Si deve
aggiungere il notevole sviluppo e rilevanza conseguiti nel corso degli ultimi
anni nella nostra società tale da dover istituire un organo di controllo
esclusivamente per la tutela delle Onlus, quale l’Agenzia per le Onlus.
8
Capitolo 1
Gli Enti non commerciali
1.1.Cenni storici
Già nel Medioevo1, si registrava la presenza di numerose opere e
congregazioni di carità, sia religiose che laiche, e di associazioni e fondazioni.
Le loro risorse umane e i loro patrimoni immobiliari erano chiaramente
vincolati al perseguimento di uno scopo pio ovvero di beneficenza a favore
della collettività. Le istituzioni non lucrative che si svilupparono nell’era
medievale erano fortemente caratterizzate dalla coscienza, rinvenibile sia nelle
esperienze legate alla Chiesa cattolica, sia in molte realtà laiche, di servire il
bene comune e la comunità locale. Ciò comportava l’adesione di molte
persone che attraverso donazioni, conferimenti ed elargizioni, partecipavano
alla missione delle opere di carità.
L’affermarsi, in seguito, delle dottrine illuministiche e giusnaturalistiche, che
postulavano l’autonomia dell’individuo da qualsiasi entità, contribuì ad
ingenerare sospetti nei confronti di congregazioni religiose e ordini religiosi.
In Europa, tale ostilità si tradusse, in disposizioni contro l’accumulo di
patrimoni.
Dopo l’Unificazione di Italia, il Parlamento promulgò la legge 3-8-1862
numero 753 sulle Opere Pie, che riconosceva il naturale vincolo che legava le
organizzazioni volontarie con scopi caritatevoli alla Chiesa ed alle sue
istituzioni, permettendo loro di erogare servizi sociali quali l’educazione,
l’assistenza ai poveri e l’avviamento alla professione. Le Opere Pie erano
1 Evoluzione storico-normativa, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili amministrativi e fiscali, Edizione Cedam, Padova, 2007, pp. 5-11.
9
comunque, sottratte all’ingerenza governativa. Verso la fine del XIX secolo, si
afferma poi una concezione dell’attività assistenziale come “funzione” dello
Stato e si apre il conflitto tra lo Stato Unitario e la Chiesa cattolica. Nella
classe politica dell’Italia post-unitaria, in seguito alla progressiva affermazione
di una visione autoritaria e statalista delle istituzioni pubbliche che si andava
diffondendo, si giunse all’approvazione della L. 17-7-1890 numero 6972, nota
come Legge Crispi. Essa sottometteva al controllo statale le Opere Pie, che
fornivano servizi di tipo assistenziale, sanitario e educativo trasformandole in
Ipab, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, quali organismi di
natura giuridica.
Tale legge sancì il passaggio delle Opere Pie da organizzazioni private in
istituzioni pubbliche. In tale trasformazione la vigilanza sulle Opere Pie venne
affidata ai Prefetti.
Dopo la legge IPAB del 1890, il testo normativo che si occupò di enti non
profit fu il Codice Civile del 1942. Il Codice, utilizzando principi già in parte
introdotti nel sistema giuridico dell’Ottocento (con riguardo agli enti di
iniziativa privata che perseguono finalità pubbliche), stabilì i seguenti criteri:
1. autorizzazione concessoria della personalità giuridica, che, sebbene
mitigata dalle disposizioni del d.p.r. n. 361/00, rimane vigente;
2. assoggettamento a controllo pubblico della maggioranza degli atti di
autonomia e gestione degli enti riconosciuti, in specie delle fondazioni;
3. soggezione delle società commerciali ad un proprio regime, diverso da
quello previsto per associazioni e fondazioni.
Oggi, il terzo settore rappresenta una dimensione dell’economia che si
s’impone come tendenza strutturale nella società avanzata. Esso dà forma ad
un radicale mutamento alla stessa società e si pone oltre la tradizionale
dicotomia tra pubblico e privato, anzi supera la coincidenza tra cosa pubblica e
Stato.
Il terzo settore agisce attraverso sue istituzioni (associazioni, fondazioni,
organizzazioni di volontariato), producendo beni relazionali collettivi, d’utilità
10
sociale ed agisce in base alla logica della solidarietà. Il modello più importante
d’organizzazione di un settore non profit è considerato quello nordamericano.
Esso è utilizzato dai Paesi europei come schema di riferimento per la
costruzione del terzo settore. L’espansione del terzo settore negli Usa è da
ricercare in motivazioni storiche-culturali affiancate da una realtà in cui il
settore pubblico riduce al minimo la sua sfera d’intervento in campo sociale,
tanto che si parla di “Stato minimale”. Inoltre, si deve considerare
l’organizzazione del settore fiscale, poiché le non profit organizations non
sono sottoposte ad alcuna tassa.
Il sistema ha iniziato a mutare quando ha avuto inizio il processo di
decentramento regionale nel 1977, e nel 1988 la Corte ha dichiarato
incostituzionale l’art. 1 della Legge Crispi che, di fatto, proibiva la prestazione
di servizi assistenziali da parte di soggetti privati. Ecco che a partire dagli anni
’80, le organizzazioni non profit hanno trovato un’importante e crescente
collocazione nella crisi del modello di gestione del Welfare State.
L’insostenibilità del Welfare è una questione molto complessa ma gli aspetti
più rilevanti non possono essere tralasciati, come la crescita dei costi alla
quale si ricollegano i limitati incrementi di produttività, l’inefficienza
provocata sia dall’assenza di competizione sia dai problemi nel controllare i
comportamenti opportunistici e la crescita delle retribuzioni degli addetti. Si
devono poi considerare anche le crescenti insoddisfazioni per la qualità dei
servizi pubblici offerti, per la limitata differenziazione dell’offerta stessa e per
la scarsa tutela garantita alle classi sociali più deboli. Le vie seguite per
affrontare tale crisi sono state diverse: ad esempio, si è ricorso ad un
decentramento delle responsabilità, in materia di servizi, dallo Stato alle
amministrazioni locali, oppure per recuperare l’efficienza, sono state
introdotte nelle unità d’offerta pubbliche forme e tecniche di gestione ispirate
a logiche privatistiche. Nonostante ciò, scaturisce la necessità di sostegno
culturale e giuridico da parte del non profit con finalità del tutto sociali. In
particolare nel nostro paese tende sempre più ad affermarsi una partnership
11
operativa fra stato ed organizzazioni non profit. Le ragioni che spingono in
questa direzione sono molteplici le più rilevanti sono:
� Il settore non profit offre servizi che meglio si adattano alle diverse
scelte del consumatore;
� Favorisce l’introduzione di meccanismi di competizione tra fornitori
(pubblici e privati), così da favorire un miglioramento dell’efficienza e
dell’efficacia;
� Si realizzano prodotti servizi “specializzati” più economici rispetto al
settore pubblico;
� La maggiore economicità deriva dall’uso del lavoro volontario, dai
minori vincoli nella gestione della manodopera e da una maggiore
motivazione dei lavoratori;
La tendenza “ad associarsi per risolvere i problemi” è stata recentemente
riscoperta e rivalutata in Italia, quindi l’ispirazione al modello americano è
apparsa come la soluzione più conveniente le cui caratteristiche salienti sono
da attribuire al maggiore interesse che suscita nei destinatari, alla capacità di
attrarre donazioni, alla facilità di attirare volontari, ne deriva un’equazione
come sintesi di tale posizione: più spazio alle organizzazioni non profit
nell’area dei servizi collettivi uguale alla minor spesa pubblica e un miglior
servizio per i cittadini.
Si delinea un nuovo rapporto tra Stato ed enti privati, rispetto al sistema
prefigurato nel codice civile del 1942: in altre parole tali enti non sono più
visti come fenomeni da proibire ma organismi da proteggere e sostenere. Ciò
spiega il favor del legislatore per tali enti che a partire dai primi anni ‘ 90, si
manifesta dapprima con finanziamenti a fondo perduto, poi con sovvenzioni
finalizzate e agevolazioni ed esenzioni, nonché numerosi provvedimenti
legislativi, rilevanti sia dal punto di vista fiscale che dal punto di vista
civilistico. Trattasi di normative di settore, volte a regolare specifiche figure
organizzative o aspetti della loro attività, in relazione alla meritevolezza del
fine perseguito e alla sussistenza di specifici requisiti in capo all’ente stesso.
12
E’ in questo contesto che si inserisce il D.Lgs. 460 del 1997, il quale ha
definito e disciplinato la figura delle onlus, organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, sulla base del testo elaborato dalla commissione Zamagni ed
intitolato “Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e
delle organizzazioni non lucrative e di utilità sociali”. Pertanto, le onlus sono
considerate come organizzazioni che svolgono unicamente attività di utilità
sociale, pubblic benefit, che non possono distribuire utili e avanzi di gestione,
ma che devono reimpiegarli nella struttura stessa.
Sin dall’inizio della loro storia, le onlus, sono state concepite in vario modo
come ad esempio: sotto-tipo di ente non lucrativo oppure come una piramide
dove esse costituiscono un sottoinsieme dell’ente non commerciale dove
l’iniziativa economica che ad essa fa capo si connota come un’impresa non
esclusiva o principale rispetto al perseguimento dello scopo-fine.
Altro parere è quello del Ministero delle Finanze che ha stabilito che le onlus
costituiscono un’autonoma e distinta categoria di enti, destinataria di un
regime tributario di favore in materia di imposte sui redditi.
Inizialmente erano soggetti che ottenevano risorse grazie a donazioni, rendite
e sovvenzioni che venivano ad essere ridistribuite sottoforma di prestazioni o
servizi; ora stanno passando dalle primitive forme organizzative ad aziende
che programmano la produzione di beni e servizi e si attivano per acquisire,
attraverso normali forme di scambio, le risorse necessarie a realizzare
l’attività, cercando di conseguire un surplus economico necessario a garantirne
la sopravvivenza e lo sviluppo nel medio e lungo termine.
Le onlus non sono quindi nuovi soggetti che si aggiungono a quelli già noti,
ma sono un “contenitore” fiscale a cui possono aderire i vari e diversi soggetti
giuridici operanti nel campo della cultura, dello sport, della solidarietà sociale,
adeguando il proprio statuto secondo regole fissate dalla legge. E’ stato
introdotto nel T.U.I.R. un nuovo articolo (150) il quale stabilisce per le onlus,
ad eccezione delle società cooperative, che non costituiscono esercizio di
attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel
13
perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale.
Come noteremo più avanti, la disciplina sulle onlus sarà povera ma non per
questo non avranno precisi obblighi da rispettare, inoltre sono oggetto di
particolare interesse per la nostra società, visto la notevole crescita realizzata
nell’ultimo decennio.
1.2 Le Diverse categorie di Enti Non Profit
Le diverse categorie di Enti appartenenti al cosiddetto “Terzo Settore”
comprendono una molteplicità di figure giuridiche, tra cui:
� Associazioni;
� Fondazioni;
� Comitati
� Organizzazioni di Volontariato;
� Aps: Associazioni di promozione sociale.
A riguardo, l’art.18 Cost. disciplina il diritto di associarsi liberamente2, senza
autorizzazione, per fini che non siano vietati dalla legge penale, nonché quello
di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma
individuale o associata. Sono peraltro proibite le associazioni segrete e quelle
che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni
di carattere militare.
Sostanzialmente da una pluralità di soggetti che intende perseguire obiettivi
ben definiti, nasce l’esigenza di strutturarsi in un’organizzazione associativa,
partendo dal fatto che le stesse finalità perseguite dal singolo potrebbero
presentarsi meno efficienti.
Si parla di Fondazione nel caso in cui dette finalità si volessero perseguire con 2 Gli Enti e il codice civile, in F. Colombo P. Sciumè D.Zazzeron, Onlus. Enti non commerciali e organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Regime fiscale, contabilità e bilancio. Formulario,Edizioni il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp. 5-7.
14
il vincolo di destinazione di un patrimonio ad uno scopo, di regola non
modificabile, salvo in alcuni casi espressamente previsti dall’art. 28 del codice
civile, per lo stesso motivo è possibile che una pluralità di soggetti si uniscano
allo scopo di raccogliere fondi destinati a finalità predefinite e per tale ragione
vincolati al raggiungimento di quel dato obiettivo, si parlerebbe in tal caso di
Comitato.
Uno scopo non lucrativo si potrà, invece, perseguire da un’Associazione, che
sia riconosciuta o meno, ovvero come per le fondazioni e i comitati,
utilizzando lo schema basato della destinazione di un patrimonio allo scopo.
Da ciò si deduce come nel nostro ordinamento viga il principio della tipicità,
poiché i privati non possono dar vita ad uno schema giuridico-organizzativo
per il raggiungimento di uno scopo, piuttosto dovranno optare per uno di
quelli normativamente esistenti.
Dopo aver dato vita all’Ente, i soggetti possono liberamente darsi strutture
interne (statuti e regolamenti) che ritengono più adeguate alle finalità preposte.
Una precisazione è subito necessaria e riguarda la distinzione tra ente
riconosciuto e non. Gli enti riconosciuti sono autonomi soggetti di diritto,
hanno una capacità giuridica e una capacità di agire propria, autonoma e
distinta rispetto a quella dei soggetti che li hanno posti in essere. Si distingue
pertanto un elemento che differenzia gli enti riconosciuti da quelli che non
sono in possesso di tale riconoscimento è quello dell’autonomia: degli
associati, dei fondatori e dei promotori rispetto al patrimonio amministrato, in
effetti l’autonomia patrimoniale è un requisito degli enti in possesso di
personalità giuridica, in tal caso eventuali creditori non potranno rifarsi
attaccando il patrimonio personale degli amministratori, associati, fondatori o
promotori.
Diversamente avviene nel caso in cui l’ente sia sprovvisto del requisito del
riconoscimento giuridico, non si ha quell’assoluta indifferenza dei patrimoni
ed i creditori, ai sensi dell’art. 38 del codice civile possono rivalersi nei
confronti di chi abbia agito in nome e per conto dell’ente medesimo.
15
La natura di ente non commerciale riconosciuto3 o meno richiama in quanto
tali differenti regimi fiscali, soprattutto di tipo agevolativi ed altri requisiti che
configurano finalità ed ambiti applicativi anche molto differenti tra loro.
1.2.1 Le Associazioni
L’associazione è caratterizzata da “un insieme di soggetti che si raggruppano e
si attivano per il perseguimento di uno scopo comune, decidendo di darsi delle
regole che ogni associato dovrà, pena l’esclusione dal sodalizio, rispettare4”.
Si tratta pertanto di un contratto plurilaterale a struttura aperta, ex art. 1332
c.c., e di organizzazione al quale, successivamente alla stipula, possono
aderire senza alterare il contenuto del negozio, altre persone.
L’origine contrattuale dell’associazione è ben espressa dalla giurisprudenza:
“ L’atto costitutivo e lo statuto di una persona giuridica hanno natura
contrattuale e sono sottoposti alle norme generali sui contratti, salve le
deroghe imposte dai particolari caratteri del contratto di associazione (o
dell’atto di fondazione), con la conseguenza che essi vanno interpretati
secondo le regole dell’articolo 1362 ss.c.c.”
(Cass. 13.01.76, n.89).
Le associazioni, alla stregua delle altre organizzazioni non profit, sono libere
iniziative private, amministrate da privati, indipendenti dal governo ovvero dai
poteri pubblici e perseguono uno scopo socialmente rilevante e ritenuto
meritorio dal legislatore5. L’associazione necessita, dunque, per poter
3 Gli specifici regimi fiscali collegati alla qualifica di ente non commerciale, Studio n.80-2009/T, in Studi Tributari. 4 Gli enti di fatto: l’associazione, in F. Colombo P. Sciumè, D. Zazzeron, Onlus. Enti non commerciali e…, Edizione il Sole 24 Ore, Milano, 2001, cit. p. 5. 5 Le associazioni, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili, amministrativi e fiscali, Edizione Cedam, Padova, 2007, p.12.
16
perseguire il proprio scopo, di un fondo comune ovvero di un capitale in
dotazione che consenta all’organizzazione di portare avanti l’attività prescelta.
Una distinzione che occorre fare è tra associazioni “di fatto” e associazioni
“riconosciute”; le seconde disciplinate dagli articoli 13 e ss. c.c. differiscono
dalle prime (articoli 36, 37, 38 del codice civile) perché difettano del solo
requisito del riconoscimento. L’associazione di fatto, essendo sprovvista del
riconoscimento giuridico, nel corso della sua vita non è soggetta a controllo
amministrativo, sempre che questa rispetti le norme dettate dalla legge
(articolo 18 cod. civile). Nell’atto costitutivo dell’associazione sono chiariti
determinati provvedimenti da rispettare, come ad esempio regole precise in
caso di scioglimento del sodalizio e conseguente devoluzione del patrimonio.
Approfondendo l’aspetto delle associazioni non riconosciute si esamina
l’articolo 14 del codice civile che sancisce l’obbligatorietà dell’atto pubblico.
Questa categoria di associazioni possono essere processualmente rappresentate
da chi le presiede o le dirige; le quote sociali e i beni acquistati dall’ente
costituiscono il fondo comune dell’associazione che ai sensi dell’articolo 37
codice civile non è divisibile, né ripetibile proquota in caso di recesso fino a
quando l’istituzione permane in vita. A tal punto, concludendo l’esame delle
disposizioni codicistice, l’articolo 38 c.c. evidenzia come l’autonomia
patrimoniale imperfetta, consente ai creditori dell’ente non riconosciuto di far
valere i propri diritti sul fondo comune personalmente ed in solido, sul
patrimonio personale di coloro che abbiano agito per conto del sodalizio.
Per la validità dell’ente, è opportuno ricorrere all’iscrizione nel registro delle
persone giuridiche.
Infatti, il primo comma dell’art. 1 del decreto 361/2000 afferma: “… le
associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano
personalità giuridica mediante il riconoscimento dall’iscrizione del registro…”
Nel registro verranno indicati:
� La data dell’atto costitutivo;
� La denominazione dell’ente;
17
� Lo scopo;
� Il patrimonio;
� La durata;
� La sede della persona giuridica;
� Il cognome, il nome e il codice fiscale degli amministratori.
Verranno inoltre iscritte le modificazioni dell’atto costitutivo e dello
statuto, in caso di trasferimento della sede e istituzioni di sedi secondarie
ecc.
Esaminando invece, il caso delle associazioni riconosciute: l’atto
costitutivo deve contenere tutte le indicazioni ai sensi dell’articolo 16 c.c. e
dunque: “nome del sodalizio, patrimonio, scopo sociale, organi di
amministrazione…” seguito da un atto notarile. Lo statuto è il mezzo che
invece consente all’ente di svolgere la propria attività, pertanto verrà
allegato come di consueto all’atto costitutivo. Particolarità
dell’associazione è che questa si dà regole proprie, come meglio ritiene
opportuno per poter svolgere correttamente la propria attività. Il codice
civile detta per le associazioni precise disposizioni in materia di
convocazioni e deliberazioni assembleari, ai sensi degli articoli 20 e ss. del
codice civile.
1.2.1.1 Assemblea ed amministratori
Nelle associazioni le decisioni fondamentali della vita del sodalizio, come
delle modifiche statuarie proposte dal presidente o dall’organo direttivo e
tanti altri compiti, competono senz’altro all’Assemblea che è l’organo
prevalente. Per consentire una più snella amministrazione, viene costituito
un organo di amministrazione più agile e ristretto, al quale è demandata
l’amministrazione ordinaria e straordinaria del sodalizio. Dunque nelle
associazioni, si distinguono due soli organi necessari: l’assemblea degli
18
associati (c.c. articoli 20-23) e gli amministratori o consiglio direttivo (c.c.
articoli 18-19)6. Ad essi, possono aggiungersi altri organi facoltativi,
solitamente preposti al controllo esecutivo (collegio dei revisori dei conti),
con poteri simili al collegio dei sindaci delle società commerciali, oppure
organi che svolgono una funzione di composizione stragiudiziale del
contenzioso interno all’associazione (commissioni interne, camere
arbitrali, e così via). L’assemblea degli associati è l’organo sovrano
dell’associazione, si tratta di un organo collegiale con funzione deliberante
composto dalla totalità degli associati e chiamato a decidere secondo il
principio maggioritario. Tra le competenze che la legge attribuisce
all’organo assemblare delle associazioni ricordiamo:
� Approvazione del bilancio annuale;
� L’espletamento delle azioni di responsabilità contro gli
amministratori;
� Le modificazioni dell’atto costitutivo e/o dello statuto;
� L’esclusione degli associati per gravi motivi;
� Lo scioglimento dell’associazione e la devoluzione del patrimonio;
� La nomina dei liquidatori.
Altri poteri da sottoporre all’assemblea possono essere indicati nell’atto
costitutivo o nello statuto, come per esempio la nomina, la revoca degli
amministratori e la trasformazione dell’ente. L’assemblea è dunque
l’organo formato dall’intera collettività degli associati e,
conseguentemente, tutti gli associati hanno il diritto di parteciparvi.
Le persone che intendono fare parte dell’associazione dovranno presentare
una specifica domanda di ammissione al consiglio direttivo
dell’organizzazione che può deliberare in merito. I requisiti previsti dallo
statuto circa l’ammissione si dividono in legali e statuari.
6 L’assemblea degli associati: funzioni, composizione, ammissione recesso ed esclusione, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili…, Edizione Cedam, Padova, 2007, pp. 22 ss.
19
Rientrano fra i requisiti legali la maggiore età e l’assenza di interdizione,
mentre sono requisiti statuari quelli che riguardano la quota associativa da
versare e quelli che impongono all’associato di non svolgere un’attività in
contrasto con le finalità dell’associazione medesima.
Accanto ai requisiti richiesti per aderire all’associazione, lo statuto
stabilisce anche le condizioni di recesso ed esclusione degli associati. Si
verifica il recesso quando l’associato, in ogni momento per sua volontà,
decidere di interrompere il rapporto individuale con l’associazione. Gli
statuti prevedono che il recesso abbia effetto con lo scadere dell’anno in
corso, purchè sia comunicato almeno tre mesi prima, qualora invece,
l’associato dovesse compiere un atto per il quale lo statuto prevede il
recesso entro sei mesi dall’associazione.
L’associato può essere escluso dall’associazione soltanto quando ricorrano
“gravi motivi”. La legge non specifica cosa s’intenda per “gravi motivi”,
che la giurisprudenza identifica invece in comportamenti dolosi o colposi.
L’associato può fare ricorso all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal
giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione di esclusione adottata
dall’assemblea ovvero da altro organo sociale.
Sia che si tratti di recesso o di esclusione, il codice civile stabilisce che:
“gli associati che abbiano cessato di appartenere all’associazione non
possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul
patrimonio dell’associazione”.
(c.c. art. 24, 4°comma).
L’assemblea viene convocata dagli amministratori almeno una volta
all’anno per l’approvazione del bilancio, oppure se ne ravvisa la necessità.
Tuttavia, lo statuto può prevedere che la convocazione spetti anziché agli
amministratori, al presidente o al segretario o ad altri.
Le modalità di convocazione dell’assemblea sono di regola contenute
nell’atto costitutivo o nello statuto. Si tratta di convocazioni fatte mediante
avviso personale, inviato per posta ordinaria, via fax o per posta
20
elettronica, in cui è riportato l’ordine del giorno dell’adunanza e allegata la
delega per il voto. Diversamente, la convocazione viene fatta mediante
l’affissione dell’ordine del giorno dell’assemblea presso la sede sociale
dell’associazione. La convocazione può avvenire in due volte, in cui per la
prima volta è richiesta almeno la metà degli associati (art. 21 c.c.), mentre
la seconda “qualunque sia il numero degli intervenuti” (art. 21 c.c., 1° co.).
Le decisioni vengono poi adottate a maggioranza degli associati che
prendono parte all’adunanza. L’atto costitutivo può, comunque, prevedere
quorum diversi da quelli legali. Ciascun associato ha diritto ad esprimere
un solo voto indipendentemente dal proprio contributo finanziario. Le
deliberazioni vengono prese secondo il principio maggioritario. I singoli
voti contribuiscono alla formazione di una deliberazione unitaria.
Analizzando aspetti relativi agli amministratori nelle associazioni7, le
competenze affidate a quest’ultimi sono di tipo esecutivo: a loro è
effettivamente affidata l’ordinaria e straordinaria amministrazione. Essi
sono, in particolare, chiamati a realizzare tutto quanto risulti necessario per
il raggiungimento delle finalità dell’associazione, nei limiti dell’oggetto
sociale indicato nello statuto. Comunemente, in ragione dello speciale
vincolo associativo, gli amministratori sono eletti tra gli associati dell’ente,
anche se nell’organo amministrativo possono essere designate anche
persone estranee al sodalizio. Per quanto concerne il rapporto tra
associazione ed amministratori, la responsabilità di quest’ultimi nei
confronti della prima, è disciplinata con rinvio alle norme sul mandato ai
sensi dell’articolo 1710 del codice civile. Essi sono responsabili nei
confronti dell’associazione se la loro attività amministrativa ha procurato
danni all’ente. Sono inoltre responsabili nei confronti dei creditori
dell’ente, ai quali spetta un’azione del tutto autonoma rispetto all’azione
sociale di responsabilità dell’associazione, pertanto è loro dovere
7 L’organo direttivo, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili…, Edizione Cedam, Padova, 2007, pp. 37 ss.
21
conservare l’integrità dell’intero patrimonio mantenendo una certa
diligenza con la quale gestiscono l’associazione medesima. Inoltre, per il
fatto che gli amministratori sono considerati organi esponenziali
dell’associazione, sono ritenuti responsabili per atto illecito anche nei
confronti dei terzi.
L’azione di responsabilità verso gli amministratori è deliberata
dall’assemblea ed esercitata dai nuovi amministratori o dai liquidatori (art.
22 c.c.). l’associazione dovrà provare in giudizio l’inadempimento degli
amministratori di un obbligo di legge o dello statuto ed il danno che ne è
conseguenza immediata e diretta. Spetterà, invece, agli amministratori
provare i fatti e le circostanze che possano escludere la loro responsabilità
nei confronti dell’ente. Durante la vita dell’associazione, gli amministratori
possono cessare dalla loro carica e risulta pertanto necessario nominare
altri soggetti oppure riconfermare gli stessi o alcuni di essi. Gli
amministratori decadono dalle loro funzioni al termine del periodo indicato
nello statuto. La revoca è invece una competenza inderogabile
dell’assemblea che può essere esercitata in ogni momento e per qualsiasi
ragione.
Dal punto di vista amministrativo, la differenza che più si rileva tra
un’associazione e una fondazione riconosciuta è ciò che riguarda la
vigilanza ed il controllo: i poteri dell’autorità amministrativa che vigila
sull’ente sono meno rigorosi e pressanti nelle associazioni rispetto alle
fondazioni.
Un’ ulteriore argomentazione necessaria riguarda le associazioni definite
da leggi speciali, queste sono: organizzazioni non governative ed enti
ecclesiastici8.
Rivolgendo un breve sguardo alle ONG, dalla legge n° 49 del 26 febbraio
1987, all’articolo 28 emerge che nel campo della cooperazione con i paesi
8 Associazioni definite da leggi speciali, in F. Colombo, P. Sciumè, D. Zazzeron, Onlus. Enti non commerciali…, Edizione il Sole 24 Ore, 2001, pp. 13 ss.
22
in via di sviluppo queste possano ottenere il c.d. “riconoscimento di
idoneità” con decreto del Ministro degli affari esteri, sentito il parere della
commissione per le organizzazioni non governative. Il presupposto è
l’attuazione di progetti determinati:
� realizzare programmi a breve e medio periodo nei Paesi in via di
sviluppo;
� selezionare e formare volontari in servizio civile;
� svolgere attività di formazione per i cittadini dei Paesi in via di
sviluppo.
Le organizzazioni idonee anche ad una delle suddette attività potranno
chiedere l’idoneità per attività di informazione e di educazione allo
sviluppo. Tale idoneità consiste precisamente nella concessione di
contributi per lo svolgimento di attività di cooperazione da loro promosse e
il conferimento dell’incarico di realizzare specifici programmi di
cooperazione, i cui oneri verranno finanziati dalla competente Direzione
generale del Ministero degli affari esteri sunnominata. Inoltre le ONG
provviste di idoneità, godono degli stessi benefici fiscali riservati alle
persone giuridiche riconosciute.
Spostando invece l’attenzione sugli Enti Ecclesiastici, l’articolo 7 del
nuovo Concordato ha apportato profonde modifiche sostituendosi alla
normativa degli articoli 23-32 del Concordato del 1929 ed alla relativa
legislazione di attuazione.
Lo Stato afferma che “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di
culto di un’associazione o istituzione non possono essere causa di speciali
limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione,
capacità giuridica e ogni forma di attività”. Inoltre, sempre lo Stato
riconosce agli enti ecclesiastici aventi sedi in Italia personalità giuridica,
allo stesso modo si procede per il riconoscimento agli effetti civili di ogni
mutamento sostanziale degli enti medesimi. Presupposto per l’ottenimento
della qualifica di ente ecclesiastico è un provvedimento canonico, dal quale
23
lo Stato non può prescindere, pertanto vengono riconosciuti come
ecclesiastici solo gli istituti che la Chiesa pone in essere e che ritiene
appartenenti alla sua costituzione.
1.2.2 Le Fondazioni
Nell’ultimo decennio la costituzione e la diffusione, sul territorio, di
fondazioni ha avuto maggiore impulso.
Tale tipo di enti nasce dalla destinazione di un patrimonio per uno scopo
ben definito operata da una molteplicità di soggetti, i c.d. fondatori. Ai
sensi degli art. 14 e 16 del c.c. l’atto di fondazione può essere redatto inter
vivos o mortis causa in cui il de cuius con testamento costituisce una
fondazione, destinandole i propri beni e determinandone lo scopo.
Nell’atto costitutivo verranno indicati i criteri per l’erogazione delle
rendite. Mentre lo Statuto contiene finalità istituzionali fissate dal
fondatore, queste non sono modificabili, è possibile però apporre
integrazioni o ampliamenti nel caso in cui lo scopo sociale sia troppo
esiguo rispetto al patrimonio dell’ente o non corrisponda più alle necessità
della realtà in cui la fondazione continua ad operare. A tal riguardo
l’articolo 28 c.c. prevede espressamente che è possibile trasformare la
fondazione anziché estinguerla, per mano delle spettanti autorità
governative, sempre nei limiti delle volontà fondazionali. Per ciò che
concerne la struttura organizzativa delle fondazioni diversamente da
quanto accade per le associazioni, non esiste un organo assemblare per cui
il patrimonio è amministrato da un consiglio di amministrazione.
Probabilmente proprio per l’assenza di un organo specificamente destinato
al dovere di vigilanza, i controlli nelle fondazioni sono più serrati da parte
delle autorità governative che ai sensi dell’articolo 25 del c.c. hanno ampi
poteri di consultazione, vigilanza e controllo.
24
In caso di estinzione della fondazione, il patrimonio della stessa viene
devoluto secondo quanto previsto dalle norme dell’atto costitutivo e dello
statuto e in assenza di questo, in base a quanto disposto dall’autorità
governativa che, come disposto dagli articoli 31 e 32 del c.c., provvederà
ad attribuire i beni ad enti aventi finalità analoghe.
1.2.2.1 Fondazioni di origine bancaria
Le fondazioni bancarie sono il risultato del processo di trasformazione e
privatizzazione di molte banche pubbliche ai sensi della legge n. 218 del
1990, nota anche come “Legge Amato”9.
La legislazione concernente le fondazioni di origine bancaria si è arricchita
dopo il 1990, di nuovi strumenti. A seguito di un iter legislativo non
sempre coerente e lineare, si può affermare che tali fondazioni sono
persone giuridiche private senza fini di lucro, dotate di piena autonomia
statuaria e gestionale, ancorché il loro regime è da considerarsi speciale
rispetto a quello delle altre fondazioni. Esse perseguono scopi di utilità
sociale e di promozione dello sviluppo economico, secondo quanto
previsto da rispettivi statuti. Per il perseguimento dei propri scopi, le
fondazioni bancarie possono svolgere tutte le attività consentite dalla loro
natura giuridica, al pari di qualsiasi altra fondazione, nel rispetto del
principio di economicità della gestione. E’ proibito alle fondazioni
bancarie esercitare attività creditizia, nonché qualsiasi forma di
finanziamento, di erogazione o sovvenzione, sia diretti che indiretti, a
favore di società commerciali. Nonostante la loro natura privatistica, le
fondazioni di origine bancaria, in ragione della loro peculiare storia di enti
a forte caratterizzazione pubblicistica, debbono comunque conformarsi alle
9 Le fondazioni di origine bancaria, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili…, Edizione Cedam, Padova, 2007, pp. 120 ss.
25
disposizioni di legge, in specie avuto riguardo alla destinazione dei loro
fondi a favore dei Centri di servizio per il volontariato. Le fondazioni
bancarie sono rette da tre distinti organi per le funzioni di indirizzo, di
amministrazione e di controllo. L’organo di indirizzo deve determinare i
programmi, le priorità e gli obiettivi della fondazione, verificare i risultati
conseguiti, approvare e modificare gli statuti e così via; mentre all’organo
di amministrazione sono affidati i compiti di gestione, di proposta e di
impulso dell’attività della fondazione, nell’ambito dei programmi, delle
priorità e degli obiettivi dell’organo di indirizzo. Infine, all’organo di
controllo sono attribuite competenze di verifica contabile ed
amministrativa, pertanto, partecipano persone che hanno i requisiti
professionali per l’esercizio del controllo legale dei conti.
1.2.2.2 Le fondazioni di partecipazione
Le fondazioni di partecipazione non sono istituite ad opera di un singolo
soggetto, ma costituite da una pluralità di soggetti, che condividono una
medesima finalità di pubblico interesse. La possibilità giuridica di questo
tipo di fondazione è data dal fatto che accanto ad associazioni e fondazioni,
il codice civile del 1942 abbia previsto “le altre istituzioni di carattere
privato” (art. 12 c.c.). La stessa dizione è stata mantenuta dal d.p.r. 10-2-
2000, n. 361, che ha abrogato l’articolo 12 del c.c., confermando così la
possibile terzietà di organizzazioni non profit nel nostro ordinamento
giuridico. La fondazione di partecipazione è una fondazione che si
costituisce grazie ad un patrimonio di destinazione a struttura aperta.
Pertanto, l’atto costitutivo è un contratto che può ricevere l’adesione di
altre parti oltre a quelle originarie.
Essa non si configura, tuttavia come un ente associativo.
Sono caratteristiche peculiari della fondazione in partecipazione:
26
� la persona giuridica di diritto privato senza fine di lucro;
� è dotata di piena autonomia statuaria e gestionale;
� permette la compresenza di soggetti pubblici e privati;
� è dotata di proprio patrimonio, vincolato in modo perpetuo al
perseguimento delle finalità statuarie;
� persegue scopi di utilità sociale e così via10.
Sono inoltre da considerarsi altre categorie di fondazioni di partecipazione:
nel settore culturale, nel settore sanitario, nel settore socio-assistenziale e
nel settore scientifico e universitario che configurano come strumento
giuridico-organizzativo idoneo a raccogliere intorno ad uno o più obiettivi
condivisi di pubblico interesse sia soggetti pubblici istituzionali che
soggetti di diritto privato siano essi for profit o senza scopo di lucro.
1.2.3 I Comitati
La figura giuridica del comitato è disciplinata dagli articoli 39 e ss. del
codice civile, tali disposizioni enunciano la vita e l’attività dei “comitati
promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre,
festeggiamenti e simili”.
Si giunge ad optare per la costituzione di un comitato quando non si
dispone di un patrimonio sufficiente per il perseguimento di uno scopo
mediante fondazione. La struttura del comitato è assimilabile a quella delle
associazioni, dunque un gruppo di soggetti con interessi comuni forma un
comitato dettandosi delle regole comuni da rispettare e raccoglie fondi per
realizzare lo scopo istituzionale prescelto pubblicamente reso noto a terzi.
10 Le fondazioni di partecipazioni, in A. Santuari, Le Onlus. Profili civili…, Edizione Cedam, Padova, 2007, p.135.
27
La differenza sostanziale tra associazioni e comitati, è che quest’ultimo
prevede oltre al nucleo costitutivo iniziale di promotori, l’ingresso di nuovi
soggetti mentre l’associazione ha alla base un “contratto plurilaterale
aperto ad adesioni successive” ed è caratterizzata dalla “variabilità e
fungibilità dei membri”.
I responsabili, in tale categoria di enti, sono dei promotori, si occupano
personalmente e solidalmente della raccolta dei fondi e il modo in cui
erogarli (articolo 40 del c.c.). Nel caso in cui i fondi raccolti dovessero
presentarsi insufficienti alla realizzazione dello scopo, sarà competenza
dell’autorità governativa stabilire le modalità di devoluzione.
1.2.4 Aps: Associazioni di promozione sociale
Nel 2000 è stata varata la legge sull’associazionismo (numero 383 del 7
dicembre), che regolamenta il pianeta delle associazioni di promozione
sociale italiane.
La disciplina sulle associazioni di promozione sociale si caratterizza
perché si rivolge anche agli enti che, senza fini di lucro, svolgono la
propria attività di solidarietà sociale verso i propri soci o iscritti. Questo
costituisce una forma di diversità rispetto alla disciplina delle onlus e del
volontariato, per le quali l’attività sociale deve essere rivolta in via
esclusiva e prevalente verso terzi. Al contempo esistono diversi punti in
comune tra le due discipline, come ad esempio l’elettività delle cariche
associative, l’obbligo di rendiconti economico-finanziari o di bilanci.
Entrambe le disposizioni prevedono la costituzione di osservatori nazionali
la cui attività sarà coordinata dal Ministero della solidarietà sociale. Inoltre
sia le organizzazioni di volontariato che le associazioni di promozione
sociale possono stipulare convenzioni con lo Stato, le regioni, le province
28
autonome di Trento e Bolzano e sono obbligati ad assicurare i propri
aderenti contro infortuni e le malattie con lo svolgimento di tali attività.
Per ciò che concerne i requisiti delle Aps, questi si distinguono in
soggettivi e oggettivi. In termini soggettivi, l’art. 2 del provvedimento
considera “associazioni di promozione sociale i movimenti, i gruppi e i
loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di
utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel
rispetto della libertà e dignità degli associati a prescindere o meno dal
riconoscimento della personalità giuridica”. Pertanto non sono considerate
Aps: organizzazioni sindacali, partiti politici, associazioni professionali e
tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi
economici degli associati.
Passando alla descrizione dei requisiti oggettivi, il provvedimento prevede
che le associazioni di promozione sociale si avvalgano prevalentemente
delle attività prestate in forma volontaria, libera e gratuita dai propri
associati per il perseguimento dei fini istituzionali. Le associazioni
possono inoltre, avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, anche
ricorrendo ai propri associati. E’ necessario che le associazioni di
promozione sociale si costituiscano per atto scritto e venga indicata la
sede legale.
Nello statuto devono essere espressamente previsti:
� denominazione sociale;
� oggetto sociale;
� attribuzione della rappresentanza legale dell’associazione;
� modalità di scioglimento obbligo di redazione di rendiconti
economico-finanziari;
� dell’associazione ecc…
Ai sensi dell’articolo 4 della legge sulle Aps, tali enti traggono le
risorse economiche per il loro funzionamento da:
� quote e contributi degli associati;
29
� eredità, donazioni e legati;
� contributi dello Stato, delle regioni, di enti locali o di istituzioni
pubblici;
� contributi dell’Unione Europea e di organismi internazionali;
� entrate derivanti da prefazioni di servizi convenzionati;
� erogazioni liberali degli associati e dei terzi;
� entrate derivanti da iniziative promozionali finalizzate al proprio
finanziamento, come feste e sottoscrizioni anche a premi;
� altre entrate compatibili con le finalità sociali dell’associazionismo
di promozione sociale.
E’ altresì prevista l’istituzione di un registro nazionali in cui possono
iscriversi tutte quelle Aps in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Sono considerate Associazioni di promozione sociale a carattere nazionale
quelle che svolgono attività in almeno cinque regioni ed almeno venti
province del territorio nazionale. E’ opportuno osservare che l’iscrizione
nei registri è condizione necessaria per usufruire dei benefici previsti dalla
legge.
Inoltre, viene istituito l’Osservatorio nazionale, composto da ventisei
membri, di cui dieci rappresentanti delle associazioni a carattere nazionale
maggiormente rappresentative, dieci rappresentanti estratti a sorte tra i
nominativi indicati da altre associazioni e sei esperti. L’Osservatorio
elegge un vicepresidente tra i suoi componenti di espressione delle
associazioni e si riunisce almeno otto volte all’anno, dura in carica tre anni
ed i suoi componenti non possono essere nominati per più di due mandati.
L’Osservatorio ha diverse competenze: l’assistenza alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la promozione di studi e ricerche
sull’associazionismo in Italia e all’estero, promozione di scambi e
conoscenze e forme di collaborazione fra le associazioni di promozione
sociale italiane e fra queste e le associazioni straniere, ecc…
30
In tema di agevolazioni la legge ne prevede di natura fiscale in ordine alle
prestazioni in favore dei familiari associati, all’imposta sugli
intrattenimenti, alle erogazioni liberali e per i tributi locali. Inoltre
l’articolo 24 dispone che “le provvidenze creditizie e fideiussore previste
dalle norme per le cooperative e i loro consorzi sono estese… alle
associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di
volontariato…”.
Alfine di usufruire di tali agevolazioni le associazioni di promozione
sociale e le organizzazioni di volontariato devono essere iscritte nei
rispettivi registri ed aver ottenuto l’approvazione di uno o più progetti di
opere e di servizi di interesse pubblico inerenti alle finalità istituzionali
nell’ambito delle convenzioni previste dall’articolo 30 della medesima
disposizione.
Ai fini della tutela degli interessi sociali e collettivi le Aps sono
legittimate:
� a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi
promossi da terzi, a tutela dell’interesse dell’associazione;
� ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni
derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità
generali perseguite dall’associazione ed inoltre lo Stato, le regioni, le
province e i comuni possono concedere in comodato beni mobili ed
immobili di loro proprietà non utilizzati per fini istituzionali.
31
Capitolo 2
Qualificazione delle Onlus
2.1 Costituzione e Statuto
Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, meglio nota con l’acronimo
Onlus, indica una categoria tributaria che gli articoli 10 e seguenti del D.Lgs.
4 dicembre 1997, n. 460, prevedono possa essere assunta da associazioni,
comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o
senza personalità giuridica.
Per la costituzione e la modifica dello Statuto di un’associazione non
riconosciuta è sufficiente una scrittura privata non autenticata oppure una
scrittura autenticata dal notaio. Mentre, per la costituzione o modifica di
un’associazione riconosciuta è indispensabile l’atto pubblico.
Gli statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della
scrittura privata autenticata o registrata, prevedono espressamente una serie di
requisiti.
Per la costituzione, nell’atto redatto ad una certa data ed in un certo luogo,
sono presenti alcune persone (delle quali si riportano le generalità) e le stesse
persone dichiareranno di comune accordo, di volere costituire un’associazione
di volontariato, indicandone denominazione, scopo, durata e requisiti11 per
godere dei benefici fiscali12.
11 Costituzione ed iscrizione, in L. Alberti, Associazioni di volontariato e Onlus, Edizione Fag, Milano, 2007, pp.183-184. 12 Requisiti per godere dei benefici fiscali, in G. M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus. Aspetti contabili e fiscali, Edizione Giuffrè, Milano, 2000, pp. 132 ss.
32
Innanzitutto, per poter godere di tali benefici fiscali, una tra le condizioni
essenziali è l’iscrizione nei registri del volontariato tenuti dalle regioni e dalle
province autonome. L’iscrizione è tuttavia un diritto per le associazioni che
hanno i requisiti di cui all’articolo 3.
Anche l’Atto costitutivo deve possedere alcuni requisiti affinché possa sorgere
legittimamente il diritto all’iscrizione nei registri regionali.
Sono, dunque, requisiti formali degli statuti: l’assenza dello scopo di lucro, sia
diretto che indiretto; il carattere democratico dell’associazione, di cui è
prevista un’assemblea generale dei soci con normali competenze assimilabili
ad un qualsiasi organo assemblare. Ne deriva pertanto, il diritto al voto
assicurato ad ogni iscritto e l’obbligo di riunirsi almeno una volta all’anno per
l’approvazione dei rendiconti e bilanci. Altro requisito è l’elettività e gratuità
delle cariche associative (Presidente, Direttore, sindaci a revisori), non
esistono dunque cariche di diritto o rinnovi automatici. La gratuità delle
cariche è una rilevante specificità del volontariato; gratuità delle prestazioni è
inoltre un requisito essenziale, poiché le prestazioni prevalenti sono
volontarie. Spetta pertanto ai volontari il diritto al rimborso delle spese
sostenute nell’esercizio della loro attività; sono elementi che verranno,
comunque, definiti nell’atto costitutivo. Altri requisiti sono i criteri di
ammissione ed esclusione degli aderenti. Per soddisfare questo requisito è
sufficiente che vengano fissati criteri abbastanza oggettivi, in genere risulta
corretto un riferimento alla adesione allo scopo associativo oppure la
condivisione di finalità istituzionale e l’impegno a prestare la propria opera a
favore dell’associazione; obblighi e diritti, come il diritto al voto, si fissano
regole per rendere migliore la vita dell’ente. Ed infine, tra gli ultimi requisiti
formali degli statuti vi è la liquidazione finale, prevista in caso di scioglimento
dell’associazione. Quando si esaurirà l’azione liquidatoria i beni che residuano
verranno devoluti ad altre organizzazioni di volontariato operanti in settori
analoghi.
La ratio di tale norma sta nel fatto che il divieto di divisione degli utili deve
33
essere rispettato anche in fase di liquidazione, cioè è inammissibile
suddividere il patrimonio eventualmente residuale tra gli associati.
Alcune categorie di enti assumono automaticamente la qualifica di Onlus
(sono le cosiddette Onlus di diritto). Tale qualifica attribuisce la possibilità di
godere di agevolazioni fiscali.
Esse sono:
� le organizzazioni di volontariato purché iscritte nei registri regionali
delle organizzazioni di volontariato, a condizione che - ai sensi dell’art.
30, comma 5 del decreto legge 185/2008 convertito nella Legge
28/1/2009 n. 2, si limitino a svolgere esclusivamente attività
commerciali e produttive marginali come individuate dal D.M. Finanze
del 25.05.1995;
� le ONG;
� le cooperative sociali;
� i consorzi di cooperative sociali formati al 100% da cooperative sociali
Gli enti che non sono "Onlus di diritto" possono diventare Onlus solo se
ottengono l'iscrizione all'Anagrafe delle Onlus.
Altre categorie di enti hanno invece la possibilità di derogare al divieto di
svolgere attività diverse da quelle previste tassativamente, vale a dire le
cosiddette Onlus parziarie.
Si considerano tali:
� gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con cui lo Stato ha
stipulato patti, accordi o intese;
� le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui
all'articolo 3 della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità
assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno
(autorizzazioni concernenti la somministrazione di alimenti e di
bevande nelle mense aziendali e negli spacci annessi ai circoli
cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali
sono riconosciute dal Ministero dell'interno).
34
I soggetti che possono assumere la qualifica di Onlus sono:
� associazioni riconosciute e non riconosciute;
� comitati;
� fondazioni;
� società cooperative;
� altrimenti di carattere privato, con o senza personalità giuridica.
I soggetti espressamente esclusi sono:
� enti pubblici (comprese le IPAB);
� società commerciali, diverse da quelle cooperative;
� fondazioni bancarie;
� partiti e movimenti politici;
� sindacati;
� associazioni dei datori dei lavori e di categoria.
L’articolo 10 del D. Lgs. n. 460/97 nell’enunciare i requisiti qualificanti le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale in conformità ai principi dettati
dalla delega legislativa, individua determinati settori di attività di interesse
collettivo in cui gli enti sono tenuti ad operare per l’esclusivo perseguimento
di finalità di solidarietà sociale, rilevando pertanto per l’individuazione della
Onlus tanto il fine che l’oggetto dell’attività.
A questo proposito viene osservato che “l’interesse collettivo immanente
nell’esercizio di determinate attività apprezzato disgiuntamente dal
perseguimento di finalità solidaristiche ed elevato a requisito qualificante delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale, non sarebbe stato sufficiente,
infatti, a fornire una linea di separazioni tra le Onlus e la generalità degli enti
non commerciali, con la conseguenza di allargare eccessivamente le attività
potenzialmente interessate dalla disposizione”13.
13 Relazione illustrativa del decreto legislativo recante la disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in
35
Pertanto, le disposizioni dell’articolo 10 devono assicurare l’esercizio in via
esclusiva da parte della Onlus di attività nei settori tassativamente individuati,
o di attività direttamente connesse, per il perseguimento di scopi solidaristici.
Al fine di acquisire la qualifica tributaria è necessario che gli enti richiedenti
abbiano una serie di requisiti:
a) svolgimento di almeno una delle seguenti attività:
� assistenza sociale e socio-sanitaria;
� assistenza sanitaria;
� beneficenza;
� istruzione;
� formazione;
� sport dilettantistico;
� promozione e valorizzazione dei beni culturali;
� tutela e valorizzazione dell'ambiente;
� promozione della cultura e dell'arte;
� tutela dei diritti civili;
� ricerca scientifica di particolare interesse sociale, come definita da DPR
135 del 14 giugno 2003.
Tale elencazione s’intende in maniera tassativa, dunque non potranno
assumere la qualifica di Onlus gli enti che svolgono attività diverse. Il settore
di attività è il primo requisito necessario, anche se non sufficiente, per poter
godere della qualifica in oggetto.
Occorre ovviamente una duplice condizione in proposito e cioè sia che il
settore di attività risulti chiaramente dal contenuto dello statuto e che poi ciò
corrisponda alla attività effettivamente e realmente svolta dall’ente14. E’ altresì
attuazione della delega recata dall’articolo 3, commi 186, 187, 188, 189 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 14 I settori di attività, in G.M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus. Aspetti contabili e fiscali, Edizione Giuffrè, Milano, 2000, p.108.
36
possibile che alcuni soggetti operino contemporaneamente in più ambiti,
specialmente se contigui ed affini, come per esempio il settore sanitario, socio-
sanitario e di beneficenza.
La problematica è che l’elenco degli undici settori non è esaustivo di tutti i
campi di intervento del non profit, per esempio per il volontariato. Pertanto, in
merito alla mancata precisione del settore della protezione civile, settore
disciplinato dalla legge n. 996/1970 e del successivo D.P.R. n. 66/1981, la
relazione testualmente afferma che “si è ritenuto superfluo annoverare
espressamente fra le Onlus le organizzazioni che praticano il volontariato di
protezione civile, come invece proposto dalla commissione parlamentare,
trattandosi di soggetti normalmente iscritti ai registri di volontariato istituiti
dalle regioni ai sensi della legge 266 del 1991 e come tali, considerati in ogni
caso Onlus in virtù del disposto del comma 8 dell’articolo 10 in esame”15. In
altri termini, un’associazione di volontariato iscritta nei registri, ancorché
svolgente un’attività non rientrante nell’elenco delle attività tipiche, è
comunque e sempre Organizzazione di utilità sociale.
Il comma 2 dell’articolo 10 contiene inoltre una rilevante distinzione tra gli
elencati settori di attività: alcuni sono considerati sempre di solidarietà sociale,
mentre altri sono tali solo se rivolti a beneficio di determinati soggetti che si
trovino in condizione di particolare svantaggio.
Il legislatore ha considerato che per alcune attività la qualificazione
solidaristica è insita e oggettivamente contenuta nell’attività stessa come per
esempio la beneficenza, per altre tale scopo è perseguito indirettamente a
causa dell’indivisibilità del risultato che finisce per andare a beneficio di una
collettività e non di singoli, come la tutela del patrimonio storico o ambientale,
mentre per altre ancora il fine solidaristico esiste solo a condizione che siano
rivolte a soggetti in situazione di svantaggio (è il caso dell’assistenza
sanitaria).
Settori riconosciuti sempre di utilità sociale sono in sostanza:
15 Relazione al D.P.R n. 66/1981.
37
� assistenza sociale e socio-sanitaria;
� la beneficenza;
� la tutela del patrimonio artistico;
� la tutela della natura.
Settori, invece, considerati di solidarietà sociale solo se rivolti a determinati
soggetti sono:
� l’assistenza sanitaria;
� l’istruzione;
� la formazione;
� lo sport;
� la cultura;
� la tutela dei diritti16.
Per potersi qualificare come attività di solidarietà sociale è necessario che le
prestazioni relative a questo secondo gruppo di attività, siano rese a favore di
persone svantaggiate in ragioni di condizioni fisiche, psichiche, economiche,
sociali o familiari oppure componenti di collettività estere, limitatamente agli
aiuti umanitari.
Sul fondamentale concetto di soggetto svantaggiato è intervenuta la prima
circolare esplicativa del Ministero delle Finanze, la numero 168/E del
26.06.1998.
Con tale documento si è cercato di definire in maniera più precisa i requisiti di
svantaggio. In primo luogo si tenta di dare una definizione generale parlando
di “condizioni di obiettivo disagio, connesso a situazioni psico-fisiche
particolarmente invalidanti, a situazioni di devianza, di degrado o grave
disagio economico-familiare o di emarginazione sociale”17.
E’ pertanto evidente che la situazione di svantaggio deve avere la caratteristica
della gravità. Possono, dunque, ritenersi svantaggiati: disabili fisici e psichici
16 I settori di attività, in G.M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus. Aspetti contabili e fiscali, Edizione Giuffrè, Milano, 2000, pp. 109 ss. 17 Paragrafo 1.4 della citata circolare ministeriale.
38
affetti da malattie comportanti menomazioni permanenti, tossicodipendenti,
alcolisti, indigenti, minori abbandonati, profughi e così via.
Altri requisiti, alfine di ottenere la qualifica tributaria di Onlus sono:
b) l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;
c) divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad
eccezione di quelle ad esse direttamente connesse:
nel senso che il perseguimento “esclusivo” di attività solidaristiche, implica
necessariamente il divieto di svolgere attività diverse da quelle che hanno tale
requisito. Tale divieto deve però essere esplicitato nello statuto. In sostanza, la
Onlus non può svolgere altra attività che non quella prevista dallo statuto e
contemporaneamente prevista dall’articolo 10. E’ comunque un divieto non
assoluto in quanto ammette l’eccezione di svolgere altre attività connesse, pur
se entro determinati limiti e precise condizioni.
d) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione
nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'organizzazione, a meno che
la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o siano
effettuate a favore di altre Onlus che per legge, statuto o regolamento fanno
parte della medesima ed unitaria struttura (non profit):
la presente clausola statuaria non ha caratteristiche particolarmente nuove,
essendo generalmente prevista, in tutti gli statuti degli enti non commerciali.
La norma semmai regola in maniera più rigorosa e dettagliata tale divieto,
estendendolo oltre che agli utili e agli avanzi, anche a fondi, riserve e capitale
dell’ente. Il vincolo di destinazione è un elemento essenziale per la
qualificazione di ente non commerciale, in quanto è impossibile distribuire in
qualsiasi modo utili e patrimonio dell’ente. Ai sensi dell’art. 10 comma 6, ci
sono una serie di presunzioni assolute di distribuzione indiretta di utili o
avanzi. Vengono, infatti, individuate cinque comportamenti patologici, sono
39
sempre considerati anche se non elencati distribuzione di utili.
Queste manifestazioni di distribuzione di utili sono rappresentate da:
1. cessione di beni e prestazioni di servizi rese a soci, associati, fondatori,
partecipanti e coloro che ne facciano comunque parte o che operino per l’ente.
2. L’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che senza valide ragioni
economiche siano superiori al loro valore normale.
3. Corresponsione ai componenti degli organi amministrativi e di controllo di
emolumenti individuali annui superiori al compenso previsto dalle tariffe dei
revisori contabili per il presidente del collegio sindacale della società per
azioni.
4. La corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari
autorizzati di interessi passivi in dipendenza di prestiti di ogni specie superiori
di 4 punti al tasso ufficiale di sconto.
5. La corresponsione a lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del
20% gli importi previsti dai contratti collettivi di lavoro.
La norma tende ad evitare entro certi limiti, che attraverso il pagamento di
compensi per lavoro dipendente superiori alle retribuzioni contrattuali, si
effettui una distribuzione indiretta.
e) l'obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione
delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse:
si tratta in buona sostanza di una ripetizione e specificazione del divieto di
distribuire utili. Le risorse economiche derivanti dallo svolgimento
dell’attività devono restare dentro l’ente e impiegate per le finalità dello
stesso.
f) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione, in caso di suo
40
scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di
utilità sociale o a fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui
all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, salvo diversa
destinazione imposta dalla legge:
il divieto di distribuire avanzi, utili o comunque capitale dell’ente permane
quindi anche in fase finale della vita dell’ente stesso e cioè in fase di
liquidazione. Anzi, una vera e propria fase di liquidazione non sussiste
nemmeno, in quanto il patrimonio deve restare tale. Semmai, è possibile che
tale patrimonio venga tradotto in denaro e tale devoluto nei modi stabiliti dalla
legge.
Il patrimonio dell’ente è stato accumulato anche grazie alle rilevanti
agevolazioni fiscali previste dalla legge, per cui la finalità solidaristica deve
permanere anche in caso di estinzione dell’ente.
g) l'obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale:
è previsto che la Onlus rediga entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio
il bilancio o il rendiconto consuntivo. Il termine riveste anche importanza ai
fini del termine della presentazione della dichiarazione annuale dei redditi,
prevista entro trenta giorni dall’approvazione del bilancio, tale termine è
relativo alla redazione del rendiconto e non alla sua approvazione. Poiché
alcune Onlus costituite in forme differenti dall’associazione potrebbero non
avere una vera e propria procedura di approvazione del bilancio.
h) l'obbligo di manifestare una rigida trasparenza gestionale non omettendo
alcun requisito di bilancio;
i) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative
volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente
41
la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli
associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le
modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi
direttivi dell'associazione:
si deve intendere che la clausola in esame si applica esclusivamente a quelle
Onlus costituite sotto forma giuridica dell’associazione e non in altre forme
perfettamente compatibili con lo status di Onlus. La norma tende a verificare
l’effettività del rapporto associativo, salvaguardando la democraticità della
struttura e la sua effettività.
l) l'uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o
comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione "organizzazione non
lucrativa di utilità sociale" o dell'acronimo "Onlus":
è una norma ispirata prevalentemente alla tutela e garanzia dei terzi, anche se
tale qualificazione non può che essere gradita dall’ente stesso. L’acronimo
deve essere usato in ogni comunicazione esterna e quindi in ogni segno
distintivo, compreso carta intestata, ricevute ecc.
Per le tipologie istruzione, assistenza sanitaria, formazione, sport
dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili si
considerano esistenti le finalità sociali quando le attività siano rese nei
confronti di terzi (come persone svantaggiate, o componenti di collettività
estere) e non dei soci, fondatori, organi amministrativi di controllo, coloro i
quali operino su mandato dell'organizzazione.
Tuttavia, parlando di attività connessa, le stesse finalità si intendono realizzate
anche quando alcuni dei beneficiari siano soci della Onlus. L'esercizio di
attività connessa è consentito solo nel caso in cui queste non siano prevalenti
rispetto a quelle istituzionali e che i proventi non siano superiori al 66% delle
spese complessive, pena la perdita della qualifica di Onlus.
42
2.2 Anagrafe Unica delle Onlus
L’art. 11 del D.Lgs. 460/1997, istituisce presso il Ministero delle finanze (ora
Ministero dell’Economia) l’anagrafe unica delle Onlus.
L'iscrizione all'anagrafe unica delle Onlus ha carattere costitutivo ai fini della
qualificazione come Onlus degli enti interessati ed è condizione necessaria per
beneficiare delle agevolazioni fiscali.
In merito la circolare 168/E del 22 gennaio 1999 ha specificato che il regime
agevolato decorre:
� ai fini dei tributi a rilevanza istantanea ( compresa l’imposta sul valore
aggiunto), alla data di presentazione della comunicazione;
� ai fini delle imposte sui redditi, fin dall’inizio del periodo d’imposta nel
corso del quale la comunicazione è effettuata18.
In sostanza, una Onlus, entro 30 giorni dalla data di inizio della propria attività
dovrà comunicarlo alle direzioni regionali delle entrate competenti per
territorio.
La comunicazione, sottoscritta dal legale dell’ente, va spedita mediante
raccomandata in plico senza busta e farà fede come data effettiva il timbro
postale.
A tal riguardo, alcuni chiarimenti in ordine all’iscrizione all’anagrafe son stati
forniti dal ministero delle finanze mediante decreto del 19 gennaio 1998 (G.U.
n. 17 del 22 maggio 1998), con cui è stato approvato il modello per la
comunicazione e le relative istruzioni. In particolare, viene precisato che le
organizzazioni di volontariato, le organizzazioni non governative e le
cooperative sociali (le quali sono Onlus di diritto), sono esonerate dall’obbligo
di effettuare la comunicazione all’anagrafe. È importante sempre effettuare le
relative comunicazioni mediante il modello predisposto, disponibile anche per
18 Anagrafe delle Onlus, in G.M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus. Aspetti contabili e fiscali, Edizione Giuffrè, Milano, 2000, p. 165.
43
notizie che comunicano eventuali variazioni dell’ente. È inoltre, chiarita la
distinzione tra soggetti di nuova costituzione e soggetti già costituiti in
relazione agli adempimenti di cui all’articolo 11 del decreto.
I soggetti di nuova costituzione devono fare la comunicazione entro 30 giorni
dalla data dello statuto. Pertanto, le agevolazioni previste dal decreto
decorreranno dalla data di costituzione.
Nel caso di soggetti già costituiti, il termine da cui decorrono gli effetti del
regime agevolato coincide con la data di presentazione della comunicazione
medesima.
Se si presenta l’inosservanza di quanto dettato dall’articolo 10 del decreto,
verrà meno il regime di favore delle Onlus.
L’utilità dell’istituzione dell’anagrafe risponde ad una duplice finalità. Da una
parte la creazione di un’apposita anagrafe unica per le Onlus consente di far
fronte ad esigenze di tipo statistico; dall’altra in seguito all’adempimento della
comunicazione rappresenta un rimedio per eventuali accertamenti da parte
dell’amministrazione finanziaria.
Il D.Lgs. n. 460/97 identifica tre figure specifiche di illecito per le Onlus
relative all’indebita fruizione dei benefici, alla mancanza delle comunicazioni
dovute e all’uso indebito della denominazione, ai sensi dell’articolo 28:
� i rappresentanti legali e i membri degli organi amministrativi delle
Onlus, che si avvalgono dei benefici di cui al presente decreto in
assenza dei requisiti di cui all’articolo 10, ovvero violano le
disposizioni statuarie di cui alle lettere c) e d) del comma 1 […]
� i soggetti di cui alla lettera a) sono puniti con la sanzione
amministrativa da lire 200 mila a lire 2 milioni […]
� chiunque contravviene al disposto dell’articolo 27[…]
Sotto il profilo soggettivo, va rilevato che le prime due fattispecie possono
44
riferirsi soltanto agli organi direttivi dell’organizzazione, mentre l’ultima è
applicabile a qualunque soggetto a prescindere anche dalla sua appartenenza
all’ente interessato.
Sotto il profilo oggettivo, i comportamenti sanzionabili a norma dell’articolo
28 sono quelli dei rappresentanti legali e degli amministratori che approfittano
dei benefici stabiliti dal decreto in assenza dei presupposti necessari per
l’applicazione della disciplina delle Onlus, ovvero non rispettoso quanto
previsto dall’articolo 10.
Sono inoltre puniti i rappresentanti legali e i membri degli organi
amministrativi che non adempiano all’obbligo di comunicazione dovute in
relazione all’anagrafe delle Onlus. Eventuali violazioni comportano la perdita
di qualificazione come Onlus. Viene, inoltre, punito chiunque abusi della
denominazione di organizzazione non lucrativa di utilità sociale, secondo
quanto disposto nell’articolo 27 del decreto. Sono previste in tal caso sanzioni
amministrative di carattere pecuniario.
Il secondo comma dell’articolo 28 prevede che:
� le sanzioni previste dal comma 1 sono irrogate, ai sensi dell’articolo 54,
primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, dall’ufficio delle entrate nel cui ambito
territoriale si trova il domicilio fiscale della Onlus.
Successivamente tale articolo è stato abrogato dall’articolo 16 del D.Lgs. 18
dicembre 1997, n. 471: di conseguenza per determinare le sanzioni di cui
all’articolo 28 si deve fare riferimento all’articolo 7 del D. Lgs. 18 dicembre
1997, n. 472, secondo cui:
� “nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della
violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui
svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché
alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali. La
personalità del trasgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali”.
45
Nel caso in cui, l’autore dell’illecito sia incorso, nei tre anni precedenti, in
violazione della medesima norma, la sanzione determinata sarà aumentata fino
alla metà.
Infine, l’ultimo comma dell’articolo 28 stabilisce che:
� i rappresentanti legali e i membri degli organi amministrativi delle
organizzazioni che hanno indebitamente fruito dei benefici previsti dal
decreto legislativo, conseguendo o consentendo a terzi indebiti risparmi
di imposta, sono obbligati in solido con il soggetto passivo, delle
relative sanzioni e degli interessi maturati19.
2.2.1 Effetti dell’iscrizione
L’articolo 4 disciplina gli effetti dell’iscrizione all’anagrafe delle
Onlus, e per tali l'interessato usufruisce delle agevolazioni fiscali di
cui al decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460.
Gli effetti dell'iscrizione retroagiscono alla data di effettuazione
della comunicazione di cui all'articolo 1 comma 1.
Se la comunicazione e' effettuata entro il termine di trenta giorni
previsto dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo gli effetti
retroagiscono alla data di costituzione dell'organizzazione.
Le conseguenze dell'iscrizione sono essenzialmente di natura fiscale e
tributaria e comportano benefici sia direttamente per le Onlus, sia
indirettamente, favorendo le erogazioni liberali in loro favore.
Relativamente alle imposte sul reddito:
19 Regime sanzionatorio, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus. Enti non commerciali e…, Edizione il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp. 61 a 63.
46
1. per le Onlus, a eccezione delle società cooperative, non costituisce
esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività
istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà
sociale; i proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente
connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile (art.
150 del Tuir);
2. per le persone fisiche e pro quota per i soci di società semplice è
detraibile il 19% delle erogazioni liberali in denaro in favore delle
Onlus, fino alla concorrenza di Euro 2.065,83 di erogazione (art. 15,
comma 1, lett. i bis), e comma 3, del Tuir);
3. per le imprese sono deducibili le erogazioni liberali in denaro a favore
delle Onlus fino alla concorrenza di Euro 2.065,83 o del 2% del reddito
d'impresa dichiarato (art. 100, comma 2, lett. h, del Tuir);
4. sono deducibili ai fini della determinazione del reddito d'impresa le
spese relative all'impiego di lavoratori dipendenti, assunti a tempo
indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi erogate a favore di
Onlus, nel limite del cinque per mille dell'ammontare complessivo delle
spese per prestazioni di lavoro dipendente, così come risultano dalla
dichiarazione dei redditi (TUIR art. 100, comma 2, lett. i);
5. sempre che le erogazioni liberali in denaro da parte di imprese in favore
delle Onlus non siano deducibili nella determinazione dei singoli
redditi, è ammessa la detrazione del 19% dell'erogazione, fino alla
concorrenza di E 2.065,83 di erogazione, da parte di:
� enti non commerciali di cui al TUIR art. 73, comma 1, lett. c)
(TUIR, art. 147);
� società ed enti commerciali non residenti (TUIR art. 152, comma
3);
� enti non commerciali non residenti (TUIR, art. 154, comma 2);
47
6. il valore delle derrate alimentari e dei prodotti farmaceutici, oggetto
dell'attività dell'impresa, ceduti gratuitamente alle Onlus, in alternativa
all‘usuale eliminazione dal circuito commerciale, non è considerato
ricavo ai sensi dell'art. 53, comma 2, del Tuir ora art. 85, comma 2,
Tuir, (D.Lgs. 460/97, art. 13, comma 2);
7. il valore dei beni oggetto dell'attività dell'impresa diversi da derrate
alimentari e prodotto farmaceutici ceduti gratuitamente alle Onlus non è
considerato ricavo ai sensi dell'articolo 53, comma 2, del Tuir (ora
rectius art. 85, comma 2, TUIR). Il costo di produzione o acquisto, fino
alla concorrenza di Euro 1.032,91 si considera erogazione liberale, da
includere nel limite di Euro 2.065,83 o 2% del reddito dichiarato di cui
all'art. 100, comma 2, lett. h, del Tuir (D.Lgs. 460/97, art. 13, comma
3). Le derrate alimentari, i prodotti farmaceutici ed i beni non di lusso
alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, che
presentino imperfezioni, alterazioni, danni o vizi che pur non
modificandone l'idoneità di utilizzo non ne consentono la
commercializzazione o la vendita, rendendone necessaria l'esclusione
dal mercato o la distruzione, qualora siano ceduti gratuitamente alle
Onlus, per un importo corrispondente al costo specifico sostenuto per la
produzione o l'acquisto complessivamente non superiore al 5 per cento
del reddito d'impresa dichiarato, non si considerano destinati a finalità
estranee all'esercizio dell'impresa ai sensi dell'articolo 85, comma 2, del
TUIR. Queste agevolazioni si applicano a condizione che delle singole
cessioni sia data preventiva comunicazione, mediante raccomandata
con avviso di ricevimento, al competente ufficio delle entrate e che la
Onlus beneficiaria, in apposita dichiarazione da conservare agli atti
dell'impresa cedente, attesti il proprio impegno ad utilizzare
direttamente i beni in conformità alle finalità istituzionali e, a pena di
decadenza dei benefìci fiscali previsti dal presente decreto, realizzi
l'effettivo utilizzo diretto; entro il quindicesimo giorno del mese
48
successivo, il cedente deve annotare nei registri previsti ai fini
dell'imposta sul valore aggiunto ovvero in apposito prospetto, che tiene
luogo degli stessi, la qualità e la quantità dei beni ceduti gratuitamente
in ciascun mese. Per le cessioni di beni facilmente deperibili e di
modico valore si è esonerati dall'obbligo della comunicazione
preventiva. (D.Lgs. 460/97, art. 13, comma 3).
8. Se più convenienti rispetto alle precedenti deduzioni dal reddito, le
liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti
soggetti all'imposta sul reddito delle società in favore delle Onlus sono
deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore nel limite del
dieci per cento del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella
misura massima di € 70.000,00 euro annui (art. 14 D.L. 35/05). Il
beneficiario deve avere o predisporre una contabilità analitica (tipo
partita doppia) e conseguentemente redigere un bilancio patrimoniale,
economico e finanziario.
9. Le Onlus possono iscriversi nell'apposito elenco tenuto dall'Agenzia
delle entrate per partecipare al riparto della quota del cinque per mille
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche destinata dai contribuenti
a sostegno delle Onlus e delle associazioni di promozione sociale.
Non sono soggette a IVA:
1. le prestazioni effettuate in favore di Onlus di:
� divulgazione pubblicitaria (art. 3 D.P.R. 633/72);
� cessioni gratuite di beni (art. 10 n. 12 D.P.R. 633/72);
� di trasporto di malati o feriti, con veicoli appositamente equipaggiati
(art. 10 n. 15 D.P.R. 633/72);
� di ricovero e cura, compresa la somministrazione di medicinali, presidi
sanitari e vitto (art. 10 n. 19 D.P.R. 633/72);
49
� educative per l'infanzia e la gioventù e quelle didattiche di ogni genere,
anche per la formazione, l'aggiornamento la riqualificazione e
riconversione professionale, comprese le prestazioni relative a vitto,
alloggio, fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da
istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente
collegati (art. 10. n. 20 D.P.R. 633/72);
� socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità o
altro di analogo, in favore di anziani e inabili adulti, tossicodipendenti,
malati di AIDS, handiccapati psicofisici, minori anche coinvolti in
situazioni di disadattamento e di devianza (art. 10 n. 27 ter D.P.R.
633/72);
2. le operazioni relative alle attività istituzionali non sono soggette
all'obbligo di certificazione dei corrispettivi per mezzo di scontrino o
ricevuta fiscale (art. 15 D.Lgs. 460/97);
3. è ammessa in detrazione l'IVA sugli acquisti per attività commerciali
eventualmente svolte oltre alle attività istituzionali, purché sia tenuta
contabilità separata secondo i modi stabiliti dall'art. 20 bis del D.P.R.
600/73 (art. 14, comma 1, lett. c) D.lgs. 460/97);
Infine, sono state previste agevolazioni di varia natura:
sui contributi corrisposti alle Onlus da enti pubblici non si applica la
ritenuta alla fonte del 4% di cui all'art. 28, comma 2, D.P.R. 600/73.
Sui redditi di capitale delle Onlus, la ritenuta alla fonte (imposta
sostitutiva) si applica a titolo d'imposta e non di acconto (art. 16 D.Lgs.
460/97);
� l’esenzione dall'imposta di bollo per gli atti che riguardano
Onlus (art. 27 bis Tabella D.P.R. 642/72);
� l’esenzione dalle tasse sulle concessioni governative (art. 13 bis
D.P.R. 641/72);
50
� l’esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni effettuate
in favore delle Onlus (D.Lgs. 346/90, art. 3, comma 1);
� l’esenzione dell'imposta sostitutiva di quella comunale
sull'incremento di valore degli immobili di cui all'articolo 11,
comma 3, del d.l. 79/97, convertito, con modificazioni, dalla l.
140/97;
� la previsione di un'imposta di registro fissa pari a € 168,00 per
gli atti costitutivi e gli statuti (D.Lgs. 131/86, Tariffe art. 11
bis);
� la previsione di un'imposta di registro fissa pari a € 168,00 per
gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di immobili e
degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di
godimento, sempre che l'Onlus dichiari nell'atto di trasferimento
del bene di intendere utilizzare il bene per la propria attività e
quanto dichiarato avvenga entro 2 anni (D.Lgs. 131/86, Tariffa
art. 1);
� gli enti locali possono deliberare la riduzione o l'esenzione dai
tributi locali a favore delle Onlus (D.Lgs. 460/97, art. 21);
� l’esenzione sull'imposta degli spettacoli per attività svolte
occasionalmente, purché ne sia data comunicazione, prima
dell'inizio di ciascuna manifestazione, all'ufficio accertatore
territorialmente competente (D.Lgs. 460/97, art. 23);
� la possibilità di finanziarsi attraverso lotterie, tombole, pesche
con determinati limiti nel valore dei biglietti venduti e nei premi
posti in palio (D.Lgs. 460/97, art. 24).
51
2.2.2 Cancellazione dall’anagrafe
L’art. 5 del Decreto 18 luglio 2003, n. 266 del Ministero dell’economia
e delle finanze dispone riguardo alla cancellazione dall’anagrafe di una
organizzazione non lucrativa di utilità sociale.
Spetta pertanto alla Direzione regionale delle entrate, qualora,
successivamente all'avvenuta iscrizione a seguito del controllo di cui
all'articolo 3, accerti la mancanza o il venir meno dei requisiti di
cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460,
provvede alla cancellazione con provvedimento motivato dandone
tempestiva comunicazione al soggetto interessato, con le modalità di
cui all'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, all'ufficio delle entrate nel cui ambito
territoriale si trova il domicilio fiscale dell'ente interessato.
Nell'ipotesi di intervenuto cambiamento di domicilio fiscale, la
comunicazione dovrà pervenire ai vari uffici presso i cui ambiti
territoriali l'ente abbia fissato il proprio domicilio fiscale, e agli
uffici nei quali siano stati compiuti atti oggetto delle agevolazioni
previste dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460.
A tal riguardo, gli uffici dell'Amministrazione tributaria che,
nell'ambito della propria attività istituzionale di controllo o
verifica, acquisiscono elementi dai quali risulti l'inosservanza, in
concreto, di uno o più requisiti di cui all'articolo 10 del decreto,
provvedono a darne tempestiva comunicazione alla Direzione
regionale delle entrate, al fine della valutazione sulla necessità o
meno di procedere, previo parere dell'Agenzia per le organizzazioni
non lucrative di utilità sociale, alla cancellazione dall'anagrafe, con le
modalità di cui al comma 1.
Dal giorno della avvenuta cancellazione dall'anagrafe, la Onlus perde
il diritto ai benefici fiscali.
52
La cancellazione conseguente all'accertamento della mancanza, fin
dal momento dell'iscrizione, anche solo di uno dei requisiti formali
determina la decadenza dalle agevolazioni fiscali fruite. Qualora,
invece, la cancellazione sia conseguente al venir meno di uno o più
requisiti, la Onlus decade dalle agevolazioni fiscali fruite
successivamente alla data in cui gli stessi requisiti sono venuti meno.
Ai sensi dell'articolo 4, comma 2, lettera f), del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 21 marzo 2001, n. 329, nel caso in cui si
riscontri il venir meno, successivamente all'iscrizione, di uno o più
requisiti la Direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate chiede
preventivamente il parere all'Agenzia per le organizzazioni non
lucrative di utilità sociale al fine di provvedere alla cancellazione
dall'anagrafe, con la conseguente decadenza dalle agevolazioni.
La cancellazione potrebbe avvenire anche in seguito ad un indebita
fruizione dei benefici previsti dal decreto legislativo, conseguendo o
consentendo a terzi indebiti risparmi d’imposta, pertanto saranno
obbligati in solido con il soggetto passivo o con il soggetto
inadempiente delle imposte dovute, delle relative sanzioni e degli
interessi maturati. In caso di cancellazione, infatti, sarà necessario da
parte del Fisco procedere al recupero in capo al donante delle imposte
indebitamente detratte o dedotte.
Di recente, l’ Ordinanza 27.01.2010, n. 1625 la Corte di Cassazione, a
Sezioni Unite, ha messo definitivamente la parola fine al tema della
competenza giurisdizionale a decidere sui provvedimenti di
cancellazione delle Onlus.
Nel corso del giudizio, l’Agenzia per le Onlus, convenuta in giudizio
unitamente all’Agenzia delle Entrate ed al Ministero dell’Economia e
delle Finanze, ha proposto ricorso per regolamento preventivo di
giurisdizione, contestando la giurisdizione del giudice tributario e
53
chiedendo affermarsi la giurisdizione del giudice amministrativo20.
2.3 L’Agenzia per le Onlus
L’Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, quale
organismo di controllo degli enti non commerciali e delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale (c.d. Authority) è
un’agenzia governativa con sede a Milano. Essa risponde alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui è tenuta ad inviare una
relazione annuale.
È stata istituita con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
del 26 settembre 2000 in base alla delega prevista dall’art. 3 della
Legge n. 662 del 23 dicembre 1996. Si è insediata l'8 marzo 2002, a
seguito dell'emanazione del suo regolamento tramite il DPCM n. 329
del 21 marzo 2001.
Per ciò che concerne i poteri dell’Authority21, si precisa che i pareri
siano obbligatori e vincolanti e si conferiscono pertanto, poteri di
indirizzo, promozione e ispezione, al fine di riscontrare l’osservanza
prevista per gli enti non profit. Vengono conferiti all’Agenzia anche
compiti propriamente delicati relativi alla raccolta pubblica di fondi. In
questo caso, l’intervento dell’organismo di controllo dovrebbe essere
diretto ad evitare possibili manovre elusive che possono essere messe in
atto con tale mezzo. L’Authority deve inoltre, garantire l’uniforme
applicazione della normativa fiscale relativa agli enti non commerciali e
Onlus. Va precisato inoltre, che i poteri dell’Organismo di controllo
possono essere vincolanti e obbligatori, proprio per sottolineare
l’importanza del potere di controllo. È necessaria, in ogni caso, la
20 La settimana fiscale N° 19 del 21 maggio 2010.
54
trasparenza degli enti appartenenti al Terzo settore. Non è, difatti,
pensabile che di fronte ad aiuti finanziari da parte dello Stato, di
contributi e finanziamenti pubblici, non vi sia la possibilità di verificare
come queste risorse vengano impiegate da parte dei beneficiari. Per tale
ragione, ben vengano i controlli esterni attuati dall’Amministrazione ed
accanto agli Amministratori “la presenza di Revisori indipendenti
diventa uno stimolo a meglio perseguire i fini istituzionali”22.
Collegato al potere di vigilanza vi è il potere sanzionatorio.
L’organismo potrà adottare provvedimenti di irrogazione di sanzioni
“aggiuntive”, in quanto indipendenti da ogni altra sanzione prevista
dalle leggi tributarie.
Riepilogando dunque quali sono le funzioni e i poteri dell’Authority
individuati dall'articolo 3 commi 191 e 191 della legge 662/96 diremo
che:
� l'organismo di controllo opera sotto la vigilanza del Presidente
del Consiglio dei ministri e del Ministro delle Finanze e
garantisce, anche con emissione di pareri obbligatori e
vincolanti, l'uniforme applicazione della normativa sui requisiti
soggettivi soggettivi e sull'ambito di operatività rilevante per gli
enti di cui ai commi 186 e 188;
� è tenuto a presentare al Parlamento apposita relazione annuale;
� è investito dei più ampi poteri di indirizzo, promozione e
ispezione per la corretta osservanza della disciplina legislativa e
regolamentare in materia di terzo settore;
� può formulare proposte di modifica della normativa vigente;
� può adottare provvedimenti di irrogazione di sanzioni di cui
all'articolo 28 del D. Lgs 460/1997;
� ha, altresì, il compito di assicurare la tutela da abusi da parte di
22 Non profit, alle norme manca un tassello, in A. Propersi, Affari e Finanza, supplemento a “La Repubblica”del 18 ottobre 1996.
55
enti che svolgono attività di raccolta di fondi e sollecitazione
della fede pubblica attraverso l'impiego dei mezzi di
comunicazione23.
Relativamente agli strumenti organizzativi, ad un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri è demandato il compito di
fissare la sede, l’organizzazione interna, il funzionamento, il numero
dei componenti, i compensi, i poteri e le modalità di finanziamento
del nuovo Organismo.
23 Authority, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus. Enti non commerciali e…, Edizione il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp.67 a 69.
56
Capitolo 3 La Gestione degli Enti Non Profit
3.1 Gli aspetti gestionali tipici dell’azienda non profit
“L’economia è una scienza che si dedica al bene umano.
Certo essa è più desiderabile anche quando riguarda una sola persona; ma è
più bello e divino se riguarda un popolo e una città”24.
Quando parliamo di azienda ci riferiamo ad un contesto in cui sussista una
dinamica reddituale e consenso sociale (equilibrio tra economicità aziendale,
utilità sociale ed interesse generale), efficacia, efficienza ed economicità,
laddove il Terzo Settore compensa i fallimenti di Mercato e Stato oltre a
rispondere a ragioni ideologiche. Anch’esso, però, corre rischi di fallimento a
causa dell’arretratezza gestionale, dello scarso peso politico, localismo,
radicalismo ideologico e difficoltà di dimostrazione dei risultati che non sono
di natura economica.
Soffermandoci in modo accurato alla gestione di un ente non commerciale, è
necessario esaminare la funzione dell’organo da cui la Fondazione è
amministrata, il cosiddetto “Consiglio di Amministrazione”.
Esso è composto da 4 a 7 membri, di cui 4 nominati dal Fondatore.
Gli altri 3 membri sono nominati per cooptazione dai Consiglieri nominati dal
Fondatore.
I membri nominati dal Fondatore, di volta in volta, entro 60 giorni dalla loro
relativa nomina redigeranno una graduatoria degli enti sulla base della quale
24 Aristotele
57
interpellare gli stessi al fine di richiedere la designazione dei membri di loro
competenza. Pertanto nel caso in cui uno dei primi tre enti in graduatoria non
provvedesse alla nomina, verranno interpellati gli altri enti secondo l’ordine
della graduatoria stessa,fino ad ottenere la designazione di tre membri.
Nel caso in cui nessuno dei detti enti provvedesse alla designazione, o gli enti
stessi vi provvedessero in numero inferiore a 3, il Consiglio si intenderà
definitivamente composto dai membri effettivamente nominati.
La richiesta agli enti secondo l’ordine della graduatoria redatta, sarà effettuata
dal Presidente del Consiglio di Amministrazione.
L’ente interpellato dovrà comunicare la designazione entro 60 giorni dalla
ricezione della relativa richiesta. Nel caso in cui l’ente interpellato non effettui
la designazione entro detto termine, il Presidente invierà analoga richiesta ad
altro ente sempre seguendo l’ordine della graduatoria, fino ad ottenere la
designazione di tre membri o ad esaurire la graduatoria stessa.
Nel frattempo il Consiglio di Amministrazione sarà regolarmente funzionante
con il numero di membri nominato.
I Consiglieri nominati dal Fondatore durano in carica tre esercizi e
precisamente fino all’approvazione del conto consuntivo relativo al terzo
esercizio del loro mandato. Essi sono, comunque, rieleggibili.
Nel caso in cui, nel corso del triennio vengono a mancare, per qualsiasi
motivo, uno o più degli amministratori, è questo precedentemente nominato
dal Fondatore, lo stesso dovrà provvedere alla relativa sostituzione;
I Consiglieri così nominati in sostituzione di quelli venuti meno rimarranno in
carica sino a scadenza del Consiglio.
Diversamente accade per il Consiglio d’Amministrazione.
Esso è composto da 9 membri, nominato senza vincolo di mandato da un
Comitato di Nomina che opererà sulla base di un regolamento approvato dal
Consiglio stesso e composto dalle seguenti autorità:
� il Prefetto di una delle Province d’ Italia;
58
� il Presidente di una delle Province d’Italia;
� il Vicario Episcopale;
� il Presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato e
Agricoltura di una delle Province d’Italia;
� il Sindaco del Capoluogo di una delle Province d’ Italia;
� il Rappresentante dell’Ente Fondatore;
I membri del Consiglio d’Amministrazione durano in carica 3 esercizi e
scadono con l’insediamento del nuovo consiglio.
I membri del Consiglio d’Amministrazione possono essere riconfermati.
Le cariche dei membri del Consiglio di Amministrazione sono gratuite, salvo i
rimborsi delle spese sostenute e preventivamente approvate dal consiglio
stesso.
Funzione rilevante ha il Verbale del consiglio di amministrazione/consiglio
direttivo che nomina il Presidente dinnanzi la presenza degli Amministratori.
Per ciò che concerne i libri sociali, distinguiamo:
� libro dei soci;
� libro dei verbali dell’Assemblea dei soci;
� libro dei verbali del Consiglio direttivo;
� libro dei verbali del Collegio dei sindaci;
� libro dei verbali del Collegio dei Probiviri.
Nel libro dei soci vanno indicati i dati che possono interessare l’ente stesso,
come: nome e cognome, luogo e data di nascita, residenza, telefono, codice
fiscale, tipi di socio, professione ecc.
Nel libro dei verbali dell’Assemblea dei Soci vanno riportati: atto costitutivo,
statuto, regolamento, rendiconti consuntivi e preventivi.
Nel libro dei verbali del Consiglio direttivo vanno riportati tutti i verbali delle
riunioni di questo organo. Ad esempio, i verbali per l’attribuzione di cariche in
seno al consiglio, verbale per l’ammissione di nuovi soci, verbali per
l’approvazione o la modifica di regolamenti interni e verbali per la
59
convocazione delle Assemblee.
Nel libro dei verbali del collegio sindacale vanno riportati tutti i verbali delle
riunioni di questo organo. Pertanto: i verbali relativi al controllo periodico
della contabilità e della cassa, verbali relativi al controllo dei rendiconti
predisposti dal Consiglio direttivo, verbali per la redazione della Relazione
annua all’Assemblea ecc.
Infine, nel libro dei verbali del Collegio dei Probiviri vanno riportati tutti i
verbali delle riunioni di questo organo, sono: i verbali per deliberare su
eventuali deferimenti a questo organo di soci verbali per sentenze come
“amichevoli compositori” nel caso di controversie tra soci o tra i vari membri
degli organi sociali25.
3.2 Il sistema di Budgeting e il sistema di reporting
Si definisce Sistema di budget (o sistema budgetario) l'insieme dei budget
attraverso i quali si fissano obiettivi e risorse di un'azienda con riferimento ad
un dato periodo di tempo (solitamente ad un anno). Il budget è uno strumento
di programmazione della gestione d'impresa e le informazioni per la sua
redazione vengono prese prevalentemente dalla contabilità analitica e dalla
contabilità generale. L'osservazione dell'andamento storico dei dati
rappresentativi dell'attività gestionale permette di formulare previsioni di
breve periodo ragionevolmente precise. Programmare significa impostare
l'attività aziendale affinchè si raggiungano gli obiettivi prefissati in sede di
pianificazione. La programmazione non coinvolge solo i direttori generali, i
quali redigono il programma che riguarda l'attività di tutta l'azienda (budget
direzionale o generale), ma coinvolge anche i responsabili delle aree
operative. Il bilancio preventivo o budget si configura come un documento
25 Libri sociali, in L. Alberti, Associazioni di volontariato e Onlus, Edizione Fag, Milano, 2007, pp. 179 ss.
60
formale che traduce in numeri gli obiettivi aziendali e con il quale si pongono
le basi per il controllo dell'attività aziendale. Vi sono almeno tre livelli
decisionali coinvolti nella stesura del documento di budget: 1) livello
strategico (Consiglio regionale), 2) livello direzionale (Direzione generale), 3)
livello operativo (centri di responsabilità).
La budgetizzazione è un procedimento di previsione che collega le attività alle
risorse (umane, tecnologiche e finanziarie), in stretto riferimento ai risultati
attesi da ogni unità organizzativa o da ogni centro di responsabilità. Attraverso
il budget i responsabili hanno dei valori di riferimento con cui confrontarsi.
Per poter stilare un bilancio preventivo tutti i settori dell'azienda devono
essere coordinati ovvero si deve raggiungere quella integrazione organizzativa
che migliori l'efficienza e l'efficacia della gestione. Il budget motiva gli
interessati ad un comportamento finalizzato al raggiungimento degli obiettivi
individuati in quanto permette la valutazione dei responsabili dei centri e dei
loro collaboratori. L'analisi degli scostamenti permette di valutare le cause che
disturbano il raggiungimento degli obiettivi. A seguito di tale analisi si
prendono le decisioni e si adottano le azioni correttive idonee a riallineare
risultati ed obiettivi. L'appoggio e l'interesse del vertice aziendale alla
programmazione dei budget operativi e alla funzione di autocontrollo è
“conditio sine qua non” affinchè il controllo di gestione possa avere successo.
3.2.1 I Sistemi di reporting: principi e criteri di funzionamento
I sistemi di reporting26 intra-aziendali rivestono una importanza strategica nel
mantenere il sistema organizzativo in piena efficienza e permettere la
26 Giovanni Serpelloni 1), Elisabetta Simeoni 2) 1. Dipartimento delle Dipendenze - Azienda ULSS 20 Verona 2. UPM (Unità di Project Management) - Dipartimento delle Dipendenze - Azienda ULSS 20 Verona
61
diffusione delle informazioni ai vari livelli interessati. Il sistema di reporting
fa parte dei sistemi di programmazione e controllo essendo il “cuore” di tali
sistemi. Il controllo infatti non può esplicarsi senza un passaggio tempestivo di
informazioni sulle attività correnti e la programmazione non può essere fatta
se non si è in possesso di informazioni e dati relativi alle attività, alle risorse
impiegate e ai risultati ottenuti precedentemente.
I sistemi possono essere più o meno complessi e performanti in base alle
necessità e alle risorse disponibili, ma il concetto principale da condividere è
che non se ne può fare a meno.
Anche a livello micro-organizzativo, l’attività di reporting è fondamentale ed
irrinunciabile.
Nessun team sarà in grado di operare a lungo se gli operatori non hanno
informazioni a feedback delle loro attività. I sistemi di reporting non devono
però essere considerati una noiosa attività per documentare ai propri superiori
le attività svolte, magari dopo mesi che sono terminate, ma con moderni ed
efficienti sistemi devono essere in grado di far comprendere “just in time” se
le attività programmate stanno rispettando le attese e se gli obiettivi prefissati
vengono raggiunti. Tutto questo come è facilmente comprensibile rientra in
una logica budgetaria di cui per l’appunto i sistemi di reporting fanno parte.
In altre parole i sistemi di reporting traggono la loro validità ed utilità dalla
preesistenza di un sistema di budget che fissi obiettivi verificabili, che esplichi
un controllo costante delle attività e delle risorse consumate e ne “riferisca”
rapidamente a chi può mettere in atto opportuni correttivi (se necessario).
Il sistema di reporting è dunque, una “Attività di comunicazione” finalizzata
alla produzione di informazioni “just in time” tramite la raccolta e
l’elaborazione di dati, a supporto del processo di budgeting e del decision
making.
Le comunicazioni possono essere di vario tipo: orali, scritte, in forma scritta
discorsiva (poco immediata ma più orientante e fedele alle interpretazioni del
reportista), in forma tabellare (asettica, richiede l’interpretazione del lettore),
62
in forma grafica (immediata, meno specifica e dettagliata).
3.2.2 Finalità del Reporting
Le finalità del report possono essere di tipo generale e specifico.
Le generali sono:
- diffondere conoscenze all’interno dell’azienda;
- stimolare l’attenzione;
- far capire situazioni e fenomeni;
- produrre interventi.
Mentre le specifiche sono:
- di conoscenza: fornire conoscenze strutturate e di tipo generale sul
contesto aziendale in cui si opera, anche non in relazione con l’ambito
di responsabilità. Fornire inoltre conoscenze generale comuni a tutti i
responsabili dei diversi settori attraverso report non standardizzati;
- di controllo: finalizzate a prendere decisioni spesso per problemi
specifici, fornire report centrati sulle variabili su cui i dirigenti sono
responsabilizzati. Fornire inoltre conoscenze specifiche all’ambito di
azione e responsabilità attraverso report standardizzati;
- decisionali: fornire informazioni in relazione diretta con le decisioni da
prendere.
3.2.3 Tipologia dei Report
I report possono quindi essere classificati in: di conoscenza, di controllo e
decisionali.
I primi in particolare possono essere di vario tipo:
- di routine (strutturati, periodici, standard);
- di approfondimento (a richiesta) più analitici;
- non strutturati, ad hoc, per problemi specifici.
Essi possono essere distribuiti in forma congiunta o in forma disgiunta. La
63
decisione di fornire i report nelle varie forme dipende dalle esigenze
informative e dalle strategie aziendali.
La diffusione di informazioni utili comporta anche che si definisca il livello di
volume informativo che si vuole diffondere, valutando anche che un volume
molto alto di informazioni può generare disorientamento soprattutto nei
processi decisionali.
Le informazioni da inviare devono avere un grado di dettaglio idoneo a far
comprendere la situazione delle variabili da governare (cogliere problemi)
creando la possibilità di prendere decisioni e mettere in atto azioni correttive
(intervenire praticamente).
Le informazioni inoltre devono essere in grado di far valutare i risultati delle
attività (controllare gli effetti) e devono essere tarate sul livello gerarchico
(reale potere decisionale) con il giusto grado di dettaglio e di aggregazione.
I vari operatori con i vari ruoli e livelli gerarchici infatti hanno bisogno di
informazioni diversificate soprattutto nel grado di dettaglio ed aggregazione e
nella specificità dei contenuti.
Più aumenta il livello gerarchico e più aumenta il grado di aggregazione delle
informazioni e più diminuisce il grado di dettaglio necessario.
Le informazioni necessarie infatti per la direzione strategica, sono più di tipo
gestionale, amministrativo e contabile con alto grado di aggregazione, mentre
per le U.O. di tipo clinico le informazioni devono essere più dettagliate e
maggiormente orientate alle attività cliniche e ai risultati ottenuti sia in termini
di output che di utilizzo particolareggiato delle risorse. Nel confezionare i
report sarà quindi necessario trovare il giusto bilanciamento.
I criteri principali per la costruzione di un sistema di reporting sono molti ed
in particolare:
1. rilevanza;
2. controllabilità;
3. concisione/selettività;
64
4. gerarchizzazione;
5. frequenza/tempestività;
6. attendibilità;
7. comprensibilità;
8. confrontabilità,
3.2.4 Nuove forme di finanziamento
Il consumatore che acquisti prodotti per un prezzo pari o superiore a
cinquanta euro, in esercizi commerciali convenzionati con associazioni,
organizzazioni ed enti che svolgano attività etiche, ha la possibilità di
manifestare l’assenso alla destinazione a loro favore (da parte dello Stato)
di una quota pari all’1% dell’imposta sul valore aggiunto sui prodotti
acquistati.
Pertanto, l’intervento legislativo per altro verso realizza una forma
indiretta di finanziamento, a favore delle organizzazioni ritenute più
meritevoli nel campo delle attività sociali. Il legislatore in tal modo, cerca
di favorire le finalità degli organismi non lucrativi, intervenendo sul
versante delle risorse economiche necessarie per la realizzazione di attività
etiche. In ogni caso, le forme finanziarie (etiche) non possono creare
l’illusione di aver risolto tutte le sottostanti implicazioni economiche
collegate alle organizzazioni non profit. Del resto, il loro ruolo è molto
importante, perché permette concretamente di coniugare l’impegno sociale
nella realtà finanziaria, orientando i risparmi verso progetti di investimento
produttivi e socialmente utili. Tale forma di finanziamenti stimola il
mercato a svolgere in modo più corretto la sua funzione. La presenza di
queste particolari forme di finanziamento, non deve però indurci a ritenere
che tutte le vicende del non profit siano collegate alle problematiche
economiche; non occorre dimenticare che la caratteristica di tutte le
organizzazioni del terzo Settore è rappresentata dalla possibilità di non
65
offrire servizi complessi, per cui è possibile in molti casi, garantire
efficienti livelli di servizi, anche a prescindere da importanti forme di
finanziamento.
Sul piano della soggettività i destinatari del provvedimento sono
parzialmente individuati. Infatti nelle associazioni di promozione sociale,
alle organizzazioni di volontariato e Onlus, la qualificazione dei beneficiari
si estende in modo chiaro, diversamente, in altri casi si dovrà far
riferimento a criteri soggettivi ed oggettivi che verranno stabiliti in un
tempo successivo. In assenza, però, di una specifica indicazione, si
riterranno beneficiari dei finanziamenti, solo le organizzazioni che
svolgono attività etiche. La loro individuazione avviene, di regola, con lo
svolgimento di attività solidaristiche.
Nel nostro ordinamento, le finalità solidaristiche, si manifestano quando le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi, vengano effettuate, nei settori di
assistenza sanitaria, istruzione, formazione, promozione della cultura,
dell’arte, della tutela dei diritti civili in favore di persone svantaggiate.
Le agevolazioni, relative ad associazioni di volontariato, Onlus ed altri
enti, prevedono l’erogazione di contributi in misura percentuale sul prezzo
di acquisto del bene, determinata sulla base delle domande pervenute e
ritenute ammissibili. La misura percentuale si riferisce al 20% e non deve
indurci a confondere il contributo in esame con la corrispondente Iva,
poiché quest’ultima, trattandosi di un’imposta comunitaria, risulta difficile
operare modifiche sostanziali senza incorrere in censure da parte
dell’Unione Europea. D’altra parte l’articolo 14 del decreto legislativo n.
460/1997, si limita ad armonizzare la normativa riguardante l’imposta sul
valore aggiunto con la nuova realtà rappresentata dalle Onlus. In questo
ambito s’inserisce la proroga delle esenzioni fiscali a favore delle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
La proroga del regime di esenzione risulta, peraltro, coerente con la
principale finalità della normativa di riordino delle citate istituzioni,
66
rappresentata da un progressivo inserimento nell’ambito della rete degli
interventi di integrazione sociale. Tale legislazione ha, pertanto, ridefinito
una nuova configurazione giuridica in termini di autonomia e
valorizzazione delle finalità istituzionali. Non a caso, il decreto prevede
espressamente l’esclusione di qualsiasi finalità lucrativa, l’autonomia
statuaria patrimoniale, gestionale e la possibilità di operare con criteri
imprenditoriali.
3.3 L’Organizzazione di una Onlus
Alle Onlus viene imposto l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto
annuale27 a prescindere da specifiche previsioni civilistiche. Tale obbligo è
dettato dall’articolo 25 del decreto legislativo n. 460 del 1997. Nelle
aziende non profit i bilanci devono essere a prova di solidarietà sociale. La
principale finalità del bilancio è quella di rispondere in modo sistematico e
periodico alle esigenze conoscitive dei soggetti interessati. Nonostante in
Italia gli enti senza scopo di profitto siano numerosi e diffusi, si rileva
comunque, una paradossale carenza di regolamentazione. Mancano, cioè,
norme contabili che contribuiscano al riconoscimento della realtà
economica di queste aziende in importanti ambiti di produzione di servizi.
A riguardo, i postulati di bilancio delle aziende non profit trovano il loro
fondamento nella normativa di riferimento, nella migliore prassi
professionale nazionale ed internazionale, nei principi della dottrina e negli
autorevoli orientamenti giurisprudenziali. In sostanza, sono stati presi in
considerazione i principi contabili nazionali per le imprese, i principi
emanati per gli enti pubblici non economici e per gli enti locali. Sono stati
presi in considerazione, inoltre, i principi contabili internazionali per il 27 Gli Enti non lucrativi: Bilanci a prova di solidarietà sociale, in Rivetti, Onlus autonomia e controllo, Edizione …, Milano, pp. 97 ss.
67
settore privato (IAS/IFRS) e per il settore pubblico (IPSAS), nonché i
principi contabili statunitensi con particolare riferimento ai documenti
concernenti le organizzazioni non lucrative. Per questa ragione, non si
possono escludere difficoltà di predisposizione, in assenza di principi
contabili specifici per il settore del non profit. Infatti, in alcune circostanze,
gli adattamenti potrebbero presentare problemi non indifferenti. Per
esempio, i principi statunitensi, anche se validi, non potranno
meccanicamente essere trasferiti nel nostro Paese in considerazione, per
giunta dell’estrema varietà del settore non profit.
È evidente che intorno ad un ente si possano creare diversi interessi:
dall’ente erogatore dei finanziamenti, degli utenti, dei privati finanziatori
ecc. riveste dunque, fondamentale importanza la predisposizione di un
quadro organico di valori di bilancio delle aziende non profit. D’altro canto,
un sistema informativo può garantire trasparenza gestionale, mediante la
comunicazione di informazioni idonee a verificare il rispetto dei vincoli
economici e trasparenza istituzionale, mediante la comunicazione di
informazioni finalizzate alla verifica dell’effettivo perseguimento di finalità
solidaristiche.
I bilanci sono redatti sul presupposto di un funzionamento attuale e
prevedibile per il futuro. Invece, in caso di situazioni patologiche, note alla
data di redazione del bilancio, è necessario far riferimento a principi e
criteri alternativi in grado di poter meglio rappresentare il reale valore
sociale ed economico dell’azienda. I bilanci delle aziende non profit devono
essere redatti secondo il principio di competenza economica. In tal modo
essi risultano più adatti a fornire informazioni in merito al reale stato di
salute dell’azienda, con riferimento all’effettiva situazione finanziaria-
patrimoniale ed economica. È tuttavia consentito alle aziende non profit di
ridotte dimensioni la redazione del bilancio secondo il principio di cassa
sebbene, viene precisato che questo principio sia inadatto al raggiungimento
di una rappresentazione corretta e veritiera.
68
Nella preparazione del bilancio occorre tenere in considerazione due
finalità prevalenti: la rappresentazione corretta e la ricerca di un elevato
livello di responsabilizzazione. Sul piano normativo la regolamentazione
formale del sistema informativo contabile delle associazioni non profit, si
fonda sull’articolo 20 del codice civile il quale dispone l’obbligo in capo
agli amministratori di convocare l’assemblea per l’approvazione del
bilancio almeno una volta ogni anno. Si tratta però di una norma alquanto
lacunosa in quanto nulla dispone in ordine della tenuta contabilità, al
contenuto o forma del bilancio.
La disciplina tributaria del sistema contabile, riguarda esclusivamente le
attività commerciali dell’ente non lucrativo, poiché in assenza di operazioni
non si riscontrano particolari obblighi contabili ai fini fiscali; in presenza di
attività lucrative sussiste però un preciso onere di istituzione di un completo
sistema di scritture da redigersi entro quattro mesi dalla chiusura
dell’esercizio finanziario, la cui funzione è quella di rappresentare
compiutamente la situazione economica e finanziaria degli organismi in
esame. A proposito, gli adempimenti contabili sono indicati nel nuovo
articolo 20-bis del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, che reca una normativa
sistematica degli adempimenti, intesa come strumento di trasparenza ed
efficienza dell’intera attività gestionale. L’articolo 13 del D.P.R. n.
600/1973 annovera gli enti non commerciali tra i soggetti obbligati
all’istituzione delle scritture contabili, infatti il successivo articolo 20-bis,
per effetto delle modifiche introdotte dall’articolo 8 del D.Lgs n. 460/1997,
ribadisce espressamente la tenuta di libri e scritture contabili, anche per gli
enti soggetti alla abolita imposta sul reddito delle persone giuridiche, che
non abbiamo per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività
commerciali. Le modifiche apportate, dispongono che indipendentemente
dalla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non
commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi, dovranno entro
quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, redigere un rendiconto tenuto e
69
conservato ai sensi dell’articolo 22, del quale devono risultare anche a
mezzo di un’apposita relazione illustrativa, le spese e le entrate in modo
chiaro e trasparente per le relative celebrazioni, ricorrenze ecc.
Inoltre, il legislatore, coerentemente con una prospettiva di trasparenza
gestionale, ha l’obbligo di tenuta contabilità separata nell’ipotesi di
esercizio congiunto di un’attività commerciale. I dati contabili dovranno
infine, confluire in un apposito documento (bilancio o rendiconto). Dunque,
l’istituzione di una contabilità riferita all’insieme delle attività, è finalizzata
a rilevare in modo sistematico e cronologico tutte le operazioni
riconducibili al periodo di gestione. Ne deriva, perciò, l’obbligo di redigere,
sempre entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio patrimoniale, un
prospetto riepilogativo rappresentativo di tutta la situazione economica e
patrimoniale dell’organizzazione in esame. Il documento assume valore
decisivo per la configurazione giuridica dell’ente, in quanto dovrà
evidenziare in modo chiaro le vicende economiche dell’ente. In dettaglio le
risultanze contabili dovranno evidenziare l’utilizzazione delle risorse
economiche esclusivamente per il perseguimento di finalità di solidarietà
sociale. Dalle scritture contabili, dovrà inoltre rilevarsi in modo assoluto
l’esclusione di qualsiasi forma di distribuzione degli utili. L’’istituzione e la
corretta tenuta della contabilità costituiscono adempimenti particolarmente
delicati imposti da norme sia civilistiche che fiscali. È inoltre importante
citare il fatto che gli obblighi normativi siano riconducibili a tutte le Onlus,
ad eccezioni delle società cooperative per le quali rimane fermo l’obbligo di
tenuta della contabilità ordinaria, in virtù della loro assimilazione giuridica
con le società di capitali. Riguardo agli obblighi documentali relativi alla
legislazione sul lavoro, i corrispondenti registri sono sempre e comunque
obbligatori, senza alcuna distinzione tra attività complessiva e attività
direttamente connessa in presenza di personale dipendente (obbligatorio il
libro paga e il libro matricola e il libro degli infortuni previsto ai fini Inail).
Le organizzazioni in esame, assumono infatti, la qualifica di sostituti
70
d’imposta anche se privi di personalità giuridica, ogni volta che
corrispondono compensi o altre somme, nell’ambito di specifici rapporti di
lavoro dipendenti. In tale circostanza devono operare le ritenute fiscali ai
fini delle imposte dirette nella misura prevista dalla legge. Per gli enti in
esame, l’obbligo di versamento delle ritenute, sussiste anche in assenza di
un’attività di natura commerciale, essendo sufficiente l’assunzione anche di
un solo lavoratore. Si ricava che in quanto datori di lavoro, devono
assoggettarsi a tutti gli obblighi di versamento, nonchè di istituzione e
corretta tenuta delle scritture contabili. Ricorrono inoltre, specifici obblighi
di certificazione, poiché ogni anno, si rilascia al dipendente, ai fini
contributivi e previdenziali, una certificazione unica dei redditi, da cui
risulti l’ammontare delle somme corrisposte, le ritenute operate e le
detrazioni di imposta effettuate. Successivamente, l’ente presenterà una
certificazione, relativa ai redditi assoggettati a ritenuta l’anno precedente, in
cui dichiarerà : codice fiscale, indirizzo e comune di iscrizione anagrafica
del lavoratore, contributi a carico del lavoratore, indennità fine rapporto e
così via. La dichiarazione dovrà essere sottoscritta a pena di nullità, dal
legale rappresentante dell’ente, in qualità di datore di lavoro. Tale nullità,
può essere comunque sanata, qualora entro trenta giorni dal ricevimento
dell’invito da parte del competente ufficio, il legale rappresentante dell’ente
adempia all’obbligo di sottoscrizione. (art. 1 D.P.R. n. 322/1998).
71
Capitolo 4
Le Fonti di Finanziamento
4.1 La gestione dei compensi
La distribuzione dei compensi, nell’ambito delle Onlus, rappresenta una
questione particolarmente delicata.
In effetti, negli enti non commerciali la vera questione è rappresentata dal
raggiungimento del profit, quanto alla corretta gestione del profitto. Le
organizzazioni in esame si sono trasformate, negli ultimi anni, in vere e
proprie realtà d’impresa capaci di intervenire con efficienza e rapidità di
intervento nei campi di utilità sociale. Pertanto il nuovo ruolo impone una
corretta pianificazione delle attività, anche attraverso la rigorosa applicazione
di strategie aziendali; in tal senso principi di marketing risultano di evidente
utilità per una efficace realizzazione del Fund Raising28 (raccolta fondi).
L’applicazione dei criteri gestionali, alle procedure di raccolta fondi può
portare notevoli vantaggi all’ organismo non profit. In tal senso,
l’organizzazione assume una struttura che impone una attenta riflessione del
nuovo ruolo degli organi amministrativi, che non si trovano più a gestire
fenomeni di piccolo volontariato ma delle complesse ed articolate realtà
economiche. La tematica della gestione dei compensi, assume un valore
connesso con le stesse prospettive di crescita dell’ente non lucrativo. Una
delle preoccupazioni costanti del settore non profit è costituita dalla possibilità
28 La gestione dei compensi nelle Onlus: problematiche giuridiche, in G. Rivetti, Onlus autonomia e controlli, Edizione Giuffrè, Milano, 2004, pp. 112 ss.
72
di erogare compensi, a vario titolo, a coloro i quali prestino la loro opera
all’interno dell’organismo non lucrativo. Bisogna, peraltro, non trascurare che
una delle conseguenze collegate all’inosservanza delle disposizioni in materia,
è la perdita della qualifica come ente non commerciale.
Ovviamente, il regime giuridico di riferimento è ben diverso da quello delle
società commerciali, ma il divieto di distribuzione degli utili non
necessariamente si pone in contrasto con la possibilità di poter erogare
compensi.
L’articolo 10 del D.Lgs. n. 460/1997, prevede la possibilità di corrispondere
emolumenti agli organi amministrativi e di controllo, di compensi non
superiori a quelli previsti per il presidente del collegio sindacale delle società
per azioni. La questione della distribuzione degli utili è strettamente collegata
con la gestione dei compensi. Ad esempio, la normativa prevede l’esclusione
della ripartizione degli utili, sotto qualsiasi forma ed in relazione a qualsiasi
momento dell’attività sociale o dell’eventuale scioglimento del rapporto e in
caso di scioglimento dell’ente.
Dunque, il legislatore individua particolari fattispecie le quali realizzano una
indiretta distribuzione di utili o avanzi di gestione e assumono un valore di
presunzione assoluta. In concreto, si tratta di cessioni di beni o prestazioni di
servizi a soci o associati, effettuate a condizioni più favorevoli. È evidente,
che la rigidità della normativa vuole contrastare ipotesi di distribuzione degli
utili in forma figurata, con la conseguenza che la diminuzione patrimoniale,
andrà ad incidere sui livelli qualitativi e quantitativi delle attività istituzionali.
È opportuno evidenziare che nell’ambito di applicazione della normativa in
esame rientrano, non solo gli utili derivanti dalle attività istituzionali, ma
anche gli utili delle attività decommercializzate svolte dalle Onlus negli
undici settori di riferimento ( assistenza, beneficenza, istruzione ecc.).
Di regola è possibile retribuire il lavoro dei soci, nonostante ci siano dei limiti:
le Onlus, non possono pagare salari o stipendi superiori del 20% rispetto ai
contratti nazionali. Mentre per altre tipologie associative, la normativa in
73
materia di volontariato, non prevede la possibilità per i volontari di ricevere
compensi. Gli stessi possono essere rimborsati, dall’organizzazione di
appartenenza in relazione all’attività sostenuta. Nella circostanza bisogna tener
conto delle previsioni statuarie, le quali qualora prevedano l’impossibilità di
retribuire incarichi o addirittura prevedano l’obbligo di svolgere gratuitamente
ogni incarico sociale, determinano la necessità di una modifica dello statuto.
Relativamente a quanto accade nella gestione dei compensi, aumenta oggi, il
ricorso a forme di marketing sociale29 nelle organizzazioni non lucrative. È in
costante crescita il numero di associazioni che ricorrono ad iniziative
finalizzate a rendere maggiormente visibile la propria azione, anche all’interno
del settore non profit. L’intero sistema di finanziamento, delle erogazioni
liberali, risulta collegato a scelte private verso associazioni da individuare. Da
ciò consegue la necessità di farsi conoscere e, quindi, di sviluppare forme di
marketing rivolte a potenziali donatori.
Il marketing sociale non è altro che il ricorso a regole economiche di
marketing tradizionale applicato al sociale. Il divieto di distribuzione degli
utili non esclude, l’adozione di metodi di gestione improntati a criteri di
economicità. In questo contesto, quindi, la comunicazione della propria
missione ed il fund raising, diventano strategie economiche necessarie per
rendere efficiente e durevole l’attività dell’organizzazione.
Il mercato non profit viene inteso come l’insieme di rapporti con le
organizzazioni senza scopo di lucro, cui fanno riferimento la domanda e
l’offerta di servizi di carattere etico e sociale. L’efficacia di queste strategie
economiche, di regola, vengono ricondotte alla riconosciuta carenza delle
strutture pubbliche nella soluzione di problematiche sociali.
Non è possibile, inoltre, trascurare la circostanza che, ogni organizzazione si
trova a dover fronteggiare problemi con i propri mercati. Per cui l’uso di
criteri di marketing, consente di affrontare tali situazioni con maggior
29 La gestione dei compensi nelle Onlus: problematiche giuridiche, in G. Rivetti, Onlus autonomia e controlli, Edizione Giuffrè, Milano, 2004, pp. 118 ss.
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efficienza ed efficacia di interventi. Il ricorso alla comunicazione sociale è uno
strumento in grado di garantire efficienza all’organizzazione, ma allo stesso
tempo deve essere utilizzato in modo corretto in quanto và ad incidere su
valori etici ed attività di particolare meritevolezza sociale. Le organizzazioni
non profit vengono, a trovarsi in una situazione di mercato con la conseguenza
di dover realizzare un vero e proprio mutamento di mentalità, poiché sono
destinate ad entrare in un mercato delle preferenze, preparandosi a far fronte
ad una sorta di competizione per le scelte degli italiani in occasione.
Tutto questo impone loro di proporre forme di gestione dell’organizzazione,
attraverso la realizzazione di strategie e criteri teoricamente assimilabili a
quelli aziendali. L’insieme di strategie di mercato, non incide sui contenuti
istituzionali degli organismi in esame, bensì sulle metodologie e sulle
proposte, in altri termini sulle modalità attraverso cui le organizzazioni non
profit realizzano le loro finalità istituzionali.
D’altro canto, i nuovi spazi conquistati dalle organizzazioni non profit,
comportano la costante ricerca di strumenti di finanziamento e di gestione
economica, in modo da renderle capaci ed economicamente autosufficienti per
il perseguimento delle finalità istituzionali. Lo stesso sistema economico di
riferimento, per certi aspetti concorrenziale, impone sempre più spesso la
necessità di dotarsi di strumenti gestionali e di supporti finanziari, al fine di
rendere maggiormente visibile l’azione delle singole associazioni. Si realizza
cioè una sorta di concorrenza interna alle organizzazioni non lucrative le quali
sono chiamate a dividersi le risorse umane ed economiche del settore.
4.2 Il Fund Raising
Uno degli strumenti più importanti, in una prospettiva di realizzazione di
75
strategie di marketing, è rappresentato dal fund raising30.
Espressione che sta proprio ad indicare la raccolta e la ricerca di fondi per
finanziare le attività di associazioni, fondazioni, Onlus ecc.
Le organizzazioni non lucrative, sul piano funzionale, sono caratterizzate dallo
svolgimento di attività di servizi senza fine di lucro a favore di determinate
persone o di una collettività. Risulta evidente che la raccolta di fondi deve
essere finalizzata in funzione strumentale per la realizzazione di finalità
solidaristiche.
In quanto non è ipotizzabile che quest’ultima possa costituire l’attività
prevalente di un’organizzazione non profit.
A tal fine è necessaria l’adozione di misure volte a garantire effettività dei
fondi e la trasparenza nella gestione, in modo da non incidere negativamente
sulle scelte successive dei donatori. L’effettiva sussistenza del vincolo di non
distribuzione degli utili costituisce un sicuro riferimento per i donatori
nell’erogazione dei contributi; e per il fornitore del servizio rappresenta una
variabile che non influenzerà negativamente la qualità del servizio assicurato.
Và inoltre ricordato che una campagna di raccolta fondi ha i suoi costi
(personale, stampa, pubblicità ecc.) per cui è opportuno ricorrere a figure
professionali o strutture di servizi in grado di realizzare al meglio l’iniziativa.
La legittimità di queste operazioni economiche da parte delle organizzazioni
non profit non risiede solo sulla riconosciuta possibilità di potersi dotare di
una gestione economica, ma anche nella volontarietà delle stesse che devono
essere libere e prive di intenti speculativi.
Sotto il profilo tributario và evidenziato che non concorrono alla formazione
del reddito complessivo (art. 143 Tuir) i fondi raccolti durante manifestazioni
pubbliche occasionali. È necessario che le manifestazioni siano realizzate in
concomitanza di celebrazioni o particolari campagne di sensibilizzazione.
30 Fund Raising ed erogazioni liberali, in G. Rivetti, Onlus autonomia e controlli, Edizione Giuffrè, Milano, 2004, pp. 121 ss.
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L’esclusione impositiva si fonda sul presupposto che la semplice attività di
reperimento fondi per il perseguimento delle finalità istituzionali o di
solidarietà sociali, non costituisce una operazione riconducibile ad alcuna
delle categorie reddituali, indicate dalla normativa tributaria.
A fronte di tali agevolazioni corrisponde, un preciso obbligo contabile. Gli
enti devono, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, redigere un
separato rendiconto accompagnato da una relazione illustrativa nella quale
devono risultare le spese relative ad ogni manifestazione. Relativamente alla
modalità di tenuta contabilità del richiamato rendiconto, và precisato che esso
deve essere numerato progressivamente per ogni pagina, con l’indicazione
dell’anno di riferimento dell’operazione.
Nel dettaglio valgono, in ogni caso, le stesse regole previste per gli
adempimenti formali e sostanziali di tenuta delle scritture contabili (art. 22
D.P.R. n. 600/1973).
Altro canale di raccolta fondi è rappresentato dalle erogazioni liberali.
Il legislatore ha previsto forme particolari di contributo sotto forma di
erogazioni liberali i quali, peraltro, costituiscono anche benefici fiscali per
persone fisiche e società.
Ai fini del riconoscimento della richiamata detrazione occorre che il
versamento a favore dell’organizzazione sia effettuato esclusivamente
utilizzando sistemi di pagamento riconducibili ad istituti bancari o postali.
Con l’obbligo di effettuazione dei versamenti occorre sottolineare che sussiste
l’onere di conservazione delle ricevute dei versamenti in conto corrente
postale o delle ricevute dei bonifici bancari relativi alle suddette erogazioni.
È comunque aumentato il numero dei contribuenti che hanno effettuato
versamenti in denaro in favore delle Onlus.
77
4.2.1 Il ciclo del Fund Raising
Così come ogni attività complessa, che opera in un ambiente in continua
evoluzione e competitivo, anche per la raccolta fondi è stato individuato un
ciclo operativo che ordina per passi le azioni da seguire.
Questo strumento è definito il ciclo del fund raising; rispettandolo permetterà
all’associazione di muoversi adeguatamente, verificando e valutando i
risultati. Di certo il ciclo del fund raising, proprio per la sua natura
programmatica, può mostrare la sequenza d’azioni da compiere in maniera
assoluta, ma sarà poi compito delle associazioni scegliere quelle più
appropriate al caso e valutare gli effetti tenendo conto delle condizioni e dei
fattori. È opportuno, quindi, prenderlo in considerazione perché è da questo
che parte ogni attività di raccolta fondi, grande o piccola che sia. Le fasi del
ciclo di fund raising sono così suddivise:
• Avvio al fund raising: innanzi tutto è necessario creare e condividere
una vision e una mission. La vision è l’immagine completa di ciò che si
desidera raggiungere, è l’idea che motiva la nascita di un’associazione.
A sua volta la mission definisce gli ambiti di cui si occupa
l’organizzazione; deve essere ben definita e chiara per fare da filo
conduttore tra i vari soggetti che partecipano alla vita associativa. Così,
ad esempio, due o tre persone possono decidere di formare
un’associazione condividendo la vision di un mondo futuro senza
fumatori e definire per loro mission la prevenzione attraverso
l’educazione antifumo nell’età giovanile. Le organizzazioni non profit
esistono in funzione della loro mission, esistono per trasformare la
realtà individuando cose che non funzionano e cambiarle in cose che
funzionano. Non possono nascere organizzazioni che non abbiano ben
chiari gli scopi della loro esistenza.
• Identificazione degli obiettivi: è il secondo passo che l’associazione
non profit deve compiere, definendo per iscritto quali sono gli obiettivi
che si prefigge di raggiungere. È bene specificare i progetti che
78
s’intendono sviluppare e raccogliere tutte le informazioni relative. Solo
avendo ben chiari gli obiettivi si potrà auspicare il loro raggiungimento.
In gergo gli obiettivi di una organizzazione non lucrativa vengono
definiti “la buona causa”.
• Analisi dei mercati: l’associazione deve individuare i mercati di
riferimento, ovvero deve scegliere a chi rivolgere la sua richiesta di
fondi. I mercati si suddividono in: mercato delle persone, mercato delle
imprese, mercato delle fondazioni bancarie e filantropiche, mercato
degli enti pubblici.
• Scelta degli strumenti da utilizzare: costituisce il quarto step della
raccolta fondi e consiste nella scelta del mezzo più appropriato per
ottenere donazioni. Si parla di mailing, telemarketing, contatto diretto,
sponsorizzazioni, realizzazione di eventi, posta elettronica.
• Messa in opera: dopo aver scelto la strategia è arrivato il momento di
applicarla. Questa fase è molto delicata perché, se viene organizzata
male, rischia di compromettere tutto il lavoro fino ad ora eseguito. In
questa fase è importante creare un gruppo di persone valide tenendo
presente che senza un forte e motivato gruppo di volontari, senza che il
personale retribuito sia flessibile, disponibile al cambiamento culturale
e continuamente persuaso della bontà della causa, un piano di fund
raising è praticamente irrealizzabile. E’ poi opportuno considerare
anche la possibilità di rivolgersi ad un consulente di fund raising o a chi
comunque ha già maturato altre esperienze, per ascoltare i suoi consigli
professionali.
• Valutazione dei risultati: è la fase finale del ciclo che darà poi inizio
alla raccolta successiva e quindi ad un nuovo ciclo. Considera i risultati
ottenuti, gli obiettivi preposti e dà così modo di valutare l’operatività,
gli errori, le mancanze e i punti di forza. Inoltre permette di valutare i
costi sostenuti per ogni singola attività, che a loro volta serviranno da
parametro valutativo.
79
Il fund raising in Italia ha radici antiche. Si potrebbe quasi sostenere che esso
nasce 2000 anni fa, all’epoca dell’impero romano. Seneca e Cicerone (De
Officiis) si potrebbero definire i primi due teorici del fund raising, per non
parlare poi della grande stagione del Rinascimento e del Mecenatismo.
All’epoca, lo Stato, cioè il sovrano, non esercitava certo la funzione che
esercita oggi; eppure sappiamo quanto è stato fatto per l’arte, la cultura, la
scienza, l’assistenza31. Questo è importante non certamente per rivendicare
una sorta di primogenitura italiana, ma per sottolineare che anche in contesti
storici completamente diversi da quelli attuali era emersa l’esigenza e
l’opportunità di affidare ai soggetti della società civile compiti volti al
miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Appare evidente
insomma che, contrariamente a quanto molti ritengono, il fund raising in Italia
non è un fenomeno di recente formazione, importato magari dai paesi
anglosassoni. Ha infatti una tradizione plurisecolare, che affonda le sue radici
nella grandi istituzioni caritative sorte già in epoca medievale32. In quanto a
realizzazioni sociali e a raccolte di fondi per sostenerle, in alcuni settori come
la sanità e la scuola, l’Italia può vantare a buon diritto addirittura una sorta di
primogenitura. Nel medioevo e in epoca moderna diffusa era la
consapevolezza che le attività di assistenza e beneficenza, sanità e istruzione,
che hanno costituito i principali filoni di intervento delle istituzioni caritative,
fossero un patrimonio per tutti e che, in quanto tali, riguardassero tutti ed
avessero un valore pubblico. Risalgono a questo periodo le opere destinate
all’assistenza ai pellegrini, alla cura degli infermi, le iniziative a favore dei
carcerati, degli orfani e delle vedove, gli ospedali, fino ad arrivare alla
strutturazione di forme di tipo prettamente economico finanziario, riguardanti
il credito agevolato, come i Monti di Pietà. Molte di queste realtà sono
cresciute nel corso dei secoli e sono tuttora attive. Purtroppo in Italia lo Stato
31 Non profit, corpi intermedi e stato: un confronto con il caso americano, in V. Melandri (Atti del convegno, Centro Culturale Manfredini, Bologna 17 gennaio 1996). 32 La situazione italiana: una storia di nonprofit, in A. Cova, Il non profit dimezzato, (a cura di G. Vittadini), Etas Libri, Milano, 1997.
80
si è sempre più preoccupato di espandere la propria sfera d’azione che di
riconoscere e favorire l’iniziativa e l’operosità dei corpi sociali. La pressione
degli apparati statali e burocratici comincia a far sentire i suoi effetti già alla
fine del Settecento, per farsi decisamente pesante con la dominazione
napoleonica. E se l’Ottocento comunque si caratterizza dal punto di vista
sociale come il secolo dell’affermarsi di esperienze di autotutela, con
l’istruzione di con società di mutuo soccorso, in tempi in cui la previdenza non
esisteva ancora, con la nascita di banche popolari e casse rurali, con un
moltiplicarsi di iniziative nel campo dell’educazione dell’istruzione scolastica
e professionale, è proprio in quest’epoca che le istituzioni statali tendono a
estendere la loro influenza in tutti gli ambiti della vita civile; anche in quelli
dai quali fino ad allora si erano mantenute estranee. Nella seconda metà del
XIX secolo, poi, gli interventi legislativi dello Stato, che si susseguirono negli
anni prima e dopo l’unità di Italia, mirarono proprio ad eliminare una parte
considerevole delle organizzazioni operanti nel sociale e, in primo luogo,
quelle promosse e sostenute dalla Chiesa.
Si è così giunti, dopo un prolungato periodo di rafforzamento del welfare
state, alla crisi della tradizione solidaristica intorno ai primi anni Settanta e ad
una progressiva ripresa del mondo “non profit”. Negli ultimi anni si è assistito
allo sviluppo di un fund raising scientifico, vera e propria disciplina
professionale in cui modelli e tecniche tipicamente anglosassoni (mailing,
tesseramento, eventi speciali, telemarketing, cause related marketing, ecc)
rispondono sempre più alla cultura, all’etica e alle modalità di interazione
proprie del terzo settore.
I punti centrali di una “filosofia” del fund raising hanno origine da colui che è
universalmente riconosciuto come il massimo esponente mondiale del fund
raising: Henry A. Rosso.
81
Rosso ha scritto la sua filosofia del fund raising, solo verso la fine della sua
carriera, nel 1991, elaborata dopo una vita di lavoro come fundraiser,
consulente e docente, e solo qualche anno prima di morire, nel 1999.
Un tema centrale della filosofia di Rosso e del modo in cui l’autore affrontava
il suo lavoro è l’idea secondo cui “il fund raising è il servitore del non profit”.
Il fund raising, infatti, non è fine a sé stesso: se lo fosse, sia l’organizzazione
non profit sia i donatori ne risulterebbero sminuite. Secondo Rosso, il fund
raising non è altro che un mezzo per raggiungere un fine basato sulla mission
dell’organizzazione non profit. Gli elementi portanti su cui poggia il tema
centrale sviluppato da Rosso sono attuali ancora oggi come nel 1991. Il più
significativo di questi elementi consiste nell’interrogativo: “Perché esiste
l’organizzazione non profit?”, domanda che consente all’organizzazione di
spiegare la propria mission in relazione ai valori sociali che persegue. È la
mission a darci il privilegio di chiedere sostegno per finalità filantropiche, ed
essa riveste particolare importanza in un’epoca in cui le organizzazioni non
profit sono indotte a procacciarsi nuove fonti di sostentamento, a intraprendere
attività di mercato, ad allacciare collaborazioni e partnership, e a venire
incontro con fiducia ai cosiddetti venture philanthropist. La filosofia di Rosso
si basa altresì sul ruolo del consiglio di amministrazione. Secondo l’autore,
l’organo direttivo è responsabile non soltanto del fund raising, ma anche
dell’amministrazione, etica sia delle risorse, sia della mission
dell’organizzazione non profit. Per un fund raising di successo, l’organo
direttivo deve oggi garantire che il pubblico abbia fiducia nell’organizzazione
non profit. Il fund raising in quanto “servitore del non profit” deve fare parte
integrante del sistema manageriale dell’organizzazione non profit: anche
questo principio rappresenta un elemento portante della filosofia del fund
raising elaborata da Rosso, e anch’esso mantiene intatta la propria attualità
fino ad oggi. La raccolta di fondi non può rappresentare un’attività separata ed
isolata dalle altre: garantire che il pubblico riponga la propria fiducia
nell’organizzazione implica la necessità che a condurre il fund raising, sulla
82
base della mission, sia un personale retribuito e volontario realmente dedito
all’organizzazione non profit, e che la rappresenti nella sua integrità.
Risulta poi pertinente sottolineare un altro dei principi di Rosso, vale a dire
quello secondo cui “il fund raising è la nobile arte di insegnare alle persone la
gioia di donare”. Per far durare a lungo l’impegno del donatore e per suscitare
quella soddisfazione che lo indurrà ad aumentare la propria donazione, i
fundraiser devono infatti ricordare che donare è un gesto volontario. La
filosofia di Rosso si inquadra all’interno della concezione del fund raising
come “servitore del non profit”. Il modo in cui l’autore spiega il ruolo della
raccolta fondi prefigura i modelli attualmente necessari per assistere i donatori
nelle loro scelte filantropiche. Rosso afferma infatti che il fund raising “si
giustifica quando è usato come un invito responsabile che porta i donatori ad
elargire la tipologia di donazione che soddisferà le loro specifiche esigenze,
dando anche significato alle loro vite”. Oggi più che mai, i fundraiser hanno
bisogno di una filosofia della raccolta fondi.
4.2.2 Il futuro del Fund Raising
Il mondo del non profit, in generale, e del fund raising, in particolare è in
grande evoluzione. Dalla metà degli anni ‘90 in poi l’attenzione è
notevolmente cresciuta sia sul non profit che sulla figura del fundraiser.
Caratterizzato sino a quel momento da poche organizzazioni non profit e da
ben noti professionisti (fundraiser), il settore si è improvvisamente ampliato.
Un crescente numero di organizzazioni è stato fondato (quasi l’80% delle
organizzazioni oggi esistenti è stata creata dopo il 1981, e oltre il 55% dopo il
1991) e sono tanti i giovani consulenti attualmente noti e stimati dal mercato si
stanno progressivamente affermando.
83
Ci sono sfide che impediscono lo sviluppo pieno della professione, che queste
vanno affrontate al più presto, per favorire il lavoro del fundraiser (ed
indirettamente le organizzazioni non profit) portando così la percentuale dei
ricavi complessivi del settore derivanti dall’azione di fund raising dall’attuale
misero 3,3% ad almeno la media mondiale del 12,5%. Ne abbiamo individuate
alcune molto importanti:
• l’urgenza di accountability;
• la necessità di riforme fiscali: in parte sanata dall’approvazione “della
cosiddetta legge + dai – versi”;
• il comportamento dei “nuovi donatori”;
• la professionalizzazione del settore: attraverso la creazione di una
certificazione della professione di fundraiser;
• il compenso dei fundraiser.
Il fund raising è “ciò che l’organizzazione fa, al fine di creare rapporti di interesse
fra chi chiede risorse economiche, materiali e umane e chi è potenzialmente
disponibile a donarle”33. E con questa definizione entra in ballo in modo decisivo e
prorompente la categoria dell’interesse reciproco del fund rising come “scambio
sociale”, bensì lo scambio di reciprocità. Ne è uno esempio la redistribuzione.
L’ente pubblico riceve attraverso un’adeguata politica fiscale da ciascun
cittadino un contributo economico in tasse, proporzionato al reddito
imponibile di ciascuno, che ridistribuisce ai cittadini non in eguale misura e
non in funzione del valore versato, ma secondo le “necessità” di ciascuno;
ossia al più povero, che pur ha pagato meno tasse, verrà data una percentuale
maggiore rispetto ad un ricco, che pur ha versato una somma più elevata. Il
fund raising esiste laddove esiste uno scambio di reciprocità. Sorge, pertanto,
naturale chiederci:
• che cosa cerchiamo noi (organizzazione non profit) nello scambio?
33 Accountability e Aziende Non Profit, in V. Maelandri et al, Edizioni Dupress, Bologna, 2004.
84
• che cosa cercano loro (donatori) nello scambio?
Alla domanda che cosa cerchiamo noi (organizzazione non profit) nello
scambio con i donatori, alcune risposte plausibili potrebbero essere:
• soldi;
• tempo di volontariato gratuito;
• capacità di fare networking, conoscenze;
• informazioni;
• esperienza (umana e professionale);
• credibilità;
• beni materiali;
• attenzione;
• testimonianze.
Alla domanda che cosa cercano loro (donatori) nello scambio con
l’organizzazione non profit, alcune risposte plausibili potrebbero essere:
• sentirsi meglio, un buon feeling;
• utilizzare i benefici fiscali;
• essere ringraziati, avere riconoscimento pubblico;
• vedere dei risultati;
• migliorare la propria comunità di appartenenza, il proprio territorio, la
propria città, il proprio Paese;
• cercare conoscenze utili per il proprio lavoro;
• fare nuove esperienze e formazione;
• creare nuove relazioni sociali e professionali;
• avere pubblicità per sé o per la propria impresa profit;
• raggiungere fama e notorietà;
• ottenere “voti”.
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Tutt’ora, è necessario per le organizzazioni non profit, applicare criteri di
accountability della propria organizzazione, in modo da rendere sempre più
trasparente il processo di fund raising e di investimento dei fondi.
Per accountability si intende non solo l’assunzione di responsabilità, ma più
specificamente un sistema di regole e criteri trasparente, secondo il quale un
soggetto accetta anticipatamente di «render conto» ad altri di proprie azioni o
risultati specificati. I criteri da tenere presente sono:
• responsabilità nei confronti dei donatori;
• utilizzo dei fondi;
• materiali informativi e per le sollecitazioni;
• pratiche di fund raising;
• organo direttivo.
Da qualche tempo c’è in Italia un fenomeno cui si assiste, ed è la convinzione,
derivata da una serie di scandali, che nel mondo della solidarietà non tutti
abbiano le mani pulite, e che non valga la pena impegnarsi in un settore che
“predica bene, ma razzola male”. La convinzione dominante è che molti enti
non profit utilizzino male i fondi, non sempre in cattiva fede, ma
semplicemente per imperizia o per un eccessivo peso dei fondi destinati a
coprire i costi fissi e generali dell’organizzazione. Attualmente, la richiesta di
accountability si è fatta talmente pressante da indurre non solo le imprese
profit, ma anche le organizzazioni non profit a certificare i propri bilanci,
nonché a produrre “bilanci sociali” a dimostrazione della bontà della propria
azione e della coerenza con la propria mission. Associazioni dei consumatori
italiane iniziano a sostenere l’elaborazione e l’approvazione di una legge che
punisca i dirigenti e i consiglieri di amministrazione delle organizzazioni non
profit che ricevono salari eccessivi o che traggono interesse privato dai loro
rapporti con le organizzazioni del Terzo Settore In parte recepita dalla legge
460/97 che indica in non più del 20% la differenza fra lo stipendio del
86
“personale dipendente” di una Onlus e la tabella dei compensi dei revisori del
collegio sindacale.
Il management delle organizzazioni non profit e il fund raising si stanno
professionalizzando. La professionalizzazione conduce ad un utilizzo migliore
delle risorse, ad approcci maggiormente strategici, ad un aumento
dell’accountability, e ad un fund raising più efficace. Aspetto negativo della
professionalizzazione potrebbe far sì che if undraiser si concentrino
maggiormente sulla loro carriera, a discapito delle esigenze
dell’organizzazione non profit o dei donatori. Quando si inizia una raccolta
fondi, una delle prime cose che un’associazione si deve preoccupare di fare,
prima di cimentarsi nella raccolta fondi, è redigere il Documento Buona Causa
(DBC), ovvero un documento che riassuma una serie di informazioni utili per
rappresentare l’associazione di fronte al suo pubblico interessato (donatori,
volontari, personale retribuito, sponsor, pubblica amministrazione, ecc.).
Il Documento Buona Causa è un passaggio fondamentale per la costruzione
del piano di fund raising perché rappresenta l’espressione della causa, ovvero
di tutte le ragioni per le quali si dovrebbe contribuire alla sua promozione. Per
realizzare un fund raising di successo, il Documento Buona Causa, deve essere
ben articolato e compreso da tutti coloro che rappresentano l’organizzazione
agli occhi dei potenziali donatori, deve inoltre essere comunicato con
entusiasmo e in modo persuasivo a coloro da cui si cerca di ottenere una
donazione. Il Documento Buona Causa contiene due elementi fondamentali: il
documento stesso, utilizzato per uso interno e la Documentazione
Promozionale, che comunica la buona causa al pubblico. Il DBC propriamente
detto fornisce una serie di informazioni su tutto quello che un potenziale
donatore potrebbe aver bisogno o desiderio di sapere sull’organizzazione. Nel
DBC si trovano le seguenti componenti:
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• Mission: una dichiarazione morale significativa delle esigenze e dei
problemi umani e sociali per far fronte ai quali esiste l’organizzazione.
La mission risponde alla domanda “perché esiste l’organizzazione?”.
• Obiettivi strategici: dichiarazioni generali che definiscono ciò che
l’associazione si propone di ottenere nel far fronte alle esigenze e ai
problemi identificati nella mission. Gli obiettivi strategici rispondono
alla domanda “che bisogni serve l’associazione?”.
• Obiettivi operativi: dichiarazione su ciò che l’associazione farà per
provvedere al raggiungimento degli obiettivi strategici. Questi obiettivi
devono essere misurabili, raggiungibili, limitati nel tempo e devono
guardare ai risultati.
• Programmi e servizi.
• Organi di governo: spiega come viene eletto e nominato l’organo
direttivo, come funziona, come rappresenta la comunità e la
popolazione coinvolta nei servizi erogati.
• Personale: determina la composizione del personale, sia retribuito, sia
volontario, per un’efficace erogazione dei programmi e dei servizi.
• Strutture o meccanismi di erogazione dei servizi.
• Finanze: materiali espositivi, numerici e grafici che illustrano
chiaramente il modo in cui l’organizzazione acquisisce e spende le
proprie risorse finanziarie.
• Pianificazione, sviluppo e valutazione dell’organizzazione: descrizione
dei processi a lungo e breve termine usati dall’organizzazione, con
chiara indicazione degli obiettivi futuri.
• Storia della nascita e della crescita dell’associazione: breve descrizione
di come e perché l’associazione è nata, indicando chi l’ha formata e
quali sono stati i risultati ottenuti.
Una volta terminato il DBC verrà personalizzato e aggiornato cogliendo tutte
le informazioni che giungeranno dai costituenti dell’associazione ovvero da
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tutti coloro che hanno o prenderanno parte alla vita associativa. Questo
documento è utile in quanto fornisce l’identità dell’associazione.
Gli Strumenti del Fund Rising sono:
Il mailing che consiste in una richiesta scritta di donazioni che viene
distribuita e recapitata per posta. E’ l’invito alla donazione che l’associazione
fa chiedendo al ricevente (quasi sempre sconosciuto) di donare.
Anche se, ogni anno, migliaia di organizzazioni non profit, di grandi e di
piccole dimensioni, ricevono migliaia di euro attraverso la sollecitazione per
posta, il mailing rimane una tecnica non adatta a tutti. Non tutte le
organizzazioni non profit sono in grado di intraprendere campagne di mailing,
il problema si fa più evidente soprattutto nelle piccole organizzazioni.
La prima barriera è di natura economica: le organizzazioni di piccole
dimensioni non possono permettersi di intraprendere una campagna di
mailing, a meno che non siano riuscite ad ottenere un finanziamento specifico
da un grande donatore o da una fondazione.
La seconda barriera riguarda la visibilità: molte cause importanti sono troppo
specializzate o troppo ristrette a livello geografico, oppure non sono
abbastanza conosciute per produrre risultati redditizi.
Tuttavia, anche le organizzazioni piccole e specializzate possono e devono
approfittare delle tecniche del mailing e delle lettere in generale per
raccogliere fondi ed ampliare la loro base di sostegno. Un programma di
mailing ben fatto può essere molto vantaggioso e in grado di portare
importanti benefici per l’associazione:
• è un modo per farsi conoscere; inviando la lettera i destinatari avranno
modo di informarsi sull’attività svolta dall’associazione e potranno
decide se sostenere o meno la causa,
89
• permette di acquisire nuovi donatori oltre al rinnovo e all’aumento
delle donazioni attuali garantendo entrate affidabili e rinnovabili,
• se fatto con criterio, può apportare una consistente fonte di liquidità,
• è un modo per poter contare su grandi donazioni perché chi è donatore
da molto tempo può diventare un grande donatore,
• può essere utilizzato anche per informare i costituenti delle cause e
degli argomenti che interessano l’organizzazione non profit in un dato
momento,
• è selettivo e dà la possibilità di scegliere accuratamente le liste dei
destinatari.
Il mailing è un’operazione che è bene affrontare con l’intenzione di sostenerla
nel lungo periodo. Questo perché i costi sono corposi e le risposte incerte non
possono garantirne la copertura e “ l’utile”, soprattutto nelle prime campagne
di mailing.
I costi da sostenere riguardano:
• stampa e carta;
• spese postali (tariffa cumulativa o posta prioritaria);
• ditta di spedizione, qualora si decida di dare tutto in mano a una ditta
che spedisca buste e cartoline, le affranchi, smisti la poste e consegni
tutto all’ufficio postale;
• si possono poi citare le spese postali delle risposte, la gestione delle
liste dei potenziali donatori, i costi per la parte creativa e il tempo
investito in queste operazioni dal personale retribuito.
Per stimare e misurare i ritorni della campagna di mailing vengono usate tre
formule che riguardano la donazione media, il ritorno percentuale e
l’efficienza.
90
• La donazione media è, ad esempio, pari a 20 euro se le entrate totali
ammontano a € 100.000 e il numero delle donazioni è di 5.000;
• Il ritorno percentuale è il rapporto tra lettere ricevute e lettere inviate,
ad esempio ne sono pervenute 5000 e ne erano state spedite 100.000
allora il ritorno percentuale sarà pari a 5%.
• L’efficienza misura l’ammontare delle spese ricevute per ogni euro di
costo sostenuto. Ad esempio, se le spese totali ammontano a € 20.000 e
le entrate totali ammontano a € 100.000, la spesa per ogni euro raccolto
è di € 0.20.
Per quanto riguarda la tempistica: nel decidere il periodo in cui dare inizio alla
campagna di mailing è bene ricordarsi che:
• il periodo natalizio è quello più propizio dell’anno a ricevere una
donazione da un donatore sollecitato con il programma di mailing, ma
può essere anche un periodo troppo competitivo per cui occorre
conoscere la propria comunità di riferimento ed evitare i periodi meno
produttivi
• in molte comunità i periodi da gennaio ad aprile e da agosto a
novembre sono adatti per i programmi di mailing.
Mentre, le liste dei potenziali nuovi donatori, sono in assoluto l’elemento più
importante del mailing. Anche se la lettera è molto brillante, quando la lista è
quella sbagliata i ritorni saranno scarsi. Ma una lettera mediocre, inviata alla
lista giusta può spesso dare buoni risultati. In molte organizzazioni non profit,
di particolare entità, è diffusa l’attività di tesseramento soci, ovvero effettuano
un particolare tipo di raccolta che dietro al pagamento di una quota, la così
detta quota associativa, offre una serie di servizi e agevolazioni e ancor più
denota la qualifica di socio. Questa qualifica è molto importante perché
garantisce una serie di vantaggi per le associazioni, infatti un socio sviluppa
un senso di appartenenza che lo rende fedele e leale all’associazione e lo rende
91
pienamente partecipe alla mission e si sente anche utile al di là della semplice
donazione in denaro che è in grado di dare.
Tuttavia, non tutte le associazioni sono adatte per sostenere una campagna di
tesseramento perché il buon esito è fortemente influenzato dalla mission
sostenuta. Il tesseramento è opportuno per:
• organizzazioni che promuovono una causa politico sociale: un gruppo
per la difesa ambientale, un gruppo che promuove ideali patriottici, un
gruppo sostenitore o oppositore ad una legge;
• organizzazioni che rappresentano gli interessi di un particolare gruppo
sociale: associazione di pensionati, gruppi di veterani di guerra, società
di mutuo soccorso, sindacati, gruppi che promuovono l’uguaglianza
razziale;
• organizzazioni con una mission culturale o accademica: musei, gallerie,
circoli culturali, associazioni sportive;
Rispetto alla campagna di mailing, il tesseramento fornisce donazioni di
migliore qualità perché generalmente i soci rimangono sostenitori
dell’organizzazione più a lungo rispetto ai donatori casuali o che comunque
donano una volta ogni tanto ed inoltre i soci si dimostrano più disponibili a
rispondere agli appelli con donazioni più sostanziose. La qualità di socio dà
diritto ad usufruire di vantaggi che dipendono a loro volta dal budget a
disposizione dell’associazione. Al fine di raccogliere fondi per l’ente vengono
organizzati eventi speciali. Gli eventi speciali più comuni sono: cene o pranzi
di beneficenza, proiezione di filmati, feste da ballo, sfilate, feste di gala e vari
tipi di vendite, aste eventi sportivi o esibizioni canore. Lo scopo di un evento è
quello di farsi pubblicità, ottenere maggiore visibilità all’interno della
comunità, nonché di raccogliere fondi. All’interno del fund raising, gli eventi
speciali sono probabilmente la strategia di cui si fa l’uso più distorto. Se è vero
che ogni organizzazione non profit dovrebbe far rientrare gli eventi speciali
all’interno del suo piano generale di fund raising, è di capitale importanza
92
farne buon uso. Raccogliere fondi è sicuramente una delle finalità di un evento
speciale, ma è forse la meno importante. Per organizzare un evento di
successo è bene soffermarsi su alcuni aspetti per valutare le varie opportunità.
Ad esempio focalizzare il pubblico a cui ci si vuole rivolgere e cercare di
quantificarlo, cercare di intuire cosa piacerà di più, quale sia il genere di
evento di loro gusto, quale ambiente, in che giorno della settimana, in che
orario ecc… Altra cosa da valutare è il prezzo che il pubblico scelto sarebbe
disposto a pagare per partecipare all’evento. È molto importante valutare le
spese e le possibili entrate, ricordandosi che comunque bisogna anticipare tutti
i costi e quindi avere fondi disponibili per l’organizzazione dell’evento.
Da decenni si discute sull’uso delle tecnologie nel fund raising. I processi
tecnologici precedenti hanno aiutato gli uffici di fund raising ad
informatizzare le loro banche dati e quindi le informazioni in modo più
efficace ed efficiente. L’avvento dei fax ha migliorato le comunicazioni sia
interne che esterne ed alcune organizzazioni non profit realizzano operazioni
di mailing dirette ai donatori potenziali ed effettivi via fax, evitando così
costose spese postali. I trasferimenti elettronici di donazioni si sono aggiunti
agli altri metodi di donazione. Tuttora il panorama tecnologico è in costante
mutamento e l’ultimo arrivato, nonché quello di cui più si parla, è l’uso della
rete Internet nel programma di fund raising. Il fund raising su Internet ha
potenzialità illimitate, ma il suo uso deve essere adattato alla realtà e alla
consapevolezza delle risorse a disposizione. È giusto che venga usato come
strumento addizionale ai classici, in quanto permette di migliorare capacità in
termini di raccolta fondi, ma di certo non sostituirà le altre strategie standard,
riconosciute e collaudate nel fund raising. Esperti e professionisti concordano
sul fatto che Internet offre molte applicazioni eccellenti per sostenere e
migliorare un programma di fund raising, ma non vi è nulla che possa
sostituire il contatto personale con un donatore.
93
L’accesso al sito web consente all’associazione di supportare la raccolta fondi
nei suoi vari ambiti e spesso può anche sostituire i metodi tradizionali.
Utilizzando internet si può:
• sensibilizzare i donatori inviandogli newsletter, garantendogli l’accesso
a servizi gratuiti on line e a chat room su argomenti di loro interesse;
• acquisire nuovi donatori attraverso la posta elettronica, sostituendo
impegnative operazioni di mailing o di visite porta a porta;
• rinnovare i contributi, inviando un e-mail ai donatori. Nelle pagine web
può anche comparire un invito a contribuire alle attività
dell’organizzazione non profit, ad esempio facendo una donazione,
lasciando il proprio recapito per essere contattati dall’organizzazione
non profit, oppure rispondendo ad un appello per la raccolta annuale;
• organizzare eventi speciali “virtuali” al posto dei tradizionali incontri di
gruppo, rendendo così l’evento speciale più economico e in grado di
raggiungere un pubblico nuovo;
I vantaggi che l’utilizzo del web apporta alla raccolta fondi sono notevoli e
non vanno sottovalutati. La possibilità di raggiungere più persone rispetto ad
altri metodi, le spese correnti sono piuttosto basse, la e-mail offre
comunicazioni immediate e personali. Internet nel fund raising presenta anche
degli svantaggi vengono, infatti, osservati innumerevoli limiti, dovuti alla
diffidenza che ancora viene data alle nuove forme di comunicazione e
soprattutto alla forte connotazione relazionale che ha l’attività di raccolta
fondi e che col mero utilizzo del web viene messa in secondo piano.
Utilizzando internet, bisogna tenere a mente che l’utente che promette fondi
alle organizzazioni non profit può non mantenere le promesse. La quota
destinata all’organizzazione non profit potrebbe non arrivare, o può esistere un
limite massimo alle donazioni, oppure i consumatori possono sbagliare le
istruzioni. Oppure i donatori potrebbero non ritenersi soddisfatti della
percentuale che il sito non profit trattiene da ciascuna donazione per coprire i
94
costi. Far conoscere un sito internet ai donatori e portarli a visitarlo
regolarmente è costoso, e i costi per la promozione e la pubblicità possono
rivelarsi proibitivi.
4.3 Il Fund Raiser
Il fund raiser da alcuni viene definito come colui che “unisce cuore e
portafoglio, che unisce fonte e foce”, da altri come “colui che acquisisce
donazioni da privati a favore di organizzazioni non profit”, e potremmo
riportare decine di definizioni, ma anche in questo caso si è raggiunto un
generale accordo sul fatto che il fund raiser non sia un “mendicante”, ma un
rappresentante di una causa che qualcuno può decidere di finanziare o meno.
Il fund raiser è colui dunque che crea lo scambio di valori fra il donatore e l’
azienda non profit e che raccoglie fondi sui vari mercati (privato, aziende,
fondazioni) attraverso la definizione di precisi programmi e strategie relativi
(raccolta annuale, campagna capitali e/o grandi donazioni, donazioni
pianificate) e con l’ utilizzo di innumerevoli strumenti fra cui il mailing, il
telemarketing e l’ organizzazione di eventi speciali. È da definire inoltre il
compito del fund raiser italiano; appare chiaro, infatti, che il chiedere e il
donare coinvolgono tutta l’ azienda non profit, il fund raiser e il donatore in
un’impresa comune. Ecco allora che i compiti del fund raiser diventano
tantissimi, fra cui anche quello di interiorizzare il valore ed i valori dell’
azienda non profit, rappresentare l’ azienda non profit, ringraziare i donatori in
modo appropriato e sensibile e comprendere che ogni donazione ha al suo
interno qualcosa del donatore. È possibile considerare fund raiser persone che
sono attivamente impegnate (sia come volontario che retribuito) e svolgono
attività come:
1. Assistere il personale dell’ azienda non profit in campo amministrativo
e direttivo per tutte le attività di fund raising.
95
2. Creare appositi sistemi di archivio per trattare i dati relativi alla
partecipazione e all’identificazione dei donatori, nonché alla ricerca di
potenziali nuovi donatori e all’impegno profuso dai volontari nei
programmi di raccolta fondi.
3. Svolgere funzioni di formazione e supervisione del personale di
supporto retribuito e volontario, per quanto riguarda la creazione e il
mantenimento dei sistemi di archivio dei donatori.
4. Analizzare l’esigenza e l’opportunità di realizzare programmi generali
di relazioni pubbliche, in collaborazione con gruppi di supporto formati
da personale volontario e retribuito.
5. Suggerire programmi per la promozione della mission, degli obiettivi
strategici e degli obiettivi operativi dell’ azienda non profit.
6. Si occupa della messa in atto di gran parte dei programmi di relazioni
pubbliche fin dal momento della loro approvazione, con annesse
funzioni di coordinamento con consulenti/fornitori di servizi esterni
nella creazione di specifici progetti.
7. Di concerto con le commissioni competenti, prepara i contenuti e i
materiali necessari per i programmi di fund raising o di relazioni
pubbliche, comprese richieste di donazione da rivolgersi a donatori
effettivi o potenziali, lettere e kit di ringraziamento ai donatori, lettere
di invito alla donazione,ecc.
8. Effettua ricerche sui dati di potenziali donatori, siano essi persone,
imprese o fondazioni, individuati dai consiglieri di amministrazione,
dal personale retribuito o volontario, oppure in virtù di donazioni da
essi effettuate in passato per altre organizzazioni o per altre attività
simili.
9. Si tiene aggiornato sui programmi, sulle pratiche e sulle procedure di
fund raising e di relazioni pubbliche utilizzati nel settore non profit ed
informa il Consiglio direttivo, i volontari ed altri leader, delle
96
innovazioni che potrebbero rivelarsi di utilità e di interesse per
l’azienda non profit.
10. Prepara i piani di azione dettagliati per tutti i programmi di fund raising
e di relazioni con la comunità di riferimento, compreso il relativo
budget.
11. Lavora con i gruppi di supporto volontari (ad esempio “gli amici di…”)
nell’analisi dei programmi di fund raising e nella pianificazione delle
attività future.
12. Lavora con il personale retribuito e volontario per garantire che tutti i
programmi di fund raising e di relazioni con la comunità di riferimento
siano coerenti con la mission, con la filosofia e con i concetti alla base
di ciascun programma e servizio.
13. Svolge attività di supervisione sul personale retribuito amministrativo
dell’azienda non profit.
14. Svolge attività di supervisione sui volontari part-time che svolgono
regolarmente mansioni di assistenza nella gestione dell’archivio e
funzioni di aggiornamento/manutenzione, più altri volontari che
lavorano a particolari progetti di fund raising o di pubbliche relazioni.
15. Svolge la funzione di coordinatore dei volontari, lavorando fianco a
fianco con l’organo direttivo e con i gruppi impegnati nel fund raising e
nelle relazioni con la comunità di riferimento, per coordinare le attività
di promozione dell’azienda non profit.
16. Svolge la funzione di portavoce dell’azienda non profit e tiene i
rapporti con la stampa34.
La maggioranza dei fund raiser italiani (75%) presta la propria attività in
qualità di dipendente, mentre il 25% come consulente per organizzazioni non
profit. I fund raiser si concentrano in tre settori: assistenza sociale (21%),
cooperazione e solidarietà internazionale (19%) e nel campo sanitario (15%).
34 www.fundraiser.it
97
4.4 Donazioni
Le donazioni per gli enti non profit sono un elemento importante dei loro
bilanci. Dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri ed Economisti d’Impresa
arrivano alcune indicazioni su come rilevare, valutare e contabilizzare questi
fenomeni.
Nei bilanci degli enti no profit la voce relativa alle donazioni assume una
rilevanza particolare perché, a differenza delle imprese profit, esse
rappresentano spesso un’attività specifica dell’ente.
Ciò accade perché un’impresa basa la sua attività su scambi: produce e/o
vende beni o servizi contro denaro. Sosterrà perciò costi relativi all’acquisto
dei fattori produttivi e otterrà ricavi dal processo di vendita. Si può affermare
che esiste una chiara correlazione tra i costi e i ricavi (l’uno sono funzione
dell’altro).
Raramente un’impresa riceve una donazione e se ciò accade si tratta di un
evento straordinario, tale da costituire una sopravvenienza.
Un ente non profit non sempre ha un’attività di scambio, soprattutto se si
tratta dell’attività istituzionale. Si pensi per esempio ad un’associazione di
volontariato che svolge un’attività assistenziale in modo completamente
gratuito.
In questo caso per potersi sostenere l’ente non profit deve organizzare delle
operazioni di raccolta fondi che, al contrario delle imprese profit, sono
destinate a generare proventi di natura ordinaria e non operazioni
straordinaria.
Negli ente non profit si ha perciò una diversa concezione dell’evento
donazione e perciò occorre un approccio contabile differente.
Il Consiglio Nazionale dei Ragionieri ed Economisti d’Impresa, attraverso un
apposito gruppo di lavoro, ha perciò emanato una serie di raccomandazioni
98
con l’intento di fornire indicazioni specifiche agli operatori, affinché siano
seguiti comportamenti uniformi. Il documento tiene conto di due “filosofie”,
diverse tra loro, che portano ad un trattamento differente delle donazioni negli
enti non profit:
a) le donazioni ricevute si intendono acquisite a pieno titolo nella sfera
patrimoniale dell’enti non profit, quindi costituiscono risorse proprie
dell’enti non profit e pertanto devono essere imputate al conto
economico, salvo che le stesse rappresentino un aumento permanente
del patrimonio dell’enti non profit. Gli oneri e i proventi sono indicati
nel conto economico per aree gestionali che evidenziano che
evidenziano le singole attività svolte dagli enti non profit;
b) le donazioni ricevute costituiscono risorse destinate per gli scopi
specifici per i quali l’ente ne ha sollecitato la donazione e pertanto
vengono imputate allo stato patrimoniale dove vengono trattate come
fondi di terzi dei quali rendere conto in modo dettagliato; eventuali
economie realizzate nell’ambito della realizzazione degli scopi
specifici, vengono contabilizzate nel conto economico in qualità di
proventi oppure restituite al donatore, se così è previsto. Il conto
economico accoglierà perciò esclusivamente i proventi e gli oneri
relativi alla struttura.
Il Gruppo di Lavoro enti non profit, partendo dal presupposto di una
rendicontazione ad oneri e proventi basati sul principio della competenza
economica, ha perciò sviluppato l’argomento fornendo indicazioni su:
� donazioni di denaro e contributi per il finanziamento di progetti,
� donazioni di beni che non costituiscono immobilizzazioni,
� donazioni di immobilizzazioni materiali ed immateriali,
� donazioni di titoli e partecipazioni considerati immobilizzazioni o
attivo circolante,
� lavoro benevolo,
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� distacco temporaneo di personale dipendente,
� contribuzioni di servizi.
Per ciascuna di queste situazioni viene fornita una definizione del fenomeno, il
criterio di rilevazione dello stesso, le metodologie di valutazione e di
contabilizzazione, i criteri di rappresentazione in bilancio e le informazioni
che devono essere inserite nella nota integrativa e nella relazione sulla
gestione.
Il documento fornisce anche indicazioni circa il modo di evidenziare in
bilancio i vincoli a cui le donazioni vengono sottoposte.
In alcuni casi sono stati introdotti elementi di novità, come il caso del lavoro
benevolo mentre in altri sono stati adattati o recepiti i contenuti dei principi
contabili utilizzati per le imprese profit.
4.5 Titoli di solidarietà
La disciplina relativa all’emissione di titoli di solidarietà, di cui all’articolo 29
del D.Lgs. 460/97, è dettata dal decreto ministeriale n. 328 dell’8 giugno 1999,
nel quale gli stessi sono identificati con dei titoli obbligazionari a tasso fisso
non convertibili, alla cui emissione sono abilitati le banche, come definite dal
decreto legislativo del 1 settembre 1993 n. 385, e gli intermediari finanziari di
cui all’articolo 107, del medesimo decreto legislativo.
Tali soggetti, vincolati a destinare i fondi raccolti esclusivamente al
finanziamento di Onlus o di intermediari finanziari e bancari, nonché a tenere
una gestione separata per i fondi raccolti, godono di un particolare beneficio
fiscale.
Tale beneficio si concretizza nella deduzione dal reddito d’impresa della
differenza fra il tasso d’interesse effettivamente praticato all’emissione ed il
“tasso di riferimento”, andando così a costituire una variazione in diminuzione
in sede di dichiarazione dei redditi.
100
Ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 del D.M. 328/99, l’indicato tasso di
riferimento è fissato in misura pari al rendimento lordo medio mensile delle
obbligazioni emesse dalle banche (Rendiob)35.
A proposito, l’articolo 2 sancisce il limite massimo del tasso praticabile al
momento dell’emissione dei titoli di solidarietà, stabilendo che esso non può
essere mai superiore al rendimento lordo mensile delle obbligazioni emesse
dalle banche.
4.6 Intermediari finanziari
L'intermediario finanziario è un operatore specializzato del mercato
finanziario che offre un servizio di negoziazione di titoli per conto terzi. Il
mercato finanziario è l’insieme degli scambi che si realizzano mediante la
negoziazione di titoli. I clienti dell'intermediario sono gli investitori, che
decidono cosa comprare o vendere; essi trasmettono i loro ordini ai broker e
questi ultimi effettuano le operazioni sul mercato.
L'intermediazione è una delle tre tipologie principali di scambio finanziario.
Esse sono:
1. Scambio diretto ed autonomo: i datori ed i prenditori di risorse
finanziarie scambiano tra di loro, direttamente, senza fare ricorso ad
alcun intermediario;
2. Scambio diretto ed assistito: gli attori della domanda e dell’offerta sono
controparti dirette, ma non negoziano autonomamente perché sono
assistiti da un intermediario. In questo contesto, l’intermediario svolge
fondamentalmente un ruolo di ricerca e selezione della controparte;
35 Cfr. “I titoli di solidarietà per le Onlus”, in Ferri Paolo, D’Amore Rosanna, Corriere Tributario, n. 41/2002, pag. 3720.
101
3. Scambio indiretto o intermediato: gli attori della domanda e dell’offerta
non scambiano direttamente, ma mediante l’intervento di uno o più
intermediari.
La maggior parte degli scambi sul mercato avviene proprio grazie al lavoro
degli intermediari finanziari.
Nei confronti delle controparti l'intermediario ricopre la duplice veste di
debitore/creditore. È debitore nei confronti del datore di risorse finanziarie e
creditore verso il prenditore finale di risorse. L'intermediario quindi non
assume una parte attiva nella transazione, né tantomeno propone delle sue
offerte al mercato: il suo profitto è generato solamente dalle commissioni che
richiede per ogni operazione portata a buon fine; le commissioni possono
essere fisse (un totale per operazione) o a percentuale (una quota del valore
dell'operazione). La sua attività può quindi essere considerata
un'intermediazione creditizia.
Ipotizzando che, il mercato fosse perfettamente competitivo, gli scambisti
primari fossero razionali e disponessero tutti delle stesse informazioni
(assenza di asimmetria informativa), che gli scambi non fossero condizionati
dall’incertezza e non ci fossero costi di transazione, allora non ci sarebbero
ragioni per l’esistenza degli intermediari finanziari. Generalmente, lo scambio
di risorse finanziarie avviene mediante il lavoro dell’intermediario finanziario,
il quale, come è stato detto in precedenza, prende risorse dai soggetti “in
surplus” (che hanno un surplus di risorse finanziarie) e dà ai soggetti “in
deficit” (che hanno un deficit di risorse finanziarie e ne hanno bisogno per
continuare la propria attività produttiva). Gli elementi principali di questi
scambi sono tempo ed incertezza. Infatti, il datore di fondi effettua una
prestazione immediata in cambio di una prestazione futura, differita rispetto al
momento attuale, che consiste nella restituzione del capitale ricevuto e nel
pagamento della remunerazione pattuita.
102
Oltre all’elemento temporale, l’altro parametro che caratterizza gli scambi
finanziari è costituito dall’incertezza. In particolare, l’incertezza non è sempre
“esterna” al contratto (l’affidabilità della controparte del contratto) ma può
anche essere “interna”, nel caso in cui il contratto contempla delle clausole che
rendono variabile la prestazione del prenditore (ad esempio, i contratti
indicizzati). Pertanto, l’informazione svolge un ruolo fondamentale nella
formazione delle decisioni relative agli scambi finanziari. L'evidente basso
valore aggiunto dell'attività ha portato ad una competizione sull'unico
elemento differenziante: il prezzo delle commissioni. Per evitare una guerra
commerciale che portasse ad un crollo dei profitti, gli intermediari hanno
deciso di arricchire la propria offerta, in modo tale che per l'investitore non
risultasse più indifferente, a parità di commissione, la scelta dell'operatore a
cui rivolgersi.
• La prima differenziazione è costituita dai servizi di consulenza:
l'intermediario può fornire informazioni sulla situazione dei mercati, o
anche dei consigli sui titoli da acquistare o vendere; solitamente il
prezzo per questo servizio è basso, in quanto è propedeutico allo
svolgimento di una o più operazioni su cui il broker intascherà la
commissione.
• La seconda differenziazione è rappresentata dal cosiddetto “traiding on
line”: questo servizio permette all'investitore connesso ad una rete
informatica di inviare gli ordini all'intermediario. La comodità e la
velocità di trasmissione rende più allettante anche per i piccoli
risparmiatori l'investimento sui mercati, con un conseguente aumento
delle transazioni e del relativo guadagno degli operatori.
103
Capitolo 5
Contabilità e Bilancio
5.1 Gli Obblighi fiscali
Le Onlus hanno, a prescindere dalle norme civili, un obbligo annuale di
bilancio o rendiconto: la legge stabilisce che in relazione all’attività
complessivamente svolta devono essere impiantate scritture contabili
cronologiche e sistematiche, in cui tutta la gestione sia riprodotta con
precisione, confluendo ciò in un apposito prospetto contabile da redigere entro
quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale.
L’art. 25 del D.lgs. 460/97 ha inserito nel D.P.R 600/1973 l’art. 20-bis il quale
prevede una disciplina sistematica degli obblighi contabili delle Onlus.
La norma, di carattere fiscale, sembra che voglia tutelare anche interessi più
generali, tanto è vero che gli adempimenti contabili sono graduati rispetto alle
entrate complessive e non soltanto ai ricavi di attività commerciali.
Tali adempimenti, intesi come strumento di trasparenza e di efficienza della
gestione delle attività delle Onlus, assolvono altresì all’obbligo di informativa
esterna, necessaria per comunicare i risultati conseguiti ai vari interlocutori:
soci, lavoratori, utenti, Stato, donatori e tutta la collettività.
Gli obblighi contabili, parametrati alle particolari caratteristiche dell’attività
svolta, rivestono una importanza fondamentale, in quanto sono il presupposto
per il godimento di agevolazioni fiscali; qualora infatti tali adempimenti non
vengano rispettati, le Onlus decadranno da tutti i benefici fiscali previsti dal
Dlgs. 460/97.
Le scritture contabili obbligatorie si dividono in due categorie:
104
- quelle che interessano l’attività complessivamente svolta (comprensiva
cioè sia dell’attività istituzionale che dell’attività connessa);
- quelle che interessano le attività direttamente connesse a quelle
istituzionali.
Per le Onlus giuridicamente organizzate come cooperative, trattandosi di
imprese commerciali, l’obbligo della contabilità generale è imposto dal codice
civile.
Alle società cooperative quindi, ancorché destinatarie di altre disposizioni
agevolative in materia di Onlus, sono applicabili le norme relative alle società
di capitali che obbligano la tenuta della contabilità ordinaria (art. 2214 e seg.
c.c.).
In relazione all’attività complessivamente svolta, l’art. 20-bis, primo comma,
lettera a) del DPR n. 600/73 obbliga le Onlus, diverse dalla cooperative, a
redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con
compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di
gestione.
Sulla base di dette scritture, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio,
occorre stilare un apposito documento che rappresenti in maniera adeguata la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria della Onlus, distinguendo le
attività istituzionali da quelle direttamente connesse.
Gli obblighi contabili suddetti si considerano assolti qualora la contabilità
consti del libro giornale e del libro inventari, tenuti in conformità alle
disposizioni di cui agli art. 2216 e 2217 del codice civile.
Nel libro giornale devono essere indicate, giorno per giorno, le operazioni
relative all’esercizio dell’impresa svolte dall’ente non commerciale. Il termine
entro la quale le operazioni devono essere effettuate è di 60 giorni dalla data di
effettuazione dell’operazione cui si riferiscono.
Le registrazioni sul libro giornale devono essere fatte seguendo le norme di
un’ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee. Non si possono
fare abrasioni ed eventuali cancellature devono essere fatte in modo che le
105
parti cancellate restino leggibili. Il libro giornale dovrà essere numerato
progressivamente, bollato e vidimato in ogni pagina dall’Ufficio del registro
delle imprese o da un notaio36.
Per quanto riguarda la forma del libro giornale e le modalità di tenuta
contabilità non vi sono particolari vincoli o regole da rispettare. Deve infatti
ritenersi ammesso qualsiasi metodo contabile e le registrazioni possono essere
effettuate sia manualmente sia con il supporto di strumenti meccanografici o
automatici.
Per quanto riguarda invece l’obbligo di tenere il libro degli inventari ai fini
fiscali è previsto dall’articolo 14 del D.P.R. n. 600/73. Mentre le norme di
natura civilistica che disciplinano la tenuta del libro degli inventari sono
contenute negli articoli 2215 e 2217 del codice civile.
Relativamente, agli obblighi di numerazione, bollatura e vidimazione delle
pagine, per il libro degli inventari valgono le medesime regole viste per il libro
giornale. Secondo l’articolo 2217 del codice civile l’inventario deve essere
redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa, e successivamente, ogni anno, e
deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e passività relative
all’impresa.
Con riferimento al contenuto dell’inventario, il secondo comma dell’articolo
15 del D.P.R. 600/73 dispone che “l’inventario, oltre agli elementi prescritti
dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni
raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a
ciascun gruppo. Ove dall’inventario non si rilevino gli elementi che
costituiscono ciascun gruppo e loro ubicazione, devono essere tenute a
disposizione dell’ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la
compilazione dell’inventario”.
36 La contabilità degli enti non commerciali, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus, Enti non commerciali e…, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp. 187 – 189.
106
Nell’inventario annuale verranno inoltre riportati il bilancio e il conto
economico dal quale devono risultare con evidenza e verità gli utili conseguiti
o le perdite subite dall’ente non commerciale.
Per ultimo è bene ricordare che l’inventario verrà redatto, entro tre mesi dal
termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle
imposte dirette.
Qualora le Onlus svolgano attività direttamente connesse alle attività
istituzionali, essendo queste considerate ai fini tributari attività commerciali,
esse dovranno tenere, relativamente a queste attività, tutte le scritture contabili
previste negli articoli 14 a 18 del D.P.R. n. 600/73 per gli esercenti attività
d’impresa37. Quindi, verrà fatto integrale rinvio ai regimi contabili di tipo
ordinario e semplificato38.
Più precisamente, alle Onlus, si impone un bilancio basato sul principio per
cui non solo il potenziale controllo degli affari imprenditoriali è importante,
ma anche quello della gestione non profit merita ed esige l’interesse collettivo
alla trasparenza; ciò, anche nel senso di una possibile ricostruibilità contabile
di ciò che si è fatto39.
La contabilità và tenuta per due motivi: fiscali e civilitici.
A norma del D.L. 398/91, a seconda del regime fiscale che l’associazione
senza fine di lucro adotta, la contabilità può essere semplificata (sia ai fini
IVA che imposte dirette), forfetaria per le attività marginali soggette ad
imposte oppure può essere contabilità generale ai fini Iva e imposte dirette.
D’altro canto, quando la legge fiscale non impone una vera e propria
contabilità, per problemi civilistici, occorre per lo meno la tenuta di una
37 La contabilità delle Onlus, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus, Enti non commerciali e…, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp. 197 – 199. 38 Attività direttamente connesse, in G. Napoli (direzione di F. Marchetti), Onlus, Enti non commerciali e profili fiscali delle liberalità e delle sponsorizzazioni, Edizioni Luiss, Roma, 2002, pp. 27 ss. 39 Legislazione tributaria ed enti non profit, in S. Pettinato, Istituto studi sviluppo aziende non profit.
107
semplice contabilità con il criterio di cassa. Tale contabilità ha lo scopo di
permettere agli Organi periferici del Ministero delle Finanze di verificare che
non ci siano evasioni fiscali, pertanto ha anche valenza fiscale.
Ai fini fiscali è possibile fare a meno di una contabilità qualora l’associazione
senza fini fiscali non sia soggetta ad imposte in base all’articolo 8 della Legge
quadro sul volontariato oppure in base all’articolo 12 del D.Lgs. 460 per le
Onlus, però ai fini civilistici è indispensabile la tenuta di una contabilità sia
pure elementare, per motivi di controllo da parte del Collegio Sindacale e
l’Assemblea dei Soci. Questo perché la Regione competente o gli Organi
competenti possano verificare, in caso di un controllo, che l’associazione non
deve nulla ai fini fiscali.
Il bilancio può essere redatto con qualsiasi metodo e con qualsiasi schema,
purchè conformi a principi e della tecnica contabile. Da ciò si desume che,
poiché il codice civile non impone uno schema obbligatorio per il bilancio dei
soggetti diversi dalle società commerciali, gli enti non commerciali sono in
linea di principio liberi di adottare qualsiasi schema di bilancio, con l’unico
vincolo di dover rispettare i correnti principi contabili. Il bilancio deve essere
redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la
situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente non commerciale.
Nella redazione del bilancio dovranno essere osservati i seguenti principi
generali:
- la valutazione delle voci deve essere fatta secondo il principio della
prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività;
- si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di
chiusura dell’esercizio e tenere conto dei rischi e delle perdite di
competenza dell’esercizio;
- i criteri di valutazione devono essere mantenuti tendenzialmente
costanti nel tempo.
L’articolo 2220 del codice civile prevede che le scritture contabili devono
essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Tuttavia,
108
l’articolo 22 del D.P.R. 600/73 dispone che le scritture contabili obbligatorie
devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti
relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il termine decennale
stabilito dal codice civile.
In base a tale norma, se ci si trova di fronte un contenzioso con
l’amministrazione finanziaria, l’ente è tenuto a conservare le scritture
contabili.
È bene precisare che per i soggetti in regime IVA normale tengono i seguenti
registri:
� registro Iva acquisti, in base alla normativa attualmente in vigore,
devono essere annotate le fatture e le bollette doganali relative ai beni e
ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, entro il
quarto mese successivo a quello in cui è venuto in possesso dei
documenti. Tuttavia per le fatture di importo inferiore a 300 mila, è
consentita l’annotazione di un documento riepilogativo nel quale
verranno indicati i numeri attribuiti dal destinatario alle fatture ricevute
cui il documento riepilogativo si riferisce, l’ammontare complessivo
dell’imponibile e della relativa imposta distinti secondo l’aliquota.;
� registro Iva fatture emesse, nel quale dovranno essere annotate, entro
quindici giorni, nell’ordine della loro numerazione e con riferimento
alla data della loro emissione;
� registro Iva corrispettivi, nel quale i soggetti esonerati dall’emissione
della fattura ai sensi dell’articolo 22 del D.P.R. 633/72, devono
annotare l’ammontare globale dei corrispettivi delle operazioni
effettuate. L’annotazione deve essere eseguita, con riferimento al
giorno in cui le operazioni sono effettuate, entro il giorno non festivo
successivo. Per le operazioni in cui è rilasciato lo scontrino fiscale,
possono essere annotate con un'unica registrazione, entro il giorno 15
del mese successivo, con allegazione al registro degli scontrini
riepilogativi giornalieri;
109
� registro Iva riepilogativo;
� registro beni (o cespiti) ammortizzabili, a riguardo permane l’obbligo
di fornire le seguenti informazioni:
per ciascun bene immobile e ciascun bene iscritto in pubblici registri, l’anno di
acquisizione, il costo originario, le rivalutazioni, le svalutazioni, il fondo di
ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo di imposta
precedente, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel
periodo d’imposta, la quota annuale di ammortamento e le eliminazioni dal
processo produttivo.
Nel registro dei beni ammortizzabili, inoltre, devono essere indicate per anno
di formazione, anche le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento
e trasformazione di cui non immediatamente deducibili (art. 67 T.U.I.R.
comma 9).
I libri sociali sono utili per una migliore conduzione dell’attività svolta e per
un più efficace controllo e trasparenza della vita dell’organizzazione40.
Diversamente accade per ciò che concerne la contabilità ai fini del rendiconto,
che può essere tenuta con il computer (con un relativo programma di
contabilità generale) oppure alle vecchie maniere e cioè a mano basata su di
una prima nota41.
Da quanto sopra emerge che il legislatore fiscale si limita a definire alcune
caratteristiche indispensabili per una corretta tenuta della contabilità, senza
indicare il metodo con cui le scritture devono essere tenute. E’ preferibile,
però, adottare per le Onlus, anche nel caso in cui non svolgano attività
commerciale, la contabilità ordinaria, simile a quella della imprese, mediante
la rilevazione continuativa delle operazioni di gestione nel loro aspetto
finanziario e in quello economico al fine della determinazione periodica del
40 Obblighi formali: statuti, contabilità e comunicazione, in A. Santuari, Le Onlus, Profili civili, amministrativi e fiscali, Edizioni Cedam, Padova, 2007, pp. 293 ss. 41 Contabilità, in L. Alberti, Associazioni di Volontariato e Onlus, Edizioni Fag, Milano, 2007, pp.119-120.
110
risultato economico di esercizio (avanzo o disavanzo di gestione) e del
capitale di funzionamento. Il metodo della partita doppia consente di
raggiungere agevolmente i risultati richiesti dalla legge.
In relazione alle attività direttamente connesse, considerate a tutti gli effetti
attività commerciali, le Onlus devono tenere, a norma dell’art.20-bis, comma
1, lettera b) del D.P.R 600/73, le scritture contabili di cui agli art. 14, 15, 16,
18 del medesimo D.P.R.
Trattasi di una contabilità separata, relativa alle sole attività connesse aventi
natura commerciale. Naturalmente detta contabilità non si pone come
alternativa a quella che le Onlus devono, comunque, tenere con riferimento
all’attività complessivamente svolta, istituzionale e connessa, ma coesiste
con essa integrandola.
L’intento del legislatore è evidente: la contabilità separata consente di
evidenziare i due tipi di attività, quella istituzionale e quella connessa, e di
verificare il rispetto delle due condizioni poste dall’art. 10, comma 5 del
D.Lgs. N. 460/1997, cioè:
o la prevalenza delle attività istituzionali rispetto a quelle connesse o i
proventi delle attività connesse non devono superare il 66% dei costi
complessivi della Onlus. In concreto si rendono applicabili alle Onlus gli
stessi obblighi contabili previsti per gli Enti non commerciali in relazione
all’attività commerciale svolta, con semplificazioni degli adempimenti
contabili in relazione a volumi di ricavi ridotti.
Per le attività connesse si possono avere, in base ai ricavi annui, tre regimi
contabili:
- regime di contabilità ordinaria: prevede il libro giornale, il libro
inventari, il registro dei beni ammortizzabili, le scritture ausiliarie oltre
ai registri iva (fatture emesse, corrispettivi, acquisti), (artt. 14, 15, 16
DPR 600/73);
- regime di contabilità semplificata: qualora i proventi conseguiti
nell’anno precedente non hanno superato (o in caso di inizio attività si
111
prevede che non superino) € 309.874,14 per le attività di servizi,
ovvero € 516.456,90 per le altre attività, in luogo del libro giornale, del
libro inventari e delle scritture ausiliarie, possono essere tenuti
solamente i registri IVA, i quali accoglieranno anche le operazioni
poste in essere considerate fuori campo Iva. (art. 18 D.P.R 600/73);
- regime di contabilità supersemplificata: se l’ammontare annuo dei ricavi
non supera € 15.493,71 per le attività di servizi, ovvero € 25.822,84 per
le altre attività, le Onlus possono semplificare ulteriormente gli
adempimenti contabili secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 166
della Legge 662/96.
L’art. 20-bis, comma 3 del D.P.R. 600/73 prevede delle semplificazioni
contabili per le Onlus che abbiano conseguito nell’anno precedente proventi,
derivanti dalla somma delle attività istituzionali e delle attività direttamente
connesse, di ammontare non superiore a € 51.645,69 (limite modificato ogni
anno in base alle variazioni del costo della vita).
Le stesse semplificazioni si applicano alle Organizzazioni di volontariato
iscritte nei registri istituiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e
Bolzano di cui alla legge n. 266/1991 ed alle Organizzazioni non governative
riconosciute idonee ai sensi della legge n. 49/1987.
I soggetti su indicati possono tenere, in luogo del libro giornale, libro inventari
e scritture ausiliarie, il rendiconto delle entrate e delle spese relative
all’attività complessivamente esercitata, nei termini e nei modi di cui all’art.
20 D.P.R. 600/73.
Il rendiconto va redatto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio ed è
accompagnata da una relazione illustrativa ove lo richiedano esigenze di
trasparenza e di maggiore chiarezza. E’ opportuno sottoporlo alla
approvazione dell’Assemblea.
112
5.1.1 Adempimenti inerenti le raccolte pubbliche di fondi
Le Onlus, come gli altri enti non commerciali, hanno la possibilità di
effettuare raccolte pubbliche di fondi allo scopo di reperire mezzi necessari
per realizzare attività funzionali e strumentali al perseguimento di fini
istituzionali.
Tale attività è fiscalmente agevolata, con esclusione da ogni tributo; la norma
individua alcune caratteristiche di tali raccolte che devono essere:
- pubbliche, ossia rivolte ad un pubblico indifferenziato;
- occasionali, senza il requisito dell’abitualità;
- concomitanti con eventi quali ricorrenze, celebrazioni o campagne di
sensibilizzazione;
- con eventuale offerta di beni di modico valore o di servizi.
Allo scopo di evitare abusi nella sollecitazione della fede pubblica, il
legislatore, indipendentemente dalla redazione del rendiconto annuale
economico e finanziario, ha previsto un apposito e separato rendiconto che
deve essere redatto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio.
In tale documento vanno indicati, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le
spese relative a ciascuna manifestazione, allegando, ove necessario, una
relazione illustrativa.
La circolare 124/E del 1998 del Ministero delle Finanze ha precisato che il
rendiconto deve essere redatto sia dagli enti che si avvalgono del regime di
contabilità ordinaria, sia da quelli che si avvalgono del regime di contabilità
semplificata. Tutte le scritture contabili e la relativa documentazione,
comprese quelle relative alle raccolte pubbliche di fondi, devono essere
conservate ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. 600/73.
113
5.2 I documenti e i destinatari del Bilancio
5.2.1 Lo Stato Patrimoniale
La prima parte del Bilancio è costituita dallo stato patrimoniale così come
indicato dalla normativa civilistica e dalla normale tecnica contabile.
Questo documento non deve subire importanti variazioni rispetto a quello
ordinario.
Pertanto, è bene fare una distinzione in ordine alla destinazione delle risorse e
degli impieghi, per questo risulta utile la distinzione nella colonna delle
attività tra beni (mobili e immobili) destinati allo svolgimento delle attività
istituzionali, connesse o comuni alle due sfere.
Questa distinzione, appare utile anche sotto il profilo dello stato patrimoniale.
I riferimenti legislativi a riguardo sono contenuti nel codice civile, ai sensi
degli articoli 2423-ter, 2424 e 2424-bis, sia sotto il profilo del contenuto, sia
sotto il profilo dei criteri di valutazione.
5.2.2 Il Rendiconto di gestione
Il secondo documento di cui si compone il bilancio è il Conto Economico
meglio conosciuto come rendiconto economico della gestione. Si tende a
sottolineare questa distinzione nominalistica per le differenze che sussistono
tra conto economico e rendiconto economico della gestione.
È innanzitutto necessario che tale documento permetta all’amministrazione
finanziaria quel controllo di merito sull’ attività effettiva della Onlus,
rilevando la distinzione tra attività istituzionali e attività connesse.
Sarà, dunque, necessario che il piano dei conti di questo documento distingua i
ricavi in ricavi derivanti da:
1. attività istituzionali, eventualmente distinte tra settori di attività;
114
2. attività connesse, a loro volta eventualmente distinte in settori di
attività;
3. attività di raccolta fondi, se e in quanto esercitate dalla Onlus42.
Il bilancio dovrà, inoltre, essere accompagnato da una relazione dell’organo
amministrativo.
Tale relazione dovrà illustrare l’attività dell’ente, specialmente se di
importanti dimensioni.
Essa dovrà contenere elementi di carattere generale sull’attività svolta
dall’ente, sui destinatari delle prestazioni, sulle modalità di reperimento dei
mezzi economici.
In secondo luogo, la relazione potrebbe contenere anche elementi quantitativi
tesi alla spiegazione dei conti di maggiore significato economico.
È, inoltre, interessante sapere che se i proventi superano per due anni
consecutivi l’ammontare di due miliardi, il bilancio dovrà anche predisporre di
una relazione dell’organo di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti
nei registri di revisione contabile.
Si presume, dunque, l’organo di controllo solo se l’ente si presenta con
dimensioni economiche significative e comunque non marginali.
L’obbligo della relazione sussiste già a partire dal medesimo secondo anno,
cioè dall’esercizio stesso nel quale si verifica la condizione richiesta dalla
legge.
Tale documento deve in sostanza assicurare la regolare tenuta della
contabilità, la verità, la chiarezza e trasparenza del bilancio e la regolarità ed il
rispetto della normativa in materia di Onlus.
Nonostante il collegio sindacale o dei revisori contabili sia un organo interno,
è evidente come dal contesto della normativa, esso finisca per assumere una
42 Conto economico o rendiconto di gestione, in G. M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus, Aspetti contabili e fiscali, Edizioni Giuffrè, Milano, 2000, p. 207.
115
funzione di tutela interna, ma anche di controllo generale e di legalità
dell’ente.
È poi previsto che l’organo del collegio sindacale, anche se non è imposto per
legge, il bilancio debba essere comunque accompagnato da una apposita
relazione del medesimo organo.
116
Capitolo 6
Gli Obblighi Fiscali degli Enti Non Profit
6.1 Le Imposte Dirette
La categoria delle ONLUS è destinataria di un regime tributario di favore per
quanto riguarda:
� le imposte sui redditi,
� l'imposta sul valore aggiunto (IVA),
� altre imposte indirette.
In tema di agevolazioni fiscali, con la legge "+ Dai - Versi" si è resa possibile
una maggiore deducibilità delle donazioni effettuate a favore delle
organizzazioni non profit e delle ONLUS, e si è così favorita l'attività di
raccolta fondi. Inoltre, a partire da marzo 2005, le imprese e le persone fisiche
potranno dedurre dal proprio reddito imponibile fino al 10% dello stesso
qualora questo sia stato destinato a donazioni a favore di Onlus e di altre
tipologie di enti. Il tetto massimo di deducibilità è di € 70.000,00.
Sopravvivono comunque le altre ipotesi di risparmio fiscale anche se non sono
cumulabili con il beneficio della predetta legge,"+ Dai - Versi"; pertanto le
persone fisiche possono beneficiare di una detrazione delle imposte del 19%
fino a € 2.065,83 (comunque sempre meno conveniente rispetto alla "+ Dai -
Versi"). I soggetti IRES, invece, potranno dedursi in alternativa fino al 2% del
reddito d'impresa dichiarato o € 2.065,83; queste ipotesi saranno convenienti
a) per aziende con redditi d'impresa superiori a € 3,5 milioni, oppure per
quelle che registrano redditi d'impresa inferiori a € 20.658,30. Inoltre, altro
affare importante è l’iniziativa presa dal 2006, cioè le ONLUS potranno,
117
inoltre, concorrere al cinque per mille43.
Più specificamente, il regime fiscale degli enti non profit si caratterizza per
uno sdoppiamento tra regime fiscale di taglio imprenditoriale a carico delle
attività commerciali e regime personalistico a carico di attività estranee
all’impresa eventuale dell’ente: la differenza si coglie nel fatto che le entità
giuridiche imprenditoriali, invece, subiscono l’incidenza del regime da
impresa sull’interezza della loro operatività.
Nonostante gli enti non commerciali rientrino, quindi, come soggetti-struttura,
nella categoria dei soggetti IRPEG (imposta sul reddito delle persone
giuridiche: società ed enti), il meccanismo base di tassazione dei loro redditi
presenta molti aspetti dalle norme previste per le comuni persone fisiche, che
sono invece notoriamente soggetti passivi dell’IRPEF.
Come spesso accade, dietro questa scelta si cela un orientamento tecnico di
principio, quello che tende ad imprenditorializzare le strutture collettive,
unificandone l’azione nel segno della produzione.
La componente extra-economica dell’ente non commerciale ha spinto a fare,
però, una distinzione che valorizza il fatto che una buona parte della struttura
non opera in un contesto economico: proprio come l’uomo, il quale, anche se
imprenditore coltiva affetti, interessi, elezioni di natura morale scissi dalla sua
economicità. Da ciò la permanente di due ottiche impositive, che non può
invece configurarsi neanche in parte sulle società per azioni.
La tassazione dei redditi degli enti non commerciali avviene, pertanto,
secondo regole ibride, che in linea generale, si inquadrano in quelle previste
per gli altri soggetti passivi IRPEG ma che subiscono frequenti adattamenti,
per tener conto delle regole specifiche previste per le persone fisiche. Il
carattere ibrido di questo genere di tassazione è dato da un principio che si può
definire di “limitata imponibilità”: tale principio comporta che, su detti
soggetti, soltanto determinate tipologie di reddito, specificamente indicate
dalla legge fiscale, siano sottoposte a tassazione.
43 www.wikipedia.it
118
Ciò, è per l’appunto vicenda analoga a quanto accade per le persone fisiche,
ma è sostanzialmente difforme da quanto previsto per le società di capitali ed
enti equiparati, per i quali, secondo una logica di fiscalizzazione estrema e
globale, qualunque attività o provento è sempre rilevante ai fini
dell’imposizione diretta. Il parallelismo con i criteri di tassazione previsti per
le persone fisiche si realizza anche poiché per gli enti non commerciali
l’IRPEG è un’imposta a titolo definitivo, e non ha unzioni di prelievo “in
acconto” dei tributi dovuti dalla base sociale. È noto, invece, che le società
sono soggetti passivi, per così dire, di “transito” nel senso che l’IRPEG
rappresenta per loro, un’imposta che di fatto, costituisce un acconto di quella
da determinare in capo ai soci i quali sono destinati ultimi della ricchezza che
la struttura sociale è stata capace di produrre.
Il reddito complessivo imponibile degli enti non commerciali non è, quindi,
dato da proventi che confluiscono tutti in un’unica categoria reddituale, ma
dalla somma di redditi appartenenti a varie categorie, che sono le stesse create
dal legislatore ai fini dell’IRPEG.
Gli enti non commerciali possono, quindi, essere titolari di redditi che si
definiscono fondiari (di terreni e fabbricati), di capitale, di impresa e “diversi”,
ovunque prodotti, con esclusione dei redditi esenti e di quelli soggetti a
ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva.
Dunque, non devono concorrere, alla formazione del reddito complessivo
degli enti non commerciali, in primo luogo, i fondi pervenuti ai predetti enti a
seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante
offerte di bene di modico valore, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o
campagne di sensibilizzazione e, in secondo luogo, i contributi corrisposti da
amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato o in regime di
accreditamento di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini
istituzionali degli enti stessi. Queste attività sono caratterizzate da un regime
di particolare favore legislativo che non tocca i principi ma che agisce con
esclusioni precisate.
119
In tal quadro, è bene precisare qualche considerazione in merito agli obblighi
di contabilità che la legge fiscale impone agli enti non commerciali.
In primo luogo, gli obblighi fiscali sorgono solo quando gli enti non
commerciali svolgono un’attività commerciale.
Il principio base, valido anche in materia di contabilità fiscale, per gli enti non
commerciali è quello che presuppone la completa separazione tra ambito
commerciale e ambito non commerciale dell’attività da questi svolta, sotto il
profilo dell’obbligo dell’adempimento. In teoria, la legge fiscale è come se
ignorasse del tutto, la gestione extracommerciale.
Dal punto di vista fiscale, gli obblighi contabili sorgono, pertanto, solo nel
caso in cui siano rilevabili operazioni relative o connesse con un’eventuale
attività d’impresa che l’ente svolga in aggiunta ai propri compiti istituzionali.
In caso di totale assenza di simili attività l’ente non ha alcun obbligo
contabile, da un punto di vista fiscale, fermo restando che in parte i vincoli
imposti con forza contrattuale, può dover rispettare oneri analoghi posti da
leggi speciali che regolano l’attività di particolari enti operanti in taluni settori.
A parte questi casi, comunque, i fatti, le operazioni e i cespiti non riferibili
all’attività commerciale non vanno obbligatoriamente contabilizzati agli effetti
fiscali.
Ciò premesso, è così delineato il campo di operatività degli obblighi contabili
imposti dalla normativa fiscale, si evidenzia come questi ultimi possano essere
assolti dagli enti non commerciali in maniera differenziata e, anche in questo
caso, in analogia con quanto avviene per le persone fisiche.
Gli obblighi contabili in parola possono essere assolti dagli enti non
commerciali adottando un regime di contabilità ordinaria ovvero semplificata.
La distinzione fra i due criteri è piuttosto rigida. Gli enti non commerciali che
hanno esercitato attività commerciale sono ammessi a tenere la contabilità
semplificata se hanno conseguito ricavi nell’esercizio precedente per un
ammontare non superiore a :
120
• 360 milioni di lire se esercenti attività aventi per oggetto prestazioni di
servizi;
• 1 miliardo di lire se esercenti altre attività44.
Nel caso in cui l’ente abbia appena intrapreso l’esercizio dell’attività
commerciale, i citati limiti si applicano ai volumi di ricavi che si prevede di
realizzare nel primo esercizio di attività. Per gli enti non commerciali che
esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi e altre attività, si deve
fare riferimento all’ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente.
Gli enti non commerciali che hanno superato i predetti limiti sono obbligati a
gestire l’attività commerciale seguendo il regime di contabilità ordinaria; allo
stesso modo si comporteranno quegli enti che, pur in possesso dei requisiti
necessari per tenere la contabilità semplificata, hanno esercitato la prevista
opzione per gestire l’attività commerciale con un regime di contabilità
ordinaria.
L’adozione della contabilità semplificata comporta differenze sostanziali e
contabili rispetto al regime di contabilità ordinaria. Dal punto di vista
contabile, infatti, l’ente non commerciale che gestisce l’attività di impresa con
una contabilità semplificata non è obbligato alla presentazione del bilancio e
deve tenere un numero minore di libri.
Sono previsti, in questo caso, solo i registri obbligatori in base alla disciplina
IVA (per registrare operazioni attive e passive effettuate, sui quali vanno però
annotati anche i componenti positivi e negativi del reddito d’impresa, altre
annotazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito di fine periodo,
nonché il valore delle rimanenze di fine periodo), il registro dei beni
ammortizzabili ed i libri paga e matricola.
44 Le liquidazioni periodiche contribuenti trimestrali e mensili, in in G. M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus, Edizioni Giuffrè, Milano, 2000, p. 219.
121
Gli enti invece, che hanno svolto l’attività commerciale devono tenere un libro
giornale, il libro degli inventari, i registri IVA obbligatori, il registro dei beni
ammortizzabili ed i libri paga e matricola.
Nel decreto legislativo di riforma della disciplina fiscale degli enti non
commerciali (n. 460/1997) è stato previsto l’obbligo, in via generale, per tutti
gli enti non commerciali che esercitano attività commerciale, di tenere una
contabilità separata45. Non è più consentito, in sostanza, tenere una contabilità
unica e comprensiva sia dei fatti commerciali che di quelli istituzionali; è
evidente la ratio di tale disposizione nasce dall’esigenza che la contabilità
commerciale degli enti non commerciali sia il più possibile trasparente e
precisa, e che sia evitata ogni commistione con l’attività istituzionale.
L’intento è stato, quindi, di imporre agli enti non commerciali l’obbligo di
gestire l’attività commerciale con la maggiore distinzione possibile.
Il decreto ha previsto, inoltre, che la quantificazione delle spese e degli altri
componenti negativi sia effettuata secondo il criterio proporzionale, ancorato
al rapporto matematico tra ricavi commerciali e proventi globali, in passato
utilizzato, per stabilire l’intero imponibile degli enti che gestivano l’attività
commerciale senza contabilità separata.
Il limite di deducibilità di tali oneri è determinato nella percentuale
corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che
concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i
ricavi e i proventi. Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile la
rendita catastale, o il canone di locazione anche finanziaria, per la parte
corrispondente al predetto rapporto.
Un’ulteriore novità è data dall’introduzione di un nuovo regime forfetario46 di
determinazione del reddito per gli enti non commerciali in contabilità
45 Definizione di ONLUS e sintesi dei vantaggi fiscali e gli obblighi connessi, in A. Santuari, Le Onlus Profili civili, amministrativi e fiscali, Edizioni Cedam, Padova, 2007, pp. 360 ss. 46 Regime forfetario, in L. Alberti, Associazioni di volontariato e Onlus, Edizioni Fag Milano, 2007, pp. 102 ss.
122
semplificata, applicabile dietro esercizio di apposita opzione. Per questi
soggetti il reddito di impresa può essere, su opzione, determinato applicando
all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il
coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza, secondo
determinati limiti.
Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre
attività, il coefficiente di redditività deve essere determinato con riferimento
all’ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente.
Il regime forfetario è applicabile dietro esercizio di un’apposita opzione, da
esprimere in sede di dichiarazione di inizio attività oppure nella dichiarazione
annuale dei redditi. L’opzione ha effetto dall’inizio del periodo di imposta
nella quale è esercitata fino a revoca e comunque per un triennio.
6.1.1 Determinazione del Reddito complessivo imponibile
Il reddito complessivo non commerciali si quantifica in linea di principio
sommando i singoli redditi di ogni categoria che concorrono a formarlo.
Quanto alla determinazione dei vari tipi di reddito occorre fare riferimento alle
ordinarie regole previste dalla disciplina fiscale per ciascuna categoria, poiché
non sono previste eccezioni per gli enti non commerciali.
Per arrivare alla quantificazione del reddito imponibile, le norme fiscali
prevedono che dall’insieme dei redditi, vadano sottratte le eventuali perdite
derivanti dalla gestione di una o più imprese in contabilità semplificata.
Nella determinazione del reddito imponibile complessivo degli enti non
commerciali, ancora una volta in analogia con quanto disposto per le persone
fisiche, vige, infatti, un criterio particolare di deducibilità delle perdite
d’impresa. La deducibilità assume connotazioni diverse a seconda che
riguardi perdite derivanti dalla gestione di imprese in contabilità ordinaria o
dalla gestione di imprese in contabilità semplificata. Le perdite derivanti dalla
123
gestione di imprese commerciali in contabilità ordinaria possono essere
portate in diminuzione soltanto dei redditi d’impresa.
Supponiamo ad esempio, che l’ente non commerciale gestisca
contemporaneamente tre imprese e che mentre per le prime due sia stato
adottato un regime di contabilità ordinaria, l’altra sia un regime di contabilità
semplificata. Se la gestione di una delle imprese in contabilità ordinaria si è
chiusa con una perdita, l’ente potrà utilizzare questa perdita per ridurre l’utile
derivante dalla gestione dell’altra impresa in contabilità ordinaria e da quella
dell’impresa in contabilità semplificata, ma non anche dai redditi di altra
origine.
Inoltre, la disciplina fiscale prevede che l’importo delle perdite derivanti dalla
gestione di imprese in contabilità ordinaria, non utilizzato nel periodo in cui
sono sorte, possa essere riportato in avanti, cioè utilizzato nei periodi
successivi, fino al quinto, sempre e solo per compensare utili d’impresa e,
comunque, in misura massima pari all’importo di questi ultimi.
Invece, le perdite derivanti dalla gestione diretta e indiretta di imprese in
contabilità semplificata possono essere utilizzate per compensare
indistintamente il complesso dei redditi conseguito dall’ente non commerciale
nello stesso periodo di imposta in cui sono sorte.
Dal reddito complessivo degli enti non commerciali si possono dedurre
determinati oneri, specificamente indicati dalla legge. Anche questa
disposizione è analoga a quanto previsto per le persone fisiche, che possono
dedurre dal proprio reddito imponibile complessivo determinate spese.
Le stesse tipologie di spesa deducibili devono essere rintracciate all’interno di
quelle previste dal legislatore fiscale per le persone fisiche, con l’esclusione di
quelle che non possono essere sostenute da un ente non commerciale.
L’ente potrà, quindi, dedurre i canoni, i livelli, i censi e gli altri oneri gravanti
sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo, le
somme date ai propri dipendenti che siano stati chiamati ad adempiere
funzioni presso gli uffici elettorali in ottemperanza alla legge, i contributi, le
124
donazioni e le oblazioni erogate in favore di determinate organizzazioni non
governative e delle Onlus.
L’IRPEG và, quindi, calcolata sul reddito complessivo al netto delle spese, se
presenti.
Dall’imposta lorda, così calcolata possono essere portati in detrazione altri
specifici oneri, nel limite del 19% del loro ammontare.
Nuovamente, le tipologie di oneri che possono essere portati in detrazione
vanno rinvenute tra quelle previste per le persone fisiche, con l’eccezione di
quelle che risultano materialmente inapliccabili per gli enti non commerciali.
Dall’imposta lorda l’ente può portare in detrazione47:
- gli interessi passivi e relativi oneri accessori, nonchè le quote di
rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti
residenti nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea
ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non
residenti in dipendenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie, nei
limiti dei redditi dei terreni dichiarati;
- gli interessi passivi e relativi oneri accessori, nonchè le quote di
rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti
residenti nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea
ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non
residenti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili
stipulati fino al 1990, nel limite di 4 milioni;
- le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione
o restauro delle cose vincolate per legge, nella misura effettivamente
rimasta a carico;
- le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni
pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute che,
47 ISSAN: Istituto Studi Sviluppo Aziende Non Profit, Legislazione tributaria ed enti “Non Profit”, S. Pettinato.
125
senza scopo di lucro, svolgono o promuovono attività di studio, ricerca
e documentazione di rilevante valore culturale-artistico;
- le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore al 2% del
reddito complessivo dichiarato, a favore di enti o istituzioni pubbliche,
fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di
lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, effettuate per
specifiche finalità.
Tra le erogazioni detraibili rientrano anche quelle effettuate a favore degli enti
musicali e lirici. Sulla base della riforma della disciplina fiscale degli enti non
commerciali, sono detraibili anche erogazioni liberali in denaro, per importo
non superiore a 4 milioni di lire, a favore delle Onlus.
6.1.2 Dichiarazione dei Redditi
Dopo aver stabilito quali sono i criteri per la formazione del reddito
complessivo degli enti non commerciali, resta da precisare come debba essere
data comunicazione al Fisco delle modalità in cui si sia giunti a calcolare i
valore del reddito imponibile, perché poi possano esserci eventuali controlli.
Esiste, infatti, l’obbligo per gli enti non commerciali che abbiano conseguito
redditi rilevanti, l’obbligo di compilare e presentare la dichiarazione dei
redditi. La dichiarazione viene effettuata mediante lo specifico modello
UNICO. Non sono, dunque, tenuti a fare la dichiarazione quegli enti che non
abbiano conseguito redditi fiscalmente rilevanti. Capita anche la situazione in
cui nonostante l’ente abbia conseguito un “buon reddito” questi non debbano
obbligatoriamente fare la dichiarazione se esiste una norma di legge che
manda esente dall’imposizione quel reddito, quest’ultimo non dovrà
partecipare al calcolo dell’imposta e, tantomeno, non dovrà essere dichiarato.
Si pensi ad esempio, ad un ente non commerciale che abbia adibito un proprio
immobile interamente a sede di una biblioteca e non riceva alcun reddito di
126
questa utilizzazione. Nonostante, il reddito derivante dal fabbricato, debba
essere assoggettato a tassazione quale reddito fondiario, in questa ipotesi tale
reddito verrà escluso dai redditi imponibili, poiché esiste una precisa
disposizione di legge che lo manda esente da imposta.
Identica situazione si avrà nel caso in cui l’ente non commerciale percepisca
un compenso che attraverso il meccanismo della ritenuta alla fonte, sia già
stato tassato in maniera definitiva, prima ancora di essere percepito. È il caso,
ad esempio, degli interessi attivi di conto corrente che, per espressa
disposizione legislativa, quando sono percepiti da enti non commerciali, sono
tassati in maniera definitiva alla fonte con il sistema delle ritenute.
In tal caso, il prelievo fiscale è già stato effettuato ed il reddito non dovrà più
partecipare alla determinazione di ulteriori imposte; non dovrà, pertanto,
essere dichiarato e non dovrà partecipare alla determinazione del reddito
imponibile complessivo.
Infine, nulla dovranno dichiarare anche gli enti che hanno percepito redditi
soggetti ad imposta sostituiva poiché in questo caso un particolare
meccanismo di tassazione, previsto dalla legge, si è sostituito a quello
tradizionale.
Nei casi in cui l’ente ha l’obbligo di tenere le scritture contabili, la
dichiarazione deve essere sempre presentata, anche se dalla contabilità deriva
un reddito pari a zero o, addirittura, una perdita.
Una volta stabiliti i casi in cui deve essere presentata la dichiarazione, è
necessario chiarire i termini e le modalità della presentazione stessa.
In linea generale, gli enti non commerciali devono presentare la dichiarazione
dei redditi entro sei mesi dalla fine del periodo d’imposta. Tuttavia, se lo
statuto dell’ente prevede un termine per l’approvazione del bilancio o del
rendiconto, la dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla
scadenza del termine stesso. Ciò anche quando il bilancio, per qualsiasi
motivo, nei termini.
127
Il rispetto dei termini di presentazione si verifica con riferimento alla data
apposta al modello dal timbro del Comune cui è presentata. Bisogna
individuare con precisione l’Ufficio cui deve essere inviata la dichiarazione;
nel caso, infatti, in cui la dichiarazione venga presentata ad Ufficio
incompetente, la presentazione della dichiarazione stessa si considera
avvenuta nel giorno in cui sia pervenuta all’Ufficio competente.
Alla dichiarazione deve essere allegata una copia dell’atto costitutivo o dello
statuto aggiornato, se esso non è stato già allegato ad una precedente
dichiarazione e sono intervenute modificazioni.
La dichiarazione deve essere sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente
dichiarante e dal presidente del collegio sindacale o dell’organo di controllo.
La mancanza della sottoscrizione della dichiarazione da parte del
rappresentante legale dell’ente rende nulla la dichiarazione che può comunque
essere sanata se la sottoscrizione viene eseguita entro trenta giorni dal
ricevimento dell’invito da parte dell’Ufficio competente.
La dichiarazione và presentata direttamente all’Ufficio delle imposte del
Comune nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale dell’ente oppure
spedita per raccomandata semplice all’Ufficio delle imposte dirette nella cui
circoscrizione si trova il domicilio fiscale dell’ente.
La dichiarazione dei redditi è costituita da un fascicolo, contenente singoli
“quadri”, intestati ognuno alle diverse tipologie di reddito; ad essa si
riconnette in altro fascicolo, per la dichiarazione annuale sul valore aggiunto;
tra questi l’ente non commerciale deve scegliere quelli ad esso necessari in
funzione dei redditi che intende dichiarare.
All’interno dell’UNICO troviamo48: il quadro RA, in cui deve essere
dichiarato, il reddito d’impresa conseguito da parte degli enti non commerciali
48 ISSAN: Istituto Studi Sviluppo Aziende Non Profit, Legislazione tributaria ed enti “Non Profit”, S. Pettinato.
128
che esercitano un’attività commerciale avvalendosi di contabilità ordinaria
separata.
Il quadro RD dell’UNICO viene compilato dagli enti non commerciali la cui
gestione commerciale è stata amministrata con contabilità semplificata.
Inoltre, potranno compilare questo quadro le associazioni senza fine di lucro
che, avendo i necessari requisiti, hanno optato per un particolare criterio
forfetario, delineato dalla legge fiscale, di determinazione del reddito
imponibile.
Il quadro RC deve essere compilato dagli enti non commerciali che utilizzano
la contabilità pubblica.
Il quadro RM deve essere utilizzato per dichiarare i redditi di allevamento di
animali che eccedono quello che è considerato il normale limite di
sfruttamento del terreno e che intendono calcolare con un preciso metodo
forfetario, stabilito dalla norma fiscale. Ancora, verrà utilizzato il quadro RE
per gli enti non commerciali che possiedono, a titolo di proprietà, enfiteusi,
usufrutto o altro diritto reale, terreni situati nel territorio dello Stato che sono
iscritti al Catasto dei terreni con attribuzione di rendita e che sono affittuari di
fondi nei quali esercitano attività agricola devono dichiarare questi redditi dei
terreni. Analogamente, gli enti che possiedono, a titolo di proprietà, enfiteusi,
usufrutto o altro diritto reale, fabbricati situati nel territorio dello Stato che
sono iscritti nel Catasto dei terreni con attribuzione di rendita devono
dichiarare i redditi derivanti da detti immobili utilizzansi il quadro RF.
Nel quadro RG vengono dichiarati i redditi di capitale non riferibili ad attività
d’impresa.
Il quadro RH è destinato a recepire gli effetti di partecipazioni di un ente in
società di persone residenti in Italia.
Il quadro RL dell’Unico, infine, deve essere utilizzato per dichiarare redditi
diversi, che rappresentano una delle categorie reddituali istituzionali per gli
enti non commerciali.
129
Tutti questi, sono modelli che l’ente non commerciale compila per
determinare e dichiarare redditi fiscalmente rilevanti. Oltre a questi, però,
l’ente può trovarsi a dover compilare altri modelli, per illustrare la
determinazione di altre imposte oppure dare informazioni aggiuntive ai
modelli già compilati o per segnalare al Fisco ulteriori informazioni.
Ad esempio, il quadro RN viene compilato dall’ente non commerciale per
dichiarare plusvalenze e/o minusvalenze diverse da quelle conseguite
nell’esercizio di imprese commerciali. Il quadro RP, RS, RR, RV e il quadro
RW dell’UNICO in cui sono indicati i trasferimenti da e per l’estero di denaro,
titoli e valori mobiliari. Inoltre, nel caso in cui l’ente non commerciale, quale
sostituto d’imposta, abbia effettuato nel periodo di riferimento ritenute su
interessi, redditi di capitale e redditi diversi dovrà compilare il quadro RZ.
Tutti gli enti non commerciali che presentano la dichiarazione dei redditi
dovranno compilare il quadro B che ha la funzione fondamentale di
riassumere in unico contesto, tutte le tipologie di reddito conseguite dall’ente.
Il modello và compilato anche quando l’ente ha un solo tipo di reddito da
dichiarare. Sempre nel quadro B verranno indicati gli importi relativi agli
oneri deducibili dal reddito, alle detrazioni ed ai crediti di imposta e verrà
effettuato il calcolo dell’IRPEG e determinati eventuali crediti d’imposta da
riportare alla dichiarazione successiva o da compensare. L’IRPEG verrà
determinata applicando al reddito complessivo netto l’aliquota del 37%;
tuttavia per determinate categorie di enti non commerciali (società di mutuo
soccorso, enti ospedalieri e così via) l’imposta è ridotta alla metà.
Una volta determinato il reddito imponibile e le relative imposte, spetta
all’ente il compito di procedere al versamento delle stesse. È sempre di dovere
per l’ente non commerciale effettuare il versamento di due rate in acconto
dell’imposta dovuta per il periodo d’imposta in corso.
130
6.2 Le imposte Indirette
6.2.1 L’IVA
L’IVA è un’imposta che colpisce l’incremento di valore dei beni ceduti e dei
servizi prestati nei passaggi successivi da questi attraversati prima di poter
essere goduti dal consumatore finale. Sarà poi quest’ultimo a dover sottostare
all’intero gravame impositivo, essendo l’unico soggetto a non potersi avvalere
del meccanismo di detrazione consentito invece agli intermediari del ciclo.
L’imposta si applica sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi,
effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di
arti e professioni nonché sulle importazioni49.
È dunque, un’imposta da applicare mediante addebiti ai terzi e versamento
conseguente allo stato. È necessaria quindi la contemporanea presenza di tre
presupposti: 1) si deve trattare di cessioni di beni o di prestazioni di servizi; 2)
tali attività vanno svolte nel territorio dello Stato; 3) ci deve essere esercizio di
un’impresa ossia svolgimento di un’attività commerciale abituale.
In via generale, può dirsi che costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo
oneroso che originano un trasferimento di proprietà ovvero la costituzione o il
trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere, costituiscono
prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti
d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia di mediazione.
In secondo luogo, il requisito di territorialità viene soddisfatto, salvi casi
particolari previsti dalla normativa, quando le cessioni di beni vengono
effettuate nel territorio dello Stato ed hanno come oggetto beni immobili o
beni nazionali, comunitari o vincolati al regime delle temporanee importazioni
esistenti nel territorio dello stesso, ovvero beni mobili spediti da altro stato
membro della Cee installati, montati nel territorio dello stesso o da stabili
organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati e residenti all’estero.
49 La detrazione dell’ IVA e la contabilità separata degli enti non commerciali e delle Onlus, in G. M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus, Edizioni Giuffrè, Milano, 2000, pp. 215 ss.
131
Il tema più complesso riguarda il rapporto con l’esercizio di un’impresa.
Ai fini IVA, si ha esercizio di impresa nel caso di esercizio per professione
abituale.
Per potersi dire integrato il terzo requisito è, quindi necessario lo svolgimento
di un’attività commerciale, purchè con carattere di abitualità ed
indipendentemente sulla sussistenza o meno di un’organizzazione alla base.
Ciò che, però contraddistingue l’ente non commerciale è il fatto che l’attività
non commerciale non deve costituire l’oggetto esclusivo o principale dell’ente
stesso.
Quindi mentre per le società commerciali aventi ad oggetto principale
l’esercizio di attività d’impresa, tutte le operazioni svolte sono considerate
dalla normativa IVA presuntivamente commerciali, per gli enti non
commerciali si considerano effettuate nell’esercizio di impresa solo ed
esclusivamente le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate purchè
non occasionalmente non rimanendo quindi soggette al tributo, neppure
formalmente, le attività istituzionali.
Se quindi l’attività svolta dall’ente non è un’attività commerciale, per tale
attività l’ente non sarà soggetto ad IVA. Diventa per tale ragione,
indispensabile identificare quando un’attività si qualifica come commerciale.
Hanno, per esempio, natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi rese ai soci, associati o partecipanti se effettuate a fronte di corrispettivi
specifici o contributi supplementari relativi a prestazioni ulteriori rispetto
quelle garantite dalle quote associative ordinarie. Vi è comunque
un’eccezione, e cioè le operazioni non sono assoggettate ad IVA qualora
vengano svolte in conformità alle finalità istituzionali di determinati enti
associativi.
Vi sono operazioni ritenute presuntivamente commerciali purchè svolte con
abitualità.
Come:
132
- le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, purchè cedute
prevalentemente ai propri associati;
- l’erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
- la gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
- la gestione di mense, spacci aziendali, somministrazioni;
- il trasporto e il deposito di merci;
- il trasporto di persone;
- l’organizzazione di viaggi, soggiorni turistici, le prestazioni alberghiere
o di alloggio;
- i servizi aeroportuali e portuali;
- la pubblicità commerciale;
- le telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Vi sono poi operazioni escluse dal novero delle attività commerciali e pertanto
escluse dall’ambito applicativo dell’IVA. Sono tali:
- le operazioni relative all’oro e alle valute estere, inclusi i depositi anche in
conto corrente, di cui sono parte la Banca d’Italia, l’Ufficio italiano cambi o le
banche agenti;
- la gestione, da parte delle amministrazioni militari e dei corpi di polizia, di
mense e spacci riservati esclusivamente al personale dipendente;
- le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuati in occasione di
manifestazioni propagandistiche dei partiti politici rappresentati nelle
assemblee nazionali e regionali;
- le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalla Presidenza della
Repubblica, dal Senato, dalla Camera dei Deputati e dalla Corte
Costituzionale, nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali;
- le prestazioni sanitarie soggette al pagamento di quote di partecipazione alle
spese sanitarie erogate dalle unità sanitarie locali e dalle aziende.
È poi essenziale sottolineare il fatto che la non imponibilità delle operazioni
con natura commerciale implica la conseguenza che l’IVA corrisposta per
133
ogni forma di acquisto riferibile a tali attività, non potrà essere ammessa in
detrazione.
Va anche evidenziato che sono ritenute cessioni di beni le assegnazioni fatte
agli associati da parte di enti privati o pubblici, compresi consorzi,
associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica, purchè si tratti
di beni attinenti all’attività commerciale svolta dall’ente.
Non sono soggetti ad Iva i conferimenti fatti in società e altri enti compresi i
consorzi e le associazioni; né lo sono i passaggi di beni in dipendenza di
fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in
essere da altri enti.
Vi sono poi una serie di operazioni che, pur potendo rientrare nell’ambito
dell’attività commerciale svolta dell’ente, sono esenti IVA.
Sono esenti dall’imposta in via generale, le prestazioni di servizi concernenti
la concessione e la negoziazione dei crediti, l’assunzione di garanzie, le
operazioni relative a depositi di fondi, conti correnti e pagamenti, operazioni
di assicurazione, cessioni di oro e lingotti, le prestazioni di trasporto urbano di
persone, le prestazioni di servizi postali e così via.
Più strettamente attinenti agli enti non commerciali sono le esenzioni relative
alle cessioni a titolo gratuito di modico valore ad associazioni riconosciute o
fondazioni aventi esclusivamente finalità sociali, le prestazioni di trasporto di
malati o feriti, le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione, le
prestazioni di ricovero, le prestazioni educative rese da scuole riconosciute
dalle pubbliche amministrazioni, case di riposo per anziani ecc.
Recentemente, il Decreto legislativo ha previsto espressamente anche
l’esclusione dell’IVA per i fondi pervenuti agli enti non commerciali a seguito
di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, in occasione di celebrazioni,
ricorrenze o campagne di sensibilizzazione; per i contributi corrisposti da
amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato o in regime di
accreditamento di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini
istituzionali dell’ente.
134
Occorre, infine, rimarcare che, dal verificarsi di un’operazione imponibile,
derivano una serie di obblighi per il soggetto passivo del tributo.
Il meccanismo di funzionamento dell’IVA prevede che l’ente sia tenuto al
versamento della differenza tra l’IVA incassata per le cessioni beni e le
prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e l’IVA assolta per gli acquisti
fatti e le prestazioni di servizi ricevute.
Un primo problema è quello relativo ai beni ad uso promiscuo, si tratta cioè di
beni che possono afferire sia all’attività istituzionale dell’ente, sia a quella
commerciale. In tal caso è previsto un meccanismo di detrazione
proporzionale, ossia è ammessa in detrazione solo la parte imputabile
all’esercizio dell’attività commerciale o agricola.
Occorre in ogni caso precisare che gli obblighi contabili sorgono per l’ente
non commerciale solo quando questo svolga un’attività commerciale
affiancata a quella istituzionale in assenza di tale attività commerciale, infatti,
l’ente non sarebbe sottoposto a nessun obbligo contabile, pur potendo lo stesso
optare per la tenuta della contabilità per fini tributari in virtù di disposizioni
statuarie o leggi speciali.
I registri IVA sono:
- il registro degli acquisti;
- il registro delle fatture emesse o dei corrispettivi.
I registri vanno numerati e bollati, in esenzione dai tributi di bollo e
concessione governativa, e devono essere tenuti secondo le norme di
un’ordinata contabilità senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti
in margine. Tali registri vanno conservati per dieci anni dalla data dell’ultima
registrazione, e comunque, fin quando non siano definiti gli accertamenti
relativi al corrispondente periodo di imposta.
135
Gli enti non commerciali, per l’attività commerciale svolta, sono soggetti
anche una serie di obblighi ed adempimenti più materiali50:
a) è innanzitutto necessaria una dichiarazione di inizio attività entro trenta
giorni, in duplice esemplare, all’ufficio IVA; è altrettanto obbligatorio
comunicare l’eventuale variazione dei dati forniti i tale dichiarazione
iniziale, nonché la cessazione dell’attività entro il medesimo termine
che decorre dal verificarsi dell’evento;
b) per ciascuna operazione imponibile và emessa una fattura, in duplice
esemplare, al momento di effettuazione dell’operazione ed uno degli
esemplari deve essere consegnato o spedito alla controparte. La fattura
và emessa anche per le cessioni non soggette all’imposta, per le
cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi soggetti a
vigilanza doganale, nonché per le operazioni esenti tranne quelle
relative all’esercizio del lotto e per altri casi specifici;
c) le fatture emesse vanno annotate normalmente entro 15 giorni nel
registro delle fatture. Nelle fatture vanno indicati il numero
progressivo, la data di emissione, l’ammontare imponibile,
l’ammontare dell’imposta e i dati relativi al destinatario;
d) per gli acquisti effettuati o le prestazioni dei servizi ricevuti è
obbligatoria la registrazione nell’apposito registro degli acquisti entro
quattro mesi dalla data di ricevimento delle fatture;
e) entro il giorno 20 di ciascun mese l’ente non commerciale deve
provvedere alla liquidazione dell’imposta e al versamento della stessa;
f) eventuali differenze a favore del contribuente sono computate in
detrazione del mese successivo. Le detrazioni non computate nel mese
di competenza possono essere computate solo in sede di dichiarazione
annuale;
50 Gli adempimenti contabili obbligatori per le attività delle Onlus, in G. M. Colombo – S. Ragghianti, Enti non commerciali e Onlus, Edizioni Giuffrè, Milano, 2000, p.213.
136
g) nel periodo compreso tra il 1° febbraio e il 15 marzo, l’ente non
commerciale deve presentare in duplice esemplare, la dichiarazione
relativa all’imposta dovuta per l’anno solare precedente. Sono esonerati
da tale obbligo coloro che nell’anno solare hanno registrato
esclusivamente operazioni esenti. La differenza tra quanto versato
mensilmente e quanto dovuto va corrisposta entro il 5 marzo. Qualora
tale differenza sia favorevole all’ente, in tal caso quest’ultimo potrà
optare tra il diritto a chiedere il rimborso dell’imposta o a portarla in
detrazione nell’anno successivo.
Gli enti minori beneficiano di un regime semplificato di contabilità. Per
quanto riguarda le semplificazioni contabili ai fini IVA è previsto che tali enti
possano adempiere agli obblighi di fatturazione e di registrazione mediante la
tenuta di un bollettario a madre e figlia. Le operazioni vanno descritte nelle
due parti del bollettario la cui figlia costituisce fattura e deve essere
consegnata o spedita all’altro contraente.
L’ufficio IVA competente a ricevere tutte le dichiarazioni e i versamenti
analizzati finora è quello della provincia nella cui circoscrizione si trova il
domicilio fiscale dell’ente.
6.3 L’IRAP
Il presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio
abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o
allo scambio di beni o alla prestazione di servizi.
È l’essere una struttura permanente, in sostanza, ad attivare il presupposto
d’imposta, che nel caso degli enti non commerciali afferisce in ogni modo al
rilievo tributario sia per quanto attiene l’area istituzionale che per quel che
riguarda l’area commerciale ove presente.
137
L’IRAP 51 è un’imposta reale trova applicazione indipendentemente dalla
forma giuridica, dal tipo di attività e dalla destinazione dei beni o dei servizi
prodotti. Gli enti non commerciali risultano, pertanto, interessati a tale imposta
insieme alle imprese, ai lavoratori autonomi, agli enti statali e alle altre
amministrazioni locali ed ai prodotti agricoli.
La base imponibile dell’IRAP in via generale, deve essere determinata in
riferimento al valore aggiunto prodotto nel territorio regionale e risultante dal
bilancio con le eventuali variazioni previste per le imposte erariali sui redditi e
per i soggetti non obbligati alla redazione del bilancio, della dichiarazione dei
redditi in particolare per gli enti non commerciali oltre che per lo Stato e le le
altre amministrazioni pubbliche, la base imponibile, relativamente alle attività
non commerciali deve essere costituita esclusivamente dall’ammontare delle
retribuzioni e dai compensi erogati per retribuzioni, redditi assimilati e
compensi per collaborazioni coordinate e continuative ( metodo retributivo).
L’aliquota dell’IRAP fissata inizialmente è del 4.25%, con attribuzione alle
regioni del potere di maggiorare l’aliquota fino ad un massimo di un punto
percentuale.
L’assoggettamento ad IRAP comporta obblighi dichiarativi, in connessione o
in alternativa alla dichiarazione dei redditi.
6.4 Agevolazioni fiscali per gli enti Non Profit di tipo associativo
Se l’ ente non profit è costituito in forma associativa, esso è regolato da norme
ulteriormente vantaggiose, il cui beneficio è una maggiorata attenuazione
dell’imposizione sulle attività remunerative in via specifica.
51 L’IRAP, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus, Enti non commerciali e…, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 2001, pp. 147 ss.
138
Per sapere se si è in presenza di un ente associativo bisogna guardare al
versante civilistico e dunque statuario: l’ente è associativo allorché consta
della convergenza costitutiva di una collettività che ha espresso la volontà
congiunta di condurre attraverso di esso un’attività esterna, assumendone in
ragione di ciò la qualità di socio, associato o partecipante.
Ai fini della disciplina corrente, l’ente non profit associativo conosce in sede
tributaria una tripartizione, e pertanto, si possono distinguere:
1. gli enti associativi comuni;
2. gli enti associativi speciali agevolati;
3. gli enti associativi di promozione sociale.
In particolar modo è bene soffermarci sui cosiddetti “enti associativi
agevolati”. Essi sono un particolare raggruppamento di enti associativi per i
quali il legislatore, conferma come per gli enti associativi comuni l’irrilevanza
del rapporto sociale di base, ed in più concede una significativa deroga al
principio fiscale per cui le prestazioni corrispettive ente/socio determinano
attività commerciale imponibile. A tal riguardo, dopo il D. Lgs n. 460 emerge:
1. la nuova casistica soggettiva degli enti speciali o agevolati;
2. regime speciale;
3. ulterori norme di cautela antielusiva che tutelano da abusi.
Rientrano tra le associazioni speciali o agevolate le associazioni politiche,
associazioni sindacali, religiose, assistenziali, culturali, associazioni
sportive dilettantistiche, associazioni di promozione sociale ed infine
associazioni di formazione extra-scolastica della persona52.
Per quanto riguarda invece, le linee oggettive del regime speciale si
colgono nella fissazione delle seguenti attività esonerate da tassazione.
Le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate
verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti di associati o
partecipanti; 52 Le singole agevolazioni Onlus, in Studi Tributari, Studio n.89-2009/T, Il Regime fiscale degli enti non commerciali e delle Onlus: questioni attuali, 2009.
139
Le cessioni di proprie pubblicazioni, allorché si tratti di pubblicazioni
cedute in prevalenza agli associati.
In ultimo, relativamente alle cautele statuarie emerge che le imprese
dissimulate in associazioni, sostanzialmente dirette da una persona che ha
saputo inventarsi un ruolo formale dietro una struttura cartacea che
nasconde una semplice conduzione di mezzi organizzati alla produzione
economica, che evade il fisco sulle entrate, dovrebbero essere più difficili
di prima.
Pertanto, l’ente associativo deve presentare, in un atto redatto sotto forma
di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, le seguenti clausole
statuarie:
1. divieto di distribuire anche in modo indiretto utili o avanzi di gestione
nonché fondi riserve o capitale durante la vita dell’ente;
2. obbligo di devoluzione del capitale, in caso di scioglimento;
3. disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative
volte a garantire l’effettività, escludendosi ogni limitazione in funzione
della temporaneità del rapporto e prevedono per i maggiori di età il diritto
di voto per le approvazioni e modificazioni statuarie e dei regolamenti
nonché per la nomina degli organi;
4. obbligo del rendiconto economico e finanziario;
5. eleggibilità libera degli organi, con principio di voto singolo, sovranità
dell’assemblea sociale, chiarezza dei criteri di ammissione e di esclusione
dalla vita sociale, pubblicità delle convocazioni, di bilanci e delle delibere;
6. intrasmissibilità della quota o contributo associativo e sua non
rivalutabilità.
140
6.5 Le erogazioni liberali a beneficio degli Enti Non Profit
È previsto un regime a favore per le erogazioni liberali fatte dai privati e dalle
imprese alle Onlus.
I privati potranno sostenere le Onlus mediante versamenti in denaro che danno
luogo ad una detrazione d’imposta del 19% prevista dalla finanziaria per il
1998, su una cifra massima di L. 4.000.000 (€ 2.065,83).
Sono anche detraibili i contributi associativi versati dai soci alle società di
mutuo soccorso, nel limite di 2 milioni e 500 mila lire (€ 1.291,14). Tali
versamenti dovranno essere effettuati tramite banca o posta ovvero mediante
altri sistemi idonei a consentire agli organi verificatori un facile riscontro.
Sono previste inoltre erogazioni liberali da parte delle imprese che potranno
sostenere le Onlus con versamenti in denaro fino al 2% del reddito d’impresa
dichiarato fino ad un massimo di L. 4.000.000 (€ 2.065,83).
Per l’impresa sia individuale sia societaria, è posto un divieto di cumulabilità,
qualora abbia già erogato liberalità previste dall’articolo 65, lett. a) e b) del
TUIR. Tali imprenditori, infatti, dovranno scegliere se godere delle deduzioni
previste all’articolo 65 oppure usufruire delle detrazioni d’imposta indicate nel
nuovo decreto sulle Onlus.
Anche per gli enti non commerciali che effettuano delle erogazioni sono
consentiti benefici fiscali. A riguardo, sono dettati ai sensi dell’articolo 13 del
decreto Onlus alcune specificazioni e limitazioni.
Dal reddito complessivo sono deducibili, per cassa, vari oneri tra cui:
a) le erogazione liberali in denaro a enti di tutela ambientale, comprese le
mostre e le esposizioni. Tale agevolazione riguarda anche attività volte alla
tutela e alla valorizzazione di cose immobili che hanno cospicui caratteri di
bellezza naturale o singolarità geologica;
b) le erogazioni liberali in denaro per la gestione di parchi e riserve;
c) le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione e alla protezione
degli immobili vincolati ai sensi della legge n. 1089/39.
141
Mentre gli oneri detraibili al 19% sono indicati:
- interessi passivi e relativi oneri accessori se il terreno è in Italia e il
percettore è un soggetto residente nello Stato o in uno Stato membro della CE
o stabile organizzazione;
- spese sostenute per la manutenzione, protezione o restauro di beni di beni di
rilevante interesse artistico o culturale;
- erogazioni liberali a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni,
associazioni che proteggono o restaurano o espongono beni di rilevante
interesse artistico culturale;
- erogazioni liberali a favore dello spettacolo, fino al 2% del reddito
complessivo dichiarato.
Ovviamente la detrazione spetta a condizione che i predetti oneri non siano
deducibile nella determinazione del reddito d’impresa che concorre a formare
il reddito complessivo53.
6.6 Le Sanzioni
Da sempre uno degli argomenti riguardanti gli enti non profit, e per le Onlus
in particolare, è stato quello del timore degli abusi.
In ragione di ciò è stato introdotto un regime di difesa accentuato, rispetto al
passato, che riguardano ogni contribuente e che vanno dal divieto di atti
elusivi alla vera e propria criminalizzazione, in certi casi anche penale,
dell’evasione d’imposta.
In altre parole, per ogni quantità di imposta evasa l’Onlus risponderà come
una società per azioni, con le sanzioni calibrate sull’entità di quanto sottratto
allo stato, moltiplicato per le penalità, interessi e quant’altro.
53 Erogazioni liberali a favore degli enti non commerciali, in F. Colombo P. Sciumè D. Zazzeron, Onlus Enti non commerciali e organizzazioni…, Edizioni il Sole 24 Ore, Milano 2001, pp. 99 ss.
142
È previsto innanzitutto come illecito a sé stante il caso di abuso di
denominazione di Onlus: cioè, l’uso in pubblico della denominazione di
Onlus, ossia un suo impiego in qualunque carta, documento, stand, volantino,
lettera, intervista o simili, senza fondamento, con la possibilità di indurre in
inganno terzi è considerato atto illecito, punibile a carico di chiunque.
In aggiunta poi a tutte le sanzioni fiscali automatiche di cui si è detto i
rappresentanti legali e i membri degli organi amministrativi delle Onlus che
abusano dei benefici fiscali delle Onlus, non sussistendone diritto, ovvero che
violino le disposizioni statuarie a presidio della qualifica, subiscono la
sanzione amministrativa da 2 milioni a 12.
Gli stessi soggetti sono anche esposti alla sanzione da 200 mila a 2 milioni per
le omissioni delle comunicazioni all’ufficio erariale legate allo svolgimento o
alla cessazione dallo svolgimento di attività solidaristiche che ammettono le
Onlus ai benefici di rito.
Ma la sanzione concretamente più grave è quella che prevede la responsabilità
solidale dei rappresentanti legali e dei membri degli organi amministrativi con
la Onlus stessa per le indebite funzioni di agevolazioni fiscali ovvero per la
facoltà concessa a terzi di fruirne indebitamente in assenza di presupposto
corretto.
Se, cioè, è stata inopportunatamente data qualifica di Onlus ai fini di una
detrazione fiscale di un’impresa erogante, a seguito della quale l’impresa ha
risparmiato 100 milioni di IRPEG, dell’IRPEG in questione saranno
responsabili verso lo stato anche tutti gli organi amministrativi; oltre che
dell’imposta, essi saranno responsabili delle sanzioni e degli interessi che il
fisco addebiterà per la violazione54.
54 Le altre agevolazioni previste dal Decreto, in A. Santuari, Le Onlus Profili civili, amministrativi e fiscali, Edizioni Cedam, Padova, 2007, pp. 360 ss.
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profit, Edizioni Etas Libri, Milano 1997.
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F. Colombo, P. Sciumè, D. Zazzeron, Onlus Enti non commerciali e
organizzazioni non lucrative di utilità sociale Regime fiscale, contabilità e
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in Il Fisco, 2004.
Studio n. 80-2009/T, in Studi Tributari, 2009.
V. Melandri, Non profit, corpi intermedi e stato: un confronto con il caso
americano, (Atti del Convegno, Centro Culturale Manfredini, Bologna
17/1/1996.
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